Numero 10 - Reporter nuovo

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Numero 10 - Reporter nuovo
Anno III - Numero 10
Settimanale della Scuola Superiore di Giornalismo della Luiss Guido Carli
26 Marzo 2010
Reporter
nuovo
Carceri affollate
Raddoppio
delle pene
Netanyahu
Leone in casa,
agnello in Usa
Ambiente
Affari d’oro
per chi inquina
Pasquino
Oggi la statua
non fa paura
ALL’ULTIMO
SLOGAN
SUI MURI E NON SOLO. SI CHIUDE IL DUELLO TRA I PARTITI PER LE REGIONALI
Politica
Elezioni regionali. Sui tabelloni e sui muri delle città frasi di ogni genere per catturare voti
Se ben fatto, lo slogan fa vincere
“Ti puoi fidare”, “Con te”, “Parla con me” i più concisi delle opposte fazioni
Stefano Petrelli
Un volto sorridente, una
frase accattivante. È anche
così che i politici cercano di
accaparrarsi gli ultimi voti,
con uno slogan che possa rimanere impresso nella mente dei cittadini, capace di
orientare la loro preferenza.
Ed è una sfida all’ultimo slogan. Ancora una volta, per le
elezioni regionali, la politica
ha “impacchettato” palazzi,
strade e tabelloni nelle aree
dove il 28 marzo si va alle
urne.
La campagna del 2009 sarà
ricordata come “la campagna dell’amore”, invocato più
volte dagli interventi del presidente del Consiglio e fulcro
dello slogan che campeggiava alle spalle del Cavaliere nella manifestazione del 20 marzo a piazza San Giovanni a
Roma: “L’amore vince sempre
sull’invidia e sull’odio”. Con
l’ingresso nel confronto politico di questa riedizione dell’ovidiano “omnia vincit
amor” si è assistito ad un dibattito tutto incentrato sulle
categorie elementari, per cui
gli avversari diventano i “paladini” dell’odio e dell’invidia,
poiché vorrebbero essere
come il premier che è eletto
perché è amato (non perché
deve governare).
Ma “la guerra degli slogan”
non si è fermata a questo
aspetto ed ha continuato ad
imperversare. A colpi di cartelloni 6x3, volti famosi e
meno famosi della politica
italiana si sono fatti accompagnare da frasi più o meno
LA GENESI
MINI-COMPENDIO DEI DETTI PIÙ CELEBRI
Perentori, invitanti, duri
Da Mussolini a Obama
Scorrendo gli slogan elettorali che sono rimasti nella storia, il più famoso, seppure appartenente alla fizione cinematografica, è il martellante “Votantonio”, che accompagnò la campagna dell’improbabile candidato Antonio La Trippa (interpretato da Totò), nel film del 1963 di Sergio Corbucci “Gli onorevoli”. Nella competizione politica reale, Mussolini per le elezioni del 1924 scelse l’intimidatorio “Camerati, questa è la mia scheda. Votatela!”, quasi un preludio del clima di violenza e di intimidazione in cui si svolsero le consultazioni. Passando all’Italia repubblicana,
non si può non citare l’originale “Nel segreto dell’urna, Dio
ti vede, Stalin no!»”- Slogan inventato da Giovannino Guareschi sul “Candido”, poi riportato anche sui manifesti e della Democrazia Cristiana contro il Fronte Democratico Popolare nelle elezioni del 18 aprile 1948. Il secco “Roma Ladrona”, invece, ha contribuito alle fortune elettorali della
Lega Nord degli anni Novanta. Facendo un salto oltre oceano, i più efficaci sono stati :”Guerra al terrore” coniato da
George W. Bush dopo l’attacco dell’11 settembre 2001 e vero
leit motiv della sua campagna per la rielezione, e «Yes, we
can!» di Barack Obama, che ha avuto un notevole peso per
l’elezione del primo presidente di Colore negli Usa.
S.P.
efficaci e riuscite, noncuranti delle polemiche sulla par
condicio e del caos liste.
Nel Lazio accanto al “Ti
puoi fidare” dei manifesti della Bonino e al “Con te” di
quelli della Polverini è comparso il più fantasioso “Parla
con me” (con chiaro riferimento al film di Almodovar
“Parla con lei”) del candidato del Pdl Eder Mazzocchi,
l’enigmatico “Il Lazio è di
chi lo fa” di Adriano Palazzi
(anche lui del Pdl). La sinistra
invece quest’anno ha puntato “sull’ostentazione dell’anonimato” con lo slogan di
suggestione manzoniana “Chi
è costui?” di Vincenzo Maluccio (Idv), a cui ha risposto Luigi Nieri (Sinistra ecologia e libertà) con il suo” Nieri chi? Quello delle periferie”.
Se nel Lazio la fantasia
non è mancata, le altre regioni dove si rinnovano le amministrazioni non sono state
certo da meno. Una menzione particolare spetta alla Pu-
Una scelta
a misura
di faccia
L’AMORE L’ultimo slogan di Berlusconi diventa un libro
glia dove il candidato del Pdl
Rocco Palese ha usato un
gioco di parole – “È Palese, il
presidente” – per lanciare la
sfida al presidente uscente
Nichi Vendola che ha sfoderato la poesia. Con i suoi manifesti di-versi con slogan in
rima baciata ha illustrato il
suo programma, dal “Poche
storie, via smammare, disse il
sole al nucleare” per rilanciare le energie rinnovabili fino
al “Giù le mani dalla brocca,
l’acqua è nostra e non si toc-
ca” per la difesa dell’acqua
bene pubblico. Più prosaica e
più verace, invece, la terza
candidata pugliese, Adriana
Poli Bortone, che per la sua
campagna ha scelto lo slogan
“Orgogliosamente terrona”.
Infine, non sono mancati
nemmeno gli slogan nostalgici: è il caso della governatrice uscente del piemonte
Mercedes Bresso che con il
suo “Avanti Piemonte” ha ricordato motti di sabauda memoria.
Da spazi importanti di democrazia e partecipazione a contenitori vuoti che annoiano gli italiani
C’era una volta la Tribuna politica
Francesco Paolelli
“Il servizio pubblico deve
entrare nelle case degli italiani con educazione, togliendosi
le scarpe” amava ripetere Jader Jacobelli celebre icona
della Rai degli anni Sessanta.
Fu lui il primo a condurre le
tribune elettorali, all’epoca
un’assoluta novità nel panorama televisivo nazionale.
Andreotti, Berlinguer, Fanfani, Almirante e Pannella
sono solo alcuni dei leader
che decisero di partecipare
perché avevano compreso
l’importanza di questo tipo di
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trasmissioni per entrare nelle case degli italiani. La politica del Bel Paese si “americanizzava” nell’impatto mediatico perché utile per fini
elettorali.
Da allora molta acqua è
passata sotto i ponti della Rai
e oggi le tribune politiche
sono diventate uno spazio televisivo poco importante al
quale partecipano le seconde
e terze file degli opposti schieramenti politici. Nonostante
gli ascolti siano in calo dagli
anni Ottanta, la struttura di
produzione è diventata ancora più importante tanto da me-
ritarsi la promozione a vera e
propria testata giornalistica
autonoma.
Ugo Zatterin, Villy De
Luca, Luca Di Schiena e
Giorgio Vecchietti sono alcuni
dei grandi giornalisti che si
sono alternati alla guida delle tribune politiche. Oggi signora incontrastata è Giuliana del Bufalo. Direttore di Rai
Parlamento dal 2007 quando
succede a Clemente Mimum
alla guida delle tribune elettorali.
Già socialista di osservanza craxiana, la Del Bufalo è stata direttore generale della Fe-
derazione nazionale della
stampa prima di diventare vicedirettore del Tg2 nel 1990 e
poi assistente per l’informazione dell’ex presidente Rai,
Letizia Moratti.
