Storia d`Apollonio di Tiro : romanzo Greco, dal latino ridotto in

Transcript

Storia d`Apollonio di Tiro : romanzo Greco, dal latino ridotto in
^>4^v
^^
1
\
^
"^.r
-,.^'^
r
:>c
X
^
/^v
.
^J^
STORIA
D APOLLONIO DI TIRO
ROMANZO GRECO
DAL LATINO RIDOTTO
IN
VOLGARE ITALIANO
NEL SECOLO XIV
TESTO DI LINGUA OR PER LA PRIMA VOàTA PUBLIC ATO
C0.\ UN SAGGIO DI ALTRO VOLGARIZZAMENTO
DELLO STESSO SECOLO
LUCCA
TIPOGRAFIA
DI B.
d861
CANOVETTI
EDIZIONE DI CENTOVENTIDUE ESEMPLARI
AL CAV. FRANCESCO ZAMBRINI
DELLE
più'
riposte BELLEZZE DI NOSTRA LINGUA
CONOSCITORE FINISSIMO
BENEMERITO DEI FILOLOGICI STUDJ
COLTIVATI
CON AMOROSA PERSEVERANZA
QUESTI SCRITTI DELL'AUREO TRECENTO
IN
ATTESTATO D'ALTISSIMA STIMA
L'AVV. LEONE DEL PRETE
0. D. C.
XXX MARZO DEL MDCCCLXI.
PREFAZIONE
tra
molte vie che possono tenersi per giun-
le
gere a rischiarare l'oscurità, nella quale spesso
si
ravvolge la storia degli antichi popoli, mol-
to
adatta è a reputarsi la investigazione dei
librij e
in generale delle opere qualunque che,
scritte,
raccomandate alla memoria, furo-
no da loro maggiormente gustate. Perocché
genere delle scritture che, secondo
diversi paesi,
e
i
tempi o
hanno avuto più voga,
medesime,
difetti delle
vivo V indole,
i
i
ci
i
il
i
pregj
rappresentano al
costumi e la civiltà delle na-
zioni; e quasi direi, squarciandoci
il
velo che
ricopre la loro vita più intima, ce ne mettono
in evidenza le virtù ed
i
gazione poi torna
precipuamente per be-
utile
vizj. Cotesta investi-
ne addentrarci nella storia del medio evo.
in vero le pie leggende,
i
Ed
romanzi cavallere-
schi, le poesie dei trovatori, le novelle
ed
altre
svariate scritture, che furono allora con avidità
ricercate e popolari, sono
quell'età
un
ritratto fedele di
piena di vita e di operosità cittadina;
\
VI
alle cui gloriose tnemorie, che
tempi a noi più vicini
in spcciallà nei
cercato con tanta
si è
cura ed amore di mettere in luce, dehbesi per
avventura in gran parte se il prisco valore
de' nostri padri,
a traverso a
secoli di tanto
avvilimento, è giunto a noi vivo e vigoroso.
È per
questo che
da quasi
nel togliere dall' oblio
un
dì ebbero
ncW
co
si
le
non
loro,
sono assai avvantaggiati
lia, resta
ma
pur an-
con molta dottrina^
In questa parte però
solo
antiche scritture che
corso appo
iliustrarle
nazioni
tutte le
vediamo porsi gran studio
civili
gli
d'
onde
studj storici.
se molto si è fatto in Ita-
pur sempre non poco a
farsi.
E qui,
per non allargarmi in cose estranee ni mio
proposito, prenderò soltanto di xnira
che occupano
zi,
un posto
i
roman-
tanto importante
nella storia letteraria e civile dell' età di
Fra
zo.
questi
monumenti
letterari
i
mez-
più famo-
sono certamente quelli conosciuti col nome
si
di cavallereschi delle due grandi classi o ci^
eli
i
di Carlo
Magno
e della
Tavola Rotonda,
quali ottimamente riscontrano coi tempi delle
crociate, e in certo
modo può
dirsi esser
una
pittura degli uomini misteriosi e indefinibili di
allora; uomini feroci e battaglieri, e insieme
per
virtìi
questi
generosi fino
all'
eroismo.
Or bene
romanzi oggi sono quasi interamen-
te lasciati
in
dimenticanza nei manoscritti o
VII
nelle arcirarìssime antiche edizioni.
E
di ve-
ro se ne togli quelle compilazioni guaste ed
vanno
alterate di alcuni, die tuttavia
attor-
no, per lo più in l'ima, destinale unicamente
per la lettura del popolo minuto, ben pochi fra
noi ne sono stati modernamente posti in luce: ed
inoltre sebbene molto sia stato scritto intorno ai
medesimi, specialtnente dagli stranieri, pure,
non m' inganno, offrono sempre larga mes-
se
se alle investigazioni degli eruditi.
Ma non
solo
grido, e furono
medio evo,
ma
i
romanzi cavallereschi ebbero
grandemente
altri
sai diverso, che
ancora
letti e
guatati nel
un genere as-
d'
veramente meglio
si attaglia-
vano alla gente comune. Intendo qui parlare
di certi racconti, intessuti a guisa di storie, e
immaginati
col fine inorale di esaltare la vir-
tù e di mettere in abominio
il
vizio, che
sono a confondersi con altre scritture
si
le
conoscono col nome di leggende. Di
non
quali
si/fatti
Barlaam e donon me ne ricorrono ora alla memoria
antichi racconti, oltre quello di
sa ffat,
altri esemplari, che sieno stati nei
tempi
mo-
derni posti in luce.
Nel numero di questi racconti o romanzi è
a mettersi la Storia
le
stampe, la
una
delle scritture
in Italia
ma
d'
Apollonio che do
al-
quale fu nei secoli di mezzo
maggiormente
in tutta Europa,
lette,
non
solo
come sarà di-
mi
mostrato; e in conseguenza potrà tcrvire a
far conoscere quali fossero
tendenze
le
e
il
carattere di quei tempi.
La
le
Storia di cui parlo è
una narrazione
del-
avventure di Apollonio re di Tiro. In so-
stanza vi
si
vede rappresentato un uomo di re-
già stirpe, nel fiore degli anni, ornato
di virtù
e
di
travolto in
un
/'
animo
sapienza, ricco d' ogni avere,
tratto
dal
sommo
della prospe-
Pare che la fortuna
che un Re pietoso beni-
rità nelV infima miseria.
torni poi a sorridergli,
gnamente r
accoglie, e, colmatolo di cortesie,
lo rimette in ricco arnese, e di
l'istruzione dell' unica
sua
più
figlia.
gli
La
affida
bellezza,
la grazia, le ricchezze, e sopra tutto l'esimie
doti dell'
ìiella
animo
e dell' ingegno, che
reale donzella, fanno
sì
citino d' ottenerla in isposa.
abondano
che molti solle-
Ma
essa
s'
inna-'
mora perdutamente d'Apollonio; se Apollonio
non dovesse avere a marito, perderebbe la
vita.
Quindi
consente
il
alle
buon padre di buon grado acnozze che tanto agogna. Ecco
dunque Apollonio marito di Archislrata sua
amabile alunna, della
figlia del
Re suo generoso
benefattore: e perchè nulla gli manchi alla pie-
nezza della
felicità, riceve
V annunzio che
il
suo
crudele persecutore ha cessato di vivere, ful-
minato dal
cielo che
nefandezze di cui
V ha
è reo.
colto in
mezzo
alle
Egli pertanto si ap-
IX
parecchia a partire per andare a prendere
possesso del regno che gii appartiene; e colla
diletta consorte,
che
non vuole da
dersi sebbene incinlay si
lui divi-
affida al mjare.
Ma
ecco che la fortuna comincia a bersagliarlo di
nuovo nel modo il più crudele. Le onde si turbano ; e nello imperversare della tempesta
Archistrata
e
è
presa
dai
dolori
del parto
;
mentre dà alla luce una bambina, smar-
risce
i
ed agghiaccia. Vedendola in que-
sensi
sto stato la
credono morta, cosicché
il
desola-
tissimo marito la fa racchiudere diligentemen-
una
te
in
le
onde. Ella però non è che tramortita; ed
i
flutti
cassa, che vien gittata in balia del-
avendo spinta
la
Apollonio
,
stimando
e
racchiude in
un tempio
a riva^ ne
non vede il suo
cassa
viene tratta fuori. Qui piii
d' averlo
perduto,
si
di vergini per condur-
vi castamente la vita. Nello stesso
tempo an-
che Apollonio prende terra per provvedere all'
allevamento
cui mette
e
all'
educazione della
nome Tarsia,
figlia,
V affida alle cure di
due conjugi suoi amici, Strangulione e Dionisia.
Dopo
e
di ciò, inconsolabile per la perdita
nuovamente si parte, proponenandar ramingo finché la figlia non
giunga in età da marito
Tarsia intanto
coli' andare innanzi negli anni, va crescendo in bellezza e nelle doti dell' animo. Dio-
della consorte,
dosi d'
.
ha
7iisia
pure una
essa
che lutti
soffrire
e lodino
sembrandole che per causa di
glia
le
sia^
dispregiata.
occupano
non può
figlia; e
ammirino
la
sua
e
la
gelosia
L' invidia
e le offuscano la
Tarsia,
lei
mente in modo
che giunge
all'
Ella fida
l'
esecuzione di questo delitto
servo,
quale è
il
fi-
eccesso di volerla far morire.
sul punto
già
ad un
di svenare
/' innocente vittima, quando air improvviso
sopraggiungono alcuni corsari^ che gliela tolgono di mano, e la conducono alla loro nave,
onde viene poi tratta per essere venduta
come schiava. Disgraziatamente Tarsia cade
d'
un uomo infame,
in potere d'
pe
che, per far tur-
conduce in
traffico della bellezza di lei, la
una casa di prostituzione. Ma, cosa mirabile!
Tarsia ha la virtù di sapersi mantener casta
e illibata anco in mezzo alla corrutela : ed
anzi col racconto delle sue sventure,
tere in
mostra
il
senno
e la
e col
trina di cui è fornita, si procaccia
pianto, V ammirazione e
si
il
met-
straordinaria dotil
com-
rispetto di quanti le
avvicinano. In questo mentre Apollonio
ri-
torna agli amici StrangiUione e Dionisia per
rivedere la
ceve
il
figlia.
E qui
una nuova
trafitta ri-
suo cuore, udendo da loro, die Tarsia
era morta: e tale veramente la credevano, avendolo
ad
rtcato
essi
dato ad intendere
d' ucciderla.
Sienle
il
servo inca-
dunque più resta
XI
su questa terra al misero Apollonio, che inconsolabile
monta
di
nuovo in nave, ove
si
asconde nella sentina, proponendosi di finirvi
mai più vedere la luce.
ha messo bastantemente alla prova
suoi giorni senza
i
Ma
il
cielo
la virtù di lui e dei suoi
il
Apollonio in
quillità.
viene prima la
e cosi queste
state
bersaglio
il
riunite, e possono
tentezza
tran-
e
consorte
la
;
dopo essere
virtuose,
della fortuna,
veggono
si
condurre la vita nella con-
nella letizia
e
è la tela del
pace
prodigioso rin-
poscia
anime
tre
trovi
modo
figlia,
tempo che
è ornai
:
animo travagliato
loro
breve,
Questa, in
.
romanzo, che
se
come lavoro
let-
non va esente dai difetti del tempo in
cui fu scritto, pur mi pare che debba riuscire
terario
di gradevole lettura, poiché nella sua sempli-
non manca
cità
d'artifizio e di effetto
matico, avendo saputo
lo scrittore
la curiosità dei lettori con
menti di scena. Chiara n
V uomo non de^ perdersi
graziosi cambia-
è poi
d'
la moralità
alle
zioni che travagliano la vita: fra
seduzioni di
un mondo
combattere con fortezza
tardi
il ciclo
derdonare
La
i
;
tribola-
i
pericoli
corrotto
debbesi
avvegnaché o
sappia punire
:
animo né dispe-
rare in mezzo alle sventure ed
e le
drcm-
tener desta
i
tosto o
malvagi,
e gui-
virtuosi.
Storia d' Apollonio fu scritta originaria-
mente da greca penna,
sciamo che per
le
ma
noi
non
la cono-
che ne
molteplici versioni
sono stale fatte; essendosi perduto (e coni è
più probabile irreparabilmente ) il testo primitivo. Né punto è da meravigliarsi che cotal
sorte
abbia incontralo qucsC opera, perocché
chiunque sia mediocremente erudito sa benissimo, che uguale
innanzi
all'
l'
hanno avuta
altre
amiche
invenzione della stampa. Cosi uno
dei nostri sacri libri, vale a dire
Vangelo
il
di 5. Matteo, fu dettato in ebraico; eppure
conosce che per
si
ma
le
non
traduzioni fattene, pri-
in greco, poi in latino
e
nelle altre lin-
gue. In greco Eusebio compilò la sua cronaca,
della quale, salvo pochi frammenti, è giunta
a noi soltanto la versione latina di S. Giro-
Erma
lamo. In greco ugualmente scrisse S.
famoso
è
libro del Pastore; e di questo del
andato smarrito
il
il
pari
testo originale, e si è
con-
E
qui,
servata unicamente la versione latina.
per non abbondare di soverchio con esempj,
un
altro solo ne recherò di scrittura
tica,
meno an-
suggeritomi da uno dei codici sul quale
ho condotta la presente edizione. In
questo
codice (che farò poi meglio conoscere), fra
altre scritture che vi si leggono, tiene
posto
il
celebre
romanzo
della
il
le
primo
Tavola Ritonda
elcgan (emente voltato nella nostra lingua del
miglior tempo,
Or
bene,
si
sa che quel
romanzo
mi
scritto
fu
da prima in francese; ma, per quanto
trovo dagli altri ripetuto, dee dirsi, che
sto originale or
più non
si
te-
il
trova.
Che poi la Storia di Apollonio sia opera di
greco scrittore ce
quasi
lo
concordemente
ripetono
tutti gli eruditi,
cominciando dal Vel-
sero e dal Fabricio, e venendo fino al
Lapaume,
ellenista francese
guenza r
quale in conse-
il
volume degli
inseri nel
erotici greci
E
publicalo in Parigi dal Didot.
luoghi ove
del
romanzo,
nomi
i
prendono parte,
a
dei personaggi
che vi
i
si
costumi che vi
ce
renderà meglio
egli
non accorgersi
chizzare che vi
si
osservato dal
e
all'
si ha
non poten-
del frequentissimo gre-
Bene a proposito fu
Velsero nella prefazione
ciò
ante-
Apollonio latino che messe in luce;
meglio anche dal Lapaume,
averlo posto in chiaro
tnesso alla edizione
ta, vi
;
fa nei vocaboli, nelle locu-
zioni e nella sintassi.
posta
ma-
faccia a leggerlo come
si
divulgato in guest' ultimo idioma
do
si
ne rivela V ori^
ben versato nelle due lingue gre-
chi,
ca e latina,
azioni
somma
gine greca. Il che poi
i
le
gli usi e
dipingono, tutto in
nifesto
di vero
veggono rappresentate
si
moderno
parigina
aggiunse di più
il
quale dopo
ncW Avvertimento
un
pre-
rammentadi voci e ma-
testé
elenco
niere di dire che si trovano in detto testo lalino,
non proprie di quel linguaggio,
ma
tol-
XIV
te
di pianta dal greco,
come viene dimostrato
dalle corrispondenti voci e maniere greclic che
vi ha posto a fronte. Che se uopo /osse d'afforza-
re con altri gli accennali argomenti posti in campii
dagli eruditi,
potrebbe anche
si
riflettere
romanzo predominano
che mentre nel
idee ed
dato
espressioni affatto gentilesche, dal che è
inferire essere opera di penna pagana, in pari
tempo, come leggesi nel
testo latino
divul-
gato, vi se ne trovano frammiste alcune
prò-
prie soltanto della religione cri sliana. Cosi, per
esempio. Tarsia nelle sue invocazioni volgesi
supplichevole,
guando a
quando
al Signore
Ugualmente vi
si
(Domino),
Signore (vivo Deo).
G. C. nostro
ad Apollonio dopo il
apparve in visione un
dice che
ritrovamento della
Angelo (Angelus),
figlia
il
quale gli suggerì quello
che doveva fare. In altro luogo lo slesso Apollonio,
dopo aver ritrovato anche
rende grazia
lissimus).
all'
Altissimo
(
Le quali espressioni
affatto agli scrittori etnici,
latino, che è
il
ed anzi ripugnano
Se dunque nel
testo
oltre ve-
locazioni convenienti a
pu-
greco e non a latino scrittore, vi troviamo
re
qualche voce
tilesche che vi
e
ed
erano ignote
più antico rimastoci,
derci costumi, nomi,
ne
Al-
o formole,
altre simili che vi s incontrano,
al loro sistema religioso.
la moglie,
benedictus
idea cristiana fra
campeggiano, per
le
le
gen-
regole
di
XV
buona
stanti
abbiamo argomenti più
critica
da
inferirne, che
fu per patria,
cui lo
avemmo
rare che
e che
il
il
l'
diverso a quello
da potere assevee pagano,
una versione fatta
in latino, e
primo
testo
da uomo
romanzo
da
autore del
l'
costumi
e
ba-
clic
scrittore
rim'AStoci è
cristiano, che
fu greco
non potè
astenersi dal-
introdurvi alcun che di conforme alle idee di
cui era imbevuto.
le
La qual
cosa è quasi inevitabi-
anche oggi nel voltare da lingua a lingua,
ma
più di frequente
si
rende osservabile negli
antichi, che per ordinario
fatto addottrinati
za guardar tanto per
(1)
dell*
Confermano quello che dico
esempio
si
le feste
varie versioni
le
mano
in
moderne, nelle quali
sempre più spiccanti
tino
la sottile (i).
Apollonio di Tiro che di
fatte nelle lingue
d*
non essendo gran
traducevano alla buona sen-
mano
si
allerazioni. Per
siffatte
furoa
scorgono
modo
del Dio Nettuno, che nel testo la-
chiamano Neptunalia^
rizzatore italiano rese
ipei
si
vedranno dal Volga-
Pasqua,
ineiìlve
Traduttore francese publicato dal Biunet
l'antico
le
chiama
Fesles natalices. Cosi pure Archistrata moglie d'Apollonio
si
rifugia
nel tempio di Diana; e
garizzatore prese probabilmente questa
che venerabile insliiuliice
la
di
il
nostro Vol-
Dea per qual-
monache, iniioducendo
detta Archistrata nel monastero della Diana^ dove
perfino
la
fa
dovenlare Abbadessa
!
ITI
Se con una probabilità che quasi può chtn"
marsi certezza riesce detetìninarc la patria
la religione del nostro romanziere
;
e
può an-
si
che a/fermare con assai verosomiglianza aver
V
esso vissuto nel secolo I
quel torno:
in
dallo
stile,
e
lo
da
in fuori niente
e
era cristiana o
desumono
Ma da
indizj.
altri
resta a dire
altro
questo
intorno a
non indegno di sedere con
questo scrittore,
doro
dell'
che gli eruditi
con Longo, che ignorasi chi
Conseguentemente
stimo
io
da
sia
si
Eliofosse.
rigettarsi
la congettura di taluno, che cioè possa essere
un
d'una rac^
certo Simposio, preteso autore
enigmi
colla di cento
:
congettura che riposa
sulla semplice circostanza di vedersi riportati
alcuni
di quelli enigmi per entro alla Sto-
ria d' Apollonio.
sembrami del
ci
assicura che
que
lino,
e'
si
l'
fosse,
non ve
E
di vero si/fatto
tutto inconcludente
li
:
autore del romanzo, chiun-
ovvero
chi lo
voltò
non
dal raccoglitore degli enigmi
Ma
?
più autorevoli
critici
l'
la--
siasi fatto
vi è di più.
poi egli vero che siavi stato questo
sio ? I
in
da quella
mettesse traendoli
raccolta; o che vice versa ciò
E
indizio
poiché chi
Simpo-
impugnano,
sti-
tnandalo un autore immaginario; e credono, che
Simposio sia piuttosto
il
nome
ossia
/'
intitola"
zione della raccolta dei cento enigmi, la quale
XTII
attribuiscono a Lattanzio (4), scrittore cristia-
no, conosciutissimo per
rità
tore
non saprei come
a
è
ììiia
potesse dimostrare au-
nessuno in
dell'Apollonio; e
quanto
sue opere, che in ve-
le
si
notizia^ V
per
fatti,
ha mai né maìico
supposto.
Se ho detto che V originale greco della Sto^
ria d'Apollonio
può
tenersi perduto,
non
è
però
a credersi che manchi a quella lingua. Come
più nota citerò in prima una versione in versi
politici greci, fatta siUlo scorcio del secolo
da Costantino
alle
Cretese, che più volte
stampe nei seguenti
secoli -X VI e
XY
fu data
XVII
(2).
rammentarsi altra versione
Inoltre è anche a
assai più antica, ugualmente in l'ersi politici,^
della quale, secondo che
citato
Lapamne,non
quanto dice
(») Veggasi
Heumann
che fece
Anuover
anche altre
enigmi
volte, o
dei poeti latini
ali*
1722, e
la
Collezione pesarese
e
furono publicati
separatamente, o nelle collezioni
hanno
tradotti
liana da Iacopo Castiglione, che gli
il
Augusto
fde Lactantio J^
di cui è parola
e si
*,
di già
il
edizione del Simposio
VoJ. 5^ a pag. II
dei poeti latini,
a pag. 32. Gli
il
avverte
in proposito Crist.
nelta prefazione
in
tie
sono salvati che pochi
si
in
rima
publicò in
ita-
Huma
1604.
(2) Veggasi
il
Manuel da
quinta impressione in corso
Apollonius N.®
libraire òeMìrunel^ nella
di
stampa,
alt'
articolo
3.
b
frammenli,
A
shniglianza
di questa, nel
je-
colo XIII, Goffredo da Viterbo ne fece una ri-
duzione in rozzi versi
seri nella
politici latini, che in^
sua opera conosciuta
nome
col
di
Pantheon.
Ed
eccomi cosi condotto a parlare delle ver-
sioni latine; e dico versioni perchè,
anco senza
tener conto di quella sopra rammentata di Gof*
fredo da Viterbo, vi è ragione di credere che
più d'una ne sia stata fatta in questa lingua.
Ciò
si
accenna, sebbene non tanto chiaramente,
dal Fabricio,
lib.
si
quale nella Biblioteca
il
5, cap. 6, n. 42,
esprime:
locis
greca,
parlando dell'Apollonio, cosi
Eandem narrationem,
ab impressa discrepantem
sed multis in
habiiit
mannscri-
plam Theodorus Canterus, ut testatus estlit^ris
ad Joannem Meursium. L'afferma poi in modo
certo Paolo Maria Paciaudi nell'erudita dissertazione De
libi'is
eroticis antiquoruin, che tro"
vasi nella edizione bodoniana di bongo sofista
dell'anno 4786, ed anco stampata separata^
mente
in
Lipsia
stenza di pili
4803,
il
testi
latini
Posta cosi V esidell'
Apollonio fra
loro affatto differenti, vedesi che si
ha
il
più
si-*
curo argomento della loro derivazione da una
lingua diversa,
E
se
poco sopra, quando
io
procurava dimostrarlo, mi sono astenuto dal
'mettere in
campo
siffatto
argomento sopra ogni
altro concludenlissimo, è stato perchè
non ho
XIX
da me
potuto
accertarmi di quanto as-
stesso
serisce quel dotto scrittore.
a stampa,
rj testi
d' esaminare,
tali
spesso
s'
vero che nei va-
altresì che
mi
incontrano
non
che fra loro più
è vero
È
quali soltanto
i
riconoscono
si
altre parti
in
è riuscito
differenze
;
ma
combinano
parola per parola, cosicché non saprei persua-
dermi che
verse
suddetti
i
testi
sieno traduzioni di-
ed opinerei che essendo
;
stati
esemplati
sopra manoscritti difformi, quelle varianti deb-
bano
attribuirsi piuttosto ai menanti,
è noto
re, aggiungere, e
molto
i
come avessero spesso in uso di
pili facile
potar issimo come
quali
toglie-
cambiare a capriccio: cosa
ad accadere
il
in
un
po~
libro
nostro, del quale si molti-
plicarono grandemente
tre
le copie. Pertanto mennon intendo d'impugnare menomamente
V asserzione del Paciaudi,
che per ogni rispetto
scrittore autorevole,
merita piena credenza,
non avendo potuto però esaminare uè confrontare la lezione dei codici che sono sparsi per
le biblioteche
d'Europa, né per conseguenza
non
verificare in che consistano le discrepanze,
ho voliUo farmi forte su
vedutOy
l'
ma
ciò
che io non ho
intendo riferirmi interamente
al-
autorità di quel reputatissimo critico.
Dovendo
io
dunque parlare
soltanto
della
traduzione latina che conosco, cioè della volgata, dirò
innanzi
tratto
ohe
vano sarebbe
XX
l'
impegnarsi a ricercare di chi sia epera; poi-
ché come dell'autore primitivo, cosi non
ri~
ci è
masta veruna notizia neppure del traduttore.
È
vero che il Lapanme, nella prefazione alla
rammentata stampa dell'Apollonio, ])ropen^
derebbe a credere esser lavoro d'un monaco,
deducendvlo da alcune espressioni che
le
ad
quali, più che
ad un
cenobita
gono negli
:
ma
altri testi
vi trovò,
possono convenire
altri,
espressioni non si legda me veduti; di guisa
tali
che può solo inferirsene che quello di cui
il
prefato editore fu copiato da
si
valse
un monaco,
e
può asseverarsi con
ììiente di più. Ciò solo che
assai probabilità di accostarci al vero è
che
la traduzione in discorso sia stuta fatta verso
il
secolo
V, e cosi
poco dopo la compilazione
dell' originale greco,
come
ce lo dimostra
il
sa-
pore della lingua propria di quel tempo di de-
cadenza del romano
Questa traduzione
eloquio.
poi,
dopo
andata
essere
attorno manoscritta per tutta Europa, fu
delle scritture
una
con più frequenza stampate nei
E
qui non
voglio
lasciare di osservar cosa che
in certo
modo
reca maraviglia, cioè che a quasi
primi tempi dell'arte tipografica.
lutti gli
i quali ne hanno discorso, fra cui sono
da nominarsi principe /mente il Fahricio, il
eruditi,
Vossio,
fino al
il
Velscro,
V Araldo,
moderno Lapaumc,
è
il
Quadrio,
e
sfuggilo, che
per
la
XXI
traduzione di cui si parla trovasi inserita nel
libro conosciut/ssimo portante
il
titolo
di Gesta
ilomanorum. Questa celebre raccolta di racconti moralizzati, in parte favolosi,
così fattamente alterali die piii
ed in parte
non
ravvi-
si
fa pure una deUe opere di maggiore lettura nel medio evo; della quale bene
sano per
veri,
a ragione dice
il
Brwiet che
vogue
la
fut eu-
(I). E quantunque la compilazione
medesima per il sentimejito dei migliori
critici non possa retrotrarsi al di là del se-
l'opéenne
della
colo
XIV,
meno
e così sia assai
antica
della
Storia d' Apollonio, pure avvenne che, nel moltiplicarsene le copie,
i
menanti, seguendo loro
usanza, cominciarono a farvi diversi cambiamenti, specialmeìUe
coli'
conti che allora erano
cercati,
e
così
introdurvi altri rac-
maggiormente
v'inserirono anche
d' Apollonio. Pion
sarà qui inutile
il
letti
la
e ri-
Storia
notare, che
colali intrusioni e aggiunte fatte alle Gesta, oltr' essere
opera di più
e diverse
nione d'un critico reputato,
minciano che dal cap. é33,
(1) Nella introduzione
ali*
francese delle Gesta, che ha
lo
e
mani, per l'opi-
Schmidl, non co-
non sono più anti-
aulico
per
Volgarizzamento
titolo
hisloires romaines_, da esso riprodotto in
1858
in
un volume dell'elegante
tipi elzeviiiani.
Fiolier des
Parigi nel
raccolta fatta
coi
IXII
che del 4448. Cosi
che
i
numero
loro
il
paesi in cui
e
sì
spiega perchè
coniengoìio nei varj
si
secondo
diversifichi
i
racconti
i
Gcsla, e
testi delle
testi stessi
furono
perchè conseguentetnente non in
i
tempi
e
trascritti,
legga
tutti si
nostro romanzo.
il
La
Storia d'Apollonio avendo dunque
co^
mine iato a comparire nella collezione delle
Gesta, credo non essermi male apposto dicendo,
che fu
una
delle
opere più
divulgate per
le
stampe nei primi tempi in cui venne introdotta
V
prima edi^
arie tipografica. Si tiene che la
zione delle Costa in latino sia slata fatta nel
4472 (4),
fu seguila da non meno di
e
tre diciotto, tutte nello stesso secolo
quentissime
nella
tanto
si
ripeterono
le
XV
prima metà del secolo seguente. Ma ini popoli d' Europa si trasformavano
si
;
cadevano quasi da per
za, restando, come antico
to
e fre-
ristampe eziandio
era chiusa la grand' epoca mcdioevale,
sta
;
al-
tutto in
e le
Ge-
dimentican-
monumento, soltan-
testimonianza di tempi e costumi che già
furono. Quindi, per trovare una ìiuova edizione
del
lesto
originale,
circa tre secoli, e
in cui
conviene
venire ai nostri
essendosi spinti
con maggiore
(1) Vedasi la citata introduzione del
lier deshist.
rom., pag.
\
XXI J.
varcare
giorni
;
ardore
Biunel
al
riO'
xxni
gli
sludj storici dell' età di mezzo,
di disseppellire
documenti
i
La moderna
partengono.
si è
lettor nrj
cercato
che
edizione di
le
cui
apin-
tendo parlare è quella di Stutgarda del 4842,
diligentemente
dove
nostro
il
Se
curata da Adalberto Keller,
romanzo forma il capitolo i53.
col moltiplicarsi le impressioni delle Gesta
Storia d'Apollonio potè gran-
testo latino della
il
demente divulgarsi, per questo non
stamparlo
grafo
Jlain
nota, che or
secolo
Non
di
biblio-^
notizia di una
XV, senza veruna
(4) ci ita dato
edizione fattane
net (2).
si lasciò
separatamente. L' accurato
si
nel secolo
vede registrata anco dal Bru-
è poi
qualche
appena appena
improbabile che nello stesso
altra ne
è
nota
sia
slata fatta;
sopra
quella
ma
ricor-
data, che era sfuggita alle diligenze di quasi
tutti
i
bibliografi, e della quale si conosce
un
solo esemplare che si conserva nella biblioteca
imperiale di Vienna,
^è recherà maraviglia
estrema rarità di questo libro se
un
che
di fu
grandemente
consideri,
letto, e se
ne dovet-
per conseguenza consumare
tero
la
si
e disperdere
gli
esemplari. Al Velsero rimase ignoto, ed ho
di
già avvertito, che
neppur
(1) Vedi Repertor. bibliograph. n,
(2)
Nel più volle citato Manuel
sotto Jpollonius^ n. 2.
s'
accorse
che
1293.
ce.
,
edizione 5.a
la Storia iV Apollonio leggesi
Gesta
nelle
;
il
perchè, avendola trovata manoscritta nel monastero dei SS. Udalrico ed Afra
sta, la diede ivi alle
come un curioso
Augu-
di
stampe nell'anno
e interessante
le
opere scritte da quelV erudito, o da
esso illustrale e
Imne
le fé
publicate, e
lonio.
tutte
in
un
vo-
stampare in Norimberga nel 4692:
pure a pag. 684
ivi
ine-
Araldo
dito dell' antichità. Inseguito Cristoforo
raccolse
4595,
documento
Veramente
e seguenti si contiene
il
testo
l'
Apol-
publicato dal Velsero
è migliore di quello, che ci
offrono
le
prece-
denti edizioni delle Gesta che ho potuto vedere
ma
era riserbato al
Lapaume
di ridurlo
:
ad
una lezione veramente corretta. Esso valendosi
di un codice della biblioteca imperiale di Parigi ne curò la impressione, inserendolo
a pag.
