Femminismi in Marocco tra politiche di genere e movimenti sociali

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Femminismi in Marocco tra politiche di genere e movimenti sociali
Sara Borrillo
Femminismi in Marocco
tra politiche di genere e movimenti sociali.
Alcune evoluzioni recenti*
1. Introduzione
Al grido di «dignità, libertà, giustizia sociale» (karāma, hurriyya
‘adāla ijtimā‘iyya),1 in Marocco, così come negli altri paesi dell’aerea
Mena (Medio Oriente e Nord Africa) in cui lungo tutto il 2011 sono
fiorite le cosiddette “Primavere politiche”, le donne hanno manifestato
tra le fila dei movimenti di piazza per denunciare lo stato di umiliazione (hoghra) in cui versa gran parte della popolazione e rivendicare il
cambiamento democratico dello Stato, la fine della corruzione nell’amministrazione pubblica e il concreto rispetto delle libertà individuali e
dei diritti di cittadinanza.2
Benché sia possibile osservare la profonda continuità storica
dell’attivo impegno femminile, spontaneo o organizzato in associazio* Questo articolo, redatto nell’estate 2012 e rivisto nella primavera del 2013, è una versione
aggiornata della comunicazione presentata con lo stesso titolo al seminario Femminismi nel Mediterraneo organizzato dalla Sis e dalla Sissco presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università Alma Mater di Bologna nel dicembre 2011. Ringrazio Leila El-Houssi e Lucia Sorbera
per i preziosi commenti alla prima bozza di questo saggio, le/i due autrici/autori anonime/i dei
referaggi per le utili osservazioni ed Ersilia Francesca per l’attenzione rivolta al lavoro dottorale.
Un mio profondo ringraziamento va anche a Dora Hasson e Antonello Centomani, per i consigli
e la costante presenza.
1. Per la translitterazione dei termini arabi è stato usato un sistema semplificato in cui sono
indicate solo le vocali lunghe e non le consonanti enfatiche. Il suono “sh” corrisponde a “sc” di
“sciame”; la lettera “j” si legge come la “g” di “giardino”; il suono “gh” si legge come la “gh” di
ghepardo, anche quando è seguito da consonante.
2. Ho scelto di non usare l’espressione “primavere arabe” nonostante essa sia entrata
oramai in voga nel linguaggio italiano. Questa espressione presenta una certa problematicità
in quanto esclude le componenti etno-sociali diverse da quella araba che hanno contribuito
in maniera decisiva alla mobilitazione dei movimenti per la democrazia, come la componente
berbera in Nord Africa.
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ni, partiti politici e altre emanazioni della società civile sin dall’inizio
del ’900, la partecipazione delle donne nei recenti movimenti politico-sociali dei paesi a maggioranza musulmana ha generato un atteggiamento di sorpresa in alcune recidive analisi occidentali, anche di
stampo femminista, ancora influenzate dall’idea di derivazione coloniale secondo cui le donne di questi paesi sarebbero silenti, passive ed
eterne vittime del patriarcato islamico.3
La “scoperta” occidentale della partecipazione pubblica delle donne in area Mena si fonda da un lato sulla categoria di “donna
arabo-musulmana con hijāb”, intesa come astorica, socialmente omogenea e non invece caratterizzata da elementi di differenza nazionale, culturale, di classe, d’istruzione, di militanza – o indifferenza –
politica, di appartenenza generazionale e d’identificazione religiosa;
aspetti, questi, che rendono le donne dei paesi a maggioranza musulmana un insieme estremamente variegato di soggetti.4 Dall’altro,
essa interpreta l’agire individuale in contesto musulmano secondo la
visione dicotomica che associa il mondo maschile alla sfera pubblica
e quello femminile al privato, finendo per trascurare la molteplicità di
agencies delle donne che contestano, negoziano o riproducono l’applicazione delle norme sociali dominanti, valicando i confini reali e
immaginati del patriarcato.5
Le ragioni di una simile impostazione, cui è corrisposta l’imponenza dell’impatto mediatico generato in Occidente dalle immagini di
donne che hanno sfilato nei cortei della sponda sud del Mediterraneo
guidando la folla al megafono, facendo cordoni in protezione dei manifestanti e resistendo alle cariche della polizia, vanno a mio avviso
3. Si tratta di pregiudizi presenti in alcune analisi del femminismo occidentale che diverse autrici hanno definito «discorsivamente coloniali»: Leila Ahmed, Oltre il velo. La donna nell’Islam da
Maometto agli Ayatollah, Firenze, La Nuova Italia, 1995. Chandra Talpade Mohanty, Under Western
Eyes. Feminist Scholarship and Colonial Discourses, in «Feminist Review», 30 (1988), pp. 61-88.
Quest’ultimo saggio è contenuto in Chandra Talpade Mohanty, Femminismo senza frontiere. Teoria,
differenze, conflitti, a cura di Raffaella Baritono, Verona, Ombre corte, 2012.
4. L’hijāb è il termine che indica il foulard indossato dalle musulmane per coprirsi il capo.
Sirin Adlbi Sibai, ricercatrice ispano-siriana all’Università Autonoma di Madrid, dove ha discusso
una tesi di dottorato sul rapporto tra teorie del femminismo occidentale, colonialismo e movimento
delle donne in Marocco, ha elaborato una critica alla categoria di “donna musulmana con hijāb”,
sulla base dell’adesione alla critica di Chandra Talpade Mohanty rivolta alla categoria di “donna
media del terzo mondo” presente in alcuni punti di vista del femminismo occidentale. Sirin Adlbi
Sibai, Colonialidad, féminismo e Islam: http://www.rebelion.org/docs/150680.pdf (ultimo accesso: 2 aprile 2013).
5. Saba Mahmood, Politics of Piety. The Islamic Revival and the Feminist Subject, Princeton,
Princeton University Press, 2005, p.15.
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spiegate con la mancata contestualizzazione dell’attivismo femminile
nella longue durée della storia dei paesi a maggioranza musulmana.
A tal proposito, numerosi studi testimoniano la costante presenza
delle donne nelle battaglie dei propri popoli, in un primo momento a
favore dell’indipendenza nazionale e successivamente nei movimenti
per il riconoscimento dei diritti civili, politici, economici e sociali,
le cui istanze corrispondevano con quanto affermato nelle principali
dichiarazioni e convenzioni internazionali in materia (come la Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948 e la Convenzione per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne – Cedaw –, adottata nel 1979 dall’Assemblea Generale dell’Onu, in vigore
dal 1981), in maniera più o meno vincolata al richiamo identitario
dell’Islam.6 Quanto al Marocco, che rappresenta il contesto specifico
della mia ricerca, mi sembra opportuno approfondire l’analisi circa
la storicità dell’attivismo femminile al fine di comprendere come si
articola oggi in questo paese la questione femminile.
Quali traiettorie hanno percorso le donne per l’ottenimento dei
propri diritti in Marocco?
E quali sono gli effetti di queste battaglie sui complessi cambiamenti sociali contemporanei?
2. Uguaglianza di genere, Islam
e democrazia in Marocco
Le convenzioni internazionali per il rispetto dei diritti umani e
l’Islam rappresentano i due principali riferimenti valoriali intorno ai
quali si sono articolati, e continuano a evolversi oggi, i posizionamenti ideologici e le strategie d’azione dei movimenti delle donne in
contesto musulmano. In Marocco, così come avviene per altri paesi
dell’area del Maghreb, come Tunisia ed Algeria, nonché per l’Egitto,
il principale terreno di scontro tra i due insiemi discorsivi riguarda in
maniera peculiare il complesso delle norme dei Codici dello Statuto
Personale che, restando ancorate ad interpretazioni patriarcali delle
fonti giuridiche del credo musulmano, frenano il riconoscimento dei
6. Zakya Daoud, Féminisme et politique au Maghreb. Soixante ans de lutte (1939-1992),
Casablanca, Eddif, 1993. Carmelo Perez Beltran, Mujeres argelinas en lucha por las libertades
democraticas, Granada, Università di Granada - Instituto de Estudio de la mujer, 1997. Caridad
Ruiz de Almodovar Sel, Historia del movimento feminista egipcio, Granada, Università di
Granada - Instituto de Estudio de la mujer, 1989.
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diritti di cittadinanza formalmente garantiti per tutti (uomini e donne),
di contro, nelle Costituzioni.