I primi di marzo saputo
della decisione del consiglio di
amministrazione della Rai di
chiudere i talk show, come
Anno Zero e Ballarò, per lasciare spazio alle tribune politiche, la Del Bufalo si è ritrovata ad essere al centro dei
delicati equilibri di potere di
viale Mazzini. Ma subito si è
affrettata a far sapere che“non
c’è programmazione né grup-
pi parlamentari da far confrontare in tv”. Insomma,
mancano sia i giornalisti che
i politici. E a dar retta all’auditel mancano anche i telespettatori. Infatti lo share
medio è del 2,48 per cento
che corrisponde a 718 mila
spettatori. Una vera e propria
fuga del pubblico televisivo
che conferma il declino delle tribune politiche. Da spazi fondamentali di democrazia a contenitori vuoti della
durata di una manciata di minuti, sparsi qui e lì nei palinsesti per rispettare il sacro
nume della par condicio.
Per capire come nasce
uno slogan ne abbiamo
parlato con Martino Bellincampi che si occupa
di comunicazione politca per la “Yoyo”. Secondo Bellincampi “lo slogan, la semantica del
messaggio, è parte di un
equilibrio che si instaura anche con l’iconografia del personaggio: viso,
abbigliamento sguardo,
tutti elementi che devono servire alla caratterizzazione del politico,
che è fondamentale per
farsi scegliere”. Da un
punto di vista tecnico
“non esistono differenze
sostanziali tra la comunicazione su di una macchina, un detersivo o un
Presidente della Repubblica. Non amano che si
dica ma, dopotutto, non
dovrebbero fare pubblicità se non desiderano
trovarsi su un manifesto”.
Ma quanto contano
gli slogan? Nel febbraio
del 2008 una ricerca dell’Istituto Ipr Marketing,
condotta alla vigilia delle amministrative che
vedevano cotrapposti
Berlusconi e Veltroni, ha
rilevato che i manifesti
non “entusiasmano” e
che solo un terzo dei cittadini ricorda di averli
notati per strada. A leggere i risultati, inoltre,
sembra che i messaggi
dei partiti siano stati diretti più ai propri elettori che agli indecisi,
ovvero i cittadini che
bisogna aggregare per
vincere le elezioni. Infatti, in quella occasione, il ricordo dei manifesti di Veltroni era più
forte tra i votanti del Pd,
così come la visibilità di
quelli di Berlusconi era
maggiore tra i votanti
del Pdl. Sempre secondo
la ricerca, l’elemento
che più colpiva gli elettori era il viso del candidati.
S.P.
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Economia
In un libro-inchiesta sugli attentati all’ambiente e alla salute emergono vittime e profittatori
Affari d’oro per chi avvelena l’Italia
Nomi e ditte che continuano a inquinare da Nord a Sud. Spesso impuniti
Tommaso Rodano
Il Belpaese sta bruciando
nel veleno. Le sostanze tossiche sono ovunque: nel cibo,
nell’aria e nell’acqua che consumiamo inconsapevolmente.
In Italia ogni anno muoiono
35 mila persone a causa delle sostanze ingerite e inalate,
altre 500 mila si ammalano; il
territorio inquinato ha una superficie di quasi 70 mila metri quadrati: un’area grande
quanto la Corsica, più della Liguria. È un quadro inquietante, quello descritto da Così
ci uccidono di Emiliano Fittipaldi, tenace giornalista de
l’Espresso. Un’inchiesta coraggiosa e documentata che
porta alla luce, con nomi e cognomi, gli aspetti più controversi di una situazione drammatica, e largamente ignorata: quella del nostro paese, delle sue terre e della salute dei
suoi cittadini.
A partire dal cibo e dai prodotti tipici che hanno reso celebre la nostra tradizione culinaria. La mozzarella di bufala
campana, per esempio. Una
prelibatezza alla diossina. Buona parte degli allevamenti in
cui pascolano le bestie sono
della camorra e sorgono sopra
a discariche abusive impregnate di sostanze tossiche.
Per non parlare dell’olio extravergine d’oliva che ha impreziosito i piatti di alcuni ristoranti di Torino: in realtà olio
di semi tinto con la clorofilla.
E poi latticini scaduti, rilavorati e rimessi in commercio; vinacci allungati con l’acido
cloridrico spacciati per pro-
INTERVISTA CON EMILIANO FITTIPALDI, AUTORE DI «COSÌ CI UCCIDONO»
CORAGGIOSO
Il giornalista
dell’Espresso
ha pubblicato nel
suo libro nomi e
cognomi di chi
danneggia
l’ambiente nel
nostro paese
«E Roma rischia la fine di Napoli»
Fittipaldi, la sua inchiesta ritrae
una situazione impressionante. Quali sono gli strumenti per l’informazione e la tutela di cittadini e consumatori?
«Sono pochi, in confronto alle enormi devianze del sistema. Non è facile.
Per quanto riguarda l’alimentazione, sul
sito dell’Unione europea c’è un bollettino che riporta la lista delle marche che
hanno messo in commercio cibo “avvelenato”. Invece per l’acqua pubblica
ci si può informare attraverso il Comune. Se ne può conoscere la composizione minerale, e se sono state chieste delle deroghe: in quel caso significa che la quantità di minerali nocivi di
cui è composta supera il limite legale».
Qual è l’aspetto più grave del problema: il comportamento dei privati,
la connivenza delle istituzioni o l’inadeguatezza delle sanzioni penali?
«L’ultimo che hai elencato. Criminali
e speculatori ci sono stati, ci sono e ci
saranno sempre. Quando vengono
trovati i “sofisticatori alimentari”, le
pene sono talmente esigue che a loro
conviene comunque continuare nella
loro attività. Invece per i grandi inquinamenti delle emissioni industriali e del traffico dei rifiuti, mancano gli
strumenti legislativi che permettano
condanne severe. Il reato ipotizzato che
possono utilizzare i pm è il “getto di
cose pericolose”, dal quale in genere risultano pene pecuniarie, o inferiori ai
tre anni. Il risultato è che inquinare conviene: gli affari che fanno i criminali
sono giganteschi e le pene sono risibili».
Nel libro accenna alla situazione di
Malagrotta. Quale scenario si prefigura
a Roma e nel Lazio al momento dell’inevitabile chiusura?
«Malagrotta doveva essere chiusa
quattro o cinque anni fa. Di proroga in
proroga tra le varie amministrazioni si
è sempre deciso di allungarle la vita.
Ancora non è stato individuato il sito
per una nuova discarica: si è parlato della località di Allumiere, ma siamo ancora all’anno zero. Roma rischia di fare
la fine di Napoli molto prima di quanto si possa pensare».
In Italia, come lei scrive, le aree inquinate occupano un territorio grande quanto la Corsica. Ma invece di investire in un progetto di bonifica, si
pensa al nucleare. Come si riforma
una situazione del genere, a livello ambientale e, soprattutto, culturale?
«Nel prologo del mio libro scrivo di
Stefania Prestigiacomo: il ministro dell’ambiente è proprietario di una fabbrica
a Priolo, nel siracusano, che ha subito due inchieste per danneggiamento
ambientale e violenza sugli operai. È
difficile essere ottimisti. Bisogna sforzarsi di diffondere una cultura ambientale che in questo paese, oggi, non
esiste».
T.R.
dotti Doc e falde acquifere avvelenate a cui attingono intere città. “Sofisticare il cibo, risparmiare sulla materia prima
e usare conservanti e additivi
pericolosi è un affare troppo
redditizio. Il veleno nel piatto sta diventando una certezza, un fenomeno subìto passivamente dal consumatore”,
scrive Fittipaldi.
Con la qualità dell’aria gli
italiani non se la passano
meglio. In alcune zone la situazione è insopportabile. Il
termovalorizzatore di Colleferro, a pochi chilometri da
Roma, per anni ha bruciato di
tutto, fino all’intervento della procura di Velletri nel
2009: ferro, pneumatici, materassi, fili di rame, amianto.
L’Ilva di Taranto, la più grande acciaieria d’Europa, che
produce da sola il 92 percento
della diossina del nostro Paese, ha “regalato” alla cittadina pugliese una mortalità
più alta del 17 percento rispetto a quella regionale.
L’Eternit di Casale Monferrato ha sommerso di amianto la
provincia di Alessandria: ha
ucciso, e continua a farlo, più
di 1600 persone.
E sono ancora innumerevoli i casi di ordinaria illegalità raccontati da Fittipaldi.
