Consulenza di Processo
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Consulenza di Processo
LA CONSULENZA DI PROCESSO Di STEFANO LUIGI CISTERNINO 1. Una definizione Ciò che accade tra una persona che fornisce aiuto e la persona o gruppo che lo riceve è chiamato consulenza di processo. È importante mettere in evidenza il termine «processo» nella relazione tra chi chiede e chi fornisce aiuto, rispetto a quello di contenuto; in pratica, nelle relazioni interpersonali, ritengo opportuno centrare l’attenzione sul come di quanto avviene rispetto al che cosa, poiché spesso i processi restano in parte inconsapevoli, ma sono di primaria importanza nelle relazioni e costituiscono altresì la chiave che permette il successo o il fallimento dell’azione tesa all’aiuto. Acquisire conoscenza dei processi interpersonali e relativi a gruppi, organizzazioni e comunità, è essenziale per qualsiasi azione volta a migliorare il funzionamento delle relazioni. Molti analisti del processo di consulenza sostengono che esso funzioni soltanto quando il cliente sa esattamente quello che cerca e quando il consulente è in grado di fornire consigli specialistici strettamente connessi al problema. Secondo il pensiero di Edgar H. Schein, invece, la persona che chiede aiuto spesso non sa esattamente quello che cerca. Tutto quello che sa è che qualcosa non va per il verso giusto o che qualche obiettivo posto dall’azienda è lontano dalla realizzazione, e che quindi è necessario qualche tipo di aiuto. Ogni processo di consulenza deve pertanto comprendere l’importanza di aiutare il cliente a capire la natura del problema e, solo in un secondo momento, si potrà decidere quale ulteriore tipo di intervento sia necessario. Perché il processo possa iniziare in maniera costruttiva, è necessario che qualcuno intenda ottenere un miglioramento della situazione e sia disposto a chiedere aiuto. Lo stesso processo di consulenza aiuterà allora il cliente a individuare le fasi diagnostiche che porteranno alla formulazione di programmi operativi e all’introduzione di cambiamenti concreti che daranno il miglioramento auspicato. 37 2. Inquadramento generale Il metodo della consulenza di processo è un efficace strumento che si inserisce all’interno di molti programmi di sviluppo organizzativo, sia in Italia che all’estero. Viene utilizzato da numerose aziende di organizzazione del lavoro, ed è inserito all’interno di determinate aree, come ad esempio quella delle «risorse umane», delle «consulenze – assistenze», o della «comunicazione». L’importanza attribuita all’apprendimento e al cambiamento nelle organizzazioni rende necessaria la dimostrazione di come la consulenza di processo si rapporti a delle particolari attività e renda altresì necessaria la creazione di un modello d’aiuto comune a tutti i processi organizzativi. L’interesse principale rimane concentrato sullo sviluppo organizzativo, il quale è un processo generale di cui fanno parte apprendimento e cambiamento. È certamente importante la creazione di una situazione in cui persone e/o gruppi possano produrre apprendimento e cambiamento. Partendo dalla premessa che la consulenza di processo si definisce come una particolare tecnica d’aiuto, è importante sottolineare che tale «filosofia», similmente a quella clinica, si basa sull’assunto che «un sistema umano può essere aiutato solo ad aiutarsi da sé» (Schein, 1991). Questo assunto presuppone quindi che il consulente non ne sappia mai abbastanza sulla particolare situazione di un’organizzazione o sulla sua cultura, da poter dare specifici consigli tecnici sulle cause dei problemi organizzativi e sulle loro soluzioni. Oltre a ciò è necessaria anche una competenza psicologica e sociologica delle dinamiche della relazione d’aiuto. Si ritiene opportuno instaurare una relazione con il cliente, in modo da arrivare congiuntamente ad una diagnosi della situazione e ad una strategia d’intervento risolutiva. Infatti, quando qualcuno ha bisogno di aiuto e lo chiede, s’instaura tra chi offre aiuto e il «cliente» una complicata dinamica, perché colui che aiuta è immediatamente indotto a calarsi nel ruolo dell’esperto, in possesso di qualche cosa che al cliente manca e che ha il potere di dargli o meno. Non solo questo induce chi aiuta a considerarsi un esperto, ma lo pone automaticamente in una posizione di potere nei confronti del cliente. Questo disequilibrio iniziale della relazione è fonte di dinamiche psicologiche che devono essere comprese, valutate e affrontate se si desidera veramente fornire aiuto. Il fine ultimo della consulenza di processo è pertanto quello di instaurare un’efficace relazione d’aiuto. 