FERTILITÀ 1. La rilevanza giuridica della fertilità umana è

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FERTILITÀ 1. La rilevanza giuridica della fertilità umana è
FERTILITÀ
1. Premessa – 2. Capacità coëundi e generandi: rilevanza giuridica indiretta nella disciplina della validità del
matrimonio ed in quella delle azioni per l’attribuzione dello status filiationis. – 3. Tutela della salute umana quale
criterio di liceità degli interventi sulla capacità sessuale. Rilevanza giuridica diretta: liceità e limiti degli atti di
disposizione del corpo incidenti sulla capacità procreativa. – 4. La situazione negli altri ordinamenti
1. La rilevanza giuridica della fertilità umana è testimoniata dalla pluralità di riscontri normativi
che toccano molteplici istituti (famiglia, filiazione ecc.). Il fenomeno già ricco di implicazioni
giuridiche, oggi è reso più complesso dal progredire della scienza e della tecnica che hanno reso
possibili interventi sulla fertilità umana prima inimmaginabili. E’utile osservare che il codice
civile e la legislazione vigente in molte disposizioni danno rilievo alla capacità sessuale e
procreativa assimilandone la disciplina e, non distinguendo nelle ipotesi di c.dd. difetti sessuali
tra impotenza coëundi e generandi. Pertanto, si rende necessario trattare le fattispecie nelle quali
ha rilievo la capacità o potenza sessuale. L’esame del significato dei termini fertilità e potenza
sessuale, nonché la dicotomia coëundi-generandi è preliminare alla individuazione del fenomeno
ed alla sua rilevanza giuridica.
In medicina si distingue il concetto di fertilità da quello di potenza sessuale e di fecondità1.
Fertile è il soggetto sessualmente maturo e con gameti, le cellule germinali (spermatozoi e
ovociti) normali. Fecondo è il soggetto fertile capace di riprodursi. La fecondabilità è una
condizione che può essere negata, anche naturalmente, ad un soggetto fertile 2 . La persona
incapace di compiere gli atti idonei alla procreazione o di giungere alla generazione presenta il
problema fisiopatologico, che si definisce impotenza sessuale, distinta nelle due forme coëundi e
generandi. La potenza sessuale riguarda, così, non solo la reciproca capacità unitiva (coitale)
dell’uomo e della donna, ma coinvolge la capacità generativa del singolo e/o della coppia dal
punto di vista della fertilità e della fecondabilità. L’impotenza di generare derivante dalla
sterilità, dall’infertilità e dalla non fecondabilità è una forma ben distinta e differenziabile
dall’impotenza coëundi intesa quest’ultima come impossibilità o difficoltà estrema all’atto
sessuale.
Nel diritto civile, le definizioni di fertilità sono desumibili a contrario dall’allegato al
decreto del Ministero della Salute del 21 luglio 2004 concernente le linee guida in materia di
procreazione medicalmente assistita3. L’allegato individua i concetti di infertilità e di sterilità
che, ai fini del ricorso alle tecniche di p.m.a., sono usati come sinonimi. Nell’allegato è chiarita
la distinzione, almeno nella donna, tra sterilità come incapacità di generare e infertilità, quale
incapacità di condurre la gravidanza fino all’epoca di vitalità fetale. Nell’uomo i due termini
sono utilizzati come sinonimi, essendo estraneo il concetto di aborto alla patologia della
riproduzione maschile. Nell’accezione relazionale, una coppia è considerata infertile quando non
è in grado di concepire e di procreare un bambino dopo un anno o più di rapporti sessuali non
protetti, mentre è sterile la coppia nella quale uno o entrambi i coniugi sono affetti da una
condizione fisica permanente che non rende possibile la procreazione. Ai fini del ricorso alle
1
Sulle cause delle infertilità, sterilità e non fecondabilità si v. G. Pescetto, L. De Cecco, D. Pecorari, Ragni N.,
Ginecologia ed ostetricia, Roma, Società Editrice Universo, 2001.
