Achille e Priamo - Classi Colorate

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Achille e Priamo - Classi Colorate
Achille e Priamo
Dopo settimane di tregua la guerra aveva ripreso con
rinnovata ferocia, all’inizio in schermaglie isolate, poi
quando erano emersi contrasti fra i Greci, e Achille,
il più temibile fra loro, aveva ritirato i suoi uomini, in
un’offensiva generale.
Molto tempo fa, le fertili pianure di
Ftia erano popolate dai Mirmidoni,
il loro re, era il celebre Achille.
Ormai la causa dei Greci era disperata. E così
pure Patroclo. Escluso dal combattimento a causa
della lite di Achille con i generali, si aggirava
preoccupato nel campo informandosi della morte
di questo uomo, del ferimento
quasi mortale di un altro, tutti
compagni cari.
Nello stesso periodo, la città di Troia
era governata da Priamo, amorevole
padre di molti figli, tra cui il
valorosissimo Ettore.
Il fato aveva già designato il loro incontro.
Non sapevano che avrebbero condiviso molto
più di quello che avessero potuto immaginare.
Durante la guerra di Troia, Achille,
acciecato dalla rabbia e colmo di rancore
per la morte di Patroclo, uccide Ettore, poi
ne sfigura il corpo per undici giorni e undici
notti.
Achille grugnì, spinse di più la spada. Scaricò
tutto il peso del corpo sull’affondo. Lui stesso
senza peso. Tutta la sua forza bruta ora
concentrata nella lama mentre la premeva dentro.
Per un momento immoto e interminabile furono
legati, lui ed Ettore, da tre spanne di bronzo
temprato.
Dopo aver srotolato una cinghia di cuoio che
teneva in vita, sollevò i piedi e li legò insieme; poi,
con la cinghia avvolta intorno al polso, trascinò
il cadavere fino al suo cocchio. Fece passare la cinghia
una, due, tre volte intorno all’assale di faggio e la
assicurò al carro. Strattonò il cuoio per controllare
che tenesse.
Il vecchio re, impazzito dal dolore, decide di far
appello all’umanità del Peleo e farsi restituire il
corpo martoriato del suo amato figlio.
«Sono Priamo, re di Troia», dice soltanto.
«Sono venuto da te, Achille, così come
mi vedi, così come sono, per chiederti,
da uomo a uomo, da padre, il corpo di mio
figlio. Per riscattarlo e portarlo a casa».
“Ricordati di tuo padre, Achille, come me
sulla soglia della vecchiaia: forse i sovrani
rivali lo accerchiano e gli causano
distruzione, e non c’è nessuno a stornare da
lui la rovina.
Eppure tuo padre in cuor suo sa che sei vivo
e si rallegra nell’anima, sperando di poter
rivedere un giorno suo figlio tornare da
Troia.
Io invece sono sconsolato, ho avuto figli
meravigliosi e non me ne resta più nessuno.
Ne avevo cinquanta, diciannove dei quali
dalla stessa moglie.
La maggior parte sono morti, e quello che
per me era unico, che salvava la città e le
vite dei cittadini, Ettore, proprio adesso l’hai
ucciso mentre combatteva per la sua patria e
l’amore dei suoi cari.
Sono venuto fin qui perché voglio riscattare il suo
corpo. Ti supplico, abbi pietà di me, del cuore
infranto di un padre che patisce la morte di suo
figlio, fallo nel ricordo di tuo padre.
Ho sopportato quello che al mondo nessun altro
mortale avrebbe potuto sostenere:
Baciare la mano dell’uccisore di mio figlio.”
Achille, il terribile e spaventoso guerriero, pensa.
Pensa a suo padre.
Piange.
Il vecchio re e il valorosissimo
guerriero, presi da ricordi intrisi di
malinconia, sfogano la propria tristezza,
repressa per un tempo così lungo in
loro.
Tra di loro si è creato un legame
invisibile e infrangibile; un filo lega i
loro destini, intrecciati in un tempo
perduto.
Achille, sazio di lacrime, dice a Priamo:
“Smetti di disperarti per la sorte di tuo figlio,
perché niente lo riporterà indietro, anzi, il
dolore non farà che aumentare.”
A quelle sue stesse parole si illumina:
Capisce quanto il suo rimorso e la sua
rabbia non abbiano fatto altro che procurare
inutili morti.
Che ormai Patroclo sia morto e nulla potrà
portarlo indietro.
Che il rimpianto gli abbia solo pesato nel
cuore e nell’anima.
Perché non ha potuto capirlo prima?
Perché si è chiuso nella sua ira
lasciando morire Patroclo?
Ha imparato l’importanza di porsi dei limiti.
Ha imparato che il rispetto e il perdono,
sono in realtà, l’unica vera strada da percorrere
per essere in pace con se’ stessi e con gli altri.
Ora, nella scia delle parole di Priamo, al di là di
lui vede un altro vecchio, più vicino e più distante:
suo padre Peleo, e al di là un altro, se stesso, il
vecchio che non sarà mai.
Ed è colpito, in un fiato e in tutte le membra, da
un freddo mai avvertito prima, nemmeno sulla
piana id Troia nelle notti d’inverno più fonde.
Ciò a cui ha assistito, nell’illuminazione del
momento rievocato da Priamo, è un tempo a
venire, la fine delle cose nei giorni successivi alla
sua morte.
Priamo, animato dall’annientante rivelazione
comparsa sul volto dell’uomo, cade al fine in
ginocchio e afferra le mani di Achille.
Testi tratti da David Malouf,
Io sono Achille, trad. di Francesca Pe’,
Edizioni Frassinelli, Milano 2010