Quanto al caso specifico del movimento delle donne marocchine,
che costituisce l’oggetto privilegiato di questo saggio, è possibile distinguere tre componenti principali: l’area delle femministe laiche, le
attiviste dei movimenti e dei partiti islamisti, le femministe islamiche.
Le femministe laiche sostengono l’affermazione del rispetto dei
diritti umani e dell’eguaglianza di genere nell’ambito di uno Stato
secolare in cui l’Islam sia considerato esclusivamente come religione
afferente alla sfera privata dei cittadini e non, come avviene in Marocco, come fonte di ispirazione primaria delle norme giuridiche, sociali
e del culto religioso. Vi sono poi le attiviste dei movimenti e dei partiti
islamisti, che considerano l’Islam come primo elemento d’identificazione individuale, oltreché come principio ispiratore dell’ordine collettivo ideale. E, infine, va menzionata la posizione delle aderenti alla
corrente di pensiero del cosiddetto femminismo islamico, convinte
della piena compatibilità tra il discorso universalista dei diritti umani
e l’Islam, inteso come sistema morale e spirituale promotore di giustizia e solidarietà sociale e non di discriminazione contro le donne.7
In questo lavoro mi propongo di descrivere i principali approcci del movimento delle donne marocchine, evidenziando, in primo
luogo, l’impatto delle rivendicazioni femministe sull’adozione delle
politiche di genere nel decennio 1993-2003 e, successivamente, valutandone gli effetti di lungo periodo emersi nel recente dibattito sulle
libertà individuali che, a più di un anno dalle manifestazioni per la democrazia animate dal Movimento del 20 febbraio (2011), pone l’autodeterminazione femminile ancora una volta al centro del processo di
acquisizione dei diritti di cittadinanza.
Lungi dall’essere un’analisi esaustiva del rapporto tra femminismi, movimenti sociali e politiche di genere in Marocco, questo saggio intende contribuire alla riflessione critica circa la rilevanza dell’uguaglianza tra uomini e donne nella realizzazione dei principi della
cosiddetta transizione democratica, tanto in voga nella retorica dell’e-
7. L’adesione al “femminismo” non è condivisa da tutte le donne che per discorso e
strategia politica potrebbero essere classificate come sue sostenitrici; ciò avviene per diverse
ragioni, per lo più collegate alla percezione che si ha del femminismo, spesso inteso come una
corrente di pensiero e un movimento socio-politico d’impostazione occidentale, laica, avversa
agli uomini e all’unità del nucleo familiare.
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stablishment marocchino negli ultimi decenni.8 Con questa espressione alcuni osservatori si riferiscono all’attitudine della monarchia
nordafricana di incorporare nelle politiche pubbliche il riferimento ai
valori democratici e ai diritti umani riconosciuti a livello universale.
Il tutto è teso a costruire un’immagine di modernità politica, sociale
ed economica del regime, in continuità con le costanti espresse nella
divisa nazionale «Dio, Patria, Re» (Allah, al-Watan, al-Malik).9
Formulata nei termini sopra descritti, la combinazione tra Islam
e potere politico in Marocco è riscontrabile tanto in ambito pubblico
quanto nella sfera privata dei cittadini. Pertanto rappresenta il principale ostacolo all’affermazione degli ideali egualitari promossi dal
movimento femminista: infatti, a livello nazionale, la legittimazione islamica della monarchia è blindata dal doppio ruolo temporale
e religioso del Re, mentre, a livello familiare, il sistema patriarcale
costituisce un solido sostegno per leggi e comportamenti sociali d’ispirazione islamica discriminatori nei confronti delle donne.10
Per queste ragioni, se è vero che la democrazia moderna può essere definita come un sistema politico fondato sulla capacità dello
Stato di garantire l’uguaglianza di diritti e responsabilità tra tutti i cittadini, soggetti femminili compresi, la mancata affermazione dell’uguaglianza di genere può essere considerata come uno degli elementi
intorno ai quali il discorso della transizione democratica marocchina,
disattendendo i suoi obiettivi, rivela alcuni suoi punti deboli. Infatti,
come emerge da numerosi rapporti e inchieste, in Marocco sono an8. Si è dato avvio alla “transizione democratica” in Marocco all’inizio degli anni ’90,
quando Re Hassan II aprì la monarchia al multipartitismo e alla cosiddetta fase di alternanza
politica. Secondo alcuni autori la transizione democratica marocchina è entrata nel vivo con la
successione al trono di Re Muhammad VI (1999), secondo altri essa resta un costrutto retorico.
Pierre Vermeren, Le Maroc en transition, Paris, La Découverte, 2002.
9. Questa espressione è contenuta nel disposto costituzionale (art. 4, Cost. 2011) ed è
scritta in caratteri bianchi di cubitali dimensioni su numerose alture del territorio nazionale.
L’Islam è religione di Stato ai sensi della Costituzione e culto socialmente maggioritario in
Marocco. Il riferimento ai diritti umani e alle libertà fondamentali è presente in molti discorsi
reali degli ultimi anni, da ultimo nel discorso alla Nazione pronunciato da Re Muhammad VI
il 15 marzo 2011 in risposta ai moti di piazza del Movimento del 20 febbraio, con il quale egli
comunicava al Paese l’istituzione di una Commissione di nomina reale per la redazione di una
nuova Costituzione.
10. Il Re del Marocco è Capo di Stato e Comandante della Comunità dei Credenti in nome
della discendenza diretta dal Profeta Muhammad. Egli deve essere un maschio. Quanto alla
reciproca legittimazione tra patriarcato e monarchia il sociologo marocchino Mohsine El-Ahmadi
afferma che la monarchia marocchina si fonda sull’istituzione della famiglia patriarcale, in cui la
figura dominante è quella del maschio più anziano. Mohsine El-Ahmadi, La Monarchie et l’Islam,
Casablanca, Ittisalat Salon, 2006, p. 52.
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cora da realizzare passi decisivi per l’estinzione del fenomeno della
violenza di genere, per una maggiore partecipazione delle donne al
mercato del lavoro, per tutele del lavoro domestico adeguate, per un
più ampio accesso delle donne all’istruzione, considerato che l’analfabetismo femminile si attesta a livelli molto elevati, in particolare in
contesti rurali.11
Tuttavia, negli ultimi anni, va segnalata l’adozione di riforme più
attente al riconoscimento dei diritti civili, politici e sociali delle donne. Riforme che, come intendo dimostrare di seguito, sono il risultato
di decenni di rivendicazioni del movimento femminista.
3. Il movimento delle donne in Marocco
I primi passi del movimento delle donne in Marocco sono stati
mossi in direzione della rivendicazione del diritto all’istruzione, intorno al quale si è strutturata la collaborazione con il movimento nazionalista, in cui la presenza femminile si era registrata sin dall’avvio
del Protettorato francese (1912-1956).12
La studiosa Fatima Sadiqi fa corrispondere l’avvio della storia
del movimento femminista marocchino al 1946, anno d’istituzione
dell’associazione Sorelle della purezza (akhawāt al-ṣafā’). Composta
per lo più da donne della borghesia urbana di Fès, vicine al partito
Indipendenza (Istiqlāl), l’associazione promuoveva il diritto all’istruzione, l’abolizione della poligamia, del ripudio, dei matrimoni
precoci, il diritto alla custodia materna sui figli in caso di divorzio,
l’uguaglianza di genere nella testimonianza legale.13 Negli anni successivi all’indipendenza (1956), l’accesso delle donne all’istruzione e
al lavoro retribuito favorì la partecipazione femminile ai movimenti
11. Secondo il rapporto dell’Unesco, Education au Maroc, Analyse du secteur del 2010,
il 40% dei marocchini di età superiore ai dieci anni è analfabeta. Questo tasso raggiunge il 60%
della popolazione in contesto rurale, dove il 75% degli analfabeti sono donne: http://unesdoc.
unesco.org/images/0018/001897/189743f.pdf (ultimo accesso: 2 aprile 2013).
12. Le donne svolsero diverse attività di spionaggio, trasporto d’armi, supporto alla
logistica di riunioni e manifestazioni contro il protettorato francese. Carmen Gomez Camarero,
El movimento femenino y feminista en Marruecos, in El Magreb. Coordenadas socioculturales,
editado por Carmelo Perez Beltran y Caridad Ruiz de Almodovar, Universidad de Granada,
Dipartimento di Studi Arabi Contemporanei, 1995, pp. 39-65, p. 44.