2
Dal punto di vista biologico e clinico si distingue l’impotenza coëundi da quella generandi al fine di individuare
una eventuale correzione terapeutica del singolo e/o della coppia. Le cause che determinano l’impotenza generandi
sono la sterilità, l’infertilità e la fecondabilità che possono essere assolute o relative, di coppia o del singolo
componente la coppia. Il limite fisiopatologico tra impotenza a generare per sterilità, per infertilità e per non
fecondabilità, assolute o relative non è sempre chiaro, così come, non è sempre possibile accertare la causa
dell’impotenza generandi.
3
L’art. 7 della legge 19 febbraio 2004, n. 40, Norme in materia di procreazione medicalmente assistita, prevede la
definizione da parte del Ministro della Salute di linee guida contenenti l’indicazione delle procedure e delle tecniche
di procreazione medicalmente assistita. Il Decreto 21 luglio 2004 ed il relativo l’Allegato sono stati emanati al fine
di dare attuazione alla suddetta legge. Nelle dette linee guida vi è la indicazione delle cause di sterilità ed infertilità,
cause che consentono il ricorso alle tecniche di p.m.a. (art 4. l. 40/2004).
tecniche di p.m.a. il fenomeno è valutato nella dimensione di coppia ed è definito quale capacità
di concepimento, dopo 12/24 mesi di rapporti non protetti. Siffatta definizione permette di
operare una distinzione tra capacità coëundi quale capacità di compiere la copula e fertilità,
considerando quest’ultima il presupposto fondamentale per la capacità generandi.
2. L’attenzione del legislatore e’ stata rivolta, in un primo momento, all’attitudine dell’individuo
a compiere l’attività sessuale ed a procreare non tanto quale svolgimento della personalità
umana, ma in funzione della salvaguardia di interessi ulteriori. La potenza sessuale rileva per la
validità del matrimonio, per garantire la certezza della filiazione o come ratio di alcune
disposizioni (v. art. 89 c.c.). Le disposizioni codicistiche mettono in luce la rilevanza giuridica
indiretta della capacità sessuale. Così l’art. 122, co. 2, c.c. sancisce l’invalidità del matrimonio se
il consenso del coniuge è viziato dall’errore su di una qualità essenziale dell’altro coniuge. La
disciplina prevede delle situazioni definite psicosomatiche che inglobano l’impotenza sia
coëundi che generandi, il transessualismo e gli altri difetti del genere «tali da impedire lo
svolgimento della vita coniugale» (art. 122, co.3, n. 1). L’impotenza, anche solo generandi, se
ignorata dal coniuge all’epoca del matrimonio e determinante il consenso, è un’ ipotesi di errore
sulla qualità della persona. Con la riforma del diritto di famiglia (l. 19 maggio 1975 n. 151),
l’impotenza, da ostacolo obiettivo alla valida celebrazione del matrimonio, è stata «declassata» a
vizio del consenso nella misura nella quale si traduce in ignoranza su una qualità essenziale
dell’altro coniuge4. Nel Codice di diritto canonico l’ipotesi di impotentia coëundi costituisce
impedimento dirimente e rende nullo il matrimonio (art. 1084.1 c. can), là dove «la sterilità né
proibisce né dirime il matrimonio…» (art. 1084.3 c.can.)5. Il diverso regime dell’impotenza pone
questioni relative al coordinamento delle patologie del matrimonio concordatario sottoposte al
vaglio della giurisdizione dei Tribunali ecclesiastici e della giurisdizione del giudice statale6.