604 e seguenti del volume degli erotici greci
publicato da Didot, che ho avuto già occasio-
ne di citare
:
per quanto so, noìi
e,
novamente divulgato per
le
Se or volessi tener minuto conto
teplici versioni,
per
le
un
dopo
delle mol^
che nei diversi tempi ne sono
siate fatte nelle lingue
tesserne
si è
stampe.
moderne
d'
Europa, e
esatta bibliografia, troppo
lunghe, ed in oltre
lavoro nel quale
non
mi
andrei
sottoporrei a
riuscirei
a bene per
un
la
iìnpos sibilila di conoscerle tutte: mollo più che
deve credersi esserv&ne alcune che giacciono
XXV
tuttavìa nascoste nei monoscritti.
Quindi altro
non farò che dare brevi cenni soltanto delle
più notCy collo scopo che rimanga meglio dimostrato ciò che da principio ho asserito, vale
romanzo d'Apollonio ebbe già grandissima voga presso tutti i popoli d' Europa ;
a dire che
il
riserbandomi in ultimo di parlare un poco più
dislesamente di quelle che possediamo nel nostro gentile idioma.
I Francesi hanno un antico volgarizzamento
delle Gesta (1) che,
dopo essere andato attorno
manoscritto, fu impresso
volte tra
il
i5^i
e
il
non meno
di quattro
^529. Questo venne
mo-
dernamente ristampato dal Brunet, come ho
già detto, in
un volume della biblioteca elzeuna erudita prefazione
viriana, col corredo di
e di note, l'una e le altre pregevoli in specie
per la parte bibliografica. La Storia
lonio
non
rizzamento delle Gesta, ove occupa
CXXV, ma fu più
(»)
Von
va confusa
un'altra portante
che
è
la
latin par
d'
solo si legge nelU accennato
seguente
volte tradotta
1'
Les
Gestcs
Robtri Guaguin.^ e
ma
capitolo
anche sepa-
opera di cui parlo
lo stesso titolo,
:
il
Apolvolga-
aff,itto
qui eoo
diveisa,
Roniaines trad.
che venne più
impressa io Parigi nel secolo XVI
;
du
volte
poiché questa ul-
tima altro con è che uua riduzione della terza deca
di
Tito Livio.
IXVI
ratamente.
La più
antica di tali traduzioni, che
sia conosciuta f è quella stampata in Ginevra
dal Garbin in forma di
A
4.°,
senza nota d'anno,
La chroiiique d'ApolIin
col titolo
un
questa tien dietro
roi
de Tyr.
altra d' Egidio Corozet,
della quale trovo ricordate due edizioni di
Pa-
XVI, senza data. Viene per idtima quella fatta da Antonio Le Brun sul-
rigi, del secolo
V incominciare del
secolo passato, e che vide la
luce in Parigi e in
Roterdam
nel Ì7i0, e no-
vamente in Parigi nel i797.
Anche
nella lingua
lonio, tanto in
una
fiamminga trovasi l'Apolversione delle Gesta più
XV, quanto in due separate traduzioni; l' una publicata in Delfi
il U93, V altra in Amsterdam il 4662 : della
prima non si conosce l' autore, V altra fu eseguita da D. Lingelbach.
volte impressa nel secolo
Alla Francia ed alla Fiandra va per avventura innanzi la Germania pel numero delle
traduzioni e delle stampe. Infatti
tate in quella lingua con
renze
si
le
Gesta vol-
notabilissime diffe-
publicarono prima in Augusta nel
4498, quindi a Strasburgo nel 4538 (4). Inoltre
il
Keller poco
prima
testo latino, vale
(1) Vedi
lier des
il
liìst.
di metterne alla luce
il
a dire neW anno 4844, ne pu-
Brunet nella
roin. pag.
citata introduzione al K/o-
XXXI
e XXXIL.
XXYII
da un co-
blicava un' antica versione traila
dice di
G.
I.
Monaco;
Th. Gr aesse
stampe
alle
tutte le
l'anno seguente
e
un
Non avendo
.
il
Dottore
pure ne metteva
altra
potuto
accennate traduzioni,
le
esaminare
quali diversi-
ficano fra loro anche per essere state fatte
sopra compilazioni contenenti quale più quale
meno
racconti,
non posso accertare
che,
come
in quella di Keller, cosi nelle altre ugualmente
legga la Storia d' Apollonio
si
non improbabile,
È
XV, cominciando
dall'
;
cosa peraltro
poi certo che
anno ii7i,
nel secolo
si
publicò
voltata separatamente in quella lingua per lo
quando in Augsburgo, e quando
una diversa traduzione sì
impresse per Hannsen Froshauer negli anni
Ì5i6 e d52é, la quale si ristampò da altri pa-
meno sei
Ulma
volte,
in
(i) ; e che
recchie volte
:
e che finalmente
desco moderno
in Berlino
kespeare
;
il
si legge
i83i col
titolo
voi. 2, dalla
Osserva giustamente
bro
delle
Gesta
un
altra in te-
nelV opera publicata
Quellon des Scha-
pag. ^07 a 268.
il
seguitò
Brunet (2) che
a
godere
il
il
li-
favore
popolare in Inghilterra anche quando altrove
era caduto in dimenticanza
:
il
perchè, comin-
ciando dai primi anni del secolo XVI,
si
con-
(1) Vedi rilaio neir op. cit., n.® 1291 e segg.
(2) Inlroduz. ai
noi. dts
hist.
rom. pag. XXXI,
XXVIII
tiniiò
a stampare non inlerrottamente IradoUo
in inglese fin oltre la metà del passato secolo
per uso del popolo. La quale cosa facibncnte
si
spiega ponendo mente alla natura di quegli
Isolani, tenacissimi nelle loro antiche tradizioni
e
costumanze.
Ma
essendomi
io
di
prefisso
parlare delle Gesta solo in quanto vi
si
contiene
la Storia d' Apollonio, reputo inutile di occu-
parmi intorno
ai volgarizzamenti che ne
vulgata appo loro, che
distingue col
si
di anglo-latina, sebbene per
l'
nome
orditura possa
a poco uguale alla nostra, pure
dirsi presso
se
hanno
poiché la compilazione che n è di-
gì' Inglesi;
ne scosta assai per essere
i
racconti
vi 8i contegono quasi affatto diversi
;
che
e ciò che
più importa per noi, vi manca quello di Apollonio di Tiro. Unicamente^ per quanto io so,
dee farsi una eccezione rispetto alla traduzione
messa in luce da Carlo Suan nel
delle Gesta
é824 in due volumi,
a pag. 232
Hanno
poi
e
leggendosi V Apollonio
ivi
gli Inglesi
diverse
sola Storia d' Apollonio.
Una
opera di Roberto Copland,
in
Londra da
Wynkyn
altra è slata fatta
Thorpe,
V anno
e
secondo volume.
seguenti del
de
e
versioni
del secolo
della
XVI
è
venne stampata
Worde
il
i528.
Un
modernamente da Beniamino
fu del pari impressa in Londra nelMa molto prima, vale a dire fino
4834.
nel secolo
XI V, Gower
l'
avea voltata nei suo
idioma, rìducendola in versi. Questa versione,
nome di Confessio amantis, ha
rinomanza perchè ispir ovvisi
avuto
il gran Schakespeare. E qui mi è accaduto di
coìiosciiita col
qualche
notar cosa che ridonda a grande
nostro
romanzo,
mostra quanto
e
onore del
ineriti cV es~
ser tenuta in pregio. Potrei, se volessi, tessere
un lunghissimo catalogo
tori , che
di poeti e di altri au-
dai tempi antichi venendo ai moderni,
imitando, o in altro
modo
narrazione delle interessanti
venture d'Apollonio:
ma
Ed
in vero
tri
non
che,
dì
forze
commoventi av-
il
per
aver
tutti
quale non isde-
dell* altissimo
ingegno.
suo Pericle, cambiato nome, al-
il
che Apollonio; e tutta la
è
dramma
le
e
basti
nominato quei sommo tragico,
gnò esercitarvi
giovaronsi della
stessissima
è la
come ho già
Gower; ed
detto,
Storia
tela
del
d' Apollonio,
conobbe dalla tradazione
medesimo
lo
manifesta nel
prologo, ove appunto introduce
Gower a par-
egli
lare.
Non
trovo che gli Spagnoli posseggano ve-
rnila versione dell' intera raccolta delle Gesta.
Hanno però
il
libro del
de su cortesia, che
è
buen rey Apollonio y
una traslazione in
versi
della Storia di cui parlo, fatta lina nel secolo
XIII, la quale è stata rijmblicata dal Sanchez
nella
CoUeccion de poesias ca^tellanas impressa
in Parigi
il
1843, ove Icggcsi apag.
1)3 ^ e se-
yuenli. In olire la slessa Storia volta la in Un*
§ua spagìiola fu data fuori anche da Giovanni Timonella
Mi
aslciKjo dal parlare dei volgar ut, amenti
hanno in danese^
che se ne
svedese,
in
in ungherese, in
boemo, perchè circa
dall' esistenza
tizia.
nelle sue PalraiiJJS.
in
fuori,
i
medesimi,
non ho veruna no^
In conseguenza riportandomene al più
volle citato lìruìiel (4), passerò piuttosto
a dir
qualche cosa di quelli italiani.
Come
A
Spagna cosi l' Italia, per quanto è
non possedè traduzioni del li"
Gesta; ma non meno di tre ne ho
la
ììùa notizia,
Oro delle
potuto conoscere della sola
due
ìlio:
Storia d' Apollo^
delle quali in prosa, l'altra
tava rima.
Ambedue
in
senza duhbio nella prima metà
tate
ot"
quelle di prosa sono dct^
del se-
XI V; e crederei che anco la riduzione in
ottava- rima dovesse collocarsi fra le scrittU"
colo
re
dello stesso secolo,
ma
più verso la
fine.
Anzi aderisco pienamente air opinione d'alcuni
eruditi, che l'attribuiscono
poeta fiorentino che
detta
età, notissimo
(1) Nel
alle
fiori
Manuel
traduzioni
vedere anche
Shakespeare
ili
il
ce.
per
ad Antonio Pucci,
appunto nella sudaltri
simili
Jrdc. Jpollonins
compo-
n. 7.
Iniorno
questa divulgalissimj* Storiasi può
Duuce
II, p;tg.
aell*
Opera llluslraiu ns of
135 e segg.
XXlI
Di
niìnenti.
tutto
stile
non
ciò
rende accorti
solo ci
ma
proprio di quello scrittore ,
medesimo viene a scoprirsi alla
cantare, ove cosi si nomina:
fine del
E come
il
pescatore
E come
si
portò bene Apollonio,
il
lo
egli
primo
pesce coce,
Al vostro onore rimò quest' Antonio.
Del qual modo di rivelare
Antonio Pucci ce ne
neW altra sua
pio
offre
se stesso
E
suddetto
un somigliante esem"
Storia della Regina d'Orien-
un
nella quale cosi finisce
te,
il
ottava
:
chi ne capitò a questo tratto
Al vostro onor Anton Pucci l'ha fatto.
Ed
altro
pure nel poemetto
rante, publicato
dal
intitolato
il
Gismi-
Corazzini nella Miscel-
lanea di cose inedite e rare, che finisce col se-
guente verso
Al vo.ìtro
La nostra
bene
gii
:
onor questo
fé
Antonio Pucci.
Storia ridotta in ottava rima, seb-
adornamenti poetici non la rendano più
pregevole, ed anzi stia per certo al di sotto
dei
volgarizzamenti
in
prosa, pure
gli
-
fé
cadere in dimenticanza, di guisa che non fu-rono giammai divulgati per le stampe; ed
anzi ho ragione di credere che ben raramente
«'
incontrino anco manoscritti.
be essere avvenuto perche
demente
spersero
letti, e
le
un
di
Il
che potreb-
furono gran-
però con facilità se ne di-
copie
;
ma
la
causa pài vera, a
XXXII
mio avviso, vuoisi ricercare neW indole poc^
Uca del nostro popolo,
il
quale assai più vo-
lentieri legge quei racconti che gli
rifu
l'
immaginazione ed
quando
za ed
Ed
affetti,
incolta, che in prosa, sebbene elegante.
è
in questa
vediamo andare allumo molli
più
storie
dispregiale dalle
sono tuttavia
cullCy
a di
guisa che fino
leggende medioevali che,
classi
hanno fégli
trova ridotti in rima, sia pure roz-
gli
in vero
nostri
e
eccitali
la delizia
del
popolo minuto, specialmente della campagna,
il
quale per
idee e pei costumi
le
resta sem-
pre qualche secolo addietro alla gente civile:
cioè
a quella gente che più
denza
e si
si
mette in evi-
mostra sulla scena del mondo, e
per la quale in comegaenza rimangono caratterizzati
ta.
i
tempi e dislinli con varia impron-
Pertanto è a dirsi, che la Storia d'Apollo-
nio finché durò
ad essere un componimento di
ad ogni maniera di persone,
medio evo, quelle istruite po-
piacevole lettura
vale a dire nel
terono
gustarla
nel
testo latino;
perocché la
lingua del Lazio in quel tempo era familiare
ad ognuno
tere.
che avesse qualche tintura di let-
/ volgarizzamenti poi di quel libro fuil
popolo, o, come allora di-
laici^ i
quali conlinudrono è vero
rono destinali per
cevasi, per
i
a leggerlo anco quando fu dimenticato dalle
persone colte; ma tosto che ebbero agio di gu-
XXIIII
starlo in ottava
rima lasciaron da banda
le ri-
duzioni in prosa, che vennero in conseguenza
E che in cotal modo
a disperdersi.
cui
si
quindi se
ne moltiplicassero
della invenzione
va
il
il
poemetto dì
parla fosse grandemente divulgato,
le
copie
e
prima
deWarle tipografica, n"è pro-
trovarlo anche oggi di sovente in anti-
chi manoscritti.
non meno di
E per
parlare solo di Firenze,
tre codici so che se
ne conservano
non ne mancano nella
Magliabechiana e nella Laurenziana. Dopo l'introduzione della stampa poi se ne ripeterono
più e più volte V edizioni, che, come destinate
nella Riccardiana^
e
per uso del popolo, sono andate in gran parte
distrutte e divenute rarissime.
La prima
di tali
impressioni, che sia conosciuta, è del i4S6, e fu
da varie altre fino al 1705, dopo il quale
anno non ne ho veduto ricordata nessun alseguita
tra (4). Il testo
(1) Senza presumere di fare
cennerò qui
le Varie edizioni
cando ove ne ho trovato
sono registrale
dall'
stampe è
diverse
di queste
un
da
esatto catalogo, ac-
me
conosciute, indi-
fatto ricordo
quando non
Hain o dal Brunet.
Istoria d' Apollonio di Tiro in ottava
ne zia, 1486^ in
—
—
1490, in
—
Ivi,
rima. Ve-
4.*»
1489, in 4.°
Bononia_, impressa per Plato de' Benedilli^
4.«»
reformata per Paulo de Taegia ce, stam6
XXXIV
che leggesi nei manoscritli
lo stesso
;
salve pe-
ma-
rò quelle modificazioni e riforme che di
no in mano vi fecero gli editori, per le quali
non solo V opera di Antonio Pucci venne un pòco
ad
ma
alterarsi (i),
divario fra
stampe
le
paia per magistro Cassano
no, 1492, in
talvolta
portano anche
slesse.
de'
Montegatii
ec.
Mila-
4.«>
senza indicazione di luogo ne di stampatore, e senza dataj
ma
del 1500 circa, in
notamente stampato con
Ha, per Bernardino
di
Lessona
4.«*
le figure.
Vene-
Vercellese^ 1520,
4.«>
in
—
1555, in
Ivi,
per Matlio Pagano^ senza indicazione
d'anno, in
—
8.'»
Ivi,
8.**
(Paitoni)
historiato e
no per Valerio
nova mente ristampato. Mila-
Hieronimo
e
fratelli de
Meda,
1
560,
8.*»
in
—
del
Piacenza^ 1610, in
12.° (Catalogo Moliui
1807)
—
—
Venezia, per Pietro Usso, 1620
Firenze,, rincontro
a
S.
( Paitoni).
Apollinari, 1625,
in 4.^
—
Trevi gi
et
tunati, senz'anno,
in 8.« (
di
Appendice
Pistoja, per Pier Antonio For-
ma
del piincipio del sec. XVIII,
3 al Catalogo del librajo Agostini
Firenze del 1859).
—
(1) Per
Lucca, Domenico
Ciuff'eUi, 1705, in 12.°
esempio nelle edizioni che ho potuto cono-
XXXV
Da
quanto sopra ho esposto parmi rimanga
dimostrato abbastanza quello che asserivo
in
principio^ cioè che la Storia d'Apollonio di Ti-
ro fu già uno
tutta
degli scritti più divulgati in
Europa,
e che
ben pochi
vantare di avere avuto
mi
sale popolarità. Perciò
certo
modo vergognosa
altri
grande
si
è
possono
e sì univer-
sembrato cosa in
che in Italia siasi la-
sciata a/fatto in dimenticanza, mentre presso
quasi tutte
le altre
una
quasi direi,
nuova luce
:
nazioni par che sia sorta,
nobile gara per rimetterla a
mi
molto più
e
è
sembrato che sia
disconveniente di rimanere in questo addietro
possediamo dei Volga-
agli stranieri, mentre
rizzamenti per eleganza e purità di dettalo
pregevolissimi
cosicché per
;
noi
Storia
la
d'Apollonio non è a considerarsi soltanto come
un monumento
in qualche
medio
storia del
modo
ma
evo,
attenente alla
eziandio cmne
un
prezioso documento di lingua.
È
per questo che mi son determinato a met-
stampe nel nostro volgare, rivendi-
terla alle
candola
cosi
da un
scere vedesi tolto
del
il
ingiusto oblio.
nome
di
primo cantare, che ho
verso e quello che precede
E
d'
Antonio
dall'
E
nel por-
ultimo verso
riferito a pag. xxxi,
vi si
il
leggono in vece
quale
cos'i
Apollonio ben i hebbe a portare
Al vostro onor
ditto
ho
il
primo cantare.
:
XXIlVI
re in atto
il
mio divisamenlo ho messo da parie
la riduzione in ottava rimajSÌ perchè già im-
pressa più volte, e
si
perchè,
non
ostante la ra»
rità degli esemplari, avrei credulo dovesse riu-
meno gradita dei Volgarizzamenti in
non mai stampati, ed assai più pregeA questi dunque mi sono rivolto, dei
scire
prosa,
voli.
quali,
due sono a me
ed ambo
vertito,
noti,
come ho
di già
av-
conservano in Firenze nella
si
Magliabechiana: l'uno sta in principio del
codice segnato Classe Vili, N. i272
carta 238
tergo a
carta 244
;
l'altro
Palchetto II, N. 68, dalla
nel codice segnato
tergo:
i
quali
manoscritti sono ambedue cartacei e miscella^
nei.
Né
poi sono
stato
lungamente perplesso
nel determinarmi a quale dei
due Volgarizza-
menti dovessi dare la preferenza,
tratto
mi
è
ma
di primo
paruto meritevole di esser prescelto
il
secondo sopra nominato per vari
E
di vero sebbene
il
primo
rispetti.
sia opera sicura-
mente del miglior tempo della nostra lingua,
pure
l'
incognito autore del medesimo (i) qual-
che volta
si
allarga forse di soverchio, a sca-
pilo della vivacità e della efficacia. Arrogi
(1) Sebbene nel Codice
Volgarizzamento
di Tiri eh' è
no
—
,
—
si
legga in fronte a questo
Questo è 7 lèggere
d'
di Puccio Benini e scritto di
tale indicazione
a
parmi non
basti
rare che quel Puccio Beuioi ne fosse
l'
Apollonio
sua ma-
per asseveautore.
xxxvli
che
ciò
il
è scritto
più
sarebbe del
che
,
a gran pena può leggersi;
peggio,
,
di
e
in alcuni
e, quello
che è
ha una lacuna d'un intera carta che
vi è stata lacerata. L' allro
Volgarizzamento
guardando
poi, che ho prescelto, è intero; e
al tempo, è scritto
se
tempo
molto diligente^
ìion
mal concio dall'umidità che
si
tratti
codice
da mano
neppur questo
con
stifficiente correzione.
è letterale,
ma
fatto
invece
con molta larghezza, pure V autore, che è
masto ugualmente incognito,
lungaggini,
ha uno
si
ri-
perde meno in
vivo e brioso,
stile
E
un /m-
guaggio pieno di grazia: cosicché sebbene al-
cuna volta
vi
e altri piccoli
s'
incontrino alcuni idiotismi
colpa per avveìitura
nei,
copista più presto
che
dell'
del
autore, pure non
cede al confronto delle più eleganti scritture di quel secolo. In conferma di quanto di-
co circa
i
pregj del
Volgarizzamento da
preferito basti per tutte la testimonianza d'
filologo autorevolissimo
quanto
dire di Lionardo Salviati,
minato
il
nello stesso codice
altri
me
un
mai, vo'
quale avendolo esa-
Magliabechiano, in
allora presso Giovan Battista Strozzi, ne parla
negli Avvertimenti alla lingua, voi. 1,lib. 2, cap.
12. loi egli,
dopo aver determinato
codice verso
il
4380, pone
il
l'età del
Volgarizzamento
della Storia d' Apollonio fra le Opere scritte
dal
iSW
al 4340.
E
proferendo
il
suo giudi^
xvxvni
zio sulle opere contenute in detto manoscritto,
fra
le
quali tiene
il
primo luogo
il
celebre ro-
manzo intitolato Tavola ritonda, così si esprime: Ed è la detta Tavola (ritonda), e tutti
que* libretti che seguono in quel volume, fuor
solamente
un
picciol
numero
di parole fran-
cesche, d'antico e puro linguaggio, breve e va-
go oltremodo, e
la cucitura delle
parole con
graziosa e semplice maestrìa. // qual
zio però rispetto alla Storia
inteso
giudi'
d' Apollonio
va
con discrezione : e non volendo crede-
re che quel valentuomo cadesse in
un
eviden-
tissimo abbaglio, convien fare ragione ch'ei lo
proferisse sopra tulle le diverse scritture con-
non considerandole ad
una ad una, ma si complessivamente. Conciossiac/iè se non può negarsi die alcuna vi se
tenute nel manoscritto,
ne legga ove trovasi qualche franzesismo, quale
sarebbe la Tavola ritonda
tal difetto
to nel
;
è
ben lungi che co-
apparisca nell'Apollonio che è scrit-
più terso
medesimo può
toscano.
Adunque
se rispetto
come giustissimo
il giudizio del Salviati nella parie che chmmera i pregj delle scritture del codice Strozal
accettarsi
zi, devcsi poi del tutto rifiutare là dove le appunta di qualche parola franzcse ; e coloro che
vorranno leggerlo spero meneranno buono il
inio detto.
In
oltre
il
Volgarizzamento di cui parlo
ri-
XIXIX
ceve
anche pregio
(/nello stesso citato
e
importanza dall'essere
dagli Accademici della Cru-
prima impressione
sca fino dalla
del Vocabo-
lario; e se ne. possono vedere gli esempj alle
parole Chitarra, Gramezza, Quistioneggiare
ed anzi
si
dice Strozzi più volte ricordato, sul
condotta
la presente
persi che
fero alla
(1):
valsero a tal uopo dello stesso co-
edizione.
Accademici
gli
quale è
Ed
a sa-
è
quali presedet-
i
quarta edizione del Vocabolario pre-
sero abbaglio allorché nella Tavola delle ab-
breviature, sp/e(/anc?o l'abbreviatura Stor.Apol.
T\v., dissero che
il
codice Strozzi era passato
nella Riccardiana, laddove invece trovasi nella
Magliabechiana, ove pervenne colla maggior
parte dei mss, Strozziani; il che per altro era stato
già avvertito dall' illustre lessicografo Giusep-
pe Manuzzi nella prima edizione del suo Vocabolario, in
una Contronota posta
alla spiega-
zione dell'accennata abbreviatura.
aggiungersi che, da quanto dissero
È
poi da
i
prefati
Accademici della quarta nella Nota 295, posta
nella citata Tavola
si
all'
abbreviatura Tav.
può credere che neppure
f
e*
(1)
Anche l'esempio
sotto
è poi
Rammeizare,
Vite dei SS. Padriy quantunque vi
quanto alterato, appartiene senza dubbio
d'
Apollonio.
,
prendessero ad
esaminare quel codice, del quale
alle
Rit.
indù-
attribuito
si
legga al-
alla
Storia
IL
non fecero nuovo
bitato che
quanto alla Storia
spoglio^
almeno
ma
ripor-
d' Apollonio,
si
tarono a quello de' loro predecessori.
Coli'
aver prescelto per la presente edizione
Volgarizzamento che sta nel Cod. Strozzi,
il
oggi MagliabechianOy non ho però voluto mcttcre
interamente indietro
/'
altro, che
pure
è
assai pregevole. In conseguenza, dopo V intero
testo di quello,
si
troverà anche
eruditi,
fronture
un saggio
di
debba riuscir grato agli
questo: lo che spero
quali potranno cosi conoscere e con"
i
i
due preziosi
inediti
Volgarizzamen-
di cui parlo.
ti
Se ho insistito ed insisto neW asseverare che
giammai furono stampati Volgarizzamenti in
prosa dell' Apollonio di Tiro, non ignoro che
il
QuadriOy nella Storia e ragione d'ogni poe-
sìa, lib. 2, distinz. i,
sce che in
ti,
in
cap. 3, partic. IV, asseri-
prosa italiana s'impresse dal Giun-
ad un catalogo giuntino. Ma
questa parte non so indurmi ad aggiustar
riferendosi
fede a quello scrittore sebbene slimabiléssimo.
Infatti, se si
esamini
ria di Filippo
da' suoi eredi
conosciuto
Giunti
il
il
i60i, che è quello anche oggi
dai bibliografi, vi
registrata a pag. 337 la
ma
ro
catalogo della libre-
da Firenze, publicato
si
trova è vero
Storia d'Apollonio,
con queste precise parole: Apollonio
8.
Or da
siffatta
magra indicazione
di Ti-
niente
XLI
altro
può cavarsi
non
se
clic
il
lìbrajo Filippo
d' Apollo-
Giunti teneva in vendita la Storia
nio di Tiro nel sesto d'S,^y
ma
rimane
ignoto se fosse in versi o in prosa.
stampata dal detto Giunti
vi si dice che fosse
anzi apparisce
al tutto
Di più non
tutto
il
j,
contrario, vedendosi col-
locata nella serie distinta
dei
impressi
libri
fuori di Firenze; cosicché sia a credersi che
una di quelle edizioni dell' Apollonio in ottava rima date fuori da altro stampatore, e in altra città. Se dunque il Quadrio,
fosse piuttosto
cosa non improbabile, intese riferirsi al suddetto catalogo, convien dire che prese equivoco:
mi conferma il non aver
da verun bibliografo stam-
e in questa opinione
mai veduto
pa
citata
che siasi dell' Apollonio in prosa volgare,
uscito dai lorchj dei Giunti o di altri
que.
Non
qualun-
pertanto anche altri cataloghi giun-
tini
possono esservi stati; ed
die
il
è
anzi a dirsi
Renouard fa noto che erano
stati
ve-
duti alcuni frammenti di cataloghi dei Giunti
di
Venezia
biòliografia
de cui
{\) In
alle
un
(4). Inoltre chi è
punto versato in
non può ignorare le strane vicenvolte vanno soggetti i libri, dei
foglio di
pografi<i Giutitina
supplimenlo
che
plari della ti-rza edizione d(
merle dcs AldeSf hlld
agli
Annali della
trovasi in fine di alcuni
gli
io Parigi
li-
esem-
Annales de l imprir
il
1834.
XLII
quali a
quando a quando ne apparisce alcu-
no che era sconosciulOy o
la cui esistenza ne-
gavasi o mcttevasi in dubbio. In conseguenza
quando a/fermo
zamentif
inediti
suddetti
t
Volgariz-
accetti con circospezione e col do-
si
vuto riserbo
il
lo dico perchè,
mio asserto ; e intendasi che io
dopo aver usata ogni possibile
non mi è riuscito di trovar traccia
mai publicati per le stampe.
Tranne i due ricordati codici magliabcchiani
non ho avuto la sorte di trovarne altri ove
diligenza,
che sieno stati
leggansi
e
i
Volgarizzamenti di cui ragionasi^
però mi è mancata la
comodità di fare
quei confronti che nella publicazion^ di anti-
che scritture tornano sempre grandemente utili.
Anche
è stato di
che
il
testo latino,
da
cui derivano,
mi
poco ajuto, perchè ho già avvertito
non sono
fatti
seguono passo passo
letterabncnte,
il
ma
mentre
sentimento del latino,
quanto alla dicitura o restringono o più di
sovente
allargano
degneranno
.
gettar
Quindi que benevoli che
occhi
gli
sulla
presente
publicazione, spero non vorranno accagionar-
avverrà loro d'abbattersi in qualche passo
ove il discorso sia manchevole o stravolto. Se
mi
se
in tali casi avessi voluto risanare
dovuto farlo a capriccio
:
il testo,
avrei
cosa facile e comoda,
ìha che reputo biasimevole, sebbene altri
an-
che troppo spesso ne abbia dato l'esempio. Pini-
XLIII
tosto che mettere
arbitrariamente la
mano
nel
testo di queste antiche scritture
ho creduto mi-
glior consiglio di avvertirne
difetti,
ho avvisato
alla fine
il
i
ove ne
bisogno, nelle Note che ho posto
con richiamo di numeri; nelle quali ho
procurato di risclùararlo, o recando
latino
il
corrispondente, o come io meglio ho potuto. Sol-
da me sempre avvermi sono permesso qualche piccolo raddrizzamento nel Saggio di volgarizzamento tratto
tanto rarissime volte, e
tite,
dal codice Magliab. Class. VIIJ, N.^
U72,
es-
sendomisi reso quasi indispensabile per essere
il
codice assai difettoso.
Le noterelle che sopra mirano qualche volta
anche a spiegare alcune voci
ovvie:
mi,
ma non
e
locuzioni
meno
ho voluto in questo allargar-
perchè mi sono riserbato a registrare
si
in tur cataloghetto disposto per ordine alfabetico
alcune parole
modi che mi
e
è
venuto
non esser notati nel Vocamanuzziano che ho preso a scorta, o
sono in senso diverso, o mancano degli
fatto di avvertire
bolario
che vi
occorrenti esempi; ^
^^ P^^^
specialmente per-
chè non ho inteso di publicare
un
libro
da
destinarsi per coloro che si avviano allo stu-
dio della lingua,
quali
non
è
ma
grande
soltanto per quelli (dei
il
cano più di proposito
monumenti
nmnero)
all'
che
si
dedi-
investigazione dei
della nostra antica letteratura.
E
XLIV
che tale sia
mio intendimento
il
numero di
lo scarso
dimostra
lo
copie die ne ho fatto stam-
pare.
