Numero 10 - Reporter nuovo
Transcript
Numero 10 - Reporter nuovo
Anno III - Numero 10 Settimanale della Scuola Superiore di Giornalismo della Luiss Guido Carli 26 Marzo 2010 Reporter nuovo Carceri affollate Raddoppio delle pene Netanyahu Leone in casa, agnello in Usa Ambiente Affari d’oro per chi inquina Pasquino Oggi la statua non fa paura ALL’ULTIMO SLOGAN SUI MURI E NON SOLO. SI CHIUDE IL DUELLO TRA I PARTITI PER LE REGIONALI Politica Elezioni regionali. Sui tabelloni e sui muri delle città frasi di ogni genere per catturare voti Se ben fatto, lo slogan fa vincere “Ti puoi fidare”, “Con te”, “Parla con me” i più concisi delle opposte fazioni Stefano Petrelli Un volto sorridente, una frase accattivante. È anche così che i politici cercano di accaparrarsi gli ultimi voti, con uno slogan che possa rimanere impresso nella mente dei cittadini, capace di orientare la loro preferenza. Ed è una sfida all’ultimo slogan. Ancora una volta, per le elezioni regionali, la politica ha “impacchettato” palazzi, strade e tabelloni nelle aree dove il 28 marzo si va alle urne. La campagna del 2009 sarà ricordata come “la campagna dell’amore”, invocato più volte dagli interventi del presidente del Consiglio e fulcro dello slogan che campeggiava alle spalle del Cavaliere nella manifestazione del 20 marzo a piazza San Giovanni a Roma: “L’amore vince sempre sull’invidia e sull’odio”. Con l’ingresso nel confronto politico di questa riedizione dell’ovidiano “omnia vincit amor” si è assistito ad un dibattito tutto incentrato sulle categorie elementari, per cui gli avversari diventano i “paladini” dell’odio e dell’invidia, poiché vorrebbero essere come il premier che è eletto perché è amato (non perché deve governare). Ma “la guerra degli slogan” non si è fermata a questo aspetto ed ha continuato ad imperversare. A colpi di cartelloni 6x3, volti famosi e meno famosi della politica italiana si sono fatti accompagnare da frasi più o meno LA GENESI MINI-COMPENDIO DEI DETTI PIÙ CELEBRI Perentori, invitanti, duri Da Mussolini a Obama Scorrendo gli slogan elettorali che sono rimasti nella storia, il più famoso, seppure appartenente alla fizione cinematografica, è il martellante “Votantonio”, che accompagnò la campagna dell’improbabile candidato Antonio La Trippa (interpretato da Totò), nel film del 1963 di Sergio Corbucci “Gli onorevoli”. Nella competizione politica reale, Mussolini per le elezioni del 1924 scelse l’intimidatorio “Camerati, questa è la mia scheda. Votatela!”, quasi un preludio del clima di violenza e di intimidazione in cui si svolsero le consultazioni. Passando all’Italia repubblicana, non si può non citare l’originale “Nel segreto dell’urna, Dio ti vede, Stalin no!»”- Slogan inventato da Giovannino Guareschi sul “Candido”, poi riportato anche sui manifesti e della Democrazia Cristiana contro il Fronte Democratico Popolare nelle elezioni del 18 aprile 1948. Il secco “Roma Ladrona”, invece, ha contribuito alle fortune elettorali della Lega Nord degli anni Novanta. Facendo un salto oltre oceano, i più efficaci sono stati :”Guerra al terrore” coniato da George W. Bush dopo l’attacco dell’11 settembre 2001 e vero leit motiv della sua campagna per la rielezione, e «Yes, we can!» di Barack Obama, che ha avuto un notevole peso per l’elezione del primo presidente di Colore negli Usa. S.P. efficaci e riuscite, noncuranti delle polemiche sulla par condicio e del caos liste. Nel Lazio accanto al “Ti puoi fidare” dei manifesti della Bonino e al “Con te” di quelli della Polverini è comparso il più fantasioso “Parla con me” (con chiaro riferimento al film di Almodovar “Parla con lei”) del candidato del Pdl Eder Mazzocchi, l’enigmatico “Il Lazio è di chi lo fa” di Adriano Palazzi (anche lui del Pdl). La sinistra invece quest’anno ha puntato “sull’ostentazione dell’anonimato” con lo slogan di suggestione manzoniana “Chi è costui?” di Vincenzo Maluccio (Idv), a cui ha risposto Luigi Nieri (Sinistra ecologia e libertà) con il suo” Nieri chi? Quello delle periferie”. Se nel Lazio la fantasia non è mancata, le altre regioni dove si rinnovano le amministrazioni non sono state certo da meno. Una menzione particolare spetta alla Pu- Una scelta a misura di faccia L’AMORE L’ultimo slogan di Berlusconi diventa un libro glia dove il candidato del Pdl Rocco Palese ha usato un gioco di parole – “È Palese, il presidente” – per lanciare la sfida al presidente uscente Nichi Vendola che ha sfoderato la poesia. Con i suoi manifesti di-versi con slogan in rima baciata ha illustrato il suo programma, dal “Poche storie, via smammare, disse il sole al nucleare” per rilanciare le energie rinnovabili fino al “Giù le mani dalla brocca, l’acqua è nostra e non si toc- ca” per la difesa dell’acqua bene pubblico. Più prosaica e più verace, invece, la terza candidata pugliese, Adriana Poli Bortone, che per la sua campagna ha scelto lo slogan “Orgogliosamente terrona”. Infine, non sono mancati nemmeno gli slogan nostalgici: è il caso della governatrice uscente del piemonte Mercedes Bresso che con il suo “Avanti Piemonte” ha ricordato motti di sabauda memoria. Da spazi importanti di democrazia e partecipazione a contenitori vuoti che annoiano gli italiani C’era una volta la Tribuna politica Francesco Paolelli “Il servizio pubblico deve entrare nelle case degli italiani con educazione, togliendosi le scarpe” amava ripetere Jader Jacobelli celebre icona della Rai degli anni Sessanta. Fu lui il primo a condurre le tribune elettorali, all’epoca un’assoluta novità nel panorama televisivo nazionale. Andreotti, Berlinguer, Fanfani, Almirante e Pannella sono solo alcuni dei leader che decisero di partecipare perché avevano compreso l’importanza di questo tipo di 2 26 Marzo 2010 trasmissioni per entrare nelle case degli italiani. La politica del Bel Paese si “americanizzava” nell’impatto mediatico perché utile per fini elettorali. Da allora molta acqua è passata sotto i ponti della Rai e oggi le tribune politiche sono diventate uno spazio televisivo poco importante al quale partecipano le seconde e terze file degli opposti schieramenti politici. Nonostante gli ascolti siano in calo dagli anni Ottanta, la struttura di produzione è diventata ancora più importante tanto da me- ritarsi la promozione a vera e propria testata giornalistica autonoma. Ugo Zatterin, Villy De Luca, Luca Di Schiena e Giorgio Vecchietti sono alcuni dei grandi giornalisti che si sono alternati alla guida delle tribune politiche. Oggi signora incontrastata è Giuliana del Bufalo. Direttore di Rai Parlamento dal 2007 quando succede a Clemente Mimum alla guida delle tribune elettorali. Già socialista di osservanza craxiana, la Del Bufalo è stata direttore generale della Fe- derazione nazionale della stampa prima di diventare vicedirettore del Tg2 nel 1990 e poi assistente per l’informazione dell’ex presidente Rai, Letizia Moratti. I primi di marzo saputo della decisione del consiglio di amministrazione della Rai di chiudere i talk show, come Anno Zero e Ballarò, per lasciare spazio alle tribune politiche, la Del Bufalo si è ritrovata ad essere al centro dei delicati equilibri di potere di viale Mazzini. Ma subito si è affrettata a far sapere che“non c’è programmazione né grup- pi parlamentari da far confrontare in tv”. Insomma, mancano sia i giornalisti che i politici. E a dar retta all’auditel mancano anche i telespettatori. Infatti lo share medio è del 2,48 per cento che corrisponde a 718 mila spettatori. Una vera e propria fuga del pubblico televisivo che conferma