Un saluto dalla cella - "E. Mattei"
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Un saluto dalla cella - "E. Mattei"
Un saluto dalla cella Una giornata al carcere minorile (a cura della classe IV E ITER - a.s. 2009-2010) Uscire con gli amici, mandare un messaggio col telefonino, stare nella nostra stanza con la porta chiusa. Azioni normali, specialmente per noi giovani d’oggi ma, cosa accadrebbe se di colpo ci ritrovassimo senza privacy, senza telefonino e rinchiusi in uno spazio dal quale non possiamo uscire? Beh, questa è una delle tante domande alle quali, forse, siamo riusciti a dare una risposta. Infatti, dopo uno stimolante incontro a scuola, durato circa due ore e mezzo, con il direttore del carcere minorile, dott. Giuseppe Zoccheddu, con il quale abbiamo piacevolmente conversato riguardo ai vari aspetti del processo minorile e della detenzione, ci siamo preparati a quella che a parer nostro è stata la più significativa esperienza del progetto. 23 gennaio 2010. E’ una mattinata come tutte le altre, il sole brilla nel cielo e il vento soffia forte; verso le ore 9, il pullman da scuola ci porta a Quartucciu. Quaranta minuti dopo, ci ritroviamo davanti a un muro di cinta e ad una serie di grandi cancelli di ferro… E’ il carcere. Una guardia giurata, sorprendentemente senza divisa, ci accoglie all’ingresso e chiede le carte d’identità per la registrazione; pochi minuti dopo, un simpatico educatore ci fa strada: davanti a noi si spalancano i cancelli e pochi passi dopo, siamo dentro la struttura. Un grande caseggiato rosa cattura la nostra attenzione: è il complesso principale del carcere, dove si trovano i vari uffici e le celle. La visita inizia all’aperto: gli spazi verdi sono curati dai ragazzi durante un laboratorio (spiega l’educatore che fa da cicerone), proseguendo notiamo dei graffiti, realizzati nell’ambito di un progetto, alcuni molto belli e significativi (le scritte freedom = libertà, sono ricorrenti). Procedendo ci viene fatta notare la presenza di gazebo e panchine in legno, costruiti dai ragazzi che possono utilizzarli durante l’estate per i colloqui. Un grande campo di calcio si staglia tra le mura alte circa otto metri, le quali sarebbero dovute servire per l’antica funzione della struttura ossia, carcere di massima sicurezza. Dopo aver visitato l’esterno, entriamo in una sala, dove ci viene spiegato il ruolo dell’educatore e descritta la giornata e le attività che un detenuto può svolgere all’interno del carcere. Raggiunti dal direttore, la nostra conversazione continua. Siamo davvero interessati e il tempo vola, tra una domanda e l’altra si è fatta l’ora di visitare il carcere vero e proprio. Entriamo in un grande ingresso e vediamo le prime grate alle finestre e un piccolo spazio dove i detenuti più indisciplinati possono trascorrere il loro tempo. La visita prosegue, passiamo per un lungo corridoio, dove troviamo i vari uffici, d’immatricolazione, del sopravitto, fino a raggiungere un altro androne che porta alla lavanderia passando per le sale dei vari laboratori. E’ mezzogiorno, i detenuti sono quasi tutti a pranzo, eccetto due, che in questo locale ci illustrano il funzionamento di una asciugatrice e di una lavatrice industriale, utilizzata da alcuni di loro che hanno l’opportunità di poter lavorare con retribuzione per una parte del giorno. I ragazzi rispondono cordialmente alle nostre domande e poi vanno a pranzo. Il giro prosegue, visitiamo la palestra, che dispone di due porte da calcio e di spogliatoi. Percorrendo una rampa di scale, abbiamo l’occasione di vedere celle che ormai non vengono più utilizzate: è la parte più suggestiva di tutta la visita e, appena varcate le soglie di quelle stanze, un clima di malinconia ci pervade. Riusciamo a percepire la sofferenza e la tristezza dei ragazzi che un tempo sono stati lì e riusciamo ad immaginare quella dei ragazzi che si trovano tutt’ora. I muri scrostati indicano che un tempo, mediante l’uso del dentifricio, venivano appese delle foto; nei mobili e in alcuni angoli, poesie e messaggi fanno pensare allo stato d’animo dei detenuti: “Mi manchi mamma”, “Ho commesso uno sbaglio” e tante altre sono le parole che colpiscono. La stanza ha piccole finestrelle che servono al secondino per osservare, attimo per attimo, il detenuto in qualsiasi posto della cella si trovi, anche nel bagno. Lasciamo la zona delle celle, ci avviamo verso l’ingresso principale e da lontano alcuni ragazzi ci salutano. È l’una e dobbiamo fare ritorno a scuola. Salutiamo il direttore e l’educatore; le porte davanti a noi si spalancano nuovamente e usciamo. Durante il ritorno a casa, parliamo e scherziamo normalmente ma, nonostante ciò, dentro di noi qualcosa è cambiato. Questa visita ha lasciato un segno indelebile. Sicuramente è stata una delle esperienze più belle nell’ambito di questo progetto e non la dimenticheremo mai, così come non dimenticheremo i volti di quei ragazzi che ci salutavano.