13. Generalmente nel diritto islamico classico la testimonianza di un uomo si considera
equivalente a quella di due donne. Fatima Sadiqi, The Central Role of the Family Law in Moroccan
Feminist Movement, in «British Journal of Middle Eastern Studies», 35/3 (2008), pp. 325-337.
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sindacali e studenteschi, particolarmente impegnati nel movimento
per la democratizzazione durante i cosiddetti anni di piombo.14
La denuncia del carattere discriminatorio del Codice sullo Statuto
Personale (Mudawana), caratterizza, sin dall’anno dell’approvazione
(avvenuta con alcuni decreti reali adottati tra il 1957 e il 1958) la storia del movimento femminista marocchino. Il Codice era infatti ben
lontano dal principio di uguaglianza giuridica tra coniugi: fondava la
famiglia sulla centralità della figura del marito o del padre, legalizzava la poligamia, confermava la proibizione del matrimonio tra una
musulmana e un non musulmano e legittimava la disparità nel diritto
successorio tra uomo e donna dello stesso grado di parentela. Fissando l’età minima matrimoniale a diciotto anni per i ragazzi e a quindici
per le ragazze, si rendeva di fatto impossibile il ricorso ad appelli
legali contro i matrimoni precoci. Inoltre, si garantiva la posizione del
tutore matrimoniale e si ribadiva la necessità del permesso maritale
per svolgere un lavoro extradomestico.15
Sulla base di queste disposizioni, che legittimavano il potere del
marito sulla moglie, del padre sulla famiglia e il trattamento della
donna come eterna minore, Houria Alami Mchichi, politologa e docente all’Università di Casablanca, definisce la Mudawana come il
luogo in cui si manifesta la profonda «(con)fusione tra religioso e
temporale che consacra giuridicamente la subordinazione femminile
in famiglia e in società».16
Di contro, va osservato che la Costituzione del Regno, sin dalla
sua prima promulgazione (1962), sancisce formalmente il principio
14. Con quest’espressione si fa riferimento all’epoca di dura repressione inferta dal
regime marocchino su attivisti, intellettuali, militanti, nel periodo che va dalla dichiarazione
dello Stato di eccezione (1962) fino alla successione al trono dell’attuale Re Muhammad VI
(1999). Un periodo di repressione sistematica contro i movimenti sociali protagonisti di lotte,
manifestazioni e scioperi sindacali e studenteschi, che furono duramente colpiti da sparizioni,
arresti e torture. Alcune testimonianze di quegli anni sono raccolte nel volume Sole Nero.
Anni di piombo in Marocco, a cura di Elisabetta Bartuli, Messina, Mesogea, 2004. Cfr. con la
testimonianza di Ahmed Marzouki, detenuto per 17 anni nella prigione di Tazmamart: Ahmed
Marzouki, Tazmamart, Cellule 10, Casablanca, Tarik Editions, 2000 e con la testimonianza di
Fatna Al-Bouih, militante marxista e femminista riportata in Susan Slyomovics, Témoignages,
écrits et silences: l’Instance Équité et Reconciliation (IER) marocaine et la réparation, in
«L’Année du Maghreb», IV (2008), pp. 123-148.
15. Per la redazione della Mudawana (raccolta di leggi) il Re Muhammad V nominò una
commissione ad hoc, con decreto reale del 19 agosto 1957, cui presero parte personalità dell’establishment politico e religioso.
16. Houria Alami Mchichi, Genre et participation politique, in Féminin - Masculin: la
Marche vers l’égalité au Maroc (1993-2003), Rabat, Fondation Friedrich Ebert, 2004. pp. 91147, p. 117.
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di uguaglianza tra uomini e donne, sia da un punto di vista generale
che con particolare riferimento ai diritti politici, giungendo a contenere nel preambolo della sua versione del 1992 un riferimento esplicito
alla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani adottata dall’Assemblea Generale dell’Onu nel 1948.17 La risoluzione della contraddizione giuridica tra il principio di uguaglianza di genere garantito nella
Costituzione e il contenuto patriarcale della Mudawana ha costituito
l’obiettivo di fondo del movimento delle donne in Marocco.
La stampa ha rappresentato uno strumento privilegiato per la propagazione del discorso femminista su scala nazionale. A tal proposito,
un ruolo centrale è stato svolto da riviste di contestazione politica,
come «Femmes du Maroc», «Kalima» (Parola) e «Lamalif» (No), di
cui fu fondatrice e redattrice capo fino alla sua interdizione censoria, nel 1988, la giornalista, storica e militante Jacqueline David Longhlam, nota con lo pseudonimo Zakya Daoud, con il quale firmava gli
articoli su «La Jeune Afrique».18
Sul versante accademico, all’Università Muhammad V di Rabat
nel 1979 fu creata l’Union des Femmes Universitaires. Qui Fatima
Mernissi, nel 1981, diede vita al collettivo Femmes, Famille et Enfants, un gruppo di riflessione informale destinato ad influenzare il
dibattito nazionale sulla questione delle donne.19
La sociologa Rahma Bourquia include tali esperienze nell’ambito
del “femminismo intellettuale” marocchino, inteso come insieme di
17. Nella Costituzione del 1962, nella sezione Principi Fondamentali, all’art.5 è previsto
che tutti i marocchini sono uguali davanti alla legge. Nella sezione Diritti politici dei cittadini,
l’art. 8 recita: «L’uomo e la donna godono di uguali diritti politici. Sono elettori tutti i cittadini maggiorenni di entrambi i sessi che godono di diritti civili e politici». Louis Fougère, La
Constitution marocaine du 7 décembre 1962, in «Annuaire de l’Afrique du Nord», 1 (1964),
pp. 155-165. Nel preambolo della Costituzione del 1992 si sostiene che il Regno del Marocco
afferma il suo attaccamento ai diritti umani universalmente riconosciuti. Il testo integrale della
Costituzione del 1992 è reperibile al sito: http://mjp.univ-perp.fr/constit/ma1992.htm (ultimo
accesso: 2 aprile 2013).
18. Nonostante la cruenta repressione del regime durante gli anni di piombo, gli anni
’60 e ’70 furono fecondi quanto al dibattito intellettuale circa argomenti di politica, economia,
letteratura, poesia, cultura, sessualità. «Lamalif» fu una delle riviste su cui la riflessione critica
trovò spazio e il suo titolo si riferisce in modo particolarmente efficace alla contrarietà verso le
ingiustizie di quegli anni: Lam in arabo è il nome della lettera “L” e Alif è il nome della lettera
“A”; la composizione di L-A, in arabo (Lā) vuol dire “No”. Zakya Daoud, Les années Lamalif.
1958-1988. Trente ans de journalisme au Maroc, Casablanca, Tarik e SensoUnico, 2007 e Ead.,
Féminisme et politique au Maghreb, p. 312.
19 Muhammad Sghir Janjar, Surgimiento de la sociedad civil en Marruecos: el caso del
movimiento associativo femenino, in La sociedad civil en Marruecos. La emergencia de nuevos
actores, a cura di Maria Angeles Roque, Barcellona, Icaria Antrazyt - Iemed, 2002, pp. 106-126,
p. 112.
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discorsi, analisi e teorie prodotti in supporto al “femminismo militante”, attivo nel campo più operativo della scena politica e sociale.20
Sebbene tale categorizzazione dicotomica sia utile per analizzare la
differenza di piani d’azione delle esperienze femministe in Marocco,
va osservata la diffusa interazione tra alcuni gruppi di ricerca universitari e associazioni attraverso il metodo della Ricerca-Azione.21 Come
osserva Aisha Belarbi, la stretta relazione tra femminismo intellettuale e femminismo militante è andata consolidandosi negli anni ’80,
periodo in cui la società civile marocchina, a suo dire, giunse all’apice
della maturazione. Questo grazie al contributo del movimento per la
democratizzazione, attivo al di fuori delle sezioni dei partiti, ritenuti
incapaci di rispondere alla crisi socio-economica favorita dalle politiche di aggiustamento strutturale adottate in Marocco nel periodo
di fine anni ’70-inizio anni ’80, su pressione del Fondo Monetario
Internazionale e della Banca Mondiale. In tale contesto, la consueta attitudine sessista degli schieramenti politici portò molte militanti
a prenderne le distanze, per confluire in formazioni indipendenti in
cui poter difendere più efficacemente i propri obiettivi emancipatori.
