Storia d`Apollonio di Tiro : romanzo Greco, dal latino ridotto in
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Storia d`Apollonio di Tiro : romanzo Greco, dal latino ridotto in
^>4^v ^^ 1 \ ^ "^.r -,.^'^ r :>c X ^ /^v . ^J^ STORIA D APOLLONIO DI TIRO ROMANZO GRECO DAL LATINO RIDOTTO IN VOLGARE ITALIANO NEL SECOLO XIV TESTO DI LINGUA OR PER LA PRIMA VOàTA PUBLIC ATO C0.\ UN SAGGIO DI ALTRO VOLGARIZZAMENTO DELLO STESSO SECOLO LUCCA TIPOGRAFIA DI B. d861 CANOVETTI EDIZIONE DI CENTOVENTIDUE ESEMPLARI AL CAV. FRANCESCO ZAMBRINI DELLE più' riposte BELLEZZE DI NOSTRA LINGUA CONOSCITORE FINISSIMO BENEMERITO DEI FILOLOGICI STUDJ COLTIVATI CON AMOROSA PERSEVERANZA QUESTI SCRITTI DELL'AUREO TRECENTO IN ATTESTATO D'ALTISSIMA STIMA L'AVV. LEONE DEL PRETE 0. D. C. XXX MARZO DEL MDCCCLXI. PREFAZIONE tra molte vie che possono tenersi per giun- le gere a rischiarare l'oscurità, nella quale spesso si ravvolge la storia degli antichi popoli, mol- to adatta è a reputarsi la investigazione dei librij e in generale delle opere qualunque che, scritte, raccomandate alla memoria, furo- no da loro maggiormente gustate. Perocché genere delle scritture che, secondo diversi paesi, e i tempi o hanno avuto più voga, medesime, difetti delle vivo V indole, i i ci i il i pregj rappresentano al costumi e la civiltà delle na- zioni; e quasi direi, squarciandoci il velo che ricopre la loro vita più intima, ce ne mettono in evidenza le virtù ed i gazione poi torna precipuamente per be- utile vizj. Cotesta investi- ne addentrarci nella storia del medio evo. in vero le pie leggende, i Ed romanzi cavallere- schi, le poesie dei trovatori, le novelle ed altre svariate scritture, che furono allora con avidità ricercate e popolari, sono quell'età un ritratto fedele di piena di vita e di operosità cittadina; \ VI alle cui gloriose tnemorie, che tempi a noi più vicini in spcciallà nei cercato con tanta si è cura ed amore di mettere in luce, dehbesi per avventura in gran parte se il prisco valore de' nostri padri, a traverso a secoli di tanto avvilimento, è giunto a noi vivo e vigoroso. È per questo che da quasi nel togliere dall' oblio un dì ebbero ncW co si le non loro, sono assai avvantaggiati lia, resta ma pur an- con molta dottrina^ In questa parte però solo antiche scritture che corso appo iliustrarle nazioni tutte le vediamo porsi gran studio civili gli d' onde studj storici. se molto si è fatto in Ita- pur sempre non poco a farsi. E qui, per non allargarmi in cose estranee ni mio proposito, prenderò soltanto di xnira che occupano zi, un posto i roman- tanto importante nella storia letteraria e civile dell' età di Fra zo. questi monumenti letterari i mez- più famo- sono certamente quelli conosciuti col nome si di cavallereschi delle due grandi classi o ci^ eli i di Carlo Magno e della Tavola Rotonda, quali ottimamente riscontrano coi tempi delle crociate, e in certo modo può dirsi esser una pittura degli uomini misteriosi e indefinibili di allora; uomini feroci e battaglieri, e insieme per virtìi questi generosi fino all' eroismo. Or bene romanzi oggi sono quasi interamen- te lasciati in dimenticanza nei manoscritti o VII nelle arcirarìssime antiche edizioni. E di ve- ro se ne togli quelle compilazioni guaste ed vanno alterate di alcuni, die tuttavia attor- no, per lo più in l'ima, destinale unicamente per la lettura del popolo minuto, ben pochi fra noi ne sono stati modernamente posti in luce: ed inoltre sebbene molto sia stato scritto intorno ai medesimi, specialtnente dagli stranieri, pure, non m' inganno, offrono sempre larga mes- se se alle investigazioni degli eruditi. Ma non solo grido, e furono medio evo, ma i romanzi cavallereschi ebbero grandemente altri sai diverso, che ancora letti e guatati nel un genere as- d' veramente meglio si attaglia- vano alla gente comune. Intendo qui parlare di certi racconti, intessuti a guisa di storie, e immaginati col fine inorale di esaltare la vir- tù e di mettere in abominio il vizio, che sono a confondersi con altre scritture si le conoscono col nome di leggende. Di non quali si/fatti Barlaam e donon me ne ricorrono ora alla memoria antichi racconti, oltre quello di sa ffat, altri esemplari, che sieno stati nei tempi mo- derni posti in luce. Nel numero di questi racconti o romanzi è a mettersi la Storia le stampe, la una delle scritture in Italia ma d' Apollonio che do al- quale fu nei secoli di mezzo maggiormente in tutta Europa, lette, non solo come sarà di- mi mostrato; e in conseguenza potrà tcrvire a far conoscere quali fossero tendenze le e il carattere di quei tempi. La le Storia di cui parlo è una narrazione del- avventure di Apollonio re di Tiro. In so- stanza vi si vede rappresentato un uomo di re- già stirpe, nel fiore degli anni, ornato di virtù e di travolto in un /' animo sapienza, ricco d' ogni avere, tratto dal sommo della prospe- Pare che la fortuna che un Re pietoso beni- rità nelV infima miseria. torni poi a sorridergli, gnamente r accoglie, e, colmatolo di cortesie, lo rimette in ricco arnese, e di l'istruzione dell' unica sua più figlia. gli La affida bellezza, la grazia, le ricchezze, e sopra tutto l'esimie doti dell' ìiella animo e dell' ingegno, che reale donzella, fanno sì citino d' ottenerla in isposa. abondano che molti solle- Ma essa s' inna-' mora perdutamente d'Apollonio; se Apollonio non dovesse avere a marito, perderebbe la vita. Quindi consente il alle buon padre di buon grado acnozze che tanto agogna. Ecco dunque Apollonio marito di Archislrata sua amabile alunna, della figlia del Re suo generoso benefattore: e perchè nulla gli manchi alla pie- nezza della felicità, riceve V annunzio che il suo crudele persecutore ha cessato di vivere, ful- minato dal cielo che nefandezze di cui V ha è reo. colto in mezzo alle Egli pertanto si ap- IX parecchia a partire per andare a prendere possesso del regno che gii appartiene; e colla diletta consorte, che non vuole da dersi sebbene incinlay si lui divi- affida al mjare. Ma ecco che la fortuna comincia a bersagliarlo di nuovo nel modo il più crudele. Le onde si turbano ; e nello imperversare della tempesta Archistrata e è presa dai dolori del parto ; mentre dà alla luce una bambina, smar- risce i ed agghiaccia. Vedendola in que- sensi sto stato la credono morta, cosicché il desola- tissimo marito la fa racchiudere diligentemen- una te in le onde. Ella però non è che tramortita; ed i flutti cassa, che vien gittata in balia del- avendo spinta la Apollonio , stimando e racchiude in un tempio a riva^ ne non vede il suo cassa viene tratta fuori. Qui piii d' averlo perduto, si di vergini per condur- vi castamente la vita. Nello stesso tempo an- che Apollonio prende terra per provvedere all' allevamento cui mette e all' educazione della nome Tarsia, figlia, V affida alle cure di due conjugi suoi amici, Strangulione e Dionisia. Dopo e di ciò, inconsolabile per la perdita nuovamente si parte, proponenandar ramingo finché la figlia non giunga in età da marito Tarsia intanto coli' andare innanzi negli anni, va crescendo in bellezza e nelle doti dell' animo. Dio- della consorte, dosi d' . ha 7iisia pure una essa che lutti soffrire e lodino sembrandole che per causa di glia le sia^ dispregiata. occupano non può figlia; e ammirino la sua e la gelosia L' invidia e le offuscano la Tarsia, lei mente in modo che giunge all' Ella fida l' esecuzione di questo delitto servo, quale è il fi- eccesso di volerla far morire. sul punto già ad un di svenare /' innocente vittima, quando air improvviso sopraggiungono alcuni corsari^ che gliela tolgono di mano, e la conducono alla loro nave, onde viene poi tratta per essere venduta come schiava. Disgraziatamente Tarsia cade d' un uomo infame, in potere d' pe che, per far tur- conduce in traffico della bellezza di lei, la una casa di prostituzione. Ma, cosa mirabile! Tarsia ha la virtù di sapersi mantener casta e illibata anco in mezzo alla corrutela : ed anzi col racconto delle sue sventure, tere in mostra il senno e la e col trina di cui è fornita, si procaccia pianto, V ammirazione e si il met- straordinaria dotil com- rispetto di quanti le avvicinano. In questo mentre Apollonio ri- torna agli amici StrangiUione e Dionisia per rivedere la ceve il figlia. E qui una nuova trafitta ri- suo cuore, udendo da loro, die Tarsia era morta: e tale veramente la credevano, avendolo ad rtcato essi dato ad intendere d' ucciderla. Sienle il servo inca- dunque più resta XI su questa terra al misero Apollonio, che inconsolabile monta di nuovo in nave, ove si asconde nella sentina, proponendosi di finirvi mai più vedere la luce. ha messo bastantemente alla prova suoi giorni senza i Ma il cielo la virtù di lui e dei suoi il Apollonio in quillità. viene prima la e cosi queste state bersaglio il riunite, e possono tentezza tran- e consorte la ; dopo essere virtuose, della fortuna, veggono si condurre la vita nella con- nella letizia e è la tela del pace prodigioso rin- poscia anime tre trovi modo figlia, tempo che è ornai : animo travagliato loro breve, Questa, in . romanzo, che se come lavoro let- non va esente dai difetti del tempo in cui fu scritto, pur mi pare che debba riuscire terario di gradevole lettura, poiché nella sua sempli- non manca cità d'artifizio e di effetto matico, avendo saputo lo scrittore la curiosità dei lettori con menti di scena. Chiara n V uomo non de^ perdersi graziosi cambia- è poi d' la moralità alle zioni che travagliano la vita: fra seduzioni di un mondo combattere con fortezza tardi il ciclo derdonare La i ; tribola- i pericoli corrotto debbesi avvegnaché o sappia punire : animo né dispe- rare in mezzo alle sventure ed e le drcm- tener desta i tosto o malvagi, e gui- virtuosi. Storia d' Apollonio fu scritta originaria- mente da greca penna, sciamo che per le ma noi non la cono- che ne molteplici versioni sono stale fatte; essendosi perduto (e coni è più probabile irreparabilmente ) il testo primitivo. Né punto è da meravigliarsi che cotal sorte abbia incontralo qucsC opera, perocché chiunque sia mediocremente erudito sa benissimo, che uguale innanzi all' l' hanno avuta altre amiche invenzione della stampa. Cosi uno dei nostri sacri libri, vale a dire Vangelo il di 5. Matteo, fu dettato in ebraico; eppure conosce che per si ma le non traduzioni fattene, pri- in greco, poi in latino e nelle altre lin- gue. In greco Eusebio compilò la sua cronaca, della quale, salvo pochi frammenti, è giunta a noi soltanto la versione latina di S. Giro- Erma lamo. In greco ugualmente scrisse S. famoso è libro del Pastore; e di questo del andato smarrito il il pari testo originale, e si è con- E qui, servata unicamente la versione latina. per non abbondare di soverchio con esempj, un altro solo ne recherò di scrittura tica, meno an- suggeritomi da uno dei codici sul quale ho condotta la presente edizione. In questo codice (che farò poi meglio conoscere), fra altre scritture che vi si leggono, tiene posto il celebre romanzo della il le primo Tavola Ritonda elcgan (emente voltato nella nostra lingua del miglior tempo, Or bene, si sa che quel romanzo mi scritto fu da prima in francese; ma, per quanto trovo dagli altri ripetuto, dee dirsi, che sto originale or più non si te- il trova. Che poi la Storia di Apollonio sia opera di greco scrittore ce quasi lo concordemente ripetono tutti gli eruditi, cominciando dal Vel- sero e dal Fabricio, e venendo fino al Lapaume, ellenista francese guenza r quale in conse- il volume degli inseri nel erotici greci E publicalo in Parigi dal Didot. luoghi ove del romanzo, nomi i prendono parte, a dei personaggi che vi i si costumi che vi ce renderà meglio egli non accorgersi chizzare che vi si osservato dal e all' si ha non poten- del frequentissimo gre- Bene a proposito fu Velsero nella prefazione ciò ante- Apollonio latino che messe in luce; meglio anche dal Lapaume, averlo posto in chiaro tnesso alla edizione ta, vi ; fa nei vocaboli, nelle locu- zioni e nella sintassi. posta ma- faccia a leggerlo come si divulgato in guest' ultimo idioma do si ne rivela V ori^ ben versato nelle due lingue gre- chi, ca e latina, azioni somma gine greca. Il che poi i le gli usi e dipingono, tutto in nifesto di vero veggono rappresentate si moderno parigina aggiunse di più il quale dopo ncW Avvertimento un pre- rammentadi voci e ma- testé elenco niere di dire che si trovano in detto testo lalino, non proprie di quel linguaggio, ma tol- XIV te di pianta dal greco, come viene dimostrato dalle corrispondenti voci e maniere greclic che vi ha posto a fronte. Che se uopo /osse d'afforza- re con altri gli accennali argomenti posti in campii dagli eruditi, potrebbe anche si riflettere romanzo predominano che mentre nel idee ed dato espressioni affatto gentilesche, dal che è inferire essere opera di penna pagana, in pari tempo, come leggesi nel testo latino divul- gato, vi se ne trovano frammiste alcune prò- prie soltanto della religione cri sliana. Cosi, per esempio. Tarsia nelle sue invocazioni volgesi supplichevole, guando a quando al Signore Ugualmente vi si (Domino), Signore (vivo Deo). G. C. nostro ad Apollonio dopo il apparve in visione un dice che ritrovamento della Angelo (Angelus), figlia il quale gli suggerì quello che doveva fare. In altro luogo lo slesso Apollonio, dopo aver ritrovato anche rende grazia lissimus). all' Altissimo ( Le quali espressioni affatto agli scrittori etnici, latino, che è il ed anzi ripugnano Se dunque nel testo oltre ve- locazioni convenienti a pu- greco e non a latino scrittore, vi troviamo re qualche voce tilesche che vi e ed erano ignote più antico rimastoci, derci costumi, nomi, ne Al- o formole, altre simili che vi s incontrano, al loro sistema religioso. la moglie, benedictus idea cristiana fra campeggiano, per le le gen- regole di XV buona stanti abbiamo argomenti più critica da inferirne, che fu per patria, cui lo avemmo rare che e che il il l' diverso a quello da potere assevee pagano, una versione fatta in latino, e primo testo da uomo romanzo da autore del l' costumi e ba- clic scrittore rim'AStoci è cristiano, che fu greco non potè astenersi dal- introdurvi alcun che di conforme alle idee di cui era imbevuto. le La qual cosa è quasi inevitabi- anche oggi nel voltare da lingua a lingua, ma più di frequente si rende osservabile negli antichi, che per ordinario fatto addottrinati za guardar tanto per (1) dell* Confermano quello che dico esempio si le feste varie versioni le mano in moderne, nelle quali sempre più spiccanti tino la sottile (i). Apollonio di Tiro che di fatte nelle lingue d* non essendo gran traducevano alla buona sen- mano si allerazioni. Per siffatte furoa scorgono modo del Dio Nettuno, che nel testo la- chiamano Neptunalia^ rizzatore italiano rese ipei si vedranno dal Volga- Pasqua, ineiìlve Traduttore francese publicato dal Biunet l'antico le chiama Fesles natalices. Cosi pure Archistrata moglie d'Apollonio si rifugia nel tempio di Diana; e garizzatore prese probabilmente questa che venerabile insliiuliice la di il nostro Vol- Dea per qual- monache, iniioducendo detta Archistrata nel monastero della Diana^ dove perfino la fa dovenlare Abbadessa ! ITI Se con una probabilità che quasi può chtn" marsi certezza riesce detetìninarc la patria la religione del nostro romanziere ; e può an- si che a/fermare con assai verosomiglianza aver V esso vissuto nel secolo I quel torno: in dallo stile, e lo da in fuori niente e era cristiana o desumono Ma da indizj. altri resta a dire altro questo intorno a non indegno di sedere con questo scrittore, doro dell' che gli eruditi con Longo, che ignorasi chi Conseguentemente stimo io da sia si Eliofosse. rigettarsi la congettura di taluno, che cioè possa essere un d'una rac^ certo Simposio, preteso autore enigmi colla di cento : congettura che riposa sulla semplice circostanza di vedersi riportati alcuni di quelli enigmi per entro alla Sto- ria d' Apollonio. sembrami del ci assicura che que lino, e' si l' fosse, non ve E di vero si/fatto tutto inconcludente li : autore del romanzo, chiun- ovvero chi lo voltò non dal raccoglitore degli enigmi Ma ? più autorevoli critici l' la-- siasi fatto vi è di più. poi egli vero che siavi stato questo sio ? I in da quella mettesse traendoli raccolta; o che vice versa ciò E indizio poiché chi Simpo- impugnano, sti- tnandalo un autore immaginario; e credono, che Simposio sia piuttosto il nome ossia /' intitola" zione della raccolta dei cento enigmi, la quale XTII attribuiscono a Lattanzio (4), scrittore cristia- no, conosciutissimo per rità tore non saprei come a è ììiia potesse dimostrare au- nessuno in dell'Apollonio; e quanto sue opere, che in ve- le si notizia^ V per fatti, ha mai né maìico supposto. Se ho detto che V originale greco della Sto^ ria d'Apollonio può tenersi perduto, non è però a credersi che manchi a quella lingua. Come più nota citerò in prima una versione in versi politici greci, fatta siUlo scorcio del secolo da Costantino alle Cretese, che più volte stampe nei seguenti secoli -X VI e XY fu data XVII (2). rammentarsi altra versione Inoltre è anche a assai più antica, ugualmente in l'ersi politici,^ della quale, secondo che citato Lapamne,non quanto dice (») Veggasi Heumann che fece Anuover anche altre enigmi volte, o dei poeti latini ali* 1722, e la Collezione pesarese e furono publicati separatamente, o nelle collezioni hanno tradotti liana da Iacopo Castiglione, che gli il Augusto fde Lactantio J^ di cui è parola e si *, di già il edizione del Simposio VoJ. 5^ a pag. II dei poeti latini, a pag. 32. Gli il avverte in proposito Crist. nelta prefazione in tie sono salvati che pochi si in rima publicò in ita- Huma 1604. (2) Veggasi il Manuel da quinta impressione in corso Apollonius N.® libraire òeMìrunel^ nella di stampa, alt' articolo 3. b frammenli, A shniglianza di questa, nel je- colo XIII, Goffredo da Viterbo ne fece una ri- duzione in rozzi versi seri nella politici latini, che in^ sua opera conosciuta nome col di Pantheon. Ed eccomi cosi condotto a parlare delle ver- sioni latine; e dico versioni perchè, anco senza tener conto di quella sopra rammentata di Gof* fredo da Viterbo, vi è ragione di credere che più d'una ne sia stata fatta in questa lingua. Ciò si accenna, sebbene non tanto chiaramente, dal Fabricio, lib. si quale nella Biblioteca il 5, cap. 6, n. 42, esprime: locis greca, parlando dell'Apollonio, cosi Eandem narrationem, ab impressa discrepantem sed multis in habiiit mannscri- plam Theodorus Canterus, ut testatus estlit^ris ad Joannem Meursium. L'afferma poi in modo certo Paolo Maria Paciaudi nell'erudita dissertazione De libi'is eroticis antiquoruin, che tro" vasi nella edizione bodoniana di bongo sofista dell'anno 4786, ed anco stampata separata^ mente in Lipsia stenza di pili 4803, il testi latini Posta cosi V esidell' Apollonio fra loro affatto differenti, vedesi che si ha il più si-* curo argomento della loro derivazione da una lingua diversa, E se poco sopra, quando io procurava dimostrarlo, mi sono astenuto dal 'mettere in campo siffatto argomento sopra ogni altro concludenlissimo, è stato perchè non ho XIX da me potuto accertarmi di quanto as- stesso serisce quel dotto scrittore. a stampa, rj testi d' esaminare, tali spesso s' vero che nei va- altresì che mi incontrano non che fra loro più è vero È quali soltanto i riconoscono si altre parti in è riuscito differenze ; ma combinano parola per parola, cosicché non saprei persua- dermi che verse suddetti i testi sieno traduzioni di- ed opinerei che essendo ; stati esemplati sopra manoscritti difformi, quelle varianti deb- bano attribuirsi piuttosto ai menanti, è noto re, aggiungere, e molto i come avessero spesso in uso di pili facile potar issimo come quali toglie- cambiare a capriccio: cosa ad accadere il in un po~ libro nostro, del quale si molti- plicarono grandemente tre le copie. Pertanto mennon intendo d'impugnare menomamente V asserzione del Paciaudi, che per ogni rispetto scrittore autorevole, merita piena credenza, non avendo potuto però esaminare uè confrontare la lezione dei codici che sono sparsi per le biblioteche d'Europa, né per conseguenza non verificare in che consistano le discrepanze, ho voliUo farmi forte su vedutOy l' ma ciò che io non ho intendo riferirmi interamente al- autorità di quel reputatissimo critico. Dovendo io dunque parlare soltanto della traduzione latina che conosco, cioè della volgata, dirò innanzi tratto ohe vano sarebbe XX l' impegnarsi a ricercare di chi sia epera; poi- ché come dell'autore primitivo, cosi non ri~ ci è masta veruna notizia neppure del traduttore. È vero che il Lapanme, nella prefazione alla rammentata stampa dell'Apollonio, ])ropen^ derebbe a credere esser lavoro d'un monaco, deducendvlo da alcune espressioni che le ad quali, più che ad un cenobita gono negli : ma altri testi vi trovò, possono convenire altri, espressioni non si legda me veduti; di guisa tali che può solo inferirsene che quello di cui il prefato editore fu copiato da si valse un monaco, e può asseverarsi con ììiente di più. Ciò solo che assai probabilità di accostarci al vero è che la traduzione in discorso sia stuta fatta verso il secolo V, e cosi poco dopo la compilazione dell' originale greco, come ce lo dimostra il sa- pore della lingua propria di quel tempo di de- cadenza del romano Questa traduzione eloquio. poi, dopo andata essere attorno manoscritta per tutta Europa, fu delle scritture una con più frequenza stampate nei E qui non voglio lasciare di osservar cosa che in certo modo reca maraviglia, cioè che a quasi primi tempi dell'arte tipografica. lutti gli i quali ne hanno discorso, fra cui sono da nominarsi principe /mente il Fahricio, il eruditi, Vossio, fino al il Velscro, V Araldo, moderno Lapaumc, è il Quadrio, e sfuggilo, che per la XXI traduzione di cui si parla trovasi inserita nel libro conosciut/ssimo portante il titolo di Gesta ilomanorum. Questa celebre raccolta di racconti moralizzati, in parte favolosi, così fattamente alterali die piii ed in parte non ravvi- si fa pure una deUe opere di maggiore lettura nel medio evo; della quale bene sano per veri, a ragione dice il Brwiet che vogue la fut eu- (I). E quantunque la compilazione medesima per il sentimejito dei migliori critici non possa retrotrarsi al di là del se- l'opéenne della colo XIV, meno e così sia assai antica della Storia d' Apollonio, pure avvenne che, nel moltiplicarsene le copie, i menanti, seguendo loro usanza, cominciarono a farvi diversi cambiamenti, specialmeìUe coli' conti che allora erano cercati, e così introdurvi altri rac- maggiormente v'inserirono anche d' Apollonio. Pion sarà qui inutile il letti la e ri- Storia notare, che colali intrusioni e aggiunte fatte alle Gesta, oltr' essere opera di più e diverse nione d'un critico reputato, minciano che dal cap. é33, (1) Nella introduzione ali* francese delle Gesta, che ha lo e mani, per l'opi- Schmidl, non co- non sono più anti- aulico per Volgarizzamento titolo hisloires romaines_, da esso riprodotto in 1858 in un volume dell'elegante tipi elzeviiiani. Fiolier des Parigi nel raccolta fatta coi IXII che del 4448. Cosi che i numero loro il paesi in cui e sì spiega perchè coniengoìio nei varj si secondo diversifichi i racconti i Gcsla, e testi delle testi stessi furono perchè conseguentetnente non in i tempi e trascritti, legga tutti si nostro romanzo. il La Storia d'Apollonio avendo dunque co^ mine iato a comparire nella collezione delle Gesta, credo non essermi male apposto dicendo, che fu una delle opere più divulgate per le stampe nei primi tempi in cui venne introdotta V prima edi^ arie tipografica. Si tiene che la zione delle Costa in latino sia slata fatta nel 4472 (4), fu seguila da non meno di e tre diciotto, tutte nello stesso secolo quentissime nella tanto si ripeterono le XV prima metà del secolo seguente. Ma ini popoli d' Europa si trasformavano si ; cadevano quasi da per za, restando, come antico to e fre- ristampe eziandio era chiusa la grand' epoca mcdioevale, sta ; al- tutto in e le Ge- dimentican- monumento, soltan- testimonianza di tempi e costumi che già furono. Quindi, per trovare una ìiuova edizione del lesto originale, circa tre secoli, e in cui conviene venire ai nostri essendosi spinti con maggiore (1) Vedasi la citata introduzione del lier deshist. rom., pag. \ XXI J. varcare giorni ; ardore Biunel al riO' xxni gli sludj storici dell' età di mezzo, di disseppellire documenti i La moderna partengono. si è lettor nrj cercato che edizione di le cui apin- tendo parlare è quella di Stutgarda del 4842, diligentemente dove nostro il Se curata da Adalberto Keller, romanzo forma il capitolo i53. col moltiplicarsi le impressioni delle Gesta Storia d'Apollonio potè gran- testo latino della il demente divulgarsi, per questo non stamparlo grafo Jlain nota, che or secolo Non di biblio-^ notizia di una XV, senza veruna (4) ci ita dato edizione fattane net (2). si lasciò separatamente. L' accurato si nel secolo vede registrata anco dal Bru- è poi qualche appena appena improbabile che nello stesso altra ne è nota sia slata fatta; sopra quella ma ricor- data, che era sfuggita alle diligenze di quasi tutti i bibliografi, e della quale si conosce un solo esemplare che si conserva nella biblioteca imperiale di Vienna, ^è recherà maraviglia estrema rarità di questo libro se un che di fu grandemente consideri, letto, e se ne dovet- per conseguenza consumare tero la si e disperdere gli esemplari. Al Velsero rimase ignoto, ed ho di già avvertito, che neppur (1) Vedi Repertor. bibliograph. n, (2) Nel più volle citato Manuel sotto Jpollonius^ n. 2. s' accorse che 1293. ce. , edizione 5.a la Storia iV Apollonio leggesi Gesta nelle ; il perchè, avendola trovata manoscritta nel monastero dei SS. Udalrico ed Afra sta, la diede ivi alle come un curioso Augu- di stampe nell'anno e interessante le opere scritte da quelV erudito, o da esso illustrale e Imne le fé publicate, e lonio. tutte in un vo- stampare in Norimberga nel 4692: pure a pag. 684 ivi ine- Araldo dito dell' antichità. Inseguito Cristoforo raccolse 4595, documento Veramente e seguenti si contiene il testo l' Apol- publicato dal Velsero è migliore di quello, che ci offrono le prece- denti edizioni delle Gesta che ho potuto vedere ma era riserbato al Lapaume di ridurlo : ad una lezione veramente corretta. Esso valendosi di un codice della biblioteca imperiale di Parigi ne curò la impressione, inserendolo a pag. 604 e seguenti del volume degli erotici greci publicato da Didot, che ho avuto già occasio- ne di citare : per quanto so, noìi e, novamente divulgato per le Se or volessi tener minuto conto teplici versioni, per le un dopo delle mol^ che nei diversi tempi ne sono siate fatte nelle lingue tesserne si è stampe. moderne d' Europa, e esatta bibliografia, troppo lunghe, ed in oltre lavoro nel quale non mi andrei sottoporrei a riuscirei a bene per un la iìnpos sibilila di conoscerle tutte: mollo più che deve credersi esserv&ne alcune che giacciono XXV tuttavìa nascoste nei monoscritti. Quindi altro non farò che dare brevi cenni soltanto delle più notCy collo scopo che rimanga meglio dimostrato ciò che da principio ho asserito, vale romanzo d'Apollonio ebbe già grandissima voga presso tutti i popoli d' Europa ; a dire che il riserbandomi in ultimo di parlare un poco più dislesamente di quelle che possediamo nel nostro gentile idioma. I Francesi hanno un antico volgarizzamento delle Gesta (1) che, dopo essere andato attorno manoscritto, fu impresso volte tra il i5^i e il non meno di quattro ^529. Questo venne mo- dernamente ristampato dal Brunet, come ho già detto, in un volume della biblioteca elzeuna erudita prefazione viriana, col corredo di e di note, l'una e le altre pregevoli in specie per la parte bibliografica. La Storia lonio non rizzamento delle Gesta, ove occupa CXXV, ma fu più (») Von va confusa un'altra portante che è la latin par d' solo si legge nelU accennato seguente volte tradotta 1' Les Gestcs Robtri Guaguin.