il declino delle tribune politiche. Da spazi fondamentali di democrazia a contenitori vuoti della durata di una manciata di minuti, sparsi qui e lì nei palinsesti per rispettare il sacro nume della par condicio. Per capire come nasce uno slogan ne abbiamo parlato con Martino Bellincampi che si occupa di comunicazione politca per la “Yoyo”. Secondo Bellincampi “lo slogan, la semantica del messaggio, è parte di un equilibrio che si instaura anche con l’iconografia del personaggio: viso, abbigliamento sguardo, tutti elementi che devono servire alla caratterizzazione del politico, che è fondamentale per farsi scegliere”. Da un punto di vista tecnico “non esistono differenze sostanziali tra la comunicazione su di una macchina, un detersivo o un Presidente della Repubblica. Non amano che si dica ma, dopotutto, non dovrebbero fare pubblicità se non desiderano trovarsi su un manifesto”. Ma quanto contano gli slogan? Nel febbraio del 2008 una ricerca dell’Istituto Ipr Marketing, condotta alla vigilia delle amministrative che vedevano cotrapposti Berlusconi e Veltroni, ha rilevato che i manifesti non “entusiasmano” e che solo un terzo dei cittadini ricorda di averli notati per strada. A leggere i risultati, inoltre, sembra che i messaggi dei partiti siano stati diretti più ai propri elettori che agli indecisi, ovvero i cittadini che bisogna aggregare per vincere le elezioni. Infatti, in quella occasione, il ricordo dei manifesti di Veltroni era più forte tra i votanti del Pd, così come la visibilità di quelli di Berlusconi era maggiore tra i votanti del Pdl. Sempre secondo la ricerca, l’elemento che più colpiva gli elettori era il viso del candidati. S.P. Reporter nuovo Economia In un libro-inchiesta sugli attentati all’ambiente e alla salute emergono vittime e profittatori Affari d’oro per chi avvelena l’Italia Nomi e ditte che continuano a inquinare da Nord a Sud. Spesso impuniti Tommaso Rodano Il Belpaese sta bruciando nel veleno. Le sostanze tossiche sono ovunque: nel cibo, nell’aria e nell’acqua che consumiamo inconsapevolmente. In Italia ogni anno muoiono 35 mila persone a causa delle sostanze ingerite e inalate, altre 500 mila si ammalano; il territorio inquinato ha una superficie di quasi 70 mila metri quadrati: un’area grande quanto la Corsica, più della Liguria. È un quadro inquietante, quello descritto da Così ci uccidono di Emiliano Fittipaldi, tenace giornalista de l’Espresso. Un’inchiesta coraggiosa e documentata che porta alla luce, con nomi e cognomi, gli aspetti più controversi di una situazione drammatica, e largamente ignorata: quella del nostro paese, delle sue terre e della salute dei suoi cittadini. A partire dal cibo e dai prodotti tipici che hanno reso celebre la nostra tradizione culinaria. La mozzarella di bufala campana, per esempio. Una prelibatezza alla diossina. Buona parte degli allevamenti in cui pascolano le bestie sono della camorra e sorgono sopra a discariche abusive impregnate di sostanze tossiche. Per non parlare dell’olio extravergine d’oliva che ha impreziosito i piatti di alcuni ristoranti di Torino: in realtà olio di semi tinto con la clorofilla. E poi latticini scaduti, rilavorati e rimessi in commercio; vinacci allungati con l’acido cloridrico spacciati per pro- INTERVISTA CON EMILIANO FITTIPALDI, AUTORE DI «COSÌ CI UCCIDONO» CORAGGIOSO Il giornalista dell’Espresso ha pubblicato nel suo libro nomi e cognomi di chi danneggia l’ambiente nel nostro paese «E Roma rischia la fine di Napoli» Fittipaldi, la sua inchiesta ritrae una situazione impressionante. Quali sono gli strumenti per l’informazione e la tutela di cittadini e consumatori? «Sono pochi, in confronto alle enormi devianze del sistema. Non è facile. Per quanto riguarda l’alimentazione, sul sito dell’Unione europea c’è un bollettino che riporta la lista delle marche che hanno messo in commercio cibo “avvelenato”. Invece per l’acqua pubblica ci si può informare attraverso il Comune. Se ne può conoscere la composizione minerale, e se sono state chieste delle deroghe: in quel caso significa che la quantità di minerali nocivi di cui è composta supera il limite legale». Qual è l’aspetto più grave del problema: il comportamento dei privati, la connivenza delle istituzioni o l’inadeguatezza delle sanzioni penali? «L’ultimo che hai elencato. Criminali e speculatori ci sono stati, ci sono e ci saranno sempre. Quando vengono trovati i “sofisticatori alimentari”, le pene sono talmente esigue che a loro conviene comunque continuare nella loro attività. Invece per i grandi inquinamenti delle emissioni industriali e del traffico dei rifiuti, mancano gli strumenti legislativi che permettano condanne severe. Il reato ipotizzato che possono utilizzare i pm è il “getto di cose pericolose”, dal quale in genere risultano pene pecuniarie, o inferiori ai tre anni. Il risultato è che inquinare conviene: gli affari che fanno i criminali sono giganteschi e le pene sono risibili». Nel libro accenna alla situazione di Malagrotta. Quale scenario si prefigura a Roma e nel Lazio al momento dell’inevitabile chiusura? «Malagrotta doveva essere chiusa quattro o cinque anni fa. Di proroga in proroga tra le varie amministrazioni si è sempre deciso di allungarle la vita. Ancora non è stato individuato il sito per una nuova discarica: si è parlato della località di Allumiere, ma siamo ancora all’anno zero. Roma rischia di fare la fine di Napoli molto prima di quanto si possa pensare». In Italia, come lei scrive, le aree inquinate occupano un territorio grande quanto la Corsica. Ma invece di investire in un progetto di bonifica, si pensa al nucleare. Come si riforma una situazione del genere, a livello ambientale e, soprattutto, culturale? «Nel prologo del mio libro scrivo di Stefania Prestigiacomo: il ministro dell’ambiente è proprietario di una fabbrica a Priolo, nel siracusano, che ha subito due inchieste per danneggiamento ambientale e violenza sugli operai. È difficile essere ottimisti. Bisogna sforzarsi di diffondere una cultura ambientale che in questo paese, oggi, non esiste». T.R. dotti Doc e falde acquifere avvelenate a cui attingono intere città. “Sofisticare il cibo, risparmiare sulla materia prima e usare conservanti e additivi pericolosi è un affare troppo redditizio. Il veleno nel piatto sta diventando una certezza, un fenomeno subìto passivamente dal consumatore”, scrive Fittipaldi. Con la qualità dell’aria gli italiani non se la passano meglio. In alcune zone la situazione è insopportabile. Il termovalorizzatore di Colleferro, a pochi chilometri da Roma, per anni ha bruciato di tutto, fino all’intervento della procura di Velletri nel 2009: ferro, pneumatici, materassi, fili di rame, amianto. L’Ilva di Taranto, la più grande acciaieria d’Europa, che produce da sola il 92 percento della diossina del nostro Paese, ha “regalato” alla cittadina pugliese una mortalità più alta del 17 percento rispetto a quella regionale. L’Eternit di Casale Monferrato ha sommerso di amianto la provincia di Alessandria: ha ucciso, e continua a farlo, più di 1600 persone. E sono ancora innumerevoli i casi di ordinaria illegalità raccontati da Fittipaldi. In cui l’avidità dei privati, l’inadeguatezza delle sanzioni penali legate ai reati ambientali e la passività della politica (quando non è aperta connivenza) permettono lo scempio quotidiano del territorio del nostro Paese e un attentato violento, spesso silenzioso, alla nostra salute. Decreto Ronchi e Acea: Gdf Suez e Caltagirone puntano sulla privatizzazione Paolo