L’art. 89 c.c. fa espresso riferimento all’impotenza per l’esclusione del divieto
temporaneo di nuove nozze imposto alla donna. La ratio del divieto consistente nell’impedire la
4
L’impotenza con particolari specificazioni (perpetua, assoluta o relativa, e anteriore al matrimonio) era considerata
causa di nullità del matrimonio ex art. 123 c.c. ante riforma del diritto di famiglia. Il testo abrogato dell’art. 123 c.c.
alludeva all’impotenza coëundi. L’attuale art. 122 c.c. copre tutte le ipotesi morbose del rapporto sessuale alcune
delle quali non erano considerate idonee ad invalidare il matrimonio. Sul punto, F. Finocchiaro, Matrimonio civile.
Formazione, validità, divorzio, Milano, Giuffrè, 1997, p. 80 e ss. I limiti della previsione novellata sono stati
rinvenuti nell’esperibilità dell’impugnativa nell’anno di coabitazione dalla scoperta dell’errore e nella mancata
specificazione che il matrimonio contratto in presenza di impotenza coëundi perpetua, non produce lo status
legitimitatis per i nati in costanza di matrimonio. Trascorso detto termine annuale, l’impotenza può costituire il
fondamento della domanda di divorzio per mancata consumazione del matrimonio (art. 3, n. 2 lett. f) l. 1° dicembre
1970 n. 898). Sul punto, F. Uccella, Matrimonio civile (voce), Enc. giur., XIX, Roma, 2003, 43 e ss.
5
Sul complesso tema dell’impotenza umana dal punto di vista medico e della sua rilevanza nel Codex Iuris
Canonici, R. Picardi, L’impotenza generandi e coeundi nell’uomo e nella donna: Humano modo e verum semen, in
Medicina e morale, 2004, p. 997.
6
A seguito dell’accordo di modificazione dei rapporti tra lo Stato italiano e la Santa Sede recepito con la l. 25 marzo
1985 n. 121, si discute se sia venuta meno la riserva di giurisdizione ecclesiastica sulle controversie in materia di
nullità del matrimonio concordatario. La Corte costituzionale si è espressa positivamente sulla competenza esclusiva
dei tribunali ecclesiastici là dove il giudice dello Stato ha la giurisdizione in ordine al procedimento di delibazione.
Diversamente, la Corte di cassazione ha sostenuto il venir meno di detta riserva, per tali controversie coesistono
tanto la giurisdizione ecclesiastica tanto quello dello Stato, secondo il criterio della prevenzione. Pertanto, il giudice
laico preventivamente adito accerterà la nullità del vincolo concordatario in base agli artt. 122 c.c.; là dove il giudice
ecclesiastico farà applicazione degli artt. 1083 e 1084 c. can. che sanciscono la nullità del matrimonio per incapacità
di procreare. Tuttavia, in sede di delibazione della sentenza del tribunale ecclesiastico, il giudice laico ai sensi
dell’art. 8 della l. 121/1985 dovrà accertare la compatibilità con l’ordine pubblico italiano della pronuncia
ecclesiastica di nullità del matrimonio per la incapacità di procreare. L’art.8 dell’Accordo indica gli accertamenti
che la Corte di Appello competente deve compiere per dare efficacia civile alle sentenze di nullità pronunciate dai
tribunali ecclesiastici. Il terzo accertamento contemplato nella lett. c) dell’art. 8 riguarda le «altre condizioni
richieste dalla legislazione italiana per la dichiarazione di efficacia delle sentenze straniere». Per una sintesi dei
problemi suindicati si v., P. Perlingieri, L. Rossi Carleo, Nozione di matrimonio e sistema matrimoniale italiano, in
ID., Manuale di diritto civile, Napoli, ESI, 2005, p. 813 e ss.
commixtio sanguinis, non sussiste nella ipotesi di matrimonio invalidato per impotenza «anche
soltanto a generale, di uno dei coniugi» ovvero, nei casi nei quali lo scioglimento o la cessazione
degli effetti civili del matrimonio sono stati pronunciati per non consumazione del matrimonio.