^ e ma capitolo anche sepa- opera di cui parlo lo stesso titolo, : il Apolvolga- aff,itto qui eoo diveisa, Roniaines trad. che venne più impressa io Parigi nel secolo XVI ; du volte poiché questa ul- tima altro con è che uua riduzione della terza deca di Tito Livio. IXVI ratamente. La più antica di tali traduzioni, che sia conosciuta f è quella stampata in Ginevra dal Garbin in forma di A 4.°, senza nota d'anno, La chroiiique d'ApolIin col titolo un questa tien dietro roi de Tyr. altra d' Egidio Corozet, della quale trovo ricordate due edizioni di Pa- XVI, senza data. Viene per idtima quella fatta da Antonio Le Brun sul- rigi, del secolo V incominciare del secolo passato, e che vide la luce in Parigi e in Roterdam nel Ì7i0, e no- vamente in Parigi nel i797. Anche nella lingua lonio, tanto in una fiamminga trovasi l'Apolversione delle Gesta più XV, quanto in due separate traduzioni; l' una publicata in Delfi il U93, V altra in Amsterdam il 4662 : della prima non si conosce l' autore, V altra fu eseguita da D. Lingelbach. volte impressa nel secolo Alla Francia ed alla Fiandra va per avventura innanzi la Germania pel numero delle traduzioni e delle stampe. Infatti tate in quella lingua con renze si le Gesta vol- notabilissime diffe- publicarono prima in Augusta nel 4498, quindi a Strasburgo nel 4538 (4). Inoltre il Keller poco prima testo latino, vale (1) Vedi lier des il liìst. di metterne alla luce il a dire neW anno 4844, ne pu- Brunet nella roin. pag. citata introduzione al K/o- XXXI e XXXIL. XXYII da un co- blicava un' antica versione traila dice di G. I. Monaco; Th. Gr aesse stampe alle tutte le l'anno seguente e un Non avendo . il Dottore pure ne metteva altra potuto accennate traduzioni, le esaminare quali diversi- ficano fra loro anche per essere state fatte sopra compilazioni contenenti quale più quale meno racconti, non posso accertare che, come in quella di Keller, cosi nelle altre ugualmente legga la Storia d' Apollonio si non improbabile, È XV, cominciando dall' ; cosa peraltro poi certo che anno ii7i, nel secolo si publicò voltata separatamente in quella lingua per lo quando in Augsburgo, e quando una diversa traduzione sì impresse per Hannsen Froshauer negli anni Ì5i6 e d52é, la quale si ristampò da altri pa- meno sei Ulma volte, in (i) ; e che recchie volte : e che finalmente desco moderno in Berlino kespeare ; il si legge i83i col titolo voi. 2, dalla Osserva giustamente bro delle Gesta un altra in te- nelV opera publicata Quellon des Scha- pag. ^07 a 268. il seguitò Brunet (2) che a godere il il li- favore popolare in Inghilterra anche quando altrove era caduto in dimenticanza : il perchè, comin- ciando dai primi anni del secolo XVI, si con- (1) Vedi rilaio neir op. cit., n.® 1291 e segg. (2) Inlroduz. ai noi. dts hist. rom. pag. XXXI, XXVIII tiniiò a stampare non inlerrottamente IradoUo in inglese fin oltre la metà del passato secolo per uso del popolo. La quale cosa facibncnte si spiega ponendo mente alla natura di quegli Isolani, tenacissimi nelle loro antiche tradizioni e costumanze. Ma essendomi io di prefisso parlare delle Gesta solo in quanto vi si contiene la Storia d' Apollonio, reputo inutile di occu- parmi intorno ai volgarizzamenti che ne vulgata appo loro, che distingue col si di anglo-latina, sebbene per l' nome orditura possa a poco uguale alla nostra, pure dirsi presso se hanno poiché la compilazione che n è di- gì' Inglesi; ne scosta assai per essere i racconti vi 8i contegono quasi affatto diversi ; che e ciò che più importa per noi, vi manca quello di Apollonio di Tiro. Unicamente^ per quanto io so, dee farsi una eccezione rispetto alla traduzione messa in luce da Carlo Suan nel delle Gesta é824 in due volumi, a pag. 232 Hanno poi e leggendosi V Apollonio ivi gli Inglesi diverse sola Storia d' Apollonio. Una opera di Roberto Copland, in Londra da Wynkyn altra è slata fatta Thorpe, V anno e secondo volume. seguenti del de e versioni del secolo della XVI è venne stampata Worde il i528. Un modernamente da Beniamino fu del pari impressa in Londra nelMa molto prima, vale a dire fino 4834. nel secolo XI V, Gower l' avea voltata nei suo idioma, rìducendola in versi. Questa versione, nome di Confessio amantis, ha rinomanza perchè ispir ovvisi avuto il gran Schakespeare. E qui mi è accaduto di coìiosciiita col qualche notar cosa che ridonda a grande nostro romanzo, mostra quanto e onore del ineriti cV es~ ser tenuta in pregio. Potrei, se volessi, tessere un lunghissimo catalogo tori , che di poeti e di altri au- dai tempi antichi venendo ai moderni, imitando, o in altro modo narrazione delle interessanti venture d'Apollonio: ma Ed in vero tri non che, dì forze commoventi av- il per aver tutti quale non isde- dell* altissimo ingegno. suo Pericle, cambiato nome, al- il che Apollonio; e tutta la è dramma le e basti nominato quei sommo tragico, gnò esercitarvi giovaronsi della stessissima è la come ho già Gower; ed detto, Storia tela del d' Apollonio, conobbe dalla tradazione medesimo lo manifesta nel prologo, ove appunto introduce Gower a par- egli lare. Non trovo che gli Spagnoli posseggano ve- rnila versione dell' intera raccolta delle Gesta. Hanno però il libro del de su cortesia, che è buen rey Apollonio y una traslazione in versi della Storia di cui parlo, fatta lina nel secolo XIII, la quale è stata rijmblicata dal Sanchez nella CoUeccion de poesias ca^tellanas impressa in Parigi il 1843, ove Icggcsi apag. 1)3 ^ e se- yuenli. In olire la slessa Storia volta la in Un* §ua spagìiola fu data fuori anche da Giovanni Timonella Mi aslciKjo dal parlare dei volgar ut, amenti hanno in danese^ che se ne svedese, in in ungherese, in boemo, perchè circa dall' esistenza tizia. nelle sue PalraiiJJS. in fuori, i medesimi, non ho veruna no^ In conseguenza riportandomene al più volle citato lìruìiel (4), passerò piuttosto a dir qualche cosa di quelli italiani. Come A Spagna cosi l' Italia, per quanto è non possedè traduzioni del li" Gesta; ma non meno di tre ne ho la ììùa notizia, Oro delle potuto conoscere della sola due ìlio: Storia d' Apollo^ delle quali in prosa, l'altra tava rima. Ambedue in senza duhbio nella prima metà tate ot" quelle di prosa sono dct^ del se- XI V; e crederei che anco la riduzione in ottava- rima dovesse collocarsi fra le scrittU" colo re dello stesso secolo, ma più verso la fine. Anzi aderisco pienamente air opinione d'alcuni eruditi, che l'attribuiscono poeta fiorentino che detta età, notissimo (1) Nel alle fiori Manuel traduzioni vedere anche Shakespeare ili il ce. per ad Antonio Pucci, appunto nella sudaltri simili Jrdc. Jpollonins compo- n. 7. Iniorno questa divulgalissimj* Storiasi può Duuce II, p;tg. aell* Opera llluslraiu ns of 135 e segg. XXlI Di niìnenti. tutto stile non ciò rende accorti solo ci ma proprio di quello scrittore , medesimo viene a scoprirsi alla cantare, ove cosi si nomina: fine del E come il pescatore E come si portò bene Apollonio, il lo egli primo pesce coce, Al vostro onore rimò quest' Antonio. Del qual modo di rivelare Antonio Pucci ce ne neW altra sua pio offre se stesso E suddetto un somigliante esem" Storia della Regina d'Orien- un nella quale cosi finisce te, il ottava : chi ne capitò a questo tratto Al vostro onor Anton Pucci l'ha fatto. Ed altro pure nel poemetto rante, publicato dal intitolato il Gismi- Corazzini nella Miscel- lanea di cose inedite e rare, che finisce col se- guente verso Al vo.ìtro La nostra bene gii : onor questo fé Antonio Pucci. Storia ridotta in ottava rima, seb- adornamenti poetici non la rendano più pregevole, ed anzi stia per certo al di sotto dei volgarizzamenti in prosa, pure gli - fé cadere in dimenticanza, di guisa che non fu-rono giammai divulgati per le stampe; ed anzi ho ragione di credere che ben raramente «' incontrino anco manoscritti. be essere avvenuto perche demente spersero letti, e le un di Il che potreb- furono gran- però con facilità se ne di- copie ; ma la causa pài vera, a XXXII mio avviso, vuoisi ricercare neW indole poc^ Uca del nostro popolo, il quale assai più vo- lentieri legge quei racconti che gli rifu l' immaginazione ed quando za ed Ed affetti, incolta, che in prosa, sebbene elegante. è in questa vediamo andare allumo molli più storie dispregiale dalle sono tuttavia cullCy a di guisa che fino leggende medioevali che, classi hanno fégli trova ridotti in rima, sia pure roz- gli in vero nostri e eccitali la delizia del popolo minuto, specialmente della campagna, il quale per idee e pei costumi le resta sem- pre qualche secolo addietro alla gente civile: cioè a quella gente che più denza e si si mette in evi- mostra sulla scena del mondo, e per la quale in comegaenza rimangono caratterizzati ta. i tempi e dislinli con varia impron- Pertanto è a dirsi, che la Storia d'Apollo- nio finché durò ad essere un componimento di ad ogni maniera di persone, medio evo, quelle istruite po- piacevole lettura vale a dire nel terono gustarla nel testo latino; perocché la lingua del Lazio in quel tempo era familiare ad ognuno tere. che avesse qualche tintura di let- / volgarizzamenti poi di quel libro fuil popolo, o, come allora di- laici^ i quali conlinudrono è vero rono destinali per cevasi, per i a leggerlo anco quando fu dimenticato dalle persone colte; ma tosto che ebbero agio di gu- XXIIII starlo in ottava rima lasciaron da banda le ri- duzioni in prosa, che vennero in conseguenza E che in cotal modo a disperdersi. cui si quindi se ne moltiplicassero della invenzione va il il poemetto dì parla fosse grandemente divulgato, le copie e prima deWarle tipografica, n"è pro- trovarlo anche oggi di sovente in anti- chi manoscritti. non meno di E per parlare solo di Firenze, tre codici so che se ne conservano non ne mancano nella Magliabechiana e nella Laurenziana. Dopo l'introduzione della stampa poi se ne ripeterono più e più volte V edizioni, che, come destinate nella Riccardiana^ e per uso del popolo, sono andate in gran parte distrutte e divenute rarissime. La prima di tali impressioni, che sia conosciuta, è del i4S6, e fu da varie altre fino al 1705, dopo il quale anno non ne ho veduto ricordata nessun alseguita tra (4). Il testo (1) Senza presumere di fare cennerò qui le Varie edizioni cando ove ne ho trovato sono registrale dall' stampe è diverse di queste un da esatto catalogo, ac- me conosciute, indi- fatto ricordo quando non Hain o dal Brunet. Istoria d' Apollonio di Tiro in ottava ne zia, 1486^ in — — 1490, in — Ivi, rima. Ve- 4.*» 1489, in 4.° Bononia_, impressa per Plato de' Benedilli^ 4.«» reformata per Paulo de Taegia ce, stam6 XXXIV che leggesi nei manoscritli lo stesso ; salve pe- ma- rò quelle modificazioni e riforme che di no in mano vi fecero gli editori, per le quali non solo V opera di Antonio Pucci venne un pòco ad ma alterarsi (i), divario fra stampe le paia per magistro Cassano no, 1492, in talvolta portano anche slesse. de' Montegatii ec. Mila- 4.«> senza indicazione di luogo ne di stampatore, e senza dataj ma del 1500 circa, in notamente stampato con Ha, per Bernardino di Lessona 4.«* le figure. Vene- Vercellese^ 1520, 4.«> in — 1555, in Ivi, per Matlio Pagano^ senza indicazione d'anno, in — 8.'» Ivi, 8.** (Paitoni) historiato e no per Valerio nova mente ristampato. Mila- Hieronimo e fratelli de Meda, 1 560, 8.*» in — del Piacenza^ 1610, in 12.° (Catalogo Moliui 1807) — — Venezia, per Pietro Usso, 1620 Firenze,, rincontro a S. ( Paitoni). Apollinari, 1625, in 4.^ — Trevi gi et tunati, senz'anno, in 8.« ( di Appendice Pistoja, per Pier Antonio For- ma del piincipio del sec. XVIII, 3 al Catalogo del librajo Agostini Firenze del 1859). — (1) Per Lucca, Domenico Ciuff'eUi, 1705, in 12.° esempio nelle edizioni che ho potuto cono- XXXV Da quanto sopra ho esposto parmi rimanga dimostrato abbastanza quello che asserivo in principio^ cioè che la Storia d'Apollonio di Ti- ro fu già uno tutta degli scritti più divulgati in Europa, e che ben pochi vantare di avere avuto mi sale popolarità. Perciò certo modo vergognosa altri grande si è possono e sì univer- sembrato cosa in che in Italia siasi la- sciata a/fatto in dimenticanza, mentre presso quasi tutte le altre una quasi direi, nuova luce : nazioni par che sia sorta, nobile gara per rimetterla a mi molto più e è sembrato che sia disconveniente di rimanere in questo addietro possediamo dei Volga- agli stranieri, mentre rizzamenti per eleganza e purità di dettalo pregevolissimi cosicché per ; noi Storia la d'Apollonio non è a considerarsi soltanto come un monumento in qualche medio storia del modo ma evo, attenente alla eziandio cmne un prezioso documento di lingua. È per questo che mi son determinato a met- stampe nel nostro volgare, rivendi- terla alle candola cosi da un scere vedesi tolto del il ingiusto oblio. nome di primo cantare, che ho verso e quello che precede E d' Antonio dall' E nel por- ultimo verso riferito a pag. xxxi, vi si il leggono in vece quale cos'i Apollonio ben i hebbe a portare Al vostro onor ditto ho il primo cantare. : XXIlVI re in atto il mio divisamenlo ho messo da parie la riduzione in ottava rimajSÌ perchè già im- pressa più volte, e si perchè, non ostante la ra» rità degli esemplari, avrei credulo dovesse riu- meno gradita dei Volgarizzamenti in non mai stampati, ed assai più pregeA questi dunque mi sono rivolto, dei scire prosa, voli. quali, due sono a me ed ambo vertito, noti, come ho di già av- conservano in Firenze nella si Magliabechiana: l'uno sta in principio del codice segnato Classe Vili, N. i272 carta 238 tergo a carta 244 ; l'altro Palchetto II, N. 68, dalla nel codice segnato tergo: i quali manoscritti sono ambedue cartacei e miscella^ nei. Né poi sono stato lungamente perplesso nel determinarmi a quale dei due Volgarizza- menti dovessi dare la preferenza, tratto mi è ma di primo paruto meritevole di esser prescelto il secondo sopra nominato per vari E di vero sebbene il primo rispetti. sia opera sicura- mente del miglior tempo della nostra lingua, pure l' incognito autore del medesimo (i) qual- che volta si allarga forse di soverchio, a sca- pilo della vivacità e della efficacia. Arrogi (1) Sebbene nel Codice Volgarizzamento di Tiri eh' è no — , — si legga in fronte a questo Questo è 7 lèggere d' di Puccio Benini e scritto di tale indicazione a parmi non basti rare che quel Puccio Beuioi ne fosse l' Apollonio sua ma- per asseveautore. xxxvli che ciò il è scritto più sarebbe del che , a gran pena può leggersi; peggio, , di e in alcuni e, quello che è ha una lacuna d'un intera carta che vi è stata lacerata. L' allro Volgarizzamento guardando poi, che ho prescelto, è intero; e al tempo, è scritto se tempo molto diligente^ ìion mal concio dall'umidità che si tratti codice da mano neppur questo con stifficiente correzione. è letterale, ma fatto invece con molta larghezza, pure V autore, che è masto ugualmente incognito, lungaggini, ha uno si ri- perde meno in vivo e brioso, stile E un /m- guaggio pieno di grazia: cosicché sebbene al- cuna volta vi e altri piccoli s' incontrino alcuni idiotismi colpa per avveìitura nei, copista più presto che dell' del autore, pure non cede al confronto delle più eleganti scritture di quel secolo. In conferma di quanto di- co circa i pregj del Volgarizzamento da preferito basti per tutte la testimonianza d' filologo autorevolissimo quanto dire di Lionardo Salviati, minato il nello stesso codice altri me un mai, vo' quale avendolo esa- Magliabechiano, in allora presso Giovan Battista Strozzi, ne parla negli Avvertimenti alla lingua, voi. 1,lib. 2, cap. 12. loi egli, dopo aver determinato codice verso il 4380, pone il l'età del Volgarizzamento della Storia d' Apollonio fra le Opere scritte dal iSW al 4340. E proferendo il suo giudi^ xvxvni zio sulle opere contenute in detto manoscritto, fra le quali tiene il primo luogo il celebre ro- manzo intitolato Tavola ritonda, così si esprime: Ed è la detta Tavola (ritonda), e tutti que* libretti che seguono in quel volume, fuor solamente un picciol numero di parole fran- cesche, d'antico e puro linguaggio, breve e va- go oltremodo, e la cucitura delle parole con graziosa e semplice maestrìa. // qual zio però rispetto alla Storia inteso giudi' d' Apollonio va con discrezione : e non volendo crede- re che quel valentuomo cadesse in un eviden- tissimo abbaglio, convien fare ragione ch'ei lo proferisse sopra tulle le diverse scritture con- non considerandole ad una ad una, ma si complessivamente. Conciossiac/iè se non può negarsi die alcuna vi se tenute nel manoscritto, ne legga ove trovasi qualche franzesismo, quale sarebbe la Tavola ritonda tal difetto to nel ; è ben lungi che co- apparisca nell'Apollonio che è scrit- più terso medesimo può toscano. Adunque se rispetto come giustissimo il giudizio del Salviati nella parie che chmmera i pregj delle scritture del codice Strozal accettarsi zi, devcsi poi del tutto rifiutare là dove le appunta di qualche parola franzcse ; e coloro che vorranno leggerlo spero meneranno buono il inio detto. In oltre il Volgarizzamento di cui parlo ri- XIXIX ceve anche pregio (/nello stesso citato e importanza dall'essere dagli Accademici della Cru- prima impressione sca fino dalla del Vocabo- lario; e se ne. possono vedere gli esempj alle parole Chitarra, Gramezza, Quistioneggiare ed anzi si dice Strozzi più volte ricordato, sul condotta la presente persi che fero alla (1): valsero a tal uopo dello stesso co- edizione. Accademici gli quale è Ed a sa- è quali presedet- i quarta edizione del Vocabolario pre- sero abbaglio allorché nella Tavola delle ab- breviature, sp/e(/anc?o l'abbreviatura Stor.Apol. T\v., dissero che il codice Strozzi era passato nella Riccardiana, laddove invece trovasi nella Magliabechiana, ove pervenne colla maggior parte dei mss, Strozziani; il che per altro era stato già avvertito dall' illustre lessicografo Giusep- pe Manuzzi nella prima edizione del suo Vocabolario, in una Contronota posta alla spiega- zione dell'accennata abbreviatura. aggiungersi che, da quanto dissero È poi da i prefati Accademici della quarta nella Nota 295, posta nella citata Tavola si all' abbreviatura Tav. può credere che neppure f e* (1) Anche l'esempio sotto è poi Rammeizare, Vite dei SS. Padriy quantunque vi quanto alterato, appartiene senza dubbio d' Apollonio. , prendessero ad esaminare quel codice, del quale alle Rit. indù- attribuito si legga al- alla Storia IL non fecero nuovo bitato che quanto alla Storia spoglio^ almeno ma ripor- d' Apollonio, si tarono a quello de' loro predecessori. Coli' aver prescelto per la presente edizione Volgarizzamento che sta nel Cod. Strozzi, il oggi MagliabechianOy non ho però voluto mcttcre interamente indietro /' altro, che pure è assai pregevole. In conseguenza, dopo V intero testo di quello, si troverà anche eruditi, fronture un saggio di debba riuscir grato agli questo: lo che spero quali potranno cosi conoscere e con" i i due preziosi inediti Volgarizzamen- di cui parlo. ti Se ho insistito ed insisto neW asseverare che giammai furono stampati Volgarizzamenti in prosa dell' Apollonio di Tiro, non ignoro che il QuadriOy nella Storia e ragione d'ogni poe- sìa, lib. 2, distinz. i, sce che in ti, in cap. 3, partic. IV, asseri- prosa italiana s'impresse dal Giun- ad un catalogo giuntino. Ma questa parte non so indurmi ad aggiustar riferendosi fede a quello scrittore sebbene slimabiléssimo. Infatti, se si esamini ria di Filippo da' suoi eredi conosciuto Giunti il il i60i, che è quello anche oggi dai bibliografi, vi registrata a pag. 337 la ma ro catalogo della libre- da Firenze, publicato si trova è vero Storia d'Apollonio, con queste precise parole: Apollonio 8. Or da siffatta magra indicazione di Ti- niente XLI altro può cavarsi non se clic il lìbrajo Filippo d' Apollo- Giunti teneva in vendita la Storia nio di Tiro nel sesto d'S,^y ma rimane ignoto se fosse in versi o in prosa. stampata dal detto Giunti vi si dice che fosse anzi apparisce al tutto Di più non tutto il j, contrario, vedendosi col- locata nella serie distinta dei impressi libri fuori di Firenze; cosicché sia a credersi che una di quelle edizioni dell' Apollonio in ottava rima date fuori da altro stampatore, e in altra città. Se dunque il Quadrio, fosse piuttosto cosa non improbabile, intese riferirsi al suddetto catalogo, convien dire che prese equivoco: mi conferma il non aver da verun bibliografo stam- e in questa opinione mai veduto pa citata che siasi dell' Apollonio in prosa volgare, uscito dai lorchj dei Giunti o di altri que. Non qualun- pertanto anche altri cataloghi giun- tini possono esservi stati; ed die il è anzi a dirsi Renouard fa noto che erano stati ve- duti alcuni frammenti di cataloghi dei Giunti di Venezia biòliografia de cui {\) In alle un (4). Inoltre chi è punto versato in non può ignorare le strane vicenvolte vanno soggetti i libri, dei foglio di pografi<i Giutitina supplimenlo che plari della ti-rza edizione d( merle dcs AldeSf hlld agli Annali della trovasi in fine di alcuni gli io Parigi li- esem- Annales de l imprir il 1834. XLII quali a quando a quando ne apparisce alcu- no che era sconosciulOy o la cui esistenza ne- gavasi o mcttevasi in dubbio. In conseguenza quando a/fermo zamentif inediti suddetti t Volgariz- accetti con circospezione e col do- si vuto riserbo il lo dico perchè, mio asserto ; e intendasi che io dopo aver usata ogni possibile non mi è riuscito di trovar traccia mai publicati per le stampe. Tranne i due ricordati codici magliabcchiani non ho avuto la sorte di trovarne altri ove diligenza, che sieno stati leggansi e i Volgarizzamenti di cui ragionasi^ però mi è mancata la comodità di fare quei confronti che nella publicazion^ di anti- che scritture tornano sempre grandemente utili. Anche è stato di che il testo latino, da cui derivano, mi poco ajuto, perchè ho già avvertito non sono fatti seguono passo passo letterabncnte, il ma mentre sentimento del latino, quanto alla dicitura o restringono o più di sovente allargano degneranno . gettar Quindi que benevoli che occhi gli sulla presente publicazione, spero non vorranno accagionar- avverrà loro d'abbattersi in qualche passo ove il discorso sia manchevole o stravolto. Se mi se in tali casi avessi voluto risanare dovuto farlo a capriccio : il testo, avrei cosa facile e comoda, ìha che reputo biasimevole, sebbene altri an- che troppo spesso ne abbia dato l'esempio. Pini- XLIII tosto che mettere arbitrariamente la mano nel testo di queste antiche scritture ho creduto mi- glior consiglio di avvertirne difetti, ho avvisato alla fine il i ove ne bisogno, nelle Note che ho posto con richiamo di numeri; nelle quali ho procurato di risclùararlo, o recando latino il corrispondente, o come io meglio ho potuto. Sol- da me sempre avvermi sono permesso qualche piccolo raddrizzamento nel Saggio di volgarizzamento tratto tanto rarissime volte, e tite, dal codice Magliab. Class. VIIJ, N.