Riva A quattro mesi dal decreto Ronchi e a pochi giorni dalla manifestazione per togliere l’acqua dal mercato, a Roma si gioca una partita cruciale per la liberalizzazione dei servizi idrici. É quella di Acea, la multiutility quotata in borsa che presto prenderà decisioni importanti per il futuro dell’acqua non solo nella capitale, ma in tutta la penisola. Secondo il decreto, infatti, Acea dovrà far scendere il capitale azionario pubblico al quaranta percento entro il 2013 e al trenta entro il 2015. Ora il Comune di Roma detiene il 51 percento delle azioni, ma due sono gli azionisti di Reporter nuovo Chi cammina sull’acqua di Roma? Mesi decisivi per il futuro del servizio idrico della Capitale minoranza fortemente interessati ad accrescere le loro quote: Gdf Suez e Francesco Gaetano Caltagirone. “Sono due dei soggetti con maggiore interesse per il settore in Italia” spiega il giornalista di Altreconomia Luca Martinelli. “Entrambi, infatti, sono anche partner di Acea in altre regioni. Per questo la vicenda rappresenta meglio di ogni altra quel che significherà la progressiva apertura dei servizi idrici al privato”. Da una parte, con il 9,9 percento delle azioni, Gdf-Suez è la più grande realtà mondiale in campo idrico che cerca di rifarsi delle perdite nei mercati del sud del mondo entrando in quelli dei paesi ricchi. “Un documento interno all’azienda recuperato dall’antitrust -prosegue Martinelli che ha appena pubblicato il libro L’acqua è una merce - rivela che i francesi stanno usando Acea come cavallo di Troia per il mercato italiano”. “Caltagirone, invece, ha scommesso sull’acqua per la Vianini industrie. È un’azienda che realizza tubi, piloni e prodotti idraulici in cemento e sarebbe molto interessata ai 60 miliardi di investimenti che il sistema nazionale necessita”. E infatti, il pacchetto azionario dell’imprenditore romano è passato negli ultimi otto anni dal due all’8,9 percento. Ora, per entrambi gli azionisti l’opportunità di aumentare le proprie quote è ghiotta. Specialmente dopo che a febbraio Alemanno ha dichiarato al Sole24ore di voler “avviare il processo di privatizzazione entro l’anno... con partner legati al territorio, fondazioni, imprenditori... una platea la più ampia possibile, per non avere un socio privato prevalente”. I prossimi mesi saranno quindi decisivi per capire chi tra la multinazionale francese e l’imprenditore romano camminerà in futuro sulle acque della capitale. Indicazioni importanti potrebbero arrivare dall’assemblea di bilancio del 30 aprile, ma soprattutto dal voto regionale per il quale l’Udc di Casini, genero di Caltagirone, ha deciso di appoggiare la candidata Pdl Renata Polverini. Nell’attesa, però, l’economista Carlo Scarpa, che da anni si occupa del tema, avverte: “Serve cautela con i privati nelle società miste. Acea ha imparato molto da Gdf-Suez e avere un socio industriale di alto livello in un’impresa di questo genere è positivo. Scegliere invece un semplice costruttore rende il discorso un po’ più complicato, ma questa -conclude- è una decisione politica”. 26 Marzo 2010 3 Mondo Continua il braccio di ferro sugli insediamenti a Gerusalemme. Strategia ambigua di Netanyahu Leone in casa, agnello negli Usa A rischio il processo di pace. E sull’andamento dei colloqui è black out Stefano Silvestre Un’ora e mezza di colloquio in atmosfera positiva. Questa l’unica indiscrezione trapelata dai portavoce statunitensi riguardo l’incontro tra Barack Obama e il premier israeliano Benjamin Netanyahu. Un black out di comunicazione, forse voluto, se si pensa alle voci che si rincorrono sui quotidiani israeliani, che parlano di fallimento totale dei colloqui e di una tensione palpabile nell’incontro alla Casa Bianca. Niente di ufficiale, quindi, se si tralasciano le dichiarazioni rilasciate dal premier israeliano appena arrivato negli States. «Bibi» aveva infatti tuonato contro la condanna del Quartetto – Onu, Stati Uniti, Russia e Ue – alla costruzione di nuovi insediamenti israeliani nel settore orientale di Gerusalemme. La zona destinata a diventare la futura capitale dello stato palestinese. A gettare benzina sul fuoco c’erano poi state le dichiarazioni del numero uno delle Nazioni Unite, Ban Ki Moon, che al suo arrivo in Ci- IRREMOVIBILE Benjamin Netanyahu, leader del Likud è stato eletto nel Marzo del 2009. È al suo secondo mandato da primo ministro sgiordania, aveva insistito sulla revoca del blocco della striscia di Gaza, definendola causa di «inaccettabili sofferenze» per il popolo palestinese. In risposta, Netanyahu aveva chiuso la porta, ricordando la posizione del suo governo riguardo agli insediamenti: «Gerusalemme non è una colonia, è la nostra capitale. Il popolo ebraico ha costruito Gerusalemme tremila anni fa, e continua a costruirla ora». Anche al Congresso, dove è stato sa- lutato calorosamente dai leader democratici e repubblicani, Netanyahu è stato chiaro, e in riferimento alle richieste palestinesi di blocco dei nuovi insediamenti ha detto: «Non possiamo farci intrappolare da domande illogiche e irragionevoli. Questo potrebbe bloccare i negoziati per un altro anno». Una linea di pensiero vecchia di più di quarant’anni, che ha fatto preoccupare non poco per il destino del percorso di pace, interrotto dal dicembre 2008. Poi è arrivata la marcia indietro con Obama. «La costruzione di nuovi insediamenti non preclude in nessun modo la convivenza dei due Stati». Dichiarazioni contrastanti, che rendono l’idea della situazione politica in cui è costretto a barcamenarsi il leader del Likud. Stretto tra due fuochi, quello della destra nazionalista israeliana e quello delle lobby statunitensi, Netanyahu deve di volta in volta bilanciare il peso delle proprie dichiarazioni. Così può capitare che faccia la voce grossa con il vice presidente Biden e il Segretario di Stato Hillary Clinton, per poi aggiustare il tiro con Obama il giorno dopo. Questo ambiguo braccio di ferro può essere letto in più di una chiave paradossale. Secondo Aluf Benn, corrispondente diplomatico di Haaretz, il goffo tentativo di Netanyahu di portare il Congresso contro le decisioni di Obama ha causato un crollo d’immagine del leader israeliano negli Usa. Benn fa notare, infatti, che l’amministrazione statunitense ha finto di accettare di buon grado l’arroganza dimostrata dal premier israeliano con Biden e la Clinton, per poi giocare con Netanyahu come con un «bambino indisponente». A questo punto – continua Benn – il leader del Likud torna a Tel Aviv con un’immagine da ricostruire e una decisione da prendere: con gli Usa o con i coloni. Insomma, Bibi ne esce con le ossa rotte. Al Centro studi americani un dibattito sull’ultimo libro dello storico Arthur Schlesinger Guerra all’Iraq, un grande errore Unilateralismo e isolazionismo fattori guida della politica estera Usa Irene Pugliese La decisione più grave in democrazia è entrare in guerra. Lo insegna la storia e l’America lo sa bene. Historia magistra vitae, ma è sempre così? Lo storico americano Arthur M. Schlesinger, morto nel 2004, vincitore due volte del premio Pulitzer, pensava di sì e proprio per questo era fortemente scontento della guerra preventiva che George W. Bush aveva deciso di intraprendere in Iraq, nonostante le lezioni del passato. E questo malcontento l’ha espresso in un libro, War and the American presidency. «Ci furono due guerre americane separate: la guerra contro il terrorismo, simboleggiato da Osama bin Laden; la guerra contro l’Iraq, simboleggiata da Saddam Hussein. Io