Il valore in dogana: criteri di determinazione e

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Il valore in dogana: criteri di determinazione e
Il valore in dogana: criteri di determinazione e modalita’ di controllo
Sommario: Premessa – 1. La determinazione del valore in dogana - 2. La
dichiarazione doganale – 2.1 I riquadri della dichiarazione - 3. Il prezzo
effettivamente pagato o da pagare - 3.1 Il controllo doganale - 3.2 Quando
il criterio del prezzo non è “accettabile” - 4. I criteri legali di determinazione
del valore in dogana - 5. La tutela del principio di libera concorrenza - 5.1
L’assonanza tra valore “normale” e valore “accettabile” - 5.2 Le indicazioni
OCSE e i criteri di determinazione del valore normale - 6. Il danno - 7. I
profili probatori - 8. Conclusioni.
Premessa
Per il buon funzionamento dei mercati sono necessarie delle regole a tutela
della libera concorrenza.
In tale prospettiva, il valore doganale assume una rilevante importanza.
L'adozione infatti di norme comuni sul valore in dogana è innanzitutto
necessaria per liberalizzare il commercio tra i vari Stati.
Con il termine "valore in dogana" si intende il valore attribuito alle merci
all'atto dell'importazione, al fine di applicare le aliquote dei dazi ad valorem
e la regola generale per la sua determinazione è rappresentata dal valore di
transazione.
1. La determinazione del valore in dogana
In tale concetto rientrano dunque tutte le voci di costo che concorrono a
definire realmente il valore del prodotto da importare.
Si identifica così una base imponibile comprensiva di tutte le voci di costo
effettivamente sostenute.
Il valore di transazione è del resto un concetto giuridico nel quale il prezzo
rappresenta solo uno dei componenti e non corrisponde quindi al valore
espresso nella fattura emessa dall'esportatore.
Per determinare dunque il valore in dogana l’elemento base è rappresentato
dal valore di transazione, cioè il prezzo effettivamente pagato, o da pagare,
per le merci, quando siano vendute per l’esportazione a destinazione del
territorio doganale della Comunità.
La determinazione effettiva di tale valore deve però tenere conto delle
disposizioni di cui all’articolo 32 e 33 del medesimo CDC.
Al prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci importate
andranno quindi aggiunte, nella misura in cui sono a carico del compratore,
ma non sono state incluse nel prezzo effettivamente pagato o da pagare,
varie voci, tra cui, per esempio, le commissioni, le spese di mediazione e il
costo dell’imballaggio.
Al prezzo di transazione, inoltre, qualora siano forniti direttamente o
indirettamente dal compratore senza spese o a costo ridotto e siano
utilizzati nel corso della produzione e della vendita per l’esportazione delle
merci importate (e comunque nella misura in cui non sia stato già incluso
nel prezzo effettivamente pagato o da pagare), andrà anche aggiunto il
valore degli elementi utilizzati per la produzione delle merci importate.
Infine, nella misura in cui detti corrispettivi e diritti di licenza non siano
stati inclusi nel prezzo effettivamente pagato o da pagare, andranno
aggiunti al prezzo di transazione anche i corrispettivi e i diritti di licenza e le
spese di trasporto e di assicurazione delle merci importate.
Ogni elemento aggiunto al prezzo effettivamente pagato o da pagare deve
comunque essere basato esclusivamente su dati oggettivi e quantificabili.
Allo stesso tempo (e sempre che siano distinti dal prezzo effettivamente
pagato o fa pagare) il valore in dogana non comprende invece le spese di
trasporto delle merci dopo il loro arrivo nel luogo di introduzione nel
territorio doganale, gli interessi conseguenti ad un accordo di finanziamento
concluso dal compratore e i dazi all’importazione e le altre imposizioni da
pagare nella Comunità a motivo dell’importazione o della vendita delle
merci.
2. La dichiarazione doganale
Il valore delle merci all'atto dell'importazione deve essere dichiarato
attraverso la compilazione della dichiarazione doganale d'importazione
redatta sul modello DAU.
L'art. 218 delle DAC indica a tal proposito i documenti che devono essere
allegati alla dichiarazione d'immissione in libera pratica e che costituiscono
parte integrante della dichiarazione doganale.
La norma comunitaria in questione prevede, come obbligatoria, la fattura
sulla cui base è dichiarato il valore in dogana delle merci, che deve essere
presentata in applicazione dell'art. 181, nonché, quando sia richiesta in
virtù dell'art. 178, la dichiarazione complementare degli elementi per la
determinazione del valore in dogana delle merci dichiarate (D.V.1),
eventualmente integrata da uno o più moduli D.V.1-bis[1].
