Le tracce lasciate su Faceb... - Ludam: tra la carta e la rete

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Le tracce lasciate su Faceb... - Ludam: tra la carta e la rete
Le tracce lasciate su Facebook e la condanna all' eterno ricordo
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http://archiviostorico.corriere.it/2010/luglio/23/tracce_lasciate_F...
SOCIETÀ PER IL GIURISTA ROSEN VIENE MENO LA POSSIBILITÀ DI RICREARE L' IDENTITÀ, DIMENTICANDO E PERDONANDO
Il successo di un saggio sul New York Times: tolto il diritto a reinventarsi Il web e le nostre
vite La Rete, che prometteva di essere un luogo di libertà, rischia di diventare fonte di
controlli sulle nostre vite
MILANO - L' esperimento è facile e (tutto sommato) indolore, ma i risultati sono illuminanti per chi tra noi, nato quando il Web era un sogno nella testa di
qualche visionario, oggi vive immerso nell' oceano digitale. Provate ad andare sulle tracce del vostro passato: un amore perduto, un compleanno, una gita. Per
gli anni 70, 80, perfino 90, il filo rosso starà raggomitolato in una scatola (fisica): lettere, ritagli, foto. Oggi, il più delle volte, basterà una connessione Internet.
E una scatola tutta virtuale. Facebook, MySpace, Google, caselle di posta elettronica, Flickr e Twitter. «Reti sociali», email, blog. Graffi di memoria, incisi per
sempre nel World Wide Web. Tutto resta, nulla si cancella. E se è confortante sapere che nessun trasloco o alluvione potrà distruggere quello scatto che ci ritrae
abbracciati al nostro primo cagnolino, il contrappasso è lì in agguato: «Il Web significa la fine dell' oblio», titolava ieri il New York Times. A seguire, lungo e
dottissimo (ma secondo nella top ten degli articoli più inviati via mail) saggio di Jeffrey Rosen, giurista alla George Washington University. Solo in apparenza
dedicato alle ripercussioni, fin troppo concrete, di questa condanna al ricordo eterno dal caso di Stacy Snyder, 25enne aspirante educatrice che si è vista
rifiutare la laurea causa foto «non professionale» pubblicata su MySpace, al 70% dei datori di lavoro che negli Usa (dati Microsoft) hanno rifiutato candidati
potenziali dopo una scrematura delle loro «tracce» in Rete. Il passato è una terra straniera, scriveva Gianrico Carofiglio. Forse, un tempo, lo era davvero; oggi
non più. Internet, con la sua negazione dell' oblio, ha fatto piazza pulita - riassume Rosen - del «diritto al reinventarsi» che ha caratterizzato le fasi più recenti
della storia dell' umanità (e che costituisce il nocciolo del «sogno americano»). Bei tempi, quando credevamo che la Rete fosse l' evoluzione della Frontiera:
invece di scappare verso le Grandi Praterie, ci si poteva più comodamente creare un' identità fittizia, e chattare con sconosciuti e non. Nel 1993 Robert Jay
Lifton pubblicava The Protean Self, l' «identità protea»: un individuo e mille identità, mutanti ma sotto controllo. Neanche vent' anni dopo, il sogno si è infranto
contro il muro del ricordo obbligato. Oggi più che mai, siamo la somma dei nostri anni passati. Volenti o nolenti, li portiamo sempre con noi, come un bagaglio
di cui non ci possiamo disfare; un eterno presente, carico di potenzialità e gravido di rischi. Dimenticare, nell' era digitale, è una virtù, secondo il cyber studioso
Viktor Mayer-Schönberger; solo «cancellando le memorie esterne la società accetta che gli esseri umani evolvano nel tempo». E «senza qualche forma di oblio,
il perdono è un' impresa difficile». Sarà per questo che, soprattutto negli Usa, la nuova sfida è quella di trovare vie legali per tutelare il «diritto all' oblio», dalla
«bancarotta reputazionale» (la propone, da Harvard, Jonathan Zittrain: ogni 10 anni, un colpo di spugna sul Web e via) all' estensione online del «diritto di
rettifica» (la invoca Cass Sunstein, «guru» del diritto in forze nel governo Obama). «In Italia - commenta Guido Scorza, docente di Diritto delle nuove tecnologie
- ci si è limitati alla tutela di chi è coinvolto in vicende giudiziarie. In realtà è un problema culturale: bisogna far maturare la convinzione che con la propria
immagine si può fare quel che si vuole, purché consapevoli dei rischi. E poi, siamo sicuri che dimenticare sia il bene assoluto? È meglio accorciare la memoria
per legge, o mantenerla viva?». Gabriela Jacomella RIPRODUZIONE RISERVATA
Jacomella Gabriela
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(23 luglio 2010) - Corriere della Sera
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