Nell’ambito di una simile effervescenza politica al femminile –­ tra il
1970 e il 1984 le associazioni di donne passarono da cinque a ventisette – le due formazioni maggiori, create da ex militanti di partiti di
sinistra e ancora oggi le più rappresentative del movimento femminista marocchino, diedero avvio alla fase definita da Zakya Daoud del
“femminismo combattivo”.22 Si tratta dell’Association démocratique
des femmes du Maroc (Adfm), creata nel 1985 dalla sezione femminile del Partito per il progresso e il socialismo (Pps) e dell’Union de
20. Rahma Bourquia, già rettrice dell’Università della città di Muhammadiyya e tra le tre
donne ad aver partecipato alla Commissione per la redazione della Mudawana (2004) ha articolato
tale analisi in un suo studio sul ruolo della fecondità e della maternità nella vita delle donne
della regione orientale del Marocco. Rahma Bourquia, Femmes et fécondité, Casablanca, Afrique
Orient, 1996, pp. 9-14.
21. Un esempio è lo studio, in fase di pubblicazione, sulla discriminazione di genere nel
diritto successorio realizzato dal Gruppo di ricerca e studi su genere e sviluppo Greged della
Facoltà di Scienze giuridiche, economiche e sociali dell’Università Muhammad V di Rabat e
dall’Associazione democratica delle donne marocchine (Adfm). Comunicazione di Nouzha
Lemrani (del Greged) nell’ambito della prima Scuola estiva pluridisciplinare sui rapporti sociali
di genere, Facoltà di Scienze giuridiche, economiche e sociali, Università Muhammad V RabatAgdal. Rabat, 2-6 luglio 2012.
22. Aisha Belarbi, Femmes et société civile. Réflexions sur le cas du Maroc, in Droits de
citoyenneté des femmes au Maghreb. La condition socio-économique et juridique des femmes. Le
mouvement des femmes, Casablanca, Le Fennec, 1997, pp. 249-272, pp. 255-256.
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l’action féminine (Uaf), fondata nel 1987 dalle donne della Organisation d’action démocratique populaire (Oadp).
4. 1993-2003: il decennio delle riforme
Grazie alla raccolta di oltre un milione di firme, avviata l’8 marzo
1992 dall’Adfm e dalla Uaf, il movimento femminista riuscì ad ottenere una parziale riforma del Codice sullo Statuto Personale.23 Questa
prima revisione non soddisfò le attese delle militanti, tanto da essere
definita “omeopatica” da Zakya Daoud. Essa fu tuttavia significativa
per il suo valore simbolico, giacché giunse a desacralizzare la Mudawana, che fino ad allora era stata considerata un testo di legge non
passibile di riforma, poiché i suoi fondamenti giuridici erano legati
alla legge islamica (sharī‘a).24
Il dibattito pubblico sulla questione dei diritti delle donne che seguì la riforma diede impulso alla formazione, tra il 1992 e il 1995, di
tre nuove associazioni: la Ligue démocratique des droits des femmes,
l’Association marocaine pour les droits des femmes e Joussur - Forum des femmes marocaines, che andarono a rinforzare le rivendicazioni femministe già espresse dalla rete di associazioni nordafricane
confluite nel Collectif Maghreb Egalité 95. Per queste associazioni
la rimozione delle riserve poste all’adeguamento della Cedaw negli
ordinamenti nazionali dei paesi a maggioranza musulmana divenne
prioritaria.25
23. La riforma fu annunciata in un discorso reale tenuto il 20 agosto 1992, in cui Re
Hassan II si dichiarò favorevole alle rivendicazioni femministe a patto che non si interpretasse la
revisione della Mudawana come un atto politico: «Devi dirigerti a me, donna. Ma fai attenzione
a non confondere, durante la campagna referendaria per le elezioni che seguiranno, ciò che
appartiene alla tua religione con ciò che è temporale e politico. [...] Effettivamente esistono
alcune lacune e un’applicazione imperfetta della Mudawana, c’è discriminazione, c’è ingiustizia.
Lasciateci riparare a tutto ciò fuori dalla scena politica per non ritrovarci compromessi con
correnti di pensiero che mai potranno avere luogo nel nostro paese e mai lo avranno». La nuova
Mudawana fu promulgata con decreto reale n. 1-93-347 del 10 Settembre 1993 e poi pubblicata
nell’ottobre 1993 sul Bollettino Ufficiale dello Stato. Caridad Ruiz de Almodóvar Sel, El Código
Marroquí de Estatuto Personal y su reforma de 1993, in Mujeres, Democracia y Desarrollo en
el Magreb, a cura di Gemma Martín Muñoz, Madrid, Pablos Iglesias, 1995, pp. 29-35.
24. Zakya Daoud, Le plan d’integration de la femme au développement. Une affaire
révélatrice, un débat virtuel, in «Annuaire de l’Afrique du Nord», 38 (1999), Cnrs, pp. 245257, p. 246: http://aan.mmsh.univ-aix.fr/volumes/1999/Documents/chro_plan-integr-femme.pdf
(ultimo accesso: 2 aprile 2013).
25. A partire dal 2006 la campagna Égalité sans réserves mira all’eliminazione di tutte le
riserve poste dal governo del Marocco all’applicazione della Cedaw nell’ordinamento interno. La
Cedaw è stata ratificata dal Paese il 21 giugno 1993 nell’ambito della Conferenza Internazionale
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Nel marzo 1999, il Segretario di Stato per la Protezione sociale,
l’infanzia e la famiglia, Mohammed Said Saadi, del Partito per il progresso e il socialismo (Pps), presentò il Piano nazionale d’integrazione della donna allo sviluppo (Panifid), nell’ambito del primo governo
socialista del periodo di “alternanza politica”.26 Il Piano, contenente
misure per l’applicazione del principio di parità di genere nell’ambito della rappresentanza politica e istituzionale, per la promozione
dell’autodeterminazione femminile in tema di salute riproduttiva e
per il sostegno all’accesso delle donne all’istruzione, alla formazione e al lavoro, generò uno straordinario dibattito pubblico che rese i
diritti delle donne un argomento centrale per la politica nazionale.27
La portata delle reazioni al progetto è di particolare interesse storicosociologico, considerata la netta divisione della società civile in due
blocchi, favorevoli e contrari al Piano. Tale divisione emerse chiaramente in occasione delle celebrazioni per la Giornata internazionale
delle donne, che proseguirono il 12 marzo 2000, quando si svolsero,
a Rabat e Casablanca, due manifestazioni di piazza contemporanee.
Nella capitale marciarono le associazioni femministe e gli esponenti
del governo socialista sostenitori del Panifid, mentre a Casablanca
l’area islamista portò in strada i detrattori del progetto.
All’epoca, le principali organizzazioni islamiste marocchine, il
Movimento giustizia e spiritualità (al-‘Adl wa al-ihsān) e il Partito
per la giustizia e lo sviluppo (Pjd), che oggi è alla guida del governo
in carica, dichiararono di opporsi al Piano per due ragioni: la prima era che nel testo il riferimento all’universalismo dei diritti umani
sembrava prevalere su quello ai valori dell’Islam; la seconda era che
dei Diritti Umani di Vienna, è entrata in vigore con la pubblicazione sul Bollettino Ufficiale nel
2001, ma, fino al 2011, con riserva per i casi di contraddizione con la legge islamica nazionale e
il Codice di Famiglia.
26. Per “alternanza politica” si fa riferimento al periodo di apertura al multipartitismo
promosso da Re Hassan II all’inizio degli anni ’90.
27. Il Piano proponeva inter alia di elevare l’età minima di entrambi i coniugi a 18 anni,
di sottoporre la poligamia al consenso della prima moglie, di sostituire il ripudio con il divorzio
giudiziale, di affermare il diritto delle donne di scegliere il proprio sposo e, per le single, di
concedere il cognome ai propri figli; affermava il diritto «inalienabile» delle donne sulle scelte
riguardanti la propria salute riproduttiva; mirava all’abbattimento dell’analfabetismo femminile
(attestato a 7 milioni di donne adulte analfabete nel 1999); sottolineava il carattere sessista dei
testi scolastici, prevedeva l’istituzione di una commissione per la promozione dell’immagine
delle donne nei media, la creazione di un centro nazionale di ricerca e di una commissione per
la famiglia e la tutela dei figli, l’adozione di politiche di pianificazione familiare e, dal punto
di vista economico, proponeva di ridurre i tassi di povertà e precarietà lavorativa femminile
nonché di migliorare il sistema di formazione professionale. Daoud, Le plan d’integration de la
femme au développement.