2.1 I riquadri della dichiarazione
Il valore in dogana nella dichiarazione doganale d'importazione è quindi
rappresentato al riquadro 46 (valore statistico) e come detto è costituito dal
valore determinato ai sensi delle disposizioni in materia doganale,
aumentato dell'ammontare delle spese di consegna (trasporto,
assicurazione e altre) fino al luogo di introduzione in Italia (valore franco
confine italiano).
Altri riquadri interessati al valore in dogana, che indicano elementi che
hanno determinato il valore medesimo, sono:
-
casella 12: Elementi di valore (in cui è indicato la somma algebrica
espressa in euro tra le spese di consegna sostenute fino al luogo di
introduzione nel territorio doganale italiano non comprese nel prezzo
di fattura e le spese di consegna sostenute dal luogo di introduzione
nel territorio doganale italiano fino al luogo di destinazione,
comprese nel prezzo di fattura);
-
casella 22: (in cui è indicato l'importo fatturato, anche in moneta
estera);
-
casella 42: Prezzo dell'articolo (in cui è indicato il prezzo, in euro,
delle merci; la somma dei prezzi di tutti i singoli articoli di una
dichiarazione deve essere uguale al controvalore in euro dell'importo
indicato nella casella 22);
-
casella 43: Metodo di valutazione;
-
casella 45: Aggiustamento (in cui è indicato l'importo dei correttivi,
diversi dalle spese di consegna, da applicare al prezzo dell'articolo
per la determinazione del suo valore);
-
casella 47: attiene al calcolo delle imposizioni attraverso
l'applicazione del dazio ad valorem o specifico.
3. Il prezzo effettivamente pagato o da pagare
Tanto premesso in ordine alle determinazioni che individuano
specificatamente gli elementi da aggiungere o sottrarre al prezzo “di base”
effettivamente pagato o da pagare, dobbiamo però allora esattamente
individuare che cosa si intenda per “prezzo effettivamente pagato o da
pagare” e quando tale prezzo non possa comunque essere considerato
attendibile, o meglio “accettabile”.
3.1 Il controllo doganale
La dogana può chiedere infatti, in ogni caso, che i dati e le informazioni
contenute nella dichiarazione di valore in dogana siano confermati da
prove.
L’art. 14 del Codice doganale dispone a tal proposito che "Ogni persona
direttamente o indirettamente interessata alle operazioni effettuate
nell'ambito degli scambi di merci" deve fornire "all'autorità doganale, su
richiesta e nei termini da essa eventualmente stabiliti, tutta la
documentazione e le informazioni, ... nonché tutta l'assistenza necessaria".
Con il comma 35, dell'art. 35 del D.L. 7 luglio 2006, n. 223, convertito in L.
3 agosto 2006, n. 248, il Legislatore ha inoltre potenziato gli strumenti a
disposizione dell'Agenzia delle Dogane, per la prevenzione ed il contrasto
delle violazioni tributarie connesse alla dichiarazione fraudolenta del valore
in dogana.
Con tale disposizione si individuano in particolare alcuni dei soggetti a cui
gli Uffici doganali possono richiedere informazioni per determinare
correttamente ogni elemento di costo che forma il valore dichiarato per
l'importazione, l'esportazione, l'introduzione in deposito doganale o Iva ed il
transito.
Si prevede infatti che tutti i soggetti che intervengono direttamente od
indirettamente nel processo di formazione del valore in dogana sono tenuti
a fornire le informazioni richieste.
La disposizione, per quanto attiene alle modalità operative, rinvia inoltre
all'art. 51 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 e introduce una sanzione
amministrativa in caso di inadempienza agli inviti e alle richieste di
informazioni.
Il valore in dogana rappresenta del resto un elemento fondamentale nella
procedura di accertamento e riscossione delle risorse proprie tradizionali del
bilancio dell’Unione Europea, laddove gli Stati membri hanno la specifica
responsabilità di provvedere alla riscossione delle risorse proprie
"tradizionali", con l'obbligo di adottare quindi tutti i provvedimenti necessari
affinché le obbligazioni comunitarie (tra cui senza dubbio anche i dazi
all'importazione) siano accertate, contabilizzate, riscosse e messe a
disposizione della Commissione.