^ U72, es- sendomisi reso quasi indispensabile per essere il codice assai difettoso. Le noterelle che sopra mirano qualche volta anche a spiegare alcune voci ovvie: mi, ma non e locuzioni meno ho voluto in questo allargar- perchè mi sono riserbato a registrare si in tur cataloghetto disposto per ordine alfabetico alcune parole modi che mi e è venuto non esser notati nel Vocamanuzziano che ho preso a scorta, o sono in senso diverso, o mancano degli fatto di avvertire bolario che vi occorrenti esempi; ^ ^^ P^^^ specialmente per- chè non ho inteso di publicare un libro da destinarsi per coloro che si avviano allo stu- dio della lingua, quali non è ma grande soltanto per quelli (dei il cano più di proposito monumenti nmnero) all' che si dedi- investigazione dei della nostra antica letteratura. E XLIV che tale sia mio intendimento il numero di lo scarso dimostra lo copie die ne ho fatto stam- pare. Ho seguito l'uso moderno nella punteggia- tura: nel resto ho cercato di ritrarre più che potevo videre ortografia dei manoscritti, salvo l' parole allorché vi le unite fra loro. erano l' tali di- il stavano malamente Quando però le sregolatezze che soltanto potevano attribuirsi al- ignoi'anza o alla sbadataggine dei menanti, ho lasciato da parte questo rispetto per l'antica ortografia. Voglio poi avvertire che Volgarizzamento che si dà per regolarmente secondo l'uso role, che nel pamoderno intero le finiscono tronche, veggonsi spessissimo prolun- un ne; gate con là, fiine Siffatta per dà il e così vi si troverà lane méne per mo, vane per paragoge non rara ture, qui volta, fu, si come ec. nelle antiche scrit- vede freguenlissima negli per va ; e qualche esempj che ho recato, caso che nella nostra lingua si si hanno parole di significato affatto diverso, che intere si scrivono appunto cosi. si Ora in questi ca- ho usato di mettere un segno a guisa d'ac- cento sulla vocale colla quale dovrebbero finire le parole, nel modo che vedesi qui sopra : non perchè quel segno debba prendersi come un vero ma solo come avvertcìiza, onde si conoprima giunta il valore delle parole stesse. accento, sea a Concluderò col dire, che dalle cure nel render così ria d' Apollonio adoperate publlca ragione di di la Tiro conosco bene Sto- che non ho da aspettarmi né gloria né utile alcuno. Ma non è a questo che io miro: runico scopo che ho avuto nel togliere dall'oblìo un libro tenuto già in tanto pregio dai nostri antenatij zato, il quale nel tempo stesso, così volgariz- ha sede fra i testi di lingua, é stato quello di far conoscere che anche noi Italiani sappiamo apprezzare gli antichi monumenti E mi chiamerò assai avventurato se giungerò ad ottenere il gradimento dell' eletto numero di eoloro che si dedicano allo stu- letterari. dio dell' antichità, e che zelano per mantenere in onore le grazie originali e ingenue del nostro nobile idioma. VOCI E MANIERE CONTENUTE IN DI DIRE QUESTO LIBRO, CHE NON STRANO NEI VOCABOLIRJ, SI REGI- MANCANO DEGLI OP- PORTUNI ESEMPJ. N. B. Il primo numero indica trovasi r esempio, ADIRATO. Alflitto, AL NOME DJ DIO. l' ajuto divino operazione. il pagina ove la secondo la linea. Dolente. 28. i7 e 37. 8. Formoltt d* invocazione del- prima incominciare qualche d' 8. 20. ANGOLA. Voc. ant. per àncora, 67. 42. Dopo poco tcmpo 57. 7. APPARECCHIATO. Dctto di persona per AdornaA POCO TEMPO APPRESSO. to. 76. 29. AVERE AFFARE d'una DONNA. Avcrvi Commercio carnale Si. / e 47. 3. BATTAGLIA. Figuratam. Angoscia, Agitazione d'animo. 2. 3. BRANCA E BRANCHE per i raffi delle àncore. 67. i3. CARRIERA. Scanno, Seggio. 72. 23. COME. Con quale intendimento. Perchè, COMUNE. Adiet. Parlando o5. 9. 5. iO. di città vale Libera. XLVIT CONTARE PER NOME. Nominare. 64. i7. . COSA. Col verbo Essere in alcune forme di par- prende lare condizionale so, Evento, Accidente; Se cosa DA POI è. il Ca- significato di come Se cosa fosse. 28. 57 e 30. 46. CHE. Giacché. 8. iO. Esempio da ag- giungere. DISPUTARE. Usato fomia ìu di neut. pass. 65. 9. DISSUGGELLARE. Lo slcsso cho Dissigìllare. 24. 24. Nei Vocabol. registra senza esempj. si FARE MEGLIO. Menare vita più sicura, Stare Dimorare con più sicurezza. 42. 27. FARE MERCEDE ad uuo di c/iecchessia. Mostrarsene obbligato. Professargliene gratitudi- ne. 62. 26. FARE SENTORE. Fare qualche movimento. Dar segno di vita. 35. ii. FARE SERVIGIO. Fare la meretrice, il. 2. GAGLIARDO. Vivacc, Gajo.5i. 49. INORRAT AMENTE. Voc. Ant. Onorcvolmcnte. W. 43 e 39. 40. IRA. Dolore, Afflizione. 44. 7 e 62. 24. LÈGGERE. Sust. Leggenda, Storia. 84. 4. METTERE A UN PREZZO. Offrire un prezzo rincarando nelle vendite per incanto. 46. 24 e 25. MUSA. 66. 8. Esempio da aggiungere al §. 3 del Vocab. NON FARE RAGIONE siero. d' Non ne far ALCUNO. Non darsene pen- conto. 60. 2. XLVUf PkROLk» Consentimento, Adesione. 55. é6. PREGIARE. Lodare. 60. ^8. Rj SUGGELLARE. Suggellare di nuovo. 24. 40. Esempio da aggiungere. RIVOLGERSI. Parlando del tempo per Cambiarsi, Mutarsi. 43. 47. RIVOLGERSI DI VOLERE. Cambiare pare- di re 64. 44. ROMPERE LA VERGINITÀ'. Deflorare, Sverginare. 82. 27. SAPERE STRANO. Rincrescere. 29. 29. SICURAMENTE. Lìberamente, Senza riguardo. 54. 29. SOLENNITÀ*. Maestria, Eccellenza. 46. SOMMUOVERE. Invitare. 26. STUDIATO. Precedulo dagli 9. 42. avverbj Bene o Male vale Bene complessionato, Robusto, o vice versa. 38. 8. SVERGINARE. Togliere la verginità. 53. 8. Esem- pio da aggiungere. TERRA. // luogo ove uno è nato. Patria. 49. 4. e 38. 28. TORNARE IN GRAZIA. Tornare in fortuna. Ri- mettersi in buono stato. 49. 40. TRAPESsiMO. Accrescitivo di Pessimo. 85. VEDov.vTico. Abito da lutto. 56. 23. 3. T S r, A l APOLLONIO D' TIRO DI V in A^tjioccia (i) ebbe (2) uno Re, ebbe no- eh' me Antioco; ed ebjbe una moglie, ch'ebbe nome Parrocchia edebbe una figliuola, eh' eb; be nome moglie si figliuola Estasia. bellissima lo E stando uno tempo (3) la Ed essendo morta, e (4) la venne in età di marito. Ed era una morìo. femmina e per ; la sua bellezza, e per suo legnaggio molti Signiori e Baroni l'a^i- mandavano per moglie. Onde il vegiendolasi tanto adomandare, ciò forte a Ed innamorare si ne. incomin- di lei di folle amore. ogni die crescieva maggiormente l'apiore di lei uno a tanto che (5) ; camera della figliuola, dì andò fare. Re nella letto suo, Rimanendo (6) vegendosi cosi corrotta dal padre, ebbe grande doglia; tanto si il ed entrò nel e corruppe la sua verginitade. la figliuola, e che Re, suo padre, E pensando eh' ella non sapeva di volere ciliare . 1 que- 2 sto peccato, trovossì el letto tutto di sangue e per conrunpe/.ione macdiiuto E stando (7). costei in questa battaglia e vergognia siero, venne a crucciata. E quando ella la (8) incominciò a piangiere. E E quello che ella aveva. voleva dire; ma e pen- sua balia, e trovolla cosi lei la vide la balia, la balia la la fanciulla domandò no gliele? tanto la dimandò, che ella gliele disse: lo piango perch'io aggio perduto in questo avessi. E mio letto lo più nobile la bàlia disse voi questo ? Ed : ella disse ch'io abbia legittima si il ch'io dite eh' anzi mie Mozze la bàlia disse io Or : ardito di dovere (9) magagniare o corrompere Re, e non à temuto Perciò : età delle sono corrotta e sforzata. E chi è colui eh' è stato nome Madonna, perchè la figliuola Re? La donna dello rispuoso, e disse: E' fu lo spietato ch'à fatto questo (IO)! Or che noi di* a tuo padre? Ed ella disse: Se tu m* ai bene intesa, io non ò più padre che nome di padre è morto in me; e perciò che questo oribile peccato non vegnia in paleso, io voglio morire, e adomando la morte por rimedio del mìo dolore. E la bàlia, vogiondo ciò, molto le ne dolse; ma pensando che '1 ; padre ne poteva fare come la incominciò a confortare glio ch'ella potea. di sua cosa (li), la fanciulla lo Or avvenne che se era in prima innamorato della il sì me- Re figliuola, anzi ch'avesse di lei come tamente al affare di lei, poi ch'ebbe affare di ne fu vie più innamorato lei la di sua teneva. Re pareva moglie : ; e poi ne fecie e tuttavia segre- E stando per uno tempo far male, che questa sua figliuola era da marito, ed eragli adomandata da più Ba- Ed roni. ma non aveva talento egli di maritarla ; per mostrare di volerla maritare, fecie grile sue terre e province, dare per tutte leva maritare sua figliuola : che vo- e chi la volesse ve- nisse a sua corte: e quale gli saprà isporre una quistione, eh' egli gli farà, si l' averà per moglie; e se non la saprà disporre, si gli farà tagliare la testa di presente, e merli della cittade. E porre cotale fue lo in su i bando che mandare lo Re. Sicché molti Signiori e Baroni venneno per intendimento (12) d'avere la figliuola del Re per moglie. E quando la dimandavano, el re Antioco a tutti facieva la fecie quistione; e niuno gliele sapeva ispianare; sic- porre a* bando. E à ch' a tutti facieva tagliare la testa, e merli della questo modo città, com'era fecie morire molti buoni e grandi ito el Baroni: ed egli tuttavia stava nel peccato colla figliuola. Nel reame città, di ch'aveva questo re Antioco nome cipe uno gientile uomo, ch'aveva lonio ; si aveva una Tirio (i3): ed erane Pren- nome Apol- ed era molto bello giovane e savissimo. Udendo parlare delle bellezze dì questa figliuola de Re (14), e 'nteso (15) lo bando che' Re aveva mandato, pensò d'andare sì si Antioccia in per avere questa fanciulla per moglie. E fe- de suo fornimento; e poi mosse con sua com- pagnia, e andonne in Antioccia. E quando fue dinanzi allo Re, com'era ve- nuto a corte per avere glie. E mente ; il Re mostrò disse, gli sì la di e' sua figliuola per moriceverlo benignia- e feciegli onore assai, perch' era gran- dissimo Prencipe, ed era di sua terra; e disse, che bene la quistione. Allora gli piaceva, se per ciò era venuto. Onde stione, e disse così gli sapesse isporre Apollonio il Re disse, che gli gli fecie la ch'io uso la carne di mia madre. Io uno fratello, guarito di meno che figliuolo di mia moglie, e non pensò sopra ciò quanto spuose al di', io allora il la quistione, parve, e poi ri- re Antioco: Voi mi avete proposta vostra quistione, ed io la do tu gli domando mia madre, truovo (i6). lo quando ebbe udita 'Apollonio, qui- V ò peccato e vergognia, : uso non mentì v' Quan- assolvo così. carne dì mìa madre, né (i7) la : considera tua figliuola. E re Antioco, vedendo che Apollonio dicieva ^ero, e disponevagli la quistione, mostrò pu- re che dìciesse male, e disse così: Apollonio, tu non de di' bene ; e però che tu se' così Prencipe, e giovane, e savio, sì ti granfarò più vantaggio eh' agli die ; voglio ti XXX e però vae, e pensa bene in sulla qui- stione. In se tu la mia la Ora non altri. voglio dare termine fare morire, anzi capo ti di XXX me die tornerai a ; e, saprai la quistione isporre, tu averai per moglie figliuola pessi isporre, la testa a* sì ti ; e se ciò non sa- farò tagliare la testa, e porre merli della città; siccome ho fatto non Tanno saputa sporre. E Apollonio, vedendo e conosciendo come (18) il Re gli dicieva queste parole, sì gli rispuose, a tutti gli altri che e disse, eh' al egli risponderebbe termine tornerebbe a conmiato da lui, Tornato che fu, sì male, perchè gli lui. tornò a e alla quistione, e E, detto ciò, prese sua terra. Tirio pensò che aveva detto lo Re voleva gli la verità; e pensò che co lo Re non potrebbe contastare, se Re volesse fare suo sforzo. Però si pensò lo di pari irsi di sua terra e d' andarne in altre parti. E di presente fecie caricare navi di e di tesoro assai, e di ciò formento, che facìeva di me- E quando fue mare con queste stiere a così grande Prencipe. bene fornito, sì si misse in sue navi, e vassene via alla ventura dove iddio lo volesse apportare (19). d' Ora lasciamo di dire Apollonio che va per mare, e torniamo a dire del re Antioco. Da poi che Apollonio fue partito d'Antioccia dal Re, e lo re Antioco cominciò a pensare di 6 volere fare morire Apollonio e facicva questo ; pensiero: S'io faccio morire Apollonio, io non troverrò ninno che mi sapia disporre la qui- non stione mia; e così terrò la mia figliuola, e la mariterò; anzi mi terrò per me, la pensando via darò bocie di maritarla. E, chiamò un suo maliscalco, cioè e tuttaciò, siniscalco (20), e dissogli così: Taliarco, io voglio che tu vadi a Tirio, e fa che tu uccida Apollonio o per sì come veleno o per ferro o tanto tesoro che l'averai fatto, ti sì ti assai. Ed fatto, pensando pare. E togli Siccome (21) farò franco, e darotti tesoro udendo egli, ti basti e più assai. parregli grande ciò, grandezza la vedendo quello che lo Re d' Apollonio. prometteva, gli Ma dis- comE quanterra uno se di farlo bene; e prese quello tesoro e parve, e andonne a Tiro. pagni che gli do giunto, vi fu vi sì trovò nella duolo e pianto grandissimo per tutta E tutte le botteghe ni colle erano serrate; e barbe grandi per molto l'amavano per eh' era in lui. lore, sì se d' suo Apollonio senno, e : che bontà E vedendo Taliarco questo do- ne maravigliò molto e domandò uno ; giovane, ch'era El giovane r>en veggio mo, che lo uomi- grande dolore lo che aviano (22) della partita la terra. gli la cagione di quello piangiendo che tu sai la se' gli doloro. rispuose, e disse: crudele e malvagio uo- cagione, e domandimene. Gr di se' tu s\ poco conoscimento che tu non perchè questa sai pianto? Perciò che nostro signiore Apollonio, che tornò, non '1 (23) città istà in aparve; anzi se n'è e ito, non sappiamo dove. Sicché udendo dire lo siniscalco queste parole, come Apollonio re s' era partito per paura dello Antioco, funne molto allegro; e con sua compagnia lo Re E quando tornò in Antioccia. si vidde, lo camera sì si lo chiamò, e menollo nella come aveva E quegli sua, e domandollo, fatto quello perch'agli era andato. disse: State allegramente, ch'Apollonio se n'è ito e fuggito per vostra paura si sia ito quiello con sue che '1 e ; non Quando navi. siniscalco suo gli sa dov' egli si lo Re intese aveva detto, gittò un grande sospiro, e disse: l'atto niente se Apollonio non è 1' sì òne (24) morto. E di presente lo fecie isbandeggiare di tutte le sue mettere terre; e fecie menasse vivo el bando, che chi lo darebbe cinquanta egli gli d'oro; e chi lo recherà morto ciento. E sopra gni in mare che sciamo di dire di costoro lonio, e come sì gliene darà ciò (25) fecie mettere molti lelo andasseno caendo. Ora che ciercano (26) gli qua ora d' la- Apol- torniamo a contare d'Apollonio di Tiro avenne poi. Apollonio, quando fue partito di città, sì talenti Tiro sua andò per mare più e più tempo, ora lae, OTe gli venti lo portavano, e come 8 andando Iddio Io menava. E uno die molto pensoso, e egli stava cosine, doman- nave se n'avìdde, e incominciollo a dare quello eh* che non se, di E Apollonio venne maggiore volontà a lui ne sapere, e per più volte ciendo: Tèmi tu vernare temo nave la ne domandò, dì- il ch'io non sappia bene go- E Apollonio ? ma di cotesto, temo care di me disse temo. d' altro che tu lo vuogli pure sapere, dissegli: Io io te da poi dirò; e '1 per farmi uccidere; ed non (28); e gli egli è questo è quello ch'io penso. nome dov* ae una cìttadè eh' à là credo che io : Allora Apollonio disse in Apol- : siamo presso a un'aqua dolcie (29), lonio, noi di Dio. di potrò iscam- Allora lo nocchiere gli rispose, e disse dianne non lo : Ma dello re Antioco, che fa cier- sV grande podere ch'io pare dinanzi rispuo- facieva niente (27) a lui a sa- gli Onde perlo. egli aveva. ed governatore della '1 E lo : Andiamo ; an- bene sicuro. nomo lao, al nocchiero della nave verso Tarsia, e andò al lido di Tarsia (30) vi sarà' dirizoe si giunsono tanto che Tarsia fuori della terra. E quando fue lae; e Apollonio iscese in terra per ire alla CÙtade. nome s\d pt;t Ed e* Alanico, trovò uno quale il vecchio, che aveva lo salutoe, e disse : Beno venuto Apollonio. E' vegiendosi chiamai^ nóme fecie d^ftó: dii' se' si til grande maraviglia, e domau- che mi conosci? Ed egli disse: 9 nome Manico; ò ì' e sotti dire che Re il An- d' tioco (81) l'aie (32) sbandito di tutte sue terre, e promìsse, a qualunche gli cinquanta talenti dargli darà morto, priego che sì ti chi gli darà cìento. E però gliene sappi guardare da Apollonio intese cioè, però che sapeva ciò, darà vivo, di ti oro; e d' Quando lui. fue molto dolente e' Re, egli ti Se talenti m' avessi appresentato a tu averebbe dato ciento talenti d' oro, e però te ne voglio dare tanti quanti resti da lui. E quegli non molto suo amico, e stava Ora E si parte da eh' aveva ne (33), che istava moglie, ch'aveva dolo za. sì lo in nome alla cittade. nome ed aveva una Tarsia, Dionisa . Sicché trovan- lo domandò, quello ch'egli andava caendo e facciendo; e com' fatto. tu trovoe si Istranquilio- conobbe, e fecionsi grande alegrez- E Stranquilione va lasciata ave- n' perchè era in Tarsia. andonne e lui, gli volle, air entrare della cittade di Tarsia uno suo amico, di grande sua potenza. la Allora Apollonio gli volle dare ciento d* oro, e disse: ti ti la patria E Apollonio gli sua, ch'era ave- egli grande così rispuose, e disse: Non sai che lo re Antioco m' ane isbandito di tutte sue terre per farmi morire? Sì ch'io mi vo fuggiendo, e sono capitato qui: ch'io rei pregare che ti piaciesse scondiate in questa vostra sì ti vor- che voi mi na- cittade, che il Re 10 non mi potesse trovare. Istranquilionc, udendo l'amava, e ti molto ine cioè, gli si perchè dolente, lispuose, e disse: Volentieri nasconderei, ov' io potessi ma ; dire a non ci ci à biada; sicch' ogni gienle ci me; sicché qui non potresti tu istare. rare, acciò eh' poteresti muore di faQuando Apollonio udì che non vi Oh Dio che mi dato rendete grazia a ; di du(34) ene grande fame, che non stare in questa terra, tu ! molto aveva biada sì disse: ci à man- che se voi mi volete sicurare in questa vostra terra, io vi darò ciento milia islaia di grano, ch'i' ò nelle mie navi, per quello che mi costò mia terra. E quando Istranqui- nella lione udì quello (35): Antioco, ma saprà, ti e' Non che sicurato dal re credo che, quando io sicurerà da tutto el el mondo popolo (36). Al- lora disse Apollonio: Andiamo, e facciamo gunare popolo, e el vorranno fare Allora si s' mosse andaronsene io el ra-. vederemo quello che mi darò loro questo formento. Stranquilione e Apollonio, e alla piazza. dinoe col Signore nare tutto sì E Stranquilione della terra; e popolo; e fecie sali in sulla sì or- ragu- ringhiera; e incominciarono (37) a dire a questo popolo questo modo: il in Signori, io voglio che voi sap- piate ch'io sono Apollonio principo di Tirio; e voe fiiggiendo dinanzi al re Antioco che per le sue male opere e' mi vuole fare uccide- Il re: e sono qui in questa vostra cittade; per- chè voi dovete a Dio, che mi rendere molte grazie di cioè à mandato ci odo che eh' io ; voi avete in questa vostra cittade grande fame, e non salvarmi co, io eh' avete biada. Perciò vi dico che, se ci mi volete promettere voi darò vi guardarmi e di ciento milia istaia di grano ò nelle mie navi, e darollovi per quello i' ch'egli mi costò nelle mie popolo di Tarsia udì quello eh' metteva loro, gridarono impromettevano do, di questa vostra cittade dal re Antio- in s* di a terre. Quando lo Apollonio pro- una bocie, eh' eglino guardarlo da tutto mon- el egli desse loro quello grano. Allora Apol- lonio fecie loro grazia (38), e servi che comandò a' suoi fermento fusse iscaricato e recato il in piazza, e datone a chi ne volesse per da- nari otto Io staio (39), cam' era costato a lui e prima valeva trovava uno danaio d'oro, sicché Io popolo : si suo, sì si pensò eh' egli : non se ne fornì di formento. E avendo venduto Apollonio tórre loro danaio e formento tutto lo aveva fatto veruno, acciò male a ch'egli non era mercatante; e di presente fecie mettere r.nu bando per tutta avesse comperato che venisse gli terra, che formento d' chiunque Apollonio alla piazza, e togliesse e' suoi nari -rdietro, acciò non la del voleva (^ió). eh' egli E cosi da- non voleva, cioè rendè a ciascuno e* i2 E quando suoi danari. dono sto cuno ci popolo vidono (meaveva fatto loro, cia- eh' Apollonio cominciò ad amare come fosse Iddio; lo A e dissono tra loro: noi ci conviono faro tal cosa che questo bene, ch'Apollonio una istatua rame di vece (41) in grano colle spighe del in Apollonio d' capo e sotto pie- e' e missola (45) sopra una colonna nella piaz- di; za à fat- ci sempre. E allora fociono fare to, si si ricordi ; e scrissonvi lettere, e È LA SIMIGLIANZA i3) ( dicievano: questa D'aPOLLOMO DIEDE LO FORMENTO AL POPOLO DO EGLINO AVE ANO IL DI DI TIRIO, CHE TARSIA QUAN- TALE TEMPO LA GRANDE FAME. Ora dicie in Tarsia conto, che istando Apollonio lo tornava (ÌA) e stava pure con Istran- sì quilione e con Dionisia sua moglie. per uno tempo di ne: Apollonio, se tu mi crederrai, bene siglierei al E stando pochi mesi disse Istranquilioio ti mio parere. Apollonio con- gli ri- spuose, ch'egli era apparecchiato a fare e a ogni ricievere Tu istato se' Antioco lo salvamento in Tarsia qui. là egli io ti direi, che tu cittade te eh' credo che farai n' ene andarsi a in quello (46), si gli cotale meglio (i5) che E Apollonio, udendo Istranquilione cieva disse: assai; tantoché lo re puote bene sapere: e però per tuo Pentrapoli, buona luogo; e Ed suo consiglio. gli di- rispuose, ch'egli era apparecchiato d'andarvi. Incontanente ciiiamò e' servi suoi che appareechiassono le navi, e ciò che faciesse mestieri. Di presente fue fatto suo comandamento; e, quando fue bene appa- commiato recchiata la nave, Apollonio prese dal popolo di Tarsia, che molto ne furono lenti di do- sua partita, perchè molto l'amavano. Ora se ne va x\poIlonio con sua compagina mare tanto che giunsono al commiato da tutta giente, su per lo lido del porto, ed ov'e' prese e ricolsesi de in fare vela nave con tutta sua giente, e Tarsiani pregano Iddio eh' egli salvamento in fe- per andare a Pentrapoli. E el i conduca a questo mondo. E dipartito Apol- iouio della città di Tarsia, dicie lo conto che parrecchi die -Poi,. come -e ebbeno benissimo tempo. egli piacque a Dio, il tempo si rivolse, avenne tanto ch'egli ebbeno l'aque perico- lose (i7) e'I più pericoloso tempo che mai aves- sono; che ruporo alberi e antenne e timoni; sicché el vento e me 'l mare menava le navi co- rupono E e non ne campò niuno di loro, salvo ch'Apollonio. Ed egli s'appiccò a un asse della nave, sicché il mare lo gittò a e ivi suso campò uno lido igniudo. E questo lido era presso a -pentrapoli a due miglia. E stando ApolloIonio co>A arrivato (i8), come v'ò detto, sì covoleano- alla peiTine le navi si ; Tninciò a fare grande lamento, e dicie: ma- è u reo, che non crudelissimo e •r« ricievere, ni' ài v<iluto né farmi morire, com'ài fatto gli mici compagni Nanzi m'ài lasciato percliè ! II me! E cosi si lamentava, e piangca molto forte. E istando in questo lamento, ed e' vide venire uno pescatore ch'era molto povero. E sì tosto come Re Apollonio a* grande faccia fare vide, el andò si Messere, io a e misericordia di me così