38 Sempre Schein afferma che: «È meglio non imporre le nostre soluzioni agli altri, ma aiutarli a scoprire di che cosa abbiano bisogno, e in seguito guidarli nella giusta direzione». 3. Confronto tra consulenza di processo e alcuni modelli di consulenza più tradizionali 3.1 Modello dell’acquisizione d’ informazioni Questo modello di consulenza, detto anche «modello expertise “vendere e dire”», o modello dell’acquisto, ipotizza che il cliente acquisisca dal consulente delle informazioni che non sarebbe in grado di procurarsi da solo. Il compratore, dirigente o responsabile di qualche gruppo, identifica una necessità e arriva alla conclusione che l’organizzazione non dispone delle risorse né del tempo necessari per soddisfare questa necessità. A questo punto, si rivolgerà a un consulente per avere informazioni o servizi. Per valutare l’efficacia di questo modello di consulenza occorre verificare diversi aspetti, tra cui: il fatto che il manager abbia o meno diagnosticato correttamente le proprie necessità; che egli abbia o meno comunicato correttamente queste necessità al consulente; che egli abbia o meno valutato esattamente la capacità del consulente di fornire l’informazione o il servizio; che abbia o meno riflettuto a fondo sulle conseguenze derivanti dalla raccolta di queste informazioni; l’esistenza o meno di una realtà esterna che possa essere obiettivamente studiata per ricavarne conoscenze utili al cliente. Alla luce di questi aspetti emerge chiaramente come in questo modello il cliente perde potere; infatti il consulente riceve l’incarico di fornire informazioni importanti per conto del cliente, ma una volta affidato l’incarico quest’ultimo non ha più la possibilità di intervenire. È inoltre importante evidenziare che gran parte della resistenza al consulente nelle fasi successive potrebbe derivare da questa dipendenza iniziale e dal senso di frustrazione che può attanagliare il cliente. Mettendo a confronto questo modello di consulenza con quello della consulenza di processo, è utile osservare come quest’ultimo coinvolge il cliente e il consulente in un periodo di diagnosi congiunta. Nell’ambito della consulenza di processo, infatti, il consulente è disposto ad entrare in 39 un’organizzazione (cliente), anche senza un bisogno chiaro. L’importanza di una diagnosi congiunta sta nel fatto che solo raramente un consulente può riuscire a conoscere un’organizzazione al punto di sapere con probabilità quale potrebbe essere una modalità d’intervento consona a quel particolare cliente (sia esso l’intera organizzazione, un manager, o un dirigente) con il suo specifico insieme di tradizioni, modalità lavorative, ecc. Il consulente può tuttavia aiutare il cliente ad acquisire egli stesso una capacità diagnostica sufficientemente buona. Ciò evidenzia un ulteriore presupposto che sta alla base della consulenza di processo: quello secondo cui i problemi saranno risolti in maniera più duratura e più efficace se è l’organizzazione stessa che li risolve da sé. 3.2 Modello medico-paziente Un altro modello di consulenza è quello del rapporto medico-paziente. Esso consiste nell’elaborazione di una diagnosi e nella proposta di una cura al cliente. Infatti, in questo tipo di relazione, uno o più manager dell’organizzazione decidono di chiamare un consulente perché li osservi, così come un paziente va dal proprio medico per una visita di controllo. Essi si aspettano che il consulente scopra che cosa non va, e in quale parte dell’organizzazione; pertanto, allo stesso modo di come si comporta un medico, suggerisca un programma di cure. Secondo questo modello, il cliente si rivolge ad un consulente presumendo che operi secondo standard professionali. Sulla base di ciò, è evidente come questo modello di consulenza accresca il potere del consulente, che diagnostica, prescrive e attua la cura. Uno degli ostacoli di questo modello è costituito dal fatto che il cliente può essere restio a rivelare determinate informazioni, delle quali il consulente