avrei dato alla guerra in Afghanistan la massima priorità. Se avessimo fatto 4 26 Marzo 2010 così, avremmo molto proba- litico degli Usa partendo dal- presidenti precedenti – da bilmente schiacciato al-Qaeda l’unilateralismo, dottrina an- F.D. Roosevelt a Bill Clinton – e catturato Osama. Mr. Bush tica nella storia americana. avevano promosso il principio preferì la guerra in Iraq. Sic- L’autore dimostra come Bush dell’azione collettiva, con l’atcome lui è presidente e io no, junior abbia cambiato la poli- tacco all’Iraq Bush figlio è rila sua preferenza ha vinto». tica degli Stati Uniti al punto tornato all’unilateralismo. Non Questa la dura opinione di che oggi l’America ha un vol- più deterrenza e contenimenSchlesinger, letta da Giuliano to del tutto differente. L’11 set- to a giustificare un intervenAmato durante la presenta- tembre e le guerre in Afgha- to militare, bensì guerra prezione del libro al Centro stu- nistan e in Iraq hanno pro- ventiva. Strategia fortemente di americani di Roma di fron- fondamente inciso sul sogno criticata da Schlesinger e con te a ospiti lui dai relatod’eccezione: ri intervenuti F r a n c e s c o «Io avrei dato la priorità alla guerra in Afghanistan alla presentaRutelli, Nicozione. «SpesSe avessimo fatto così, lò Sella di so gli Stati Monteluce, avremmo schiacciato al-Qaeda e catturato Osama» Uniti dimenp re s i d e n t e ticano il prindella casa edicipio fondatrice Treves, Giovanni Maria americano. Per Schlesinger, i mentale secondo il quale la Flick, ex presidente della Cor- due interventi militari furono mia libertà finisce dove cote costituzionale e Ferdinan- condotti in modo errato e le mincia quella del mio vicino», do Salleo, presidente del cir- conseguenze sono all’eviden- ha commentato Salleo. E ancolo di studi diplomatici di za di tutti: un’America sempre cora: «Il patriottismo che un Roma. più pesantemente impegnata americano deve avere verso la Grido d’allarme contro la in conflitti che ne stanno ero- propria bandiera è ancora vapolitica estera dell’ex presi- dendo la struttura economico- lido quando un presidente si dente americano, il testo ana- sociale senza conseguire ri- arroga un potere che va al di lizza le radici del sistema po- sultati apprezzabili. E se i là della Costituzione?», si do- manda invece retoricamente Monteluce. Questioni fondamentali per la conservazione della democrazia, visto che troppo spesso l’America ha considerato la propria visione politica come universalmente valida, mirando «a far coincidere – come ha sostenuto Rutelli - l’interesse nazionale con quello globale». Nonostante l’ultima amministrazione Obama non sembri fare eccezione, rimane forte la speranza nel cambiamento: una diversa politica estera, che da unilaterale e isolazionista si trasformi in multilaterale, aprendosi anche alle nuove entità in via di sviluppo, come Cina, Africa e India. Bush ha ereditato un mondo completamente americano, ma ha consegnato al suo successore un mondo post-americano. Ora starà a Obama fare in modo che questo mondo non diventi anti-americano. BIBI-PENSIERO Dodici anni pieni di rifiuti NOVEMBRE 1998 Inizia la politica del rifiuto di Netanyahu. Al suo primo mandato da premier, inaugura la politica dei “tre no”. No al ritiro dalle colline del Golan, no alle discussioni su Gerusalemme, no alle negoziazioni sottoposte a precondizioni. APRILE 2009 Subito dopo aver assunto il suo secondo mandato da Primo Ministro, Netanyahu accoglie l’inviato speciale di Obama, George Mitchell, dichiarando che ogni futuro colloquio sarebbe stato subordinato al riconoscimento dello stato israeliano da parte dei palestinesi. MAGGIO 2009 In occasione del primo incontro alla Casa Bianca con il presidente Usa Barack Obama, “Bibi” rifiuta di sostenere la soluzione dei due stati proposta dal neoletto presidente statunitense, respingendo inoltre il “congelamento” degli insediamenti a Gerusalemme est. GIUGNO 2009 Nel suo discorso all’università Bar-Ilan, a giugno del 2009, dopo aver dichiarato - “alcuni dicono che se non ci fosse stato l’Olocausto, Israele non sarebbe esistita. Ma io dico che lo stato di Israele sarebbe stato fondato prima, se non ci fosse stato l’Olocausto” - Netanyahu afferma che avrebbe accettato uno stato palestinese solo se questo avesse accettato di non disporre di un esercito e avesse riconosciuto Gerusalemme come capitale ufficiale di Israele. S.S. Reporter nuovo Cronaca Intervista a Luigi Manconi, ex sottosegretario alla Giustizia: le cifre, i problemi, le soluzioni Così il carcere raddoppia la pena Celle troppo affollate per inadempienze procedurali e mancanza di risorse Il sistema penitenziario italiano è al collasso. Una situazione sottolineata dai dati di sovraffollamento che costringono la popolazione carceraria, in continua crescita, a vivere in condizioni precarie, di disagio. Allarmante è l’elevato numero di decessi in carcere, non di rado causati dal malessere dei detenuti che si spingono fino a decisioni estreme. La fotografia di una condizione ancora in cer- ca di una via d’uscita ce la fornisce Luigi Manconi, ex sottosegretario alla Giustizia nell’ultimo governo Prodi, che continua a battersi, attraverso le sue associazioni, per i diritti di chi vive recluso dietro le sbarre. Una chiacchierata da cui emerge un quadro, purtroppo, sconfortante ma anche qualche proposta concreta che potrebbe aiutare a risollevare le sor- ti di un contesto così poco edificante. Facendo una panoramica di alcune realtà penitenziarie del nostro paese si scopre, per fortuna, che non mancano le eccezioni, esempi virtuosi di vivibilità che dovrebbero costituire veri e propri modelli. Luoghi in cui il rispetto delle persone si manifesta attraverso attività di formazione, istruzione e lavoro. Daniele Serio Luigi Manconi, qual è lo stato delle carceri italiane? “Ci sono tanti dati che segnalano una condizione che va ben oltre il collasso. A partire da quello sull’incredibile sovraffollamento dei nostri penitenziari: ad oggi, i detenuti in Italia sono 67.043, almeno 24.000 in più rispetto alla capienza prevista. E‘ senz’altro questo il primo elemento su cui intervenire”. Cosa comporta questa situazione? “Innanzitutto, tutti i servizi che dovrebbero regolare la vita all’interno di un carcere dal cibo all’assistenza sanitaria, dalla formazione all’istruzione- diventano meno efficienti. Ciò si traduce in una sofferenza maggiore sia per i detenuti che per gli agenti di polizia penitenziaria”. Quanti di questi detenuti ha subìto una condanna definitiva? “Meno del 50 per cento. Gli altri sono in attesa del giudizio o dell’appello”. È giusto, secondo lei, che queste persone rimangano in carcere? “Solo ed esclusivamente se si verificano tre condizioni: intanto, deve esserci l’intenzione a ripetere il reato; secondo, quando c’è il rischio concreto che possano inquinare le prove;infine, se si teme la loro fuga. In questo modo, si ridurrebbe di decine di migliaia il numero dei detenuti”. Come giudica i progetti di edilizia carceraria dell’attuale Governo? “Ha proposto la costruzione di nuove carceri entro tre anni, un piano che vorrebbe fornire 80 mila posti totali. L’intenzione non è affatto chiara. Può significare o che si vogliono aggiungere 13 mila posti, comportando un sovrannumero praticamente uguale. Oppure, dati i 67 mila detenuti attuali e ipotizzandone 75 mila entro la fine dell’anno, vuol dire aggiungerne 5 mila, arrivando in tal modo a 80 Reporter nuovo SOVRAFFOLLAMENTO L’eccessivo numero di persone all’interno della stessa