In cui l’avidità dei privati,
l’inadeguatezza delle sanzioni
penali legate ai reati ambientali e la passività della politica (quando non è aperta connivenza) permettono lo scempio quotidiano del territorio
del nostro Paese e un attentato violento, spesso silenzioso,
alla nostra salute.
Decreto Ronchi e Acea: Gdf Suez e Caltagirone puntano sulla privatizzazione
Paolo Riva
A quattro mesi dal decreto
Ronchi e a pochi giorni dalla
manifestazione per togliere
l’acqua dal mercato, a Roma si
gioca una partita cruciale per
la liberalizzazione dei servizi
idrici. É quella di Acea, la
multiutility quotata in borsa
che presto prenderà decisioni
importanti per il futuro dell’acqua non solo nella capitale, ma in tutta la penisola.
Secondo il decreto, infatti,
Acea dovrà far scendere il capitale azionario pubblico al
quaranta percento entro il
2013 e al trenta entro il 2015.
Ora il Comune di Roma detiene il 51 percento delle azioni, ma due sono gli azionisti di
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Chi cammina sull’acqua di Roma?
Mesi decisivi per il futuro del servizio idrico della Capitale
minoranza fortemente interessati ad accrescere le loro
quote: Gdf Suez e Francesco
Gaetano Caltagirone.
“Sono due dei soggetti con
maggiore interesse per il settore
in Italia” spiega il giornalista di
Altreconomia Luca Martinelli. “Entrambi, infatti, sono anche partner di Acea in altre regioni. Per questo la vicenda
rappresenta meglio di ogni
altra quel che significherà la
progressiva apertura dei servizi
idrici al privato”.
Da una parte, con il 9,9 percento delle azioni, Gdf-Suez è
la più grande realtà mondiale
in campo idrico che cerca di rifarsi delle perdite nei mercati
del sud del mondo entrando in
quelli dei paesi ricchi. “Un documento interno all’azienda recuperato dall’antitrust -prosegue Martinelli che ha appena pubblicato il libro L’acqua è
una merce - rivela che i francesi
stanno usando Acea come cavallo di Troia per il mercato italiano”.
“Caltagirone, invece, ha
scommesso sull’acqua per la
Vianini industrie. È un’azienda che realizza tubi, piloni e
prodotti idraulici in cemento
e sarebbe molto interessata ai
60 miliardi di investimenti
che il sistema nazionale necessita”. E infatti, il pacchetto
azionario dell’imprenditore
romano è passato negli ultimi
otto anni dal due all’8,9 percento. Ora, per entrambi gli
azionisti l’opportunità di aumentare le proprie quote è
ghiotta. Specialmente dopo
che a febbraio Alemanno ha dichiarato al Sole24ore di voler
“avviare il processo di privatizzazione entro l’anno... con
partner legati al territorio, fondazioni, imprenditori... una
platea la più ampia possibile,
per non avere un socio privato prevalente”.
I prossimi mesi saranno
quindi decisivi per capire chi
tra la multinazionale francese
e l’imprenditore romano camminerà in futuro sulle acque
della capitale. Indicazioni importanti potrebbero arrivare
dall’assemblea di bilancio del
30 aprile, ma soprattutto dal
voto regionale per il quale
l’Udc di Casini, genero di Caltagirone, ha deciso di appoggiare la candidata Pdl Renata
Polverini. Nell’attesa, però,
l’economista Carlo Scarpa, che
da anni si occupa del tema, avverte: “Serve cautela con i privati nelle società miste. Acea ha
imparato molto da Gdf-Suez e
avere un socio industriale di
alto livello in un’impresa di
questo genere è positivo. Scegliere invece un semplice costruttore rende il discorso un
po’ più complicato, ma questa
-conclude- è una decisione
politica”.
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Mondo
Continua il braccio di ferro sugli insediamenti a Gerusalemme. Strategia ambigua di Netanyahu
Leone in casa, agnello negli Usa
A rischio il processo di pace. E sull’andamento dei colloqui è black out
Stefano Silvestre
Un’ora e mezza di colloquio
in atmosfera positiva. Questa
l’unica indiscrezione trapelata
dai portavoce statunitensi riguardo l’incontro tra Barack
Obama e il premier israeliano
Benjamin Netanyahu. Un
black out di comunicazione,
forse voluto, se si pensa alle
voci che si rincorrono sui
quotidiani israeliani, che parlano di fallimento totale dei
colloqui e di una tensione
palpabile nell’incontro alla
Casa Bianca. Niente di ufficiale,
quindi, se si tralasciano le dichiarazioni rilasciate dal premier israeliano appena arrivato negli States. «Bibi» aveva infatti tuonato contro la condanna del Quartetto – Onu,
Stati Uniti, Russia e Ue – alla
costruzione di nuovi insediamenti israeliani nel settore
orientale di Gerusalemme. La
zona destinata a diventare la
futura capitale dello stato palestinese. A gettare benzina sul
fuoco c’erano poi state le dichiarazioni del numero uno
delle Nazioni Unite, Ban Ki
Moon, che al suo arrivo in Ci-
IRREMOVIBILE
Benjamin
Netanyahu,
leader del Likud
è stato eletto nel
Marzo
del 2009.
È al suo
secondo
mandato da
primo ministro
sgiordania, aveva insistito sulla revoca del blocco della striscia di Gaza, definendola causa di «inaccettabili sofferenze»
per il popolo palestinese. In risposta, Netanyahu aveva chiuso la porta, ricordando la posizione del suo governo riguardo agli insediamenti: «Gerusalemme non è una colonia,
è la nostra capitale. Il popolo
ebraico ha costruito Gerusalemme tremila anni fa, e continua a costruirla ora». Anche
al Congresso, dove è stato sa-
lutato calorosamente dai leader democratici e repubblicani, Netanyahu è stato chiaro,
e in riferimento alle richieste
palestinesi di blocco dei nuovi insediamenti ha detto: «Non
possiamo farci intrappolare
da domande illogiche e irragionevoli. Questo potrebbe
bloccare i negoziati per un altro anno».
Una linea di pensiero vecchia di più di quarant’anni, che
ha fatto preoccupare non poco
per il destino del percorso di
pace, interrotto dal dicembre
2008. Poi è arrivata la marcia
indietro con Obama. «La costruzione di nuovi insediamenti non preclude in nessun
modo la convivenza dei due
Stati». Dichiarazioni contrastanti, che rendono l’idea della situazione politica in cui è
costretto a barcamenarsi il
leader del Likud. Stretto tra
due fuochi, quello della destra
nazionalista israeliana e quello delle lobby statunitensi,
Netanyahu deve di volta in
volta bilanciare il peso delle
proprie dichiarazioni. Così
può capitare che faccia la
voce grossa con il vice presidente Biden e il Segretario di
Stato Hillary Clinton, per poi
aggiustare il tiro con Obama
il giorno dopo.
Questo ambiguo braccio di
ferro può essere letto in più di
una chiave paradossale. Secondo Aluf Benn, corrispondente diplomatico di Haaretz, il goffo tentativo di Netanyahu di portare il Congresso contro le decisioni di
Obama ha causato un crollo
d’immagine del leader israeliano negli Usa. Benn fa notare, infatti, che l’amministrazione statunitense ha finto di accettare di buon grado
l’arroganza dimostrata dal
premier israeliano con Biden
e la Clinton, per poi giocare
con Netanyahu come con un
«bambino indisponente». A
questo punto – continua Benn
– il leader del Likud torna a
Tel Aviv con un’immagine da
ricostruire e una decisione da
prendere: con gli Usa o con i
coloni. Insomma, Bibi ne esce
con le ossa rotte.
Al Centro studi americani un dibattito sull’ultimo libro dello storico Arthur Schlesinger
Guerra all’Iraq, un grande errore
Unilateralismo e isolazionismo fattori guida della politica estera Usa
Irene Pugliese
La decisione più grave in
democrazia è entrare in guerra. Lo insegna la storia e
l’America lo sa bene. Historia
magistra vitae, ma è sempre
così? Lo storico americano Arthur M. Schlesinger, morto nel
2004, vincitore due volte del
premio Pulitzer, pensava di sì
e proprio per questo era fortemente scontento della guerra preventiva che George W.