Genesis, XII / 1, 2013
128
Il tema: Femminismi nel Mediterraneo
il progetto riceveva il finanziamento della Banca Mondiale, aspetto
ritenuto simbolico dell’ingerenza occidentale negli affari interni della
monarchia.28
Sebbene non si riveli corretto considerare analoghe le posizioni
del Movimento giustizia e spiritualità e del Pjd a proposito del Panifid, le due marce del 12 marzo 2000 comunicarono una netta polarizzazione della società civile, divisa tra “progressisti” e “passatisti”,
vale a dire in sostenitori di una riforma sociale e politica fondata sui
valori della cittadinanza moderna e difensori di un’organizzazione
sociale ispirata ad una visione conservatrice dell’Islam.29 Benché il
Piano non sia mai stato approvato, soprattutto a causa delle resistenze
dell’establishment religioso, ad esso va, in ogni caso, riconosciuto il
merito di aver generato un significativo dibattito politico, che negli
anni a seguire ha indotto la monarchia a rivolgere una maggiore attenzione ai diritti delle donne.
5. Diritti politici, civili e religiosi delle donne
Tra i segnali d’apertura dello stato marocchino al riconoscimento dei diritti delle donne, si segnala la creazione, nel 2001, della
Commissione per la redazione della nuova Mudawana e la nomina,
nell’ambito del governo eletto il 6 settembre 2000, della prima donna Ministro alla guida del Dicastero per gli Affari della donna, della
protezione della famiglia e dell’infanzia (oggi Ministero per la solidarietà, la donna, la famiglia e lo sviluppo sociale, diretto dall’unica
componente dell’attuale esecutivo, Bassima Hakkawi). Quanto alle
riforme, vanno menzionate, dapprima, quella della legge elettorale del
2002, che stabilì un sistema di quote del 10% per l’elettorato passivo
femminile, sia a livello municipale che parlamentare, ed in seguito
quella relativa alla Mudawana avvenuta nel 2004, alla cui redazione
parteciparono, per la prima volta nella storia del Marocco, tre donne
non appartenenti all’élite religiosa.30
28. Va sottolineata la pretestuosità di questa posizione, dal momento che l’ingerenza
economica delle istituzioni internazionali si palesa in numerosi settori dello Stato marocchino
nell’ambito dell’aiuto allo sviluppo rivolto al Paese da parte di Onu, Unione Europea, Banca
Mondiale e Fondo Monetario Internazionale.
29. Daoud, Féminisme et politique au Maghreb, p. 28.
30. La nuova Mudawana fu presentata dal Re il 10 ottobre 2003 in un discorso alla Nazione
e approvata all’unanimità dal Parlamento marocchino nel febbraio 2004.
Borrillo, Femminismi in Marocco
129
Il nuovo Codice di Famiglia prevede innanzitutto che il nucleo
familiare sia posto sotto la responsabilità congiunta degli sposi e pertanto la moglie non deve più obbedienza al marito; riconosce il diritto
femminile al divorzio e innalza l’età minima matrimoniale a diciotto
anni. L’importante cambiamento legislativo non elimina, tuttavia, la
pratica del matrimonio tra minori, che sembra essere ancora molto
diffusa, per quanto sottoposta all’arbitrio discrezionale di un giudice.
Secondo il Rapporto sulle violenze di genere della rete di sportelli
antiviolenza Anaruz, il numero di spose bambine nel 2010 ha toccato
la cifra di quarantamila, ma è facile immaginare che la realtà del fenomeno superi questo dato.31 La discrezionalità del giudice nel valutare
le “condizioni eccezionali” per autorizzare un matrimonio tra minori
è un aspetto fortemente criticato da numerose associazioni, in quanto
essa può di fatto inficiare il divieto dei matrimoni precoci contenuto
nelle disposizioni della Mudawana. Tra gli altri limiti della riforma, le
organizzazioni femministe denunciano la persistenza della poligamia,
che non viene eliminata, ma solo limitata a due mogli e vincolata al
consenso della prima, del ripudio unilaterale maschile, anche se reso
simile a un divorzio giudiziale, e delle disposizioni del diritto successorio, in base alle quali generalmente una donna eredita la metà
dell’uomo di pari grado di parentela, in virtù dell’obbligo maschile a
occuparsi del mantenimento economico familiare.
Se le riforme del sistema elettorale e del Codice di Famiglia
hanno promosso un miglioramento, seppur parziale, dei diritti politici e civili delle donne, la riforma del Ministero degli affari islamici
dell’aprile 2004 ha inteso promuoverne i diritti alla pratica religiosa
pubblica, favorendo la partecipazione femminile alla divulgazione
del sapere islamico di Stato. Grazie a tale riforma, infatti, le donne in Marocco hanno accesso alla professione di predicatrice dell’Islam (murshida, in arabo “guida”, “orientatrice”), che consiste nella
spiegazione dell’Islam alle altre donne in moschee, prigioni, scuole
e ospedali del Paese. L’importanza simbolica di questa esperienza
d’insegnamento religioso tra sole donne, svolta in modo ufficiale e
nello spazio pubblico della moschea, risiede nella novità apportata al
tradizionale monopolio maschile della trasmissione del sapere islamico e della connessa autorità religiosa, responsabile del radicarsi di
31. Les violences basées sur le genre au Maroc, IV Rapporto dell’Associazione Anaruz,
Edizioni Adfm, Rabat, maggio 2012. Si veda anche: www.anaruz.org (ultimo accesso, 2 aprile
2013).
Genesis, XII / 1, 2013
130
Il tema: Femminismi nel Mediterraneo
visioni misogine nella giurisprudenza e nei comportamenti sociali dei
paesi a maggioranza musulmana.32 Tuttavia, resta ancora per lo più
ad appannaggio maschile l’ascesa ai livelli più elevati dell’autorità
islamica, che rappresenta un requisito necessario per poter interpretare le fonti primarie del diritto, vale a dire il Corano e la tradizione
profetica (la Sunna). L’incentivo dato alla predicazione ufficiale femminile dell’Islam sembra essere strumentale, più che a promuovere
concreti percorsi di uguaglianza di genere, a rinvigorire l’omogeneità
del messaggio islamico statale, minacciata dalla propaganda religiosa
di gruppi informali, facendo leva sul tradizionale ruolo pedagogico
delle donne.33
6. Femminismi in Marocco
L’adozione delle riforme in tema di diritti delle donne in Marocco
si deve alla capacità del Makhzen d’incorporare nel sistema politico le
rivendicazioni delle attiviste femministe operando un costante compromesso con i settori più conservatori della società.34 Questa attitudine, una costante delle politiche del regime rispetto alle opposizioni
– che gli ha permesso, di fatto, di surfare sull’ondata della Primavera
politica del 2011 –, è stata definita come “femminismo di Stato” o, nel
caso della riforma del settore islamico cui ho brevemente accennato,
come “femminismo islamico di Stato”.
Per “femminismo di Stato” ci si riferisce alla tendenza di uno Stato non democratico nel promuovere politiche favorevoli al riconoscimento dei diritti delle donne attraverso una negoziazione diretta con
alcuni/e esponenti del movimento femminista e l’incorporazione di
alcune sue figure rappresentative nelle istituzioni pubbliche. Tra le riforme considerate come effetti del femminismo di Stato marocchino è
32. Fatima Mernissi, L’harem politique. Le Prophète et les femmes, Paris, Albin Michel,
1987, pp. 23-24.
33. Per un approfondimento sul tema si rimanda ad un mio precedente lavoro: Sara
Borrillo, Le Murshidat in Marocco: compromesso o rivoluzione?, in «Genesis», VIII/1 (2009),
pp.145-168.
34. Con il termine Makhzen ci si riferisce all’intero apparato di potere marocchino; il
significato del termine si ricollega all’amministrazione tradizionale dedicata alla raccolta e alla
gestione delle imposte tramite propri emissari e ad un rigido controllo militare sul territorio,
sin dal periodo precedente al Protettorato francese (1912). L’abilità politica del Makhzen si
fonda sulla necessità di garantire l’equilibrio politico tra le spinte centrifughe delle diverse
componenti politiche in campo. Circa la questione del maggiore riconoscimento dei diritti delle
donne, la monarchia marocchina si è trovata a comporre le sempre più insistenti rivendicazioni
femministe con le resistenze dei conservatori più legati al discorso patriarcale islamico.