cella rappresenta per i detenuti una seconda pena mila. Ignorando il fatto che di questi, circa 30 mila continuerebbero a vivere in una condizione di intollerabile e illegale sovraffollamento. Insomma, la questione del carcere va considerata nei suoi essenziali numeri”. Una buona soluzione quale potrebbe essere? “Diminuire il numero dei comportamenti considerati reati (come hanno ripetuto anche le varie commissioni di riforma del codice penale degli ultimi 15 anni, dirette sia da giuristi di destra che di sinistra) e quello dei reati che comportano la reclusione. Qualunque criminologo le spiegherà che i reati che esigono la detenzione come difesa della società sono ben pochi”. L’indulto ha avuto effetti positivi? “E’ stato un provvedimento provvidenziale. I dati ci dicono che coloro che ne hanno beneficiato hanno un tasso di recidiva del 27,1 per cento (e riguarda gli italiani più degli stranieri); coloro che invece scontano la pena fino all’ultimo giorno hanno una recidiva del 68 per cento”. È vero che vi è un elevato tasso di suicidi tra i carcerati, nettamente superiore a quello della cittadinanza ‘libera’? “È superiore del 16-17 per cento. Inoltre, nella popolazione ‘libera’ i suicidi avvengono tra le fasce d’età anziane, mentre in carcere il fenomeno è più diffuso tra i giovani, in particolare quelli alla prima detenzione”. Come si dovrebbe intervenire per arginare il fenomeno? “Un primo passo sarebbe quello di applicare il regolamento carcerario. Per esempio, esiste il principio di territorializzazione della pena, ossia carcerare la persona vicino casa, ma non viene applicato”. Qual è il livello di assistenza, mediamente, all’interno di un penitenziario italiano? “Le dico solo che in alcuni posti lo psicologo, figura fondamentale sia per ridurre il numero dei suicidi sia per favorire il reinserimento sociale dei detenuti, ha a disposizione dieci minuti al mese per detenuto. Le strutture pubbliche e di volontariato, che lo accompagnano nella sua vita fuori dal carcere, sono anch’esse molto esili”. Esistono degli organismi di controllo indipendenti atti a monitorare le carceri in Italia? “No. Ho presentato in Parlamento un disegno di legge che è stato discusso e poi affossato dal centro destra, perchè ritenuto troppo costoso”. Esiste un’anagrafe pubblica degli istituti di pena, in grado di fornire dati, cifre, fatti? Che riesca a indirizzare positivamente il rapporto tra informazione e legalità? “È stata chiesta dai radicali ma non è stata in alcun modo approvata dal Parlamento. Addirittura, il Governo ha voluto che venisse secretato il meccanismo di attribuzione dei lavori edilizi. C’è la tentazione di sottrarre a qualunque controllo di visibilità e di legalità l’attività di realizzazione delle carceri. L’utilità dell’anagrafe sarebbe enorme; il carcere resta un luogo largamente in ombra. Qualunque capacità di indagarlo e controllarlo è un passo avanti ma vedo una grande ostilità in questo senso”. Difficile stilare una classifica di istituti penitenziari Stefano Silvestre Parlare di carceri più o meno vivibili è un problema complesso. Lo stesso Ministero della Giustizia riconosce che la scarsità di personale, il sovraffollamento e la patologica carenza di risorse economiche non permettono una valutazione oggettiva della situazione negli istituti penitenziari italiani. Difficile quindi stilare una “classifica” di istituti penitenziari “buoni” o “cattivi”. Secondo l’agenzia “Ristretti Orizzonti” è possibile individuare casi di vivibilità “decente” grazie a dei criteri di valutazione come li- Brescia e Belluno tra i peggiori A Padova il detenuto si laurea vello dell’affollamento, idoneità delle strutture, offerta formativa e qualità dell’offerta di progetti lavorativi interni ed esterni. Dalla ricerca effettuata dall’associazione si scopre che i 450 detenuti di Bollate, Milano, possono contare sull’aiuto di 200 volontari e sono liberi di muoversi all’interno del penitenziario dalle 8 alle 20. Situazione che cambia radicalmente a meno di 100 chilometri di di- stanza. I detenuti della casa circondariale di Brescia, infatti, restano chiusi nelle loro celle di otto metri quadrati – in cui vivono anche in sette – anche per 22 ore al giorno. Situazione analoga a Roma. Contrapposto al modello Rebibbia, in cui i detenuti possono usufruire di un programma formativo realizzato con la collaborazione dell’università “Tor Vergata”, e di un laboratorio teatrale, c’è il vecchio carcere di Regina Coeli. Niente acqua calda, impianti elettrici fatiscenti e addirittura un allarme sifilide nel 2008. Anche la vista esterna – il carcere si trova in pieno centro storico – è vietata ai detenuti. Sulle finestre sono state montate le “gelosie”, delle lastre di vetro e ferro, che non lasciano passare la luce. La casa di reclusione di Padova dispone invece di un polo universitario, che conta 25 iscritti, e di corsi di formazione professionale e di alfabetizzazione. Più che dei corsi di formazione, i detenuti del carcere di Belluno dovrebbero preoccuparsi per la propria salute. Sovraffollato del 200 per cento rispetto alla capienza massima, può contare solo su un medico, per tre ore al giorno, e nessun infermiere operativo. E al Sud la situazione non è migliore. Il sovraffollamento è la piaga peggiore, Poggioreale, Favignana e l’”Ucciardone” di Palermo ospitano in media il doppio dei detenuti consentiti, spesso in condizioni igieniche precarie. 26 Marzo 2010 5 Primo Piano Confronto tra Eugenio Scalfari e Pierluigi Battista sulla condizione dei mass media in Italia Senza pluralismo non c’è libertà Dal ruolo dell’editore alla legge per porre fine all’anomalia italiana Francesco Salvatore La piazza televisiva si trasfigura e si moltiplica tornando nel luogo in cui la comunicazione diventa conoscenza. Forzata dall’applicazione rigorosa della par condicio, Ballarò fa lezione alla facoltà di lettere dell’università Roma Tre. Il tema è il rapporto fra la comunicazione, giornalismo e istituzioni. I protagonisti sul palco sono il fondatore de La Repubblica Eugenio Scalfari e l’editorialista del Corriere della Sera Pierluigi Battista. A moderare Giovanni Floris. L’evento è multiplo perché “va in onda” in diretta anche sul sito internet Repubblica.it e ci resterà per una futura fruizione. Finalmente è reale: il web supera la tv e la comunicazione faccia a faccia si riafferma come medium primario di comunicazione. Tra i banchi dell’aula di lettere il focus è il pluralismo. Reclamato da Battista e Scalfari come pietra miliare per un giornalismo libero e democratico. Sbandierato ma utilizzato dalla politica al momento di porre il veto sulla libertà di esprimere il proprio pen- DIRETTA Ballarò va “in onda” dall’aula di lettere di Roma Tre siero. Questo è successo. Con la scusa di voler far parlare tutti gli esponenti politici, si è tolta la voce a chi deve, per professione, parlare. L’approfondimento giornalistico televisivo pubblico è stato soffocato, concordano i due. La critica della par condicio è la premessa da cui partono i due interlocutori per poi passare ad analizzare l’universo mediatico italiano e il rapporto che lo lega a doppio filo con la politica. Il ventaglio di libere voci dovrebbe garantire l’accesso alla visibilità mediatica. È per questo che Scalfari analizza il problema alla fonte: gli editori. In Italia impuri e fuori dalle logiche di mercato. L’anomalia italiana è proprio li. Per Battista un sistema sempre più chiuso che bisogna scardinare. Il problema non è quindi il giornalista, che