Bush aveva deciso di intraprendere in Iraq, nonostante
le lezioni del passato. E questo malcontento l’ha espresso
in un libro, War and the American presidency.
«Ci furono due guerre
americane separate: la guerra
contro il terrorismo, simboleggiato da Osama bin Laden;
la guerra contro l’Iraq, simboleggiata da Saddam Hussein. Io avrei dato alla guerra
in Afghanistan la massima
priorità. Se avessimo fatto
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così, avremmo molto proba- litico degli Usa partendo dal- presidenti precedenti – da
bilmente schiacciato al-Qaeda l’unilateralismo, dottrina an- F.D. Roosevelt a Bill Clinton –
e catturato Osama. Mr. Bush tica nella storia americana. avevano promosso il principio
preferì la guerra in Iraq. Sic- L’autore dimostra come Bush dell’azione collettiva, con l’atcome lui è presidente e io no, junior abbia cambiato la poli- tacco all’Iraq Bush figlio è rila sua preferenza ha vinto». tica degli Stati Uniti al punto tornato all’unilateralismo. Non
Questa la dura opinione di che oggi l’America ha un vol- più deterrenza e contenimenSchlesinger, letta da Giuliano to del tutto differente. L’11 set- to a giustificare un intervenAmato durante la presenta- tembre e le guerre in Afgha- to militare, bensì guerra prezione del libro al Centro stu- nistan e in Iraq hanno pro- ventiva. Strategia fortemente
di americani di Roma di fron- fondamente inciso sul sogno criticata da Schlesinger e con
te a ospiti
lui dai relatod’eccezione:
ri intervenuti
F r a n c e s c o «Io avrei dato la priorità alla guerra in Afghanistan alla presentaRutelli, Nicozione. «SpesSe avessimo fatto così,
lò Sella di
so gli Stati
Monteluce, avremmo schiacciato al-Qaeda e catturato Osama» Uniti dimenp re s i d e n t e
ticano il prindella casa edicipio fondatrice Treves, Giovanni Maria americano. Per Schlesinger, i mentale secondo il quale la
Flick, ex presidente della Cor- due interventi militari furono mia libertà finisce dove cote costituzionale e Ferdinan- condotti in modo errato e le mincia quella del mio vicino»,
do Salleo, presidente del cir- conseguenze sono all’eviden- ha commentato Salleo. E ancolo di studi diplomatici di za di tutti: un’America sempre cora: «Il patriottismo che un
Roma.
più pesantemente impegnata americano deve avere verso la
Grido d’allarme contro la in conflitti che ne stanno ero- propria bandiera è ancora vapolitica estera dell’ex presi- dendo la struttura economico- lido quando un presidente si
dente americano, il testo ana- sociale senza conseguire ri- arroga un potere che va al di
lizza le radici del sistema po- sultati apprezzabili. E se i là della Costituzione?», si do-
manda invece retoricamente
Monteluce. Questioni fondamentali per la conservazione
della democrazia, visto che
troppo spesso l’America ha
considerato la propria visione
politica come universalmente valida, mirando «a far coincidere – come ha sostenuto
Rutelli - l’interesse nazionale
con quello globale».
Nonostante l’ultima amministrazione Obama non
sembri fare eccezione, rimane forte la speranza nel cambiamento: una diversa politica
estera, che da unilaterale e
isolazionista si trasformi in
multilaterale, aprendosi anche alle nuove entità in via di
sviluppo, come Cina, Africa
e India.
Bush ha ereditato un mondo completamente americano,
ma ha consegnato al suo successore un mondo post-americano. Ora starà a Obama fare
in modo che questo mondo
non diventi anti-americano.
BIBI-PENSIERO
Dodici anni
pieni
di rifiuti
NOVEMBRE 1998
Inizia la politica del
rifiuto di Netanyahu. Al
suo primo mandato da
premier, inaugura la politica dei “tre no”. No al
ritiro dalle colline del
Golan, no alle discussioni su Gerusalemme,
no alle negoziazioni sottoposte a precondizioni.
APRILE 2009
Subito dopo aver assunto il suo secondo
mandato da Primo Ministro, Netanyahu accoglie l’inviato speciale di
Obama, George Mitchell, dichiarando che
ogni futuro colloquio
sarebbe stato subordinato al riconoscimento
dello stato israeliano da
parte dei palestinesi.
MAGGIO 2009
In occasione del primo incontro alla Casa
Bianca con il presidente
Usa Barack Obama,
“Bibi” rifiuta di sostenere
la soluzione dei due stati proposta dal neoletto
presidente statunitense,
respingendo inoltre il
“congelamento” degli
insediamenti a Gerusalemme est.
GIUGNO 2009
Nel suo discorso all’università Bar-Ilan, a
giugno del 2009, dopo
aver dichiarato - “alcuni
dicono che se non ci
fosse stato l’Olocausto,
Israele non sarebbe esistita. Ma io dico che lo
stato di Israele sarebbe
stato fondato prima, se
non ci fosse stato l’Olocausto” - Netanyahu afferma che avrebbe accettato uno stato palestinese solo se questo
avesse accettato di non
disporre di un esercito e
avesse riconosciuto Gerusalemme come capitale ufficiale di Israele.
S.S.
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nuovo
Cronaca
Intervista a Luigi Manconi, ex sottosegretario alla Giustizia: le cifre, i problemi, le soluzioni
Così il carcere raddoppia la pena
Celle troppo affollate per inadempienze procedurali e mancanza di risorse
Il sistema penitenziario italiano è al collasso. Una
situazione sottolineata dai dati di sovraffollamento che costringono la popolazione carceraria, in continua crescita, a vivere in condizioni precarie, di disagio. Allarmante è l’elevato numero di decessi in
carcere, non di rado causati dal malessere dei detenuti che si spingono fino a decisioni estreme.
La fotografia di una condizione ancora in cer-
ca di una via d’uscita ce la fornisce Luigi Manconi, ex sottosegretario alla Giustizia nell’ultimo governo Prodi, che continua a battersi, attraverso le
sue associazioni, per i diritti di chi vive recluso dietro le sbarre.
Una chiacchierata da cui emerge un quadro, purtroppo, sconfortante ma anche qualche proposta
concreta che potrebbe aiutare a risollevare le sor-
ti di un contesto così poco edificante.
Facendo una panoramica di alcune realtà penitenziarie del nostro paese si scopre, per fortuna,
che non mancano le eccezioni, esempi virtuosi di
vivibilità che dovrebbero costituire veri e propri modelli. Luoghi in cui il rispetto delle persone si manifesta attraverso attività di formazione, istruzione e lavoro.
Daniele Serio
Luigi Manconi, qual è lo
stato delle carceri italiane?
“Ci sono tanti dati che segnalano una condizione che
va ben oltre il collasso. A
partire da quello sull’incredibile sovraffollamento dei nostri penitenziari: ad oggi, i detenuti in Italia sono 67.043, almeno 24.000 in più rispetto
alla capienza prevista. E‘ senz’altro questo il primo elemento su cui intervenire”.
Cosa comporta questa situazione?
“Innanzitutto, tutti i servizi
che dovrebbero regolare la
vita all’interno di un carcere dal cibo all’assistenza sanitaria, dalla formazione all’istruzione- diventano meno
efficienti. Ciò si traduce in una
sofferenza maggiore sia per i
detenuti che per gli agenti di
polizia penitenziaria”.
Quanti di questi detenuti
ha subìto una condanna definitiva?
“Meno del 50 per cento.
Gli altri sono in attesa del giudizio o dell’appello”.
È giusto, secondo lei, che
queste persone rimangano in
carcere?
“Solo ed esclusivamente
se si verificano tre condizioni: intanto, deve esserci l’intenzione a ripetere il reato; secondo, quando c’è il rischio
concreto che possano inquinare le prove;infine, se si
teme la loro fuga. In questo
modo, si ridurrebbe di decine di migliaia il numero dei
detenuti”.
Come giudica i progetti di
edilizia carceraria dell’attuale Governo?