Borrillo, Femminismi in Marocco
131
possibile menzionare quella del sistema elettorale e della Mudawana.
Per “femminismo islamico di Stato” si fa riferimento all’apparente
adeguamento di alcune politiche statali agli obiettivi del “femminismo islamico”, corrente di pensiero diffusa a livello internazionale
favorevole all’accesso delle donne all’autorità, al discorso e allo spazio religiosi al fine di realizzare una rilettura egualitaria delle fonti
dell’Islam capace di incidere sul cambiamento delle relazioni sociali
patriarcali.35
A questo punto diviene necessario evidenziare i diversi posizionamenti presenti nel movimento delle donne, in cui è possibile individuare tre orientamenti principali: del femminismo secolare, dell’attivismo islamista al femminile e del femminismo islamico.36
Attive nel movimento di liberazione nazionale, nei primi partiti
politici, nel movimento studentesco e nei sindacati dopo l’indipendenza nonché, una volta marginalizzate dall’élite al potere, militanti
in associazioni indipendenti, le femministe secolari sostengono l’affermazione dei diritti umani e delle libertà individuali nell’ambito di
uno Stato di diritto in cui l’Islam resti confinato alla sfera privata del
culto religioso e non a quella pubblica delle leggi e del potere politico. Le associazioni ispirate a questo approccio svolgono un lavoro
di pressione sulle istituzioni e di empowerment della società civile
attraverso petizioni, campagne di sensibilizzazione, dibattiti e giornate di studio circa le principali problematiche della discriminazione
contro le donne: la disuguaglianza nel diritto successorio, la precarietà femminile in campo lavorativo, l’analfabetismo, la salute riproduttiva, la violenza di genere, i matrimoni dei minori. Inoltre, i servizi di
counseling e ascolto per le vittime di violenza, insieme ai programmi
di formazione sul principio di uguaglianza di genere rivolti a cittadini e funzionari pubblici, rendono le principali associazioni femministe marocchine delle vere e proprie organizzazioni non governative
(Ong), supportate dal finanziamento di agenzie di cooperazione internazionale come l’Un Women (ex Unifem) e l’Unfpa, il Fondo delle
Nazioni Unite per la Popolazione.
35. Souad Eddouada, Renata Pepicelli, Maroc: vers un “féminisme islamique d’Etat”, in
«Critique Internationale», 1 (2010), pp. 87-100.
36. Renata Pepicelli, Il Femminismo islamico. Corano, diritti, riforme, Roma, Carocci,
2010.
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132
Il tema: Femminismi nel Mediterraneo
Emerge chiaramente dal loro linguaggio l’autopercezione dell’identità femminista delle militanti, strettamente collegata all’adesione al principio di uguaglianza di genere. Generalmente non velate in
ambito pubblico, le secolari si autodefiniscono esplicitamente come
femministe, nonostante le difficoltà che comporta assumere questo
posizionamento ancora oggi in Marocco, paese in cui il femminismo
è generalmente considerato un prodotto d’importazione occidentale,
di stampo materialistico, percepito come un’ideologia in permanente
opposizione con gli uomini, oltreché antireligiosa e dunque in antitesi
con l’identità musulmana.
Quest’ultima considerazione negativa del femminismo è condivisa dalle attiviste dei principali partiti e gruppi islamisti, promotrici
della partecipazione pubblica femminile in armonia con l’appartenenza all’Islam, considerato prima fonte identitaria spirituale e politica.37
Un esempio di un simile protagonismo è rappresentato da Khadija Moufid, ex dirigente del Pjd. Il rapporto tra queste donne e le
istituzioni di cui esse fanno parte non è scevro da ombre. Nel 2009
Khadija Moufid si è dimessa dal partito per ragioni di «incompatibilità con i vertici», da lei ritenuti «decisionisti e maschilisti». In un’intervista rilasciata dopo le sue dimissioni, Moufid dichiarava infatti
che essi «considerano le donne su un gradino inferiore rispetto agli
uomini, come ha dimostrato la scelta dell’attuale capo del governo,
Ahmed Benkiran, d’includere un’unica donna ministro nella squadra
del suo esecutivo, giustificata con la presunta inesistenza di ulteriori
donne all’altezza di incarichi ministeriali».38 L’approccio critico nei
confronti della cultura patriarcale del partito non impedisce a Moufid, oggi presidente dell’associazione caritatevole al-Hidn – che a Casablanca si occupa di madri single e orfani – e docente di Pensiero
islamico alla Facoltà di Lettere dell’Università di Rabat, di esprimere una postura conservatrice rispetto alle relazioni di genere, che lei
concepisce secondo classici parametri patriarcali: Khadija Moufid è,
ad esempio, favorevole sia alla poligamia che alla disuguaglianza di
genere nel diritto successorio.
37. Le principali formazioni islamiste sono apparse sulla scena politica marocchina negli
anni ’70. Si tratta della Gioventù islamica, movimento di base del Movimento per l’unità e la
riforma (Mur), poi confluito nell’attuale partito islamista alla guida del governo, il Partito per la
giustizia e lo sviluppo (Pjd), e il Movimento giustizia e spiritualità, guidato dalla figura del mistico
sufi Abdessalam Yassin.
38. Incontro con Khadija Moufid, Casablanca, 27 giugno 2012.
Borrillo, Femminismi in Marocco
133
Nell’ambito del Movimento giustizia e spiritualità, rete semiclandestina molto radicata nei quartieri più marginalizzati delle metropoli
di Rabat, Salé e Casablanca, spicca la figura della leader del movimento e figlia del suo fondatore, Nadia Yassin, che afferma la conformità islamica del principio di liberazione degli individui dalla duplice
oppressione che a suo avviso caratterizza le società islamiche: l’oppressione del potere politico e di quello patriarcale. L’aspetto pratico
di questo approccio teorico si manifesta nelle attività di formazione
promosse da Nadia Yassin nei corsi di apprendimento religiosi e di
empowerment sui diritti delle donne contenuti nel Corano, organizzati
fino ai primi mesi del 2012.
Sebbene il Pjd e il Movimento giustizia e spiritualità agiscano
secondo approcci politici ben distinti, soprattutto quanto al loro posizionamento rispetto al potere centrale,39 è possibile considerare le
rappresentanti di entrambi questi schieramenti come promotrici di
obiettivi dal loro punto di vista “emancipatori” nel solco dell’Islam.
Il velo, primo simbolo della loro islamicità, è percepito come chiave
d’accesso alla dimensione pubblica in armonia con i valori della modestia e della morale islamica. Al principio di uguaglianza di genere
promosso dalle femministe secolari, le islamiste privilegiano quello
della complementarità, che attribuisce alla donna la funzione primordiale di madre ed educatrice, in accordo con la divisione di genere del
lavoro prevista nella famiglia islamica idealtipica. La percezione del
femminismo come una corrente di pensiero esogena al mondo islamico e antireligiosa per definizione porta queste militanti a rifiutarne
l’adesione, sebbene talune siano pronte a dirsi femministe in maniera
strategica, come è il caso di Nadia Yassin, che in un’intervista ha dichiarato di essere «più femminista delle femministe, se ciò significa
accompagnare dolcemente le donne verso la liberazione».40
Sul binario oppositivo complementarietà/uguaglianza si segna la
principale linea di demarcazione tra militanti islamiste e femministe
islamiche.
Al femminismo islamico aderiscono per lo più teologhe e intellettuali sostenitrici della piena compatibilità tra diritti delle donne ed Islam,
ispirate alla rilettura egualitaria del Corano e dei testi della tradizione
39. Mentre il Pjd riconosce la legittimità della monarchia marocchina, Giustizia e
spiritualità condanna la contrarietà del regime monarchico rispetto ai valori islamici di
uguaglianza e giustizia e pertanto resta estromesso dal gioco politico parlamentare. Malika
Zeghal, Les islamistes marocains. Le défi à la monarchie, Casablanca, Le Fennec, 2005.