invece alla luce dell’applicazione della par condicio viene indicato come soggetto fazioso che, con la sua analisi, potrebbe decidere aprioristicamente di chi parlare e come. È tutto qui, per Scalfari, il nodo da sciogliere. Il conflitto d’interesse che lega il presidente del consiglio Berlusconi alla tv pubblica e che lo pone in posizione di dominio possendendo altre tre reti televisive private. La soluzione è per l’ex direttore di Repubblica rendere chi possiede le tv ineleggibile. Attraverso una legge che renda il sistema più democratico. A questa provocazione Battista replica analizzando gli ultimi sedici anni politico-televisivi. Chi ha avuto più potere in Rai ha poi perso le elezioni, perché il voto dipende dall’appartenza e dall’astensionismo. Entrambi sono concordi su un punto: il giornalismo deve preservare, rafforzare, controllare e accompagnare le istituzioni nel proprio ambito. La sfida è la stessa da sempre per la professione. Il giornalismo televisivo è stato fatto in aula oggi, con gli studenti come spettatori, da due emblematici giornalisti della carta stampata. Un incontro diffuso anche sul web in diretta. La commistione tra mass media è sempre più netta. Un ulteriore segnale viene dalla notizia che Il Corriere della Sera farà pagare, chi leggerà dal cellulare, le notizie del suo sito internet. Una conferma in più, per una tendenza registrata nello studio “Cittadini e nuove tecnologie” dell’Istat pubblicato a febbraio 2009 e riferito all’anno 2008 dove si riscontra in Italia un crescente uso di Internet per informarsi: per il 39,3 per cento degli utenti che navigano, il tempo dedicato alla lettura di news online ha sostituito molto o in parte il tempo dedicato a sfogliare giornali e riviste. Siamo davanti a una frontiera che deve essere superata. Il problema è chi accompagnerà questa transizione. Vertice di blogger di fama internazionale a due passi da Montecitorio. Presenti anche politici La rete non deve subire restrizioni Tra le novità un progetto che permette la navigazione in forma anonima Daniele Serio Una giornata ricca di dibattiti, performance e video per rivendicare, pubblicamente, la libera circolazione e condivisione di idee e informazioni sul web. Contro tutte le restrizioni e i tentativi di censura. Al Teatro Capranica, proprio a due passi da Montecitorio, blogger di fama internazionale, associazioni culturali, artisti d’avanguardia e semplici appassionati di informatica si sono riuniti, nella “Festa dei pirati”, per discutere delle nuove caratteristiche di una società dell’informazione e della conoscenza in perenne divenire. Presenti anche personalità politiche di livello nazionale (tra cui il senatore Pd Vincenzo Vita e il leader dell’Idv Antonio Di Pietro, in collegamento da Milano) e locale 6 26 Marzo 2010 aPARLA UN ESPONENTE DEL PARTITO PIRATA SVEDESE «Lotteremo per cambiare il copyright» Gustav Nipe, membro sin dalla sua nascita, nel 2006, ci racconta le idee-guida di questo movimento. Quando siete entrati in politica? “Ci siamo subito candidati alle ‘nazionali’, senza superare, però, la soglia del 4 per cento. Ci abbiamo riprovato la scorsa primavera, per le europee e, con il 7 per cento dei voti, abbiamo conquistato un posto a Strasburgo. Il Trattato di Lisbona, poi, ha assegnato altri due seggi alla Svezia e uno è andato a noi”. Com’è nata l’idea di formare un partito? “Dalla voglia di far sentire la nostra voce su questioni che nessuno in Svezia aveva affrontato e su cui, difficilmente, si sarebbe intervenuti.” Per quali temi vi battete? “Vogliamo riformare la legge sul copyright, abolire il sistema dei brevetti ed assicurare il diritto alla privacy dei cittadini. Lo scopo del copyright era quello di trovare un equilibrio tra gli interessi degli editori e quelli dei consumatori, per promuovere la creazione e la diffusione di cultura. Oggi si è perso. L’uso e la copia non commerciale di opere devono essere libere. Il file sharing va incoraggiato non criminalizzato”. È un partito destinato a durare? “Io lo vedo necessario in questo momento. Non voglio rimanere in Parlamento per sempre ma solamente fin quando i nostri obiettivi saranno raggiunti”. D.S. (come l’assessore al bilancio della Regione Lazio, Luigi Nieri), unite dall’idea che le tecnologie digitali rappresentano, oramai, lo strumento di costruzione di una nuova sfera pubblica. Uno spazio nuovo in cui gli attori, dando vita a forme innovative di interazione sociale, rimettono in discussione le logiche tradizionali della democrazia e della rappresentanza. E la politica non sembra accorgersi che il mondo virtuale funge da volano per attività economiche e politiche auto-organizzate, diventando catalizzatore di nuove realtà. La festa è stata anche l’occasione per presentare alcune interessanti novità come il “Progetto Tor”, un programma che consente di navigare in forma anonima, e “FreeNet”, per la pubblicazione di notizie senza che vengano censurate. NOI E GLI ALTRI Talk show? Nel mondo Vanno forte ITALIA Secondo il rapporto 2009 di Reporter senza frontiere, l’Italia è scesa al 49° posto nella classifica sulla libertà di stampa. In tre anni ha perso quattordici posizioni: era al 44° posto nel 2008 e al 35° nel 2007. A peggiorare le cose ci si è messo il divieto di mandare in onda liberi approfondimenti sui temi elettorali. Niente talk show e niente satira. FRANCIA Les Guignols de l’Info, trasmesso in Francia su Canal+ da 20 anni, e’ uno show comico che ha come protagonisti dei pupazzi. La satira e’ spesso molto efficace e divertente. Un aneddoto recente. Nicolas Sarkozy non ha apprezzato gli sberleffi nei confronti del figlio Jean, perpetrati dai pupazzi di gomma e nel giro di poche ore, sono spariti dalla tv e da internet i filmati. Il “rampollo”, ancora non laureato, avrebbe rinunciato ad una poltrona dopo aver ricevuto accusa di nepotismo. INGHILTERRA Mock the week in onda su Bbc2, uno dei canali pubblici della tv inglese, è uno dei game-show di satira politica più popolari. È una sorta di gara tra i comici, ai quali viene presentata una fotografia su cui devono fare delle battute, oppure una situazione su cui inventare frasi che non avreste mai sentito. USA Ophrah Winfrey, Larry King e David Letterman. Sono gli anchorman i re dell’approfondimento giornalistico negli Stati Uniti. La personalizzazione dei talk show è un must. Si dice che la sanguigna conduttrice di On Air: The Oprah Winfrey Show sia stata capace di “spostare” un milione di voti a favore di Obama nel periodo di campagna elettorale. F.S. Reporter nuovo Costume & Società Il trentatrè giri spopola nei mercati del baratto e dell’usato, non solo fra collezionisti Bentornato vinile. E non è nostalgia Anche se la Emi perde con i Pink Floyd, in molti incidono in analogico Dario Parascandolo In molti credevano che l’insensibile perfezione del compact disc negli anni Ottanta avrebbe soppiantato la scomodità e la vulnerabilità del disco in vinile. Oggi, dopo appena un paio di decenni, il cd ha ceduto il posto al ben più pratico mp3, e il long playing gode di ottima salute, oggetto di culto per appassionati e collezionisti. E l’ascolto analogico, nettamente più gradevole e fedele dell’approssimazione digitale, è soltanto uno dei motivi di questo successo. Mentre i nuovi album dei grandi artisti vengono regolarmente stampati su 33 giri e le discoteche continuano a rimbombare a colpi di vinile, il mercato del disco usato è attualmente un grande business sotterraneo. Vinili rari con errori di stampa ed edizioni