“Ha proposto la costruzione di nuove carceri entro tre
anni, un piano che vorrebbe
fornire 80 mila posti totali. L’intenzione non è affatto chiara.
Può significare o che si vogliono aggiungere 13 mila posti, comportando un sovrannumero praticamente uguale.
Oppure, dati i 67 mila detenuti
attuali e ipotizzandone 75
mila entro la fine dell’anno,
vuol dire aggiungerne 5 mila,
arrivando in tal modo a 80
Reporter
nuovo
SOVRAFFOLLAMENTO L’eccessivo numero di persone all’interno della stessa cella rappresenta per i detenuti una seconda pena
mila. Ignorando il fatto che di
questi, circa 30 mila continuerebbero a vivere in una
condizione di intollerabile e illegale sovraffollamento. Insomma, la questione del carcere va considerata nei suoi essenziali numeri”.
Una buona soluzione quale potrebbe essere?
“Diminuire il numero dei
comportamenti considerati
reati (come hanno ripetuto
anche le varie commissioni di
riforma del codice penale degli ultimi 15 anni, dirette sia da
giuristi di destra che di sinistra)
e quello dei reati che comportano la reclusione. Qualunque criminologo le spiegherà che i reati che esigono la
detenzione come difesa della
società sono ben pochi”.
L’indulto ha avuto effetti
positivi?
“E’ stato un provvedimento provvidenziale. I dati ci dicono che coloro che ne hanno beneficiato hanno un tasso di recidiva del 27,1 per cento (e riguarda gli italiani più
degli stranieri); coloro che
invece scontano la pena fino
all’ultimo giorno hanno una
recidiva del 68 per cento”.
È vero che vi è un elevato
tasso di suicidi tra i carcerati, nettamente superiore a
quello della cittadinanza ‘libera’?
“È superiore del 16-17 per
cento. Inoltre, nella popolazione ‘libera’ i suicidi avvengono tra le fasce d’età anziane, mentre in carcere il fenomeno è più diffuso tra i giovani, in particolare quelli alla
prima detenzione”.
Come si dovrebbe intervenire per arginare il fenomeno?
“Un primo passo sarebbe
quello di applicare il regolamento carcerario. Per esempio, esiste il principio di territorializzazione della pena,
ossia carcerare la persona vicino casa, ma non viene applicato”.
Qual è il livello di assistenza, mediamente, all’interno di un penitenziario
italiano?
“Le dico solo che in alcuni
posti lo psicologo, figura fondamentale sia per ridurre il numero dei suicidi sia per favorire il reinserimento sociale dei
detenuti, ha a disposizione
dieci minuti al mese per detenuto. Le strutture pubbliche e
di volontariato, che lo accompagnano nella sua vita
fuori dal carcere, sono anch’esse molto esili”.
Esistono degli organismi di
controllo indipendenti atti a
monitorare le carceri in Italia?
“No. Ho presentato in Parlamento un disegno di legge
che è stato discusso e poi affossato dal centro destra, perchè ritenuto troppo costoso”.
Esiste un’anagrafe pubblica degli istituti di pena,
in grado di fornire dati, cifre, fatti? Che riesca a indirizzare positivamente il rapporto tra informazione e
legalità?
“È stata chiesta dai radicali
ma non è stata in alcun modo
approvata dal Parlamento.
Addirittura, il Governo ha
voluto che venisse secretato il
meccanismo di attribuzione
dei lavori edilizi. C’è la tentazione di sottrarre a qualunque controllo di visibilità
e di legalità l’attività di realizzazione delle carceri. L’utilità dell’anagrafe sarebbe enorme; il carcere resta un luogo
largamente in ombra. Qualunque capacità di indagarlo
e controllarlo è un passo
avanti ma vedo una grande
ostilità in questo senso”.
Difficile stilare una classifica di istituti penitenziari
Stefano Silvestre
Parlare di carceri più o
meno vivibili è un problema
complesso. Lo stesso Ministero della Giustizia riconosce
che la scarsità di personale, il
sovraffollamento e la patologica carenza di risorse economiche non permettono una
valutazione oggettiva della
situazione negli istituti penitenziari italiani. Difficile quindi stilare una “classifica” di
istituti penitenziari “buoni” o
“cattivi”. Secondo l’agenzia
“Ristretti Orizzonti” è possibile individuare casi di vivibilità “decente” grazie a dei
criteri di valutazione come li-
Brescia e Belluno tra i peggiori
A Padova il detenuto si laurea
vello dell’affollamento, idoneità delle strutture, offerta
formativa e qualità dell’offerta di progetti lavorativi interni
ed esterni. Dalla ricerca effettuata dall’associazione si scopre che i 450 detenuti di Bollate, Milano, possono contare sull’aiuto di 200 volontari
e sono liberi di muoversi all’interno del penitenziario
dalle 8 alle 20. Situazione
che cambia radicalmente a
meno di 100 chilometri di di-
stanza. I detenuti della casa
circondariale di Brescia, infatti,
restano chiusi nelle loro celle di otto metri quadrati – in
cui vivono anche in sette – anche per 22 ore al giorno. Situazione analoga a Roma.
Contrapposto al modello Rebibbia, in cui i detenuti possono usufruire di un programma formativo realizzato
con la collaborazione dell’università “Tor Vergata”, e di
un laboratorio teatrale, c’è il
vecchio carcere di Regina
Coeli. Niente acqua calda,
impianti elettrici fatiscenti e
addirittura un allarme sifilide
nel 2008. Anche la vista esterna – il carcere si trova in pieno centro storico – è vietata ai
detenuti. Sulle finestre sono
state montate le “gelosie”,
delle lastre di vetro e ferro, che
non lasciano passare la luce.
La casa di reclusione di Padova dispone invece di un
polo universitario, che conta
25 iscritti, e di corsi di formazione professionale e di alfabetizzazione. Più che dei
corsi di formazione, i detenuti
del carcere di Belluno dovrebbero preoccuparsi per la
propria salute. Sovraffollato
del 200 per cento rispetto
alla capienza massima, può
contare solo su un medico,
per tre ore al giorno, e nessun
infermiere operativo. E al Sud
la situazione non è migliore.
Il sovraffollamento è la piaga
peggiore, Poggioreale, Favignana e l’”Ucciardone” di Palermo ospitano in media il
doppio dei detenuti consentiti, spesso in condizioni igieniche precarie.
26 Marzo 2010
5
Primo Piano
Confronto tra Eugenio Scalfari e Pierluigi Battista sulla condizione dei mass media in Italia
Senza pluralismo non c’è libertà
Dal ruolo dell’editore alla legge per porre fine all’anomalia italiana
Francesco Salvatore
La piazza televisiva si trasfigura e si moltiplica tornando nel luogo in cui la comunicazione diventa conoscenza.
Forzata dall’applicazione rigorosa della par condicio, Ballarò fa lezione alla facoltà di lettere dell’università Roma Tre.
Il tema è il rapporto fra la comunicazione, giornalismo e
istituzioni. I protagonisti sul
palco sono il fondatore de La
Repubblica Eugenio Scalfari e
l’editorialista del Corriere della Sera Pierluigi Battista. A
moderare Giovanni Floris.
L’evento è multiplo perché “va
in onda” in diretta anche sul
sito internet Repubblica.it e ci
resterà per una futura fruizione. Finalmente è reale: il web
supera la tv e la comunicazione faccia a faccia si riafferma
come medium primario di comunicazione.
Tra i banchi dell’aula di lettere il focus è il pluralismo. Reclamato da Battista e Scalfari
come pietra miliare per un
giornalismo libero e democratico. Sbandierato ma utilizzato dalla politica al momento di porre il veto sulla libertà
di esprimere il proprio pen-
DIRETTA Ballarò va “in onda” dall’aula di lettere di Roma Tre
siero. Questo è successo. Con
la scusa di voler far parlare tutti gli esponenti politici, si è tolta la voce a chi deve, per professione, parlare. L’approfondimento giornalistico televisivo pubblico è stato soffocato,
concordano i due.
La critica della par condicio
è la premessa da cui partono i
due interlocutori per poi passare ad analizzare l’universo
mediatico italiano e il rapporto che lo lega a doppio filo con
la politica. Il ventaglio di libere voci dovrebbe garantire l’accesso alla visibilità mediatica.