necessita per formulare la sua diagnosi. Una ulteriore difficoltà che può riguardare questo modello di consulenza è che il paziente potrebbe non essere disposto a credere alla diagnosi eseguita dal consulente. Questo accade perché il consulente non ha elaborato una diagnosi insieme al cliente; infatti, se il consulente compie l’intera diagnosi mentre in cliente resta semplicemente in attesa di una prescrizione, potrebbe verificarsi che la prescrizione stessa apparirà poco, se non per nulla, pertinente con le aspettative del cliente. Affinché questo modello sia efficace occorre che il cliente abbia localizzato l’«area malata» all’interno della sua organizzazione; occorre inol40 tre che sia motivato a rivelare informazioni esatte, che accetti la diagnosi del consulente e vi presti fede, accettando la cura prescritta. Il cliente, infine, deve comprendere e accettare le conseguenze derivanti dall’applicazione dei processi diagnostici, e deve essere in grado di mettere in atto i cambiamenti consigliati. In risposta a questo modello, se così si può dire, si pone la consulenza di processo. Essa, di fatto, si basa su una diagnosi congiunta con il cliente e sulla trasmissione allo stesso della capacità del consulente di fare diagnosi e risolvere problemi. Perciò, uno degli aspetti fondamentali della consulenza di processo è il coinvolgimento del cliente: egli deve vedere il problema da sé, prendere parte alla diagnosi e partecipare attivamente nella formulazione di un rimedio. 3.3 Modello della consulenza di processo Fin qui si è parlato di due modelli di consulenza, quello dell’acquisizione d’informazioni e il modello medico- paziente. Rimane da esporre il modello della consulenza di processo, anche se in parte risulta delineato dal confronto con gli altri due. Nel fare ciò vanno brevemente ricordati gli assunti principali. I clienti hanno bisogno di essere aiutati a diagnosticare i loro problemi; è bene precisare che il problema appartiene soltanto a loro. Hanno inoltre bisogno di essere aiutati a sapere quale tipo di aiuto devono cercare. Devono essere aiutati a capire che cosa si debba migliorare. Solo i clienti sanno che cosa potrà funzionare nella loro organizzazione; infatti i consulenti non possono conoscere sufficientemente la cultura organizzativa al punto di suggerire nuovi comportamenti operativi di sicura affidabilità. Questo metodo è in grado di offrire delle alternative, ma la decisione di adottarle o meno spetta esclusivamente al cliente proprio in virtù del fatto che il problema appartiene a lui. La funzione centrale della consulenza di processo è quella di trasmettere le competenze necessarie a diagnosticare e intervenire in maniera costruttiva, permettendo così ai clienti di migliorare la propria capacità di continuare in maniera autonoma. Mentre il modello dell’acquisizione d’informazioni e quello medico-paziente possono essere paragonati a un metodo di apprendimento unidirezionale in quanto sono modelli correttivi (Argyris, 41 Schon, 1996), il modello della consulenza di processo impegna il cliente in un processo di apprendimento generativo a due sensi, perché è un modello allo stesso tempo correttivo e preventivo. Quindi uno degli scopi di quest’ultimo è quello di far sì che il cliente impari ad imparare; poi, mentre gli altri due modelli risolvono il problema, quello della consulenza di processo vuole incrementare la capacità di imparare del sistema cliente, per fare in modo che questo possa in futuro risolvere da solo i propri problemi. Il processo d’aiuto dovrebbe sempre incominciare con il metodo della consulenza di processo perché, fi no a quando non siamo liberi dai pregiudizi nei confronti di chi ci sta di fronte, non possiamo realmente sapere se gli assunti già ricordati siano validi, o se sarebbe più desiderabile adottare il modello dell’acquisizione d’informazioni o quello del medico. 