originali sono da sempre i pezzi più pregiati e ricercati, venduti o scambiati privatamente e on-line, o in negozi specializzati. Periodicamente, in ogni angolo d’Italia, venditori e amatori si danno ap- puntamento con veri e propri eventi di proporzioni smisurate. Le fiere del baratto e dell’usato sono spesso una vera maratona discografica, con centinaia di stand, spesso specializzati. C’è chi acquista e vende solo Beatles, ancora oggi veri mattatori del collezionismo grazie alle innumerevoli edizioni della loro musica e ad alcune copertine rarissime. C’è chi si occupa solo di 45 giri, o chi commercia esclusivamente punk e new wave a cavallo tra i Settanta e gli Ottanta. Un mondo misterioso e affascinante, probabilmente il vero museo della musica, dal quale diventa impossibile uscirne senza il proprio “souvenir”. Spazi immensi in cui le persone si muovono circondate da Velvet Underground, Led Zeppelin, Doors, Jimi Hendrix, Elvis Presley. E la tecnologia contribuisce a soddisfare la fame di analogico, con nuovi giradischi completi di porta usb, utile a esportare la musica direttamente in mp3. Attenzione però, perché il vero suono del disco si ottiene VINILE The Dark Side of the Moon, popolare album dei Pink Floyd soltanto se il piatto suona con preamplificatore analogico, meglio se a valvole, e casse rigorosamente vintage. Altrimenti, vi saranno ben poche differenze di ascolto con la fredda perfezione del cd. Pioniera del “nuovo” supporto, che negli anni Cinquanta soppiantò il 78 giri, fu la Emi, che per oltre set- tant’anni è stata la culla ideale del genio musicale. L’attività dell’etichetta britannica, infatti, non si è mai limitata soltanto alla produzione e alla distribuzione della musica. Nel 1952 fu la prima casa discografica a stampare sul microsolco a 33 giri. Nata nel 1931 in Inghilterra, la Emi è probabilmente la casa discografica più in- fluente al mondo. Nel suo catalogo troviamo i dischi di artisti del calibro di Beatles, Beach Boys, David Bowie, Coldplay, Radiohead e Pink Floyd. Oggi, purtroppo, la crisi che ha investito il mercato discografico sembra aver travolto la Emi senza possibilità di appello. Il bilancio dello scorso anno, infatti, ha registrato una perdita di oltre un miliardo e mezzo di sterline. Per porre un freno al debito crescente, Terra Firma, la società inglese proprietaria della Emi, probabilmente metterà in vendita gli storici studi di Abbey Road. Un’azione dettata dalla disperazione secondo il Financial Times, che ha sottolineato quanto la Kpmg, revisore dei conti della Emi, sia seriamente preoccupata per il futuro dell’azienda, la cui presenza sul mercato in pochi anni è scesa dal 16 al 9 per cento. Ulteriore ferita è stata inferta dai Pink Floyd, che hanno vinto una causa intentata contro la loro storica casa discografica, condanna- ta a pagare 40mila sterline per le spese processuali, oltre a una multa che sarà quantificata in futuro. La Emi è stata giudicata colpevole dall’Alta Corte di Giustizia di Londra di commercializzato on-line le canzoni della band secondo modi diversi da quelli stabiliti contrattualmente. Infatti, secondo una clausola del contratto firmato nel 1998, la Emi si impegnava a mantenere intatta l’integrità artistica degli album della band britannica. Negli ultimi anni, con l’avvento dei negozi digitali, l’etichetta ha messo in vendita su I-Tunes le singole canzoni, scatenando l’ira di Gilmour e soci, che hanno visto violato il controllo sulla produzione artistica. Secondo i legali della Emi, il contratto esclude la vendita on-line delle canzoni. Ma il tribunale inglese ha definitivamente dato ragione al gruppo, e I-Tunes dovrà ritirare i brani dei Pink Floyd dal commercio. Le versioni originali degli album, invece, continueranno a essere disponibili integralmente. Visita al cimitero acattolico della Piramide, al riparo dal turismo di massa Là dove riposano Keats e altri poeti Tommaso Rodano A Roma c’è un giardino segreto, nascosto tra la Piramide Cestia e Monte Testaccio, custodito al di là della cinta delle Mura Aureliane, all’altezza di Porta San Paolo. Quando si supera la soglia del suo ingresso si prova la sensazione nitida di entrare in un altro mondo, separato dalla città: i rumori sfumano all’improvviso e gli occhi si risvegliano dalle tinte tenui delle strade nei colori accesi di fiori, alberi e piante. Solo le macchie bianche e squadrate del marmo di lapidi, statue e piccoli mausolei lasciano intendere che non si tratta di un giardino qualsiasi: siamo in un cimitero. Quello della Piramide è chiamato in diversi modi: Cimitero degli Inglesi, degli stranieri, dei protestanti, degli artisti e dei poeti. Il suo nome ufficiale è Cimitero acattolico di Roma. È nato alla fine del settecento come luogo dell’eterno riposo di protestanti, Reporter nuovo ebrei, ortodossi e chiunque altro non professasse la fede cattolica. Le regole della Chiesa romana, infatti, vietavano di seppellire i corpi dei non fedeli all’interno del territorio consacrato della città e la zona dove sorge il cimitero ha fatto parte dell’Agro romano fino ai primi anni dell’ottocento. Le cerimonie funebri, addirittura, Anche John Keats ha scelto di essere seppellito in questo camposanto quando è venuto a Roma per il suo ultimo viaggio, già gravemente malato, a soli 26 anni. Sulla sua lapide ha voluto questa epigrafe: “Qui giace uno il cui nome fu scritto sull’acqua”. E una targa sul muro, a pochi passi dalla sua tomba, commemora il Il fascino di questo luogo ha attirato intellettuali, artisti e poeti: tra gli altri Gadda, Shelley, Keats e Gramsci avvenivano di notte, per garantire l’incolumità dei partecipanti dai fanatici religiosi. Eppure il fascino di questo luogo è stato più forte della distanza dal cuore della città: tanti intellettuali, artisti e poeti lo hanno scelto affinché custodisse le proprie spoglie. Qui riposano, tra gli altri, Carlo Emilio Gadda, Percy Byhsse Shelley e August Goethe, figlio del grande Johann. poeta romantico, rispondendo a quei versi: “Keats! Se il tuo nome è scritto sull’acqua / Ogni goccia è caduta dal volto di chi ti piange”. In questo magico angolo di Roma, Pasolini ha tratto ispirazione per scrivere Le ceneri di Gramsci, poemetto dedicato al padre del comunismo italiano: anch’egli sepolto all’ombra della piramide. Non è un caso che questo luogo speciale sia l’ultima dimora di tanti spiriti liberi. L’aria che si respira in questa macchia verde e silenziosa non è quella di un cimitero. Non si avverte la cupezza del luogo di cordoglio, ma una sensazione di profonda pace, e l’impressione che il tempo rallenti la sua corsa. Eppure questo gioiello rimane nascosto e sconosciuto alla maggior parte dei romani. La sua gestione è affidata a un’associazione formata da quattordici ambasciate. Dal Comune non riceve nessun finanziamento: riesce a sopravvivere grazie alle tariffe per le concessioni del terreno, alle donazioni pubbliche e private, alle offerte dei visitatori e all’impegno dei volontari. Così sono in pochi a passeggiare sui suoi viali di ciottoli, tra cipressi, mirti, cespugli di rose e melograni. Ma in fondo è una fortuna che la pace e il silenzio sacro di questo campo non siano turbati dal chiasso del turismo di massa. JOHN KEATS L’ultimo verso del poeta romantico: “Qui giace uno il cui nome fu scritto sull’acqua” 26 Marzo 2010 7 Costume & Società Restaurato nell’omonima piazza il busto marmoreo che dava sfogo alle proteste dei romani Ma oggi Pasquino non fa più paura Pochi i messaggi. Nel Settecento