Un ragazzo tre ragazze - Parrocchia Santa Maria Segreta
Transcript
Un ragazzo tre ragazze - Parrocchia Santa Maria Segreta
Domande alla regista Emma Dante Via Castella Bandiera Ritiene di aver girato un film politico? Mio padre sta per chiudere il suo negozio: non ce la fa più. E guardi fuori: Cinecittà è deserta. Il film non parla né di Berlusconi né della sinistra inesistente, ma parla di noi e di come siamo diventati. Parla dell'atteggiamento mafioso, dello spazio pubblico vissuto come proprietà privata, di un bene comune che non esiste. Quindi credo che sia politico, sì. L’ostinazione è una caratteristica tipicamente femminile? Sì, se pensiamo alla nostra capacità di far aspettare e saper aspettare. Ma anche gli uomini siciliani non sono da meno, la loro cultura li porta ad avere una prepotenza che fa perdere loro la ragione. Nel film l’ostinazione prende direzioni pericolose, si sconfina nella tragedia. Alla fine lo spettatore si rende conto che nella via lo spazio per passare c’è. Ma certe persone non se ne accorgono e si condannano all’immobilità. Si è mai trovata in un vicolo cieco? I vicoli ciechi sono luoghi in cui devi usare il libero arbitrio, e per questo fanno una gran paura. La decisione che prendi può portarti fuori di lì o no. Io sono stata coraggiosa, ne ho attraversati tanti. In alcuni ho perfino visto un orizzonte, tutti mi hanno aiutato a crescere. A chi si rifiuta di cedere il passo? Agli stolti, agli arroganti, ai presuntuosi, a chi non ha la capacità di lasciarsi attraversare dalla vita, dai pensieri degli altri, dalla diversità. Non cedo il passo a chi non sa che farsene della possibilità di andare avanti nella vita. Lo faccio rimanere dov’è, così sta fermo e non può far danni. Nella sua vita a cosa dà la precedenza? Crescendo, le aspettative e i desideri cambiano. Finora ho fatto e prodotto molto, trascurando la mia vita privata. Vorrei riavvicinarmi alla mia famiglia, ai miei amici e ai miei animali. Il mio è un lavoro che ti fagocita e ti ruba tutto. Ha presente quella canzone di Battiato che dice «l’animale che mi porto dentro si prende tutto, pure il caffè»? Mi ci riconosco molto. Mi manca la vita quotidiana. Che cosa farebbe se non avesse paura? Mi lancerei con il paracadute. E lo aprirei all’ultimissimo momento. Regia: Emma Dante Sceneggiatura: Emma Dante, Giorgio Vasta e Licia Eminenti Attori: Emma Dante (Rosa), Elena Cotta (Samira Calafiore), Alba Rohrwacher (Clara), Renato Malfatti (Saro Calafiore), Dario Casarolo (Nicolò), Carmine Maringola (Filippo Mangiapane), Sandro Maria Campagna (Santo) Fotografia: Gherardo Grossi Durata: 90 min Paese di produzione: Italia, 2013 Emma Dante (Palermo, 6 aprile 1967) Attrice e regista teatrale e cinematografica italiana. Diplomatasi all’Accademia d’arte drammatica Silvio d’Amico, dopo varie esperienze teatrali formative ha fondato la sua compagnia Sud Costa Occidentale con la quale ha iniziato un percorso di ricerca sul ritmo, sul linguaggio e sull’uso del dialetto, lavorando sulla creatività ed espressività degli attori e inseguendo una forma di immediatezza comunicativa. Al centro dei suoi spettacoli è sempre l’universo culturale siciliano dove vigono oppressioni, pregiudizi e immobilismo. Apprezzato dal pubblico, coinvolto dalle forti emozioni, Vita mia (2004), incentrato sul senso profondo e tragico della morte, è stato il primo spettacolo di una trilogia che l’ha fatta conoscere come regista; ha quindi completato l’affresco sulla famiglia scrivendo e dirigendo Carnezzeria (2002, premio UBU come novità italiana), una denuncia di violenze e abusi contro le donne e Mpalermu (2003). Nel 2004 ha tentato una rivisitazione del classico Medea affondando il mito nella contemporaneità; proseguendo il suo lavoro di indagine ha continuato a sezionare con forza e intensità la società siciliana (Michelle di Sant’Oliva, 2005), esprimendo una critica decisa alla religione cattolica con La scimia (2006), e denunciando i rapporti esistenti fra la società e la mafia con Cani di bancata (2007). Nel 2008 si è dedicata alla performance Eva e la bambola creata per la cantante C. Consoli e poi al monologo Il festino, affidato all’attore Gaetano Bruno, suo storico collaboratore. Dopo Le pulle (2009), uno spettacolo che con leggerezza e trasgressività porta in scena una metamorfosi sessuale non ancora accettata socialmente, si è confrontata con la regia dell’opera lirica Carmen (2009) di Bizet. Povertà, malattia e vecchiaia sono i temi centrali degli spettacoli Acquasanta, Ballarini e Il castello di Zisa, presentati come Trilogia degli occhiali (2011, testi poi raccolti e pubblicati nel 2011). Nella sua attività artistica ha rivisitato due fiabe con gli spettacoli, per bambini e adulti, Anastasia, Genoveffa e Cenerentola (2010), e Gli alti e i bassi di Biancaneve (2011). Ha pubblicato, dopo La favola del pesce cambiato (2007), il primo romanzo Via Castellana Bandiera (2008).. Da Via Castellana Bandiera D. ha tratto il soggetto per il film omonimo, girato nel 2013 e in concorso alla 70a edizione della Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia; la pellicola, della quale è stata anche sceneggiatrice e attrice, segna il suo esordio nella regia cinematografica. . IL FILM Nell’omonima via palermitana, dove la regista ha vissuto per anni e che la scenografa Emita Frigato ha ridotto a un budello, due auto si trovano muso contro muso: da una parte Rosa e Clara (cioè Emma Dante e Alba Rohrwacher) dall’altra una parte della famiglia Calafiore che si fa scarrozzare dalla suocera Samira (Elena Cotta). Nessuna vuole cedere il passo: questione di principio e di arroganza ma anche di rabbia (Rosa ha appena litigato con Clara e forse il loro amore è finito; Samira sembra cercare una «rivincita» sul genero che la schiavizza dopo la morte della moglie). E l’improvviso braccio di ferro coinvolge pian piano gli abitanti della strada, gli automobilisti che rimangono a loro volta bloccati, i sogni di guadagno di chi è pronto a raccogliere scommesse su «chi ha le corna più dure». Emma Dante deve provare un profondo amore-odio per la sua città (così come il suo co-sceneggiatore Giorgio Vasta) perché il quadro che ne esce è angosciante e agghiacciante insieme: l’umanità è mossa dai sentimenti più bassi, il confronto diventa subito scontro, ogni parvenza di moralità svapora di fronte all’interesse e all’arroganza. E la trovata della strada che man mano si allarga serve a sottolineare come la lite si regga sul bisogno di ribadire la propria forza non su un dato di fatto oggettivo. A volte lo stile manca di quella radicalità che la storia poteva richiedere: si capisce che la Dante è abituata a lavorare sui volti e sui corpi più che sulle inquadrature e le sequenze, ma il film ha un’energia contagiosa e l’immagine finale, con tutte quelle persone che sembrano lemming attratti dal vuoto, è di quelle che non si dimenticano.