4. Procedimento della consulenza di processo 4.1 Come il processo ha inizio: psicodinamica della relazione d’aiuto Se per un attimo ci fermassimo a riflettere sulle esperienze quotidiane della nostra vita, ci accorgeremmo subito che chiediamo assistenza per risolvere problemi che non riusciamo a risolvere da soli, nella speranza che i consigli altrui possano aiutarci. Nello stesso tempo, però, siamo consapevoli del fatto che spesso gli altri non aiutano, perché suscitano nella persona che ha chiesto aiuto una certa resistenza, o attivano meccanismi di difesa. Per comprendere questa resistenza, dobbiamo esaminare la psicodinamica della relazione d’aiuto. Innanzitutto, perché una relazione d’aiuto possa funzionare è necessario comprendere a fondo le forze psicologiche operanti nel momento in cui una persona chiede aiuto a un’altra. Come ho già detto in precedenza, il fatto di chiedere aiuto è una confessione di debolezza o fallimento. All’inizio di una relazione d’aiuto, le due parti si trovano in una situazione asimmetrica: infatti da un lato c’è la persona che fornisce l’aiuto, dall’altro quella che lo chiede. A causa di questa posizione di inferiorità, è possibile che il cliente potrà avere una o più reazioni, tutte tese a equilibrare la relazione. Una rea42 zione possibile è il risentimento e l’atteggiamento difensivo che il cliente manifesta per denigrare il consulente, sminuendo il valore dei suoi consigli, mettendo in dubbio i suoi dati e cercando di umiliarlo per sentirsi di nuovo alla pari. Un’altra reazione probabile consiste nel fatto che il cliente provi sollievo per aver condiviso problemi e frustrazione con qualcuno che potrebbe essere in grado di aiutarlo. Una ulteriore reazione potrebbe essere quella della dipendenza e subordinazione che il cliente manifesta ricercando rassicurazione, consigli e appoggio. Infine potrebbe verificarsi il transfert basato su esperienze passate in materia di consulenti, di percezioni e sentimenti sul consulente attuale; il transfert è fondato su sentimenti profondi e inconsci, dei quali all’inizio né il consulente né il cliente si rendono conto. I sentimenti provati dal cliente possono indurre il consulente ad accettare la situazione di superiorità e la posizione di potere offerti dal cliente. Questa posizione può spingere il consulente a vari tipi di sentimenti e azioni. Per esempio può utilizzare il potere e l’autorità concessagli dal cliente per dispensare consigli prematuri, finendo così per aggravare la posizione d’inferiorità del cliente; oppure può accettare la dipendenza e reagire in maniera esagerata alla stessa, elargendo appoggio e rassicurazione anche nei casi in cui ciò sia inopportuno. Può inoltre reagire ai meccanismi di difesa ammettendo la pressione, rifiutare di dar corso alla relazione, oppure può proiettare sul cliente sentimenti e percezioni che ricreano relazioni consulente-cliente del passato (contro-transfert). Alla luce di ciò, se il consulente dovrà essere utile, è necessario che crei prima di tutto una relazione capace di far ritrovare al cliente l’autostima, che riequilibri la rispettiva posizione di consulente e cliente, e riduca il sentimento di dipendenza (o contro-dipendenza) che a volte il cliente nutre nei primi tempi. 4.2 Come si sviluppa un rapporto con il cliente Il colloquio tra la persona che chiede aiuto (cliente) e quella che lo fornisce (consulente), deve creare una relazione in cui le due parti si possano ascoltare, comprendere, e scambiarsi quello di cui hanno bisogno. Quando il cliente racconta la propria storia al consulente, dovrebbe controllare attentamente se quest’ultimo lo ascolti attivamente, comprenda le sue argomentazioni e aderisca al suo punto di vista. Se 43 il cliente avverte che tutto ciò che egli dice sarà compreso, allora potrà esporre la sua storia in maniera più approfondita. Nel contempo, il consulente deve rendersi conto del fatto che delle norme culturali imporranno sempre dei limiti al grado di apertura a cui una conversazione può giungere; infatti esisterà sempre qualche aspetto della coscienza che il cliente non desidera condividere, ed esistono aspetti della coscienza che non possiamo accettare in noi stessi, finendo così per reprimerli. Il consulente, da parte sua, controlla il grado di dipendenza a cui il cliente si dimostra disposto, e che il consulente stesso potrà accettare. Man mano che aumenta la disponibilità del cliente ad accettare il consulente, quest’ultimo potrà rivelare qualche cosa di più sul proprio pensiero latente, e portare la conversazione a un livello più profondo. Per costruire l’accettazione reciproca è necessario procedere lentamente verso la stessa e creare una posizione più equilibrata nella relazione. Gli interventi più determinanti