Una non corretta procedura di determinazione e/o riscossione del valore in
dogana potrebbe dunque determinare un danno agli interessi finanziari
dell'UE e quindi anche una responsabilità dello Stato membro presso il
quale è stata presentata la dichiarazione d'importazione.
La falsa dichiarazione del valore in dogana ha rilevanza inoltre non solo nel
caso in cui il valore dichiarato sia inferiore a quello reale, ma anche,
qualora sia espresso un valore superiore (indice magari di reati quali il
riciclaggio e l'esportazione illecita di capitali).
La falsa dichiarazione di valore può concretizzare inoltre anche fattispecie di
rilevanza penale quali appunto il reato di contrabbando e il reato di falso.
3.2 Quando il criterio del prezzo non è “accettabile”
Il criterio del prezzo effettivamente pagato o da pagare (nei limiti di seguito
esposti) non potrà comunque essere usato come metro di determinazione
del valore in dogana tutte le volte che:
-
esistono restrizioni per la cessione o per l’utilizzazione delle merci da
parte del compratore;
-
la vendita o il prezzo sia subordinato a condizioni o prestazioni il cui
valore non può essere comparativamente determinato;
-
una parte del prodotto di qualsiasi rivendita, cessione o utilizzazione
successiva delle merci da parte del compratore ritorni direttamente o
indirettamente al venditore;
-
il compratore e il venditore siano legati tra di loro.
Proprio quest’ultima previsione necessita di approfondimento, anche al fine
di evidenziarne eventuali profili di connessione con la corrispondente
disciplina in materia di transfer pricing.
La lettera d) del comma 1 dell’articolo 29 CDC prevede comunque la
possibilità che, anche in caso di legame tra compratore e venditore, il
valore di transazione possa essere preso a base per la dichiarazione del
valore in dogana, laddove tale valore possa essere considerato
“accettabile”.
Per stabilire dunque se il valore di transazione sia accettabile (o “normale”),
il fatto che il compratore e il venditore siano tra loro “legati”, non
costituisce di per sé motivo sufficiente per considerare inaccettabile il valore
dichiarato.
La circostanza che dovrà essere appurata riguarda allora in particolare il
fatto se tale legame abbia o meno effettivamente influito sul prezzo.
Se quindi l’Amministrazione ritiene (sulla base di elementi concreti) che tale
legame abbia effettivamente influito sul prezzo, essa dovrà comunicare le
proprie considerazioni (opportunamente motivate) al dichiarante, che avrà
comunque modo di fornire la prova contraria.
L'individuazione di alcuni documenti utili per la determinazione del valore in
dogana è del resto facilitata dallo stesso modulo D.V.1 che elenca una serie
di documenti che possono essere utilizzati nell'accertamento del "valore in
dogana", quali ad esempio:
-
il contratto di vendita;
-
contratti e altri documenti relativi ai diritti di riproduzione delle merci
importate;
-
l'eventuale contratto per corrispettivi e diritti di licenza;
-
un eventuale contratto di agenzia, per stabilire un'aggiunta per
commissioni o mediazione;
-
i documenti di trasporto e assicurazione.
La prova dell’accettabilità potrà quindi consistere nella dimostrazione che
detto valore è molto vicino (e in comparabili condizioni temporali):
-
al valore di transazione applicato in occasione di vendita, tra
compratori e venditori, che non sono tra loro legati, di merci
identiche o similari (corrispondente, in sostanza, al metodo del
confronto interno, di cui al modello OCSE, in materia di transfer
pricing);
-
al valore in dogana di merci identiche o similari fondato sul prezzo
unitario corrispondente alle vendite nella Comunità delle merci
importate nel quantitativo complessivo maggiore, effettuate a
persone non legate ai venditori;
-
al valore calcolato eguale alla somma:
a) del costo o del valore delle materie e delle operazioni di fabbricazione
o altre, utilizzate per produrre le merci importate;
b) di un ammontare rappresentante gli utili e le spese generali, uguale
a quello che comportano generalmente le vendite di merci della
stessa qualità o della stessa specie delle merci da valutare, fatte da
produttori del Paese di esportazione per l’esportazione a destinazione
della Comunità;
c) del costo o del valore delle spese di trasporto e assicurazione delle
merci importate e delle spese di carico e movimentazione connesse
al trasporto delle merci nel territorio doganale della Comunità
(metodo questo in sostanza assimilabile al metodo dell’uncontrolled
comparable profit method applicato anche a livello internazionale).