40. Incontro con Nadia Yassin, Rabat, 28 settembre 2008.
Genesis, XII / 1, 2013
134
Il tema: Femminismi nel Mediterraneo
profetica. Di questa corrente di pensiero l’esponente più rappresentativa
è attualmente Asma Lamrabet, biologa all’ospedale Ibn Sina di Rabat, intellettuale indipendente e presidente, dal 2008, del Gruppo internazionale
di studio e riflessione sulle donne nell’Islam (Gierfi).41 Autrice di cinque
libri in cui fa luce sullo spirito emancipatore della rivelazione coranica,
a suo avviso fraintesa dal diritto islamico che definisce come «sclerotizzato e incapace di adattarsi alle evoluzioni della società contemporanea»,
Asma Lamrabet insiste sulla piena conciliabilità tra principio dell’uguaglianza di genere e Islam. Si autopercepisce come femminista e musulmana insieme, definendo il femminismo islamico come terza via alternativa
alle posizioni delle secolari e delle islamiste42. Di recente è stata nominata
direttrice del Centro di studi e ricerche sulle questioni femminili nell’Islam (Cerfi) dell’Associazione nazionale degli esperti in legge islamica
(la Rābita al-Muhammadiyya al-‘Ulamā’), con sede a Rabat, pur non
possedendo un curriculum in studi islamici. Ciò rivela la capacità della
Lamrabet di negoziare spazi di autorità religiosa, affermando il diritto
individuale all’interpretazione diretta dei testi sacri (ijtihād), secondo un
approccio evolutivo volto ad adattare l’Islam alle esigenze della società.
Al momento, Asma Lamrabet resta una voce nota per lo più all’estero e
al pubblico francofono – i suoi testi, scritti in francese, non sono ancora
tradotti in arabo, cosa che ne limita una più larga divulgazione al pubblico
marocchino prettamente arabofono – e in Marocco è oggetto di numerose
critiche a causa del suo essere un’outsider nella burocrazia religiosa tradizionale. Tuttavia, il fatto che Fatima Mernissi l’abbia eletta sua erede
intellettuale e che di recente si moltiplichino sue interviste e pubblicazioni per la stampa e per riviste specializzate, insieme a dibattiti pubblici e
conferenze, rende Asma Lamrabet una figura significativa del panorama
intellettuale marocchino, capace di proporre contenuti per l’emancipazione femminile in maniera sì cauta rispetto al potere religioso ufficiale, ma
in deciso e aperto contrasto con i valori patriarcali islamici.43
7. Evoluzioni recenti
La questione dei diritti delle donne occupa un posto di rilievo nei
processi di contestazione, negoziazione e ridefinizione delle norme
41. Si veda il blog di Asma Lamrabet: www.asma-lamrabet.com (ultimo accesso, 2 aprile
2013).
42. Incontri ripetuti con Asma Lamrabet. Rabat, 2008-2012.
43. Tra i lavori di Asma Lamrabet vi è anche un’opera tradotta in italiano. Si tratta di
Aisha, sposa del Profeta, L’Islam al femminile, Imperia, Alhikma, 2008.
Borrillo, Femminismi in Marocco
135
sociali e giuridiche in Marocco ed è stata evocata a più riprese in tutti
i dibattiti riguardanti i diritti di cittadinanza, la democratizzazione del
Paese, il diritto all’educazione, al lavoro e a una vita degna scaturiti dalla “primavera marocchina” animata dal Movimento del 20 febbraio. Sebbene a due anni dalle prime sollevazioni popolari sia prematuro valutare l’impatto delle manifestazioni sull’evoluzione della
società marocchina, è possibile costatare il profondo contributo del
Movimento del 20 febbraio all’evaporazione della paura precedentemente insita nell’espressione pubblica di opinioni di contestazione
rispetto al regime. Nel periodo che va dall’estate 2012 fino alla primavera 2013, numerose manifestazioni sono state programmate dal movimento studentesco o da quello dei diplomati disoccupati, nonostante
la repressione del regime sia costante, seppur strategicamente misurata, al fine di non attirare troppo l’attenzione dei media internazionali
e delle organizzazioni per i diritti umani.44
Quanto ai diritti delle donne, sebbene la Costituzione adottata nel
luglio 2011 abbia sancito all’articolo 19 il principio di uguaglianza
di genere e istituito un’Autorità per il rispetto del principio di parità
nelle istituzioni pubbliche e private,45 nella prima metà del 2012 un
tragico episodio ha rilanciato il dibattito nazionale sul legame tra diritti delle donne, libertà individuali e progresso sociale.
Il caso di Amina Filali, minorenne suicidatasi dopo esser stata
forzata a sposare il suo violentatore, con il consenso di un giudice e
della sua famiglia – in conformità con la tradizionale pratica dei matrimoni riparatori utili a ”salvaguardare” l’onore familiare della vittima di violenza sessuale –, ha dato vita ad un’accesa polemica che ha
visto larga parte della società civile e del mondo accademico schierarsi
in favore dell’abolizione dell’articolo 475 del Codice penale che legittima questo stato di cose.46
44. Si fa riferimento alle manifestazioni del Movimento del 20 febbraio svoltesi ad AlJadida del luglio 2012, alle quotidiane manifestazioni del movimento dei diplomati disoccupati,
costantemente manganellati dalla polizia, a quelle studentesche del 6 agosto 2012 di Rabat.
45. Art.19, Cost. 2011: «L’uomo e la donna godono, secondo uguaglianza, di libertà e
diritti civili, politici, economici, sociali, culturali e ambientali, annunciati nel presente titolo
e nelle altre disposizioni costituzionali, così come nelle convenzioni e accordi internazionali
ratificati dal Regno del Marocco e, nel rispetto delle disposizioni costituzionali, delle leggi del
Regno. Lo Stato marocchino apre alla realizzazione della parità tra uomini e donne. È creata, a
tal fine, un’Autorità per la parità e la lotta contro tutte le forme di discriminazione».
46. L’articolo 475 del Codice Penale marocchino (1963) prevede che «chiunque rapisca o
devi una minore di diciotto anni è punito con la carcerazione da uno a cinque anni e con una multa
da 200 a 500 dirham. Se la minore nubile, rapita o deviata, sposa il suo rapitore, costui non può essere perseguito se non su denuncia delle persone in grado di chiedere lo scioglimento matrimoniale
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Il tema: Femminismi nel Mediterraneo
Numerosi convegni e giornate di studio, come la Conferenza sui
matrimoni dei minori organizzata da Fatima Sadiqi il 5 e 6 maggio 2012
all’Università di Fès, si sono conclusi con raccomandazioni orientate
all’abolizione del suddetto articolo e di altre disposizioni discriminatorie nei confronti delle donne presenti nella legislazione marocchina.47
La polemica generata dal caso Filali tiene conto di due aspetti. Il
primo, di natura giuridica, riguarda la contraddizione lampante tra il
Codice penale, che autorizza uno stupratore a sposare la minore violentata, e il nuovo Codice di Famiglia (2004) che, pur innalzando l’età minima matrimoniale a diciotto anni, prevede la possibilità che un giudice
accordi l’autorizzazione per il matrimonio di minori. Ancora una volta
emerge il doppio standard adottato dalla legislazione marocchina sul
corpo delle donne. Il secondo aspetto, di natura sociale, rivela quanto
la verginità prematrimoniale sia ancora un valore non scritto profondamente rispettato in Marocco, soprattutto in contesti rurali. Pertanto, se
nel caso di Amina Filali fosse decaduta l’ipotesi di stupro, il fatto che
la giovane avesse avuto relazioni sessuali pre-matrimoniali l’avrebbe
facilmente condannata a vita ad una spiacevole reputazione.
A differenza degli uomini, nei confronti dei quali la morale collettiva è di fatto più indulgente, sebbene anch’essi vivano una limitazione
della libertà sessuale imposta dalla modestia dei costumi legata all’ideale di condotta islamico, sono infatti le donne a non disporre liberamente del proprio corpo, essendo sottomesse al codice d’onore familiare
fondato sul controllo della loro sessualità. Dunque, il ruolo riproduttivo
femminile e la centralità del matrimonio nell’organizzazione sociale in
Marocco fanno sì che una donna sia considerata più degna di rispetto se
assolve al ruolo di moglie e madre, mentre le single, le divorziate e le
madri non sposate generalmente faticano ad essere titolari della stessa
considerazione, se appartenenti a contesti sociali più conservatori e a
ceti meno abbienti, vengono socialmente marginalizzate.48
o a scioglimento matrimoniale avvenuto». Va notato che non viene usato il verbo “violentare”. Per
il testo del Codice: http://adala.justice.gov.ma/production/legislation/fr/penal/Code%20Penal.htm
(ultimo accesso: 2 aprile 2013).