La capacità coëundi ac generandi e l’esercizio delle dette potenzialità biologiche dell’uomo e
della donna assumono rilevanza nelle azioni per l’accertamento dello status filiationis. Il
principio di responsabilità per il fatto della procreazione sancito nell’art. 30 co.1 cost. pone
l’esigenza di creare una corrispondenza tra verità naturale e certezza legale dello status filiationis
(c.d. favor veritatis). La fertilità e l’atto procreativo sono criteri giustificativi per
l’identificazione dei genitori, là dove non è sancito il divieto di riconoscimento in contrasto con
lo stato di figlio legittimo (art. 253 c.c.) ed il riconoscimento dei figli incestuosi. La riforma del
diritto di famiglia ha valorizzato il criterio della derivazione biologica per l’attribuzione dello
status filiationis ampliando le ipotesi nelle quali è possibile accertare la verità biologica (artt.
235, 263, 269 c.c.). L’art. 235, n. 2, c.c., prevede l’esperibilità dell’azione di disconoscimento
della paternità, se nel periodo compreso tra il trecentesimo ed il centottantesimo giorno prima
della nascita del figlio, il marito era affetto da impotenza coëundi o generandi. L’art. 244 c.c.
disponeva la decorrenza del termine (annuale per il marito e semestrale per la moglie) per la
proposizione dell’azione da parte dei coniugi dalla nascita del figlio. Detto articolo è stato più
volte sottoposto a scrutinio di legittimità costituzionale7. La Corte costituzionale, con la sentenza
n. 170 del 14 maggio 1999 8 , ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 244 c.c. in
violazione degli artt. 3 e 24 cost. operando una distinzione tra impotentia coëundi e generandi. In
relazione all’impotentia coëundi immediatamente conoscibile, la Corte ritiene «razionale la
scelta del legislatore di imporre il termine di un anno dalla nascita del figlio per la proposizione
dell’azione…». Diversamente, l’impotenza di generare rappresenta uno stato fisico che può
essere per lungo tempo ignoto, poiché «in una elevata percentuale di casi consiste in
un’affezione, che può essere priva di sintomatologia e di manifestazioni
esteriori…diagnosticabile solo attraverso esami clinici». La decorrenza del termine dall’evento
della nascita nell’ipotesi di impotenza generandi può in concreto vanificare l’azione nell’ipotesi
di incolpevole ignoranza del fatto costitutivo dell’azione, contrastando, in tal modo, con l’art. 24
cost. La decisione della Corte, sembra così operare una distinzione non soltanto tra impotenza
coëundi e generandi, ma all’interno di quest’ultima forma di incapacità definita «affezione», tra
quella immediatamente conoscibile e le altre ipotesi il cui accertamento richiede esami clinici
specifici. La Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 244, co.1 e 2, c.c.,
riconoscendo ad entrambi i coniugi la decorrenza del termine per l’esercizio dell’azione dal
giorno della loro venuta a conoscenza della impotenza generandi del marito.
Con la riforma del diritto di famiglia, la funzione procreativa acquista rilevanza anche al di fuori
della famiglia legittima in ragione dell’ampliamento delle ipotesi di accertamento della verità
biologica9 che presuppongono non soltanto l’atto riproduttivo, ma la capacità generandi. Il fatto
materiale della procreazione è, così, posto alla base delle azioni di stato di filiazione anche al di
7
Anteriormente alla riforma del diritto di famiglia (l. 19 maggio 1975 n. 151), la Corte Costituzionale dichiarò
l’infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 244 c.c. sollevata perché non consentiva di
esercitare l’azione, qualora il padre fosse venuto a conoscenza del proprio stato di impotenza di generare, in epoca
successiva al decorso del termine, allora trimestrale, decorrente dalla nascita del figlio. La Corte affermò che il
termine trimestrale e la decorrenza da un fatto certo ed obiettivo (la nascita), rispondeva all’esigenza di certezza
giuridica dei rapporti familiari nei quali assumeva rilevanza fondamentale il favor legitimitatis.