vilemente tu sappi ch'io piedi : lasso e sventurato, ch'io : acciò cJie sono Apollonio di Tirio, Prin- cipe (49) della mia terra disse la igniudo Allora vita. pescatore: lo mi allo comando. Allora ora sono : adomandoti e tuoi, Apollonio gittoglisi priego che tu debbia avere piata ti non potrei vivere a* e lui, piagniendo, e dissegli così igniudo piedi istrazio di lo pescatore, ti rac- vedendo ch'ave- va labbia (50) di gentile uomo, presegliene gran- de piatade, udendolo così lamentare; e mcnolone in una sua capanna molto povera di ; di paglia, ch'era e diegli da mangiare e da bere C vegiendolo quollo eh' egli aveva. così igniudo, ebbe grande piatade, e dissegli: Vedi ch'io non òe che altro che questa islracciata. Ed li dare di che tue egli la si rivesta, trasse, e partilla mezi^o, e diedegli la metà, e l'altra ne per ti mia meza gonnella, eh' è così sé, e dissegli: per metà ten- Vattene alla.cittade, eh' presso quie due miglia (e m "S.rògli la via d'on- de andasse) quando e, ; sarai làiio, quale che buona persona troverrai che ti farae qualche bene: se ciò non truovi, torna quie a me, e pescheremo insieme: ed meno dì poco questo Icco partirono io non eh' io verrò mai ti mi troverrò, e insieme. Apollonio e' gli grazia di quello eh' aveva da eh' e' gli dicieva di fare; e partissi ire alla cittade. '1 pescatore Se tu torni mai tire: goti che Che E h* ti cìessc E Apollonio egli ritornasse (52), ; disse: gli non facìesse, Iddio mare un'altra volta, in par- che se ne ricorde- ciò e, se rompeie per lui gli disse al in tua grazia (31), prie- ricordi di me. rebbe bene reade gli fatto, e dì ciò lo fa- e ai- rivare così com'eia; e non truovi chi mi faccia bene. Allora si partìc l'uno dall'altro, e Apollo- nio se n' andò poli lieto come in verso la cittade dì Penlra- poteva. E quando Apollonio giunse dentro incominciò a guardarsi d' intor- uomo unto d'oHio, e andava gridando: Ogni uomo che vuole venire ^ bano, e vide uno gno, venga, ch'egli ene bene caldo; ci giuoco della palla. E Apollonio e l'udì, e co- minciollo a seguitare, tanto che fue (53) gno. E* stando così vide venire il favisi Re al suoi Baroni assai co lui; e cominciarono a re a uno giuoco di palla, sicché lo ba- e altri l'o- Re sapeva meglio fare che ninno altro, e più v'era de- i6 Siro e leggiere. E allora Apollonio giunse nel giuoco, e incominciò a fare (54) collo Re sì bene e saviamente, che sì '1 Re disse: Questi fané el giuoco meglio di méne. Allora entrò- ne nel bagno; e Apollonio mincìoe a fregare mente, eh' egli el Re v' si vane: con tanti solennità (55) era la costuma che chi dovesse fregare alla palla per questa cagione lo il lo fregava. mente lo fregava, e Ed meglio giucasse Re bagno; e nel fregava. Sicché maravigliava di costui, che si parevagli tornare da vecchio a gio- eh' egli lo faciesse egli dolcie- sì maravigliava, e si inco- entroe, e bene e il Re dolcie- così noUo conoscieva . Ora .vennero (56) che uscirono del bagno; e Apollonio si partìo da loro, e vassene per la ter- Re tornò a casa a sua corte. E quando fue nella camera sì domandò di colui che r aveva servito nel bagno. Fugli detto che non v* era; e quegli comandò che fusse cìercato ra e ; il di lui, e menatelo a me (57). E* servi uscirono fuor^e cominciarono a ciercare d'Apollonio per la terra. Tanto ciercarono che rono, e menarollo ti, al lo trova- Ke. E quando furono giun- uno de'servi andò al Re, e disse, com'egli E lo Re disse: Menatelomi nella camera. v*era. E servo tornò ad Apollonio, e disse lo nella non vi camera al : Vieni Re. E Apollonio disse, che voleva andare; perciò eh' egU eraptto 47 in d' mare, ed era mal andare dinanzi vo tornò ai al vestito, Re in sì Re, e dissegli sì si vergognava fatto abito. El ser- la risposta d' Apol- Re comandò che fusse vestito; e così fu fatto. E incontanente allora uscìe il Re della camera co' suoi Baroni a mangiare. E *1 Re fecie mettere Apollonio in capo di tavola in orato (58) luogo nonne (59) alla sua tavola, ma a un'altra. E stando a tavola, yennono di molte vivande e divisate, e molto valonio: e lo ; sellamento d'ariento e d'oro, siccome a tale Signiore cioè, si si conveniva. E vedendo Apollonio, cominciò molto a maravigliare, e a guar- darsi d'intorno, e a racordarsi di quello soleva fare egli sicché incominciò a perdere : giare (60), e quasi non mangiava, e guardavasi pure d'intorno. E uno, ch'era per invidia disse in al man- il alla tavola del Re, Re: Vedete quegli ch'à rotto mare, che per invidia ch'egli che vede così à, riccamente le vostre tavole fornite, sì n'à perduto il mangiare. E il Re rispuose, e disse sono cierto che nollo fae per ciòne avventura aveva egli di ; : Io ma per e ora queste cose, r ane perdute, sicché gliene ricorda, e peróne perde il e disse: mangiare. Allora lo Re tu che rompesti in lo chiamone, mare, mangili, e non pensare alle cose passate; che ancora per aventura Iddio averà misericordia Allora Apollonio, udendo minciò a mangiare. di te. così dire al Re, co' 2 i8 E stando una cosi a tavola facieva pulciella, e una sua usanza, era usata di fare, ch'ella abbraccioUo e venne nella sì sala Re, ch'era molto bellissima figliuola del bacioUo; andò sì salvo eh' Apollonio : e le a tavola, lui lui lasciò, E perchè ch'era forestiere. eh' ella padre, e badò catuno poi e ch'erano co de' suoi cavalieri, al perché vide pareva che se così crucciato, incontanente tornò al fus- padre, e dissegli: Dolcie mio padre, ditemi chi è co- capo lui ch'è di E' parmi di tavola in forestiere, luogo onorato? parmi che e stia molto dolente, e non so di che. El padre rispuose, e disse si sia, m'ane fussi : Cara mia ma sì ti oggi nel quando Ma dì lui, che eh' io lo feti invitare a se tu vuogli sapere chi onde, va, domandando; e for- egli te sericordia di chi egli bagno meglio mai servito; e peróne egli ene, e d* non so sone dire tanto (GÌ) servito ciena con meco. se, figliuola, io lui. l' a vera detto, tu n'arai mi- Allora tornò la pulciella ad Apollonio con abito (62) gientilc, e umile e vcr- gogniosa colle mani giunte, e salutollo corte- semente. E Apollonio E la pulciella le rispuose dolciemente. incominciò a domandare del suo essere (63). Ed egli le rispuose: Se tu mi domandi del mio nome, i' ò nome Apollonio: Se tu mi domandi di mio padre, io lo lasciai in mare Se tu mi domandi d' onde io fui, Tirio : i9 fu© la mia terra (64). tro? io se: l'ò Ed ella disse Non : per questo non t'intendo. Ed nome di' al- egli dis- Apollonio di Tirio, e ruppi in mare, e rimasi come tu vedi. E cominciò a contare tutto cioè che gli- era avvenuto: e cioè dicieva piangendo, e lagrimando. parti, e la pulciella si disse : Tu tornò fatto male, che, ài al Allora padre. E il Ile per volere sape- re di suo essere, tu ài rinnovellato il suo do- lore; e dapoi che tu ài fatto cosìc, pensa di ri- confortarlo : vae, e fagli qualche bene, e quale che bello dono : e vane, e reca la chitarra che per aven- tua, e suona, e canta; forse tura dimenticherà il dolore. Allora la pulcel- e andonne per la chiquando fue tornata, sì cominciò a sonare ed a cantare. E sonato e cantato ch'ella ebbe, e la si partì dalla tavola, tarra; e quegli, ch'erano a tavola, la comincia- tutti rono molto a lodare: e Apollonio non dicieva nulla. Allora disse: Tu non il Re chiamò per nome Apollonio, e mia figliuola, e tutti gli altri lodi la la lodano, e tu solo pare che la vituperi. Allo- ra Apollonio rispuose, e disse : lo non la lodo perch' ella falla in quello sonare; e se voi volete vedere la pruova, fatemi venire la chi- comandò che la chitarra fosse recata. E quando egli l'ebbe in mano, si la incominciò a temperare, e quando l'ebbe temtarra. Allora (65) perata, sì cominciò a sonare e a cantare; e sonava 20 e cantava dolciemente, che quegli ch'erano sì a tavola pareva dilettava loro lonio. loro essere sonare e il E quando paradiso: in cantare 'l figliuola dello la disse: gli E Voi mi dicieste ch'io si donassi a que- gli in padre disse: la pulciella pre- di padre, e al mare quello eh' io volessi? Bene lo dissi e dico. Allora ch'aveva rotto 'i venne e lui, si Apol- Re udìe che sapeva così bene sonare e cantare, sente innamorò di d' andossene ad Apollonio, partì, e e donògli molte robe, ed avere assai, e servi, e Apollonio poteva istare molti cavalli; sicché inoratamente E Apollonio (60). ricievette, lo e fecie loro grazia (67). Apollonio disse al Re, quando venne la sera, che se ne voleva andare; e prese commiato dal Re. E la si a lui, sì disse al ciati ella padre non : lo di' sera da noi, che ista alla notte, che sarebbe troppo male. E mia, tu suo amore Dolcie padre mio, piac- bato e toltogli ciò che noi la il quale noi abbiamo oggi parta si non vada incontro Apollonio eh' aveva posto tutto che Apollonio, ricco (68), vedendo pulcella, partiva, ed che non gli '1 Re sia ru- abbiamo dato, disse: Figliuo- bene. E incontanente chiamò Apol- lonio, e dissegli, che voleva ch'egli albergas- se la notte nel suo palagio. Cloe che lo Re volle. E E Apollonio fugli una bella camera, dov'era uno fecie apparecchiata letto bene for- 2i andò Apollonio nito. Allora se n' Re così fecie lo dormire a e tutta figliuola ; e l'altra andarono a dormire. famiglia, e Da e la Re poi che la figliuola del fu ita a dor- mire, ed ella non poteva dormire: tanto era innamorata d'Apollonio. E tutta sa a ciò cella si ; e la mattina andonne levò, e e gittoglosi (69) padre lo la a' vidde, la notte bene per tempo alla camera piedi in su'l letto. sì del Re, E quando le disse: Figliuola è questo ? E' non suole essere tua pen- la pul- mia, che usanza di tempo. Ella rispuose sospiran- levarti così per do, e disse: Padre mio, io sono tenuta savia, ed io non sono niente: voi avete maestro, però vi domandò lora Quella disse so; e però Re, chi era questo maestro. il fate, per Dio, eh' egli rimanga qui, e ed io grande amore che noi e per lo grande egli sono cierta che per gli abbiamo mostrato, bene che voi gli avete fatto, farane cioè che voi vorrete. Allora lo Re, udendo la figliuola, pra tutte le quella eh' egli cose del mondo, sì camera d'Apollonio, che si amava so- levò, e an- dò alla to, e apparecchiavasi per andarsene. lo il Quegli che ruppe in mare è des- : ch'egli m'insegni; lo casa in piaccia eh' egli m' insegni. Al- già era leva- E lo Re chiamò, e disse: Apollonio, io voglio che piaccia di rimanere qui con meco, e strare questa mia figliuola. ti ammae- Quando Apollonio 22 udìe lo priego che lo Re sando r onore che gli aveva gli pen- facicva, e fatto, rispuose sì che farae quello ch'egli vorrae: e cosi rimase Apollonio nella corte dello re per amaestrare Archistrata sua rimanendo Apollonio Archi.-trato Poi figliuola. Re nella corte dello sì 'ncominciò ad insegniare ad Archistrata quant' sapeva egli bene di ed ; ella aparava siccome quella ch'era multa savia Or dicie (70) ch'ella si era sì assai, pulciella. presa d'Apol- lonio ch'ella non poteva più innanzi né più adrieto (71). E, portando questa pena di questo amore, poi venne un del Re si lata. E' gittò in su medici 'I dì letto vennono vi che fanciulla la come l'emina assai, e ama- non trova- rono ch'ella avesse male ninno. E stando un dì lo Re nio, e così lo così prese (72) per la andossene in sulla Re vide venire giori ch'egli avesse. mano Apollo- piazza. E standosi tre suoi Baroni, i mag- Catuno era giovane, e ca- domandata questa sua figliuola per moglie. E lo Re aveva bene volontà che tuno aveva Tuno di questi tre suoi Baroni l'avesse moglie; acciò eh* roni che lo egli erano i per maggiori Ba- Re avesse: ma non sapeva bene diliberarsi a quale la dovesse dare. E stando così questi tre Baroni giunsono dinanzi dal Re, e salutaronlo molto cortesemente; e lo dè loro salute. E l'uno Re ren- di loro parlò, e dis- S3 so Re : Archiitrato, tu che noi siamo sai che tu abbi maggiori Baroni i terra, e che catuno è voluto essere tuo gienero: e sai però siamo venu- tu ci ài tenuti in parole, e ti tua in a te; che noi vogliamo sapere se vuo- tu gli dare tua figliuola a ninno di noi, e a qua- le. E però siamo venuti insieme, che lunque tu a contenti. x\llora rispuose lo He, e disse no pur fermo ché non è in anz' è punto : lo so- figliuola; ma uno poco amalata, sic- di maritarla, la non è sana, ella qua- dare, noi ne siamo contenti la vogli mia maritarla di : ma, quan- d'ella sarà guarita, io la mariterò; e a quello ch'a lei piacerà è oggimai sì riterei sanza la voglio la darò grande e : si conciò sua parola (73), e maritare. scrìva in sun (74) lei darò per marito, quand' piacerà più e iscritto, lata, e' presela, e diella lo questa iscritta ad che risponda, ed io ci ti Re Quando l'ebbe Archistrata, e aspetto quie. cia- sugiel- ad Apollonio, e Porta sì ella sarà in istato ciò. E' così feciono di presente. scuno ebbe ma- la io la sugiellerò di ; da non a suo senno E però catuno di voi sì una carta lo suo nome, e con che patti la vuole ed mia mano; e quegli che a le cosa ch'ella sia savia ch'io disse: dille E Apol- lonio la prese, eandossene al palagio del Re, ed entrò dentro, ed andossenc uella camera d'Archistrata tutto solo. E quando Archistrata lo 24 vide Tenire,s'i tu vieni Io ci Macstro,che è ciò che Ed così solo? egli vengo per bene e non per altro sta iscritta, che tu cie gli disse: qua dentro che ci ti manda disse: te' ; tuo padre; lo risponda, incontanente ; quee' di- però ch'egli aspetta la risposta, eh' egli ò alla piaz- Archìstrata prose la carta, za. ch'ella dìcieva e disse ad s' io ; e ninno Apollonio mi marito ? Ed : Maestro non mi piacie, e sammi ài tanto di duole ti Madonna, no, an- e' disse: zi quello e vide non liene piaceva; buono tempo imparato che (7.-i), basta. ti che tu Ed ella rispuose, e disse: Cierto, Maestro, se tu m'amassi, vi che tue non volessi, altrui al '1 vero, che ruppe in ri- colui sugiellò la scritta, e diella ad portasse io iscrivessi questo è non voglio per marito. E poi ch'io voglio per marito mare, e cioè, sua mano, e disse: Padre mio, io chie^io perdonanza sicché, se altro la E detto tue ne saresti bene dolente. iscrisse di Re. E Apollonio Apollonio che la portò, per- chè lo Re r aspettava co' tre Baroni in sulla Quando fu giunto a lui, sì gliele diede in mano. E lo Re la disugiellò, e assai la lesse, e male la 'ntendeva; e però gli domandò, e disàe il Re a' tre Baroni: Àcci veruno dì voi che rompesse mai in mare ? E uno rispuose, e disse: Sì, sono io. E l'altro, udendo ciò, sì gli disse: Tu non di' vero, che mai rompesti piazza. l' 2r> in mare ; però mo sempre eh' io lo so bene, insieme usati dire? Allora quegli se: lo vi dirò lo mare. Allora si che noi sia- come : lo puoi tu vergognò. E l'altro dis- non ruppi mai vero, io in chiamò Apollonio, ch'era (76) dall'una delle parti, e disse: Intendi tue que- E Apollonio sta iscritta? di presente. E lo E Apollonio ta. Re Allora Io lo e intesela lesse, la dimandò un'altra vol- disse: S'io l'osassi di dire, e mi desse (77) voi Re la disse: parola, io la 'ntendo bene. Non dire più, ch'io la 'n- lendo bene. E a quegli Baroni disse, che s'egli Don sapesse meglio la risposta della figliuola, che quella iscritta none intendeva egli bene (78): e però io le parlerò, e poi piacerà. E' Baroni lei ne farò come a rispuosono : Sia a vo- Re prese Apollonio per la mano sì dolciemente come giàfasse suo gienero, e andossene al palagio. E quando fue dentro, ed egli si andò nella camera della figliuola. E quando la figliuola lo vide, di prestro comandamento. Allora sente gli si gittò Padre mio, lo mi se tu cioè me ne s'io par- non fai, me vuogli avere bene di dammi marito allegrezza. se, eh' ella perdonanza vostro volere, che forza d'amore fa dire: se tu e allegrezza, di a'piedi ginocchione, e disse: io vi chicggio lassi oltre al il a mio senno : e, tue non averai mai bene E 'I Re le rispuose, e adimandi chiunch'ella vuole, ed disella cos^ Tavercbbe. Allora rende grazie, qfiolla gli e dicie: Io voglio per mio dilettissimo marito maestro; ruppe che Apollonio mare, in sarò contenta, e apa- e, s'i'ò lui, io rerò assai di bene. Allora lo Re che bene piacieva gli ora mio eh' è le rispuose, ch'ella avesse quello Re usc\e ch'ella aveva adomandiito. Allora lo mano, della camera, e prese Apollonio per la e disse, coni' moglie. Ed egli e disse, che Allora lo gli Re voleva dare sua e' gli ne fccie grazie, piacieva ciò eh' egli fecie somuovere voleva. (79) tutli e' suoi venissono alla corte; conciò sia Baroni, che cosa che voleva fare Archistrata. Re molte al per figlia le nozze della sua figliuola E quando furono assembrati dinanzi dallo Re, e lo Re diede per moglie gliuola ad Apollonio; e di ciò nozze e grande festa; e fecie ni a' Baroni. E compiuta n'andarono ciascuno si il la fecie sua fi- grande Re grandi do- la festa, e' Baroni se agli loro alberghi. Dapoi ch'Apollonio ebbe per moglie Archistrata, cominciò a cresciere T amore tra loro due così grande e maggiore, come mai suto tra moglie e marito non (80). istava l'uno sanza l'altro. E fusse die e notte E sempre Apol- lonio amaestrava Archistrata sua moglie d' ogni bene e senno (81) ch'egli sapeva. una notte ed ella pregò, le diciesse bene lo e disse vero chi E stando cosi ad Apollonio, che egli era. E Apol- 27 Ionio le cominciò a contare, com'egli era Pren- Onde udendo Archicome Apollonio era giuntile e grande cipe di Tirio sua cittade. slrata prencipe, sì ne molto allegra; e se prima fu l'amava, poi l'amava assai piue. Or avenne, come pìaque a Dio, Archistrata ingravidò, e \enne presso a partorire. Ora s'andavano amendue un Baroni dì prendendo solazzo, e co loro E andandosi per assai. trapolisolazzando, s! altri Pen- lo lido dì insieme su per lo lido, tutti apparve uno legno molto bene armato. E quando fue presso mandò, d'ond'era puosono, ch'erano mandò lo legnio. Apollonio do- Ed eglino E Apollonio di Tiiio. ris- do- gli quello ch'eglino andavano caendo per Ed quello paese. caendo Apollonio se, alla riva, e andiamo E Apollonio rispuo- eglino dissono: Noi di Tirio. e disse: Io conosco bene Apollonio; che ne volete voi fare? E queglino rispuosono, e dissono: Dapoi che lo conosciete, noi vi voi preghiamo che, se voi lo trovate, che voi gli diciate, che lo Re Antioco sono morti che venne loro una saetta da cie- lo, : e uccisegli amendue palagio, dov'egli erano, tro : a e la sua figliuola un'otta, e arse però l'andiamo caendo per fagliele (82) la corona è serbato quello assapere, ch'egli venga a rioievere d'Antioccia; però che lo con ciò che v'era den- gli Reame. E Apollonio rispuose, che quella ara- 28 basciata farà bene e volentieri, egli vedrà. E a tanto (83) lo legnio s'egli lo partìo dalla si lonio. andonne alla sua via ciercando d'ApolDa poi che lo legno fue partito, e Apol- lonio parlò riva, e alla t'aveva moglie, e dissello detto di mio essere, e tu non ne sapevi altro: ora per questo legno ne io sai la verità; di che sono molto allegro. Sicché allora Archistrata disse: gli Ora mi re? E Apollonio die, le che à' tu in cuore di fa- disse: lo voglio andare a tórre quello reame, eh' è così grande e così nobile; e da poi ch'io ne sarò fatto signiore, €d io lornerone quane a quello ch'egli dicieva ( te. Quand' ed ella che se medesima), e udiva ch'egli tire da lei, e ella intese l'amava più voleva par- si non sapeva quando lo si rive- desse, funne molto adirata (84), e disse: Co- me! Apollonio, cuore del corpo mio, isperan- za e allegrezza mia, conforto e desiderio (83), come ! me tu vuogli tu partire da che tanto amo! cierto grande peccato faresti, ispezialmente ora che sono presso al partorire cioè ti eh' a Dio piacerane. Cierto, se tu ni paesi, tùò doveresti venire a fussi in istra- me per essere mio parto. Perciò ti priego per Dio, cuore del mio corpo, che tune non ti parti ora da me: al e se cosa (86) ene che tue vogli pure andare per questo tuo reame, menami con tceo, e non mi lasciare qui sanza tene. E Apollonio rispuo- 29 che ciò farà se, egli volentieri va che non sapesse reo (87) non desse le Ed parola. la tu fare testo lascia teme- egli padre, e che disse ella Co- : faiò ciò E parola. la io allora grande allegrezza. cittade con alla ma me, che a bene, sicch'eglì mi darà tornarono ; al Quando furono al palagio deilo Re, si trovarono lo Re co' suoi Baroni, e dissongli queste novelle; donde egli ne fu molto allegro, pensando eh' egli figliuola. camera quando aveva cosi bene maritata E stando così Re il se n' parve gettò si gli (88), a' s' che perdonasse. E disse non che : Figliuola mia, gliuola disse: non eh' è cosi io Re '1 che tu vegli, tu reame che gli E mi la fi- vuole si fue rubato, s'è' se ne vane, rimagnio, io sono cierta ch'io non averò mai bene sanza piaccia e perdonassi. ti grande e nobile; e ritornerane : ciò dicesse cosa Padre mio, Apollonio ire a tórre quello lui di' ella potresti dire né fare cosa niuna che dispiacesse, eh' io ed le e, piedi gi- nocchioni, e pregollo che, gli (dispiacesse, nella andò drieto; sua, e Archistrata gli le sua la andò di se ; io peroe darmi voi Ed lui. e la noi fate, seppe istrano la sì di figliuola (89), priego vi parola non avere giammai bene udìe clone che non sone quand' io eh' io fate che vi vada co ragione di me. Quando gli egli dicieva, il sì Re gli però che non aveva più 30 né più figliuolo poteva dire. Ma, dapoi eh' si egli vide la volontà sua, tradire, e disse non rende grazia, e vuogli. Allora la figliuola gli la parola d'andare co nio ne fue molto allegro mandò (91), che seppe con- gliele Figliuola mia, fa ciò che tu : tornò ad Apollonio, e disse, come data amava figliuola (90); e costei tanto quanto più ; Re il Onde Apollo- lui. presente co- e di più bella nave, e la aveva 1' la mag- giore che fosse nel porto, fosse acconcia e fornita di ciò che bisongnasse a così fatto signore. Il suo comandamento di presente fue ub- bene bidito; e dapoi che la nave fue e Apollonio fece (9:2) fornita, mettere quantità di te- soro, e fecievì mettere suso cioè che bisognia- va alla donna, se cosa fosse eh' ella venisse a partorire in mare. E quando ebbono bene or- dinato quello che commiato bisogniava, e ricolsonsi in mare (93), cioè in sua giente per ire ad Antioccia. Baroni ed e' presono dal re Archistrato e da' suoi Baroni, l'accompagnarono nave con tutta E '1 Re co'suoi E infino al porto. quaiido Apollonio e Archistrata furono partiti, egli accomandano il Re e' Baroni a Dio, e feciono vela per ire ad Antioccia; e Baroni sì il Re co'suoi tornarono adrieto, molti (94) pensosi della partita d' Apollonio e d' Archistrata sua moglie, pregando Iddio che sal- vamento. gli conduca a 3i Ora dicie be lo conto, fatto vela sì che tlapoi ch'Apollonio eb- ebbe buon tempo più avenne che'l settimo die che Pentrapoli, come piaque si Or die. furono partiti da a Dio, Archistrata par- una fanciulla femina molto bella. E dapoi eh* ebbe partorito, per lo grande freddo torìe ch'era, e per li venti, lo ghiacciarono (9o), poterono per ire sangue dentro sì che le vene sicché dentro non gii ispiriti la ; le s'ag- donna pa- reva morta, e cosi credettono che fusse. Ve- dendo cioè eh' le bàlie, erano co donnìi è morta. comin- lei, Apollonio, che la ciorono a gridare: Aiuta, E udendo Apollonio quello credeva. Di presente gri- come morta; e cosi le si gittone in sul corpo, do, corse lane, e trovolla e cominciò a fare lo maggiore duolo e pianto che mai fusse come debbo strata io di ! che delle lagrime sue fatto, bagnìavu, e dicieva io oggi : Archistrata mai vivere sanza te? Archifaccie (96) averò al tuo padre, che mi ri- cievette così benigniamente coni' io in questa nobile criatura do ch'io mi fussi? casa sua era quand' io era mare, e rive^timmi; e poi mi glie, la vita mia, or mia isperanza, or che tornare dinanzi igniudo, ! ! ti rotto in diede per mol- (97), non sapien- Oh che guardia potrà dire ch'io abbia avuta di te, o disidcrio Come debbo fare ? Non cosi egli mio? piaccia a Dio eh' io mai vada a prendere reame, da poi ch'i'ò per- A 32 duto mio conforto, e mia isperanza. E el così istandole a dosso, e abbracciandola, e tuttavia facciendo questo lamento con tanto dolore, e quanto più in veritadc E potesse dire e pensare (98). si non n'è da maravigliare, tanto s'amavano insieme. El governatore della nave, vedendo ch'ella era morta, lonio: mare Il rò pensa tutti (OD) di gittare periremo debbo non tiene cosa morta, pe- mare. Apollonio, udendo in lo come crudelissimo uomo, corpo io soffwire di gittare così nobile mare, che mi ricievette igniudo, ed àmmi fatto tanto di si ad Apol- questo corpo morto, se none governatore, disse: in disse s\ bene? E governatore '1 disse, che conveniva pure fare, o tardi o per tempo. Apollonio, pensando eh' egli chiamò uno maestro, e più nobile che seppe fare, e serrata, sì