È per questo che Scalfari analizza il problema alla fonte: gli
editori. In Italia impuri e fuori dalle logiche di mercato.
L’anomalia italiana è proprio li.
Per Battista un sistema sempre
più chiuso che bisogna scardinare. Il problema non è quindi il giornalista, che invece
alla luce dell’applicazione della par condicio viene indicato
come soggetto fazioso che,
con la sua analisi, potrebbe decidere aprioristicamente di chi
parlare e come. È tutto qui, per
Scalfari, il nodo da sciogliere.
Il conflitto d’interesse che lega
il presidente del consiglio Berlusconi alla tv pubblica e che
lo pone in posizione di dominio possendendo altre tre reti
televisive private. La soluzione
è per l’ex direttore di Repubblica rendere chi possiede le tv
ineleggibile. Attraverso una
legge che renda il sistema più
democratico. A questa provocazione Battista replica analizzando gli ultimi sedici anni politico-televisivi. Chi ha avuto
più potere in Rai ha poi perso
le elezioni, perché il voto dipende dall’appartenza e dall’astensionismo. Entrambi sono
concordi su un punto: il giornalismo deve preservare, rafforzare, controllare e accompagnare le istituzioni nel proprio ambito. La sfida è la stessa da sempre per la professione. Il giornalismo televisivo è
stato fatto in aula oggi, con gli
studenti come spettatori, da
due emblematici giornalisti
della carta stampata. Un incontro diffuso anche sul web in
diretta. La commistione tra
mass media è sempre più netta. Un ulteriore segnale viene
dalla notizia che Il Corriere della Sera farà pagare, chi leggerà
dal cellulare, le notizie del suo
sito internet. Una conferma in
più, per una tendenza registrata
nello studio “Cittadini e nuove tecnologie” dell’Istat pubblicato a febbraio 2009 e riferito all’anno 2008 dove si riscontra in Italia un crescente
uso di Internet per informarsi:
per il 39,3 per cento degli
utenti che navigano, il tempo
dedicato alla lettura di news
online ha sostituito molto o in
parte il tempo dedicato a sfogliare giornali e riviste. Siamo
davanti a una frontiera che
deve essere superata. Il problema è chi accompagnerà
questa transizione.
Vertice di blogger di fama internazionale a due passi da Montecitorio. Presenti anche politici
La rete non deve subire restrizioni
Tra le novità un progetto che permette la navigazione in forma anonima
Daniele Serio
Una giornata ricca di dibattiti, performance e video per
rivendicare, pubblicamente,
la libera circolazione e condivisione di idee e informazioni
sul web. Contro tutte le restrizioni e i tentativi di censura. Al Teatro Capranica, proprio a due passi da Montecitorio, blogger di fama internazionale, associazioni culturali, artisti d’avanguardia e
semplici appassionati di informatica si sono riuniti, nella “Festa dei pirati”, per discutere delle nuove caratteristiche di una società dell’informazione e della conoscenza in perenne divenire.
Presenti anche personalità
politiche di livello nazionale
(tra cui il senatore Pd Vincenzo Vita e il leader dell’Idv
Antonio Di Pietro, in collegamento da Milano) e locale
6
26 Marzo 2010
aPARLA UN ESPONENTE DEL PARTITO PIRATA SVEDESE
«Lotteremo
per cambiare
il copyright»
Gustav Nipe, membro sin dalla sua nascita,
nel 2006, ci racconta le idee-guida di questo
movimento.
Quando siete entrati in politica?
“Ci siamo subito candidati alle ‘nazionali’, senza superare, però, la soglia del 4 per cento. Ci abbiamo riprovato la scorsa primavera, per le europee e, con il 7 per cento dei voti,
abbiamo conquistato un posto a Strasburgo.
Il Trattato di Lisbona, poi, ha assegnato altri
due seggi alla Svezia e uno è andato a noi”.
Com’è nata l’idea di formare un partito?
“Dalla voglia di far sentire la nostra voce
su questioni che nessuno in Svezia aveva affrontato e su cui, difficilmente, si sarebbe intervenuti.”
Per quali temi vi battete?
“Vogliamo riformare la legge sul copyright,
abolire il sistema dei brevetti ed assicurare il
diritto alla privacy dei cittadini. Lo scopo del
copyright era quello di trovare un equilibrio
tra gli interessi degli editori e quelli dei consumatori, per promuovere la creazione e la
diffusione di cultura. Oggi si è perso. L’uso e
la copia non commerciale di opere devono essere libere. Il file sharing va incoraggiato non
criminalizzato”.
È un partito destinato a durare?
“Io lo vedo necessario in questo momento. Non voglio rimanere in Parlamento per
sempre ma solamente fin quando i nostri
obiettivi saranno raggiunti”.
D.S.
(come l’assessore al bilancio
della Regione Lazio, Luigi
Nieri), unite dall’idea che le
tecnologie digitali rappresentano, oramai, lo strumento di
costruzione di una nuova sfera pubblica. Uno spazio nuovo in cui gli attori, dando vita
a forme innovative di interazione sociale, rimettono in discussione le logiche tradizionali della democrazia e della
rappresentanza. E la politica
non sembra accorgersi che il
mondo virtuale funge da volano per attività economiche
e politiche auto-organizzate,
diventando catalizzatore di
nuove realtà.
La festa è stata anche l’occasione per presentare alcune
interessanti novità come il
“Progetto Tor”, un programma che consente di navigare in
forma anonima, e “FreeNet”,
per la pubblicazione di notizie
senza che vengano censurate.
NOI E GLI ALTRI
Talk show?
Nel mondo
Vanno forte
ITALIA
Secondo il rapporto 2009
di Reporter senza frontiere,
l’Italia è scesa al 49° posto
nella classifica sulla libertà di
stampa. In tre anni ha perso quattordici posizioni: era
al 44° posto nel 2008 e al
35° nel 2007. A peggiorare
le cose ci si è messo il divieto di mandare in onda liberi approfondimenti sui
temi elettorali. Niente talk
show e niente satira.
FRANCIA
Les Guignols de l’Info, trasmesso in Francia su
Canal+ da 20 anni, e’ uno
show comico che ha come
protagonisti dei pupazzi. La
satira e’ spesso molto efficace e divertente. Un aneddoto recente. Nicolas Sarkozy non ha apprezzato gli
sberleffi nei confronti del figlio Jean, perpetrati dai pupazzi di gomma e nel giro di
poche ore, sono spariti dalla tv e da internet i filmati. Il
“rampollo”, ancora non laureato, avrebbe rinunciato
ad una poltrona dopo aver ricevuto accusa di nepotismo.
INGHILTERRA
Mock the week in onda
su Bbc2, uno dei canali
pubblici della tv inglese, è
uno dei game-show di satira politica più popolari. È una
sorta di gara tra i comici, ai
quali viene presentata una
fotografia su cui devono
fare delle battute, oppure
una situazione su cui inventare frasi che non avreste mai sentito.
USA
Ophrah Winfrey, Larry
King e David Letterman.
Sono gli anchorman i re
dell’approfondimento giornalistico negli Stati Uniti. La
personalizzazione dei talk
show è un must. Si dice
che la sanguigna conduttrice di On Air: The Oprah
Winfrey Show sia stata capace di “spostare” un milione di voti a favore di
Obama nel periodo di campagna elettorale.
F.S.