8
In Il dir. fam. e pers., 1999, p. 1032.
9
Si pensi al recente intervento della Corte Costituzionale (sentenza del 28 novembre 2002 n. 494, in Giur.
legittimità, 2003, I, p. 879 e ss.) con il quale è stata dichiarata l’incostituzionalità dell’art. 278, co.1, c.c. nella parte
nella quale esclude l’esperibilità dell’azione per la dichiarazione giudiziale di paternità e di maternità naturale per i
figli incestuosi irriconoscibili ex art. 251 c.c. Pertanto, pur rimanendo il divieto di riconoscimento da parte dei
genitori, anche i figli incestuosi ex art. 269 c.c., possono esperire l’azione per l’accertamento giudiziale della
paternità o della maternità.
fuori del contesto familiare, in relazione alle azioni per l’accertamento o il disconoscimento della
paternità e della maternità naturale10.
3. Le due forme di potenza sessuale assumono oggi una rilevanza diretta nel senso che
costituiscono un «bene» della persona sottratto ad interventi autoritativi che ne impongono la
destinazione funzionale per scopi estranei agli interessi dei titolari 11 . Senza discutere sulla
fondatezza dell’automizzazione dei diritti della personalità e, quindi, sulla configurabilità della
fertilità quale «bene» in senso giuridico, indici normativi consentono di poter sostenere che
l’intervento sulla persona che incide sulla capacità coëundi e generandi è legittimo se
rispondente all’interesse della persona, risultato della valutazione delle sue condizioni di salute
anche psichica. La così delineata valenza «individuale» della funzione riproduttiva è la risultante
di modifiche legislative di grande portata. L’attenzione in positivo accordata alla fertilità quale
prerogativa della persona è la conseguenza della crisi dei principi posti a base della istituzione
familiare. L’affermarsi di una pluralità di modelli familiari (legittima, monoparentale,
convivenza etero ed omosessuale) ed il superamento della concezione di famiglia quale ente da
tutelare in sé, anche al di sopra dei membri che la compongono, hanno inciso sul diritto delle
persone. A partire dall’introduzione della legge istitutiva dei consultori familiari (l. 29 luglio
1975, n. 405) e di quella contenente norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione
volontaria della gravidanza (l. 22 maggio 1978 n. 194) che si afferma l’orientamento per il quale
la libertà sessuale, ed in particolare la scelta di generare, costituisce una prerogativa della
persona umana che il diritto non può né imporre, né vietare. E’ nell’art. 1 di detta legge che è
riconosciuto il diritto alla «procreazione cosciente e responsabile». L’inquadramento della
fertilità, e del fenomeno più ampio della capacità sessuale, nella tutela che attiene al pieno
sviluppo della persona umana presenta, quindi, la sua stretta connessione con il diritto alla salute
inteso quale benessere psico-fisico e socio relazionale dell’uomo. L’attuale legislazione ed i
valori che la sottendono, permettono di individuare gli interventi ed i trattamenti medici sulla
fertilità umana, e sulla capacità sessuale ritenuti leciti. La capacità sessuale rientra in
un’accezione ampia di salute della persona la cura della quale consente il ricorso ad interventi
terapeutici per rimuovere le cause che incidono su di essa menomandola o eliminandola. In
questo ambito si colloca la legislazione che consente l’interruzione della gravidanza, la
correzione del transessualismo, la contraccezione, la sterilizzazione ed il ricorso alle tecniche di
p.m.a. ed agli altri metodi per la cura della sterilità ed infertilità con il divieto di trapianto di
gonadi e quello della clonazione umana12. La legge sulla interruzione della gravidanza vieta il
c.d. aborto volontario 13 riconoscendo liceità a quello terapeutico finalizzato alla tutela della
salute della gestante (art. 4 l. 194/78). La possibilità di interrompere il processo procreativo non
è, quindi, espressione di un riconoscimento giuridico della volontà negativa di procreare. La
libertà della donna sull’”uso” della propria capacità generativa è negata dopo il concepimento
dalla necessità di tutelare la vita nascente. Il riconoscimento di un «diritto alla procreazione
cosciente e responsabile», sia pur in un contesto inteso a garantire l’aborto, permette di
riconoscere la libertà di procreare e di sottolinearne i limiti e le caratteristiche14. Limiti al diritto
10
Sul punto si rinvia alla voce Origini (diritto a conoscere le).