Ho
seguito l'uso
moderno
nella punteggia-
tura: nel resto ho cercato di ritrarre più che
potevo
videre
ortografia dei manoscritti, salvo
l'
parole allorché vi
le
unite fra loro.
erano
l'
tali
di-
il
stavano malamente
Quando però
le
sregolatezze
che soltanto potevano attribuirsi al-
ignoi'anza o alla sbadataggine dei menanti,
ho lasciato da parte questo rispetto per l'antica ortografia.
Voglio poi avvertire che
Volgarizzamento che
si
dà per
regolarmente secondo l'uso
role, che
nel
pamoderno
intero le
finiscono tronche, veggonsi spessissimo prolun-
un ne;
gate con
là,
fiine
Siffatta
per
dà
il
e così vi si troverà lane
méne per mo, vane per
paragoge non rara
ture, qui
volta,
fu,
si
come
ec.
nelle antiche scrit-
vede freguenlissima
negli
per
va
;
e
qualche
esempj che ho recato,
caso che nella nostra lingua
si
si
hanno
parole di significato affatto diverso, che intere si scrivono appunto cosi.
si
Ora
in questi ca-
ho usato di mettere un segno a guisa d'ac-
cento sulla vocale colla quale dovrebbero finire
le
parole, nel
modo
che vedesi qui sopra
:
non
perchè quel segno debba prendersi come un vero
ma solo come avvertcìiza, onde si conoprima giunta il valore delle parole stesse.
accento,
sea a
Concluderò
col dire, che dalle cure
nel render così
ria
d' Apollonio
adoperate
publlca ragione
di
di
la
Tiro conosco bene
Sto-
che
non ho da aspettarmi né gloria né utile alcuno. Ma non è a questo che io miro: runico
scopo che ho avuto nel togliere dall'oblìo un
libro tenuto già in tanto pregio dai nostri antenatij
zato,
il
quale nel tempo stesso, così volgariz-
ha sede fra
i
testi
di lingua,
é stato
quello di far conoscere che anche noi Italiani
sappiamo apprezzare
gli
antichi
monumenti
E
mi chiamerò assai avventurato se
giungerò ad ottenere il gradimento dell' eletto numero di eoloro che si dedicano allo stu-
letterari.
dio dell' antichità, e che zelano per mantenere in onore
le
grazie originali e ingenue del
nostro nobile idioma.
VOCI E MANIERE
CONTENUTE
IN
DI
DIRE
QUESTO LIBRO, CHE NON
STRANO NEI VOCABOLIRJ,
SI
REGI-
MANCANO DEGLI OP-
PORTUNI ESEMPJ.
N. B.
Il
primo numero indica
trovasi r esempio,
ADIRATO.
Alflitto,
AL NOME
DJ DIO.
l'
ajuto divino
operazione.
il
pagina ove
la
secondo
la linea.
Dolente. 28. i7 e 37. 8.
Formoltt d* invocazione del-
prima
incominciare qualche
d'
8. 20.
ANGOLA. Voc. ant. per àncora, 67.
42.
Dopo poco tcmpo 57. 7.
APPARECCHIATO. Dctto di persona per AdornaA POCO TEMPO APPRESSO.
to.
76. 29.
AVERE AFFARE d'una DONNA. Avcrvi Commercio carnale Si.
/ e 47. 3.
BATTAGLIA. Figuratam. Angoscia, Agitazione
d'animo.
2. 3.
BRANCA E BRANCHE per
i
raffi
delle àncore.
67. i3.
CARRIERA. Scanno, Seggio. 72. 23.
COME. Con quale intendimento. Perchè,
COMUNE. Adiet. Parlando
o5. 9.
5.
iO.
di città vale Libera.
XLVIT
CONTARE PER NOME. Nominare.
64. i7.
.
COSA. Col verbo Essere in alcune forme di par-
prende
lare condizionale
so,
Evento, Accidente;
Se cosa
DA POI
è.
il
Ca-
significato di
come Se
cosa fosse.
28. 57 e 30. 46.
CHE. Giacché.
8.
iO.
Esempio da ag-
giungere.
DISPUTARE. Usato
fomia
ìu
di neut. pass. 65. 9.
DISSUGGELLARE. Lo slcsso cho Dissigìllare. 24.
24. Nei Vocabol.
registra senza esempj.
si
FARE MEGLIO. Menare
vita più
sicura, Stare
Dimorare con più sicurezza. 42. 27.
FARE MERCEDE ad uuo di c/iecchessia. Mostrarsene
obbligato.
Professargliene
gratitudi-
ne. 62. 26.
FARE SENTORE. Fare qualche movimento. Dar
segno di vita. 35. ii.
FARE SERVIGIO. Fare
la meretrice, il. 2.
GAGLIARDO. Vivacc, Gajo.5i.
49.
INORRAT AMENTE. Voc. Ant. Onorcvolmcnte.
W.
43 e 39. 40.
IRA. Dolore, Afflizione. 44. 7 e 62. 24.
LÈGGERE. Sust. Leggenda, Storia. 84.
4.
METTERE A UN PREZZO. Offrire un prezzo rincarando nelle vendite per incanto. 46. 24 e 25.
MUSA. 66.
8.
Esempio da aggiungere
al
§.
3
del Vocab.
NON FARE RAGIONE
siero.
d'
Non ne far
ALCUNO.
Non darsene pen-
conto. 60. 2.
XLVUf
PkROLk» Consentimento, Adesione. 55.
é6.
PREGIARE. Lodare. 60. ^8.
Rj SUGGELLARE.
Suggellare
di nuovo. 24.
40.
Esempio da aggiungere.
RIVOLGERSI. Parlando del tempo per Cambiarsi,
Mutarsi. 43. 47.
RIVOLGERSI
DI
VOLERE.
Cambiare
pare-
di
re 64. 44.
ROMPERE LA VERGINITÀ'. Deflorare, Sverginare. 82. 27.
SAPERE STRANO. Rincrescere. 29. 29.
SICURAMENTE. Lìberamente,
Senza riguardo.
54. 29.
SOLENNITÀ*. Maestria, Eccellenza. 46.
SOMMUOVERE. Invitare. 26.
STUDIATO. Precedulo
dagli
9.
42.
avverbj Bene
o
Male vale Bene complessionato, Robusto, o
vice versa. 38. 8.
SVERGINARE. Togliere la verginità. 53.
8.
Esem-
pio da aggiungere.
TERRA.
//
luogo ove uno è nato. Patria. 49.
4.
e 38. 28.
TORNARE
IN GRAZIA.
Tornare in fortuna. Ri-
mettersi in buono stato. 49. 40.
TRAPESsiMO. Accrescitivo di Pessimo. 85.
VEDov.vTico. Abito
da
lutto. 56. 23.
3.
T
S
r,
A
l
APOLLONIO
D'
TIRO
DI
V
in
A^tjioccia (i)
ebbe
(2)
uno Re,
ebbe no-
eh'
me Antioco; ed ebjbe una moglie, ch'ebbe
nome Parrocchia edebbe una figliuola, eh' eb;
be nome
moglie
si
figliuola
Estasia.
bellissima
lo
E stando uno tempo (3)
la
Ed essendo morta, e (4) la
venne in età di marito. Ed era una
morìo.
femmina e per
;
la
sua bellezza, e per
suo legnaggio molti Signiori e Baroni l'a^i-
mandavano per moglie. Onde
il
vegiendolasi tanto adomandare,
ciò forte a
Ed
innamorare
si
ne. incomin-
di lei di folle
amore.
ogni die crescieva maggiormente l'apiore
di lei
uno
a tanto che (5)
;
camera
della figliuola,
dì
andò
fare.
Re
nella
letto suo,
Rimanendo
(6)
vegendosi cosi corrotta dal padre,
ebbe grande doglia; tanto
si
il
ed entrò nel
e corruppe la sua verginitade.
la figliuola, e
che
Re, suo padre,
E pensando
eh' ella
non sapeva
di volere ciliare
.
1
que-
2
sto peccato, trovossì el letto tutto
di
sangue e per conrunpe/.ione
macdiiuto
E stando
(7).
costei in questa battaglia e vergognia
siero,
venne a
crucciata.
E quando
ella la (8)
incominciò a piangiere. E
E
quello che ella aveva.
voleva
dire;
ma
e pen-
sua balia, e trovolla cosi
lei la
vide la balia,
la balia la
la fanciulla
domandò
no
gliele?
tanto la dimandò, che
ella
gliele disse: lo piango perch'io aggio perduto
in questo
avessi.
E
mio
letto lo più nobile
la bàlia disse
voi questo ?
Ed
:
ella disse
ch'io abbia legittima
si
il
ch'io
dite
eh' anzi
mie Mozze
la bàlia disse
io
Or
:
ardito di dovere (9)
magagniare o corrompere
Re, e non à temuto
Perciò
:
età delle
sono corrotta e sforzata. E
chi è colui eh' è stato
nome
Madonna, perchè
la
figliuola
Re? La donna
dello
rispuoso,
e disse: E' fu lo spietato ch'à fatto questo (IO)!
Or che noi di* a tuo padre? Ed ella disse: Se
tu m* ai bene intesa, io non ò più padre che
nome di padre è morto in me; e perciò che
questo oribile peccato non vegnia in paleso,
io voglio morire, e adomando la morte por
rimedio del mìo dolore. E la bàlia, vogiondo
ciò, molto le ne dolse; ma pensando che '1
;
padre ne poteva fare come
la
incominciò a confortare
glio
ch'ella potea.
di sua cosa (li),
la fanciulla lo
Or avvenne che se
era in prima innamorato della
il
sì
me-
Re
figliuola, anzi
ch'avesse
di lei
come
tamente
al
affare di
lei,
poi ch'ebbe affare di
ne fu vie più innamorato
lei
la
di sua
teneva.
Re pareva
moglie
:
;
e poi ne fecie
e
tuttavia segre-
E stando per uno tempo
far male, che questa sua figliuola
era da marito, ed eragli adomandata da più Ba-
Ed
roni.
ma
non aveva talento
egli
di maritarla
;
per mostrare di volerla maritare, fecie grile sue terre e province,
dare per tutte
leva maritare sua figliuola
:
che vo-
e chi la volesse ve-
nisse a sua corte: e quale gli
saprà isporre
una quistione, eh' egli gli farà, si l' averà per
moglie; e se non la saprà disporre, si gli farà
tagliare la testa
di presente, e
merli della cittade.
E
porre
cotale fue lo
in su
i
bando che
mandare lo Re. Sicché molti Signiori e
Baroni venneno per intendimento (12) d'avere
la figliuola del Re per moglie. E quando la dimandavano, el re Antioco a tutti facieva la
fecie
quistione; e niuno gliele sapeva ispianare; sic-
porre
a*
bando. E
à
ch' a tutti facieva tagliare la testa, e
merli della
questo
modo
città,
com'era
fecie
morire molti buoni e grandi
ito el
Baroni: ed egli tuttavia stava nel peccato colla
figliuola.
Nel reame
città,
di
ch'aveva
questo re Antioco
nome
cipe uno gientile uomo, ch'aveva
lonio
;
si
aveva una
Tirio (i3): ed erane Pren-
nome
Apol-
ed era molto bello giovane e savissimo.
Udendo parlare delle bellezze dì questa figliuola
de Re (14), e 'nteso (15) lo bando che' Re aveva mandato,
pensò d'andare
sì si
Antioccia
in
per avere questa fanciulla per moglie. E fe-
de
suo fornimento; e poi mosse con sua com-
pagnia, e andonne in Antioccia.
E quando
fue dinanzi allo Re,
com'era ve-
nuto a corte per avere
glie.
E
mente
;
il
Re mostrò
disse,
gli
sì
la
di
e'
sua figliuola per moriceverlo
benignia-
e feciegli onore assai, perch' era gran-
dissimo Prencipe, ed era di sua terra; e disse,
che bene
la
quistione. Allora
gli
piaceva, se
per ciò era venuto. Onde
stione, e disse così
gli
sapesse isporre
Apollonio
il
Re
disse, che
gli
gli fecie la
ch'io uso la carne di mia madre. Io
uno
fratello,
guarito di
meno che
figliuolo di
mia moglie, e non
pensò sopra ciò quanto
spuose
al
di', io
allora
il
la
quistione,
parve, e poi
ri-
re Antioco: Voi mi avete proposta
vostra quistione, ed io la
do tu
gli
domando
mia madre,
truovo (i6).
lo
quando ebbe udita
'Apollonio,
qui-
V ò peccato e vergognia,
:
uso
non mentì
v'
Quan-
assolvo così.
carne dì mìa madre, né (i7)
la
:
considera tua
figliuola.
E
re Antioco, vedendo che Apollonio dicieva
^ero, e disponevagli
la quistione,
mostrò pu-
re che dìciesse male, e disse così: Apollonio,
tu non
de
di'
bene
;
e
però che tu
se' così
Prencipe, e giovane, e savio,
sì
ti
granfarò
più vantaggio eh' agli
die
;
voglio
ti
XXX
e però vae, e pensa bene in sulla
qui-
stione. In
se tu la
mia
la
Ora non
altri.
voglio dare termine
fare morire, anzi
capo
ti
di
XXX
me
die tornerai a
;
e,
saprai la quistione isporre, tu averai
per moglie
figliuola
pessi isporre,
la testa a*
sì ti
;
e se ciò
non sa-
farò tagliare la testa, e porre
merli della città; siccome ho fatto
non Tanno saputa sporre.
E Apollonio, vedendo e conosciendo come (18)
il Re gli dicieva queste parole, sì gli rispuose,
a tutti gli altri che
e disse, eh'
al
egli
risponderebbe
termine tornerebbe a
conmiato da
lui,
Tornato che
fu, sì
male, perchè
gli
lui.
tornò a
e
alla quistione, e
E, detto ciò, prese
sua terra.
Tirio
pensò che
aveva detto
lo
Re
voleva
gli
la verità; e
pensò
che co lo Re non potrebbe contastare, se
Re
volesse fare suo
sforzo.
Però
si
pensò
lo
di
pari irsi di sua terra e d' andarne in altre parti.
E
di presente fecie caricare navi di
e di tesoro assai, e di ciò
formento,
che facìeva
di
me-
E quando fue
mare con queste
stiere a così grande Prencipe.
bene
fornito,
sì
si
misse in
sue navi, e vassene via alla ventura dove iddio
lo volesse apportare (19).
d'
Ora lasciamo
di dire
Apollonio che va per mare, e torniamo a
dire del re Antioco.
Da poi che Apollonio fue
partito d'Antioccia
dal Re, e lo re Antioco cominciò a pensare di
6
volere fare morire Apollonio
e facicva questo
;
pensiero: S'io faccio morire Apollonio, io non
troverrò ninno che mi sapia disporre la qui-
non
stione mia; e così terrò la mia figliuola, e
la
mariterò; anzi
mi terrò per me,
la
pensando
via darò bocie di maritarla. E,
chiamò un suo maliscalco, cioè
e tuttaciò,
siniscalco (20),
e dissogli così: Taliarco, io voglio che tu vadi
a Tirio, e fa
che tu uccida Apollonio o per
sì
come
veleno o per ferro o
tanto tesoro che
l'averai fatto,
ti
sì ti
assai.
Ed
fatto,
pensando
pare.
E
togli
Siccome (21)
farò franco, e darotti tesoro
udendo
egli,
ti
basti e più assai.
parregli grande
ciò,
grandezza
la
vedendo quello che
lo
Re
d'
Apollonio.
prometteva,
gli
Ma
dis-
comE quanterra uno
se di farlo bene; e prese quello tesoro e
parve, e andonne a Tiro.
pagni che
gli
do
giunto,
vi
fu
vi
sì
trovò nella
duolo e pianto grandissimo per tutta
E
tutte le botteghe
ni colle
erano serrate; e
barbe grandi per
molto l'amavano per
eh' era in lui.
lore, sì se
d'
suo
Apollonio
senno, e
:
che
bontà
E vedendo Taliarco questo do-
ne maravigliò molto e domandò uno
;
giovane, ch'era
El giovane
r>en veggio
mo, che
lo
uomi-
grande dolore
lo
che aviano (22) della partita
la terra.
gli
la
cagione di quello
piangiendo
che tu
sai la
se'
gli
doloro.
rispuose, e disse:
crudele e malvagio uo-
cagione, e
domandimene. Gr
di
se' tu
s\
poco conoscimento che tu non
perchè questa
sai
pianto? Perciò che
nostro signiore Apollonio, che tornò, non
'1
(23)
città istà in
aparve; anzi se n'è
e
ito,
non sappiamo dove.
Sicché udendo dire lo siniscalco queste parole,
come Apollonio
re
s'
era partito per paura dello
Antioco, funne
molto allegro; e con sua
compagnia
lo
Re
E quando
tornò in Antioccia.
si
vidde,
lo
camera
sì
si
lo
chiamò, e menollo nella
come aveva
E quegli
sua, e domandollo,
fatto
quello perch'agli era andato.
disse:
State allegramente, ch'Apollonio se n'è ito e
fuggito per vostra paura
si
sia ito
quiello
con sue
che
'1
e
;
non
Quando
navi.
siniscalco suo gli
sa dov' egli
si
lo
Re
intese
aveva detto,
gittò
un grande sospiro, e disse:
l'atto
niente se Apollonio non è
1'
sì
òne (24)
morto.
E
di
presente lo fecie isbandeggiare di tutte le sue
mettere
terre; e fecie
menasse vivo
el
bando, che chi lo
darebbe cinquanta
egli gli
d'oro; e chi lo recherà morto
ciento.
E sopra
gni in
mare che
sciamo
di dire di costoro
lonio, e
come
sì
gliene darà
ciò (25) fecie mettere molti lelo
andasseno caendo. Ora
che ciercano
(26) gli
qua ora
d'
la-
Apol-
torniamo a contare d'Apollonio di Tiro
avenne
poi.
Apollonio, quando fue partito di
città, sì
talenti
Tiro sua
andò per mare più e più tempo, ora
lae,
OTe
gli
venti lo portavano, e
come
8
andando
Iddio Io menava. E uno die
molto pensoso, e
egli stava
cosine,
doman-
nave se n'avìdde, e incominciollo a
dare quello eh*
che non
se,
di
E Apollonio
venne maggiore volontà
a lui ne
sapere, e per più volte
ciendo: Tèmi tu
vernare
temo
nave
la
ne domandò, dì-
il
ch'io non sappia bene go-
E Apollonio
?
ma
di cotesto,
temo
care di
me
disse
temo.
d' altro
che tu lo vuogli pure sapere,
dissegli: Io
io te
da poi
dirò; e
'1
per farmi uccidere; ed
non
(28); e
gli
egli è
questo è quello ch'io penso.
nome
dov* ae una cìttadè eh' à
là
credo che
io
:
Allora Apollonio disse
in
Apol-
:
siamo presso a un'aqua dolcie (29),
lonio, noi
di Dio.
di
potrò iscam-
Allora lo nocchiere gli rispose, e disse
dianne
non
lo
:
Ma
dello re Antioco, che fa cier-
sV grande podere ch'io
pare dinanzi
rispuo-
facieva niente (27) a lui a sa-
gli
Onde
perlo.
egli aveva.
ed
governatore della
'1
E
lo
:
Andiamo
;
an-
bene sicuro.
nomo
lao, al
nocchiero della nave
verso Tarsia, e andò
al lido di
Tarsia (30)
vi sarà'
dirizoe
si
giunsono
tanto che
Tarsia fuori della terra. E
quando
fue lae; e Apollonio iscese in terra per ire alla
CÙtade.
nome
s\d
pt;t
Ed
e*
Alanico,
trovò uno
quale
il
vecchio, che aveva
lo salutoe, e disse
:
Beno
venuto Apollonio. E' vegiendosi chiamai^
nóme
fecie
d^ftó: dii' se'
si
til
grande maraviglia, e domau-
che mi conosci? Ed
egli disse:
9
nome Manico;
ò
ì'
e sotti dire che
Re
il
An-
d'
tioco (81) l'aie (32) sbandito di tutte sue terre,
e promìsse, a qualunche gli
cinquanta talenti
dargli
darà morto,
priego che
sì
ti
chi gli
darà cìento. E però
gliene
sappi guardare da
Apollonio intese cioè,
però che sapeva
ciò,
darà vivo, di
ti
oro; e
d'
Quando
lui.
fue molto dolente
e'
Re, egli
ti
Se
talenti
m' avessi appresentato a
tu
averebbe dato ciento
talenti d' oro,
e però te ne voglio dare tanti quanti
resti
da
lui.
E quegli non
molto suo amico, e stava
Ora
E
si
parte da
eh'
aveva
ne (33), che istava
moglie, ch'aveva
dolo
za.
sì
lo
in
nome
alla cittade.
nome
ed aveva una
Tarsia,
Dionisa
.
Sicché trovan-
lo
domandò, quello ch'egli
andava caendo e facciendo; e com'
fatto.
tu
trovoe
si
Istranquilio-
conobbe, e fecionsi grande alegrez-
E Stranquilione
va lasciata
ave-
n'
perchè era
in Tarsia.
andonne
e
lui,
gli volle,
air entrare della cittade di Tarsia
uno suo amico,
di
grande sua potenza.
la
Allora Apollonio gli volle dare ciento
d* oro, e disse:
ti
ti
la patria
E Apollonio
gli
sua, ch'era
ave-
egli
grande
così
rispuose, e disse:
Non
sai
che lo re Antioco m' ane isbandito di tutte
sue terre per farmi morire? Sì
ch'io mi vo
fuggiendo, e sono capitato qui:
ch'io
rei
pregare che
ti
piaciesse
scondiate in questa vostra
sì
ti
vor-
che voi mi na-
cittade, che
il
Re
10
non mi potesse trovare. Istranquilionc, udendo
l'amava, e
ti
molto
ine
cioè,
gli
si
perchè
dolente,
lispuose, e disse: Volentieri
nasconderei, ov'
io potessi
ma
;
dire
a
non
ci
ci à
biada; sicch' ogni gienle
ci
me;
sicché qui non potresti tu istare.
rare, acciò eh'
poteresti
muore di faQuando
Apollonio udì che non
vi
Oh
Dio che mi
dato
rendete grazia a
;
di
du(34) ene grande fame, che non
stare in questa terra, tu
!
molto
aveva biada
sì
disse:
ci à
man-
che se voi mi volete sicurare
in
questa
vostra terra, io vi darò ciento milia islaia di
grano, ch'i' ò nelle mie navi, per quello che
mi costò
mia terra. E quando Istranqui-
nella
lione udì quello (35):
Antioco,
ma
saprà,
ti
e'
Non che
sicurato dal re
credo che, quando
io
sicurerà da tutto
el
el
mondo
popolo
(36). Al-
lora disse Apollonio: Andiamo, e facciamo
gunare
popolo, e
el
vorranno fare
Allora
si
s'
mosse
andaronsene
io
el
ra-.
vederemo quello che mi
darò loro questo formento.
Stranquilione e Apollonio, e
alla piazza.
dinoe col Signore
nare tutto
sì
E Stranquilione
della terra; e
popolo; e
fecie
sali in sulla
sì
or-
ragu-
ringhiera;
e incominciarono (37) a dire a questo popolo
questo
modo:
il
in
Signori, io voglio che voi sap-
piate ch'io sono Apollonio principo di Tirio;
e voe fiiggiendo dinanzi al re Antioco che per
le
sue male opere
e'
mi vuole fare uccide-
Il
re: e sono qui in questa vostra cittade; per-
chè voi dovete
a Dio, che mi
rendere molte grazie
di cioè
à mandato
ci
odo che
eh' io
;
voi avete in questa vostra cittade grande fame,
e
non
salvarmi
co, io
eh'
avete biada. Perciò vi dico che, se
ci
mi volete promettere
voi
darò
vi
guardarmi e
di
ciento milia
istaia
di
grano
ò nelle mie navi, e darollovi per quello
i'
ch'egli
mi costò nelle mie
popolo
di Tarsia udì quello eh'
metteva loro, gridarono
impromettevano
do,
di
questa vostra cittade dal re Antio-
in
s*
di
a
terre.
Quando
lo
Apollonio pro-
una bocie,
eh' eglino
guardarlo da tutto
mon-
el
egli desse loro quello grano. Allora Apol-
lonio fecie loro grazia (38), e
servi che
comandò
a'
suoi
fermento fusse iscaricato e recato
il
in piazza, e
datone a chi ne volesse per da-
nari otto Io staio (39), cam' era costato a lui
e prima valeva
trovava
uno danaio d'oro,
sicché Io popolo
:
si
suo,
sì
si
pensò
eh' egli
:
non se ne
fornì di formento.
E avendo venduto Apollonio
tórre loro danaio
e
formento
tutto lo
aveva
fatto
veruno, acciò
male a
ch'egli
non
era mercatante; e di presente fecie mettere
r.nu
bando per
tutta
avesse comperato
che venisse
gli
terra, che
formento
d'
chiunque
Apollonio
alla piazza, e togliesse e' suoi
nari -rdietro, acciò
non
la
del
voleva
(^ió).
eh' egli
E
cosi
da-
non voleva, cioè
rendè a ciascuno
e*
i2
E quando
suoi danari.
dono
sto
cuno
ci popolo vidono (meaveva fatto loro, cia-
eh' Apollonio
cominciò ad amare come fosse Iddio;
lo
A
e dissono tra loro:
noi ci conviono faro tal
cosa che questo bene, ch'Apollonio
una istatua
rame
di
vece (41)
in
grano
colle spighe del
in
Apollonio
d'
capo e sotto
pie-
e'
e missola (45) sopra una colonna nella piaz-
di;
za
à fat-
ci
sempre. E allora fociono fare
to, si si ricordi
;
e scrissonvi lettere, e
È LA SIMIGLIANZA
i3)
(
dicievano: questa
D'aPOLLOMO
DIEDE LO FORMENTO AL POPOLO
DO EGLINO AVE ANO
IL
DI
DI TIRIO,
CHE
TARSIA QUAN-
TALE TEMPO LA GRANDE
FAME.
Ora dicie
in
Tarsia
conto, che istando Apollonio
lo
tornava (ÌA) e stava pure con Istran-
sì
quilione e con
Dionisia sua moglie.
per uno tempo
di
ne: Apollonio, se tu mi crederrai,
bene
siglierei
al
E stando
pochi mesi disse Istranquilioio
ti
mio parere. Apollonio
con-
gli
ri-
spuose, ch'egli era apparecchiato a fare e a
ogni
ricievere
Tu
istato
se'
Antioco
lo
salvamento
in
Tarsia
qui.
là
egli
io
ti
direi,
che tu
cittade
te
eh'
credo che farai
n'
ene
andarsi a
in
quello (46),
si gli
cotale
meglio (i5) che
E Apollonio, udendo Istranquilione
cieva
disse:
assai; tantoché lo re
puote bene sapere: e però per tuo
Pentrapoli, buona
luogo; e
Ed
suo consiglio.
gli di-
rispuose, ch'egli era
apparecchiato d'andarvi. Incontanente ciiiamò
e' servi
suoi
che appareechiassono
le
navi, e
ciò che faciesse mestieri. Di presente fue fatto
suo comandamento;
e,
quando fue bene appa-
commiato
recchiata la nave, Apollonio prese
dal popolo di Tarsia, che molto ne furono
lenti di
do-
sua partita, perchè molto l'amavano.
Ora se ne va x\poIlonio con sua compagina
mare tanto che giunsono al
commiato da tutta giente,
su per lo lido del
porto, ed ov'e' prese
e ricolsesi
de
in
fare vela
nave con tutta sua giente, e
Tarsiani pregano Iddio eh' egli
salvamento
in
fe-
per andare a Pentrapoli. E
el
i
conduca a
questo mondo. E dipartito Apol-
iouio della città di Tarsia, dicie lo conto che
parrecchi die
-Poi,. come
-e
ebbeno benissimo tempo.
egli
piacque a Dio,
il
tempo
si
rivolse,
avenne tanto ch'egli ebbeno l'aque perico-
lose (i7) e'I più pericoloso
tempo che mai aves-
sono; che ruporo alberi e antenne e timoni;
sicché el vento e
me
'l
mare menava
le
navi co-
rupono
E
e non ne campò niuno di loro, salvo ch'Apollonio. Ed egli s'appiccò a un asse della nave,
sicché il mare lo gittò a
e ivi suso campò
uno lido igniudo. E questo lido era presso a
-pentrapoli a due miglia. E stando ApolloIonio co>A arrivato (i8), come v'ò detto, sì covoleano-
alla
peiTine le navi
si
;
Tninciò a fare grande lamento, e dicie:
ma-
è
u
reo, che non
crudelissimo e
•r«
ricievere,
ni'
ài v<iluto
né farmi morire, com'ài
fatto gli
mici compagni
Nanzi m'ài lasciato percliè
!
II
me! E cosi
si lamentava, e piangca molto forte. E istando
in questo lamento, ed e' vide venire uno pescatore ch'era molto povero. E sì tosto come
Re
Apollonio
a*
grande
faccia fare
vide,
el
andò
si
Messere,
io
a
e misericordia di
me
così vilemente
tu sappi ch'io
piedi
:
lasso e sventurato, ch'io
:
acciò cJie
sono Apollonio di Tirio, Prin-
cipe (49) della mia
terra
disse
la
igniudo
Allora
vita.
pescatore: lo mi
allo
comando. Allora
ora sono
:
adomandoti
e
tuoi,
Apollonio
gittoglisi
priego che tu debbia avere piata
ti
non potrei vivere
a*
e
lui,
piagniendo, e dissegli
così igniudo
piedi
istrazio di
lo pescatore,
ti
rac-
vedendo ch'ave-
va labbia (50) di gentile uomo, presegliene gran-
de piatade, udendolo così lamentare; e mcnolone
in
una sua capanna
molto povera
di
;
di
paglia, ch'era
e diegli da mangiare e da bere
C vegiendolo
quollo eh' egli aveva.
così
igniudo, ebbe grande piatade, e dissegli: Vedi
ch'io
non òe che
altro che questa
islracciata.
Ed
li
dare
di
che tue
egli la
si
rivesta,
trasse, e partilla
mezi^o, e diedegli la metà, e l'altra
ne per
ti
mia meza gonnella, eh' è così
sé, e dissegli:
per
metà ten-
Vattene alla.cittade, eh'
presso quie due miglia (e
m
"S.rògli la via
d'on-
de andasse)
quando
e,
;
sarai làiio, quale che
buona persona troverrai che ti farae qualche
bene: se ciò non truovi, torna quie a me, e
pescheremo insieme: ed
meno
dì
poco
questo
Icco
partirono
io
non
eh' io
verrò mai
ti
mi troverrò, e
insieme. Apollonio
e' gli
grazia di quello eh'
aveva
da
eh' e' gli dicieva di fare; e partissi
ire alla cittade.
'1
pescatore
Se tu torni mai
tire:
goti che
Che
E
h*
ti
cìessc
E Apollonio
egli ritornasse (52),
;
disse:
gli
non facìesse, Iddio
mare un'altra volta,
in
par-
che se ne ricorde-
ciò
e, se
rompeie
per
lui
gli disse al
in tua grazia (31), prie-
ricordi di me.
rebbe bene
reade
gli
fatto, e dì ciò
lo fa-
e ai-
rivare così com'eia; e non truovi chi mi faccia bene.
Allora
si
partìc l'uno dall'altro, e Apollo-
nio se n'
andò
poli lieto
come
in
verso la cittade dì Penlra-
poteva.
E quando Apollonio
giunse dentro incominciò a guardarsi
d' intor-
uomo unto d'oHio, e andava
gridando: Ogni uomo che vuole venire ^ bano, e vide uno
gno, venga, ch'egli ene bene caldo;
ci
giuoco della
palla.