Nell’applicare i suddetti criteri si dovrà tenere conto in ogni caso delle
differenze accertate tra i livelli commerciali, la qualità e i costi
(commissioni, spese di mediazione, costi di imballaggio etc) sostenuti dal
venditore in occasione di vendite nelle quali il compratore e lo stesso
venditore non sono legati (si trovano cioè in condizioni di indipendenza e
libera concorrenza) e quelli che il venditore invece sostiene in occasione di
vendite nelle quali esiste un legame (si pensi al fenomeno delle
compensazioni funzionali).
4. I criteri legali di determinazione del valore in dogana
Quando dunque il valore in dogana non può essere determinato sulla base
dei criteri sopra evidenziati, l’articolo 30 del CDC delinea comunque dei
criteri “legali” (applicabili in ordine decrescente, con prevalenza delle lettere
precedenti su quelle successive) di determinazione del valore in dogana.
Tali criteri sono in particolare:
a) il valore di transazione di merci identiche, vendute per l’esportazione
a destinazione della Comunità ed esportate nello stesso momento (o
pressappoco nello stesso momento) delle merci da valutare;
b) il valore di transazione di merci similari, vendute per l’esportazione a
destinazione della Comunità ed esportate nello stesso momento (o
pressappoco nello stesso momento) delle merci da valutare;
c) il valore fondato sul prezzo unitario corrispondente alle vendite nella
Comunità delle merci importate nel quantitativo complessivo
maggiore, effettuate a persone non legate ai venditori;
d) il valore calcolato eguale alla somma:
-
del costo o del valore delle materie e delle operazioni di
fabbricazione, o altre utilizzate per produrre le merci importate;
-
di un ammontare rappresentante gli utili e le spese generali, uguale
a quello che comportano generalmente le vendite di merci della
stessa qualità o della stessa specie delle merci da valutare fatte da
produttori del paese di esportazione per l’esportazione a destinazione
della Comunità;
-
del costo o del valore delle spese di trasporto e assicurazione delle
merci importate e delle spese di carico e movimentazione connesse
al trasporto delle merci nel territorio doganale della Comunità.
I criteri di cui alle lettere c) e d) sono del resto quelli già visti in tema di
prova contraria per l’accettabilità del valore dichiarato (e corrispondono,
grosso modo, come di seguito indicato, a quelli utilizzabili nell’ambito della
determinazione del valore normale ai fini del contrasto a illecite politiche di
transfer pricing).
Se infine neppure tali criteri possono essere utilizzati ai fini della esatta
determinazione del valore in dogana delle merci, ai sensi dell’articolo 31
CDC, sulla base dei dati disponibili nella Comunità, tale valore potrà essere
stabilito ricorrendo a “mezzi ragionevoli”.
5. La tutela del principio di libera concorrenza
L’impegno del legislatore in materia di valore in dogana è quindi teso, in
particolare, all’applicazione e tutela non solo degli interessi erariali, ma
anche di un principio fondamentale dell’Ordinamento comunitario (e
nazionale), quale quello della libera concorrenza.
In quest’ottica vanno dunque lette le disposizioni[2] che pongono
l’attenzione sul profilo di rischio (in termini di sottofatturazione e
dichiarazione di un valore in dogana non rispondente a realtà e comunque
non aderente al principio di libera concorrenza) dell’esistenza di legami tra
compratore e venditore; laddove, in un contesto commerciale quale quello
odierno, si tratterà in particolare di legami di tipo societario e di operazioni
infragruppo di rilevanza internazionale.
In quest’ottica è chiaro dunque che un efficace contrasto all’evasione
doganale deve passare dai più ampi poteri di accertamento e verifica[3] e
da un maggior coordinamento tra le norme dei vari settori del nostro
Ordinamento tributario.
5.1 L’assonanza tra valore “normale” e valore “accettabile”
A tal proposito, basta leggere l’articolo 9 del DPR 917/86 per rilevare
l’assonanza del concetto di “valore normale”, ai fini delle imposte dirette,
con il concetto di valore “accettabile”, ai fini doganali.
Secondo quanto previsto dal citato articolo 9, infatti, per valore normale si
intende il prezzo o corrispettivo mediamente praticato per i beni e servizi
della stessa specie o similari, in condizioni di libera concorrenza e al
medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e del luogo in cui i beni
o servizi sono stati acquisiti o prestati e in mancanza, nel tempo e nel luogo
più prossimi.
E’ evidente dunque la comparabilità tra le sopraddette definizioni in tema di
valore normale e le indicazioni fornite, ai fini di un’oggettiva attribuzione del
valore in dogana, dall’articolo 29 e 30 CDC.