E’ noto il dibattito sulla sterilizzazione volontaria e sulla disponibilità del «bene» fertilità. Sul punto si v., G.
Gemma, Ancora su sterilizzazione e diritti costituzionali, in Diritto e società, 2002, pp. 313 e ss. L’A. sostiene la
tesi del fondamento costituzionale della c.d. sterilizzazione volontaria. Contra P. D’Addino Serravalle, Atti di
disposizione del corpo e tutela della persona umana, Napoli, ESI, 1983, p. 40 e ss.
12
Il divieto di clonazione ai fini procreativi è sancito dall’art. 13 della legge n. 40 del 19 febbraio 2004. Sulla
clonazione si v. S. STAMMATI, Costituzione, clonazione umana, identità genetica, in Giur. cost., 1999, pp. 4067 e ss.
13
La Corte Costituzionale, dopo la storica sentenza del 18 febbraio 1975 n. 27, in Foro it., 1975, I, c. 515 e ss., è
ritornata sulla questione, con la sentenza del 10 febbraio 1997, n. 35, in Giur. cost., 1997, I, p, 283 ss., dichiarando
inammissibile il referendum abrogativo di alcuni articoli della l. 194 del 1978, abrogazione volta a consentire
l’aborto c.d. volontario.
14
F. Santosuosso, Fecondazione artificiale umana (voce), in Enc. Giur., XIV, Roma, 2003, par.1.4
11
di incidere sulla propria fertilità si rinvengono, altresì, nella l. 14 aprile 1982 n. 164 che
disciplina le ipotesi nelle quali è consentito la rettificazione di attribuzione del sesso. Il
mutamento del sesso non è espressione di una scelta libera ed arbitraria della persona interessata,
ma è la conseguenza di terapie ed interventi chirurgici per garantire l’esercizio del diritto
all’identità sessuale 15 . Siffatto intervento, che incide tanto sulla capacità generandi tanto su
quella coëundi, è lecito nella misura nella quale consente di tutelare la salute anche psichica del
transessuale. Il fondamento del diritto all’identità sessuale, e, quindi, la liceità degli interventi
che incidono sulla integrità fisica e sulla fertilità, sono dettate a tutela della persona umana e
della sua salute. L’intervento, sebbene incide sulla integrità fisica (art. 5 c.c.) è legittimo perché
rispondente all’oggettivo interesse della persona. L’art. 3 della legge assegna all’atto chirurgico
natura terapeutica e richiede il previo intervento autorizzativo dell’autorità giurisdizionale.