consistono nel permettere al cliente di raccontare la sua storia e nell’indagare attivamente per riconoscere ed eliminare le aree di ignoranza del consulente. Il fatto di fornire aiuto può creare fiducia: ciò consente di accettare a qualsiasi livello quello che il cliente rivela. Pertanto il consulente dipende dal cliente per l’acquisizione di affermazioni corrette e la conoscenza di sentimenti, e potrebbe desiderare di essere aiutato a fare in modo che il cliente crei la fiducia necessaria a rivelare livelli di coscienza più profondi. La relazione si va così gradualmente equilibrando, dal momento che entrambe le parti danno e ricevono aiuto. 4.3 Quali tipi di intervento vengono compiuti Le fasi della raccolta di dati e dell’intervento non possono essere separate completamente. Entrambe hanno luogo simultaneamente; pertanto il modo in cui si raccolgono dati costituisce un intervento, e il tipo di intervento che si sceglie mette in luce nuovi dati, risultati dalle reazioni a tale intervento. Alla luce di ciò, non è possibile classificare secondo uno schema rigido gli interventi che un consulente di processo può compiere. Ciò che però si può fare è una suddivisione degli interventi possibili in alcune categorie generali: i gruppi di lavoro, le relazioni interpersonali e il dialogo. Tutti i gruppi devono sempre affrontare tre questioni fondamentali: come gestire i propri confini, definendo chi si trova all’interno e chi all’esterno, e mantenere la propria identità; come sopravvivere nell’ambien44 te esterno adempiendo alla propria funzione; come diventare e rimanere entità funzionanti per mezzo della gestione delle proprie relazioni interpersonali interne. Se il gruppo o la relazione esistono da un certo tempo, il gruppo funziona a tre livelli: il contenuto su cui il gruppo lavora; il genere di processi utilizzati; le strutture esistenti, che corrispondono ai modi operativi stabili e ricorrenti. Il consulente, successivamente, deve decidere su quali elementi del processo focalizzarsi e quando passare al contenuto o alla struttura. Il tema su cui focalizzarsi in ogni conversazione o riunione è innanzitutto il motivo per cui il gruppo si è riunito. Ogni organizzazione ha una funzione fondamentale; pertanto una delle funzioni principali del consulente è quella di aiutare i suoi membri a comprenderla. Per guidare un gruppo o un’organizzazione all’assolvimento del suo compito, è necessario l’adempimento di alcune funzioni del processo; queste funzioni sono spesso associate alla leadership del gruppo. Infatti, perché il gruppo possa progredire nello svolgimento di un compito, è necessario che qualcuno stabilisca l’obiettivo o il problema, avanzi proposte sul metodo di lavoro, fissi dei limiti di tempo o degli obiettivi intermedi. Perché sia possibili progredire, inoltre, occorre chiedere e fornire opinioni e chiedere e fornire informazioni su varie questioni che riguardano il compito. Il consulente dovrebbe aiutare il gruppo a giudicare autonomamente se sia stato concesso abbastanza tempo alle funzioni di ricerca di informazioni e opinioni; quindi in questi casi egli può chiedere quale genere di informazioni può essere necessario per risolvere il problema. Altre funzioni importanti sono quelle di chiarimento ed elaborazione, perché consentono a un gruppo di controllare la qualità della comunicazione e basarsi sulle idee apprese da altri per arrivare a concetti più creativi e complessi. Il consulente in tal caso può essere d’aiuto ponendo delle domande chiarificatrici, o controllando quello che lui stesso ha capito elaborando le idee sentite dai membri. Un’ulteriore funzione fondamentale è quella del riepilogo, perché evita che le idee esposte dai membri vadano perdute a causa delle dimensioni eccessive del gruppo o della durata della discussione. Il riepilogo deve comprendere un riassunto dei punti già trattati dal gruppo, nonché una rassegne delle idee esposte precedentemente. Infine, per quanto riguarda i gruppi di lavoro, c’è la funzione del controllo del consenso sulle opinioni, che consiste in un controllo periodico sul fatto che ci si stia avvicinando a una decisione o che si debba continuare a discutere. 