sì diceva fecie fare che Taqua non vi el una fare i'eciela avesse , fornite dentro una iscritta ; robe preziose priete di missele una corona in capo cinjpie ciento talenti bene potesse entrare den- tro. Archistrata è vestita delle più nobili eh' ella vero, cassa, la ; e missevi dentro d'oro; e poi che dicieva : vi misse Questa donna è di nazione (iOO) di Re, e figliuola di Reina; però chiunche la dcbbe fare figliuola di <ju(5sto di truova faccia di lei tesoro, eh' ce nella cassa, sia colui che la troverrae,- 1' come si Re; seppelliscala, e altro mezzo mezzo si di spenda S3 nella sepoltura sua gli male a dia e chi non fa cosi, Iddio ; pigliare. che l'ebbe messa, E cosi dicieva. E fecie chiavare la si poi cassa, buco, perchè aqua non e turare bene ogni vi potesse entrare dentro: la missono in mare. E poi che Tebbono messa in mare, Apollonio prese con pianto e poi ch'aveva la fanciulla partorita Archistrata, e diella in guardia a bàlia, eh' nome era per servire la Lecoride. E cosi se donna, eh' una aveva ne va Apollonio, sanza Archistrata, facciendo grande lamento e grande duolo: e se non fosse eh' confortava era rimasa_^di egli si Ora la figliuola eh' darebbe alquanto lo rilei, morte. alla dicie lo conto che, da poi eh' egli eb- be gittata la cfissa in mare, lo mare cominciò a gittare la cassa inverso terra; e tanto l'andò gittando,che la gittò in sullo lido a piede d'una nome cittade ch'aveva andando per lo lido Efesso (iOi). uno medico Un di (402) di fisica con suoi disciepoli, che istavano nella cittade, eb- E quando bono veduta questa cassa. stro la vidde, mostrò Andiamo e disse: E la si allora si a a' lo mae- disciepoli suoi, vedere cione mossono, e andarono eh' è quello. a vedere, e E quando furono lane, disse lo maestro Vegiamo cioè che ci è dentro. Allora ischiavarono la cassa; e quando andaro in verso la cassa. : r ebbono aperta, ed e' vidono cioè che 3 v' era 34 dentro, fecionsene grande maraviglia. E '1 mae- stro prese la scritta che v'era dentro, e lessela; quando e, Pensiamo eh* io Allora detta fare 1' ebbe letta, disse a' discepoli suoi : di portare questa cassa alla cittade, voglio fare cioè che presono cittade. cassa, la E dicie e la scritta. portaronla alla maestro, vogliendo bene '1 compiutamente clone che iscritta di- la cieva, disse: Attendiamo cotale nostro discie- polo, eh' è savio di queste cose, e in lui metteremo questo peróne fatto; eh' io maestro lo lo atteso ; lo e lo disciepolo venne, e chiamò, e disse: Io t' one mol- vieni qui, e vedi quello che noi ab- biamo trovalo. E, quando la cassa, el disse: Io sone persona. eh' egli lo sane meglio fare eh' altra E stando uno poco com- maestro si gli gli ebbe mostrato mostrò la scritta, sono cierto che tu saprai e meglio fare questo fatto che ninno altro, e più ino- ratamente; e però s\ eh' io e voi n' rispuose, che bene s'usava d'ugniere quanto più erano ne più rò, s' e' lo farà. vedendo questo A lo scolajo quel tempo corpi quand'erano morti: gientili e di ugnievano gìentile e di l'ho rimesso in te: fa io abbiamo onore. E di grande nazio- buoni unguenti. E pe- iscolaro che la grande nazione, nobilissimo unguento; si donna era fecie fare e fecie fare uno uno gran- dissimo fuoco allato alla donna, e iscaldoUa ; 35 e con unguento ugnieva questo donna la , e fregavagliele su per lo petto, e in sulle reni. £ ve sentire alcuno ispirilo vivo nella faciendo così dilicatamente, era perchè e ciò aghiacciato, sì '1 sangue, che donna; dentro era cominciò a riscaldarsi, e a cor- rere dentro per le veni. a costui alcuno fé' E parendo che la donna ugniere il ugniendola fuoco, e alla si incomin- petto più forte allora alcuno sentore lora fecie fare d' intorno sentire nella donna, ispirito vivo iscaldare vie più Y unguento, e ciò vie più a par- gli sì ; sì fecie. Al- donna grande bene. E tanto fecie la ugniere e stropicciare cogli unguenti, e riscaldandola, che la donna fue del tutto risentita. E quegli sì gli scolari, aveva già chiamato e à detto come la maestro e il donna era Ti- fa; e eglino V erano venuta a vedere. Poi che la ri, donna ebbe aperti data, e e di gli occhi, disse bene io sono. Ed che ciò faranno bene. Allora conveniva. sé, com' glione molto. lo la e' eh' ella Re rispuosono, donna fue apparecchiatole da mangiare, venuta in e intese Signo- salvata, siccome figliuola di Reina com' vestita, e le si : priego eh' io sia per voi bene guar- io vi e E quando ella E ella fue bene conobbe bene dov' lo fue trovata, rin- era, maravi- si domandoe quelEd ella disse Da poi maestro volea fare. sì ella ri- come la : 36 eh' io sono COSI arrivata io voglio andare ed entrare in uno monisterio (103). E lo maestro Di questo tesoro che volete voi fa- le disse: re? Ed ella disse, che voleva che metade la fosse di colui che le aveva ritornata in corpo, e 1' metà voleva altra vita la mettere in uno monistero. E così fu fatto. Ed ella se andò in uno monistero della cittade, dov-e aveva molte gentili donne e di buona vita. E n' quando vidono questa donna, che veniva ad entrare nello monistero, eh* ella grandemente adornata, e ro gientile donna, e per portóne. stero ; e E sì in perchè pareva lolo tesoro eh' ella tanto pregio onestà, eh' ogni gìente E sì veniva molto così istette Archistrata nel venne 1' molto ricievettolla onorevolemente; però per monisua la adorava per santa. tempo sì si morìe la bamonache che rimasono, tutte di concordia, feciono badessa e donna maggiore (104) Archistrata. E se prima era istata istandovi per uno dessa loro; e le onesta, ora sta. E strata in fue maggioremente tenuta one- questo abito (105) Ora dicie lo conto, nio ebbe gittata mandata e' sì si sta Archi- . la comandò dìrizasse in la figliuola a al che da poi eh' Apollo- cassa in mare, e acco- Ricoride sua bàlia, ed governatore della nave che verso Tarsia. Ed egli fecie si suo 37 comandamento, andarono per loro giornate e tanto che giunsono a E da Tarsia. che poi furono arrivati a Tarsia e Apollonio isciese in andonne terra con sua giente, e a casa dello amico suo Istranquilione e Dionisia sua donna. E, quando eglino grande onore; e così adirato, si gli feciono vegìendolo così piangiere e, sì lo vidono, lo dimandarono quello eh' egli aveva. Et Apollonio con grande dolore lo contò; quand'egli l'ebbe contato, e, Stranquilione e questa mia figliuola, quale la medesimo; e voglio eh' sia, per amore di questa lia ne ciulla. vi dio, quand' ella sarà E E questa bàquesta mia fan- di manderetela da ciò, colla e questo tesoro, sicché voi le. E per lo mondo te; e giuro a Dio che al vostra in- a modo possiate io di bene me ne vomercatan- mai non mi torroe bar- ba né unghie né capegli, ma come allo stu- togliete queste vestimenta preziose, fare quello che le bisognia. glio ire amo più che me nome Tar- abbia priego che ne facciate della vostra figliuola, e sieme. io disse a ciltade. guardia piglierà E però ella sì racéomando Dionisa: Io vi s' io tempo che questa mia non ritorno prifigliuola sia da maritare, e che io la mariti (106). Allora chiun- que udìe questo sararaento se ne feciono grande maraviglia. E Stranquilione e Dionisa sua moglie sì giurarono d' avere guardia della fi- 38 siccome gliuola (407) a tanto si della loro figlitìola. mondo vassene per lo te; e lasciò la figliuola sì Ora a modo come mercatan- di ò detto di sopra. dicie lo conto, che poiché Apollonio e la sua giente si furono Tarsia sua partiti, e lasciata cominciò a crescicre, siccome co- figliuola, ella lei E partìo Apollonio con sua giente, e ch'era bene istudiata (108), ed era una delle più belle fanciulle che mai fusse. veduta. be tanto ch'ella fue dò insieme etade d'andare in quando fue da dio. E, sì E maraviglia. 'mprendè sì tutte le genti del senno, e delle le si bellezze maravigliavano le andò tornò camera nella e trovoUa forte ammalata, confortare; do Ricoride alla balia di convenne morire. Ma, in- morisse, eh' ella iscuola, e Or avenne sue. prese subitamente uno male di stomaco, onde nanzi man- E andando Tarsia bene eh' era una che stando uno buono tempo e sì allo stu- cioè, Stranquilione la colla sua figliuola. a istudiare, Tarsia E creb- ma eh' ella dalla e incomincioUa a noUe valse ciò Tarsia della bàlia sua, Veden- nulla. pure moriva, disse a sì Tarsia: Sa' tu chi è tuo padre e tua madre, e di quale terra tu sène? Rispose Tarsia, e dicie, che sì sane : Istranquilione è mio padre, e Dionisa è mia madre, e Tarsia, là dove noi siamo, sì ene la mia con grande sospiro sì terra. le disse: Allora la Tu non balia sai be- 39 ne, e perone che tu noi sai, gniare, e dire; sicché quello che ti sì lo ti è tuo padre, e Archistrata fi- madre; la qua- gliuola dello re Archistratofutua partorìe andando le ti in Antioccia per torre gli voglioinse- Ora sappi ch'Apollonio Prin- fare. cipo di Tirio sì dopo la mia morte tu sappi la corona de Reame che Ma, quando era serbata. andava col tuo padre, eh' ella parto- ti morìe, e fue gittata in mare entro rìe, sì si una cassa molto inoratamente con cinqueciento talenti d' oro, e con preziose vestimenta ma dove la cassa si sìe arrivata E Apollonio dire. sì menò ti non : te lo so quie, e acco- mandotti a Stranquilione e a Dionisa sua mopromisse questo tempo che non glie, e derebbe barba, e non unghie : e così se n' si ra- torrebbe capeglì né andò per lo mondo a mo- mercatante e questo è bene XIIII an- do di ni. Sicché forse tuo padre è morto, e ; colato in mare da poi che me si costoro si ; partì quinci. Ora non so porteranno di te si peri- che non se ne seppe novella io co- di drieto (109) mia morte, acciò che non sia chi di te prenda guardia. Ora farai così: tu se' oggimai alla tale che tu conoscierai bene quello che onore, o non. lo che ti Ed e' ti t' è debbono bene fare quel- bisognia, acciò che lo tuo padre la- sciò loro molte vestimenta preziose, e molto tesoro. Ma, se noUo ti faciessono, io non so a cui tue te ne potessi dolere, se rame istatua di nono a una eh* è in sulla piazza, la quale fue fatta a somiglianza del tuo padre, che feciono fare gli do diede loro eglino uomini di formento. lo lu questa terra qiian- quando Sicché, faciessono co^^a che non fusse da fa- ti re, tu te ne vae a questa istatua, e montavi suso; e comincia forte a gridare, sicché t'oda ogni persona; e conterai tutte re, e ciò come che ti faranno ; le tue isciagu- e dirai chi tu so' , e tu se' cittadina di questa terra: ed eglino, ricordandosi del beneficio che fecie loro lo tuo padre, forse che vendicheranno tua onta; eh* altrimenti non so come te ne potessi dolere. E quando ebbe detto cosme, e Tarsia pìangiendo disse: Dunque non erte Istranquilione mio padre? Ed ella disse: Mainò, anzi ene Apol- lonio di Tìrio. E Tarsia morta subitamente, sto. si E così Se tue fossi non averci saputo quedisse: di ciò fecie grazia a Dio. morìe la E così istando sua bàlia in braccio a Tarsia. Al- lora Tarsia cominciò a piagniere, e a gridare, sicché vi accorse Istranquilione, e Dionisa, ed altre persone do vidono che ch'erano la bàlia grande lamento. E cie fare di nella casa; e era morta, presente Istranquilione fe- una sepoltura presso a e focievi sepcllire la sì quan- ne feciono lido del bàlia di Tarsia. mare, 41 Ora dicie lo conto, che da poi che la ba- fue sopellita, e Tarsia istava pure addolo- lia che non rata, me andava si poteva di lei ralegrare, e co- Uno allo studio (iiO). die Dionisa la comincioe la andasse allo studio. E Tarsia, vedendo che a riconfortare, e pregolla eh' el- a darsene ira (Ili) o malinconìa te della bàlia sua no le giovava, della si mor- cominE tut- si ciò a riconfortare, e andare allo studio. tavìa eh' ella tornava dallo studio, dava al monimento della bàlia, e s) se ne an- cominciava a piangiere, e a lamentarsi; e ivi ricordava tutte le sue isventure, duta, e e sì sì della madre che aveva per- del padre ohe no ne sapeva novelle, della bàlia sua ch'era ivi sì facieva ogni die, morta. Questo quando tornava dallo studio, anzi ch'ella tornasse a casa; e questa vita te- neva molto crudele e assai die, la quale era pitossa (H2). Ora dicie lo conto, che uno die era grande festa fuori della terra, sie che Dionisa co molte donne andavano a questa menòvi festa, et Tarsia e Lottomia sua figliuola. Or dicie, che Tarsia era assai più bella che ninna altra che vi fusse, e la più savia; e la figliuola di Djonisa era molto laida (413), sicché, passando per la via, aveva gienti quella : giente assai (114), Come fue benedetto dissero quello madre che ingienerarono queste padre e quella cosi 42 bella figliuola (n dissono di come Tarsia );o maladelto quello padre e quella madre fuc che ingicneròne (li 5) quell'altra (cioè dissono della figliuola di Dionisa). E tutte queste pa- role udìe Dionisa, perciò ch'ella era di drieto udendo alla fanciulla. E, cioè, disse infra sé Or vegio bene che per Tarsia è dinon piaccia a Dio spregiata la mia figliuola ch'io non faccia s\ ch'ella per lei non fia di- medesima : : E incontanente cominciò a pensare spregiata. contro a Tarsia; e follìa niuna (116). Ora tornata, di ciò dicìe, che, non aveva colpa quando disse al marito ogni cosa sì ella ; fue e detto ch'ella glicl' ebbe, di volere fare uccidere Tarsia, el marito disse, che non voleva. E quella disse tanto, che si poteva fare, che non se ne saprebbe nulla (117): acciònc ch'io sono Apollonio è morto, e mai non torneranc bàlia sua e morta, sicché di lei non ene guardia niuna, sicché bene e dagl'altra parte saiemo si chi ; eh' e la prenda puote fare; sempre mai ricchi del tesoro (Il 8) delle ricche vestimentach' Apollasciò. Sicché, tanto lonio le disse Dionisa a Stranquilione suo marito, ch'egli acconsentìe a ciò. E quando Dionisa ebbe marito, sì mandò alla villa E quando e' fue venuto, ed camera sua, e di>segli: Io cida Tarsia ; ed io ti la volontae del per uno suo servo. ella lo menone nella voglio che tune uc- promclto eh' io ti farò 43 franco, e darottì ciento talenti d*oro. E qnegli, adendo ciòne, Che \'ha disse: Ed voi la volete fare morire ? di fare quello ch'io lentieri lo facieva; prometteva : die Pensa quegli mal vo- pure gliele conveniva era suo fare, perch'egli E dico. ti ma ella fatto, ella disse servo, da e l'altra di farlo franco; e peróne disse: lo farone cioè che voi mi comanderete; parte gli ma come lo tene, e fae tene bene arrotare uno monimento al dera'ti di drietro vi Ed posso io fare? ella disse: Vat- coltello, e vat- della bàlia sua, e nascon- ad esso; e Tarsìa, quando ella viene dallo istudio, se ne va prima ogni volta lane, e dicie sue parole; e poi, s'ella vi viene, sarai lane; e uccidera'Uo, e sotterera'llo nel sa- bione. E dossene bene quegli disse, che di presente fecie arrotare al uno ora di partire dallo istudio, l' e Tarsìa, eh' era uscita, nimento a contare sì venne a questo mo- sue isventure; e quando le ebbe contato ogni cosa, ed gli el ella se servo uscie fuori, e capeglì, e disse rire. E quand' ella : Tarsia, e' ti sì vuogli fare di perch'io gli disse: me? E ne voleva presela per conviene mo- lo vidde, sì perchè più volte l'aveva veduto qiiilione, e E monimento, ed aspettava Tarsia. Ora quando venne andare, lo faràne. coltello, e an- lo conobbe in casa di Stran- Che è questo che tu che peccato ò debbia morire? Ed e' io fatto, rispuose, e u disse Tu non : quando ti Conviemmi Ed peccato, ma tuo padre peccò mano di Stranquilione e con tanto tesoro. Ed della moglie sì. ài lasciò in ella disse: Io ti disse ella pure morire? ed egli : egli disse dì priego, che tu mi dia tanto di spazio eh' io possa pregare Iddio per r anima mia. Ed si gìttò ginocchioni, e cominciò a fare sue orazioni a Dio sti sopra sopra le stava el capo col v' e que- : coltello uno legnio igniudo in mano. E stando così corsali voleva egli disse, ch'egli cioè volentieri. Allora Tarsia dì aparve, e vidono istare cosi Tarsia ginocchioni, pensarono che questi la volesse uccidere, e cominciarono a gridare a una bocie Nolla toccare, che, se tu la tocchi, tu se' : morto. E vennero verso loro. E quando vo vide venire, gli sciolla istare. ra, e questi corsari iscesono in ter- menaronnela dell'uno, via. male arrivata, vide così e piue (119). lo lieto, Ed lo poteva perciò che male volentieri E quando Dionisa domandò, come istava lo fatto. disse: Bene, ch'i'ò morta, e sotterrata e' Tarsia. disse: sì ma non servo la ne vidde mena- l'uccideva, e tornò a casa. lo vidde, in sullo le- E quando Tarsia si gliene parve male peggio dell'altro, Quando funne molto el ser- di loro, e la- presono Tarsia, e menaronla gnio, e re, E ebbe paura sì E Dionisa disse: Bene ista. E Ora mi francate, e datemi ciento '1 servo talenti 4o d'oro. E Dionìsa disse uccisa una nobile ch'io così franchi ti criatura, e or per paura egli, E alla villa. alla villa, ti fa- peggio, di marito e '1 ch'ai vuogli ch'ai a fare; e se non, io e fa clone tornone Come, mal servo, Via tosto, vanne I rone battere. Ed si : si moglie la cominciarono a fare grande duolo, e pianto; e feciono convitare terra. E, sì sì quando tutti uomini della gientili e' furono e' a casa tutti levò suso Istranquilione, e sua, moglie mal- la vagia (420) colle vestìmenta nere e scapigliata, piangendo e sospirando per mostrare maggiore duolo di Tarsia ; e dissono sapere che Tarsia, morta subitamente di perciò v' alla villa; e : Noi facciamo a- vi figliuola d' Apollonio, si è male di stomaco, e morìe abbiamo chiamati, perchè voi ve ne condogliate per amore del padre suo, E coloro, udendo che vi fecìe ciò, furono molto dolenti, credendo che fusse tanto beneficio. la verità; acciò erano che a vestiti nero, e vedendo loro cotale duolo. E però feciono uno monimento bellissimo, e fecionvi dentro lettere che dicievano così: giente, qui giacie tarsia VERGINE, FIGLIUOLA QUALE MORÌE DI D' MALE APOLLOMO DI MOVIMENTO ANNO FATTO FARE E' TIRO, LA DI STOMACO ; E QUESTO CITTADINI DI TARSIA, PERCHÈ MAGGIORE MENTE SIEN0 TENUTI PER LO BENEFICIO CHE FECIE LORO Ora diete lo conto che poi eh' N e' IL PADRE. corsali eb- 46 bono presa sì M Tarsia, e messola in su lo^no, se andarono, e capitarono a una ciUade ch'à nome eh' Mctaiina (121), ed erane Prencipe uno nome aveva Antigrasso (122). K quando fu- rono giunti lane, sì smontarono; e presono Tarsia, ed altre ischiave, eh' avevano assai, e menarole per più bella, tre. E che tutta Udendo missono dinanzi la si aveva tante Tarsia l'altre, E vedendo che Tarsia terra. la era la terra la traevano a vedere. lo signore della terra s'incantavano; e quando gli la vidde, là (123) E in quello uomini d'avere feminc; e quanto era più tempo bella, più se ne di- lettavano. Sicché Antigrasso, vegiendo che danari XX d' oro. di- si le verginità delle poteva avere se noUa comperasse, ferse pia- gli sì disse: E' conviene ch'io l'abbia la verginità di colei. lettavano bellezze delle andò colà dove di Tarsia, di presente que molto, e all' al- più che bellezze, E uno sì noUa ne proche ruffiano, aveva nome Marchionne (124), udìe dire delle bellezze di Tarsia, come andò e Antigrasso la Marchione la misse presente lane, a ducati XXX XL d' e, oro d'oro : : e misse a ducati L d'oro: e Anti- grasso la misse a ducati la di giunse, ne proferse danari LX d* oro: e Marchionne misse a ducati C d'oro; e trasse fuori Chi danari, e disse mettcrone a ducati : CC la d' metterà più e' su, io la oro. Sicché Antigrasso 47 gliela lasciò, e disse: lo per mettere messa, fare a sarò io farò ch'io affare di lei ; sone ch'egli servitjio e in questo la vuole come V averà ; primo ch'averò lo modo averone la sua verginitade. E quando Marchionne ebbe pagati per lei C ducati d'oro, sì prese Tarsia, e sì la se ne menò a casa sua. E quando fune lane, sì la menone in una camera ov' era uno membro fatto a similitudine d'uomo (125), e questo membro era d'oro e di pietre preziose; e quando fune dentro, disse a Tarsia, ch'ella ado- rasse a quello Iddio. Ed ella disse: Io usa d'adorare cotale Iddio. E' vi E la ti Ed conviene adusare. E così non sono egli le disse: istette la notte. mattina Marchionne chiamò uno suo fante, ch'aveva nome Pocaroba (126), e togli Tarsia, e dissegli menala nella camera dove : Va, stette Pinabella (127) giovane, e scrivi uno titolo che dica: Chi vuole la verginitade di Tarsia paghi mezza libbra d'oro; e poi, chi ne vole, paghi uno danajo d'oro. Et Pocaroba disse, che bone lo farebbe. Marchionne le E quando la Tarsia vide colà dove voleva mandare, dove istavano peccatrice, incominciò a tremare da insino al capo, le si sì forte ch'ogni disfacesse; e poi gli si piedi membro pareva gittò a* piedi, e cominciò a piangiere, e con umile parole lo cominciò a predicare (128) che gli non mandarm E quando Mar- in sì fatto luogo. piaciesse di 48 chionne ebbe 1' perdi ti assai ascoltata, femìne, anzi sono per gua- re pietà delle dagnare di loro ; averci dato di te cosV. r e tu dei credere eh' io non C danari Peróne vae, e E quando altre. Tu le disse: si parole; io non sono quie per ave- le oro per tenerti d* che faranno farai quello Tar^ia vide che non pote- va convertire costui, sì cominciò forte a pian- giere; raa ciò non vale niente, che ire le vi conveniva là dove Marchionne voleva. Allora Warchionne comandò menasse; ed nolavi. E come se nella sia Pocaroba che a Pocaroba vi fu giunta, e camera: Chi vuole paghi mezza libbra d' e poi, ; come sì ne egli entrò dentro nella ca- mera, ed entròvi isconosciuto; per ciò era Prencipo della lui d' andare terra, andare. E quando serrone di none sì la : ma tan- pure misse ad si Antigrasso presente eh' egli istava be- luogo in sì fatto to gli piaceva Tarsia, che vi sì Tar- chi iscritto clone. Antigrasso eh' era ivi pres- so pure però (429) ne a me- iscris- la verginità di oro vuole, paghi uno danajo d' oro. E, ebbe la vi prese per mano, e egli la vi fiie dentro, camera; e poi si vol- se verso Tarsia, che tanto era bella, che nin- na altra era più bella piangieva, ed egli la di lei; e vide ch'ella dimandò quello aveva. E Tarsia disse: Io sono turata femina che mai fusse. E la di eh' ella più {sven- presente si 49 gìttò ginocchioni a* piedi di lui, e disse cosi- ne: Io ti priego per Dio, gientile uomo, che tu abbia piatade, e misericordia di questa is- venturata e disconsigliata vergine, figliuola di Re e di Reina, la quale è ora ginocchioni a' tuoi piedi ; e priegoti per amore della tua gio- ventudine, che tue non mi tolghi quello che mi tue non potresti che da poi che poi rendere mai. Pensa tue la m' avessi tolta, ista- sera non te ne sentiresti nulla, e io sarei vituperata. Però ti onore; e vedi io do s' nacqui, io sì piaccia di lasciarmi questo sono isventurata, che quannacqui in mare; e come mia madre m' ebbe partorita, ed rìe, e fue gittata in mare; e lo ella si la mo- mio padre mi mandò nella cittade de Tarsia, e ivi sì m'accomandò a uno suo amico, « lasciommi una bàlia, eh' era come madre ed egli se n' an; dò, e disse, che tornerebbe quando fussi da maritare; ed egli è bene XllII anni che egli andò e ancora non è tornato. più, e Sì ch'io sono cierta ched è morto. Poi questa mia mi bàlia, eh' egli lasciò, sì si morìe, a cui egli m' aveva accomandata (130). E poi a cui io rimasi in guardia, volle fare uccidere; e sono qui, ra' i corsali, morta la donna, per invidia mi sarei, se non Tos- che mi presono, e menarommi ed ànnomi venduta a Marchionne. Ed à messa al peccato ; però vorrei anzi 4 egli es- 30 sere morta; e voi siete signiore di me Clone che fare di Quando Antigrasso piace. vi Udine costei contare cotante isventure, e se: udil- ella parlava, presenegli piatade, e dis- com' la Non Dio piaccia a onore. Io eh' io doveva dare, ti verginitade, mezza voglio dare una libbra s* tolga questo ti io avessi la tua libbra d* oro d' oro, ed ; io te e non E quando Tarsia udle glio toccare. ti ne vo- la rispo- rendè grazia, e prese sta d' Antigrasso, sì r oro eh' egli donòne. E Antigrasso uscìe le gli della camera, tutto lagrimando della piatade venne della fanciulla. E uno suo cavaliere, eh' era venuto per ire apresso, adomandò: Come istà? Ed egli disse: Bene. E lo che gli cavaliere di presente la entrò dentro, e serrò camera; e Antigrasso com' ella faceva collo puose si ad udire E quando cavaliere. Tarsia vidde venire lo cavaliere in verso di gittone lei, SI gli si garlo tanto che no gli a' piedi, e cominciò a pre- dolciemente, quant' ella poteva, faciesse peggio eh' Antigrasso; e ap- presso le cominciò a contare tutte le sue isventure, com' ella aveva fatto ad Antigrasso. E quando questo cavaliere ebbe role, intese le sue vennegliene piatade, e disse Iddio che tu per me : abbi disinore Non : io pa- voglia ti do- veva dare uno danajo d'oro, tenne (131) due. Ed uscì della camera. Si Quando Antigrasso lo vidde gli disse: Come Ed