L’autorizzazione è concessa «quando risulta necessario» e, quindi, costituisce il risultato delle
valutazioni obiettive delle condizioni dell’interessato. Anche in questa ipotesi, la liceità
dell’alterazione del proprio corpo lungi dall’essere espressione di una libera scelta del
richiedente, è lecito perché necessario per lo svolgimento della personalità dell’individuo nella
sfera sessuale. Maggiori problemi pone la qualificazione della sterilizzazione volontaria non
terapeutica. In assenza di uno specifico intervento legislativo si discute della liceità degli
interventi volti a privare di funzionalità generandi gli organi riproduttivi. L’ipotesi contempla la
sterilizzazione realizzata su richiesta dell’interessato, non determinata dalla obiettiva necessità di
cura di malattie. Detto atto chirurgico, in alcuni casi, può determinare una «diminuzione
permanente dell’integrità fisica» con la conseguente sottrazione dall’ambito di disponibilità del
soggetto (art. 5 c.c.). Modifiche normative hanno riaperto il dibattito sulla questione in una
direzione diametralmente opposta a quella suindicata. Di qui i tentativi di delineare la liceità
della sterilizzazione c.d. volontaria 16 . L’art. 22, co. 1, della legge sulla interruzione della
gravidanza, ha abrogato espressamente l’intero titolo X del libro II del codice penale e, quindi,
anche l’art. 552 che prevedeva il delitto «di procurata impotenza alla procreazione». Il delitto
consisteva nel fatto di compiere «su persona dell’uno o dell’altro sesso, col consenso di questa,
atti diretti a renderla impotente alla procreazione». La responsabilità penale si estendeva alla
persona che aveva «consentito al compimento di tali atti sulla propria persona». La previsione
del delitto a consumazione anticipata metteva in luce l’importanza riconosciuta al bene della
potenza coëundi ac generandi. La fertilità, pur essendo un bene della persona, assumeva una
rilevanza pubblicistica insensibile alla volontà del titolare, risultando quest’ultimo responsabile
per aver consentito al compimento degli atti. La sterilizzazione c.d. volontaria era un illecito
penale con la conseguenza che essa era sottratta all’àmbito di disponibilità del soggetto titolare.
L’abrogazione dell’art. 552 c.p. ha originato due opzioni ermeneutiche sulla sterilizzazione c.d.
volontaria. La prima secondo la quale l’abrogazione dell’art. 552 c.p. ha determinato
l’applicazione dell’art. 583, co. 2 n. 3, c.p. configurandosi la sterilizzazione un’ipotesi di lesioni
gravissime, con la esclusione della punibilità del consenziente. La seconda proposta
interpretativa, accolta dalla giurisprudenza, ribalta la qualificazione giuridico-penale della
condotta da procurata impotenza alla procreazione da illecita a lecita. L’inquadramento della
capacità di procreare nella tutela che attiene allo sviluppo della personalità umana fa si che il
soggetto possa ricorrere ai mezzi di «cura» per l’infertilità. Il trattamento medico-farmaceutico è
un diritto lasciato alla sua libera scelta con il limite rappresentato dal divieto del prelievo e del
trapianto delle gonadi17 e dal ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita vietate
dalla legge 19 febbraio 2004 n. 40. La ratio del divieto del trapianto di ghiandole genitali è
rinvenuta nel carattere personale ed inalienabile della riproduzione e del patrimonio genetico18.
15
Sul diritto all’identità sessuale, Cort. Cost., 6 maggio 1985, n. 161, in Giur. it., 1985, pp. 1182 e ss.
Sulla classificazione delle ipotesi di sterilizzazione si rinvia alla voce fertilità.
17
Il divieto è contemplato dall’art. 3, co. 3, l. 1 aprile 1999 n. 91.
18
Per una sintesi dei criteri per la valutazione della legittimità dei rimedi per garantire un «diritto alla procreazione»,
F. Santosuosso, op. cit.
16
La p.m.a. di tipo omologo si giustifica quale rimedio eccezionale e residuale cui la coppia
maggiorenne, eterossesuale, coniugata o convivente, in età potenzialmente fertile ed entrambi
viventi può ricorrere in caso di impossibilità (infertilità o sterilità) di procreare naturalmente.