47. Nel periodo di revisione di questo saggio la stampa marocchina ha reso noto che il
secondo paragrafo dell’articolo 475 del Codice penale, contenente le disposizioni che rendono
il matrimonio un modo per depenalizzare lo stupro di una minore, è stato abrogato all’unanimità
dalla Commissione per la giustizia e la legislazione della Camera dei Consiglieri del Parlamento
marocchino. Si veda: Khadija Skalli, L’article 475 revu et corrigé, 21 gennaio 2013: http://www.
lesoir-echos.com/larticle-475-revu-et-corrige/societe/65238/ (ultimo accesso: 2 aprile 2013).
48. Bourquia, Femmes et fecondité.
Borrillo, Femminismi in Marocco
137
Si tratta di una questione che spiega, a mio avviso, come il legame
tra le relazioni di potere tra i generi e la capacità di autodeterminazione
delle proprie scelte, riguardanti anche il proprio corpo e la sessualità,
s’inscriva nell’ampia tensione tra libertà individuali e ordine collettivo, che nel caso delle società islamiche si manifesta nella permanenza
dell’intreccio di codici morali, discorsivi e comportamentali dalle intense tinte patriarcali.
Dopo le marce favorevoli all’abolizione dei matrimoni dei minori
organizzate dalle associazioni per i diritti umani, come la marcia delle
associazioni femministe scese in piazza il 17 marzo davanti al Parlamento di Rabat, il tema della libertà sessuale è stato successivamente
rilanciato in occasione di un incontro pubblico organizzato per il trentatreesimo anniversario dell’istituzione dell’Associazione marocchina
per i diritti umani (Amdh). La presidente dell’Amdh, Khadija Riadi,
sempre in prima linea per i diritti civili, si è dichiarata favorevole alla
de-criminalizzazione delle relazioni sessuali pre-matrimoniali, per le
quali attualmente in Marocco è prevista una pena di reclusione da un
mese ad un anno, ai sensi dell’articolo 490 del Codice penale.49
La polemica si è diffusa a macchia d’olio nel periodo appena precedente al Ramadan 2012, mese sacro per i musulmani, durante il quale
i praticanti vivono un periodo di profonda spiritualità e di astinenza dai
piaceri e dalle esigenze fisiche: dall’alba al tramonto è proibito bere,
mangiare, fumare e fare sesso. Anche in questa occasione i giovani del
Movimento del 20 febbraio non sono rimasti a guardare: in occasione
di una conferenza stampa sul caso Filali organizzata il 23 marzo a Casablanca da tre ministeri (Giustizia, Relazioni con il Parlamento e la società civile e Solidarietà, donne, famiglia e sviluppo sociale), un gruppo
di attivisti ha interrotto la discussione ufficiale con slogan contro l’ipocrisia sociale, insistendo sul fatto che il matrimonio e la verginità sono
ormai valori obsoleti. Quando un giovane attivista e giornalista della
rivista «Tel-quel», Omar Radi, ha pubblicamente dichiarato di avere
relazioni sessuali pre-matrimoniali, gli è stato tolto il microfono e intimato che se avesse continuato a parlare sarebbe stato tratto in giudizio.
Sempre al marzo 2012 risale la creazione di nuove formazioni
della società civile, come il collettivo Uguaglianza oggi prima di domani, un raggruppamento di più di quaranta Ong volto a fare pressio49. L’Amdh appelle à la libertè sexuelle au Maroc, articolo di redazione, 19 giugno 2012:
http://www.emarrakech.info/L-AMDH-appelle-a-la-liberte-sexuelle-au-Maroc_a61864.html
(ultimo accesso: 2 aprile 2013).
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Il tema: Femminismi nel Mediterraneo
ne sul governo affinché metta in atto misure concrete per affermare i
contenuti egualitari della nuova Costituzione, che la coalizione femminista Printemps pour l’égalité nel 2011 aveva già salutato con favore.50 Non va trascurato, inoltre, l’attivismo sul web, dove negli ultimi
mesi sono sorti siti e forum attenti alle questioni di genere, come il
sito www.qandisha.ma, rivista militante on-line che prende il nome
dall’inquieto spirito femminile della tradizione esoterica marocchina.
Quanto ai socialnetwork, su Facebook sono nati gruppi di discussione
molto attivi come La femme n’est pas une cote khwiyya (La donna
non è una costola fratello) oppure Femmes, reflection et action (Donne, riflessione e azione).
In occasione della Giornata internazionale delle donne (8 marzo
2012), anche il mondo della cultura si è mostrato sensibile alla questione dell’uguaglianza di genere e delle libertà sessuali: l’Associazione
Féminin Pluriel ha organizzato a Rabat il Festival della scrittura femminile, ospitando autrici, poetesse e artiste provenienti dal Nord Africa,
dal Medio Oriente e dall’Africa subsahariana. La compagnia teatrale
Daba Teatr Citoyen di Rabat ha portato in scena al teatro nazionale
Muhammad V di Rabat uno spettacolo contro la violenza di genere,
intitolato Goullou! (Diglielo!), un invito/monito a non tacere, articolato
in sette storie femminili. Un’altra compagnia, il gruppo Acquarium, ha
proposto sempre a Rabat un riadattamento in lingua marocchina dei
Monologhi della vagina di Eve Ensler, Dialy (in arabo marocchino “La
mia”), che sulla stampa ha generato un botta e risposta incandescente
circa la moralità dell’arte. Nel maggio 2012, inoltre, dopo i richiami
di alcuni esponenti dell’area più intransigente dell’islamismo al rispetto collettivo di un’arte “pulita”, la foto dell’attrice marocchina Fatima
Layachi, immortalata in posizione distesa su un cumulo di spazzatura,
provocava volutamente i conservatori.51
I segnali del fermento sociale e culturale qui descritti indicano
a mio avviso uno spostamento del margine d’azione del movimento
delle donne, ampliatosi dal terreno più strettamente politico, divenuto
impervio con l’elezione di un governo islamista nel novembre 2011, a
50. Khadija Skalli, Égalité aujourd’hui avant demain, 8 marzo 2012: http://www.lesoirechos.com/egalite-aujourd%E2%80%99hui-avant-demain/societe/47427/ (ultimo accesso: 2
aprile 2013).
51 La photo choc d’une jeune actrice engagée contre l’“art propre” des islamistes, articolo
di redazione, 30 maggio 2012, http://www.slateafrique.com/88447/maroc-photo-choc-jeuneactrice-contre-art-propre-islamistes (ultimo accesso: 2 aprile 2013).
Borrillo, Femminismi in Marocco
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quello più ampio della cultura, cartina di tornasole dello stato di salute
di una società civile.
Ciò mi porta ad osservare che l’ideale femminista ha dunque oltrepassato gli argini delle storiche formazioni politiche dedicate ai diritti
delle donne, permeando in maniera profonda i linguaggi, gli immaginari e le pratiche sociali che riflettono, soprattutto tra le nuove generazioni, il desiderio e l’esigenza di un urgente cambiamento sociale, che
sia capace d’incidere concretamente tanto sui processi di formazione ed
evoluzione delle mentalità, quanto sull’adeguamento del sistema normativo ad un rinnovato e più egualitario progetto di società.
Nel suo ultimo libro Femmes et hommes dans le Coran: quelle
égalité?, Asma Lamrabet afferma che la questione delle donne, con
tutto ciò che implica in termini di uguaglianza di diritti tra cittadini,
tocca uno dei maggiori problemi delle società arabo-musulmane, vale
a dire l’assenza di un vero spazio di libertà democratica.52 È per questa
ragione che, secondo Fatima Mernissi, il recente dibattito sulle libertà
sessuali, evidenziando l’inscindibile legame tra il miglioramento della
condizione femminile e la liberazione individuale dei cittadini, rappresenta il terreno fondamentale su cui si gioca «il futuro della vera rivoluzione, capace di stravolgere gli assetti politico-sociali in Marocco e
nelle società a maggioranza musulmana».53
2012.
52. Asma Lamrabet, Femmes et hommes dans le Coran: quelle égalité?, Paris, Al-Bouraq,
53. Incontro con Fatima Mernissi. Rabat, 24 giugno 2012. Enfasi sua.
Genesis, XII / 1, 2013