E Apollonio
e
l'udì, e co-
minciollo a seguitare, tanto che fue (53)
gno. E* stando così vide
venire
il
favisi
Re
al
suoi Baroni assai co lui; e cominciarono a
re a uno giuoco di
palla, sicché lo
ba-
e altri
l'o-
Re sapeva
meglio fare che ninno altro, e più v'era de-
i6
Siro e leggiere.
E
allora
Apollonio giunse nel
giuoco, e
incominciò a fare (54) collo Re sì
bene e
saviamente, che
sì
'1
Re
disse: Questi
fané el giuoco meglio di méne. Allora entrò-
ne nel bagno; e Apollonio
mincìoe a fregare
mente,
eh' egli
el
Re
v'
si
vane: con tanti solennità (55)
era la costuma che
chi
dovesse fregare
alla palla
per questa cagione
lo
il
lo fregava.
mente
lo
fregava, e
Ed
meglio giucasse
Re
bagno; e
nel
fregava. Sicché
maravigliava di costui, che
si
parevagli
tornare da vecchio a gio-
eh' egli lo faciesse
egli
dolcie-
sì
maravigliava, e
si
inco-
entroe, e
bene e
il
Re
dolcie-
così
noUo conoscieva
.
Ora
.vennero (56) che uscirono del bagno; e Apollonio
si
partìo da loro, e vassene per la ter-
Re tornò a casa a sua corte. E quando fue nella camera sì domandò di colui che
r aveva servito nel bagno. Fugli detto che non
v* era; e quegli comandò che fusse cìercato
ra
e
;
il
di lui, e
menatelo a
me
(57). E* servi
uscirono
fuor^e cominciarono a ciercare d'Apollonio
per
la terra.
Tanto ciercarono che
rono, e menarollo
ti,
al
lo
trova-
Ke. E quando furono giun-
uno de'servi andò al Re, e disse, com'egli
E lo Re disse: Menatelomi nella camera.
v*era.
E
servo tornò ad Apollonio, e disse
lo
nella
non
vi
camera
al
:
Vieni
Re. E Apollonio disse, che
voleva andare; perciò eh' egU eraptto
47
in
d'
mare, ed era mal
andare dinanzi
vo tornò
ai
al
vestito,
Re
in
sì
Re, e dissegli
sì si
vergognava
fatto abito. El ser-
la risposta d'
Apol-
Re comandò che fusse vestito; e
così fu fatto. E incontanente allora uscìe il
Re della camera co' suoi Baroni a mangiare.
E *1 Re fecie mettere Apollonio in capo di tavola in orato (58) luogo nonne (59) alla sua
tavola, ma a un'altra. E stando a tavola, yennono di molte vivande e divisate, e molto valonio: e lo
;
sellamento d'ariento e d'oro, siccome a tale
Signiore
cioè,
si
si
conveniva. E
vedendo
Apollonio,
cominciò molto a maravigliare, e a guar-
darsi d'intorno, e a racordarsi di quello soleva
fare egli
sicché incominciò a perdere
:
giare (60), e quasi
non mangiava, e guardavasi
pure d'intorno. E uno, ch'era
per invidia disse
in
al
man-
il
alla tavola del Re,
Re: Vedete quegli ch'à rotto
mare, che per invidia ch'egli
che vede così
à,
riccamente le vostre tavole fornite, sì n'à perduto
il
mangiare. E
il
Re
rispuose,
e
disse
sono cierto che nollo fae per ciòne
avventura
aveva
egli di
;
:
Io
ma
per
e
ora
queste cose,
r ane perdute, sicché gliene ricorda, e peróne
perde
il
e disse:
mangiare. Allora lo Re
tu che rompesti in
lo
chiamone,
mare, mangili,
e non pensare alle cose passate; che
ancora
per aventura Iddio averà misericordia
Allora Apollonio,
udendo
minciò a mangiare.
di
te.
così dire al Re, co'
2
i8
E stando
una
cosi a tavola
facieva
pulciella, e
una sua usanza,
era usata di fare, ch'ella
abbraccioUo e
venne nella
sì
sala
Re, ch'era molto bellissima
figliuola del
bacioUo;
andò
sì
salvo eh' Apollonio
:
e
le
a tavola,
lui
lui lasciò,
E perchè
ch'era forestiere.
eh' ella
padre, e
badò catuno
poi
e
ch'erano co
de' suoi cavalieri,
al
perché vide
pareva che
se così crucciato, incontanente tornò
al
fus-
padre,
e dissegli: Dolcie mio padre, ditemi chi è co-
capo
lui ch'è di
E' parmi
di tavola in
forestiere,
luogo onorato?
parmi che
e
stia
molto
dolente, e non so di che. El padre rispuose,
e disse
si sia,
m'ane
fussi
:
Cara mia
ma
sì
ti
oggi
nel
quando
Ma
dì lui,
che
eh' io
lo feti invitare a
se tu vuogli
sapere chi
onde, va, domandando; e for-
egli te
sericordia di
chi egli
bagno meglio
mai servito; e peróne
egli ene, e d*
non so
sone dire tanto (GÌ)
servito
ciena con meco.
se,
figliuola, io
lui.
l'
a vera detto, tu n'arai mi-
Allora tornò la pulciella ad
Apollonio con abito (62) gientilc, e umile e vcr-
gogniosa colle mani giunte, e salutollo corte-
semente. E Apollonio
E
la pulciella
le
rispuose dolciemente.
incominciò a domandare del suo
essere (63). Ed egli le rispuose: Se tu mi domandi del mio nome, i' ò nome Apollonio: Se
tu mi domandi di mio padre, io lo lasciai in
mare Se tu mi domandi d' onde io fui, Tirio
:
i9
fu© la mia terra (64).
tro?
io
se: l'ò
Ed
ella disse
Non
:
per questo non t'intendo. Ed
nome
di' al-
egli dis-
Apollonio di Tirio, e ruppi in
mare, e rimasi come tu vedi. E cominciò a
contare tutto cioè che
gli-
era
avvenuto: e
cioè dicieva piangendo, e lagrimando.
parti, e
la pulciella si
disse
:
Tu
tornò
fatto male, che,
ài
al
Allora
padre. E
il
Ile
per volere sape-
re di suo essere, tu ài rinnovellato
il
suo do-
lore; e dapoi che tu ài fatto cosìc, pensa di ri-
confortarlo
:
vae, e fagli qualche bene, e quale
che bello dono
:
e
vane,
e reca la chitarra
che per aven-
tua, e suona, e canta; forse
tura dimenticherà
il
dolore. Allora la pulcel-
e andonne per la chiquando fue tornata, sì cominciò a sonare
ed a cantare. E sonato e cantato ch'ella ebbe, e
la si partì dalla tavola,
tarra; e
quegli, ch'erano a tavola, la comincia-
tutti
rono molto a lodare: e Apollonio non dicieva
nulla. Allora
disse:
Tu non
il
Re chiamò per nome Apollonio, e
mia figliuola, e tutti gli altri
lodi la
la lodano, e tu solo
pare che
la vituperi. Allo-
ra Apollonio rispuose, e disse
:
lo
non
la
lodo
perch' ella falla in quello sonare; e se voi volete
vedere
la
pruova, fatemi venire
la
chi-
comandò che la chitarra fosse
recata. E quando egli l'ebbe in mano, si la
incominciò a temperare, e quando l'ebbe temtarra. Allora (65)
perata, sì cominciò a sonare e a cantare; e sonava
20
e cantava
dolciemente, che quegli ch'erano
sì
a tavola pareva
dilettava loro
lonio.
loro
essere
sonare e
il
E quando
paradiso:
in
cantare
'l
figliuola dello
la
disse:
gli
E
Voi mi dicieste ch'io
si
donassi a que-
gli
in
padre disse:
la pulciella
pre-
di
padre, e
al
mare quello eh' io volessi?
Bene lo dissi e dico. Allora
ch'aveva rotto
'i
venne
e
lui,
si
Apol-
Re udìe che
sapeva così bene sonare e cantare,
sente innamorò di
d'
andossene ad Apollonio,
partì, e
e donògli molte robe, ed avere assai, e servi, e
Apollonio poteva istare
molti cavalli; sicché
inoratamente
E Apollonio
(60).
ricievette,
lo
e fecie loro grazia (67).
Apollonio disse
al
Re, quando venne la sera,
che se ne voleva andare; e prese commiato
dal Re.
E
la
si
a
lui, sì disse al
ciati
ella
padre
non
:
lo
di'
sera da noi, che
ista
alla notte,
che sarebbe troppo male. E
mia, tu
suo amore
Dolcie padre mio, piac-
bato e toltogli ciò che noi
la
il
quale noi abbiamo oggi
parta
si
non vada incontro
Apollonio
eh'
aveva posto tutto
che Apollonio,
ricco (68),
vedendo
pulcella,
partiva, ed
che non
gli
'1
Re
sia ru-
abbiamo dato,
disse: Figliuo-
bene. E incontanente chiamò Apol-
lonio, e dissegli, che voleva ch'egli albergas-
se la notte nel suo palagio.
Cloe
che
lo
Re
volle.
E
E Apollonio
fugli
una bella camera, dov'era uno
fecie
apparecchiata
letto
bene
for-
2i
andò Apollonio
nito. Allora se n'
Re
così fecie lo
dormire
a
e tutta
figliuola
;
e
l'altra
andarono a dormire.
famiglia, e
Da
e la
Re
poi che la figliuola del
fu ita a dor-
mire, ed ella non poteva dormire: tanto era
innamorata d'Apollonio. E tutta
sa a ciò
cella
si
;
e la mattina
andonne
levò, e
e gittoglosi (69)
padre
lo
la
a'
vidde,
la notte
bene per tempo
alla
camera
piedi in su'l letto.
sì
del
Re,
E quando
le disse: Figliuola
è questo ? E' non suole essere tua
pen-
la pul-
mia, che
usanza di
tempo. Ella rispuose sospiran-
levarti così per
do, e disse: Padre mio, io sono tenuta savia,
ed
io
non sono niente: voi avete
maestro, però
vi
domandò
lora
Quella disse
so; e
però
Re, chi era questo maestro.
il
fate,
per Dio, eh' egli rimanga qui, e
ed
io
grande amore che noi
e per lo grande
egli
sono cierta che per
gli
abbiamo mostrato,
bene che voi
gli
avete fatto,
farane cioè che voi vorrete. Allora lo Re,
udendo
la figliuola,
pra tutte
le
quella eh' egli
cose del mondo,
sì
camera d'Apollonio, che
si
amava
so-
levò, e an-
dò
alla
to,
e apparecchiavasi per andarsene.
lo
il
Quegli che ruppe in mare è des-
:
ch'egli m'insegni;
lo
casa
in
piaccia eh' egli m' insegni. Al-
già era leva-
E
lo
Re
chiamò, e disse: Apollonio, io voglio che
piaccia di rimanere qui con meco, e
strare questa
mia
figliuola.
ti
ammae-
Quando Apollonio
22
udìe lo priego che lo Re
sando r onore che
gli
aveva
gli
pen-
facicva, e
fatto,
rispuose
sì
che farae quello ch'egli vorrae: e cosi rimase Apollonio nella corte dello re
per amaestrare Archistrata sua
rimanendo Apollonio
Archi.-trato
Poi
figliuola.
Re
nella corte dello
sì
'ncominciò ad insegniare ad Archistrata quant'
sapeva
egli
bene
di
ed
;
ella
aparava
siccome quella ch'era multa savia
Or
dicie (70) ch'ella
si
era
sì
assai,
pulciella.
presa d'Apol-
lonio ch'ella non poteva più innanzi
né
più
adrieto (71). E, portando questa pena di questo
amore, poi venne un
del
Re
si
lata. E'
gittò in su
medici
'I
dì
letto
vennono
vi
che
fanciulla
la
come
l'emina
assai, e
ama-
non trova-
rono ch'ella avesse male ninno. E stando un
dì lo
Re
nio, e
così lo
così prese (72) per la
andossene
in sulla
Re vide venire
giori ch'egli avesse.
mano Apollo-
piazza.
E standosi
tre suoi Baroni,
i
mag-
Catuno era giovane, e ca-
domandata questa sua figliuola
per moglie. E lo Re aveva bene volontà che
tuno aveva
Tuno
di questi
tre suoi Baroni l'avesse
moglie; acciò eh*
roni che lo
egli
erano
i
per
maggiori Ba-
Re avesse: ma non sapeva bene
diliberarsi a quale la dovesse dare.
E stando
così questi tre Baroni giunsono dinanzi dal Re,
e salutaronlo molto cortesemente; e lo
dè loro salute. E l'uno
Re ren-
di loro parlò, e
dis-
S3
so
Re
:
Archiitrato,
tu
che noi siamo
sai
che tu abbi
maggiori Baroni
i
terra, e
che catuno è voluto essere tuo gienero: e
sai
però siamo venu-
tu ci ài tenuti in parole, e
ti
tua
in
a te; che noi vogliamo sapere se
vuo-
tu
gli
dare tua figliuola a ninno di noi, e a qua-
le.
E però siamo venuti insieme, che
lunque tu
a
contenti. x\llora rispuose lo He, e disse
no pur fermo
ché non è
in
anz' è
punto
:
lo so-
figliuola;
ma
uno poco amalata,
sic-
di maritarla, la
non è sana,
ella
qua-
dare, noi ne siamo contenti
la vogli
mia
maritarla
di
:
ma, quan-
d'ella sarà guarita, io la mariterò; e a quello
ch'a
lei
piacerà
è oggimai
sì
riterei sanza
la voglio
la
darò
grande e
:
si
conciò
sua parola (73), e
maritare.
scrìva in sun (74)
lei
darò per marito, quand'
piacerà più
e
iscritto,
lata, e' presela, e diella
lo
questa iscritta ad
che
risponda, ed io
ci
ti
Re
Quando
l'ebbe
Archistrata, e
aspetto quie.
cia-
sugiel-
ad Apollonio, e
Porta
sì
ella sarà in istato
ciò. E' così feciono di presente.
scuno ebbe
ma-
la
io la sugiellerò di
;
da
non
a suo senno
E però catuno di voi sì
una carta lo suo nome, e
con che patti la vuole ed
mia mano; e quegli che a
le
cosa ch'ella
sia
savia ch'io
disse:
dille
E Apol-
lonio la prese, eandossene al palagio del Re, ed
entrò dentro, ed andossenc uella camera d'Archistrata tutto solo.
E quando
Archistrata
lo
24
vide Tenire,s'i
tu vieni
Io ci
Macstro,che è ciò che
Ed
così solo?
egli
vengo per bene e non per altro
sta iscritta,
che tu
cie
gli disse:
qua dentro
che
ci
ti
manda
disse:
te'
;
tuo padre;
lo
risponda, incontanente
;
quee' di-
però
ch'egli aspetta la risposta, eh' egli ò alla piaz-
Archìstrata prose la carta,
za.
ch'ella dìcieva
e disse ad
s'
io
;
e ninno
Apollonio
mi marito
?
Ed
:
Maestro non
mi piacie, e sammi
ài
tanto
di
duole
ti
Madonna, no, an-
e' disse:
zi
quello
e vide
non liene piaceva;
buono
tempo imparato che
(7.-i),
basta.
ti
che tu
Ed
ella
rispuose, e disse: Cierto, Maestro, se tu m'amassi,
vi
che
tue
non
volessi,
altrui
al
'1
vero,
che ruppe
in
ri-
colui
sugiellò la scritta, e diella ad
portasse
io iscrivessi
questo è
non voglio per marito. E poi
ch'io voglio per marito
mare, e
cioè,
sua mano, e disse: Padre mio, io
chie^io perdonanza sicché, se
altro
la
E detto
tue ne saresti bene dolente.
iscrisse di
Re.
E Apollonio
Apollonio che
la
portò, per-
chè lo Re r aspettava co' tre Baroni
in sulla
Quando fu giunto a lui, sì gliele diede
in mano. E lo Re la disugiellò, e assai la lesse,
e male la 'ntendeva; e però gli domandò, e
disàe il Re a' tre Baroni: Àcci veruno dì voi
che rompesse mai in mare ? E uno rispuose,
e disse: Sì, sono io. E l'altro, udendo ciò, sì
gli disse: Tu non di' vero, che mai rompesti
piazza.
l'
2r>
in
mare
;
però
mo sempre
eh' io lo so bene,
insieme
usati
dire? Allora quegli
se: lo vi dirò lo
mare. Allora
si
che noi sia-
come
:
lo
puoi
tu
vergognò. E l'altro dis-
non ruppi mai
vero, io
in
chiamò Apollonio, ch'era
(76)
dall'una delle parti, e disse: Intendi tue que-
E Apollonio
sta iscritta?
di presente.
E
lo
E Apollonio
ta.
Re
Allora Io
lo
e intesela
lesse,
la
dimandò
un'altra vol-
disse: S'io l'osassi di dire, e
mi desse (77)
voi
Re
la
disse:
parola, io la 'ntendo bene.
Non
dire più, ch'io la 'n-
lendo bene. E a quegli Baroni
disse,
che
s'egli
Don sapesse meglio la risposta della figliuola,
che quella iscritta none intendeva egli bene (78):
e però io le parlerò, e poi
piacerà. E' Baroni
lei
ne farò come a
rispuosono
:
Sia a vo-
Re prese Apollonio per la mano sì dolciemente come giàfasse
suo gienero, e andossene al palagio. E quando
fue dentro, ed egli si andò nella camera della
figliuola. E quando la figliuola lo vide, di prestro
comandamento. Allora
sente
gli si gittò
Padre mio,
lo
mi
se tu cioè
me ne
s'io par-
non
fai,
me
vuogli avere bene di
dammi marito
allegrezza.
se, eh' ella
perdonanza
vostro volere, che forza d'amore
fa dire: se tu
e allegrezza,
di
a'piedi ginocchione, e disse:
io vi chicggio
lassi oltre al
il
a
mio senno
:
e,
tue non averai mai bene
E
'I
Re
le rispuose, e
adimandi chiunch'ella vuole, ed
disella
cos^
Tavercbbe. Allora
rende grazie,
qfiolla gli
e dicie: Io voglio per mio dilettissimo marito
maestro;
ruppe
che
Apollonio
mare,
in
sarò contenta, e apa-
e, s'i'ò lui, io
rerò assai di bene. Allora lo Re
che bene
piacieva
gli
ora mio
eh' è
le rispuose,
ch'ella avesse quello
Re usc\e
ch'ella aveva adomandiito. Allora lo
mano,
della camera, e prese Apollonio per la
e disse, coni'
moglie.
Ed
egli
e disse, che
Allora lo
gli
Re
voleva dare sua
e' gli
ne fccie
grazie,
piacieva ciò eh' egli
fecie
somuovere
voleva.
(79) tutli
e'
suoi
venissono alla corte; conciò sia
Baroni, che
cosa che voleva fare
Archistrata.
Re molte
al
per
figlia
le
nozze della sua figliuola
E quando furono assembrati dinanzi
dallo Re, e lo
Re diede per moglie
gliuola ad Apollonio; e di ciò
nozze e grande festa; e fecie
ni a' Baroni.
E compiuta
n'andarono ciascuno
si
il
la
fecie
sua
fi-
grande
Re grandi do-
la festa, e'
Baroni se
agli loro alberghi.
Dapoi ch'Apollonio ebbe per moglie Archistrata,
cominciò a cresciere T amore tra loro
due così grande e maggiore, come mai
suto tra moglie e marito
non
(80).
istava l'uno sanza l'altro.
E
fusse
die e notte
E sempre Apol-
lonio amaestrava Archistrata sua moglie d' ogni
bene
e senno (81) ch'egli sapeva.
una notte ed ella pregò,
le diciesse
bene
lo
e disse
vero chi
E stando
cosi
ad Apollonio, che
egli era.
E Apol-
27
Ionio le cominciò a contare, com'egli era Pren-
Onde udendo Archicome Apollonio era giuntile e grande
cipe di Tirio sua cittade.
slrata
prencipe,
sì
ne
molto allegra; e se prima
fu
l'amava, poi l'amava assai piue. Or avenne,
come pìaque a Dio, Archistrata ingravidò, e
\enne presso a partorire. Ora s'andavano amendue un
Baroni
dì
prendendo solazzo, e co loro
E andandosi per
assai.
trapolisolazzando,
s!
altri
Pen-
lo lido dì
insieme su per lo lido,
tutti
apparve uno legno molto bene armato. E
quando fue presso
mandò, d'ond'era
puosono, ch'erano
mandò
lo
legnio.
Apollonio do-
Ed
eglino
E Apollonio
di Tiiio.
ris-
do-
gli
quello ch'eglino andavano caendo per
Ed
quello paese.
caendo Apollonio
se,
alla riva, e
andiamo
E Apollonio rispuo-
eglino dissono: Noi
di Tirio.
e disse: Io conosco bene
Apollonio;
che
ne volete voi fare? E queglino rispuosono, e
dissono: Dapoi che
lo conosciete, noi vi
voi
preghiamo che,
se voi lo trovate, che voi gli
diciate, che
lo
Re Antioco
sono morti
che venne loro una saetta da cie-
lo,
:
e uccisegli
amendue
palagio, dov'egli erano,
tro
:
a
e la sua figliuola
un'otta, e arse
però l'andiamo caendo per
fagliele (82)
la
corona
è serbato
quello
assapere, ch'egli venga a rioievere
d'Antioccia;
però che
lo
con ciò che v'era den-
gli
Reame. E Apollonio rispuose, che quella
ara-
28
basciata farà
bene e volentieri,
egli
vedrà. E a tanto (83) lo legnio
s'egli lo
partìo dalla
si
lonio.
andonne alla sua via ciercando d'ApolDa poi che lo legno fue partito, e Apol-
lonio
parlò
riva, e
alla
t'aveva
moglie, e dissello
detto di mio essere, e tu non ne sapevi altro:
ora per questo legno ne
io
sai
la verità; di
che
sono molto allegro. Sicché allora Archistrata
disse:
gli
Ora mi
re? E Apollonio
die,
le
che
à'
tu in cuore di fa-
disse: lo voglio andare a
tórre quello reame, eh' è così grande
e
così
nobile; e da poi ch'io ne sarò fatto signiore,
€d
io
lornerone quane a
quello ch'egli
dicieva
(
te.
Quand'
ed
ella
che se medesima), e udiva ch'egli
tire
da
lei,
e
ella intese
l'amava più
voleva par-
si
non sapeva quando
lo
si
rive-
desse, funne molto adirata (84), e disse: Co-
me!
Apollonio, cuore del corpo mio, isperan-
za e allegrezza mia, conforto e desiderio (83),
come
!
me
tu vuogli tu partire da
che tanto
amo! cierto grande peccato faresti, ispezialmente ora che sono presso al partorire cioè
ti
eh' a
Dio piacerane. Cierto, se tu
ni paesi, tùò doveresti
venire a
fussi in istra-
me
per essere
mio parto. Perciò ti priego per Dio, cuore
del mio corpo, che tune non ti parti ora da me:
al
e se cosa (86) ene che tue vogli pure andare
per questo tuo reame, menami con tceo, e non
mi lasciare qui sanza tene. E Apollonio rispuo-
29
che ciò farà
se,
egli volentieri
va che non sapesse reo (87)
non
desse
le
Ed
parola.
la
tu fare
testo lascia
teme-
egli
padre, e che
disse
ella
Co-
:
faiò
ciò
E
parola.
la
io
allora
grande allegrezza.
cittade con
alla
ma
me, che
a
bene, sicch'eglì mi darà
tornarono
;
al
Quando furono al palagio deilo Re, si trovarono lo Re co' suoi Baroni, e dissongli queste
novelle; donde egli ne fu molto allegro, pensando
eh' egli
figliuola.
camera
quando
aveva cosi bene maritata
E stando
così
Re
il
se n'
parve
gettò
si gli
(88),
a'
s'
che
perdonasse. E
disse
non
che
:
Figliuola
mia,
gliuola disse:
non
eh' è cosi
io
Re
'1
che tu vegli, tu
reame che
gli
E
mi
la
fi-
vuole
si
fue rubato,
s'è' se
ne vane,
rimagnio, io sono cierta ch'io non averò
mai bene sanza
piaccia
e
perdonassi.
ti
grande e nobile; e
ritornerane
:
ciò
dicesse cosa
Padre mio, Apollonio
ire a tórre quello
lui
di'
ella
potresti dire né fare cosa niuna che
dispiacesse, eh' io
ed
le
e,
piedi gi-
nocchioni, e pregollo che,
gli (dispiacesse,
nella
andò drieto;
sua, e Archistrata gli
le
sua
la
andò
di
se
;
io
peroe
darmi
voi
Ed
lui.
e
la
noi
fate,
seppe istrano
la
sì
di
figliuola
(89),
priego
vi
parola
non avere giammai bene
udìe clone che
non sone quand'
io
eh' io
fate
che
vi
vada co
ragione di
me. Quando
gli
egli
dicieva,
il
sì
Re
gli
però che non aveva più
30
né più
figliuolo
poteva dire. Ma, dapoi eh'
si
egli vide la volontà sua,
tradire, e disse
non
rende grazia, e
vuogli. Allora la figliuola gli
la
parola d'andare co
nio ne fue molto allegro
mandò
(91),
che
seppe con-
gliele
Figliuola mia, fa ciò che tu
:
tornò ad Apollonio, e disse, come
data
amava
figliuola (90); e costei
tanto quanto più
;
Re
il
Onde Apollo-
lui.
presente co-
e di
più bella nave, e
la
aveva
1'
la
mag-
giore che fosse nel porto, fosse acconcia e fornita di ciò che bisongnasse a così fatto signore.
Il
suo comandamento di presente fue ub-
bene
bidito; e dapoi che la nave fue
e Apollonio fece
(9:2)
fornita,
mettere quantità
di te-
soro, e fecievì mettere suso cioè che bisognia-
va
alla
donna, se cosa fosse eh'
ella
venisse a
partorire in mare. E quando ebbono bene or-
dinato quello che
commiato
bisogniava,
e ricolsonsi in
mare
(93), cioè in
sua giente per ire ad Antioccia.
Baroni
ed
e'
presono
dal re Archistrato e da' suoi Baroni,
l'accompagnarono
nave con tutta
E
'1
Re
co'suoi
E
infino al porto.
quaiido Apollonio e Archistrata furono partiti,
egli
accomandano
il
Re
e'
Baroni a Dio, e
feciono vela per ire ad Antioccia; e
Baroni
sì
il
Re
co'suoi
tornarono adrieto, molti (94) pensosi
della partita d' Apollonio e d' Archistrata
sua
moglie, pregando Iddio che
sal-
vamento.
gli
conduca a
3i
Ora dicie
be
lo conto,
fatto vela
sì
che tlapoi ch'Apollonio eb-
ebbe buon tempo più
avenne che'l settimo die che
Pentrapoli,
come piaque
si
Or
die.
furono partiti da
a Dio, Archistrata
par-
una fanciulla femina molto bella. E dapoi eh* ebbe partorito, per lo grande freddo
torìe
ch'era, e per
li
venti, lo
ghiacciarono (9o),
poterono
per
ire
sangue dentro
sì
che
le
vene sicché
dentro non
gii ispiriti
la
;
le s'ag-
donna pa-
reva morta, e cosi credettono che fusse. Ve-
dendo cioè
eh'
le bàlie,
erano co
donnìi è morta.
comin-
lei,
Apollonio, che la
ciorono a gridare: Aiuta,
E udendo Apollonio quello
credeva. Di presente
gri-
come morta;
e cosi
le si gittone in sul
corpo,
do, corse lane, e trovolla
e cominciò a fare lo maggiore duolo e pianto
che mai fusse
come debbo
strata
io di
!
che delle lagrime sue
fatto,
bagnìavu, e dicieva
io oggi
:
Archistrata
mai vivere sanza te? Archifaccie (96) averò
al
tuo padre, che mi ri-
cievette così benigniamente
coni' io
in
questa nobile criatura
do ch'io mi
fussi?
casa sua
era quand' io era
mare, e rive^timmi; e poi mi
glie,
la
vita mia, or
mia isperanza, or che
tornare dinanzi
igniudo,
!
!
ti
rotto in
diede per mol-
(97),
non sapien-
Oh che guardia potrà
dire ch'io abbia avuta di te, o disidcrio
Come debbo
fare ?
Non
cosi
egli
mio?
piaccia a Dio eh' io
mai vada a prendere reame, da poi
ch'i'ò per-
A
32
duto
mio conforto, e mia isperanza. E
el
così
istandole a dosso, e abbracciandola, e tuttavia
facciendo questo lamento con tanto dolore, e
quanto più
in
veritadc
E
potesse dire e pensare (98).
si
non n'è da maravigliare,
tanto
s'amavano insieme. El governatore della nave,
vedendo
ch'ella era morta,
lonio:
mare
Il
rò pensa
tutti
(OD)
di gittare
periremo
debbo
non tiene cosa morta, pe-
mare. Apollonio, udendo
in
lo
come
crudelissimo uomo,
corpo
io soffwire di gittare così nobile
mare, che mi ricievette igniudo, ed àmmi
fatto tanto di
si
ad Apol-
questo corpo morto, se none
governatore, disse:
in
disse
s\
bene? E
governatore
'1
disse,
che
conveniva pure fare, o tardi o per tempo.
Apollonio, pensando eh' egli
chiamò uno maestro, e
più nobile che seppe fare, e
serrata,
sì
sì
diceva
fecie fare
che Taqua non
vi
el
una
fare
i'eciela
avesse
,
fornite
dentro una
iscritta
;
robe
preziose
priete
di
missele una corona in capo
cinjpie ciento talenti
bene
potesse entrare den-
tro. Archistrata è vestita delle più nobili
eh' ella
vero,
cassa, la
;
e missevi dentro
d'oro; e poi
che dicieva
:
vi
misse
Questa donna
è di nazione (iOO) di Re, e figliuola di Reina;
però chiunche
la
dcbbe fare
figliuola di
<ju(5sto
di
truova faccia di
lei
tesoro, eh' ce nella cassa, sia
colui che la troverrae,-
1'
come
si
Re; seppelliscala, e
altro
mezzo
mezzo
si
di
spenda
S3
nella sepoltura sua
gli
male a
dia
e chi non fa cosi, Iddio
;
pigliare.
che l'ebbe messa,
E
cosi dicieva.
E
fecie chiavare la
si
poi
cassa,
buco, perchè aqua non
e
turare bene ogni
vi
potesse entrare dentro:
la
missono in mare. E poi che Tebbono messa
in
mare, Apollonio prese
con pianto
e poi
ch'aveva
la fanciulla
partorita Archistrata, e diella in guardia a
bàlia, eh'
nome
era per servire
la
Lecoride. E cosi se
donna,
eh'
una
aveva
ne va Apollonio,
sanza Archistrata, facciendo grande lamento e
grande duolo: e se non fosse
eh'
confortava
era rimasa_^di
egli si
Ora
la
figliuola eh'
darebbe
alquanto lo
rilei,
morte.
alla
dicie lo conto che, da poi eh' egli eb-
be gittata
la cfissa in
mare,
lo
mare cominciò
a gittare la cassa inverso terra; e tanto l'andò
gittando,che la gittò in sullo lido a piede d'una
nome
cittade ch'aveva
andando per
lo lido
Efesso (iOi).
uno medico
Un
di (402)
di fisica
con
suoi disciepoli, che istavano nella cittade, eb-
E quando
bono veduta questa
cassa.
stro la vidde,
mostrò
Andiamo
e disse:
E
la
si
allora
si
a
a'
lo
mae-
disciepoli suoi,
vedere cione
mossono, e andarono
eh' è quello.
a
vedere, e
E quando furono lane,
disse lo maestro Vegiamo cioè che ci è dentro. Allora ischiavarono la cassa; e quando
andaro
in
verso
la cassa.