egli disse: Istà come tu voi (132), istà? che bene camera. Quando fue uscito, ve mi potevi dire innanzi lo trassi nella sì ve avevano n' no che s' egli 1' fatto agli altri avesse toccata quanti lo die ; d' entrare. E ; ed toccare, e donoUe più che volle la ne eh' assai altro vi fue entrato, e Tarsia come aveva feeie simile egli altro eh' aspettavano quando questo SI entrò un n' eh' io en- lo cavaliere ve e così fecieno ; entrorono dentro; tanto n' seppe pregare Tarsia umilemente. E quan- gli do venne la sera, ed ella portò quello oro a Marchionne, e disse: Questo à oggi guadagniato la verginità mia. E Marchionne prese e' nari in mano, e 'ntese bene le parole; e rò disse: Vedi quanto le tu e più guadagnieresti se tu mente agli ridente: non che zi E sì ma tu stia allegra. ista' n'andò a Ed ella letto, là convenne tornare istava lo die dinanzi. ita assai giente, però allegra- pure piangiendo, uomini 1* E ; sì che e peróne voglio non gli dove eli* così istette la notte; e, le dessi uomini, e stessi gagliarda (133) e diletta così agli se guadagniato, ài ti da- pe- rispuose ; an- era dìputata. quando fue giorno, camera là dove alla se Io die dinanzi v' era altro die ve n' andone più; eh' era più isparta la bocie delle bellez- ze di Tarsia. E quanti ve n' andavano, ninno 52 facieva villanìa le tanto ; e' seppe pregare gli nmilemente. E, quando venne danari a Marchionne, e dissegli oggi guadagniate la portò la sera, sì : Questo à verginità mia. E questa via tenne più dì; sicché Marchionne disse: veggio eh' a quello che questa mi dicie, eh' ancora vergine tanto, pure ; da e eh' ella lasciasse fare altro. Allora • disse gine. : cotanti, E Pocaroba Come disse: uomini? E Marchionne e* te ; la ; ella si sia ancora ver- potrebb' egli esiti cotanti disse: Egli è com'io ti ogni sera, eh* ella mi reche (134) che danari, s' chiamò Pocaroba, credo che Tarsia Io sere, che già fa cotanti die vi sono dico è guadagna co- di lasciarsi abracciare, e baciare guadagnierebbe quattro ella Io eli' sì dicie Questo à oggi guadagnia- : verginità mia; eh' ella istia però e io non voglio pine così; e però menala nella camera, e tele (135) incominciò a dire, la verginità. di non E Pocaroba E volervi andare. Marchionne, col volto pessimo e reo, gliò, e disse : Fa ciò eh' io giendo Pocaroba che gli ti lo pi- dico. Sicché veg- pure conveniva fare, menoUa nella camera. E quando Tarsia si vide menare a costui, disse infra sé medesima: Con costui non potrò io iscampare, acciò che costui è uomo di vile condizione, sì non ara piata di me; ma tutsì pigliò Tarsia, tavìa e ne farò mio podere (136). E di presen- 53 te, come costoro furono nella camera, la dimandò, e disse (137): Dimmi, Tarsia, se' tu ancora vergine? Ed ella rispuose, e disse: Io non cielare; io sono ancora vergi- voglio ti infmo che ne, e sarò piacierà a Dio. E Po- Or tu non puoi istare più vercaroba se n' é avveduto; ed Marchionne gine, che ammi comandato, eh' io ti debbia isvergìnare. E Tarsia si gittò a* piedi di costui, che non disse : onore, e cominciollo a degnio di tanto era pregare tanto umilemente, quant'ella sapeva più pregare, che no le faciesse peggio avevano aveva fatto che dire, gli e altri, 'I lo cuore Ma verso costei. mandato eh' io priegare eh' E tanto fatto a costui (138). Pocaroba di tuttavìa s' gli aumiliò in- disse: E' m' à co- pure faccia ciò ; ella disse farai così; quando tue uscirai fuori, avaro danari, di chi, eh' io che che domane mettala io però eh' ; ciò vuole fare, e, se faccia e' ti è così gli di- io istetti mi saranno que mi farà quistione, sì gli die avere una carretta, e d' e faccia ragunare alla scuola bene soneròne e canteròne assai doni ed egli vuoglio the tu sì in sulla piazza, popolo: Ed anni; sì: Tu : guadagnierò più a un altro modo questo in di no se io e, mi farane male. Ed digli ella seppe lo fone, e' domanderà, il che fatti. E sì il dieci bene, che poi, a chiun- a tutti risponderò; sic* 54 che questo in modo io guadagli ierò pinne da- nari eh* io non fone cosìe. ndlne cioè, bene a Quando Poca roba che questo dirà disse, le si egli Marchionne; e farò quanto potrò che tu abbi onore e non altro. Allora uscì della came- Marchionne ra, e disse: Come istà? se: Istà bene; e diciemi Tarsia, ch'io vuogli, ella se tu non ch'ella bene. Allora egli ti Ed fa. ti egli dis- dica che, guadagnierà troppo egli disse: gli Ed disse Che più ciò voleva Pocaroba, com' ella era istata alla scuola bene dieci anni, ed era savia, e sapeva bene sonare e cantare rò dice che tu farci retta, e falla gunare el portare Quando venne e pe- nella piazza, e fa ra- Tutto cotesto farò 1' io bene. Marchionne ebbe altro die, e carretta, e Tarsia vi saline suso nella piaz- za, e ivi si ragunò sulla carretta. E, na ; avere domane una car- popolo; e vedrai maraviglia. E Mar- chionne disse: la d' el popolo, e Tarsia era quando maravigliava delle sue bellezze si in fue, ogni perso- vi ; ella tolse una chitarra, e incominciò a sonare e a cantare tanto dolciemente, che coloro, che sta- vano a udirla, pareva loro essere in paradiso: tanto era dolce sia. la n' il sonare e '1 E quando ebbe cantato si levò in piedi, e à ninno disse cantare e sonato, : di Tar- ed Signiori, se el- ce che mi voglia fare quistione, fac- cela sicuramente, eh' a tutti risponderò bene. y Onde ve n' ebbe molli che feciono le qui- stione, e a tutti rispiiose saviamente; e rispìana- vale bene, che tutti sì suo senno. E, quando maravigliavano del si ebbe tutto cio- fatto ne, ogni persona le cominciorono a donare: e lo primo fu Antigrasso, E piacieva assai. che volentieri Ma 1' sie poi altre gicnte e popolo al arebbono cittade era v' ella era. eh' a niuno era fatto forza la colà comune sì però ; suo, fatlo lo tratta di do- (139), rimane. Poi tornò Tarsia a casa Marchionne, e diegli quello eh' aveva guadagnato to, grande allegrezza to ìstette Tarsia più faceva quistione, e a tamente: e di ciò fatto le sì questo dì, eh' ogni persona tutti fat- le rispondeva compiu- aveva tanto a fare, che del ; e, se niuno ella la aveva per V altre volte, pure con dolcie paro- e con piatose va forza, tanto fatto. E in : gli questo e Marchionne non ne facie- guadagniava modo cittade di Mettalìna Ora di quest'altro istette Tarsia nella uno tempo. dicie lo conto, che da poiché Apollo- nio ebbe accomandata Tarsia sua Stranquilìone e Dionisa sua moglie, dal porto tante, era cotan- eh' fecie. In passava (140) com' si gliel' le suo corpo non era richiesta richiedeva, quando e ; ebbe dato, e Marchionne vide e di Tarsia a andonnc per figliuola e' si a partì modo d' uno mercalo mondo intorno di m xml anni o di XT. Or venne che gli pareva- tempo di tornare a Tarsia per maritarla; ni che comandò al nocchiere, che faciesse vela pen aa4ar^ a Tarsia. E quegli dis$e, che beae andare Tarsia. in la vela per piacque a Dio egli incontanente dirizzò lo farane: e Come ebbono buono ternpo, sicché se in porto di Tarsia. e Apollonio iscese in pochi die giun- E quando furono terra in coli' abito lane, che aveva, e missesi in via per andare a casa del suo amico Istranquilione, come colui che ben la Ed essendo sapeva. piazia, bene vide venire di lo conoscieva- E Istranquilione nella lungie Apollonio, che. di presente se n' andò correndo a casa, e trovò Dionisa sua moglie, Mala femmina, tu mi e dissele: faciesti cre- ói^e eh* Apollonio era morto, ed eccolo che viene per la sua figliuola, eh' egli tanto amava: or che gli risponderemo noi? Quando Dio- nisa udìQ cioè» gottita, ma non fecie come femmina isbi- presente argomentò, e disse di : ogni persona crede bene che Istranquilione, Tarsia morisse di suo male per lo vedovati- co (141) che noi ne portiamo: però di pre- e stiamo piangiendo; sicché, quando Apollonio ci Iro-r sente vestiamci venrà istare eOsì, sì ci istiarpo cosi; vestirono i quegli drapi e noi neri, domanderà, perchè noi gliele diremo. panni neri eh' avéno Allora fatti si quando ri7 feciono credere a' Tarsiarli morta. E stando così tristi, e Apollonio ginn» nella casa, se e trovògli parlò loro, e disse od è mia? Allora : che Tarsia fosse istare. Allora cosi È questa vostra tre^lizia, disse Dionisa Io vorrei be- : ne ch'altra persona t'avesse dette queste novelle. Egli è venne a lei ond'ella si le vera cosa eh' a poco tempo apres- morte so a la d' Alicoride, bàlia morìe; e noi quello onore che noi siccome si Tarsia, di grande male subitamente di stomaco, conveniva a la sopellimo, e faciemo- sapemmo sì alto lo maggiore, corpo com'era lo E tu la potrai vedere a lido, noi le faciemo uno monimento di rame colato (U2), e fa- suo. fare ciem^iiivi mettere dentro. E quando Apollonio udìe questa novelb, fu molto doloroso, et dicie Oggi mai non voglio : ma io avere più bene; male, e in tormento, e in in trestizia^ e menare mia vita infìno alla morte. E quando ebbe detto clone, ed egli disse: Dunque è morta Tarsia? Ed eglino dissono di sie. E Apollonio dicie Or sono 'n dolore voglio : morte le vestimenta preziose, e lo tesoro ch'io lecie Ed eglino dissono di noe. E ApolDove sono? E Stranquilione le trovare. E Apollonio comandò a uno suo vi lasciai? lonio disse: servo, che le pigliasse, e portasselc E '4 servo fecie suo comandamento. E .Ncnte si in di nave. pre- partìo Apollonio, e dicie che vuole ire 58 munimcnto al to lane, to, quando fune giunvi erano iscrìt- e dicievano cosl:Qi:i giacie tarsia vergine, D' APOLLONIO FIGLIUOLA MORÌE DI MALE lette, e gli s' di Tarsia; e, vide le lettere che sì DI PRENCIPO occhi suoi non piangiéno, ed egli adirò in sé medesimo, e disse simi occhi, e voi avete letta mia dolcie e non figliuola, come r avete potuto in cuore, la fosse fare ? crudelis- : morte della la avete morta monimento, e e di presente ; gli la figliuo- non lo lucie. nella Santina di sotto dÌG«.Viul- finire i E però (U3); e dì suoi. do fune nella sentina, isciese gìuso là giuso, disse, Ora dicie, aveva lo loro Signiore comandamento, e', cieva, di presente ; ma, per fare siccome fortuna si quan- la famiglia sua, e' rina] istavano tutti tristi, vogiendo lo eh' al ven- è fermo di sempre tribolare, e di non vedere più che voleva dal comandò governatore delia nave che vada dove to lo vuole menare, e eh' a lui venne partìe si ricolsesi in nave, e or pianto, E questo che non potesse essere che la, eh* egli CHE DI TIRO, STOMACO. E quando r ebbe gli ma- dolore lo suo condu- partirone (<ii), e van- nosene per mare come *1 vento gli menava. Ora adivenne, come piaque a Dio, uno vento misse in mare molto forte, lo quale per forza condusse questa nave a Metalina, dov'era Tarsia tra le peccatricic. Quello die che vi giunse 59 cominciarono s^ era pasqua, sicché a rallegrare alquanto, e a fare canto. Apollonio sì no si ud'ie la festa chiamò cione eh' e' marina] i Quando che costoro facievano Che è suo siniscalco, e dissegli: lo sento? io si Ed vostri marinaj, egli disse: e' Messere, so- che famigliari vostri rallegrano che sono campati di grande for- tuna, e sono giunti a buona cittade: e anche è oggi pasqua. ne, SI disse : E' E quando Apollonio intese cio- mi piace bene che voi facciate oggi questo, che voi vi rallegriate; ed io voglio piangiere e tribulare, e così voglio istare sem- pre mai: e però dà loro dieci danari d'oro; e di* che vadano alla cittade, e comperino carne fresca, e ciò che bisognia loro siccome s' ; et faccino festa uomo io fosse (145) lo più allegro mondo. E quegli dicie, che Io farane volentieri. E anche (146) vane, e comanda a tutti del quegli della nave, che ninno mi venga a parlare, e a dare briga veruna per detto na persona. E se ninno mia famiglia, e, se sia Lo io lo tornò suso, e le di niu- e' sia di gambe; caccierò della nave. siniscalco gli disse, che lora verrà, ed farone rompere io gli marinajo, ci disse bene lo lo farane. Al- comandamento da parte d'Apollonio. Ed eglino rispuosono, che bene V ubidiranno. E poi diede loro X da- nari d'oro, et disse loro: Andate nella cittade, e comperate ciò che vi bisogna, e fate alle- m grezza siccoino l'anno gli altri uomini et d* ; pollonio non fate ninna ragione (ri"). E A- quan- do cortoro udirono cioè furono molto allegri, e tolsono e' danaii, e andarono alla detta cittade, e comperarono carne e altre cose, siccome avevano mestiere, e rccaronle alla nave, e fornirono la cucina. mangiare, o tutti s' E (piando fue missono una tavola sì gli altri come marina], colla maggiore alle- grezza del mondo. E assai nave sone v'erano arrivate per la d' altre per- fortuna che era mare. in Ora nave, assettarono intorno alla tovaglia, facievano ist tta l'ora del in sulla dicie lo conto, eh' Antigrasso, Prencipe andavano della citlade, con sua giente s' lazzando sue per mare per vedere queste navi che lo lido del v' erano arrivalo; e malto pregiava di bellezze; lodava quella non mai vidi bene d' sì ma sopra bella nave re, sì di'jsono: come le tutte l'altre Apollonio, e diceva fornita. E* marinaj, nite' a sol- : Bene io questa, e così udendosi così loda- Deh, signore, per cortesia ve- mangiare con vederete questa noi, e nave. E Antigrasso, siccome giontile persona e di buona aria, giente co ed e' lo egli, lui sì salìe nella assai. nave, e altra sua E quando furono suso, vi pregarono che mangiasse co loro perchè non credessono ch'egli a schifo, sì toLe uno boccone, e gli : Ed avesse mangioe; e 61 mano alla borsa, e donò loro X Ed eglino, tutti ad nna bocie, dissono: Grand(3 merciè. E Antigrasso, vedendo che tutti rispondevano ad una bocie, e non poi niisse si danari d'oro. parve vedere tra loro niuno signore gli Quale è sta nave, disse loro: Ed eglino rispuosono, e non è Ed qui. di que- vostro signore? el dissono Messere, : e/ Or dov'è egli? Ed egli disse: eglino dissono: Egli è giuso di sotto nella sentina della nave. (ione, E quando giuso? E queglino dissono la egli udìne Antigrasso Che se ne maravigliò molto, e disse: sì E' vuole : fi- nire sua vita in così fatta maniera per molte disaventure, che perduta E terra. Ed sono avvenute; ch'egli à gli moglie la in mare, e (eglino figliuola la Com'à Antigrasso disse: dissono: Apollonio di Tiro. E tigrasso disse: Non questa vita (148)? si Ed potrebbe in nome? egli An- egli trarre di eglino dissono, che non credevano. Allora Antigrasso disse a uno de' servi d'Apollonio: gli della farò terra. io, El giuso a e digli che lui, E servo rispuose mi vagliono Antigrasso disse questo a dire che tu disse: : al signiore Questo non però ch'i'one due gambe, e poi n'ave- rci quattro; più tro. Va piaccia di venire suso a parlare : le due che Com' è die (149)? Io lo vi dirò. Egli à fatto damento le (|nut- ciò ? E lo Che è servo uno coman- a tutti noi, che niuno gli dovesse an- 62 dare a parlare, o a dire nulla e che qualunche v'andasse per alcuna cagione, e fosse di sua famiglia, gli farebbe rompere le gambe; e se fosse marinajo, non ch'io caccierebbe via: lo sì ; vi voglio ire a lui. Allora disse sì An- comandamento non tocca a di voi. Ed eglino dis- tigrasso: Questo non sono pie, poi ch'io sono: Messere, voi dite vero. Allora Antigrasso disse : Io anderò a sapere sed posso trar- io lo re alla lucie. Di presente andò nella Santina; e, quando fune Iddio gli rispose a Ed ti egli anche : disse Ben : E egli Iddio Ed non sie tu venuto, egli disse : Io gli salvi. ti salutato; per Dio, vaitene, e ga. ad Apollonio: Antigrasso disse un'altra volta. salvi Apollonio. lonio disse disse E Apollonio non credendo che fusse di nulla, sua giente. E Iddio là giuso, Apollonio. salvi, ti rispuose. E Apol- che tanto m' non mi dare ài bri- sono Antigrasso, Prenci- po di questa cittade; e però ti priego per amore di Dio che, questa ira e che questa gramezza che tu ti dai (ioO), che tu lasci oggimai, ch'assai Tài lume, ed E gli io Apollonio gli ti portata; e vieni prometto gli ma bene. rispuose, che di questo, ch'e- prometteva, e mercicdc; fuori allo di farti assai di e' gliene facieva grazia non era aconcìo d'andare ad altra lucie: e però ti priego che tu te ne vadi, e lascimi islare com'io sono usato, e conie' G3 piere i dì miei com' io sono posto in me mede- simo (151). E quando Antigiasso udìne che non si voleva rimuovere di sua volontade, suso Ed cavalieri suoi. a' eglino lo Ed rono, com'egli aveva fatto. la ; mo ma io si si egli disse: mi sono pensato come noi venire alla lucie. E dì tornò domandalo Nulfare- comandò presente a due suoi cavalieri eh' andassono a Marchionne, e dicesegli (152), eh' egli mi sia (153). dissono : Ed mandasse Tar- eglino andarono a Marchionne, e Antigrasso ti manda a dire, che tu gli mandi Tarsia. Et quegli mal volentieri gliele mandava: Ma, perch' egli era Signiore della terra, non gli ardiva a dire di no. Allora chia- mò Tarsia, n muudolla ad Antigrasso, che l'a- spettava alla nave. Quando Tarsia fune giunta tigrasso le disse : Se tu mai conviene essere, sicché alla nave, e An- fosti savia, tue riconforti ora ti uomo isconsolato, che è in questa nave, che sta pu- re nella sentina a l'oscuro, e non vuole venire alla lucie. E però ti priego, che tu vadi giuso, e procacci di farlo venire alla lucie. Allora Tarsia dicie, che volentieri lo farane; e mossesi, e andonne giuso nella sentina. ella vi fune, sì lo E quando salutóne, e disse: Iddio ti uomo; e disse così perch' ella non sapeva lo nome suo. Ed egli non le rispuose. E quella anche lo salutóne. E Apollonio disse: salvi gientile 94 Chi se' Ui che mi vieni a dare briga. disse Ed ella sono una vergine, che sono venuta Io : a te per darti conforto, s'io posso, a Ed tua mala vita. che tu dirai egli disse: questa Vattene, che ciò è opera perduta. E Tarsia sì non dica; lasciò però che non comincia a dire e i^icntile uomo, che vita è questa che tu meni? Truovi tune che, per menare questa vita, così: tu possi ricoverare ciò ch'ai perduto? cierto non credo; e però dèi pensare in altro di raquistarlo, se tu se* così prod' com' io intendo. Intorno a ciò savio, buone parole e ciò a dire di duro cuore dei mondo E volto di volere. si dolci, le no lo più ri- asem- ninno né Tanto quanto Tarsia le valse nulla, che Apollonio a niente si sì che tuttavìa gli dicieva V E quando misse mano in rispondeva. assai, così comin- (i5i). ninna per disse gli doverebbe essere plo di sé medesima, non contando nome modo uomo, e e' l'ebbe ascoltata borsa, e dielle C da- nari (^'oro; e pregolla che se ne dovesse andare'. E vedendo che per parole ch'ella poteva menare alla lucie, sì Tarsia, dicies&e non lo E quando Andomandone, com'ella tolse e' danari, e ritornossi suso. tigrasso aveva la vide, sì fatto. E la Tarsia disse, che niente lo po- teva ismuovere, e com'egli d'oro. lo E Tà dato C danari Antigrasso disse: Deh, Tarsia, dov'è senno tuo? Io ti priego quanto più posso che 65 tu ritorni giuso a lui, e réndegli e fa ched io ti e' darò danari suoi, i CC danari d'oro, e terrotti tren- ta dì fuori di peccato, acciò che tu possi ancora vi ritornerae . sente tornò ad Apollonio, e disse: non vuogli venire E me- E Tar- glio osservare la tua verginitade (15o). sia dicie, eh' ed torni alla lucie, se tu puoi; pre- di Da che E alquanto qui a disputarmi teco. voglioti pre- gare, che tu mi rispondi alle quistioni ch'io farò. E, se questo mi renderò e' non mi rispondi, tuoi danari, e partiròmì: non sono venuta qui per ti mi partirò, e farai, io lascierotti istare; e, se tu ti tu alla lucie, piacciati eh' io istea io ch'io tuoi danari, anzi per tua salute. Allora risponde Apollonio, e disse: Da poi che tu pur ciò che ti vuogli, die piacie, ed io ti isbrigatamente risponderone; perch'io non voglio che tu credessi, ch'io volessi taciere perchè tue mi rendessi e' danari. E di presente Tarsia cominciò la questione, mondo à una casa che risuona, tacie; e amandue corrano insieme; Nel e disse : e l'oste cioè la Ora mi rispondi, che è questo? E Apollonio menò il capo alquanto, casa, e e disse l' : oste della casa. La casa che onda risuona; e tacie; e tu di' l'oste suo è si sì aqua, l' la cui è lo pescie che araendue corrono insieme. Tarsia ancora quistioneggia, e dice: Una cosa alle rive dell'aqua, e dura infino è che al sempre istà fondo (456), 5 e sempre guarda dolci canti, e si cielo al favella per e r fanno lei si Rispianami questo. E : Apollonio risponde, e disso: La cosa che tu die dell' ene sì canna, che sempre la gambo fiondo dell' aqua, e l'altro vorso lo cielo ; e di quelle alle rive l'stà gambo aqna, e de' fiumi; e tiene V un nel isth ritto canne sì in fanno si muse, e stormenti da sonare con bocca, e puolesi parlare con esse. Allora un'altra quistione: Tarsia fa gli sì Una cosa ene molta eh' è bella e lunga, e corre, ed è figliuola della sel- va, e sempre è accompangnata, et fae bene grande giornata, e non scia mai orma dopo Apollonio le rispuose, me derti, io risponderei ti che tu non raviglia sai. come allassa, e non sì la- Questa mi rispiana. E e disse gientile, se si si sé. Oi, : giovanotta convenisse (157) di risponcose di quelle assai Ma dommi pure grande ma- così giovane donzella puote ave- re cotanta iscienzia. La cosa che tu dine la é aecompangniata, e non che è passata ; ed è andare. E Tarsia è una casa e non gli là è pare l'orma poi e non si allassa quistioneggia, e dicie: dove entra lo fuoco d' non però per Egli ogni parte, nuoce, e duravi continovo la casa, e tore, e si figliuola della selva, eh' è fatta di legniame; è sì nave, overo galea, eh' è bella et grande, ed : ignuda igniudo conviene essere l'abitagli nuocie lo fuoco (158). E Apol- 67 cheta Ionio le rispuose, e disse: Questa casa dicie, ene V Affrica (459), che sempre è sì calda fuoco e lo ; dentro, non e Io che calore, nuocie; ed è igniuda gli che non à dentro altro se none dere v' entra t' la stufa, sedj da se- i e igniudo conviene essere quegli che entra dentro. Ancora Tarsia quistioneggia, ; e dicie Due spade sono congiunte : morde l'aqua, e meglio per profondo (160) lo della : na- con due branche, che stanno in pro- ve, fatte fondo; e si non meni ficcano in terra, perchè via le navi. il Ancora Tarsia un'altra quistione, e jdicie: Egli è vento gli fa una cosa, molto leggiere e cavernosa, e uasconde- eh' è r aqua, che non visi aqua dell' combattere. Risponde Apollonio due ispade sono V àncole Quelle uno in combattono col vento, e istanno sotto ferro, e si pare chi non la ne caccia (164); perchè l'aqua che v'entra è grave. Apollonio risponde, e dicie si ene la : Questa cosa spugnia, ch'è leggiere, e per l'aqua che v'entra diventa grave. Molte fecie Tarsia ad Apollonio; ma fecie, le rispuose Apollonio. di altre quistioni quante gliene E quando Tarsia vidde che costui era così savio, ebbe pure voglia di si vederlo alla lucie. Vegiendo non poteva trarre per parole là lo per li ella che Apollonio, ne voleva trarre per forza, e preselo panni. E volendolo trarre a sé, e Apol- 68 Ionio, credendo che Tarsia animo, per volerlo tentare, / dielle per rio levò el piede, e un grande calcio nel corpo, sì grande, Tarsia cadde che lo pigliasse si fortemente, e percosse lo ginocchio, sicché s'insanguinava fortemente. Allora Tarsìa incominciò a piangiere, ed a fare uno grande lamento, ed disavcnture che vi li a contare tutte le sue erano avvenute infino a qui- per adietro. E quando Apollonio ebbe in- teso tutto cione eh' ella aveva detto, lamentandosi per lo calcio ch'egli l'aveva dato, co- si nobbe veramente, che questa era Tarsia sua gliuola; e incontanente le si gittò a dosso, e fi- ab- bracciolla, e baciolla, e cominciò a gridare; Ac- corretemi, e tenitimi (162) a trarre della carciere, ch'i'one ritrovata Quando Tarsia udìe fune la Tarsia mia figliuola. dire, ch'egli era suo padre, più allegra femina che mai fosse al mon- do; e quivi si feciono tale carezze, e tale festa, che fue maraviglia. E istavano abbracciati non gridava Venite a trarre Apollonio : si sì potevano lasciare. E Apollonio forte che di questa prigione, poich' io ò trovata Tarsia mia figliuola. come s' erano ritrocome Tarsia era figliuola d' Apollonio, e come quegli era suo padre, fue lo più allegro uomo che potesse essere; Quando Antigrasso vati e riconosciuti udìe, ; sapiendo che questi era Apollonio Prencipe Tiro : di e corsono tutti giuso, con grande alle- grezza, e tiovarongli abbracciati. Allora gliene menarono suso; sia aveva quando si e' la e quando furono dinanzi capegli al suso, che Tar(163), e viso vide ch'era così bellissima cosa, non poteva saziare grande fue di guatarla, e padre e la festa che fecie lo la figliuola insieme. E quando ebono assai fatto festa, e Apollonio domandò Tarsia, com'ella era arrivata quivi, e perchè modo. Ed ella gli contò tutto el fatto per ordine, come avete udito per adrieto. E, udendo cioè Apollonio, venegliene sì grande compassione di di piangiere, lei