Reporter
nuovo
Costume & Società
Il trentatrè giri spopola nei mercati del baratto e dell’usato, non solo fra collezionisti
Bentornato vinile. E non è nostalgia
Anche se la Emi perde con i Pink Floyd, in molti incidono in analogico
Dario Parascandolo
In molti credevano che
l’insensibile perfezione del
compact disc negli anni Ottanta avrebbe soppiantato la
scomodità e la vulnerabilità
del disco in vinile. Oggi, dopo
appena un paio di decenni, il
cd ha ceduto il posto al ben
più pratico mp3, e il long playing gode di ottima salute, oggetto di culto per appassionati
e collezionisti. E l’ascolto analogico, nettamente più gradevole e fedele dell’approssimazione digitale, è soltanto
uno dei motivi di questo successo. Mentre i nuovi album
dei grandi artisti vengono regolarmente stampati su 33 giri
e le discoteche continuano a
rimbombare a colpi di vinile,
il mercato del disco usato è attualmente un grande business
sotterraneo. Vinili rari con
errori di stampa ed edizioni
originali sono da sempre i
pezzi più pregiati e ricercati,
venduti o scambiati privatamente e on-line, o in negozi
specializzati. Periodicamente,
in ogni angolo d’Italia, venditori e amatori si danno ap-
puntamento con veri e propri
eventi di proporzioni smisurate. Le fiere del baratto e dell’usato sono spesso una vera
maratona discografica, con
centinaia di stand, spesso
specializzati. C’è chi acquista
e vende solo Beatles, ancora
oggi veri mattatori del collezionismo grazie alle innumerevoli edizioni della loro musica e ad alcune copertine
rarissime. C’è chi si occupa
solo di 45 giri, o chi commercia esclusivamente punk
e new wave a cavallo tra i Settanta e gli Ottanta. Un mondo misterioso e affascinante,
probabilmente il vero museo
della musica, dal quale diventa impossibile uscirne senza il proprio “souvenir”. Spazi immensi in cui le persone
si muovono circondate da
Velvet Underground, Led Zeppelin, Doors, Jimi Hendrix,
Elvis Presley. E la tecnologia
contribuisce a soddisfare la
fame di analogico, con nuovi
giradischi completi di porta
usb, utile a esportare la musica direttamente in mp3. Attenzione però, perché il vero
suono del disco si ottiene
VINILE The Dark Side of the Moon, popolare album dei Pink Floyd
soltanto se il piatto suona
con preamplificatore analogico, meglio se a valvole, e
casse rigorosamente vintage.
Altrimenti, vi saranno ben
poche differenze di ascolto
con la fredda perfezione del
cd.
Pioniera del “nuovo” supporto, che negli anni Cinquanta soppiantò il 78 giri, fu
la Emi, che per oltre set-
tant’anni è stata la culla ideale del genio musicale. L’attività
dell’etichetta britannica, infatti, non si è mai limitata soltanto alla produzione e alla distribuzione della musica. Nel
1952 fu la prima casa discografica a stampare sul microsolco a 33 giri.
Nata nel 1931 in Inghilterra, la Emi è probabilmente la casa discografica più in-
fluente al mondo. Nel suo
catalogo troviamo i dischi di
artisti del calibro di Beatles,
Beach Boys, David Bowie,
Coldplay, Radiohead e Pink
Floyd. Oggi, purtroppo, la
crisi che ha investito il mercato discografico sembra
aver travolto la Emi senza
possibilità di appello. Il bilancio dello scorso anno, infatti, ha registrato una perdita
di oltre un miliardo e mezzo
di sterline. Per porre un freno al debito crescente, Terra
Firma, la società inglese proprietaria della Emi, probabilmente metterà in vendita
gli storici studi di Abbey
Road. Un’azione dettata dalla disperazione secondo il Financial Times, che ha sottolineato quanto la Kpmg, revisore dei conti della Emi, sia
seriamente preoccupata per
il futuro dell’azienda, la cui
presenza sul mercato in pochi anni è scesa dal 16 al 9 per
cento.
Ulteriore ferita è stata inferta dai Pink Floyd, che
hanno vinto una causa intentata contro la loro storica
casa discografica, condanna-
ta a pagare 40mila sterline per
le spese processuali, oltre a
una multa che sarà quantificata in futuro. La Emi è stata giudicata colpevole dall’Alta Corte di Giustizia di
Londra di commercializzato
on-line le canzoni della band
secondo modi diversi da quelli stabiliti contrattualmente.
Infatti, secondo una clausola del contratto firmato nel
1998, la Emi si impegnava a
mantenere intatta l’integrità
artistica degli album della
band britannica. Negli ultimi
anni, con l’avvento dei negozi digitali, l’etichetta ha messo in vendita su I-Tunes le
singole canzoni, scatenando
l’ira di Gilmour e soci, che
hanno visto violato il controllo sulla produzione artistica. Secondo i legali della
Emi, il contratto esclude la
vendita on-line delle canzoni. Ma il tribunale inglese ha
definitivamente dato ragione
al gruppo, e I-Tunes dovrà ritirare i brani dei Pink Floyd
dal commercio. Le versioni
originali degli album, invece,
continueranno a essere disponibili integralmente.
Visita al cimitero acattolico della Piramide, al riparo dal turismo di massa
Là dove riposano Keats e altri poeti
Tommaso Rodano
A Roma c’è un giardino
segreto, nascosto tra la Piramide Cestia e Monte Testaccio,
custodito al di là della cinta
delle Mura Aureliane, all’altezza di Porta San Paolo.
Quando si supera la soglia
del suo ingresso si prova la sensazione nitida di entrare in un
altro mondo, separato dalla città: i rumori sfumano all’improvviso e gli occhi si risvegliano dalle tinte tenui delle
strade nei colori accesi di fiori, alberi e piante. Solo le macchie bianche e squadrate del
marmo di lapidi, statue e piccoli mausolei lasciano intendere che non si tratta di un
giardino qualsiasi: siamo in un
cimitero.
Quello della Piramide è
chiamato in diversi modi: Cimitero degli Inglesi, degli stranieri, dei protestanti, degli artisti e dei poeti. Il suo nome ufficiale è Cimitero acattolico di
Roma. È nato alla fine del
settecento come luogo dell’eterno riposo di protestanti,
Reporter
nuovo
ebrei, ortodossi e chiunque altro non professasse la fede
cattolica. Le regole della Chiesa romana, infatti, vietavano di
seppellire i corpi dei non fedeli
all’interno del territorio consacrato della città e la zona
dove sorge il cimitero ha fatto
parte dell’Agro romano fino ai
primi anni dell’ottocento. Le
cerimonie funebri, addirittura,
Anche John Keats ha scelto di essere seppellito in questo camposanto quando è venuto a Roma per il suo ultimo
viaggio, già gravemente malato, a soli 26 anni. Sulla sua lapide ha voluto questa epigrafe: “Qui giace uno il cui nome
fu scritto sull’acqua”. E una targa sul muro, a pochi passi dalla sua tomba, commemora il
Il fascino di questo luogo ha attirato
intellettuali, artisti e poeti:
tra gli altri Gadda, Shelley, Keats e Gramsci
avvenivano di notte, per garantire l’incolumità dei partecipanti dai fanatici religiosi.
Eppure il fascino di questo
luogo è stato più forte della distanza dal cuore della città: tanti intellettuali, artisti e poeti lo
hanno scelto affinché custodisse le proprie spoglie. Qui riposano, tra gli altri, Carlo
Emilio Gadda, Percy Byhsse
Shelley e August Goethe, figlio
del grande Johann.
poeta romantico, rispondendo
a quei versi: “Keats! Se il tuo
nome è scritto sull’acqua /
Ogni goccia è caduta dal volto di chi ti piange”.
In questo magico angolo di
Roma, Pasolini ha tratto ispirazione per scrivere Le ceneri
di Gramsci, poemetto dedicato al padre del comunismo italiano: anch’egli sepolto all’ombra della piramide.
Non è un caso che questo
luogo speciale sia l’ultima dimora di tanti spiriti liberi.
L’aria che si respira in questa
macchia verde e silenziosa
non è quella di un cimitero.
Non si avverte la cupezza del
luogo di cordoglio, ma una
sensazione di profonda pace,
e l’impressione che il tempo
rallenti la sua corsa. Eppure
questo gioiello rimane nascosto e sconosciuto alla maggior
parte dei romani.
La sua gestione è affidata a
un’associazione formata da
quattordici ambasciate. Dal
Comune non riceve nessun finanziamento: riesce a sopravvivere grazie alle tariffe per le
concessioni del terreno, alle
donazioni pubbliche e private, alle offerte dei visitatori e all’impegno dei volontari.
Così sono in pochi a passeggiare sui suoi viali di ciottoli, tra cipressi, mirti, cespugli di rose e melograni. Ma in
fondo è una fortuna che la
pace e il silenzio sacro di questo campo non siano turbati
dal chiasso del turismo di
massa.