:
r ebbono aperta, ed
e'
vidono cioè che
3
v'
era
34
dentro, fecionsene grande maraviglia. E
'1
mae-
stro prese la scritta che v'era dentro, e lessela;
quando
e,
Pensiamo
eh* io
Allora
detta
fare
1'
ebbe
letta, disse a' discepoli suoi
:
di portare questa cassa alla cittade,
voglio
fare cioè che
presono
cittade.
cassa,
la
E
dicie
e
la
scritta.
portaronla
alla
maestro, vogliendo bene
'1
compiutamente clone che
iscritta di-
la
cieva, disse: Attendiamo cotale nostro discie-
polo, eh' è savio di queste cose, e in lui
metteremo questo
peróne
fatto;
eh' io
maestro
lo
lo atteso
;
lo
e lo disciepolo venne, e
chiamò, e disse: Io
t'
one mol-
vieni qui, e vedi quello che noi ab-
biamo trovalo. E, quando
la cassa, el
disse: Io
sone
persona.
eh' egli lo sane meglio fare eh' altra
E stando uno poco
com-
maestro
si gli
gli
ebbe mostrato
mostrò
la scritta,
sono cierto che tu saprai
e
meglio
fare questo fatto che ninno altro, e più ino-
ratamente; e però
s\
eh' io e voi n'
rispuose,
che bene
s'usava d'ugniere
quanto più erano
ne più
rò,
s'
e'
lo
farà.
vedendo questo
A
lo scolajo
quel tempo
corpi quand'erano morti:
gientili e di
ugnievano
gìentile e di
l'ho rimesso in te: fa
io
abbiamo onore. E
di
grande nazio-
buoni unguenti. E pe-
iscolaro che la
grande nazione,
nobilissimo unguento;
si
donna era
fecie fare
e fecie fare
uno
uno gran-
dissimo fuoco allato alla donna, e iscaldoUa
;
35
e
con
unguento ugnieva
questo
donna
la
,
e fregavagliele su per lo petto, e in sulle reni.
£
ve
sentire alcuno ispirilo vivo nella
faciendo così dilicatamente,
era perchè
e ciò
aghiacciato,
sì
'1
sangue, che
donna;
dentro era
cominciò a riscaldarsi, e a cor-
rere dentro per le veni.
a costui alcuno
fé'
E parendo
che
la
donna
ugniere
il
ugniendola
fuoco, e
alla
si
incomin-
petto più forte
allora alcuno sentore
lora fecie fare d' intorno
sentire
nella donna,
ispirito vivo
iscaldare vie più Y unguento, e
ciò vie più a
par-
gli
sì
;
sì
fecie. Al-
donna grande
bene. E tanto
fecie
la
ugniere e stropicciare cogli unguenti, e riscaldandola, che la donna fue del tutto risentita.
E
quegli
sì
gli scolari,
aveva già chiamato
e à detto
come
la
maestro e
il
donna era
Ti-
fa; e eglino V erano venuta a vedere. Poi che
la
ri,
donna ebbe aperti
data, e
e
di
gli
occhi, disse
bene
io
sono.
Ed
che ciò faranno bene. Allora
conveniva.
sé,
com'
glione molto.
lo
la
e'
eh' ella
Re
rispuosono,
donna fue
apparecchiatole da mangiare,
venuta in
e intese
Signo-
salvata, siccome figliuola di
Reina com'
vestita, e
le si
:
priego eh' io sia per voi bene guar-
io vi
e
E quando
ella
E
ella fue
bene
conobbe bene dov'
lo
fue trovata,
rin-
era,
maravi-
si
domandoe quelEd ella disse Da poi
maestro
volea fare.
sì
ella
ri-
come
la
:
36
eh' io
sono COSI arrivata
io voglio
andare ed
entrare in uno monisterio (103). E lo maestro
Di questo tesoro che volete voi fa-
le disse:
re? Ed
ella disse,
che voleva che
metade
la
fosse di colui che le aveva ritornata
in corpo,
e
1'
metà voleva
altra
vita
la
mettere
in
uno monistero. E così fu fatto. Ed ella se
andò in uno monistero della cittade, dov-e
aveva molte gentili donne e di buona vita. E
n'
quando vidono questa donna, che veniva ad
entrare
nello monistero,
eh* ella
grandemente adornata,
e
ro gientile donna, e
per
portóne.
stero
;
e
E
sì
in
perchè pareva lolo
tesoro eh' ella
tanto pregio
onestà, eh' ogni gìente
E
sì
veniva molto
così istette Archistrata nel
venne
1'
molto
ricievettolla
onorevolemente; però
per
monisua
la
adorava per santa.
tempo sì si morìe la bamonache che rimasono, tutte
di concordia, feciono badessa e donna maggiore (104) Archistrata. E se prima era istata
istandovi per uno
dessa loro; e le
onesta, ora
sta.
E
strata
in
fue maggioremente tenuta one-
questo abito (105)
Ora dicie
lo conto,
nio ebbe gittata
mandata
e'
sì si
sta
Archi-
.
la
comandò
dìrizasse
in
la
figliuola a
al
che da poi eh' Apollo-
cassa in mare,
e acco-
Ricoride sua bàlia, ed
governatore della nave che
verso Tarsia.
Ed
egli fecie
si
suo
37
comandamento,
andarono per loro giornate
e
tanto che giunsono a
E da
Tarsia.
che
poi
furono arrivati a Tarsia e Apollonio isciese in
andonne
terra con sua giente, e
a casa dello
amico suo Istranquilione e Dionisia sua donna. E,
quando eglino
grande onore;
e così adirato,
si gli
feciono
vegìendolo così piangiere
e,
sì
lo vidono,
lo
dimandarono quello
eh' egli
aveva. Et Apollonio con grande dolore lo contò;
quand'egli l'ebbe contato,
e,
Stranquilione
e
questa mia figliuola,
quale
la
medesimo; e voglio eh'
sia, per amore di questa
lia
ne
ciulla.
vi
dio, quand' ella sarà
E
E questa bàquesta mia fan-
di
manderetela
da
ciò, colla
e questo tesoro, sicché voi
le.
E
per
lo
mondo
te; e giuro a Dio che
al
vostra in-
a
modo
possiate
io
di
bene
me ne vomercatan-
mai non mi torroe bar-
ba né unghie né capegli,
ma
come
allo stu-
togliete queste vestimenta preziose,
fare quello che le bisognia.
glio ire
amo più che me
nome Tar-
abbia
priego che ne facciate
della vostra figliuola, e
sieme.
io
disse a
ciltade.
guardia
piglierà
E però
ella
sì
racéomando
Dionisa: Io vi
s'
io
tempo che questa mia
non ritorno prifigliuola
sia
da
maritare, e che io la mariti (106). Allora chiun-
que udìe questo sararaento se ne feciono grande maraviglia. E Stranquilione e Dionisa sua
moglie
sì
giurarono
d'
avere guardia della
fi-
38
siccome
gliuola (407)
a tanto
si
della loro figlitìola.
mondo
vassene per lo
te; e lasciò la figliuola sì
Ora
a
modo
come
mercatan-
di
ò detto di sopra.
dicie lo conto, che poiché Apollonio e la
sua giente
si
furono
Tarsia sua
partiti, e lasciata
cominciò a crescicre, siccome co-
figliuola, ella
lei
E
partìo Apollonio con sua giente, e
ch'era bene istudiata (108), ed era una delle
più belle fanciulle che mai fusse. veduta.
be tanto ch'ella fue
dò insieme
etade d'andare
in
quando fue da
dio. E,
sì
E
maraviglia.
'mprendè
sì
tutte le genti
del senno, e
delle
le
si
bellezze
maravigliavano
le
andò
tornò
camera
nella
e trovoUa forte ammalata,
confortare;
do Ricoride
alla
balia di
convenne morire. Ma, in-
morisse,
eh' ella
iscuola, e
Or avenne
sue.
prese subitamente uno male di
stomaco, onde
nanzi
man-
E andando Tarsia
bene eh' era una
che stando uno buono tempo e
sì
allo stu-
cioè, Stranquilione la
colla sua figliuola.
a istudiare,
Tarsia
E creb-
ma
eh' ella
dalla
e incomincioUa a
noUe valse
ciò
Tarsia
della bàlia sua,
Veden-
nulla.
pure moriva,
disse a
sì
Tarsia: Sa' tu chi è tuo padre e tua madre,
e di quale terra tu sène? Rispose Tarsia, e
dicie,
che
sì
sane
:
Istranquilione è
mio padre,
e Dionisa è mia madre, e Tarsia, là dove noi
siamo,
sì
ene
la
mia
con grande sospiro
sì
terra.
le disse:
Allora
la
Tu non
balia
sai
be-
39
ne, e
perone che
tu noi sai,
gniare, e dire; sicché
quello che
ti
sì
lo
ti
è tuo padre, e Archistrata fi-
madre; la qua-
gliuola dello re Archistratofutua
partorìe
andando
le
ti
in
Antioccia per torre
gli
voglioinse-
Ora sappi ch'Apollonio Prin-
fare.
cipo di Tirio
sì
dopo la mia morte tu sappi
la
corona de Reame che
Ma, quando
era serbata.
andava
col tuo padre, eh'
ella
parto-
ti
morìe, e fue gittata in mare entro
rìe, sì si
una cassa molto inoratamente con cinqueciento talenti d' oro, e con preziose vestimenta
ma dove
la cassa si sìe arrivata
E Apollonio
dire.
sì
menò
ti
non
:
te lo so
quie, e
acco-
mandotti a Stranquilione e a Dionisa sua mopromisse questo tempo che non
glie, e
derebbe barba, e non
unghie
:
e così se n'
si
ra-
torrebbe capeglì né
andò per
lo
mondo
a
mo-
mercatante e questo è bene XIIII an-
do
di
ni.
Sicché forse tuo padre è morto, e
;
colato in
mare
da poi che
me
si
costoro
si
;
partì quinci.
Ora non so
porteranno di te
si
peri-
che non se ne seppe novella
io co-
di drieto (109)
mia morte, acciò che non sia chi di te
prenda guardia. Ora farai così: tu se' oggimai
alla
tale
che tu conoscierai bene quello che
onore, o non.
lo che
ti
Ed
e' ti
t'
è
debbono bene fare quel-
bisognia, acciò che lo tuo padre la-
sciò loro molte vestimenta preziose, e molto
tesoro. Ma, se
noUo
ti
faciessono, io
non so
a cui tue te ne potessi dolere, se
rame
istatua di
nono
a
una
eh* è in sulla piazza, la quale
fue fatta a somiglianza del tuo padre, che
feciono fare
gli
do diede loro
eglino
uomini
di
formento.
lo
lu
questa terra qiian-
quando
Sicché,
faciessono co^^a che non fusse da fa-
ti
re, tu te
ne vae a questa
istatua, e
montavi
suso; e comincia forte a gridare, sicché t'oda
ogni persona; e conterai tutte
re, e ciò
come
che
ti
faranno
;
le
tue isciagu-
e dirai chi tu so'
,
e
tu se' cittadina di questa terra: ed eglino,
ricordandosi del beneficio che fecie loro lo
tuo padre, forse che vendicheranno tua onta;
eh* altrimenti non so come te ne potessi dolere.
E quando ebbe detto cosme, e Tarsia pìangiendo disse: Dunque non erte Istranquilione
mio padre? Ed ella disse: Mainò, anzi ene Apol-
lonio
di
Tìrio.
E Tarsia
morta subitamente,
sto.
si
E
così
Se tue fossi
non averci saputo quedisse:
di ciò fecie grazia a Dio.
morìe
la
E
così istando
sua bàlia in braccio a Tarsia. Al-
lora Tarsia cominciò a piagniere, e a gridare,
sicché vi accorse Istranquilione, e Dionisa, ed
altre
persone
do vidono che
ch'erano
la bàlia
grande lamento. E
cie fare
di
nella casa; e
era morta,
presente Istranquilione fe-
una sepoltura presso a
e focievi sepcllire
la
sì
quan-
ne feciono
lido del
bàlia di Tarsia.
mare,
41
Ora dicie
lo conto,
che da poi che
la
ba-
fue sopellita, e Tarsia istava pure addolo-
lia
che non
rata,
me andava
si
poteva
di lei ralegrare, e co-
Uno
allo studio (iiO).
die Dionisa
la
comincioe
la
andasse allo studio. E Tarsia, vedendo che
a riconfortare, e pregolla eh' el-
a darsene ira (Ili) o malinconìa
te della bàlia sua
no
le
giovava,
della
si
mor-
cominE tut-
si
ciò a riconfortare, e andare allo studio.
tavìa eh' ella tornava dallo studio,
dava
al
monimento
della bàlia, e
s)
se ne an-
cominciava
a piangiere, e a lamentarsi; e ivi ricordava tutte
le
sue isventure,
duta, e
e
sì
sì
della
madre che aveva per-
del padre ohe no ne sapeva novelle,
della bàlia sua ch'era ivi
sì
facieva ogni die,
morta. Questo
quando tornava
dallo studio,
anzi ch'ella tornasse a casa; e questa vita te-
neva
molto crudele e
assai die, la quale era
pitossa (H2).
Ora dicie
lo conto,
che uno die era grande
festa fuori della terra, sie che Dionisa co molte
donne andavano a questa
menòvi
festa, et
Tarsia e Lottomia sua figliuola. Or dicie, che
Tarsia era assai più bella che ninna altra che
vi fusse, e la
più savia; e
la figliuola di
Djonisa
era molto laida (413), sicché, passando per la
via,
aveva
gienti
quella
:
giente assai (114),
Come
fue benedetto
dissero
quello
madre che ingienerarono
queste
padre e
quella
cosi
42
bella figliuola (n dissono di
come
Tarsia );o
maladelto quello padre e quella madre
fuc
che ingicneròne (li 5) quell'altra (cioè dissono
della figliuola di Dionisa).
E
tutte queste pa-
role udìe Dionisa, perciò ch'ella era di drieto
udendo
alla fanciulla. E,
cioè, disse infra
sé
Or vegio bene che per Tarsia è dinon piaccia a Dio
spregiata la mia figliuola
ch'io non faccia s\ ch'ella per lei non fia di-
medesima
:
:
E incontanente cominciò a pensare
spregiata.
contro a Tarsia; e
follìa
niuna
(116). Ora
tornata,
di ciò
dicìe, che,
non aveva colpa
quando
disse al marito ogni cosa
sì
ella
;
fue
e detto
ch'ella glicl' ebbe, di volere fare uccidere Tarsia,
el
marito disse, che non voleva. E quella
disse tanto, che
si
poteva fare, che non se ne
saprebbe nulla (117): acciònc ch'io sono
Apollonio è morto, e mai non torneranc
bàlia sua e morta, sicché
di lei
non ene
guardia niuna, sicché bene
e dagl'altra parte saiemo
si
chi
;
eh'
e la
prenda
puote fare;
sempre mai
ricchi
del tesoro (Il 8) delle ricche vestimentach' Apollasciò. Sicché, tanto
lonio le
disse Dionisa a
Stranquilione suo marito, ch'egli acconsentìe a
ciò.
E quando Dionisa ebbe
marito,
sì
mandò
alla villa
E quando e' fue venuto, ed
camera sua, e di>segli: Io
cida Tarsia
;
ed
io
ti
la
volontae del
per uno suo servo.
ella lo
menone
nella
voglio che tune uc-
promclto
eh' io
ti
farò
43
franco, e darottì ciento talenti d*oro. E qnegli,
adendo ciòne,
Che \'ha
disse:
Ed
voi la volete fare morire ?
di fare quello ch'io
lentieri lo facieva;
prometteva
:
die
Pensa
quegli mal vo-
pure gliele conveniva
era suo
fare, perch'egli
E
dico.
ti
ma
ella fatto,
ella disse
servo,
da
e
l'altra
di farlo
franco; e peróne
disse: lo farone cioè che voi
mi comanderete;
parte
gli
ma come
lo
tene, e fae
tene
bene arrotare uno
monimento
al
dera'ti di drietro
vi
Ed
posso io fare?
ella disse:
Vat-
coltello, e
vat-
della bàlia sua, e nascon-
ad esso; e Tarsìa, quando
ella
viene dallo istudio, se ne va prima ogni volta
lane, e dicie sue parole; e poi, s'ella vi viene,
sarai lane; e uccidera'Uo, e sotterera'llo nel sa-
bione.
E
dossene
bene
quegli disse, che
di presente fecie arrotare
al
uno
ora di partire dallo istudio,
l'
e Tarsìa, eh' era uscita,
nimento a contare
sì
venne a questo mo-
sue isventure; e quando
le
ebbe contato ogni cosa, ed
gli
el
ella se
servo uscie fuori, e
capeglì, e disse
rire.
E quand'
ella
:
Tarsia,
e' ti
sì
vuogli fare di
perch'io
gli
disse:
me? E
ne voleva
presela per
conviene mo-
lo vidde, sì
perchè più volte l'aveva veduto
qiiilione, e
E
monimento, ed aspettava Tarsia.
Ora quando venne
andare,
lo faràne.
coltello, e an-
lo
conobbe
in casa di Stran-
Che è questo che tu
che peccato ò
debbia morire?
Ed
e'
io fatto,
rispuose,
e
u
disse
Tu non
:
quando
ti
Conviemmi
Ed
peccato,
ma
tuo padre peccò
mano
di
Stranquilione e
con tanto tesoro. Ed
della moglie
sì.
ài
lasciò in
ella disse: Io
ti
disse
ella
pure morire? ed
egli
:
egli disse dì
priego, che tu mi
dia
tanto di spazio eh' io possa pregare Iddio per
r anima mia. Ed
si
gìttò
ginocchioni,
e cominciò a fare sue orazioni a Dio
sti
sopra sopra
le stava
el
capo col
v'
e que-
:
coltello
uno legnio
igniudo in mano. E stando così
corsali
voleva
egli disse, ch'egli cioè
volentieri. Allora Tarsia
dì
aparve, e vidono istare cosi Tarsia
ginocchioni, pensarono che questi
la
volesse
uccidere, e cominciarono a gridare a una bocie
Nolla toccare, che, se tu la tocchi, tu se'
:
morto. E vennero verso loro. E quando
vo
vide venire,
gli
sciolla istare.
ra, e
questi corsari iscesono in ter-
menaronnela
dell'uno,
via.
male arrivata,
vide così
e
piue (119).
lo
lieto,
Ed
lo
poteva
perciò che male volentieri
E quando Dionisa
domandò, come
istava lo fatto.
disse: Bene, ch'i'ò morta, e sotterrata
e'
Tarsia.
disse:
sì
ma non
servo la ne vidde mena-
l'uccideva, e tornò a casa.
lo vidde,
in sullo le-
E quando Tarsia si
gliene parve male
peggio dell'altro,
Quando
funne molto
el ser-
di loro, e la-
presono Tarsia, e menaronla
gnio, e
re,
E
ebbe paura
sì
E Dionisa
disse:
Bene
ista.
E
Ora mi francate, e datemi ciento
'1
servo
talenti
4o
d'oro.
E Dionìsa
disse
uccisa
una
nobile
ch'io
così
franchi
ti
criatura, e or
per paura
egli,
E
alla villa.
alla
villa,
ti
fa-
peggio,
di
marito e
'1
ch'ai
vuogli
ch'ai a fare; e se non, io
e fa clone
tornone
Come, mal servo,
Via tosto, vanne
I
rone battere. Ed
si
:
si
moglie
la
cominciarono a fare grande duolo, e pianto; e
feciono convitare
terra. E,
sì sì
quando
tutti
uomini della
gientili
e'
furono
e'
a casa
tutti
levò suso Istranquilione, e
sua,
moglie mal-
la
vagia (420) colle vestìmenta nere e scapigliata,
piangendo e sospirando per mostrare maggiore
duolo di Tarsia
;
e dissono
sapere che Tarsia,
morta subitamente
di
perciò
v'
alla villa; e
:
Noi
facciamo a-
vi
figliuola d' Apollonio, si è
male
di stomaco, e
morìe
abbiamo chiamati, perchè
voi ve ne condogliate per
amore del padre suo,
E coloro, udendo
che
vi fecìe
ciò,
furono molto dolenti, credendo che fusse
tanto beneficio.
la verità; acciò
erano
che
a
vestiti
nero, e
vedendo loro cotale duolo. E però feciono uno
monimento
bellissimo, e fecionvi dentro lettere
che dicievano così: giente, qui giacie tarsia
VERGINE, FIGLIUOLA
QUALE MORÌE
DI
D'
MALE
APOLLOMO
DI
MOVIMENTO ANNO FATTO FARE
E'
TIRO, LA
DI
STOMACO
;
E QUESTO
CITTADINI DI
TARSIA, PERCHÈ MAGGIORE MENTE SIEN0 TENUTI
PER LO BENEFICIO CHE FECIE LORO
Ora diete
lo
conto che poi eh'
N
e'
IL
PADRE.
corsali eb-
46
bono presa
sì
M
Tarsia, e messola in su
lo^no,
se andarono, e capitarono a una ciUade ch'à
nome
eh'
Mctaiina (121), ed erane Prencipe uno
nome
aveva
Antigrasso (122). K quando fu-
rono giunti lane,
sì
smontarono; e presono
Tarsia, ed altre ischiave, eh' avevano assai, e
menarole per
più bella,
tre.
E
che tutta
Udendo
missono dinanzi
la
si
aveva tante
Tarsia
l'altre,
E vedendo che Tarsia
terra.
la
era
la
terra la traevano a vedere.
lo signore della terra
s'incantavano; e quando
gli
la
vidde,
là
(123)
E
in
quello
uomini d'avere
feminc; e quanto era più
tempo
bella, più se
ne di-
lettavano. Sicché Antigrasso, vegiendo che
danari
XX
d' oro.
di-
si
le verginità delle
poteva avere se noUa comperasse,
ferse
pia-
gli
sì
disse: E' conviene ch'io l'abbia
la verginità di colei.
lettavano
bellezze
delle
andò colà dove
di Tarsia, di presente
que molto, e
all' al-
più che
bellezze,
E uno
sì
noUa
ne proche
ruffiano,
aveva nome Marchionne (124), udìe dire delle
bellezze di Tarsia,
come
andò
e Antigrasso la
Marchione
la
misse
presente lane,
a ducati
XXX
XL
d'
e,
oro
d'oro
:
:
e
misse a ducati L d'oro: e Anti-
grasso la misse a ducati
la
di
giunse, ne proferse danari
LX d* oro:
e Marchionne
misse a ducati C d'oro; e trasse fuori
Chi
danari, e
disse
mettcrone
a ducati
:
CC
la
d'
metterà più
e'
su, io la
oro. Sicché Antigrasso
47
gliela lasciò, e disse: lo
per
mettere
messa,
fare
a
sarò
io farò ch'io
affare di lei
;
sone ch'egli
servitjio
e in questo
la
vuole
come V averà
;
primo ch'averò
lo
modo averone
la
sua
verginitade. E quando Marchionne ebbe pagati
per lei C ducati d'oro, sì prese Tarsia, e sì la
se ne menò a casa sua. E quando fune lane,
sì la menone in una camera ov' era uno membro fatto a similitudine d'uomo (125), e questo
membro
era d'oro
e
di
pietre
preziose; e
quando fune dentro,
disse a Tarsia, ch'ella ado-
rasse a quello Iddio.
Ed
ella disse: Io
usa d'adorare cotale Iddio.
E' vi
E
la
ti
Ed
conviene adusare. E così
non sono
egli le
disse:
istette la notte.
mattina Marchionne chiamò uno suo fante,
ch'aveva nome Pocaroba (126), e
togli Tarsia, e
dissegli
menala nella camera dove
:
Va,
stette
Pinabella (127) giovane, e scrivi uno titolo che
dica: Chi vuole la verginitade di Tarsia paghi
mezza libbra d'oro; e poi, chi ne vole, paghi
uno danajo d'oro. Et Pocaroba disse, che bone
lo farebbe.
Marchionne
le
E quando
la
Tarsia vide colà dove
voleva mandare, dove istavano
peccatrice, incominciò a tremare da
insino al capo,
le si
sì
forte ch'ogni
disfacesse; e poi gli
si
piedi
membro pareva
gittò
a*
piedi, e
cominciò a piangiere, e con umile parole
lo
cominciò a predicare (128) che
gli
non mandarm
E quando Mar-
in sì fatto luogo.
piaciesse di
48
chionne
ebbe
1'
perdi
ti
assai ascoltata,
femìne, anzi sono per gua-
re pietà
delle
dagnare
di loro
;
averci dato di te
cosV.
r
e tu dei credere eh' io non
C danari
Peróne vae, e
E quando
altre.
Tu
le disse:
si
parole; io non sono quie per ave-
le
oro per tenerti
d*
che faranno
farai quello
Tar^ia vide che non pote-
va convertire costui,
sì
cominciò forte a pian-
giere; raa ciò non vale niente, che ire le vi
conveniva
là
dove Marchionne voleva. Allora
Warchionne comandò
menasse; ed
nolavi.
E come
se nella
sia
Pocaroba che
a
Pocaroba
vi fu giunta, e
camera: Chi vuole
paghi mezza libbra
d'
e poi,
;
come
sì
ne
egli
entrò dentro nella ca-
mera, ed entròvi isconosciuto; per ciò
era Prencipo della
lui
d'
andare
terra,
andare.
E quando
serrone
di
none
sì
la
:
ma
tan-
pure misse ad
si
Antigrasso
presente
eh' egli
istava be-
luogo
in sì fatto
to gli piaceva Tarsia, che vi
sì
Tar-
chi
iscritto clone. Antigrasso eh' era ivi pres-
so pure però (429)
ne a
me-
iscris-
la verginità di
oro
vuole, paghi uno danajo d' oro. E,
ebbe
la vi
prese per mano, e
egli la
vi
fiie
dentro,
camera; e poi
si
vol-
se verso Tarsia, che tanto era bella, che nin-
na altra era più bella
piangieva, ed egli la
di lei;
e vide ch'ella
dimandò quello
aveva. E Tarsia disse: Io sono
turata femina che mai fusse.
E
la
di
eh' ella
più {sven-
presente
si
49
gìttò ginocchioni a* piedi di lui, e disse cosi-
ne: Io
ti
priego per Dio, gientile uomo, che
tu abbia piatade, e misericordia di questa
is-
venturata e disconsigliata vergine, figliuola di
Re
e di Reina, la quale è ora ginocchioni a'
tuoi piedi
;
e priegoti per
amore
della tua gio-
ventudine, che tue non mi tolghi quello che
mi
tue non
potresti
che da poi che
poi rendere
mai. Pensa
tue la m' avessi tolta,
ista-
sera non te ne sentiresti nulla, e io sarei vituperata. Però
ti
onore; e vedi
io
do
s'
nacqui,
io
sì
piaccia di lasciarmi questo
sono isventurata, che quannacqui in mare; e come
mia madre m' ebbe partorita, ed
rìe,
e fue gittata in mare; e lo
ella si
la
mo-
mio padre mi
mandò nella cittade de Tarsia, e ivi sì m'accomandò a uno suo amico, « lasciommi una
bàlia, eh' era come madre
ed egli se n' an;
dò, e disse, che tornerebbe quando fussi da
maritare; ed egli è bene XllII anni che egli
andò e
ancora non è tornato.
più, e
Sì ch'io
sono cierta ched è morto. Poi questa mia
mi
bàlia, eh' egli
lasciò, sì si
morìe, a cui egli
m' aveva accomandata (130). E poi
a cui
io
rimasi
in
guardia,
volle fare uccidere; e
sono
qui,
ra'
i
corsali,
morta
la
donna,
per invidia mi
sarei, se
non Tos-
che mi presono, e menarommi
ed ànnomi venduta a Marchionne. Ed
à messa
al
peccato
;
però vorrei anzi
4
egli
es-
30
sere morta; e voi siete signiore di
me
Clone
che
fare di
Quando Antigrasso
piace.
vi
Udine costei contare cotante isventure, e
se:
udil-
ella parlava, presenegli piatade, e dis-
com'
la
Non
Dio
piaccia a
onore. Io
eh' io
doveva dare,
ti
verginitade,
mezza
voglio dare
una libbra
s*
tolga questo
ti
io avessi la tua
libbra d* oro
d' oro,
ed
;
io te
e non
E quando Tarsia udle
glio toccare.
ti
ne
vo-
la rispo-
rendè grazia, e prese
sta d' Antigrasso,
sì
r oro eh' egli
donòne. E Antigrasso uscìe
le
gli
della camera, tutto lagrimando della
piatade
venne della fanciulla. E uno suo cavaliere, eh' era venuto per ire apresso, adomandò: Come istà? Ed egli disse: Bene. E lo
che
gli
cavaliere di presente
la
entrò dentro, e serrò
camera; e Antigrasso
com'
ella
faceva collo
puose
si
ad udire
E quando
cavaliere.
Tarsia vidde venire lo cavaliere in verso di
gittone
lei, SI gli si
garlo tanto
che no
gli
a' piedi,
e cominciò a pre-
dolciemente, quant' ella poteva,
faciesse peggio eh' Antigrasso; e
ap-
presso le cominciò a contare tutte le sue isventure,
com'
ella
aveva
fatto
ad Antigrasso. E
quando questo cavaliere ebbe
role,
intese le sue
vennegliene piatade, e disse
Iddio che tu per
me
:
abbi disinore
Non
:
io
pa-
voglia
ti
do-
veva dare uno danajo d'oro, tenne (131) due.
Ed
uscì della
camera.
Si
Quando Antigrasso lo vidde gli disse: Come
Ed egli disse: Istà come tu voi (132),
istà?
che bene
camera. Quando
fue uscito,
ve
mi potevi dire innanzi
lo
trassi nella
sì
ve
avevano
n'
no
che
s'
egli
1'
fatto agli altri
avesse toccata
quanti lo die
;
d' entrare.
E
;
ed
toccare, e donoUe più che
volle
la
ne
eh' assai
altro vi fue entrato, e Tarsia
come aveva
feeie simile
egli
altro
eh' aspettavano
quando questo
SI
entrò un
n'
eh' io en-
lo cavaliere
ve
e così fecieno
;
entrorono dentro; tanto
n'
seppe pregare Tarsia umilemente. E quan-
gli
do venne
la sera,
ed
ella
portò quello oro a
Marchionne, e disse: Questo à oggi guadagniato la verginità mia.
E Marchionne prese
e'
nari in mano, e 'ntese bene le parole; e
rò
disse: Vedi quanto
le
tu
e più
guadagnieresti se tu
mente
agli
ridente:
non
che
zi
E
sì
ma
tu
stia allegra.
ista'
n'andò a
Ed
ella
letto, là
convenne tornare
istava lo die dinanzi.
ita
assai giente,
però
allegra-
pure piangiendo,
uomini
1*
E
;
sì
che
e peróne voglio
non
gli
dove
eli*
così istette la notte; e,
le
dessi
uomini, e stessi gagliarda (133) e
diletta così agli
se
guadagniato,
ài
ti
da-
pe-
rispuose
;
an-
era dìputata.
quando fue giorno,
camera là dove
alla
se Io die dinanzi v' era
altro die ve n'
andone più;
eh' era più isparta la bocie delle bellez-
ze di Tarsia. E quanti ve
n'
andavano, ninno
52
facieva villanìa
le
tanto
;
e'
seppe pregare
gli
nmilemente. E, quando venne
danari a Marchionne, e dissegli
oggi guadagniate
la
portò
la sera, sì
:
Questo à
verginità mia.