Anche il profilo di rischio individuato dall’articolo 110, comma 7, del citato
Tuir, in materia di transfer pricing, è del resto lo stesso individuato anche
dalla lettera d) del comma 1 dell’articolo 29 CDC, relativo al legame
esistente tra compratore e venditore e può aiutare anche a definire cosa si
intenda esattamente per “legame” tra compratore e venditore.
Stabilisce infatti l’articolo 110 citato che i componenti di reddito derivanti
da operazioni con società non residenti nel territorio dello Stato, che,
direttamente o indirettamente, controllano l’impresa, ne sono controllate o
sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa[4] sono valutati
in base al valore normale dei beni ceduti, dei servizi prestati e dei beni e
servizi ricevuti[5].
5.2 Le indicazioni OCSE e i criteri di determinazione del valore
normale
Nel coordinare le diverse discipline bisogna dunque avere presenti le prime
indicazioni fornite dall'OCSE in materia di transfer pricing, contenute nel
rapporto dal titolo “Transfer pricing guidelines for multinational enterprises
and tax administrations”.
In tale rapporto, al fine di determinare valutazioni congrue di valore, si
indicano i seguenti metodi:
1) the arm's length principle (valore di mercato);
2) traditional transaction methods - metodi tradizionali;
3) other methods - metodi sussidiari.
Tali criteri sono stati del resto recepiti dal Ministero delle Finanze, che ha
emanato la Circolare n. 32 del 22 settembre 1980, in cui si esaminano i
criteri di determinazione del valore normale per le varie specie di
transazioni poste in essere nell'ambito internazionale:
1) metodo del confronto di prezzo (esterno e interno);
2) metodo del prezzo di rivendita;
3) metodo del costo maggiorato;
4) metodi alternativi:
4.1. ripartizione dei profitti globali;
4.2. comparazione dei profitti;
4.3. redditività del capitale investito;
4.4. margini lordi del settore economico.
Senza dunque voler entrare nello specifico della descrizione delle varie
metodologie, è necessario però evidenziare come l'utilizzo delle varie
metodologie non è mai scontato o automatico e che, per avere una
valutazione il più possibile aderente alla realtà, la scelta dell'una o dell'altra
deve essere comunque attentamente ponderata.
E’ evidente del resto che il “trucco” della sottofatturazione del valore delle
merci scambiate potrà essere più facilmente attuato in condizioni di
controllo societario, oltretutto con lesione del principio di libera
concorrenza.
Condizioni di prezzo che imprese indipendenti non subirebbero, possono
infatti essere invece agevolmente imposte dalla Capogruppo alle proprie
controllate (oltretutto con possibili responsabilità, di cui all’articolo 2497
c.c., a carico degli amministratori della medesima Capogruppo).
Lo scopo della disciplina dettata dall'art. 110 del Tuir (in materia appunto di
transfer pricing) è quindi di evitare che all'interno del gruppo vengano posti
in essere trasferimenti di utili tramite applicazione di prezzi inferiori al
valore normale dei beni ceduti.
Come riconosciuto anche dalla Corte Suprema, con la Sentenza n. 11226
del 16 maggio 2007, “si tratta di clausola antielusiva che trova, non solo
radici nei principi comunitari in tema di abuso del diritto (cioè
strumentalmente piegato in funzione anomala e/o eccedente la sua normale
portata entro i limiti consentiti dall'ordinamento) particolarmente presenti
in materia doganale per contrastare operazioni compiute al solo scopo di
trarre benefici dalle agevolazioni daziarie (così Corte di Giustizia, sentenza
14 dicembre 2000, in causa C-110/99, Emsland-Starke GmbH) ma anche
immanenza in diversi settori del diritto tributario nazionale …”.
La Corte ha del resto anche precisato però che l'onere della prova grava in
ogni caso sull'Amministrazione Finanziaria e che ciò “trova conferma anche
in materia di transfer pricing posto che le direttive OCSE (Organizzazione
per la cooperazione e lo sviluppo economico) da tempo elaboranti i criteri di
determinazione del prezzo di trasferimento nelle transazioni commerciali
internazionali … nel rapporto del 1995 hanno espressamente sottolineato
che, laddove la disciplina di ciascuna giurisdizione nazionale preveda che
sia l'Amministrazione finanziaria ad essere gravata dell'onere della prova
delle proprie pretese, il contribuente non è tenuto a dimostrare la
correttezza dei prezzi di trasferimento applicati, se non prima che
l'Amministrazione fiscale abbia essa stessa provato prima facie il non
rispetto del principio del valore normale”.