che non tanti pericoli e disinori. il si poteva saziare pensando com'era iscampata Una di quelle teneva in maggiore allegrezza senno che vedeva in e lei, si di cose che era il tanto vegiendola tanto bellissima. In questo modo si de tra loro è grande E quando furono ritrovarono insieme, onfesta, e tra la giente sua. stati in questa allegrezza un ad Apollonio : priego, che tu mi dia Tarsia per moglie ; grande pezzo, e Antigrasso Io ti disse e tu n' ài ragione, che io fui quello noUe feci villanìa allo cominciamento, e anno lasciato per me: ed verità. E ella è la E Apol- voglio pure maritare, acciò lonio gli disse: Io la mi possa radere capegli. gli altri quine che'l sa Tarsia dicie: Bene dicie vero. ch'io e' uomo che la barba, e torre l'unghia, E però voglio volentieri che tu l'abbi; \ 70 ma, innanzi ch'io la dea, voglio che sia fatta ti vendetta di Marchionne. E Antigrasso diiie, die ciò vuole egli bene. Allora sua giente, e fue nare popolo, e el partì Antigrasso con si palagio suo, e fecie ragu- al poi Apollonio, Prencipo venuto disse: Egli è di Tìrio, lo quale dre di Tarsia, e molta giente pa* è à sotto di sé qui, e assai ne potrebbe avere. Ond' egli dicie, che vuole che sia fatta vendetta di Marchionne, che voluta vituperare la figluiola; gli à e, se noi noi facciamo, egli è grande Signiore, tosto potrebbe danno fare grande savj sapete ; Quando tutti preso Però voi ch'avete a fare egli, e gli : Sia lapidato Marchionne. E corse popolo a il casa, e fue Pocaroba,ele peccatrice, <h'aveva inter (t<34) la casa, e furono tutte rubate, e furono menati dinanzi a Tarsia, e dissolle cione che tu vuogli che che ella disse, si Ed E di Marchionne sia lapidato. la terra. E poi dissono: Di Pocaroba che volete voi che Ed cia? di male ella disse: Costui nessuno, perciò vituperarmi, e non volle; abbia sciato. dell' E avere di non voglio ch'egli si io si le fac- ch'ab- ebbe forza eh' io voglio ch'egli Marchionne, e che cosi fune fatto. Die : faccia dì costoro. presente fue istraziato per bia siete cioè. in popolo udirono questo, gridarono lo ad una boce presente di alla cittade. quello sia la- E poi fue domandata, quello ch'ella voleva che fosse fatto delle pec- 71 Ed catrioe. te: ella disse, eh' elle fussono lascia- s'eirànno voluto lasciare vituperare loro corpo, fatto si si incontanente. E loro danno. tìa Poi che fu lo cosìe fue fatto questa vendetta, Apollonio isciese a terra della nave, e andossene palagio al d' Antigrasso, diede per moglie Tarsia ad Antigrasso ed ; ivi e di ciò fecie grande nozze, e grande festa per la terra; e grandi doni festa più dì. E, Baroni a' vi quando loro rieletti feciono; e durò la sì fu fatto, si quando si tornarono e' convenne. E Apollonio, Antigrasso, e Tarsia rimasono alla città in grande allegrezza. Ora dicie lo conto, che istando cosi uno tem- po, una notte, che Apollonio dormiva, venne a lui l'Agniolo da e disse cielo, : Apollonio, vattene tue, e tua figliuola, e tuo gienero in Efesso, e vanne ai tempio della Diana, che è uno monisterio; e quando all'altare ed l'altare maggiore, ivi avvenuto dapoi che tu patria; e contalo alto, udire; e, tu se' lane, vattene maggiore, e inginocchiati dinanzi sì quando partisti da Tirio tua che catuno lo possa l'averai contato, vedrai e udirai le maraviglie che ebbe detto questo, ti sì si ti avverrà. E quando la gli partìe. Allora Apollonio sìsiisveglioe,pensò molto a ciò che l'Angiolo aveva detto. E al- conta clone che t'è gli mattina chiamò Tarsia, e annun- zioUe cione che l'Angiolo gli aveva detto; e do- 72 mandolle, che le pareva di fare. Ed ' ella gli dissd: Che noi v'andiamo, e facciamo quello ch'egli v'à comandò che detto. Allora Apollonio nave la fosse fornita e acconcia di cioè che fané stieri ; e fa fatto suo mattina tra comandamento. E ricolsono in si e Tarsia e Antigrasso : meal- 1' nave Apollonio e feciono fare vela, ed ebboDO buono tempo; andarono per e tanto loro giornate, che giunsono in Efesso. E quan- do furono giunti della nave, e lane, andaronne s\ al isciesono E e feciono picchiare alla porta. domandò, chi egli erano. terra in tempio della Diana, Ed 'l portinajo eglino dissono: Qui ene uno signiore che vuole fare oferta all'altare maggiore. E '1 portinajo disse: Aspet- tatemi tanto eh' io vada per la E mossesi, e vane, donna maggiore, e truova la parola (165). e disse: Madonna, uno grande signiore enè vuole entrare dentro per fare porta, e alia offerta. E la donna in tanto eh' egli e la donna sòne si si in coro, e E quando eli' disse: Vane, e aprigli. andone ad aprire la E porta, vestìe robe preziose, e andos- montò in sulla carriera usata. era così acconcia tutta la chiesa risprendea, e pareva una Iddea veramente. E gli uomini e le femmine l'adoravano per la sua santitade. Quaiido Apollonio e donna cosìi gli altri vidono questa nobilemente apparechiata, pareva 73 loro grande fatto. R Apollonio andò, e 'ngiuocchiollesi a' piedi, e baciogliele; e cosi feciono oatnno degli E poi se n'andò Apollonio altri. dinanzi all'allaro maggiore, e cominciò a contare tutto per ordine quello che come venuto, gli era av- detto t'one per ordine adietro. E quando Apollonio ebbe detto tutto, e la donna ebbe inteso tutto clone ch'Apollonio aveva detcorse ad Apollonio, ed abbracciollo, e co- to, nobbe ch'egli era suo marito, e dissegli: Io sono Archiitrata tua moglie. E quando Apollonio udìe questo, cominciolla a raffigurare. quando l'ebbe riconosciuta, ella lui, ciezza, eh' amendue tramortirono. E quando risentiti, strata Ecco qui e Apollonio disse ad Archi*' Tar^i•a tua figliuola, e Anti- grasso tuo gienero. E quanda Ardiistrata de figliuoKa, sì corse, la ella lei. che za, E questa fue madre fecie la madre, che non alfa E l'abbracciò, ed con tanta allegrezza e con tanta dol- furono : sì vi- ed abbracciolla, ed tale festa, e tale allegrezalla figliuola, e la figliuola si potrebbe dire uè con-; E quando ebbono Archistrata andà grande festa. E così is- tare chi noilo avesse veduto. fatto ài una sì grande festa, e gienero, e feciegli tettono uno grande pezzo questi quattro insie- me. E come Archistrata ed ella andava si partiva da l' uno,' non si po4 all'altro, e di ciò tes'à saziare: tant' era V allegrezza ch'ella aveva 7i andò Di ([iiosle cose di loro. eome la terra, donna maggiore del tempio ro è anche una loro nero fue e uno l' ne feciono della che festa per marito della della Diana, e co lo- lijj'liuola, sicché grande ; novella la era venuto lo v' loro gie- alleg:rezza e venuta loro di la per amore della donna, che tanto V amavano per suo senno, e per Io la sua santitade. Ora dimorano nel monistero alquanti die; do vi e quan- furono i4ati quanto parve loro, ed s'acconciarono per tornare quando vennono loro in paese. e* E partire dal moni,terio, ed al Archistrata misse in suo iscambio, cioè in suo luogo, una buona donna e entro, d' marono E onde fatto ciò s^ raccolti in al su Qtiando (160) glio tutte le altre donne tutti loro. h\ se ne chia- partirono del monistero, e si mare le e ; navi, è egli quando furono e Archistrata piaciuto Ed E : raccolti, e ritrovati insieme, io vo- e' il reame d'An- rispuosono, che bene piacieva allora Apollonio comando tore della nave, che faccia alla cittadc di Tirio. farà egli tutti disse che noi Dio a che noi andiamo a prendere tioccia. era assai contente. audaronsene siamo santa, che volentieri. E Ed la via al governa- per andare egli rispuose, tanto giornale, eh' eglino arivarono a Tirio. do furono giunti a Tirio, e che ciò andarono per loro la E quan- novella corse 75 per la terra, come Apollonio era presente serrarono le slazzoni, e tornato, eli corsone in- contro ad Apollonio, e ricievettolo con grande allegrezza, e colla maggiore festa che mai fosse E durò questa vednta, più festa Quando dì. Apollonio fu stato colla giente di Tirio quanto gli parve, disse, che voleva andare per lo rea- me d'Aiitioccia. E allora fecie Antigrasso Pren- / cipe di Tiro. E l'altro diesi mosse Apollonio con sua giente, e tanto andarono per loro giornate che giunsono in Antioccia: po- '1 e polo, e'Baroni lo ricievettono con grande onore; e fecìollo sta del Re mondo; d' e Antioccia colla maggiore fe- durò E quando Apollonio gli la corte assai fu istato in Antioccia giorni. quanto parve, disse, che voleva andare a vedere lo suociero; e misse suo vicario in Antioccia An- Ugrasso suo gienero. E, fatto ciòne, si fecie ap- parecchiare navilio, e ciò che facieva mestiero a SI fatto signore in ricolse in tioccia sì fatto viaggio; e poi nave con sua giente ; e paitissi d' per andare a Pentrapoli. Or gli si An- pia- que d'arrivare a Tarsia, e così cornandone al governatore della nave; ed eglino ebbono buono tempo, e tosto vi giunsono. E quando furono lane, e Apollonio fecie travisare Tarsia surf figliuola, perchè non fosse conosciuta. E, fatto cione, fecie assapere al popolo della città di sua venuta; ond' eglino con grande allegrezza e onore vcnnono incontro, gli mènaronlo e 'af mastro (467) palagio. Com'egli fu fecie ragnnare tutto el popolo. E quando smontare Hi, sì al furono ragunali insieme, e Apollonio adimandò a Dionisa Tarsia sua figliuola. E Dionisa spnose, che Tarsi* era morta, sì peva palesemente per come si tutta la terra; e r aveva sopellita nel monimento a lido. ri- ^à^ come Quan- do Apollonio udìe questo, disse Io priego Iddio, se questo non è cosa che sia impossibile, : che rivenga da morte a Tai*sia E rà manifesta la verità. chiamare: Tarsia, fare, vieni, e vita: sì ne fa- cominciò a allora mia, se tu lo puoi- figliuola manifesta la verità. E allora fa* Tarsia aparìe; e, quando fue apparito, Apollonio domandò: «Com'è ella rispuose, come ito Dionisa questo fatto? Ed la volle fare ucci- dere a Teochilo suo servo; e morta m'avreb- non che un legnio se be, ne, e presonmi; e alla sì fu dì presente villa; fu ed dere Tarsia. lutto il more e* mandato per venne. E da ch'egli dimandato, che (168) muoja; di ven- corsali via. Allora Dio- che di questo non sapeva niente. nisa disse, Allora di portaronmi Ed egli gli disse: lo fu venuto, facieva Dionisa. servo ucciAllora popolo incominciò a gridare: Muoja, e così fu morta di sozza morte a re- popolo Dionisa. E Stranqnilione fu disaminato di qiiesto fatto. Ed egli confessò. 77 eom' acconsentì a questo fatto egli acconsentì, fu morto, e fatto di lui, della E carne sua, fatto clone, che voleva che come domandato fu sì sì e perchè : grande istrazio conveniva. si Tarsia, quello Ed faciesse del servo. si che fosse lasciato, acciò che, per disse, ella lo ri^ spetto che le diede ispazio di pregare a Dio, campò ella da morte. E così fu fatto. Quando Apollonio ebbe veduta questa vendetta, pr^se comialo da' Tarsiani, e ricol- sì nave con sua giente per sesi in poli. E' Tarsiani porto ; e quando minciarono ire a Pentra- l'accompagniarono infino vidono partire, lo a gridare tutti al co- Iddio conduca a salva- : mento Apollonio nostro amico. E così si partì Apollonio colla sua giente; e tanto andaronp per loro giornate, e sempre con bonaccia, che giunsono a Pantipoli (169). E quando furono andò ìsciesi in terra, sì chistrato, e' gli con andò incontro, E quando fu veduta così al re Ar- veniva; e di presente E quando furono della terra, e quegli chistrata, corsonsi loro. novella così vecchio com'egli era, tutta sua baronìa. poco fuori insieme. la come Apollonio egli vide sì iti Apollonio e Ar- ad abbracciare: e mai non grande allegrezza come fu E poi quando vide che così grandissima sta e r allegrezza un scontrarono che Tarsia, festa. si sì le fecie E grande tra an- fu la fe- fece per la città della 78 tornata grande d' Apollonio e di sua conipiignìu; e con ì^ìoja si stanno tutti in Pantipoli, s'ic- thè niente manca loro. Or dicie lo conto, che poi eh' Apollonio e gli furono altri contato per tornati a Panlipoli, sicome ordine, re Archistrato il v* 6 vivette E quando venne reame suo ad Apola morte, sì lasciò mez/.o lonio, e mezzo ad Archistrata. E così fu sopelpoi lino anno e poi morine. lito il come re Archistrato, era loro costuma, e poi incoronato Apollonio del tipoli. E da Pantipoli, sì reame di Pan- reame di 'ncoronò Antinaghoras del reame poi eh' è incoronato del d' Antioccia. Dicie lo conto, che quando Antinaghoras fu istato alquanto tempo con Apollonio, gli sì disse Apollonio, che voleva che egli andasse per lo reame d'Antioccia. E Antinaghoras disse, gli piacieva. E di presente fecie ap- che molto parecchiare navilio, e ciò che bisognio cieva; e a un gli fa- tempo, come piacque loro, sì partì Antinaghoras e Tarhia da Pantipoli. Gran- de fu lo pianto che fé si al partire dall' una parte e dall'altra: e tanto andarono per loro giornate che giunsono ricievuti a Da poi tipoli, il egli in Antioccia, grande onore come eh' Apollonio fue comincio reame; e t-ì lo a misse si ove furono conveniva. rimaso Re di Pan- racconciare e assettare in poco tempo in tale 79 (ito), ch'ogni effetto valcando un mare persona contentava: Apollonio su per lo lido del d'i di Pantipolì, sì si ricordò del pescatore che l'aveva ricievuto; e per si pacie e tranquillità istavano. Onde ca- in tanta mandò presente di e disse, che fosse menato alla sua ca- lui, mera, che subito andassono e trovassollo. E* feciono servi suo comandamento, ed andarono, e trovarono il eglino pescatore, e mena- ronlo alla camera d'Apollonio: ed egli v'an- dò con grande paura. Quando tornato, e nella gli fu detto come lo Apollonio fu pescatore era camera, e Apollonio andò dentro, e tro- voUo, ed egli egli rispuose: lo sono colui domandò: Conoscimi tu? Ed E Apollonio disse: a cui tu ramezzasti mezza la roel Messer, no. ba tua; e però, merciè a Dio, tempo lo voglio fare. E di venuto egli è ne posso meritare eh' io te ; e però io presente lo fecie conte d'un grande e beilo contado; e donògli tesoro e servi assai; e misselo ch'egli Un grande istato Apollonio con sua compa- dì istandosi gnia in sulla sala, da Tiro : {sbandito, che E sì venne a che quegli di Tarsia detto, d'oro. in sì non sapeva più domandare. che non gli lui aveva l'amico (ITI) in su '1 lido Ke d'Antioccia l'aveva volle córre cento talenti il gittoglisi a' piedi, e disse: ecco l'amico (172) tuo servo. Allora Messere, io rico- ' 80 nobbe Apollonio; e e feciegli bolla l'accoglienza ; grande contado bullo e molto buon viso, e fecielo ; conte d' un e donògli tesoro, e multi servi. Or dicic che la storia, eh- Apollonio vivctie, poi re Archistrato morì, settanta anni. '1 E in questo tempo non ebbe veruna guerra nel suo roatiic, dc. E^ ma gi*ande pacie, e grande tranquillita- grande sanità ebbe al corpo suo, e tutta sua girnte in gran gioja; sicch'egli neuna pena liou gliuoli, in in <iOAìi\ tempo. Kd ebbe due quello quali regnarono i dopo la fi- morte sua grande prosperilade. K però dicre lo savro^chc ninno disperare di cosa che gli Signore che ciò (i73) ch'egli E storale. dicie, bnuna persona; merito. E quando sì avvenga; che la lo dee mai lo giusto puote ri- che dobbiamo servire ad ogni e Iddio gliene renderà in questo fenduto, gli liBctiale. Atì^nne, Amennc. buono mondo non gli fosse mondo cie- sarà renduto nell'altro •;:*i<r><;>^-^ — SAGGIO DI ALTUO YULGARJZZAMENTO DELLA STORIA D' APOLLONIO DI TIRO TOLTO DAL COD. MAGllABECHlAyO CLASSE Questo 7 è Vili. If. </575. lèggere (ìli) d^ Apollonio di Tiri di Puccio Benini, e scrtlto di sua Anticamente aveia bile e possente Re, cW è mano. (17o) in Antìocci^ì imo noil quale aveia una sua fi- gliuola molto nobilissima di gentilezza e di bel- lezza ch'era e di saviezza, nata d' islata figliuola quale Reina, una sua moglie, d'uno possente Re. La come plaque a Dio, mori, e lasciò etade di Villi anni. La quale questa fanciulla d' fanciulla istette con una cameriera molto sa- madre sua 1' aveia tenuta grande tempo con seco: e quando venne a morte la raccomandò troppo più a lei che al padre, suo marito. La fanciulla era ne' Xllll iiuni tanto bella che la natura non aveia cirato nulla di sue bel- via, che la 8-2 Ed essendo cos'i bella criatura, molti erano coloro che T adomandavano per moglie, e grande pressa ne facieiano a Re (i76) suo padre. lezze. Per sì la grande pressa che cominciò i Re i Signori ne facieiano a pensare, come la maritare più altamente a V uno che a e quale fosse più E stando degno nemico del ninferno sì che a fare suo volere; il d\ e la notte, il sì lei lei, (177). E costretto, e recato Re, islando una notte in i molto per tempo, co di essere questa malvagia tentazione, tina altro, venne volontade di demonio l'ebbe il il 1' sua figliuola. la cominciò a tentare, e il gli ed ama vaia carnalmente quando aver questo pensiero in costrin^elo d' potesse sì sì si levò una mat- comandò a tutti i suoi donzelli e sergienli, (he andassono in altra parte uno di fuori dal palagio: in però che poco de matrimonio che vo- istare a consiglio cose segre- Icia fare a la figliuola sua, e d'altre te, e* così co la sua cameriera (f78). E, quando ebbe mandato ed andonno E quando fuori tutte le gienti, a la camera de 'I fuoco do gl'i la sì si sua la sì la vide dormìa fortemente. E maladetta lossurìa, e "venne mosse, figliuola. fue entrato ne la camera, eh' era tutta iscoperta, e siderio voleia sì '1 mal de- toito; e constrignendolo si ruppe la spogliò, entrò a lato a la fanciulla, e sua vcrgiiiilade. E levandosi questo Re dolo- roso da questo sozzi>simo peccato, sì gli goc- 83 cioloe gocciole di sangue in su letto de la III E poscia la donzella, piangiendo e fra sé medesima quello che aveia donzella. pensando fatto, diventò sto pensiero, la vestire, ismarrita che quasi s\ E stando questa uscita di sé. cameriera venne a lei per atarla come era usata e trovòla così sotrista. E la bàlia la guardoe nel volto, sì spirare e fue tutta donzella in que- ; e videla così dolente; onde la bàlia fue molto addolorata di quello che vedeia a la don- Perchè é questo dolore di tanto amarore che tu istai? La donzella le ri- dissele: zella, e spuose, e che disse: me sai, te debbo ubidire, mio segreto. nomi e disse : sì ti In questo ci sono Perchè mio E maritata sono corrotta cato. lò, E sai eh' io a manifestare il due gìenti- letto la bàlia le rispuose, queste parole? zella le rispuose, e disse; sia però e ; voglio periti. di' tu che tu bàlia, raccomandò, come ti più che al mio padre tu lissimi Cara mia mia madre la Eda don- Perché innanzi ch'io crudele pec- del co molto grande furore par- la bàlia e dissele: Chi sarebbe quegli c4ie avesse tanto ardire di pensare di corrompere la flgliuola de Re, o che pensasse tuo corpo, o pure di toccare tu giaci? E tendi bene è spento in la : io me donzella ti ; di le disse dico, che fu il ed a ciò che sozzare letto tuo il : el dove Tu no mi in- padre mio, che el peccato e la 1 Sì macola del mio padre non crudele morte addomando la sia manifesta, una mio criatore al (179): morte mi pare uno rimedio, e piaciemi molto» Quando la balia donzella domandava rimedio parole la la intese queste parole, Ed che la morte, con dolci confortava, e dicieale cosìe (180), e ritornava in suo senno. zella di conviene fare la Ma pure don- alla volontade del suo padre. pessimo infra qiieste cose lo Re s* inco- minciò a dimostrare a suo* cittadini de la terra molto pietoso, ed cono- moglie. figliuola, Ed desimo s\ si Qualunque persona assolverà sì averà la mia figliuola la saprà assolvere E però i He pensò una quistione che di fare e' di che ninno non adomandi ciò a sua sicondo che fae marito co donzella per moglie, la suoi amici e molto grande allegrezza scienti dimostrava questa sua a' sì gli Baroni la in sé me- dicieia così : mia quistione per moglie; e chi non farò tagliare la testa. mctteiano, per la si grande bellezza della donzella, a morire per lei, e tutti coloro che de le loro provincie si metteano a venire a solvere quella quistione. E se ninno ve ne aveia, che per iscienza lettera la sapesse eh* egli assolvere, sì dicieva non aveia detto niente, e ra tagliata la te>ta. sapeva assolvere ponevala Ed sì gli i di Re, eh' egli ava- a ciascuno che no la facieia tagliare la testa, in sulla porta della cittade per segna- 85 che a ciò le de d' la c4ie chi vi venisse vedesse la 'nsegna morte. Onde poco tempo passò che Antioccia aveia adoperato il tagliare la testa ad cia al i Re aveia uno nobile signore che non aveia saputo assolvere apparìo per mare Re detto peccato così trapessimo, in quella fiata che fatto i porto de quistione, la la città d* sì Antioc- uno ciovane (181) e bello uomo; ed era saed era molto al- pientissimo di senno naturale letterato; ed era ; Re d'una molto grande pro- vincia, la quale aveia nome Tiro; ed aveia seco molto belle ricchezze, e molto fornimento d'oro e d'ariento, e molte navi: e il pessimo Re d' di queste cose Antioccia no ne sapeia niente. Quando re Apollonio giunse a la cittade, domandò de le costumanze ed intenzioni (182) de la cittade d' Antioccia; e domandò alcuno gie utile uomo de la terra, come Re si pori i tava co' suoi cittadini, e con coloro che erano che gìugnevano forestieri, al porto della cit- tade d' Antioccia. E quello gentile rispuosc, e dissegli a la porta, ; Io Re sì uomo gli ha fatto iscrivere che chiunque addomanderà una sua figliuola per moglie, e non saprà assolvere la sua quistione, sta (183) si averà : s>ì gli la in tagliare la te- sua Ogliuola per moglie. La don- zella è la più bella criatura duta farà e dicie, che chi la saprà assolvere, che mai fosse ve- questo mondo; e però molti Principi, 86 e Baroivi, ed altri Signori ei assolvere quistione de la saputa assolvere; e la testa ; Re '1 la porta. Tutte queste parole ebbe intese Apollonio da quello usanza de Re nanzi, di molta ; e senno, del suo scrittura, e di gran- molta prodezza che aveia di la Baroni ch'era- fidandosi iscienza de ardire, e sé più in- sopra a E veggiendo, e conside- dicollati. rando Apollonio, e e appiccate quegli la cittade di istati uomo de cientile Antioccia;e andò d' vide le teste e porta de no non l'anno e à fatto tagliare loro e le loro teste erano, e sono ancora appiccate a la sono venuti per Re, in sentendo eh' era così gientile e bella e graziosa donzella, di volere tioccia: confidandosi stione, che lo detto fermò nel suo cuore si sì domandare la figliuola bene d* Re aveia de Re An- d' assolvere la qui- fatto iscrivere. Ed Apollonio fermandosi così di dire veraciemente quello che dicie fatto iscrivere (184). Re di Tiro cittade, l>io scrittura che la E '1 Re ha potente lo bellissimo e cominciò a cavalcare dentro a la per andare a questo crudelissimo e em- Re, per addomandare per assolvere la la sua figliuola, e quistione, eh' egli aveia fatta. E quando lue giunto a la piazza, dismontò da cavallo, e montò va, e lui, in su la sala, venne dinanzi a Apollonio il lui. E, dove quando i Re ista- fu dinanzi a salutò, e disse così: Magnifico e m potente Re, Dìo sicondo eh' che, porta de tuo mantenga ti io Re la nel se' malvagio Re, quando intese '1 quelle parole e istato, ò veduto a crudelissimo la tua cittade, reame. E buono in veggio ed saluto che Apollonio gli fe- '1 che non voleia udire cie, e vide (185) quello né vedere, disse ad Apollonio: Saluti sono molte E fatte. venuto ed arrivato messer nome? cittade, Io domandò: Come avete E di quale provincia? 