E questa
via tenne più dì; sicché
Marchionne disse:
veggio eh' a quello che questa mi dicie, eh'
ancora vergine
tanto,
pure
;
da
e
eh' ella
lasciasse fare altro. Allora
• disse
gine.
:
cotanti,
E Pocaroba
Come
disse:
uomini? E Marchionne
e*
te
;
la
;
ella si
sia
ancora ver-
potrebb' egli esiti
cotanti
disse: Egli è com'io
ti
ogni sera, eh* ella mi reche (134)
che
danari,
s'
chiamò Pocaroba,
credo che Tarsia
Io
sere, che già fa cotanti die vi sono
dico
è
guadagna co-
di lasciarsi abracciare, e baciare
guadagnierebbe quattro
ella
Io
eli'
sì
dicie
Questo à oggi guadagnia-
:
verginità mia;
eh' ella istia
però
e
io
non voglio
pine così; e però menala nella
camera, e tele (135)
incominciò a dire,
la verginità.
di
non
E Pocaroba
E
volervi andare.
Marchionne, col volto pessimo e reo,
gliò, e disse
:
Fa
ciò eh' io
giendo Pocaroba che
gli
ti
lo pi-
dico. Sicché veg-
pure conveniva fare,
menoUa nella camera. E
quando Tarsia si vide menare a costui, disse infra sé medesima: Con costui non potrò
io iscampare, acciò che costui è uomo di vile condizione, sì non ara piata di me; ma tutsì
pigliò Tarsia,
tavìa
e
ne farò mio podere
(136).
E
di
presen-
53
te, come costoro furono nella camera, la dimandò, e disse (137): Dimmi, Tarsia, se' tu
ancora vergine? Ed ella rispuose, e disse: Io
non
cielare; io sono ancora vergi-
voglio
ti
infmo che
ne, e sarò
piacierà a Dio.
E Po-
Or tu non puoi istare più vercaroba
se n' é avveduto; ed
Marchionne
gine, che
ammi comandato, eh' io ti debbia isvergìnare.
E Tarsia si gittò a* piedi di costui, che non
disse
:
onore, e cominciollo a
degnio di tanto
era
pregare tanto umilemente, quant'ella sapeva
più pregare, che no le faciesse peggio
avevano
aveva
fatto
che
dire,
gli
e
altri,
'I
lo
cuore
Ma
verso costei.
mandato
eh' io
priegare eh'
E tanto
fatto a costui (138).
Pocaroba
di
tuttavìa
s'
gli
aumiliò in-
disse: E' m' à co-
pure faccia ciò
;
ella disse
farai così;
quando tue uscirai
fuori,
avaro
danari,
di
chi, eh' io
che
che
domane
mettala
io
però eh'
;
ciò vuole fare,
e, se
faccia
e'
ti
è
così
gli
di-
io
istetti
mi saranno
que mi farà quistione,
sì gli
die
avere una carretta, e
d'
e faccia ragunare
alla
scuola bene
soneròne e canteròne
assai doni
ed
egli
vuoglio the tu
sì
in sulla piazza,
popolo: Ed
anni;
sì:
Tu
:
guadagnierò più a un altro modo
questo
in
di
no
se io
e,
mi farane male. Ed
digli
ella
seppe
lo fone, e'
domanderà,
il
che
fatti.
E
sì
il
dieci
bene, che
poi, a
chiun-
a tutti risponderò; sic*
54
che
questo
in
modo
io
guadagli ierò pinne da-
nari eh* io non fone cosìe.
ndlne cioè,
bene
a
Quando Poca roba
che questo dirà
disse,
le
si
egli
Marchionne; e farò quanto potrò che tu
abbi onore e non altro. Allora uscì della came-
Marchionne
ra, e
disse:
Come
istà?
se: Istà bene; e diciemi Tarsia, ch'io
vuogli, ella
se tu
non
ch'ella
bene. Allora
egli
ti
Ed
fa.
ti
egli dis-
dica che,
guadagnierà troppo
egli disse:
gli
Ed
disse
Che
più
ciò voleva
Pocaroba, com'
ella
era istata alla scuola bene dieci anni, ed era
savia, e
sapeva bene sonare e cantare
rò dice che tu farci
retta, e falla
gunare
el
portare
Quando venne
e pe-
nella piazza, e fa ra-
Tutto cotesto farò
1'
io
bene.
Marchionne ebbe
altro die, e
carretta, e Tarsia vi saline suso nella piaz-
za, e ivi
si
ragunò
sulla carretta. E,
na
;
avere domane una car-
popolo; e vedrai maraviglia. E Mar-
chionne disse:
la
d'
el
popolo, e Tarsia era
quando
maravigliava delle sue bellezze
si
in
fue, ogni perso-
vi
;
ella tolse
una chitarra, e incominciò a sonare e a cantare tanto dolciemente, che coloro, che sta-
vano
a udirla, pareva loro essere in paradiso:
tanto era dolce
sia.
la
n'
il
sonare
e
'1
E quando ebbe cantato
si
levò in piedi, e
à ninno
disse
cantare
e sonato,
:
di
Tar-
ed
Signiori, se
el-
ce
che mi voglia fare quistione, fac-
cela sicuramente,
eh' a tutti
risponderò bene.
y
Onde ve
n'
ebbe molli che
feciono
le
qui-
stione, e a tutti rispiiose saviamente; e rispìana-
vale
bene, che tutti
sì
suo senno. E, quando
maravigliavano del
si
ebbe
tutto cio-
fatto
ne, ogni persona le cominciorono a donare:
e lo primo fu Antigrasso,
E piacieva
assai.
che volentieri
Ma
1'
sie
poi altre gicnte
e
popolo
al
arebbono
cittade era
v' ella
era.
eh' a
niuno era fatto forza
la
colà
comune
sì
però
;
suo,
fatlo
lo
tratta di
do-
(139),
rimane.
Poi tornò Tarsia a casa Marchionne, e diegli
quello eh' aveva guadagnato
to,
grande allegrezza
to
ìstette
Tarsia più
faceva quistione, e a
tamente: e
di ciò
fatto
le
sì
questo
dì,
eh' ogni
persona
tutti
fat-
le
rispondeva compiu-
aveva tanto a fare, che del
;
e, se
niuno
ella
la
aveva
per V altre volte, pure con dolcie paro-
e con piatose
va forza, tanto
fatto.
E
in
:
gli
questo
e Marchionne non ne facie-
guadagniava
modo
cittade di Mettalìna
Ora
di quest'altro
istette
Tarsia nella
uno tempo.
dicie lo conto, che da poiché Apollo-
nio ebbe
accomandata Tarsia sua
Stranquilìone e Dionisa sua moglie,
dal porto
tante,
era cotan-
eh'
fecie. In
passava (140) com'
si
gliel'
le
suo corpo non era richiesta
richiedeva,
quando
e
;
ebbe dato, e Marchionne vide
e
di
Tarsia a
andonnc per
figliuola
e' si
a
partì
modo d' uno mercalo mondo intorno di
m
xml
anni o di XT. Or venne che
gli
pareva-
tempo di tornare a Tarsia per maritarla; ni
che comandò al nocchiere, che faciesse vela
pen aa4ar^ a Tarsia. E quegli dis$e, che beae
andare
Tarsia.
in
la vela
per
piacque a Dio
egli
incontanente dirizzò
lo farane: e
Come
ebbono buono ternpo, sicché
se in porto di Tarsia.
e
Apollonio iscese
in
pochi die giun-
E quando furono
terra
in
coli'
abito
lane,
che
aveva, e missesi in via per andare a casa del
suo amico Istranquilione, come colui che ben
la
Ed essendo
sapeva.
piazia,
bene
vide venire di
lo conoscieva-
E
Istranquilione
nella
lungie Apollonio, che.
di
presente se
n'
andò
correndo a casa, e trovò Dionisa sua moglie,
Mala femmina, tu mi
e dissele:
faciesti
cre-
ói^e eh* Apollonio era morto, ed eccolo che
viene per la sua figliuola, eh' egli tanto amava: or che
gli
risponderemo noi? Quando Dio-
nisa udìQ cioè»
gottita,
ma
non
fecie
come femmina
isbi-
presente argomentò, e disse
di
:
ogni persona crede bene che
Istranquilione,
Tarsia morisse di suo male per lo vedovati-
co (141) che noi ne portiamo: però
di
pre-
e
stiamo
piangiendo; sicché, quando Apollonio
ci Iro-r
sente vestiamci
venrà istare
eOsì, sì ci
istiarpo cosi;
vestirono
i
quegli drapi
e noi
neri,
domanderà, perchè noi
gliele
diremo.
panni neri eh' avéno
Allora
fatti
si
quando
ri7
feciono credere
a' Tarsiarli
morta. E stando
così tristi, e Apollonio ginn»
nella casa,
se
e
trovògli
parlò loro, e disse
od è mia? Allora
:
che Tarsia fosse
istare. Allora
cosi
È questa
vostra tre^lizia,
disse Dionisa
Io vorrei be-
:
ne ch'altra persona t'avesse dette queste novelle. Egli è
venne a
lei
ond'ella
si
le
vera cosa eh' a poco tempo apres-
morte
so a la
d'
Alicoride, bàlia
morìe; e noi
quello onore che noi
siccome
si
Tarsia,
di
grande male subitamente di stomaco,
conveniva a
la
sopellimo, e faciemo-
sapemmo
sì
alto
lo
maggiore,
corpo com'era
lo
E tu la potrai vedere a lido, noi le faciemo
uno monimento di rame colato (U2), e fa-
suo.
fare
ciem^iiivi mettere dentro.
E quando Apollonio
udìe questa novelb, fu molto doloroso, et dicie
Oggi mai non voglio
:
ma
io
avere più bene;
male, e in tormento, e
in
in trestizia^
e
menare mia vita infìno alla
morte. E quando ebbe detto clone, ed egli
disse: Dunque è morta Tarsia? Ed eglino
dissono di sie. E Apollonio dicie Or sono
'n dolore voglio
:
morte
le
vestimenta preziose, e lo tesoro ch'io
lecie
Ed
eglino dissono di noe. E ApolDove sono? E Stranquilione le
trovare. E Apollonio comandò a uno suo
vi lasciai?
lonio
disse:
servo, che le pigliasse, e portasselc
E
'4
servo fecie suo comandamento. E
.Ncnte
si
in
di
nave.
pre-
partìo Apollonio, e dicie che vuole ire
58
munimcnto
al
to lane,
to,
quando fune giunvi
erano
iscrìt-
e dicievano cosl:Qi:i giacie tarsia vergine,
D' APOLLONIO
FIGLIUOLA
MORÌE
DI
MALE
lette, e gli
s'
di Tarsia; e,
vide le lettere che
sì
DI
PRENCIPO
occhi suoi non piangiéno, ed egli
adirò in sé medesimo, e disse
simi occhi, e voi avete letta
mia dolcie
e non
figliuola,
come r avete potuto
in cuore,
la
fosse
fare ?
crudelis-
:
morte della
la
avete
morta
monimento, e
e di presente
;
gli
la figliuo-
non
lo
lucie.
nella Santina di sotto
dÌG«.Viul-
finire
i
E però
(U3); e
dì suoi.
do fune nella sentina,
isciese gìuso
là giuso, disse,
Ora
dicie,
aveva
lo loro Signiore
comandamento,
e',
cieva, di presente
;
ma, per fare
siccome fortuna
si
quan-
la famiglia sua, e'
rina] istavano tutti tristi, vogiendo lo
eh'
al
ven-
è fermo di sempre tribolare, e di
non vedere più
che voleva
dal
comandò
governatore delia nave che vada dove
to lo vuole menare, e eh' a lui
venne
partìe
si
ricolsesi in nave, e
or
pianto,
E questo
che non potesse essere che
la, eh* egli
CHE
DI TIRO,
STOMACO. E quando r ebbe
gli
ma-
dolore
lo
suo
condu-
partirone (<ii), e van-
nosene per mare come *1 vento gli menava.
Ora adivenne, come piaque a Dio, uno vento
misse
in
mare molto
forte, lo quale
per forza
condusse questa nave a Metalina, dov'era Tarsia tra le peccatricic. Quello die che vi giunse
59
cominciarono
s^
era pasqua, sicché
a
rallegrare alquanto, e a fare canto.
Apollonio
sì
no
si
ud'ie la festa
chiamò
cione eh'
e'
marina]
i
Quando
che costoro facievano
Che è
suo siniscalco, e dissegli:
lo
sento?
io
si
Ed
vostri marinaj,
egli disse:
e'
Messere, so-
che
famigliari vostri
rallegrano che sono campati di grande for-
tuna, e sono giunti a buona cittade: e anche
è oggi pasqua.
ne,
SI
disse
:
E'
E quando Apollonio
intese cio-
mi piace bene che voi facciate
oggi questo, che voi vi rallegriate; ed io voglio
piangiere e tribulare, e così voglio istare sem-
pre mai: e però dà loro dieci danari d'oro; e
di*
che vadano
alla cittade,
e comperino carne
fresca, e ciò che bisognia loro
siccome
s'
;
et faccino festa
uomo
io fosse (145) lo più allegro
mondo. E quegli dicie, che Io farane volentieri. E anche (146) vane, e comanda a tutti
del
quegli della nave, che ninno mi venga a parlare, e a
dare briga veruna per detto
na persona. E se ninno
mia famiglia,
e, se sia
Lo
io lo
tornò
suso, e
le
di niu-
e' sia di
gambe;
caccierò della nave.
siniscalco gli disse, che
lora
verrà, ed
farone rompere
io gli
marinajo,
ci
disse
bene
lo
lo farane. Al-
comandamento
da parte d'Apollonio. Ed eglino rispuosono,
che bene V ubidiranno. E poi diede loro
X
da-
nari d'oro, et disse loro: Andate nella cittade,
e comperate ciò che
vi
bisogna, e fate alle-
m
grezza siccoino l'anno
gli altri
uomini
et d*
;
pollonio non fate ninna ragione (ri"). E
A-
quan-
do cortoro udirono cioè furono molto allegri,
e tolsono e' danaii, e andarono alla detta cittade, e comperarono carne e altre cose, siccome avevano mestiere, e rccaronle alla nave,
e fornirono la cucina.
mangiare,
o
tutti
s'
E (piando fue
missono una tavola
sì
gli altri
come
marina], colla maggiore alle-
grezza del mondo. E assai nave
sone v'erano arrivate per
la
d' altre
per-
fortuna che era
mare.
in
Ora
nave,
assettarono intorno alla tovaglia,
facievano
ist tta
l'ora del
in sulla
dicie lo conto, eh' Antigrasso, Prencipe
andavano
della citlade, con sua giente
s'
lazzando sue per
mare per vedere
queste navi che
lo lido del
v'
erano arrivalo; e malto
pregiava di bellezze;
lodava quella
non
mai
vidi
bene
d'
sì
ma sopra
bella nave
re, sì di'jsono:
come
le
tutte l'altre
Apollonio, e diceva
fornita. E* marinaj,
nite' a
sol-
:
Bene
io
questa, e così
udendosi così loda-
Deh, signore, per cortesia ve-
mangiare con
vederete questa
noi, e
nave. E Antigrasso, siccome giontile persona e
di
buona
aria,
giente co
ed
e' lo
egli,
lui
sì
salìe nella
assai.
nave, e altra sua
E quando
furono suso,
vi
pregarono che mangiasse co loro
perchè non credessono ch'egli
a schifo,
sì
toLe uno boccone,
e
gli
:
Ed
avesse
mangioe; e
61
mano alla borsa, e donò loro X
Ed eglino, tutti ad nna bocie, dissono: Grand(3 merciè. E Antigrasso, vedendo
che tutti rispondevano ad una bocie, e non
poi
niisse
si
danari d'oro.
parve vedere tra loro niuno signore
gli
Quale è
sta nave, disse loro:
Ed
eglino rispuosono, e
non è
Ed
qui.
di
que-
vostro signore?
el
dissono
Messere,
:
e/
Or dov'è egli? Ed
egli disse:
eglino dissono: Egli è giuso di sotto nella sentina della nave.
(ione,
E quando
giuso? E queglino dissono
la egli
udìne
Antigrasso
Che
se ne maravigliò molto, e disse:
sì
E' vuole
:
fi-
nire sua vita in così fatta maniera per molte
disaventure, che
perduta
E
terra.
Ed
sono avvenute; ch'egli à
gli
moglie
la
in
mare, e
(eglino
figliuola
la
Com'à
Antigrasso disse:
dissono: Apollonio di Tiro. E
tigrasso disse:
Non
questa vita (148)?
si
Ed
potrebbe
in
nome?
egli
An-
egli trarre di
eglino dissono, che
non
credevano. Allora Antigrasso disse a uno de'
servi d'Apollonio:
gli
della
farò
terra.
io,
El
giuso a
e digli che
lui,
E
servo rispuose
mi vagliono
Antigrasso
disse
questo a dire che tu
disse:
:
al
signiore
Questo non
però ch'i'one due gambe, e poi n'ave-
rci quattro; più
tro.
Va
piaccia di venire suso a parlare
:
le
due che
Com' è
die (149)?
Io lo vi dirò. Egli à fatto
damento
le (|nut-
ciò ?
E
lo
Che è
servo
uno coman-
a tutti noi, che niuno gli dovesse an-
62
dare a parlare, o a dire nulla
e che qualunche v'andasse per alcuna cagione, e fosse di
sua famiglia, gli farebbe rompere le gambe;
e se fosse marinajo,
non
ch'io
caccierebbe via:
lo
sì
;
vi voglio ire a lui. Allora disse
sì
An-
comandamento non tocca a
di voi. Ed eglino dis-
tigrasso: Questo
non sono
pie, poi ch'io
sono: Messere, voi dite vero. Allora Antigrasso
disse
:
Io
anderò a sapere sed
posso trar-
io lo
re alla lucie. Di presente andò nella Santina;
e,
quando fune
Iddio
gli
rispose
a
Ed
ti
egli
anche
:
disse
Ben
:
E
egli
Iddio
Ed
non
sie tu venuto,
egli disse
:
Io
gli
salvi.
ti
salutato; per Dio, vaitene, e
ga.
ad Apollonio:
Antigrasso disse un'altra volta.
salvi Apollonio.
lonio disse
disse
E Apollonio non
credendo che fusse di
nulla,
sua giente. E
Iddio
là giuso,
Apollonio.
salvi,
ti
rispuose.
E Apol-
che tanto m'
non mi dare
ài
bri-
sono Antigrasso, Prenci-
po di questa cittade; e però ti priego per
amore di Dio che, questa ira e che questa gramezza che tu ti dai (ioO), che tu lasci oggimai, ch'assai Tài
lume, ed
E
gli
io
Apollonio
gli
ti
portata; e vieni
prometto
gli
ma
bene.
rispuose, che di questo, ch'e-
prometteva,
e mercicdc;
fuori allo
di farti assai di
e'
gliene
facieva
grazia
non era aconcìo d'andare
ad altra lucie: e però ti priego che tu te ne
vadi, e lascimi islare com'io sono usato, e conie'
G3
piere
i
dì miei
com'
io
sono posto
in
me mede-
simo (151). E quando Antigiasso udìne che non
si
voleva rimuovere di sua volontade,
suso
Ed
cavalieri suoi.
a'
eglino lo
Ed
rono, com'egli aveva fatto.
la
;
mo
ma
io
si si
egli disse:
mi sono pensato come noi
venire alla lucie.
E
dì
tornò
domandalo
Nulfare-
comandò
presente
a due suoi cavalieri eh' andassono a Marchionne, e dicesegli (152), eh' egli mi
sia (153).
dissono
:
Ed
mandasse Tar-
eglino andarono a Marchionne, e
Antigrasso
ti
manda
a dire, che tu gli
mandi Tarsia. Et quegli mal volentieri gliele
mandava: Ma, perch' egli era Signiore della
terra, non gli ardiva a dire di no. Allora chia-
mò
Tarsia, n muudolla
ad Antigrasso, che l'a-
spettava alla nave.
Quando Tarsia fune giunta
tigrasso le disse
:
Se tu mai
conviene essere, sicché
alla
nave, e An-
fosti savia,
tue riconforti
ora
ti
uomo
isconsolato, che è in questa nave, che sta pu-
re nella sentina a l'oscuro, e non vuole venire
alla lucie.
E però
ti
priego, che tu vadi giuso,
e procacci di farlo venire alla lucie.
Allora
Tarsia dicie, che volentieri lo farane; e mossesi,
e andonne giuso nella sentina.
ella vi fune,
sì
lo
E quando
salutóne, e disse:
Iddio
ti
uomo; e disse così perch' ella non
sapeva lo nome suo. Ed egli non le rispuose.
E quella anche lo salutóne. E Apollonio disse:
salvi gientile
94
Chi se' Ui che mi vieni a dare briga.
disse
Ed
ella
sono una vergine, che sono venuta
Io
:
a te per darti conforto, s'io posso, a
Ed
tua mala vita.
che tu dirai
egli disse:
questa
Vattene, che ciò
è opera perduta. E Tarsia
sì
non dica;
lasciò però che
non
comincia a dire
e
i^icntile uomo, che vita è questa che tu
meni? Truovi tune che, per menare questa vita,
così:
tu possi ricoverare ciò ch'ai
perduto? cierto
non credo; e però dèi pensare
in altro
di raquistarlo, se tu se* così prod'
com' io intendo. Intorno a ciò
savio,
buone parole e
ciò a dire di
duro cuore dei mondo
E
volto di volere.
si
dolci,
le
no
lo
più
ri-
asem-
ninno né
Tanto quanto Tarsia
le valse nulla,
che Apollonio a niente
si
sì
che
tuttavìa gli dicieva V
E quando
misse mano in
rispondeva.
assai,
così
comin-
(i5i).
ninna per
disse
gli
doverebbe essere
plo di sé medesima, non contando
nome
modo
uomo, e
e'
l'ebbe ascoltata
borsa, e dielle
C da-
nari (^'oro; e pregolla che se ne dovesse andare'.
E
vedendo che per parole ch'ella
poteva menare alla lucie, sì
Tarsia,
dicies&e
non
lo
E quando Andomandone, com'ella
tolse e' danari, e ritornossi suso.
tigrasso
aveva
la vide, sì
fatto.
E
la
Tarsia disse, che niente lo po-
teva ismuovere, e com'egli
d'oro.
lo
E
Tà dato C danari
Antigrasso disse: Deh, Tarsia, dov'è
senno tuo? Io
ti
priego quanto più posso che
65
tu ritorni giuso a lui, e réndegli
e fa ched
io
ti
e'
darò
danari suoi,
i
CC
danari d'oro, e terrotti tren-
ta dì fuori di peccato, acciò
che tu possi
ancora
vi
ritornerae
.
sente tornò ad Apollonio, e disse:
non vuogli venire
E
me-
E Tar-
glio osservare la tua verginitade (15o).
sia dicie, eh'
ed
torni alla lucie, se tu puoi;
pre-
di
Da che
E
alquanto qui a disputarmi teco.
voglioti pre-
gare, che tu mi rispondi alle quistioni ch'io
farò. E, se
questo
mi
renderò
e'
non mi rispondi,
tuoi danari, e partiròmì:
non sono venuta qui per
ti
mi partirò, e
farai, io
lascierotti istare; e, se tu
ti
tu
alla lucie, piacciati eh' io istea
io
ch'io
tuoi danari, anzi
per
tua salute. Allora risponde Apollonio, e disse:
Da
poi che tu pur
ciò che
ti
vuogli, die
piacie, ed io
ti
isbrigatamente
risponderone; perch'io
non voglio che tu credessi, ch'io volessi taciere
perchè tue mi rendessi e' danari. E di presente Tarsia cominciò la
questione,
mondo à una casa che risuona,
tacie; e amandue corrano insieme;
Nel
e disse
:
e l'oste
cioè la
Ora mi rispondi, che
è questo? E Apollonio menò il capo alquanto,
casa, e
e disse
l'
:
oste della casa.
La casa che
onda risuona; e
tacie; e
tu di'
l'oste suo
è
si
sì
aqua,
l'
la cui
è lo pescie che
araendue corrono insieme. Tarsia ancora
quistioneggia, e dice:
Una cosa
alle rive dell'aqua, e
dura infino
è che
al
sempre
istà
fondo (456),
5
e sempre guarda
dolci canti, e
si
cielo
al
favella
per
e
r
fanno
lei si
Rispianami questo. E
:
Apollonio risponde, e disso: La cosa che tu
die
dell'
ene
sì
canna, che sempre
la
gambo
fiondo dell' aqua, e l'altro
vorso lo cielo
;
e di quelle
alle rive
l'stà
gambo
aqna, e de' fiumi; e tiene V un
nel
isth ritto
canne
sì
in
fanno
si
muse, e stormenti da sonare con bocca, e puolesi
parlare con esse. Allora
un'altra quistione:
Tarsia
fa
gli
sì
Una cosa ene
molta
eh' è
bella e lunga, e corre, ed è figliuola della sel-
va, e
sempre
è
accompangnata, et fae
bene
grande giornata, e non
scia
mai orma dopo
Apollonio
le rispuose,
me
derti, io
risponderei
ti
che tu non
raviglia
sai.
come
allassa,
e
non
sì la-
Questa mi rispiana. E
e disse
gientile, se
si
si
sé.
Oi,
:
giovanotta
convenisse (157) di risponcose di quelle
assai
Ma dommi pure grande ma-
così giovane donzella
puote ave-
re cotanta iscienzia. La cosa che tu dine
la
é aecompangniata, e non
che è passata
;
ed è
andare. E Tarsia
è una casa
e non
gli
là
è
pare l'orma poi
e
non
si
allassa
quistioneggia, e dicie:
dove entra
lo
fuoco
d'
non
però
per
Egli
ogni parte,
nuoce, e duravi continovo
la casa, e
tore, e
si
figliuola della selva,
eh' è fatta di legniame;
è
sì
nave, overo galea, eh' è bella et grande, ed
:
ignuda
igniudo conviene essere l'abitagli
nuocie
lo
fuoco (158). E Apol-
67
cheta
Ionio le rispuose, e disse: Questa casa
dicie,
ene V Affrica (459), che sempre è
sì
calda
fuoco
e lo
;
dentro, non
e
Io
che
calore,
nuocie; ed è igniuda
gli
che non à dentro altro se none
dere
v'
entra
t'
la stufa,
sedj da se-
i
e igniudo
conviene essere quegli che
entra dentro.
Ancora Tarsia quistioneggia,
;
e dicie
Due spade sono congiunte
:
morde
l'aqua, e
meglio
per
profondo
(160) lo
della
:
na-
con due branche, che stanno in pro-
ve, fatte
fondo; e
si
non meni
ficcano in terra, perchè
via
le
navi.
il
Ancora Tarsia
un'altra quistione, e jdicie: Egli è
vento
gli fa
una cosa,
molto leggiere e cavernosa, e uasconde-
eh' è
r aqua, che non
visi
aqua
dell'
combattere. Risponde Apollonio
due ispade sono V àncole
Quelle
uno
in
combattono col vento, e istanno sotto
ferro, e
si
pare chi non
la
ne
caccia (164); perchè l'aqua che v'entra è grave. Apollonio risponde, e dicie
si
ene
la
:
Questa cosa
spugnia, ch'è leggiere, e per l'aqua
che v'entra diventa grave. Molte
fecie Tarsia ad Apollonio;
ma
fecie, le rispuose Apollonio.
di
altre quistioni
quante gliene
E quando
Tarsia
vidde che costui era così savio, ebbe pure voglia di
si
vederlo
alla
lucie.
Vegiendo
non poteva trarre per parole
là
lo
per
li
ella
che
Apollonio,
ne voleva trarre per forza, e preselo
panni.
E volendolo
trarre a sé, e Apol-
68
Ionio,
credendo che Tarsia
animo, per volerlo tentare,
/
dielle
per rio
levò
el
piede, e
un grande calcio nel corpo,
sì
grande,
Tarsia cadde
che
lo pigliasse
si
fortemente, e percosse lo
ginocchio, sicché s'insanguinava fortemente. Allora Tarsìa incominciò a piangiere, ed a fare
uno grande lamento, ed
disavcnture che
vi
li
a contare tutte le sue
erano avvenute infino a qui-
per adietro. E quando Apollonio ebbe
in-
teso tutto cione eh' ella aveva detto, lamentandosi per lo calcio ch'egli l'aveva dato,
co-
si
nobbe veramente, che questa era Tarsia sua
gliuola; e incontanente le
si
gittò a dosso, e
fi-
ab-
bracciolla, e baciolla, e cominciò a gridare; Ac-
corretemi, e tenitimi (162) a trarre della carciere, ch'i'one ritrovata
Quando Tarsia udìe
fune
la
Tarsia mia figliuola.
dire, ch'egli era suo padre,
più allegra femina che mai fosse al mon-
do; e quivi
si
feciono tale carezze, e tale festa,
che fue maraviglia. E istavano
abbracciati
non
gridava
Venite a trarre Apollonio
:
si
sì
potevano lasciare. E Apollonio
forte che
di
questa
prigione, poich' io ò trovata Tarsia mia figliuola.
come s' erano ritrocome Tarsia era figliuola d' Apollonio, e come quegli era suo padre,
fue lo più allegro uomo che potesse essere;
Quando Antigrasso
vati
e riconosciuti
udìe,
;
sapiendo che questi era Apollonio Prencipe
Tiro
:
di
e corsono tutti giuso, con grande alle-
grezza, e tiovarongli abbracciati. Allora gliene
menarono suso;
sia
aveva
quando
si
e'
la
e
quando furono
dinanzi
capegli
al
suso, che Tar(163), e
viso
vide ch'era così bellissima cosa, non
poteva saziare
grande fue
di guatarla, e
padre e la
festa che fecie lo
la
figliuola insieme.
E quando ebono assai fatto festa, e Apollonio
domandò Tarsia, com'ella era arrivata quivi,
e perchè modo. Ed ella gli contò tutto el fatto
per ordine, come avete udito per adrieto. E,
udendo cioè Apollonio, venegliene sì grande
compassione di
di piangiere,
lei
che non
tanti pericoli e disinori.
il
si
poteva saziare
pensando com'era iscampata
Una
di quelle
teneva in maggiore allegrezza
senno che vedeva
in
e
lei,
si
di
cose che
era
il
tanto
vegiendola tanto
bellissima.
In questo
modo
si
de tra loro è grande
E quando furono
ritrovarono insieme, onfesta, e tra la giente sua.
stati in
questa allegrezza un
ad Apollonio
:
priego, che tu mi dia Tarsia per moglie
;
grande pezzo, e Antigrasso
Io
ti
disse
e tu n' ài ragione, che io fui quello
noUe
feci villanìa allo
cominciamento, e
anno lasciato per me: ed
verità.
E
ella è
la
E Apol-
voglio pure maritare, acciò
lonio
gli disse: Io la
mi possa radere
capegli.
gli altri
quine che'l sa
Tarsia dicie: Bene dicie vero.
ch'io
e'
uomo che
la
barba, e torre l'unghia,
E però voglio
volentieri che tu l'abbi;
\
70
ma, innanzi
ch'io la
dea, voglio che sia fatta
ti
vendetta di Marchionne. E Antigrasso diiie, die
ciò vuole egli bene. Allora
sua giente, e fue
nare
popolo, e
el
partì Antigrasso con
si
palagio suo, e fecie ragu-
al
poi
Apollonio, Prencipo
venuto
disse: Egli è
di Tìrio, lo quale
dre di Tarsia, e molta giente
pa*
è
à sotto di sé qui,
e assai ne potrebbe avere. Ond' egli dicie, che
vuole che sia fatta vendetta di Marchionne, che
voluta vituperare la figluiola;
gli à
e,
se noi noi
facciamo, egli è grande Signiore, tosto potrebbe
danno
fare grande
savj
sapete
;
Quando
tutti
preso
Però voi
ch'avete a fare
egli, e
gli
:
Sia lapidato Marchionne. E
corse
popolo a
il
casa, e fue
Pocaroba,ele peccatrice, <h'aveva
inter (t<34) la casa, e
furono tutte
rubate, e
furono menati dinanzi a Tarsia, e dissolle
cione che tu vuogli che
che
ella disse,
si
Ed
E
di
Marchionne
sia lapidato.
la terra.