45 Tuttavia, al fine di ottenere una buona prestazione è necessario osservare e gestire anche i processi interpersonali relativi alla creazione di una relazione e alla costruzione di un gruppo. I processi interpersonali e di gruppo si possono dividere in due grandi categorie: il modo in cui il gruppo si crea, definendo e mantenendo i propri confini, e il modo in cui un gruppo cresce e sviluppa i propri modelli di relazioni interne. Perché ci si possa sentire a proprio agio in una nuova situazione, è innanzitutto necessario risolvere i problemi emozionali di base che ogni persona sperimenta quando entra a far parte di un nuovo gruppo. Il primo problema riguarda la scelta di un ruolo o di una identità accettabili per se stessi e per gli altri; ogni nuovo membro deve sapere chi è se stesso e che cosa rappresenta in quel determinato gruppo. Un secondo problema che ogni nuovo membro deve risolvere in gruppo appena formatosi concerne la distribuzione di potere e influenza. Il problema di tutti i nuovi membri è il fatto di non conoscere le necessità e lo stile di ognuno, e quindi di non riuscire a capire con facilità chi sarà in grado di influenzare chi e su che cosa. Un ulteriore problema riguarda la preoccupazione che gli obiettivi del gruppo emergente non tengano conto anche delle aspirazioni e delle necessità personali dei membri; tutto ciò spinge a limitarsi a osservare lo sviluppo del gruppo. In questo caso il compito del consulente è quello di tranquillizzare i partecipanti, rassicurandoli sul fatto che l’iniziale attività di comunicazione costituisce una fase di crescita importante e necessaria; per creare un clima di appartenenza è inoltre importante stimolare ogni membro a dichiarare il proprio ruolo rispetto a ogni eventuale oggetto di discussione. Un altro aspetto da tenere in considerazione è quello dell’accettazione della familiarità; questo livello dipende dai membri, dal compito, dal tempo a disposizione del gruppo. All’inizio il problema si presenterà in termini di forme di comportamento e cortesia; più avanti nello sviluppo del gruppo, la focalizzazione si sposterà sulla formalità o informalità delle procedure, e infine si dibatterà se le discussioni del gruppo debbano limitarsi alle questioni strettamente inerenti al compito, oppure possano e debbano estendersi ad argomenti più personali. In questo caso, il ruolo del consulente potrebbe essere quello di aiutare il gruppo a riconoscere che è giusto lavorare sul problema. Infine, focalizzandomi sulla terza categoria generale relativa agli interventi possibili, ovvero il dialogo, è utile premettere che tutte le re46 lazioni umane si sviluppano intorno a qualche forma di conversazione. Anche la relazione tra consulente e cliente, quindi, si stabilisce tramite questo mezzo. Il dialogo può essere considerato come una forma di conversazione in grado di offrire la possibilità di rendersi conto degli assunti impliciti latenti appresi, per esempio, dalla cultura e dal linguaggio. Il dialogo parte dal presupposto che ogni persona sia portatrice di assunti diversi e che la reciproca comprensione sia, il più delle volte, un’illusione. Il dialogo non solo rende possibile la creazione di un clima adatto a un miglior apprendimento interpersonale, ma è anche l’unica via da seguire per la soluzione dei conflitti interpersonali derivanti da assunti impliciti e definizioni relative al significato differenti. Un obiettivo importante del dialogo consiste nel mettere il gruppo nelle condizioni di raggiungere un livello di consapevolezza e creatività superiore, attraverso la creazione graduale di una serie di significati condivisi e di un processo di pensiero comune. Il dialogo, pertanto, ha lo scopo di dar vita a un gruppo capace di pensare in maniera generativa, creativa, e di pensare insieme. 4.4 Come il processo viene valutato e come lo stesso ha termine L’obiettivo di qualsiasi azione di sviluppo organizzativo è un miglioramento del funzionamento dell’organizzazione. Tale miglioramento si può conseguire modificando alcuni dei valori dell’organizzazione e accrescendo le capacità di rapporto interpersonale dei dirigenti. La consulenza di processo, quindi, cerca di verificare che questi valori stianno mutando e che le capacità si vadano sviluppando. A proposito di valori, il più importante che deve essere modificato durante un’azione di sviluppo organizzativo è l’attenzione, data sia agli aspetti attinenti al lavoro che a quelli attinenti