lo spauracchio della pena di morte Giacomo Perra Altro che Facebook. A volte un pennarello può essere più efficace di una tastiera superaccessoriata: d’altronde basta una semplice scritta sul muro o su un monumento per comunicare. Una statua può servire anche a questo, a fissare nel tempo le impressioni della gente. La statua di Pasquino, ad esempio, da più di cinquecento anni è la voce di Roma. Ha dovuto tacere per due mesi causa restauro ma ora è tornata a parlare. Messaggi, appelli, pensieri e invocazioni: il busto marmoreo simbolo della satira contro il potere, papale e non solo, ha accolto ogni tipo di richiesta. Come nel 1501, quando l’influente cardinale di Napoli Oliviero Carafa decise di dislocare questo frammento scultoreo del III secolo a. C. nella piazza di Parione, l’odierna piazza di Pasquino, dove ancora si trova, c’è chi se ne serve per scagliare i suoi strali al potente di turno. Berlusconi, naturalmente, è uno dei bersagli preferiti. Io, di tutti MONUMENTO La statua di Pasquino raffigura in realtà l’eroe greco Menelao sono il meglio/ non son certo stare fermo/ ogni giorno son più sveglio/ e sto sempre sullo schermo/ bello, ricco, sovraumano .../ vota MI, son il Caimano”. È solo uno dei messaggi che raccontano con fantasia e licenza poetica l’arte dello sberleffo politico applicata al ventunesimo secolo ma quanta differenza col passato. Se nei secoli scorsi facevano tremare papi e cardinali, adesso le pasquinate, (da Pasquino, il popolano romano che per primo osò sfidare il potere con l’ironia dei versi) non possiedono più la stessa carica eversiva. Quella forza è stata un po’smorzata nei banali riferimenti alla vita quotidiana: così, tra la promessa d’amore di due fidanzatini, manco fossimo a Ponte Milvio, “22-03-10 Laura e Marco si amano”, l’impennata d’orgoglio campanilistico di una scolaresca forse leghista,“Bergamo domina” e il saluto alla Città Eterna di una comitiva di tedeschi in vacanza, “Arrivederci Roma, Karlsruhe”, si fa fatica oggi a percepire l’irritazione e il fastidio per i potenti di allora. Eppure diversi fu- rono i tentativi di eliminare la statua e nel 1523 il forestiero Adriano VI (ultimo papa “straniero” prima di Giovanni Paolo II), ordinò invano di gettarla nel Tevere. Durante il pontificato di Benedetto XIII addirittura si arrivò a emanare la pena di morte, la confisca e l’infamia a chi si fosse reso colpevole di pasquinate. L’ironia dei writers contemporanei, invece, riesce al massimo a produrre le divertite dichiarazioni di Francesco Giro, sottosegretario ai Beni culturali del Comune di Roma, nel giorno della nuova inaugurazione del monumento: «Con tutto quello che sta accadendo in questi giorni non oso immaginare cosa comparirà già oggi sulla statua di Pasquino». Dov’è finito, allora, lo spirito battagliero degli antenati? Forse si è perso nella comunicazione di Internet e dei social network oppure è stata cancellato dall’indifferenza dei nostri giorni. Chi lo sa? Può darsi che ancora sia racchiuso in quel busto di marmo; non raffigura forse Menelao, un guerriero greco? Professione stuntman: acrobata, maestro d’armi, pilota, rischiando la pelle E le “stelle” stanno a guardare La controfigura vola giù dal palazzo al posto di Johnny Depp Daio Parascandolo Lo abbiamo visto innumerevoli volte sul grande schermo, ma in pochi conosciamo il suo nome. Theo Kypri ha 41 anni, è nato e cresciuto a Londra, è alto un metro e 78 centimetri e pesa 70 chili. Nel 1994 si è classificato ottavo ai campionati mondiali di nuoto, ma è anche spadaccino, acrobata, pugile, coreografo di combattimenti ed esperto di arti marziali. In questi giorni il suo nome ha fatto il giro del mondo grazie a uno spericolato salto nel vuoto a Venezia, durante le riprese di The Tourist, spettacolare thriller con Johnny Depp e Angelina Jolie. Attualmente la principale occupazione di Kypri è salvare la pelle alle star durante le sequenze più pericolose dei film. È uno stuntman professionista, che ha esordito nel 1997 in Shooting Fish come controfigura di Stuart Townsend. Da allora la sua carriera ha spiccato il volo. Frank ha prestato la sua bravura atletica, e la sua incoscienza, a pellicole quali Tomb Rider, Master and Commander, Terminator 3, Il 8 26 Marzo 2010 Fantasma dell’Opera, La Guerra dei Mondi e Avatar. Figura spesso nell’ombra, ma di fondamentale importanza per la buona riuscita del film, lo stuntman è il perno di ogni sequenza d’azione. È il cascatore, l’acrobata, il pilota, l’esperto di scherma, a seconda delle esigenze della professione. Genericamente utilizzato per le riprese di cadute o senza neanche far sentire calore. Ma può accadere che il regista non si accontenti e pretenda un uomo-torcia con il volto scoperto. È il caso del cineasta Gabriel Cash, che in Destiny Angel ha chiesto allo stunt italiano Gabriele Mansueto di prender fuoco senza protezioni sul viso. L’Italia, si sa, non possiede i mezzi economici di Hollywood, e le Per realizzare scene con le fiamme le “torce umane” si ricoprono di gelatine speciali infiammabili anche a torso nudo tuffi, allo stuntman acrobata sono affidati esercizi rischiosi, per i quali sono spesso indispensabili competenze circensi, mentre il maestro d’armi si occupa dei duelli, e dei combattimenti, con lame di tutte le epoche. Ma come funzionano le “scene con le fiamme”, quando gli stunt si trasformano in vere torce umane? Negli Stati Uniti adottano gelatine speciali che, perfino a torso nudo, riescono a prendere fuoco controfigure indossano tute da lavoro in cotone, imbevute di acqua e olio di paraffina, un composto di collante e benzina facilmente infiammabile. Anche le acrobazie automobilistiche, altamente pericolose, non sono un mistero. Un’auto, per andare su due ruote sole, ha il differenziale bloccato e le gomme gonfiate a sei atmosfere (di media una berlina ha una pressione di due atmosfere). Inoltre, negli schianti spettacolari, la buona riuscita della scena è affidata esclusivamente alla bravura dei piloti. Ancora oggi, infatti, lo stuntman compie voli da altezze incredibili con la propria auto, e gli sballottamenti interni sono reali. Il pilota, per ammortizzare i colpi, assume posizioni ben studiate, mentre gli sportelli sono saldati. Nei casi produzioni più ricche, nell’abitacolo vengono montati i rollbar come nelle auto da rally. In questo modo si evita che il pilota rimanga imprigionato durante la deformazione della macchina. Questa professione, inutile ricordarlo, è pericolosissima. Per questo i trucchi del mestiere sono custoditi gelosamente, evitando così il rischio di emulazione. E può capitare di lasciarci la pelle, come è capitato a Niccolò Egidio Ricci, che durante le riprese della fiction Vite Sospese ha perso la vita in seguito a una caduta. Niccolò non si è più rialzato dal materasso che doveva attutire il volo da un’impalcatura. L’episodio del serial era intitolato, scherzo della sorte, Morti Bianche. STUNTMAN MIKE Kurt Russell in Death Proof di Tarantino Reporter nuovo Settimanale della Scuola Superiore di giornalismo “Massimo Baldini” della LUISS Guido Carli Direttore responsabile Roberto Cotroneo Comitato di direzione Sandro Acciari, Alberto Giuliani, Sandro Marucci Direzione e redazione Viale Pola, 12 - 00198 Roma tel. 0685225558 - 0685225544 fax 0685225515 Stampa Centro riproduzione dell’Università Amministrazione Università LUISS Guido Carli viale Pola, 12 - 00198 Roma Reg. Tribunale di Roma n. 15/08 del 21 gennaio 2008 [email protected] ! www.luiss.it/giornalismo Reporter nuovo