E poi
dissono: Di Pocaroba che volete voi che
Ed
cia?
di
male
ella disse: Costui
nessuno, perciò
vituperarmi, e non volle;
abbia
sciato.
dell'
E
avere
di
non voglio
ch'egli
si
io
si
le
fac-
ch'ab-
ebbe forza
eh' io voglio ch'egli
Marchionne, e che
cosi fune fatto.
Die
:
faccia dì costoro.
presente fue istraziato per
bia
siete
cioè.
in
popolo udirono questo, gridarono
lo
ad una boce
presente
di
alla cittade.
quello
sia
la-
E poi fue domandata,
quello ch'ella voleva che fosse fatto delle pec-
71
Ed
catrioe.
te:
ella disse, eh' elle
fussono lascia-
s'eirànno voluto lasciare vituperare
loro corpo,
fatto
si
si
incontanente.
E
loro danno.
tìa
Poi che fu
lo
cosìe fue
fatto
questa
vendetta, Apollonio isciese a terra della nave,
e
andossene
palagio
al
d' Antigrasso,
diede per moglie Tarsia ad Antigrasso
ed
;
ivi
e
di
ciò fecie grande nozze, e grande festa per la
terra; e grandi doni
festa più dì. E,
Baroni
a'
vi
quando
loro rieletti
feciono; e durò la
sì
fu fatto,
si
quando
si
tornarono
e'
convenne.
E
Apollonio, Antigrasso, e Tarsia rimasono alla
città in
grande allegrezza.
Ora dicie
lo conto,
che istando cosi uno tem-
po, una notte, che Apollonio dormiva, venne
a lui l'Agniolo
da
e disse
cielo,
:
Apollonio,
vattene tue, e tua figliuola, e tuo gienero
in
Efesso, e vanne ai tempio della Diana, che è
uno monisterio; e quando
all'altare
ed
l'altare maggiore,
ivi
avvenuto dapoi che
tu
patria; e contalo
alto,
udire;
e,
tu se' lane, vattene
maggiore, e inginocchiati dinanzi
sì
quando
partisti
da Tirio tua
che catuno lo possa
l'averai contato, vedrai e
udirai le maraviglie che
ebbe detto questo,
ti
sì si
ti
avverrà.
E quando
la
gli
partìe. Allora Apollonio
sìsiisveglioe,pensò molto a ciò che l'Angiolo
aveva detto. E
al-
conta clone che t'è
gli
mattina chiamò Tarsia, e annun-
zioUe cione che l'Angiolo
gli
aveva detto; e do-
72
mandolle, che
le
pareva di fare. Ed
'
ella gli dissd:
Che noi v'andiamo, e facciamo quello
ch'egli v'à
comandò che
detto. Allora Apollonio
nave
la
fosse fornita e acconcia di cioè che fané
stieri
;
e fa fatto suo
mattina
tra
comandamento. E
ricolsono in
si
e Tarsia e Antigrasso
:
meal-
1'
nave Apollonio
e feciono fare vela, ed
ebboDO buono tempo;
andarono per
e tanto
loro giornate, che giunsono in Efesso. E quan-
do furono
giunti
della nave, e
lane,
andaronne
s\
al
isciesono
E
e feciono picchiare alla porta.
domandò,
chi egli erano.
terra
in
tempio della Diana,
Ed
'l
portinajo
eglino dissono:
Qui ene uno signiore che vuole fare oferta
all'altare maggiore.
E
'1
portinajo disse: Aspet-
tatemi tanto eh' io vada per
la
E mossesi, e vane,
donna maggiore,
e truova la
parola (165).
e disse: Madonna, uno grande signiore
enè
vuole entrare dentro per
fare
porta, e
alia
offerta.
E
la
donna
in tanto eh' egli
e la donna
sòne
si si
in coro, e
E quando
eli'
disse: Vane, e aprigli.
andone ad aprire
la
E
porta,
vestìe robe preziose, e andos-
montò
in sulla carriera usata.
era così acconcia tutta
la
chiesa
risprendea, e pareva una Iddea veramente. E
gli
uomini e
le
femmine l'adoravano per
la
sua
santitade.
Quaiido Apollonio e
donna
cosìi
gli
altri
vidono questa
nobilemente apparechiata, pareva
73
loro grande fatto. R Apollonio andò, e 'ngiuocchiollesi a' piedi, e baciogliele; e cosi feciono
oatnno degli
E poi se n'andò Apollonio
altri.
dinanzi all'allaro maggiore, e cominciò a contare tutto per ordine quello che
come
venuto,
gli
era av-
detto t'one per ordine adietro.
E quando Apollonio ebbe
detto tutto, e la
donna
ebbe inteso tutto clone ch'Apollonio aveva detcorse ad Apollonio, ed abbracciollo, e co-
to,
nobbe ch'egli era suo marito, e
dissegli: Io
sono Archiitrata tua moglie. E quando Apollonio udìe questo, cominciolla a raffigurare.
quando l'ebbe riconosciuta,
ella lui,
ciezza,
eh'
amendue tramortirono. E quando
risentiti,
strata
Ecco qui
e
Apollonio disse ad Archi*'
Tar^i•a tua figliuola,
e Anti-
grasso tuo gienero. E quanda Ardiistrata
de
figliuoKa, sì corse,
la
ella lei.
che
za,
E questa fue
madre fecie
la
madre, che non
alfa
E
l'abbracciò, ed
con tanta allegrezza e con tanta dol-
furono
:
sì
vi-
ed abbracciolla, ed
tale festa, e tale allegrezalla figliuola, e la figliuola
si
potrebbe dire uè con-;
E quando ebbono
Archistrata andà
grande festa. E così is-
tare chi noilo avesse veduto.
fatto
ài
una
sì
grande
festa, e
gienero, e feciegli
tettono uno grande pezzo questi quattro insie-
me. E come Archistrata
ed
ella
andava
si
partiva da
l'
uno,'
non
si
po4
all'altro, e di ciò
tes'à saziare: tant'
era V allegrezza ch'ella aveva
7i
andò
Di ([iiosle cose
di loro.
eome
la terra,
donna maggiore del tempio
ro è anche una loro
nero
fue
e uno
l'
ne feciono della
che
festa
per
marito della
della Diana, e co lo-
lijj'liuola,
sicché grande
;
novella
la
era venuto lo
v'
loro gie-
alleg:rezza
e
venuta
loro
di
la
per amore della donna, che tanto V amavano
per
suo senno, e per
Io
la
sua santitade. Ora
dimorano nel monistero alquanti die;
do
vi
e
quan-
furono i4ati quanto parve loro, ed
s'acconciarono per tornare
quando vennono
loro
in
paese.
e*
E
partire dal moni,terio, ed
al
Archistrata misse in suo iscambio, cioè in suo
luogo, una buona donna e
entro, d'
marono
E
onde
fatto ciò s^
raccolti
in
al
su
Qtiando (160)
glio
tutte le altre
donne
tutti
loro.
h\
se ne chia-
partirono del monistero, e
si
mare
le
e
;
navi,
è
egli
quando furono
e
Archistrata
piaciuto
Ed
E
:
raccolti, e ritrovati insieme, io vo-
e'
il
reame d'An-
rispuosono, che bene piacieva
allora Apollonio
comando
tore della nave, che faccia
alla cittadc di Tirio.
farà egli
tutti
disse
che noi
Dio
a
che noi andiamo a prendere
tioccia.
era
assai contente.
audaronsene
siamo
santa, che
volentieri.
E
Ed
la
via
al
governa-
per andare
egli rispuose,
tanto
giornale, eh' eglino arivarono a Tirio.
do furono giunti
a Tirio, e
che ciò
andarono per loro
la
E quan-
novella
corse
75
per
la
terra,
come Apollonio era
presente serrarono
le slazzoni, e
tornato,
eli
corsone
in-
contro ad Apollonio, e ricievettolo con grande
allegrezza, e colla maggiore festa che mai fosse
E durò questa
vednta,
più
festa
Quando
dì.
Apollonio fu stato colla giente di Tirio quanto
gli
parve, disse, che voleva andare per lo rea-
me
d'Aiitioccia.
E
allora fecie Antigrasso Pren-
/ cipe di Tiro. E l'altro diesi mosse Apollonio
con sua giente, e tanto andarono per loro
giornate che giunsono in Antioccia:
po-
'1
e
polo, e'Baroni lo ricievettono con grande onore;
e
fecìollo
sta del
Re
mondo;
d'
e
Antioccia colla maggiore fe-
durò
E quando Apollonio
gli
la
corte assai
fu istato in Antioccia
giorni.
quanto
parve, disse, che voleva andare a vedere lo
suociero; e misse suo vicario in Antioccia An-
Ugrasso suo gienero. E, fatto ciòne,
si
fecie ap-
parecchiare navilio, e ciò che facieva mestiero
a
SI
fatto signore in
ricolse in
tioccia
sì
fatto viaggio; e poi
nave con sua giente
;
e paitissi d'
per andare a Pentrapoli. Or
gli
si
An-
pia-
que d'arrivare a Tarsia, e così cornandone
al
governatore della nave; ed eglino ebbono buono
tempo, e tosto
vi
giunsono. E quando furono
lane, e Apollonio fecie travisare Tarsia surf figliuola,
perchè non fosse conosciuta. E,
fatto
cione, fecie assapere al popolo della città di
sua venuta; ond' eglino con grande allegrezza
e onore
vcnnono incontro,
gli
mènaronlo
e
'af
mastro (467) palagio. Com'egli fu
fecie ragnnare tutto el popolo. E quando
smontare
Hi, sì
al
furono ragunali insieme, e Apollonio adimandò
a Dionisa Tarsia sua figliuola.
E Dionisa
spnose, che Tarsi* era morta,
sì
peva palesemente per
come
si
tutta la terra; e
r aveva sopellita nel monimento a lido.
ri-
^à^
come
Quan-
do Apollonio udìe questo, disse Io priego Iddio, se questo non è cosa che sia impossibile,
:
che
rivenga da morte a
Tai*sia
E
rà manifesta la verità.
chiamare: Tarsia,
fare, vieni, e
vita:
sì
ne
fa-
cominciò a
allora
mia, se tu lo puoi-
figliuola
manifesta la verità. E allora
fa*
Tarsia aparìe; e, quando fue apparito, Apollonio
domandò: «Com'è
ella rispuose,
come
ito
Dionisa
questo fatto? Ed
la volle
fare ucci-
dere a Teochilo suo servo; e morta m'avreb-
non che un legnio
se
be,
ne, e presonmi; e
alla
sì
fu dì presente
villa;
fu
ed
dere
Tarsia.
lutto
il
more
e*
mandato per
venne. E da ch'egli
dimandato, che (168)
muoja;
di
ven-
corsali
via. Allora
Dio-
che di questo non sapeva niente.
nisa disse,
Allora
di
portaronmi
Ed
egli
gli
disse:
lo
fu
venuto,
facieva
Dionisa.
servo
ucciAllora
popolo incominciò a gridare: Muoja,
e così fu
morta
di sozza
morte a re-
popolo Dionisa. E Stranqnilione fu
disaminato
di
qiiesto fatto.
Ed
egli
confessò.
77
eom'
acconsentì a questo fatto
egli
acconsentì, fu morto, e fatto
di lui, della
E
carne sua,
fatto clone,
che voleva che
come
domandato
fu
sì
sì
e perchè
:
grande
istrazio
conveniva.
si
Tarsia, quello
Ed
faciesse del servo.
si
che fosse lasciato, acciò che, per
disse,
ella
lo ri^
spetto che le diede ispazio di pregare a Dio,
campò ella da morte. E così fu fatto.
Quando Apollonio ebbe veduta questa vendetta,
pr^se comialo da' Tarsiani, e ricol-
sì
nave con sua giente per
sesi in
poli. E' Tarsiani
porto
;
e
quando
minciarono
ire a
Pentra-
l'accompagniarono infino
vidono partire,
lo
a gridare
tutti
al
co-
Iddio conduca a salva-
:
mento Apollonio nostro amico. E
così
si
partì
Apollonio colla sua giente; e tanto andaronp
per loro giornate, e sempre con bonaccia, che
giunsono a Pantipoli (169). E quando furono
andò
ìsciesi in terra, sì
chistrato,
e' gli
con
andò incontro,
E quando
fu veduta così
al
re Ar-
veniva; e di presente
E quando furono
della terra, e quegli
chistrata, corsonsi
loro.
novella
così vecchio com'egli era,
tutta sua baronìa.
poco fuori
insieme.
la
come Apollonio
egli vide
sì
iti
Apollonio e Ar-
ad abbracciare: e mai non
grande allegrezza come fu
E poi quando vide
che così grandissima
sta e r allegrezza
un
scontrarono
che
Tarsia,
festa.
si
sì
le fecie
E grande
tra
an-
fu la fe-
fece per la città della
78
tornata
grande
d'
Apollonio e di sua conipiignìu; e con
ì^ìoja si
stanno
tutti
in
Pantipoli,
s'ic-
thè niente manca loro.
Or
dicie lo conto, che poi eh' Apollonio e gli
furono
altri
contato per
tornati a
Panlipoli, sicome
ordine,
re Archistrato
il
v*
6
vivette
E quando venne
reame
suo ad Apola morte, sì lasciò mez/.o
lonio, e mezzo ad Archistrata. E così fu sopelpoi lino anno e poi morine.
lito
il
come
re Archistrato,
era loro costuma,
e poi incoronato Apollonio del
tipoli.
E da
Pantipoli,
sì
reame
di
Pan-
reame di
'ncoronò Antinaghoras del reame
poi eh' è incoronato del
d' Antioccia.
Dicie lo conto, che quando Antinaghoras fu
istato
alquanto tempo
con Apollonio,
gli
sì
disse Apollonio, che voleva che egli andasse per
lo
reame d'Antioccia. E Antinaghoras disse,
gli piacieva. E di presente fecie ap-
che molto
parecchiare navilio, e ciò che bisognio
cieva; e a un
gli fa-
tempo, come piacque loro,
sì
partì Antinaghoras e Tarhia da Pantipoli. Gran-
de
fu lo pianto
che
fé
si
al
partire
dall'
una
parte e dall'altra: e tanto andarono per loro
giornate che giunsono
ricievuti a
Da poi
tipoli,
il
egli
in Antioccia,
grande onore come
eh' Apollonio fue
comincio
reame; e
t-ì
lo
a
misse
si
ove furono
conveniva.
rimaso Re di Pan-
racconciare e assettare
in
poco tempo
in tale
79
(ito), ch'ogni
effetto
valcando un
mare
persona
contentava:
Apollonio su per lo lido del
d'i
di Pantipolì,
sì
si
ricordò del pescatore
che l'aveva ricievuto; e
per
si
pacie e tranquillità istavano. Onde ca-
in tanta
mandò
presente
di
e disse, che fosse menato alla sua ca-
lui,
mera, che subito andassono e trovassollo. E*
feciono
servi
suo comandamento, ed
andarono, e trovarono
il
eglino
pescatore, e mena-
ronlo alla camera d'Apollonio: ed egli v'an-
dò con grande paura. Quando
tornato, e
nella
gli
fu detto
come
lo
Apollonio fu
pescatore era
camera, e Apollonio andò dentro, e tro-
voUo, ed egli
egli rispuose:
lo sono colui
domandò: Conoscimi tu? Ed
E Apollonio disse:
a cui tu ramezzasti mezza la roel
Messer, no.
ba tua; e però, merciè a Dio,
tempo
lo voglio fare.
E
di
venuto
egli è
ne posso meritare
eh' io te
;
e però io
presente lo fecie
conte
d'un grande e beilo contado; e donògli tesoro e servi assai; e misselo
ch'egli
Un
grande
istato
Apollonio con sua compa-
dì istandosi
gnia in sulla sala,
da Tiro
:
{sbandito, che
E
sì
venne a
che
quegli
di Tarsia detto,
d'oro.
in sì
non sapeva più domandare.
che
non
gli
lui
aveva
l'amico (ITI)
in
su
'1
lido
Ke d'Antioccia
l'aveva
volle córre cento
talenti
il
gittoglisi a' piedi,
e disse:
ecco l'amico (172) tuo servo. Allora
Messere,
io
rico-
'
80
nobbe Apollonio; e
e
feciegli
bolla l'accoglienza
;
grande contado
bullo e
molto buon viso,
e fecielo
;
conte
d'
un
e donògli tesoro, e
multi servi.
Or dicic
che
la storia, eh-
Apollonio vivctie, poi
re Archistrato morì, settanta anni.
'1
E
in
questo tempo non ebbe veruna guerra nel suo
roatiic,
dc.
E^
ma
gi*ande pacie, e grande tranquillita-
grande sanità ebbe
al
corpo suo, e
tutta
sua girnte in gran gioja; sicch'egli neuna pena
liou
gliuoli,
in
in
<iOAìi\
tempo. Kd ebbe due
quello
quali regnarono
i
dopo
la
fi-
morte sua
grande prosperilade.
K però
dicre lo savro^chc ninno
disperare di cosa che
gli
Signore che ciò (i73) ch'egli
E
storale.
dicie,
bnuna persona;
merito.
E quando
sì
avvenga; che
la lo
dee mai
lo giusto
puote
ri-
che dobbiamo servire ad ogni
e Iddio gliene renderà
in
questo
fenduto,
gli
liBctiale.
Atì^nne, Amennc.
buono
mondo non gli fosse
mondo cie-
sarà renduto nell'altro
•;:*i<r><;>^-^
—
SAGGIO
DI
ALTUO YULGARJZZAMENTO
DELLA STORIA
D'
APOLLONIO
DI TIRO
TOLTO
DAL COD. MAGllABECHlAyO CLASSE
Questo
7
è
Vili.
If.
</575.
lèggere (ìli) d^ Apollonio di Tiri
di Puccio Benini, e scrtlto di sua
Anticamente aveia
bile e possente Re,
cW
è
mano.
(17o) in Antìocci^ì imo noil
quale aveia una sua
fi-
gliuola molto nobilissima di gentilezza e di bel-
lezza
ch'era
e
di saviezza, nata d'
islata figliuola
quale Reina,
una
sua moglie,
d'uno possente Re. La
come plaque
a Dio, mori, e lasciò
etade di Villi anni. La quale
questa fanciulla
d'
fanciulla istette
con una cameriera molto sa-
madre sua 1' aveia tenuta grande
tempo con seco: e quando venne a morte la
raccomandò troppo più a lei che al padre, suo
marito. La fanciulla era ne' Xllll iiuni tanto bella
che la natura non aveia cirato nulla di sue bel-
via,
che
la
8-2
Ed essendo cos'i bella criatura, molti erano
coloro che T adomandavano per moglie, e grande pressa ne facieiano a Re (i76) suo padre.
lezze.
Per
sì
la
grande pressa che
cominciò
i
Re
i
Signori ne facieiano
a pensare,
come
la
maritare più altamente a V uno che a
e quale fosse più
E stando
degno
nemico del ninferno
sì
che
a fare
suo volere;
il
d\ e la notte,
il
sì
lei
lei,
(177).
E
costretto, e recato
Re, islando una notte in
i
molto per tempo,
co
di essere
questa malvagia tentazione,
tina
altro,
venne volontade di
demonio l'ebbe
il
il
1'
sua figliuola.
la
cominciò a tentare, e
il
gli
ed ama vaia carnalmente
quando
aver
questo pensiero
in
costrin^elo
d'
potesse
sì
sì si
levò una mat-
comandò
a tutti
i
suoi
donzelli e sergienli, (he andassono in altra parte
uno
di fuori dal palagio: in
però che
poco
de matrimonio che vo-
istare a consiglio
cose segre-
Icia fare a la figliuola sua, e d'altre
te, e*
così
co
la
sua cameriera (f78). E, quando ebbe
mandato
ed andonno
E quando
fuori tutte le gienti,
a la
camera de
'I
fuoco do
gl'i
la
sì si
sua
la
sì la
vide
dormìa fortemente. E
maladetta lossurìa, e
"venne
mosse,
figliuola.
fue entrato ne la camera,
eh' era tutta iscoperta, e
siderio
voleia
sì
'1
mal de-
toito; e constrignendolo
si
ruppe
la
spogliò, entrò a lato a la fanciulla, e
sua vcrgiiiilade. E levandosi questo Re dolo-
roso da questo sozzi>simo peccato,
sì
gli
goc-
83
cioloe
gocciole di sangue in su letto de la
III
E poscia la donzella, piangiendo e
fra sé medesima quello che aveia
donzella.
pensando
fatto,
diventò
sto pensiero, la
vestire,
ismarrita che quasi
s\
E stando questa
uscita di sé.
cameriera venne a
lei
per atarla
come era usata e trovòla così sotrista. E la bàlia la guardoe nel volto,
sì
spirare e
fue tutta
donzella in que-
;
e videla così dolente; onde la bàlia fue molto addolorata di quello che vedeia a la don-
Perchè é questo dolore
di
tanto amarore che tu istai? La donzella le
ri-
dissele:
zella, e
spuose, e
che
disse:
me
sai,
te
debbo
ubidire,
mio segreto.
nomi
e disse
:
sì
ti
In questo
ci
sono
Perchè
mio
E
maritata sono corrotta
cato.
lò,
E
sai
eh' io a
manifestare
il
due gìenti-
letto
la bàlia le rispuose,
queste parole?
zella le rispuose, e disse;
sia
però
e
;
voglio
periti.
di' tu
che tu
bàlia,
raccomandò, come
ti
più che al mio padre
tu
lissimi
Cara mia
mia madre
la
Eda don-
Perché innanzi
ch'io
crudele pec-
del
co molto grande furore par-
la bàlia
e dissele: Chi sarebbe quegli
c4ie
avesse
tanto ardire di pensare di corrompere la flgliuola
de Re, o che pensasse
tuo corpo, o pure di toccare
tu giaci?
E
tendi bene
è spento in
la
:
io
me
donzella
ti
;
di
le disse
dico, che fu
il
ed a ciò che
sozzare
letto tuo
il
:
el
dove
Tu no mi
in-
padre mio, che
el
peccato e
la
1
Sì
macola
del
mio padre non
crudele morte addomando
la
sia
manifesta, una
mio criatore
al
(179):
morte mi pare uno rimedio, e piaciemi molto»
Quando
la balia
donzella
domandava rimedio
parole
la
la
intese queste parole,
Ed
che
la
morte, con dolci
confortava, e dicieale cosìe (180), e
ritornava in suo senno.
zella
di
conviene fare
la
Ma pure
don-
alla
volontade del suo padre.
pessimo
infra qiieste cose lo
Re
s*
inco-
minciò a dimostrare a suo* cittadini de
la
terra molto pietoso, ed
cono-
moglie.
figliuola,
Ed
desimo
s\
si
Qualunque persona assolverà
sì
averà
la
mia
figliuola
la saprà assolvere
E però
i
He
pensò
una quistione che
di fare
e'
di
che ninno non adomandi
ciò
a
sua
sicondo che fae marito co
donzella per moglie,
la
suoi amici e
molto grande allegrezza
scienti dimostrava
questa sua
a'
sì gli
Baroni
la
in sé
me-
dicieia così
:
mia quistione
per moglie; e chi non
farò tagliare la testa.
mctteiano, per la
si
grande bellezza della donzella, a morire per
lei,
e tutti coloro che
de
le
loro provincie
si
metteano a venire a solvere quella quistione.
E
se ninno ve
ne aveia, che per iscienza
lettera la sapesse
eh* egli
assolvere,
sì
dicieva
non aveia detto niente, e
ra tagliata la te>ta.
sapeva assolvere
ponevala
Ed
sì gli
i
di
Re,
eh' egli ava-
a ciascuno che
no
la
facieia tagliare la testa,
in sulla porta della cittade
per segna-
85
che a ciò
le
de
d'
la
c4ie
chi vi venisse vedesse la 'nsegna
morte. Onde poco tempo passò che
Antioccia aveia adoperato
il
tagliare la testa ad
cia
al
i
Re aveia
uno nobile signore
che non aveia saputo assolvere
apparìo per mare
Re
detto peccato
così trapessimo, in quella fiata che
fatto
i
porto de
quistione,
la
la città d*
sì
Antioc-
uno ciovane (181) e bello uomo; ed era saed era molto al-
pientissimo di senno naturale
letterato; ed era
;
Re d'una molto grande pro-
vincia, la quale aveia
nome
Tiro; ed aveia seco
molto belle ricchezze, e molto fornimento d'oro
e d'ariento, e molte navi: e
il
pessimo Re
d'
di
queste
cose
Antioccia no ne sapeia niente.
Quando re Apollonio giunse a la cittade, domandò de le costumanze ed intenzioni (182)
de la cittade d' Antioccia; e domandò alcuno
gie utile uomo de la terra, come
Re si pori
i
tava co' suoi cittadini, e con coloro che erano
che gìugnevano
forestieri,
al
porto della cit-
tade d' Antioccia. E quello gentile
rispuosc, e dissegli
a
la porta,
;
Io
Re
sì
uomo
gli
ha fatto iscrivere
che chiunque addomanderà una
sua figliuola per moglie, e non saprà assolvere la sua quistione,
sta (183)
si
averà
:
s>ì
gli
la
in
tagliare la te-
sua Ogliuola per moglie. La don-
zella è la più bella criatura
duta
farà
e dicie, che chi la saprà assolvere,
che mai fosse ve-
questo mondo; e però molti Principi,
86
e Baroivi, ed altri Signori ei
assolvere
quistione de
la
saputa assolvere; e
la testa
;
Re
'1
la
porta. Tutte queste parole ebbe
intese Apollonio da quello
usanza de Re
nanzi,
di
molta
;
e
senno,
del suo
scrittura,
e di gran-
molta prodezza che aveia
di
la
Baroni ch'era-
fidandosi
iscienza
de ardire, e
sé
più in-
sopra a
E veggiendo, e conside-
dicollati.
rando Apollonio, e
e
appiccate
quegli
la cittade di
istati
uomo de
cientile
Antioccia;e andò
d'
vide le teste
e
porta de
no
non l'anno
e
à fatto tagliare loro
e le loro teste erano, e sono ancora
appiccate a
la
sono venuti per
Re,
in
sentendo eh' era così gientile e bella e
graziosa donzella,
di volere
tioccia: confidandosi
stione, che lo detto
fermò nel suo cuore
si
sì
domandare
la
figliuola
bene
d*
Re aveia
de Re
An-
d'
assolvere la qui-
fatto iscrivere.
Ed
Apollonio fermandosi così di dire veraciemente quello
che dicie
fatto iscrivere (184).
Re
di Tiro
cittade,
l>io
scrittura che
la
E
'1
Re ha
potente
lo bellissimo e
cominciò a cavalcare dentro
a la
per andare a questo crudelissimo e em-
Re, per addomandare
per assolvere
la
la
sua
figliuola,
e
quistione, eh' egli aveia fatta.
E quando
lue giunto a la piazza, dismontò da
cavallo, e
montò
va, e
lui,
in su la sala,
venne dinanzi a
Apollonio
il
lui.
E,
dove
quando
i
Re
ista-
fu dinanzi a
salutò, e disse così: Magnifico e
m
potente Re, Dìo
sicondo eh'
che,
porta de
tuo
mantenga
ti
io
Re
la
nel
se'
malvagio Re, quando intese
'1
quelle parole e
istato,
ò veduto a
crudelissimo
la tua cittade,
reame. E
buono
in
veggio ed
saluto che Apollonio gli fe-
'1
che non voleia udire
cie, e vide (185) quello
né vedere, disse ad Apollonio: Saluti sono
molte
E
fatte.
venuto ed arrivato
messer
nome?
cittade,
Io
domandò: Come avete
E di quale provincia?
1' ò
nome Apollonio, e
e chi siete?
Ed Apollonio
sono Re
questa vostra
in
per essere vostro gienero, se
lo Re,
ve piacie. E lo Re
voi
di
Apollonio disse: lo sono
lo re
rispose:
per
di Tiro, e
bellezze
le
de
la
tua
donzella figliuola sono venuto, per averla per
moglie. E lo pessimo Re, quando udì parlare
Apollonio, fue molto tristo e dolente de la sua
addomanda però che
aveia udito nominare
;
re Apollonio per lo più savio
uomo
del
i
mon-
do: e guatò Apollonio con ciera e viso pessi-
mo
ed argoglioso, e
la quistione
de
la
disile
mia
lonio rispuose, e disse
a
lui:
figliuola?
:
A
la
Or
no
di' la
Re fue molto
disse ad Apollonio:
uomo se', da che tu
Ed Apollonio disse: Né ora
t'ò io detto niente de la quistione;
e intendi,
Apol-
quistione; folle
la sai assolvere.
non
lo re
porta della vostra
cittade la vidi iscritta. Allora lo
adirato, e co maltalento
Ha* tu veduta
E
Re crudele, che questo
eh' io
ma
ti
odi
dico
88
è la qiiistione ciré iscrìtta a
cìttade; ed io dico così:
porta de
la
terna carne vescor; qiiaero
la
tua
; mifralrem menni, ma-
Sedere
ve/ior
meae virum, nec invenìo, E il He d' Andisse: Bene 1' ài veduta e letta, ora
tris
tioccia
pensa d'assolverla; e se tu no
ti
farò tagliare
la
l'altre te>te degli isciocchi
me
assolverai, io
la
appiccare co
testa, e faròla
che sono venuti, co-
Ed ApolRe gli disse,
partissi da lui per pensare meglio come la potesse assolvere veraciemcnte. E pensando cos'i
se' tu,
per volere
la
mia
figliuola.
udendo queste parole che
lonio,
queste parole. Dio veracie
in
za magiore che non
la
diede iscien-
piima che ve-
E pensando sopra
nisse ne la cittade.
che
gli
aveia in
be ritrovata, e conosciuta
lo
i
ciò eb-
quistlone, e quel-
la
quistlone voleva dire; e mossesi, e
tornò addietro a Re, e fue dinanzi da
disse: Messer lo Re, questo è
il
lui,
ri-
e
proscioglimen-
to della vostra questione che avete proposta.
In quello
tisti,
e
che dicie
non
ài
:
scelere vehor^
materna carne vescor,
da (180). E
aveia soluta
lo
la
Re
suo peccato non
E
se'
lo
tua figliuola riguar-
la
quatido
iidìo
(he Apollonio
quistlone, e (|nello ch'ella vo-
leva dire, allora lo
'i
non men-
detto bugia; considera te stesso:
Re ebbe grande paura che
l'osse
saputo infra
Re iruardò Apollonio,
e disse:
le gienti.