Tale scopo limita il ricorso alle tecniche di riproduzione assistita ed attribuisce ad esse una
finalità terapeutica come rimedio alla infertilità della coppia (intesa come malattia). In questa
ipotesi l’uso delle metodiche realizza il diritto alla salute e, quindi, rientra nell’assistenza
sanitaria nazionale. Il ricorso alle tecniche costituisce un’eccezione, rispetto alla prevalenza dei
processi naturali, e richiede di volta in volta una giustificazione (artt. 1, co.1 e 2; 4, co.1). La
legge, vietando le tecniche eterologhe ed escludendo i singles, le coppie omosessuali o non
conviventi dal diritto di accedere nell’ambito della p.m.a. mira a riprodurre le modalità
«naturali» di procreazione. L’estensione dell’area degli interessi suscettibili di tutela aquiliana ha
investito anche le relazioni familiari. La lesione della fertilità, e più in generale l’alterazione
della vita sessuale della vittima di un illecito, è un danno ingiusto risarcibile quale danno alla
salute. La questione ulteriore che si e’ posta in relazione alla lesione della capacità di generare o
l’alterazione della vita sessuale è quella della configurabilità di un danno ingiusto in capo al
partner del soggetto leso. La rilevanza giuridica della dimensione anche relazionale della
capacità sessuale è testimoniata dai riscontri normativi esaminati. Di qui la particolare rilevanza
del danno da impossibilità di fecondi rapporti sessuali riconosciuto al coniuge della vittima del
danno biologico 19 . La vita sessuale ha una rilevanza giuridica nell’ambito dei diritti della
personalità degli individui ed ha un’ulteriore rilevanza nel rapporto personale tra coniugi. Il
comportamento doloso o colposo del terzo che cagiona ad una persona coniugata l’impossibilità
di rapporti sessuali configura un danno biologico del diritto per il danneggiato, ed un danno
variamente qualificato per il coniuge del danneggiato 20 . Gli indici normativi esaminati
consentono di ritenere che la capacità di procreare non può considerarsi un diritto della persona
del quale si può disporre liberamente anche mediante la scelta del quomodo per il suo esercizio.
La capacità generativa si configura come diritto della persona che incontra nelle sue
manifestazioni i limiti in altri diritti o valori costituzionalmente rilevanti. Analogamente il
principio di indisponibilità dell’integrità psico-fisica non consente di giustificare la
sterilizzazione o il mutamento del sesso, e, quindi, la disponibilità della fertilità.
4. In altri sistemi giuridici la fertilità e, in un’accezione più ampia, la potenza sessuale (sia essa
coëundi o generandi) è intesa quale estrinsecazione della personalità umana nella piena
disponibilità del titolare. La fertilità assurge a «bene» nella ipotesi nella quale il titolare dimostri
verso di essa un «interesse». Di qui la liceità del ricorso alle tecniche di p.m.a. di tipo eterologo
per le coppie omosessuali, i singles, la libera scelta sulla ipotesi di mutamento del sesso e sulla
interruzione della gravidanza, la liceità del ricorso alla c.d. maternità surrogata. Molteplici sono
le motivazioni addotte a sostegno della liceità sugli interventi sulla fertilità. Al fondo di tali
concezioni sta l’impostazione che vede nella procreazione un «bene individuale» a condizione
che l’interessato lo consideri tale. Ciò comporta la possibilità garantita, sebbene alle condizioni e
secondo le modalità previste nelle normative, di scegliere l’an, il quomodo ed il quando
procreare.
Giovanna Chiappetta
Università degli Studi della Calabria, Rende
19
Sul punto si v. Trib. Genova 5 luglio 1993, in Nuova giur. civ. comm., 1995, I, p. 364 e ss., il quale ha qualificato
come danno morale la lesione subita dal coniuge del danneggiato, vittima della lesione alla sfera sessuale.
20
Le soluzioni giurisprudenziali sulla qualificazioni del danno sono state ricondotte a tre modelli prevalenti. Il
primo modello qualifica il danno come assimilato a quello biologico e risarcibile ex art. 2043 c.c. il secondo modello
è quello del danno al diritto alla serenità familiare. Il terzo è quello del danno morale. Per una sintesi degli
orientamenti dottrinali e giurisprudenziali si v. E. Pellecchia, La lesione della sfera sessuale del coniuge, in AA.VV.
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