alle relazioni umane. Pertanto il problema della consulenza di processo è quello di modificare questo valore, facendo sì che il dirigente avverta che le relazioni umane e la gestione degli accadimenti interpersonali e di gruppo sono importanti quanto l’assolvimento dei compiti di lavoro. Un altro valore da cui ci si aspetta una variazione durante un’azione di sviluppo organizzativo che implichi la consulenza di processo, riguarda l’importanza accordata da un lato al contenuto del lavoro e alla struttura dell’organizzazione, dall’altro al processo secondo cui il lavoro viene svolto. La consulenza di processo dovrà quindi dimostrare ai dirigenti come i processi che si svolgono nelle 47 organizzazioni avvengono secondo schemi comprensibili e analizzabili, i quali hanno conseguenze importanti sul funzionamento dell’organizzazione. Un terzo valore concerne l’attenzione data ai risultati di breve periodo e all’efficienza nel lungo periodo. L’errore in cui possono incorrere molti dirigenti è il volersi gettare anima e corpo in attività che danno un risultato immediato. In virtù di questo, il consulente di processo deve modificare il sistema di valori del dirigente, in maniera tale che acquisisca la capacità di accettare dei periodi in cui non riscontra dei risultati immediati, e che quindi possano sembrare solo una perdita di tempo. Un altro compito del consulente di processo, che corrisponde al quarto valore, è quello di insegnare al dirigente ad accogliere l’esigenza di una diagnosi continua dei processi, come metodo alternativo rispetto all’insistenza sulle linee generali e sui principi in base ai quali operare. La dote più importante che deve essere trasmessa al cliente è la capacità di diagnosticare e di affrontare i problemi attinenti alla sfera interpersonale, di gruppo e organizzativa. Inizialmente, il consulente ha maggiori conoscenze e capacità rispetto al cliente; col procedere dell’azione di consulenza di processo, il consulente dovrà osservare nei clienti un aumento di tali conoscenze e di tali capacità. Pertanto, la capacità del cliente di diagnosticare e di affrontare i propri problemi deve essere compiuta mediante osservazioni dirette da parte del consulente e/o dello stesso cliente. Nel momento in cui i clienti si sentono capaci di procedere senza l’aiuto del consulente, quest’ulimo deve essere pronto a ritirarsi, anche qualora non sia pienamente convinto che il cliente abbia raggiunto un livello sufficiente di capacità. A questa prima fase, quella della valutazione dei risultati, ne segue una seconda, che è detta fase del distacco. Essa ha come elemento centrale la riduzione del coinvolgimento del consulente nell’organizzazione cliente. Questo processo di distacco è caratterizzato in primo luogo dalla diminuzione dell’impegno del consulente, che scaturisce da una presa di decisione comune. In secondo luogo è rilevante il fatto che il coinvolgimento del consulente non cessi subito e del tutto, ma possa proseguire ad un livello molto ridotto. Una totale cessazione del rapporto non è opportuna, perché è possibile che la diagnosi su cui si fonda la diminuzione dell’impegno non sia sufficientemente accurata al punto da giustificare la fine del rapporto. Riducendo il livello dell’impegno, infatti, è possibile, 48 sia per il cliente che per il consulente, verificare periodicamente come procedono le cose. Infine va tenuta in considerazione la possibilità di un ulteriore lavoro con il cliente, qualora questi lo desidera. Instaurando qualsiasi rapporto di consulenza con un cliente, svolto secondo il modello della consulenza di processo, il consulente deve chiarire che, una volta che il rapporto ha avuto inizio, è sempre aperta la possibilità di un lavoro ulteriore. Ciò avviene per il fatto che per il cliente è sempre difficile instaurare un rapporto valido con un consulente. Una volta che entrambi hanno compiuto uno sforzo per costruire un simile rapporto, esso non viene meno sul piano psicologico, neppure qualora si verifichi un’interruzione prolungata dello stesso. In generale, anche se non è una regola fissa, è al cliente che spetta di ristabilire il contatto. Il consulente, dal canto suo, dovrà esprimere una domanda sincera, che il cliente potrà declinare senza sentirsi a disagio. 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