Tali principi, per l’assimilazione sopra evidenziata, varranno dunque anche
in tema di prova del valore doganale.
6. Il danno
Se del resto, nel caso dell’imposizione diretta, il danno per l’Erario
consisterà nella deviazione dei redditi in un Paese estero (magari a
tassazione agevolata), o verso società con perdite compensabili che
abbattano la base imponibile, nel caso delle obbligazioni doganali il danno
consisterà nei minimi dazi commisurati al (non corrispondente al vero)
minor valore dichiarato in dogana.
Inoltre il danno, in tali casi, sarà duplice: fiscale ed economico, dato che,
non solo si pagheranno minori dazi, ma si potranno perseguire anche
illecite politiche di dumping, al fine di “invadere” il mercato con prodotti a
prezzi concorrenziali (concorrenziali anche grazie al pagamento di minori
dazi rispetto a quelli dovuti).
A tutto questo si aggiunge il danno da sottofatturazione IVA (anch’essa, si
ricorda, facente parte delle risorse proprie della UE e sulle quali dunque il
controllo doganale deve essere particolarmente rigoroso) e il pericolo di
frodi “carosello” (società fantasma, dette “cartiere”, che solo sulla carta
trasferiscono la merce al cessionario italiano, non versando l’IVA sulle
vendite, consentendo al cessionario una illecita detrazione IVA su acquisti
ed effettuando prezzi di vendita concorrenziali, dato che tanto il cedente
non versa l’IVA e paga minori dazi doganali).
7. I profili probatori
Per tali motivi il concetto di arm’s lenght, come detto assimilabile sotto vari
aspetti a quello di valore di transazione accettabile ai fini doganali, è stato
(ed è) oggetto di approfondimento anche da parte di organismi
sovranazionali, in particolare dal punto di vista dei profili probatori.
Il PATA (Pacific Assiciation of Tax Adimistration) e il JTPF (Joint Transfer
Pricing Forum) hanno a tal fine elaborato degli standards di
documentazione in grado di fornire quella prova contraria richiesta anche
dall’articolo 29 CDC in tema di valore in dogana.
Documentazione tesa appunto ad appurare il rispetto, da parte dei valori di
transazione dichiarati, del principio di libera concorrenza, in particolare nei
casi di legame tra compratore e venditore sotto forma di rapporti
infragruppo.
In data 09.11.05 è stato emanato anche un Codice di condotta comunitario
che indica, per esempio, l’opportunità di tenere un set di documentazione,
sia di gruppo che per ciascuna controllata di ogni singolo Paese (specific
country documentation), al fine di poter dare la prova della comparabilità
delle transazioni di gruppo a identiche o similari transazioni avvenute in
quello stesso Paese (concetto del mercato comparabile) tra imprese
indipendenti e comunque non legate da rapporti societari o di controllo
commerciale.
8. Conclusioni
Bene ha fatto in conclusione il legislatore a specificare quanto già previsto
dal comma 2, lettera a) dell’articolo 29 CDC, che appunto prevede che,
tenuto conto delle informazioni fornite dal dichiarante o “ottenute da altre
fonti”, l’Amministrazione doganale può contestare al dichiarante il prezzo
dichiarato.
Tra le altre fonti rientrano ora dunque anche quelle indicate dal citato
articolo 35 del DL 223/06 convertito dalla L. 248/06, che, come detto, ha
esteso ai funzionari dell’Agenzia delle Dogane gli ampi poteri di ispezione
già previsti dall’articolo 51 del DPR 633/72 in materia di IVA.
La lotta e il contrasto all’evasione deve infatti oggi tenere conto non solo
delle modalità più evidenti di evasione doganale (contro cui si dirigono già
le tecniche selettive di controllo di cui al circuito doganale), ma anche delle
più “subdole” e pericolose tecniche di sottofatturazione delle merci, che
rappresentano non solo elemento di evasione, ma anche elemento di
destabilizzazione di quel principio di libera concorrenza su cui si fonda
l’intero Ordinamento comunitario.
Giovambattista Palumbo
[1] I cui facsimili sono previsti rispettivamente agli allegati 28 e 29 delle
DAC
[2] Vedi articoli 29 e 30 CDC
[3] Vedi le modifiche di cui alla L. 248/06
[4] Vedi anche il concetto di controllo di cui all’articolo 2359 c.c.
[5] Vedi articolo 9 del Tuir