JOHN KEATS L’ultimo verso del poeta romantico: “Qui giace uno
il cui nome fu scritto sull’acqua”
26 Marzo 2010
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Costume & Società
Restaurato nell’omonima piazza il busto marmoreo che dava sfogo alle proteste dei romani
Ma oggi Pasquino non fa più paura
Pochi i messaggi. Nel Settecento lo spauracchio della pena di morte
Giacomo Perra
Altro che Facebook. A volte un
pennarello può essere più efficace di
una tastiera superaccessoriata: d’altronde basta una semplice scritta sul
muro o su un monumento per comunicare. Una statua può servire anche a questo, a fissare nel tempo le
impressioni della gente. La statua di
Pasquino, ad esempio, da più di cinquecento anni è la voce di Roma. Ha
dovuto tacere per due mesi causa restauro ma ora è tornata a parlare.
Messaggi, appelli, pensieri e invocazioni: il busto marmoreo simbolo
della satira contro il potere, papale e
non solo, ha accolto ogni tipo di richiesta. Come nel 1501, quando
l’influente cardinale di Napoli Oliviero Carafa decise di dislocare questo frammento scultoreo del III secolo a. C. nella piazza di Parione,
l’odierna piazza di Pasquino, dove ancora si trova, c’è chi se ne serve per
scagliare i suoi strali al potente di turno. Berlusconi, naturalmente, è uno
dei bersagli preferiti. Io, di tutti
MONUMENTO La statua di Pasquino raffigura in realtà l’eroe greco Menelao
sono il meglio/ non son certo stare
fermo/ ogni giorno son più sveglio/
e sto sempre sullo schermo/ bello, ricco, sovraumano .../ vota MI, son il
Caimano”. È solo uno dei messaggi che raccontano con fantasia e licenza poetica l’arte dello sberleffo politico applicata al ventunesimo secolo
ma quanta differenza col passato. Se
nei secoli scorsi facevano tremare
papi e cardinali, adesso le pasquinate,
(da Pasquino, il popolano romano
che per primo osò sfidare il potere
con l’ironia dei versi) non possiedono
più la stessa carica eversiva. Quella
forza è stata un po’smorzata nei banali riferimenti alla vita quotidiana:
così, tra la promessa d’amore di due
fidanzatini, manco fossimo a Ponte
Milvio, “22-03-10 Laura e Marco si
amano”, l’impennata d’orgoglio campanilistico di una scolaresca forse leghista,“Bergamo domina” e il saluto alla Città Eterna di una comitiva
di tedeschi in vacanza, “Arrivederci
Roma, Karlsruhe”, si fa fatica oggi a
percepire l’irritazione e il fastidio per
i potenti di allora. Eppure diversi fu-
rono i tentativi di eliminare la statua
e nel 1523 il forestiero Adriano VI
(ultimo papa “straniero” prima di
Giovanni Paolo II), ordinò invano di
gettarla nel Tevere. Durante il pontificato di Benedetto XIII addirittura si arrivò a emanare la pena di morte, la confisca e l’infamia a chi si fosse reso colpevole di pasquinate.
L’ironia dei writers contemporanei,
invece, riesce al massimo a produrre le divertite dichiarazioni di Francesco Giro, sottosegretario ai Beni
culturali del Comune di Roma, nel
giorno della nuova inaugurazione del
monumento: «Con tutto quello che
sta accadendo in questi giorni non
oso immaginare cosa comparirà già
oggi sulla statua di Pasquino». Dov’è finito, allora, lo spirito battagliero degli antenati? Forse si è perso nella comunicazione di Internet e dei social network oppure è stata cancellato dall’indifferenza dei nostri giorni. Chi lo sa? Può darsi che ancora
sia racchiuso in quel busto di marmo; non raffigura forse Menelao, un
guerriero greco?
Professione stuntman: acrobata, maestro d’armi, pilota, rischiando la pelle
E le “stelle” stanno a guardare
La controfigura vola giù dal palazzo al posto di Johnny Depp
Daio Parascandolo
Lo abbiamo visto innumerevoli volte sul grande schermo, ma in pochi conosciamo
il suo nome. Theo Kypri ha 41
anni, è nato e cresciuto a Londra, è alto un metro e 78 centimetri e pesa 70 chili. Nel
1994 si è classificato ottavo ai
campionati mondiali di nuoto, ma è anche spadaccino,
acrobata, pugile, coreografo
di combattimenti ed esperto di
arti marziali. In questi giorni il
suo nome ha fatto il giro del
mondo grazie a uno spericolato salto nel vuoto a Venezia,
durante le riprese di The Tourist, spettacolare thriller con
Johnny Depp e Angelina Jolie.
Attualmente la principale occupazione di Kypri è salvare la
pelle alle star durante le sequenze più pericolose dei film.
È uno stuntman professionista,
che ha esordito nel 1997 in
Shooting Fish come controfigura di Stuart Townsend. Da
allora la sua carriera ha spiccato il volo. Frank ha prestato la sua bravura atletica, e la
sua incoscienza, a pellicole
quali Tomb Rider, Master and
Commander, Terminator 3, Il
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26 Marzo 2010
Fantasma dell’Opera, La Guerra dei Mondi e Avatar.
Figura spesso nell’ombra,
ma di fondamentale importanza per la buona riuscita del
film, lo stuntman è il perno di
ogni sequenza d’azione. È il cascatore, l’acrobata, il pilota,
l’esperto di scherma, a seconda delle esigenze della professione. Genericamente utilizzato per le riprese di cadute o
senza neanche far sentire calore. Ma può accadere che il
regista non si accontenti e pretenda un uomo-torcia con il
volto scoperto. È il caso del cineasta Gabriel Cash, che in
Destiny Angel ha chiesto allo
stunt italiano Gabriele Mansueto di prender fuoco senza
protezioni sul viso. L’Italia, si
sa, non possiede i mezzi economici di Hollywood, e le
Per realizzare scene con le fiamme le
“torce umane” si ricoprono di gelatine speciali
infiammabili anche a torso nudo
tuffi, allo stuntman acrobata
sono affidati esercizi rischiosi, per i quali sono spesso indispensabili competenze circensi, mentre il maestro d’armi si occupa dei duelli, e dei
combattimenti, con lame di
tutte le epoche.
Ma come funzionano le
“scene con le fiamme”, quando gli stunt si trasformano in
vere torce umane? Negli Stati Uniti adottano gelatine speciali che, perfino a torso nudo,
riescono a prendere fuoco
controfigure indossano tute
da lavoro in cotone, imbevute di acqua e olio di paraffina,
un composto di collante e
benzina facilmente infiammabile. Anche le acrobazie automobilistiche, altamente pericolose, non sono un mistero. Un’auto, per andare su due
ruote sole, ha il differenziale
bloccato e le gomme gonfiate a sei atmosfere (di media
una berlina ha una pressione
di due atmosfere). Inoltre,
negli schianti spettacolari, la
buona riuscita della scena è affidata esclusivamente alla bravura dei piloti. Ancora oggi,
infatti, lo stuntman compie
voli da altezze incredibili con
la propria auto, e gli sballottamenti interni sono reali. Il
pilota, per ammortizzare i
colpi, assume posizioni ben
studiate, mentre gli sportelli
sono saldati. Nei casi produzioni più ricche, nell’abitacolo vengono montati i rollbar
come nelle auto da rally. In
questo modo si evita che il pilota rimanga imprigionato
durante la deformazione della macchina.
Questa professione, inutile ricordarlo, è pericolosissima. Per questo i trucchi del
mestiere sono custoditi gelosamente, evitando così il rischio di emulazione. E può
capitare di lasciarci la pelle,
come è capitato a Niccolò
Egidio Ricci, che durante le riprese della fiction Vite Sospese ha perso la vita in seguito
a una caduta. Niccolò non si
è più rialzato dal materasso che
doveva attutire il volo da
un’impalcatura. L’episodio del
serial era intitolato, scherzo
della sorte, Morti Bianche.
STUNTMAN MIKE Kurt Russell in Death Proof di Tarantino
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