1' ò nome Apollonio, e e chi siete? Ed Apollonio sono Re questa vostra in per essere vostro gienero, se lo Re, ve piacie. E lo Re voi di Apollonio disse: lo sono lo re rispose: per di Tiro, e bellezze le de la tua donzella figliuola sono venuto, per averla per moglie. E lo pessimo Re, quando udì parlare Apollonio, fue molto tristo e dolente de la sua addomanda però che aveia udito nominare ; re Apollonio per lo più savio uomo del i mon- do: e guatò Apollonio con ciera e viso pessi- mo ed argoglioso, e la quistione de la disile mia lonio rispuose, e disse a lui: figliuola? : A la Or no di' la Re fue molto disse ad Apollonio: uomo se', da che tu Ed Apollonio disse: Né ora t'ò io detto niente de la quistione; e intendi, Apol- quistione; folle la sai assolvere. non lo re porta della vostra cittade la vidi iscritta. Allora lo adirato, e co maltalento Ha* tu veduta E Re crudele, che questo eh' io ma ti odi dico 88 è la qiiistione ciré iscrìtta a cìttade; ed io dico così: porta de la terna carne vescor; qiiaero la tua ; mifralrem menni, ma- Sedere ve/ior meae virum, nec invenìo, E il He d' Andisse: Bene 1' ài veduta e letta, ora tris tioccia pensa d'assolverla; e se tu no ti farò tagliare la l'altre te>te degli isciocchi me assolverai, io la appiccare co testa, e faròla che sono venuti, co- Ed ApolRe gli disse, partissi da lui per pensare meglio come la potesse assolvere veraciemcnte. E pensando cos'i se' tu, per volere la mia figliuola. udendo queste parole che lonio, queste parole. Dio veracie in za magiore che non la diede iscien- piima che ve- E pensando sopra nisse ne la cittade. che gli aveia in be ritrovata, e conosciuta lo i ciò eb- quistlone, e quel- la quistlone voleva dire; e mossesi, e tornò addietro a Re, e fue dinanzi da disse: Messer lo Re, questo è il lui, ri- e proscioglimen- to della vostra questione che avete proposta. In quello tisti, e che dicie non ài : scelere vehor^ materna carne vescor, da (180). E aveia soluta lo la Re suo peccato non E se' lo tua figliuola riguar- la quatido iidìo (he Apollonio quistlone, e (|nello ch'ella vo- leva dire, allora lo 'i non men- detto bugia; considera te stesso: Re ebbe grande paura che l'osse saputo infra Re iruardò Apollonio, e disse: le gienti. Molta ne dilungi ad averla assoluta la quistlone; tu 89 dei avere tagliata la testa ed abbi termine XL ; e disse Re: Va, il e pensa fra te dì, mede- simo: quando tornerai, se tu averai assoluta e quistione, tu averai mìa la figliuola moglie, e se no l'avera' assoluta, secondo gliata la testa la legge eh' Apollonio, quando ebbe ricieuto sì ò i' al Ed fatti. coniiato da il Re, fue molto adirato, e partissi dinanzi da ed andossene ta- fia ti la per lui, porto del mare, e trovò la sua giente che l'aspettavano, e salìo in su nave, e cominciò a navicare verso la Tiro sua Ed incontanente che Apollonio fue parRe chiamò tito dinanzi da Re d'Antioccia, e uno suo dispensatore, il quale aveianome Ta- patria. i liargo, e disse così: Taliargo, mio fedelissimo amico, sappi che Apollonio di Tiro à assolta mia quistione veraciemente la ; e però voglio che incontanente e sanza dimoranza entri una nave; e voglio che tu in lo vadi cacciando; e quando tu sarai giunto in Tiro, ciercherai di lui, e se lo trovi, incontanente l'occidi: e quando tu tornerai, io ni, e farotti ti darò grandissimi do- franco cavaliere. E Taliarco tolse incontanente quegli compagni che volle, e se arme ed al mare, ed entrò andonne lonio Ed il altre cose, i tol- ed andonne incontanente (187) mare, e salì i nave, e ne le parti di Tiro ne la patria d'Apol- quale era sanza peccato e sanza colpa. Apollonio navicò tanto che fue giunto a 90 Tiro prima che Taliarco sponditore de Re d* Antioccia. Ed Apollonio entrò nel suo dentro a Tiro, ed entrò ne la palazzo camera uno ìscrigno dove aveia suoi e trovò sua, libri, ed aperse lo scrigno, e trassene fuori uno libro, e guardovvi entro, e non trovò altro che avesse detto de la quistìone (188) che aveia asso- Re d' Antioccia. Allora Apollonio disse medesimo Che l'arai Apollonio ? La ài assoluta, e la sua fiquistione de Re tu luta a infra se : 1' gliuola non avesti. Istando questo pensiero che uscì di comandò gio suo, e ti sì a' così e del pala- suoi donzelli e sergien- molto fermento (180) fornissono di nave sua, e di molto oro, e fue fatto il compagni la di argento, e d'a- vere, e di vestimenta preziose. di Tiro, Apollonio in camera Ed incontanente suo comandamento; e co pochi suoi fedelissimi in su lo ed entrò co di mare in primo sonno partì nave, e entrò .... -T.-6.S«S^««'&^-«^ in pela- N E 1 (1) Antioccia. per Antiochia. (2) EiBB sta qui per fii^ ma non così appresso. (3) STAKDO UNO TEMPO, e pOCO SOttO STANDO PEB TEMPO e simili, valgono DSO Dopo alquanto tempo. De- corso alcun tempo. (4) La particella e appare qui superflua. Spessissimo ridondanza, non trovasi nel nostro scrittore questa rara neppure in altri Hi quel secolo. (ò) Talmente che, Di maniera (fi) RiMAHENDo. Intendi rimasta sola. (7) Così sta il testo ciie modo conrunpezione che. forse è viziato. In o^ni o corrumpezione è voce insolila, e vale corruzione. LA. (8) ranno (9) è qui siÉfalli Il efficacia al discorso glia significare, P.e volte era trove- si ma verbo dovere non è qui ozioso, dar maggiore del ridondante. Soventi pleonasmi in questa scrittura. che l' : quasi serve a la balia vo- eccesso di aver violato la figliuola talmente grave, che chi lo commesse dovette quasi suo malgrado esservi trascinato. (10) Dubito della sincerità del lesto. Il latino impietas fecit hoc scellus. Forse stava scritto pietate, che spietato. il menante sbaditamenle convertì /' ha: em- in lo 9S (11) Iniquo sentimento di donna malvagia. (12) iNTEM)iMEKTo Sta qui per Desiderio. (l3)^Cioè Tiro Tyium. li.t il (14) In vece di del Rcy per vizio di pronunzia che popolo; e cosi poco sotto lutto giorno senlesi nel vece di c/ie'7?e, in c/ie d Re. (15) Nel codice è scritto entese^ che ho reputato er- rore del copista, correggendo e 'nteso. (16) testo latino legge cosi Il audi ergo qnaestioneni ne iitor ; ; indignaius rex ait : scelere vehor : materna car- / quaero fratrcm menni, malris mtae vi- riim, lice iiwenio. (17) La particella ne qualcosa ; e di f;«tti fn la manca la spia che qui è difetto di risposta alla prima parte che rimuse nella penna del della questione, Perchè possa supplirvisi riferirò il copista. testo Ialino: Bone rex^ propositi sti quaeslionemj audi ergo s lulionem nam quod /e ipsum respice. vescor^ nec (18) dixisti ; scelere vehor, Quod enim hoc es mentitus non dixisti ; : filiam Con quale intendimento ^ cs mentitus ; ; materna carne tuam intuere. Perchè. (19) APPORTARE è nel senso di Recare a porto. Fare approdare. QO) Reputo guasta la lezione del codice tendo stare siniscalco come sinonimo e che dehbasi leggere in vece scalco, cioè Taliarco. Infatti cavit rex dispensatorem : il di ( non po- maliscalco\ chiamò un suo testo latino ha sini: vo- suum, Thaliarchum nomine, cui ait: Thaliarche ec. (21) Appena che^ Subito che. (22) avevano. avviene perchè ec. (23) PERCIÒ CHE. Intendi Questo 93 (24) Krequentissuiie sono in questa scrittura simili Come paragogi. qui <>»/ie vece di ò, in si troverà poco sotto cosine in vece di cosi; in seguito lane iu vece di là^ fune per amò anione per /*«, vadasi e così ; discorrendo. (25) SOPRA CIÒ. Oltre questo^ Inoltre. (26) COME equivale qui a Che cosa, Qiial caso. (27) Non gli era niente utile. Non recava nes- gli sun giovamento, (28) DINANZI. Sembrami che biano bene apprezzato posizione ili alcuni il parlari: scampare dinanzi; Vocabolaristi i non ab- valore che ha questa pre- Qui sta : non gli potrò poco sotto pag. 10: voe fug- e gendo dinanzi al re Antioco. Neil' uno e nell' altro caso volendo spiegare, colla scorta del Vocabolaiio, la preposizione Dinanzi per Jlla presenza. Avanti, se non erro, si renderebbe non in tutta la pienezza A mio credere iu ambo concetto dello scrittore. nella preposizione suddetta sta insita secuzione, ira o simili; e Fuggire o ad alcuno equivale a l' idea il casi i di per- Scampare dinanzi Fuggire o Scampare dalle per- secuzioni d alcuno; cioè da uno che viem» incoulro, e sta, per cosi dire, in faccia colla sua vendetta. (29) ACQUA. DOLciE il petamus. Forse qui Terra ove l' acqua sta salsa ha lai. ò detto : liltus Tarsi, Acqua Tarsum dolce per Lido o l'acqua dolce; per contrapposto al- o mare, ove allora trovuvasi Apollonio col suo naviglio. (30) 11 testo latino ha (31)0 dee leggersi il sempie Tarsum. Re d' Antioccia, oppure Antioco. (32) AIE per ha. Forma antiquata. // re (:ì3) Il testo lai. (i4) AcxioocRÈ, Slningnlio o Slrongulio. come molte volte in qtiest.i iiltre sciitlura, sta per Imperciocché. Avverto (he ucl co- dice era scritto acciò chcna^ e oon sapendo cav;<rne costrutto ho creduto correggere acciò eh' ene; e po- trebbestare anche acciò eh* ànCy ovvero acciò è una. Questo periodo lesto latino cosi: Slrangulio ail: vilas nostra pauperrima bìUtattm susiinere : Domine Jpolloni^ est, et non sed / ,• ci- luam no- potest praeterea durani sfam steriliiiitem patimur annonae bus nulla spes salutis che chiaramente nel legge più si famem et sae- nec etiain civi- crudelissima mors est ante oculos nostros. Manca (35^ (:ìG)Qui sci: disse, la sintassi è Quando el popolo alquanto scompigliata^ costruisaprà, non che il solo sarai) sicurato dal re Antioco^ ti sicurerà gulio . . . da ait tutto el : tati subveneriSj sed si Dopo mondo. Il non ( cioè, ma io credo che testo lai : Stran^ Domine Apollonia si esurienti civinon soluni fugam tuam [cclabunt ,• necessitas fuerit, prò tua di ciò prosegue più salute dimicabunt. compendiosamente: Àscen- dens itaque Apollonius tribunal in foro, cuntis vibus praesentibus dìxit (37) 11 : volgarizzatore ha qui voluto allargare sto latino, riportato nella nota precedente, e ( se non e colpa del copista sentimento. Doveva dire ) : ci- Cives Tarsi ec. il ne ha malamente reso E le- pure il Apollonio sali in sulla ringhiera, e incominciò ec. (38) FECE LORO GRAZIA, valc anche appresso pag. 40, e (39) E gli ringraziò ,• e cosi altrove. chiaro che qui parlasi di denari di rame o 95 metallo, e altro vìi di poco sotto; e non nei di fatti di denari come d' oro, testo latino chiamano si aerei. (40) Così sta nel codice, ma volle correggere la lezione si conosce che esemplava, o riprendersi colle voleva ch'egli non ; gli voleva; Vale copista egli non parole cioè e di falli la vera lezione non il quale del testo dai gli deve essere acciò a dire imperocché egli gli voleva, (41) is VECE vale in sembianza. Veggansi altri eserapj nel Vocabolaiio. (42) In cambio di missonla per idiotismo. (43) Cioè Immagine^ Figura^ Rilratlo, Dimorarcy Albergare; (44) TORNARE vaie qui questo senso avvene molti esempj nei e in classici antichi. (45) sturai piii sicuro, (46) Si costruisca : udendo quello {che) Istranqui- liane gli dicieva. (47) E ÀvvEM«E TANTO cc. qui guasto. Nel modo che Ho dubbio chc come piacque a Dio^ il punto tempesta ec. eh' essi ebbero testo sia il sta puossi inteudere: Poiy tempo cambiò^ e giunse al si (48) gittato sulla riva, ed ha lo stesso senso Arri- vare anche poco sotto a pag. 15, e altrove. ma (49) La parola principe m;inca nel codice, cessaria per giunta col soccorso del testo li ne- è discorso. L'ho ag- tino che dice, Ego sufn rendere compiuto il Tyrius Jpollonius, patriae mea^ princcps, (50) LABBIA sta per Sembianza, Aspetto, Faccia erra il ; ed Vocabolario dicendo, ch'c voce piopiiadei poeti soltanto (51) Tornare in grazia vale Tornare in buono 96 sialo. Il Intino dìgnitnti fune reddilus f'iuris. si : (52) Cioè, in sua grazia, ( j3) fin che giunse. (.'»4) GioocARE.furc alla palla. (55) Maestria, Eccellenza. però reso esiiltamcnte comf del latino, che sia accessit in ad Regcm ; et Il tracUulore questo periodo il non ha senli:nenlo segue: Jpollonius constanter acceplo ceromale, docta multum circunifricuit enrn tanta subiiiiate, ut manu ei prò- fìccret. (56) Cioè venne il tempo. (57) Vuoisi soltinlendere disse^ e spiegare e disse: Menatelo a me, (58) onorevole, nonne paragoge di non, (60) a perdere V appetito, (5y) (61) TANTO per soltanto. Maniera, (62) Atteggiamento, Portamento^ (63) Stato, Condizione. (fiV) 11 test. lai. Apollonius ; si Jpollonius ait opes, in mare : nomea si perdidi ; si quacris vero nobi- litatemi Tyri rei igni. (65) Manca il Re, (66) Onorevolmente, Decorosamente. (6y) Cioè ricevette quello che gli e ne rese gratie al Re veniva donato, e alla figlia, (68) Arricchito, Fatto ricco. (69) Cosi sia nel ftodice in vece di gittoglisi. (70) Si sotlinlenda lo conto. (71) Intenderei, che l*amore d'Archislrata per Apol- lonio era giunto a ili I tal punto che elhi non poteva andare innanzi, cioè amarlo di più, nò andare addietro, eiuè cessare d' amarlo. 97 (T2) Costruisci Sta>do ec. E : così è stando un così forma avverbiale dì lo Ile prese Può però dubitarsi cbe vai^, e .vale Intanto, di questo e del susseguer)le periodo non li lai. Rex ha: num forum osser- altra volta lezione la sincera, sia maEt duni cum eo post paiicos dies, tenens Apollonii civitatis ingreditur. deambulareiy ecce juAftnes twlnlissirni tres ec. (y3) consenso, (74) suH. Qui a su si vede «ggiunt» l'incontro della tnedesiniia vocale 1* Ida Ila parola susseguente, ed è lo Slesso la sun è liniasto solo al inenOt senta Lucchese al- In sun un albero. In sun una tuttora 'l'ce fuggire sur. Oggi che che, nel volgo n per quale eomincia ce. (75) Super di buono vale Esser gradito. Il latino ha gratular. (70) Sollinlendesi (72* DESSE dal il Re. per deste. Configurazione non avvertita Na DO ucci. (78) Il discorso non proc«de con tutta regplariTà, e seinbia che qualche £OSa vi medesimo è il seguente: non intendeva bene la scritta teva niente risolvere, se la risposta della figlia. spesso fa, persona iJÌQ) )\^ continua alla si /?/.?5e il ,• desideri. senso del e che però non po- prima non sentiva meglio Dopo di discorso che lo scrittore, passando dalla come tetza « prima. soMMuoVEUE Il a quelli Baroni che Sta qui per Invitare. .11 testo latino vocavit, (80) E MAGGionE COME MAI, cioò chc fu mai tra marito (81) scienza. e maggiore moglie. • 7 non (82) farglielo. (83) intanto. (84) Vale Crucciata^ Addolorata. lacrymis (85) Qui manca mio, (86) Se deve avvenire^ Se accadrà mai. sollo il 5. profusis lai. Il ait. XXX Il Mauuzzi Cosa avverte che questa voce ha di significato di Caso, Jccidcnte. ^iny (\\cendo\o COSI geneiico, offre 1' sembrami poco Marco Polo pio di 1' m il wodo esatto: poiché nell'esem- che eh' egli allega, e in quelli Istoria d* Apollonio, trovo che ci Cosa prende avvertito significalo in alcune speciali forine di par- lare condizionali, ed come Se cosa accompagnata dal fosse, Se cosa sia, ed veibo Essere altre in ; con- simili. (87) dispiacesse, (88) quando le sembrò il momento opportuno. (89) gli rincrebbe, (90) lulendasi : non ai>e\fa vcrun altro figliuolo ne figliuola, (91) Non è Apollonio che comandò, ma il re Ar- come meglio si vede nel testo l'alino: Rex exilaratus jussit navem produci in litius, et omni^ chislrato, bus bonis impleri. (92) f'eccvi, (93) Ho messo le parole in vano nel «odice, ma non come uno ci fossero, e pista, dal quile intese mare perchè si trocome se voglionsi considerare con scorso di eggers;, penna del co- soggiungendo cioè in nave, (91) Per molto. (93) Cosi sta nel Codice, ma è manifestamente scor- 90 retto. sero lesto latino ha Il secondo Sed secundis venlis : max lezione la Vel- Uel eunlibus^ coagulato sanguine, conclusoquc spiritu cffccta mor- sìcut est E se. ondo lesto publiCi»to d;d Lapauine Saevo ore ventorum flantìuni congelato sanguine^ conclu- tila il : soquc spiritu defuntae rcpraesentans efftgiem. (96) Per /flcc/a. Altre volte desinenze di nomi che si si troveranno qui alcune moder- discost<ino dall' uso no: basti «ver lo solo una volta avvertilo perchè nQn prendansi per errori tipografici. (97) V espressioni questa /ii bile criaiura non po- rimanente del lendosi regolarmente c^llegare col scorso, ( piuttosto che una capestreria che pur non son rare ture del in nella di- sintassi questa e nelle altre scrit- trecento), reputo che sieno un' esclama- zione frapposta dal desolato Apollonio nel suo pasr sìon.ato monologo. (98) e così istandole ec. Ecco sta in che lo regoli. (99) In vece di ha il non testo un al irò periodo che gambe, tnancandovi un verbo principale non Ialino mare dee il : corpus leggersi la nave, inortuurn nnvis come sufferre valet. (100) NAzio>E per Schiatta, (101) Efeso. (102) Il testo latino (i03) Qui e sotto la il eadcm die, traduttore usa impropriamente parola Monistcro, poiché nel lesro Ialino sia inter sacerdotes Dianae templi. (104) noMSA è qui in senso di Monaca MACGioBE, vale Superiora^ Abbadcssa. (105) SlatOy Condizione* ; e donk4 (106) testo Il ha latino Inravit : ncque barba ni n€4jue capiUos nec ungulas lonsurum, nisi prins 6am suam Manca (107) fi- dedisset in matrinwniiim. sua. (108) bene complessionata. (i09J Cioè: come tratteranno dopo sì porteranno con (ilO) Da quanto segue e che la andava te, o come ti ec. vera lezione scorge che qui è cuoio, si (lev* essere e none, ovvero non allo studio, (111) IRA per Dolore, (112) WTossA. Cosi sta nel ^.odice iu vece di pietosa. (fi 3) brutta, (J14) Credo dtbba leggeisi (Uà) Anche ov' era girntc assai. : qui leggerei ingenerarono come pico opra. Cioè non aveva colpa nessuna (Ilfi) per hi d' essere lod;ila sua bellezza, e che fosse dispregiata la figlia di OlonìBia. (117) tic<t Si avverta anche qui disCórjso didh prima alla passaggio che il (US) Aggiungerei la copulativa e. Quando Tarsia si vide (IlO) Int^'ndi: de' corsali le paive di essere in un ossia altro peggiore non era più per evitare manca il ; si fa terza persona. ma non poteva mani nelle cadula da un pencolo più uscirne: in suo potere di scegliere il primo secondo più grave. Tutto questo discorso nel lesto Ialino, che h;i semplicemente : Pi- ratae vero rapta vìrgme pelnnt mare. Fillicas rrdiit ad doniinani siiam_, et dixit ec. (!20>) Sottintendi, ugual/nenie (121) Il latino ha Milylencn. si Ici'ò suso. lOf (l22) testo Il qui ed appresso sempi e ^//le/ta- lai. gora o Anlìnagoras. (i23) 1/ iiweiLno gersi dov die (I24) Lenunius (i23) ubi lena è qOi siipci /rt Fojse è fliio. :• leg- incantavano. s hit. il Prinpum ex auro et fjeiwiiis habcbat test. Int. il Andantns (126) (127) Briscis il lar. il hit. (128) pregare multo. (129) PcnE PEuò. Cosi sta nel Codice, è a credersi guasta. rex prior cosicché testo lat. h;* mn Iniezione Scd Jiilinagoraa ; lupanar ingrcditurf affnit^ et velalo capite vera probabilmente dev'tsseie: Antigrasso la eh' era ivi presso «•od. II per primo sì intra, i/ enore può congetturai si essere derivato dall'aveie lico copista male decifrato le «Jel l*an- parole per e primo^ che trovò sciitte in abbrevialara. (130) Si costruisca; questa mia bàJia^ eh' egli uti la- a cui sciò^ e egli m' aveva accomandata^ (13.) TÈSSE. Voce composta di verbo tenere e della partivella te ne ; si si nun'ie. iuiperajtivt» dt;l è lo stesso che ticnne, tienine. (132) vuoi. (13?>) GAGLIARDA sigDÌfìci qui senso l* usano anco (134) Così il ì Gajn^ Vivace^ nel qual Francesi. Codice in vece di reca. (135) toglile. (i3(j) da Intendi : farò quanto posso per scampare lui. (137) TI lat duxisset, a il : Cum eam ad eam : in eubiculum simni vilUcus Die miìù ce. un (138) tolgano le parole e Si l priegare ch'ella aifcva fatto a coitili^ che iinbaiiizzano regolarità del di- la scorso. (139) COMUNE jmò fare Libera^ dssia Oi>e ciascuno vale qui ciò che gli piace. (140) Se ne cavava fuori ^ Se ne sbrigava, (I4IJ vBDovATico Il iNtle qui in genere Àbito da lutto. Ialino ha vcstis lugubris. (142) Qui traduttore il nwnumenlvn ex (143) Il r^de goffamente il latino aere collato. tino ha«/n SQitina navis. 1.1 (144) se ne partirono. (14".) fossi. (14G) Sottìntenili soggiunse Apollonio. (147) Fate come se non Non vi fosse. ve ne date • pensiero. (148) TB^RRE DJ vrTA Vale qui J^ir canibiure modo di vivere. (149) Che significa questx) che tu dici? (l.")0) parola la Questo tratto vedesi riferito, lu* alterato, alla Gramezza ai quali è poi sfuggila kV Afflizione, Angoscia, che qui nei Vocabolarj, parola Ira nel senso ed altrove ricorre. (I51J Cioè : come io mi fono proposto. (152) Idiotismo per dicesscrgli. chiederebbe (153) La regolarità del discorso si fosse detto gii nel testo sito de, lat. mortis? mandasse. Queste^ Quid faciam Et ait: ut Bene mihi tratto sta che così revocem eum a propovenit in puer, ad Lenonium lenonenij et die mentem^ va- UH ut mittat ad me Tarsiam. (\^4) Vuol dire che Tarsia narrava fGtìz-a dire il nome di coloro che vi le sue avvenlu&e ebbero parte. 403 (155) te lesio latino hn Il XXX et : dìebus redimain a lenone^ ut possim virginitatem taam servare. Nou (156) è qui che dice cosi lino, molto felice la t isad unione del lu- : Dulcis arnica^ orae semper vicina profundae, Suave canit Miisis mi (157) se tnm ec. convenisse. (158) sta lai. Il mihi testo Idi. ha: Il guae ignoras liceret estendere libi come appresso Per iotas aedes innoxiiis lae^ ! : introit ignis; Est calor in medio magnns, quem nemo veretur: Namque Si est nuda donnis^nudus sed convenithospcsy luctum ponas, insons intrabis in ignes. (159) Credo guasta la lezione del Codice, e che in vece d'affrica debbasi leggere stufa, come sta poco sotto. Il testo latino h.^ balneum. (160) Leggi mordono. Questo lino è espresso co'seguenti versi enigma nel testo la- : Mucro mihi gcminusj ferro conjungitur uno; vento kiclor; cum gurgite pugno profundo; Cam Scrutar aquas medias; ipsas quoque mordeo terrus. (161) Intendi: che uscir fuori. Il non si vede, se non si faccia latino: Jntus lympha latet, quae se non sponte profundit. (162) Idiotismo per venitemi. (i63) Dubito che qui però chiaro che aveva i il manchi qualcosa. scoile capelli dinanzi al viso, e pei consegui^nza poteva esser veduta da Apollonio ebbe Si senso del discorso è questo: tarsia tolti, ed egli ; ma quando non ve li vide eh' era cosi bellissima cosa ec. (164) entro. (165) Licenza, Permesso. (160) poiché. (1G7) MASTRO significa qui pi-incipalc^ (iGa) che si so» lion 4 di irov.ino est inpj si si iitCflpliiHi, p«i che iu vppe di Fe- del jdlega nel Vocabolaiio ìMaiiuzziauo al Che. Rifalli questo errore r errata corrige che esemplari ili lougo c/»t' coni' eirato quello dovendosi lìQulaie coruDe che uqo chi e leggere, perocché nei debba quaulo c/ii. lesto lai. ha quisf e Il Biscioni aggiuns(E; il del l'ecoroiie ^tjcuiii i^a slamp.ilo colla stesso jT.il^a 1554, dalla quale edizione f^ tratto data di Milano §. vede eaiandalo nel- si il dello esempio. (1G9) Penlapoli. (1 ,,,, 70) Ciot| e l^ ridusse in pofo tempo Se pure ooo è e>l«re nel tiudifcc^ e ,v>. ili ,tf4e ^iitifJ. non dcvesi Uggcie assetto in vece di effetto. EUanico (l";!) Leggasi col testo latino /' amico j essendo mauifeslo h (172) Vedasi i.n v«cc di erro* e del codice. I* Nota precedente. (173) CHE CIÒ, forse di ciò. (171) Leggenda^ Storia. (175) Questo sciittore usa quasi coslan tendente di -fi apporre un i alle dtir impci fello e due vocali in fine ali terza conjugazione, tanto rale. Alili esempj se al » vcibi indicativo, nei l»rzt»,persp«a (Itila singolare seconda qmulo al plu- ne veggono nel Saggio del prò- tpelto generale dei verbi anomali e difettivi iìe\ Nan- uuccì, pag. 44. (17{>) a Re cioè al Re. per del matrimonio, i Vedasi in proposito anche (1/7) Forse m;.lii:a Cosi sotto de Re la in ove Nota qualcosa a di il matrimonio Re^ e simili. 14. questo pciiodo. lOo (1/8) Costruisci imperciocché meriera sì un poco voleia stare a consiglio ec. (179) Qui ho riordinato alla meglio codice che era guasta, stando dico che fu ivi non questo peccato morte adomando. ielligis periit nomen scelus genitoris placet, (i80) Mancano la si me mio criaiore le ha in- Si : niihi re- per dalla nutrice parole dette il il me. Itaque ne hoc patris in donzella. Forse ti ed a ciò che saprà una cru- lesto latino Il lezione del mei gentibus pateat^ mortis medium confortare i sia manifesto al peccato e la macola del mio padre dele la come appresso: padre mio che pento il co la sua ca- e' (egli) traduttore volle ap- positamente tralasciarle, perchè conlenenti un empio sentimento. To do fatti eam sermonis suo recederete il latino ha come segue : Blan- colloquio r evocavi t^ ut a proposito et invita patris sui voluntati satisfa- ceret, cohortatur. (181) In vece di giovane^ e cosi sotto dentile per gentile, (182) Forse è a leggersi insliiuzìoni. (183) Si è riordinato il sconvolto e manchevole, discorso, che nel Ms. stava come prà assolvere la mia quistione appresso: e sì gli non sa- farà tagliare la donzella è la piti bella criatura che mai fose ve- duta in questo mondo e dicie che chi la saprà asolvere sì averà la mia figliuola per moglie^ e però molti ec. (184) Le parole Ed Apollonio fermandosi, con quello che segue, hanno Paria di essere un periodo cominciato, e rimasto a mezzo tore. Fssendo superflue e damento della narrazione d' nelle* penna dello inciampo possono al scrit- regolare an- togliersi. (i8j) che U Ms. ha recita: (186) Ho e disc: Ho aorhe corretto col tosto latiuo quod vìdit JEt liex ut vidac noìcbnt. qui corrello hIIh meglio col soc- corso del Ialino riport^ito sopra alla Nota 17. uoicritto recita spropo.silalaiiieiite come ìììH" Il appresso: Di- se la vostra proposta e propuninicnto che avete iscrito ne la vostra quistione qudo che dicie selerom «Eon non mentisti e vk- non ài detto bugia la figliuola tua trovò che riguarda. (187) Per in(188) '^ioè: non il libro dicesse altro intorno alla quistione. (189) Cos'i si è corretto col testo latino. fornimento. V \ iN K 11 Ms. ha 1 X D I C E pag. Prefazione Tavola di voci notevoli contenute nel » XLVi bro Volgarizzamento della Ionio Saggio di altro Storia d' Apol" » / Volgarizzamento della Storia d'Apollonio Note v li'- i» 84 y> 9i 'I ( '\ / \ T » nA r \ ^^< University of Toronto Dbrary ^ DO NOT REMOVE THE CARD FROM THIS POCKET Acme Library Card Pocket Under Pat. "Ref. Index File" Made by LIBRARY BUREAU r / / V », §^^ 9