Molta ne
dilungi ad averla assoluta la quistlone; tu
89
dei avere tagliata la testa
ed abbi termine
XL
;
e disse
Re: Va,
il
e pensa fra te
dì,
mede-
simo: quando tornerai, se tu averai assoluta
e
quistione,
tu
averai
mìa
la
figliuola
moglie, e se no l'avera' assoluta,
secondo
gliata la testa
la
legge eh'
Apollonio, quando ebbe ricieuto
sì
ò
i'
al
Ed
fatti.
coniiato da
il
Re, fue molto adirato, e partissi dinanzi da
ed andossene
ta-
fia
ti
la
per
lui,
porto del mare, e trovò la
sua giente che l'aspettavano, e salìo in su
nave, e cominciò a navicare verso
la
Tiro sua
Ed incontanente che Apollonio fue parRe chiamò
tito dinanzi da Re d'Antioccia, e
uno suo dispensatore, il quale aveianome Ta-
patria.
i
liargo, e disse così: Taliargo,
mio fedelissimo
amico, sappi che Apollonio di Tiro à assolta
mia quistione veraciemente
la
;
e però voglio
che incontanente e sanza dimoranza entri
una nave; e voglio che tu
in
lo vadi cacciando;
e quando tu sarai giunto in
Tiro, ciercherai
di lui, e se lo trovi, incontanente l'occidi: e
quando
tu tornerai, io
ni, e farotti
ti
darò grandissimi do-
franco cavaliere. E Taliarco tolse
incontanente quegli compagni che volle, e
se
arme ed
al
mare, ed entrò
andonne
lonio
Ed
il
altre cose,
i
tol-
ed andonne incontanente
(187) mare, e
salì
i
nave, e
ne le parti di Tiro ne la patria d'Apol-
quale era sanza peccato e sanza colpa.
Apollonio navicò tanto che fue giunto a
90
Tiro
prima che Taliarco sponditore de Re
d* Antioccia.
Ed Apollonio
entrò nel
suo dentro a Tiro, ed entrò ne
la
palazzo
camera
uno ìscrigno dove aveia suoi
e trovò
sua,
libri,
ed
aperse lo scrigno, e trassene fuori uno libro,
e guardovvi entro, e non trovò altro che avesse detto de la quistìone (188) che aveia asso-
Re d' Antioccia. Allora Apollonio disse
medesimo Che l'arai Apollonio ? La
ài assoluta, e la sua fiquistione de Re tu
luta a
infra se
:
1'
gliuola
non
avesti. Istando
questo pensiero
che
uscì di
comandò
gio suo, e
ti
sì
a'
così
e del pala-
suoi donzelli e sergien-
molto fermento (180) fornissono
di
nave sua, e
di
molto oro, e
fue fatto
il
compagni
la
di argento, e d'a-
vere, e di vestimenta preziose.
di Tiro,
Apollonio in
camera
Ed incontanente
suo comandamento; e co pochi suoi
fedelissimi in su lo
ed entrò
co di mare
in
primo sonno partì
nave, e entrò
....
-T.-6.S«S^««'&^-«^
in
pela-
N
E
1
(1) Antioccia. per Antiochia.
(2) EiBB sta qui
per
fii^
ma non
così appresso.
(3) STAKDO UNO TEMPO, e pOCO SOttO STANDO PEB
TEMPO
e simili, valgono
DSO
Dopo alquanto tempo. De-
corso alcun tempo.
(4) La particella e appare qui superflua. Spessissimo
ridondanza, non
trovasi nel nostro scrittore questa
rara neppure in altri Hi quel secolo.
(ò)
Talmente che, Di maniera
(fi)
RiMAHENDo. Intendi rimasta sola.
(7) Così sta
il
testo ciie
modo conrunpezione
che.
forse è viziato. In o^ni
o corrumpezione è voce insolila,
e vale corruzione.
LA.
(8)
ranno
(9)
è qui
siÉfalli
Il
efficacia al discorso
glia significare,
P.e
volte
era
trove-
si
ma
verbo dovere non è qui ozioso,
dar maggiore
del
ridondante. Soventi
pleonasmi in questa scrittura.
che
l'
:
quasi
serve a
la balia
vo-
eccesso di aver violato la figliuola
talmente
grave, che chi lo
commesse
dovette quasi suo malgrado esservi trascinato.
(10) Dubito della sincerità del lesto.
Il
latino
impietas fecit hoc scellus. Forse stava scritto
pietate, che
spietato.
il
menante sbaditamenle convertì
/'
ha:
em-
in lo
9S
(11) Iniquo sentimento di
donna malvagia.
(12) iNTEM)iMEKTo Sta qui per Desiderio.
(l3)^Cioè Tiro
Tyium.
li.t
il
(14) In vece di del Rcy per vizio di pronunzia che
popolo; e cosi poco sotto
lutto giorno senlesi nel
vece di
c/ie'7?e, in
c/ie
d
Re.
(15) Nel codice è scritto entese^ che ho reputato er-
rore del copista, correggendo e 'nteso.
(16)
testo latino legge cosi
Il
audi ergo qnaestioneni
ne
iitor
;
;
indignaius rex ait
:
scelere vehor
:
materna car-
/
quaero fratrcm menni, malris mtae
vi-
riim, lice iiwenio.
(17) La particella ne
qualcosa
;
e di
f;«tti
fn la
manca
la
spia che qui è difetto di
risposta alla
prima parte
che rimuse nella penna del
della questione,
Perchè possa supplirvisi
riferirò
il
copista.
testo Ialino:
Bone
rex^ propositi sti quaeslionemj audi ergo s lulionem
nam quod
/e
ipsum
respice.
vescor^ nec
(18)
dixisti
;
scelere vehor,
Quod enim
hoc es mentitus
non
dixisti
;
:
filiam
Con quale intendimento
^
cs mentitus
;
;
materna carne
tuam
intuere.
Perchè.
(19) APPORTARE è nel senso di Recare a porto.
Fare
approdare.
QO) Reputo
guasta
la
lezione del codice
tendo stare siniscalco come sinonimo
e che dehbasi leggere in vece
scalco, cioè Taliarco. Infatti
cavit rex dispensatorem
:
il
di
(
non po-
maliscalco\
chiamò un suo
testo latino
ha
sini:
vo-
suum, Thaliarchum nomine,
cui ait: Thaliarche ec.
(21)
Appena
che^ Subito che.
(22) avevano.
avviene perchè ec.
(23) PERCIÒ CHE. Intendi Questo
93
(24) Krequentissuiie sono in questa scrittura simili
Come
paragogi.
qui
<>»/ie
vece di ò,
in
si
troverà poco
sotto cosine in vece di cosi; in seguito lane iu vece
di là^
fune per
amò
anione per
/*«,
vadasi
e così
;
discorrendo.
(25) SOPRA CIÒ. Oltre questo^ Inoltre.
(26) COME equivale qui a Che cosa, Qiial caso.
(27)
Non
gli
era niente
utile.
Non
recava nes-
gli
sun giovamento,
(28) DINANZI.
Sembrami che
biano bene apprezzato
posizione
ili
alcuni
il
parlari:
scampare dinanzi;
Vocabolaristi
i
non ab-
valore che ha questa pre-
Qui
sta
:
non
gli
potrò
poco sotto pag. 10: voe fug-
e
gendo dinanzi al re Antioco.
Neil'
uno
e nell' altro
caso volendo spiegare, colla scorta del Vocabolaiio,
la
preposizione Dinanzi per Jlla presenza. Avanti, se
non
erro,
si
renderebbe non in tutta
la
pienezza
A mio credere
iu
ambo
concetto dello scrittore.
nella preposizione suddetta sta
insita
secuzione, ira o simili; e Fuggire o
ad alcuno equivale
a
l'
idea
il
casi
i
di per-
Scampare dinanzi
Fuggire o Scampare dalle per-
secuzioni d alcuno; cioè da uno che viem» incoulro,
e sta, per cosi dire, in faccia colla sua vendetta.
(29) ACQUA. DOLciE
il
petamus. Forse qui
Terra ove
l'
acqua
sta
salsa
ha
lai.
ò detto
:
liltus Tarsi,
Acqua
Tarsum
dolce per Lido o
l'acqua dolce; per contrapposto
al-
o mare, ove allora trovuvasi Apollonio
col suo naviglio.
(30)
11
testo latino ha
(31)0 dee
leggersi
il
sempie Tarsum.
Re
d'
Antioccia, oppure
Antioco.
(32) AIE per ha.
Forma
antiquata.
//
re
(:ì3) Il testo
lai.
(i4) AcxioocRÈ,
Slningnlio o Slrongulio.
come molte
volte in qtiest.i
iiltre
sciitlura, sta per Imperciocché. Avverto (he ucl co-
dice era scritto acciò chcna^ e oon sapendo cav;<rne
costrutto ho creduto correggere acciò eh' ene; e po-
trebbestare anche acciò eh* ànCy ovvero acciò
è
una. Questo periodo
lesto latino cosi: Slrangulio ail:
vilas nostra
pauperrima
bìUtattm susiinere
:
Domine Jpolloni^
est, et
non
sed
/
,•
ci-
luam no-
potest
praeterea durani
sfam steriliiiitem patimur annonae
bus nulla spes salutis
che
chiaramente nel
legge più
si
famem et
sae-
nec etiain
civi-
crudelissima mors est
ante oculos nostros.
Manca
(35^
(:ìG)Qui
sci:
disse,
la sintassi è
Quando
el
popolo
alquanto scompigliata^ costruisaprà, non che
il
solo sarai) sicurato dal re Antioco^
ti
sicurerà
gulio
.
.
.
da
ait
tutto el
:
tati subveneriSj
sed
si
Dopo
mondo.
Il
non
( cioè,
ma io
credo che
testo lai
:
Stran^
Domine Apollonia si esurienti civinon soluni fugam tuam [cclabunt
,•
necessitas fuerit, prò tua
di ciò prosegue più
salute dimicabunt.
compendiosamente: Àscen-
dens itaque Apollonius tribunal in foro, cuntis
vibus praesentibus dìxit
(37)
11
:
volgarizzatore ha qui voluto allargare
sto latino, riportato nella nota precedente, e ( se
non
e colpa del copista
sentimento. Doveva dire
)
:
ci-
Cives Tarsi ec.
il
ne ha malamente reso
E
le-
pure
il
Apollonio sali in sulla
ringhiera, e incominciò ec.
(38) FECE
LORO
GRAZIA, valc
anche appresso pag. 40, e
(39)
E
gli
ringraziò
,•
e cosi
altrove.
chiaro che qui parlasi di denari di rame o
95
metallo, e
altro vìi
di
poco sotto; e
non
nei
di fatti
di denari
come
d' oro,
testo latino
chiamano
si
aerei.
(40) Così sta nel codice,
ma
volle correggere la lezione
si
conosce che
esemplava, o riprendersi colle
voleva
ch'egli
non
;
gli
voleva; Vale
copista
egli
non
parole cioè
e di falli la vera lezione
non
il
quale
del testo dai
gli
deve essere acciò
a dire
imperocché egli
gli voleva,
(41) is VECE vale in sembianza. Veggansi altri eserapj
nel Vocabolaiio.
(42) In cambio di missonla per idiotismo.
(43) Cioè
Immagine^ Figura^
Rilratlo,
Dimorarcy Albergare;
(44) TORNARE vaie qui
questo senso avvene molti esempj nei
e
in
classici antichi.
(45) sturai piii sicuro,
(46) Si costruisca
:
udendo quello {che) Istranqui-
liane gli dicieva.
(47) E ÀvvEM«E TANTO cc.
qui guasto. Nel
modo che
Ho dubbio chc
come piacque a Dio^
il
punto
tempesta ec.
eh' essi ebbero
testo sia
il
sta puossi inteudere: Poiy
tempo
cambiò^ e giunse al
si
(48) gittato sulla riva, ed ha lo stesso senso Arri-
vare anche poco sotto
a pag. 15, e altrove.
ma
(49) La parola principe m;inca nel codice,
cessaria per
giunta col soccorso del testo
li
ne-
è
discorso.
L'ho ag-
tino che dice,
Ego sufn
rendere compiuto
il
Tyrius Jpollonius, patriae mea^ princcps,
(50) LABBIA sta per Sembianza, Aspetto, Faccia
erra
il
;
ed
Vocabolario dicendo, ch'c voce piopiiadei poeti
soltanto
(51) Tornare in grazia
vale
Tornare
in
buono
96
sialo.
Il
Intino
dìgnitnti fune reddilus f'iuris.
si
:
(52) Cioè, in sua grazia,
( j3)
fin che giunse.
(.'»4)
GioocARE.furc alla palla.
(55) Maestria, Eccellenza.
però reso esiiltamcnte
comf
del latino, che sia
accessit
in
ad Regcm
;
et
Il
tracUulore
questo periodo
il
non ha
senli:nenlo
segue: Jpollonius constanter
acceplo ceromale, docta
multum
circunifricuit enrn tanta subiiiiate, ut
manu
ei
prò-
fìccret.
(56) Cioè venne
il
tempo.
(57) Vuoisi soltinlendere disse^ e spiegare e disse:
Menatelo a me,
(58) onorevole,
nonne paragoge di non,
(60) a perdere V appetito,
(5y)
(61) TANTO per soltanto.
Maniera,
(62) Atteggiamento, Portamento^
(63) Stato, Condizione.
(fiV) 11 test. lai.
Apollonius
;
si
Jpollonius ait
opes, in
mare
:
nomea
si
perdidi
; si
quacris
vero nobi-
litatemi Tyri rei igni.
(65)
Manca
il
Re,
(66) Onorevolmente, Decorosamente.
(6y) Cioè ricevette quello che gli
e
ne rese gratie al Re
veniva
donato,
e alla figlia,
(68) Arricchito, Fatto ricco.
(69) Cosi sia nel ftodice in vece di gittoglisi.
(70) Si sotlinlenda lo conto.
(71) Intenderei, che l*amore d'Archislrata per Apol-
lonio era giunto a
ili
I
tal
punto che
elhi
non poteva andare
innanzi, cioè amarlo di più, nò andare addietro,
eiuè cessare d' amarlo.
97
(T2) Costruisci
Sta>do
ec.
E
:
così è
stando
un
così
forma avverbiale
dì lo Ile prese
Può però dubitarsi cbe
vai^, e .vale Intanto,
di
questo e del susseguer)le periodo non
li
lai.
Rex
ha:
num forum
osser-
altra volta
lezione
la
sincera,
sia
maEt duni cum eo
post paiicos dies, tenens Apollonii
civitatis ingreditur.
deambulareiy ecce juAftnes twlnlissirni tres ec.
(y3) consenso,
(74) suH. Qui a su
si
vede «ggiunt»
l'incontro della tnedesiniia vocale
1*
Ida Ila
parola susseguente, ed è lo Slesso
la
sun
è liniasto solo al
inenOt
senta
Lucchese
al-
In sun un albero. In sun una
tuttora
'l'ce
fuggire
sur. Oggi
che
che, nel
volgo
n per
quale eomincia
ce.
(75) Super di buono vale Esser
gradito.
Il
latino
ha gratular.
(70) Sollinlendesi
(72* DESSE
dal
il
Re.
per deste. Configurazione non avvertita
Na DO ucci.
(78)
Il
discorso non proc«de con tutta regplariTà,
e seinbia che qualche £OSa vi
medesimo
è
il
seguente:
non intendeva bene
la scritta
teva niente risolvere, se
la risposta della figlia.
spesso
fa,
persona
iJÌQ)
)\^
continua
alla
si
/?/.?5e
il
,•
desideri.
senso del
e che però
non po-
prima non sentiva meglio
Dopo
di
discorso
che
lo scrittore,
passando dalla
come
tetza
«
prima.
soMMuoVEUE
Il
a quelli Baroni che
Sta qui
per Invitare.
.11
testo latino
vocavit,
(80) E MAGGionE COME MAI, cioò chc
fu mai tra marito
(81) scienza.
e
maggiore
moglie.
•
7
non
(82) farglielo.
(83) intanto.
(84) Vale Crucciata^ Addolorata.
lacrymis
(85) Qui
manca mio,
(86) Se deve avvenire^ Se accadrà mai.
sollo
il
5.
profusis
lai.
Il
ait.
XXX
Il
Mauuzzi
Cosa avverte che questa voce ha
di
significato di Caso, Jccidcnte. ^iny (\\cendo\o
COSI geneiico,
offre
1'
sembrami poco
Marco Polo
pio di
1'
m
il
wodo
esatto: poiché nell'esem-
che
eh' egli allega, e in quelli
Istoria d* Apollonio, trovo
che
ci
Cosa prende
avvertito significalo in alcune speciali forine di par-
lare condizionali, ed
come Se cosa
accompagnata
dal
fosse, Se cosa sia, ed
veibo Essere
altre
in
;
con-
simili.
(87) dispiacesse,
(88)
quando
le
sembrò
il
momento opportuno.
(89) gli rincrebbe,
(90) lulendasi
:
non
ai>e\fa
vcrun altro
figliuolo
ne
figliuola,
(91)
Non
è Apollonio che
comandò, ma
il
re Ar-
come meglio si vede nel testo l'alino: Rex
exilaratus jussit navem produci in litius, et omni^
chislrato,
bus bonis impleri.
(92)
f'eccvi,
(93)
Ho messo
le
parole in
vano nel «odice,
ma
non
come uno
ci fossero, e
pista, dal quile intese
mare perchè si trocome se
voglionsi considerare
con
scorso di
eggers;,
penna
del co-
soggiungendo cioè
in nave,
(91) Per molto.
(93) Cosi sta nel Codice,
ma
è
manifestamente scor-
90
retto.
sero
lesto latino ha
Il
secondo
Sed secundis venlis
:
max
lezione
la
Vel-
Uel
eunlibus^ coagulato
sanguine, conclusoquc spiritu cffccta
mor-
sìcut
est
E se. ondo lesto publiCi»to d;d Lapauine Saevo
ore ventorum flantìuni congelato sanguine^ conclu-
tila
il
:
soquc spiritu defuntae rcpraesentans efftgiem.
(96) Per /flcc/a. Altre volte
desinenze
di
nomi che
si
si
troveranno qui alcune
moder-
discost<ino dall' uso
no: basti «ver lo solo una volta avvertilo perchè
nQn
prendansi per errori tipografici.
(97)
V espressioni
questa
/ii
bile
criaiura non po-
rimanente del
lendosi regolarmente c^llegare col
scorso,
(
piuttosto che
una capestreria
che pur non son rare
ture
del
in
nella
di-
sintassi
questa e nelle altre scrit-
trecento), reputo che sieno un' esclama-
zione frapposta dal desolato Apollonio nel suo pasr
sìon.ato
monologo.
(98) e così istandole ec. Ecco
sta in
che
lo regoli.
(99) In vece di
ha
il
non
testo
un
al irò
periodo che
gambe, tnancandovi un verbo principale
non
Ialino
mare dee
il
:
corpus
leggersi la nave,
inortuurn nnvis
come
sufferre
valet.
(100) NAzio>E per Schiatta,
(101) Efeso.
(102)
Il
testo latino
(i03) Qui e sotto
la
il
eadcm
die,
traduttore usa impropriamente
parola Monistcro, poiché nel lesro Ialino sia inter
sacerdotes Dianae templi.
(104) noMSA è qui in senso
di
Monaca
MACGioBE, vale Superiora^ Abbadcssa.
(105) SlatOy Condizione*
;
e
donk4
(106)
testo
Il
ha
latino
Inravit
:
ncque barba ni
n€4jue capiUos nec ungulas lonsurum, nisi prins
6am suam
Manca
(107)
fi-
dedisset in matrinwniiim.
sua.
(108) bene complessionata.
(i09J Cioè: come
tratteranno dopo
sì
porteranno con
(ilO) Da quanto segue
e che
la
andava
te,
o
come
ti
ec.
vera lezione
scorge che qui è cuoio,
si
(lev*
essere e none, ovvero
non
allo studio,
(111) IRA per Dolore,
(112) WTossA. Cosi sta nel ^.odice iu vece
di pietosa.
(fi 3) brutta,
(J14) Credo dtbba leggeisi
(Uà) Anche
ov' era girntc assai.
:
qui leggerei ingenerarono
come pico
opra.
Cioè non aveva colpa nessuna
(Ilfi)
per
hi
d' essere lod;ila
sua bellezza, e che fosse dispregiata
la figlia di
OlonìBia.
(117)
tic<t
Si
avverta anche qui
disCórjso
didh prima
alla
passaggio che
il
(US) Aggiungerei la copulativa e.
Quando Tarsia si vide
(IlO) Int^'ndi:
de' corsali le paive di essere
in
un
ossia
altro peggiore
non era più
per evitare
manca
il
;
si
fa
terza persona.
ma non
poteva
mani
nelle
cadula da un
pencolo
più uscirne:
in suo potere di scegliere
il
primo
secondo più grave. Tutto questo discorso
nel lesto Ialino, che
h;i
semplicemente
:
Pi-
ratae vero rapta vìrgme pelnnt mare. Fillicas rrdiit
ad doniinani
siiam_, et dixit ec.
(!20>)
Sottintendi, ugual/nenie
(121)
Il
latino ha Milylencn.
si Ici'ò
suso.
lOf
(l22)
testo
Il
qui ed appresso sempi e ^//le/ta-
lai.
gora o Anlìnagoras.
(i23) 1/ iiweiLno
gersi
dov die
(I24) Lenunius
(i23) ubi lena
è qOi siipci
/rt
Fojse è
fliio.
:•
leg-
incantavano.
s
hit.
il
Prinpum ex auro
et fjeiwiiis
habcbat
test. Int.
il
Andantns
(126)
(127) Briscis
il
lar.
il
hit.
(128) pregare multo.
(129) PcnE PEuò. Cosi sta nel Codice,
è a credersi guasta.
rex prior
cosicché
testo lat.
h;*
mn
Iniezione
Scd Jiilinagoraa
;
lupanar ingrcditurf
affnit^ et velalo capite
vera probabilmente dev'tsseie: Antigrasso
la
eh' era ivi presso
«•od.
II
per primo
sì
intra, i/
enore
può congetturai si essere derivato dall'aveie
lico copista
male decifrato
le
«Jel
l*an-
parole per e primo^ che
trovò sciitte in abbrevialara.
(130) Si costruisca; questa mia bàJia^ eh' egli uti la-
a cui
sciò^ e
egli
m' aveva accomandata^
(13.) TÈSSE. Voce composta
di
verbo tenere e della partivella
te
ne
;
si si nun'ie.
iuiperajtivt» dt;l
è lo stesso
che
ticnne, tienine.
(132) vuoi.
(13?>) GAGLIARDA sigDÌfìci qui
senso
l*
usano anco
(134) Così
il
ì
Gajn^ Vivace^ nel qual
Francesi.
Codice
in
vece
di reca.
(135) toglile.
(i3(j)
da
Intendi
:
farò quanto
posso
per
scampare
lui.
(137)
TI
lat
duxisset, a il
:
Cum eam
ad eam
:
in eubiculum simni vilUcus
Die miìù
ce.
un
(138)
tolgano le parole e
Si
l
priegare ch'ella aifcva
fatto a coitili^ che iinbaiiizzano
regolarità del di-
la
scorso.
(139) COMUNE
jmò fare
Libera^ dssia Oi>e ciascuno
vale qui
ciò che gli piace.
(140) Se ne cavava fuori ^ Se ne sbrigava,
(I4IJ vBDovATico
Il
iNtle
qui in genere Àbito da lutto.
Ialino ha vcstis lugubris.
(142) Qui
traduttore
il
nwnumenlvn ex
(143)
Il
r^de
goffamente
il
latino
aere collato.
tino ha«/n SQitina navis.
1.1
(144) se ne partirono.
(14".) fossi.
(14G) Sottìntenili soggiunse Apollonio.
(147) Fate come se
non
Non
vi fosse.
ve ne date
•
pensiero.
(148) TB^RRE
DJ
vrTA Vale qui J^ir canibiure
modo
di
vivere.
(149) Che significa questx) che tu dici?
(l.")0)
parola
la
Questo
tratto vedesi riferito, lu* alterato, alla
Gramezza
ai
quali è poi sfuggila
kV Afflizione,
Angoscia, che qui
nei Vocabolarj,
parola Ira nel senso
ed altrove ricorre.
(I51J Cioè
:
come
io
mi fono
proposto.
(152) Idiotismo per dicesscrgli.
chiederebbe
(153) La regolarità del discorso
si
fosse detto gii
nel testo
sito
de,
lat.
mortis?
mandasse. Queste^
Quid faciam
Et
ait:
ut
Bene mihi
tratto sta
che
così
revocem eum a propovenit in
puer, ad Lenonium lenonenij
et die
mentem^ va-
UH
ut mittat
ad me Tarsiam.
(\^4) Vuol dire che Tarsia narrava
fGtìz-a
dire
il
nome
di
coloro che
vi
le
sue avvenlu&e
ebbero parte.
403
(155)
te
lesio latino hn
Il
XXX
et
:
dìebus redimain
a lenone^ ut possim virginitatem taam servare.
Nou
(156)
è qui
che dice cosi
lino,
molto
felice la
t isad
unione del
lu-
:
Dulcis arnica^ orae semper vicina profundae,
Suave canit Miisis
mi
(157) se
tnm
ec.
convenisse.
(158)
sta
lai.
Il
mihi
testo Idi. ha:
Il
guae ignoras
liceret estendere libi
come appresso
Per iotas aedes innoxiiis
lae^
!
:
introit ignis;
Est calor in medio magnns, quem nemo veretur:
Namque
Si
est
nuda donnis^nudus sed convenithospcsy
luctum ponas, insons intrabis in ignes.
(159) Credo guasta
la
lezione del Codice, e che in
vece d'affrica debbasi leggere stufa, come sta poco
sotto.
Il
testo latino
h.^
balneum.
(160) Leggi mordono. Questo
lino è espresso co'seguenti versi
enigma nel
testo la-
:
Mucro mihi gcminusj ferro conjungitur uno;
vento kiclor; cum gurgite pugno profundo;
Cam
Scrutar aquas medias; ipsas quoque mordeo terrus.
(161) Intendi: che
uscir fuori.
Il
non
si
vede, se
non
si
faccia
latino:
Jntus lympha
latet,
quae
se
non sponte profundit.
(162) Idiotismo per venitemi.
(i63) Dubito
che qui
però chiaro che
aveva
i
il
manchi qualcosa.
scoile
capelli dinanzi al viso, e pei consegui^nza
poteva esser veduta da Apollonio
ebbe
Si
senso del discorso è questo: tarsia
tolti,
ed
egli
;
ma quando
non
ve
li
vide eh' era cosi bellissima cosa ec.
(164) entro.
(165) Licenza, Permesso.
(160) poiché.
(1G7) MASTRO significa qui pi-incipalc^
(iGa)
che
si
so» lion
4
di
irov.ino est inpj
si
si
iitCflpliiHi, p«i
che iu vppe
di
Fe-
del
jdlega nel Vocabolaiio ìMaiiuzziauo al
Che. Rifalli questo errore
r errata corrige che
esemplari
ili
lougo
c/»t'
coni' eirato quello
dovendosi lìQulaie
coruDe che
uqo
chi e
leggere, perocché nei
debba
quaulo
c/ii.
lesto lai. ha quisf e
Il
Biscioni aggiuns(E;
il
del l'ecoroiie
^tjcuiii
i^a
slamp.ilo colla
stesso
jT.il^a
1554, dalla quale edizione f^ tratto
data di Milano
§.
vede eaiandalo nel-
si
il
dello esempio.
(1G9) Penlapoli.
(1
,,,,
70) Ciot| e l^ ridusse in pofo tempo
Se pure ooo è e>l«re nel
tiudifcc^ e
,v>.
ili ,tf4e ^iitifJ.
non dcvesi Uggcie
assetto in vece di effetto.
EUanico
(l";!) Leggasi col testo latino
/'
amico j
essendo mauifeslo
h
(172) Vedasi
i.n
v«cc di
erro* e del codice.
I*
Nota precedente.
(173) CHE CIÒ, forse di
ciò.
(171) Leggenda^ Storia.
(175) Questo sciittore usa quasi coslan tendente di
-fi
apporre un
i
alle
dtir impci fello
e
due
vocali in fine ali
terza conjugazione, tanto
rale. Alili
esempj
se
al
»
vcibi
indicativo, nei
l»rzt»,persp«a
(Itila
singolare
seconda
qmulo
al
plu-
ne veggono nel Saggio del prò-
tpelto generale dei verbi
anomali
e difettivi iìe\
Nan-
uuccì, pag. 44.
(17{>)
a Re cioè al Re.
per del matrimonio,
i
Vedasi in proposito anche
(1/7) Forse
m;.lii:a
Cosi sotto de
Re
la
in
ove
Nota
qualcosa
a
di
il
matrimonio
Re^ e simili.
14.
questo pciiodo.
lOo
(1/8) Costruisci imperciocché
meriera
sì
un poco
voleia
stare a consiglio ec.
(179) Qui ho riordinato alla meglio
codice che era guasta, stando
dico che fu
ivi
non
questo peccato
morte adomando.
ielligis periit
nomen
scelus genitoris
placet,
(i80)
Mancano
la
si
me
mio criaiore
le
ha
in-
Si
:
niihi re-
per
dalla nutrice
parole dette
il
il
me. Itaque ne hoc
patris in
donzella. Forse
ti
ed a ciò che
saprà una cru-
lesto latino
Il
lezione del
mei gentibus pateat^ mortis
medium
confortare
i
sia manifesto al
peccato e la macola del mio padre
dele
la
come appresso:
padre mio che pento
il
co la sua ca-
e' (egli)
traduttore volle ap-
positamente tralasciarle, perchè conlenenti un empio
sentimento. To
do
fatti
eam sermonis
suo recederete
il
latino ha
come segue
:
Blan-
colloquio r evocavi t^ ut a proposito
et invita patris sui voluntati satisfa-
ceret, cohortatur.
(181) In vece di giovane^ e cosi sotto dentile per
gentile,
(182) Forse è a leggersi insliiuzìoni.
(183) Si è riordinato
il
sconvolto e manchevole,
discorso, che nel Ms. stava
come
prà assolvere la mia quistione
appresso: e
sì
gli
non
sa-
farà tagliare
la donzella è la piti bella criatura che
mai fose
ve-
duta in questo mondo e dicie che chi la saprà asolvere
sì
averà la
mia
figliuola
per moglie^ e però
molti ec.
(184) Le
parole
Ed
Apollonio fermandosi,
con
quello che segue, hanno Paria di essere un periodo
cominciato, e rimasto a mezzo
tore.
Fssendo superflue e
damento
della narrazione
d'
nelle*
penna dello
inciampo
possono
al
scrit-
regolare an-
togliersi.
(i8j)
che
U Ms. ha
recita:
(186)
Ho
e disc:
Ho aorhe
corretto col tosto latiuo
quod
vìdit
JEt liex ut
vidac noìcbnt.
qui corrello hIIh meglio
col soc-
corso del Ialino riport^ito sopra alla Nota 17.
uoicritto recita spropo.silalaiiieiite
come
ìììH"
Il
appresso: Di-
se la vostra proposta e propuninicnto che avete iscrito
ne la vostra quistione qudo che dicie selerom
«Eon
non mentisti
e
vk-
non ài
detto bugia la figliuola tua
trovò
che
riguarda.
(187) Per in(188) '^ioè:
non
il
libro
dicesse
altro
intorno alla quistione.
(189)
Cos'i si è
corretto col testo latino.
fornimento.
V
\
iN
K
11
Ms. ha
1
X D
I
C E
pag.
Prefazione
Tavola di voci notevoli contenute nel
» XLVi
bro
Volgarizzamento della
Ionio
Saggio di altro
Storia
d'
Apol"
»
/
Volgarizzamento della
Storia d'Apollonio
Note
v
li'-
i»
84
y>
9i
'I
(
'\
/
\
T
»
nA
r
\
^^<
University of Toronto
Dbrary
^
DO NOT
REMOVE
THE
CARD
FROM
THIS
POCKET
Acme
Library Card Pocket
Under
Pat. "Ref. Index File"
Made by LIBRARY BUREAU
r
/
/
V
»,
§^^
9