La trama del tempo da Alice Munro a Pedro Almodóvar | sul

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La trama del tempo da Alice Munro a Pedro Almodóvar | sul
La trama del tempo da Alice
Munro a Pedro Almodóvar | sul
film
“Julieta”
di
Pedro
Almodóvar | di Enrico Carli
Genere: Drammatico
Durata: 99 min.
Cast: Emma Suárez, Adriana Ugarte, Daniel Grao, Inma Cuesta
Paese: Spagna
Anno: 2016
La scrittrice canadese Alice Munro, classe 1931, a cui Pedro
Almodóvar s’ispira per il suo ultimo film, dice in
un’intervista che ha iniziato a scrivere molto presto, da
bambina, per “salvare la vita alla sirenetta” (non quella del
film Disney, ma la fiaba ben più truce di Hans Christian
Andersen). “È una storia tristissima. La sirenetta si innamora
di un principe, ma non lo può sposare, essendo una sirena.
Guardi, è davvero triste, le risparmio i dettagli”. Fa quasi
tenerezza sentirlo dire da una scrittrice la cui penna è uno
strumento così affilato da sezionare l’animo umano senza
risparmiare al lettore alcun dettaglio della dolorosa presa di
coscienza dei suoi personaggi. Oggi probabilmente
riscriverebbe il finale di Andersen in chiave diversa, magari
salverebbe ancora la vita alla sirenetta, le farebbe sposare
il principe, ma quello non sarebbe l’epilogo, solo l’inizio di
un’altra fase, e la sua sirenetta si chiederebbe più o meno
indirettamente: valeva davvero la pena fare quello che ho
fatto, rinnegare la mia natura di sirena, perdere le mie
sorelle e la lingua, per sposare quest’uomo? In quanto prova
vivente che le sirene esistono, l’ipotetica sirena della
scrittrice osserverebbe che il suo sposo è invece la
dimostrazione lampante che il principe azzurro altri non è che
una fantasia da sirene.
La vera tragedia per il premio Nobel per la letteratura 2013
non è la morte e il sacrificio, ma l’illusione che col tempo
svanisce e si mostra per ciò che è, vale a dire poco più che
una rosea aspettativa. Alice Munro è una scrittrice
inesorabile, nel senso che procede con risolutezza nella
comprensione degli eventi più comuni sfatandone ogni mito, e
con una competenza che nulla concede al sentimentalismo e che
non manca di sbalordire. Molti dei suoi racconti più celebri
ricostruiscono per tessere l’andazzo del tempo, gli
andirivieni dei ricordi e delle impressioni nel più vasto
mosaico della memoria; l’imprevedibilità delle scelte fatte
per assecondare la nostra indole, e l’agnizione che le
accompagna rivelandoci a noi stessi come artefici e non solo
come vittime, un determinismo che però non rinuncia alla
follia del caso, al nonsense della vita, coi suoi naturali
colpi e cambi di scena. Il matrimonio non è mai la fine della
storia.
I tre racconti da cui Almodóvar ha preso spunto provengono
dalla raccolta In fuga (2004), e sono un trittico che ha per
protagonista la stessa donna, Juliet, anche lei alle prese con
gli scherzi del tempo: la vediamo giovane nel racconto
Fatalità, madre di una bambina in Fra poco, e donna matura
abbandonata dalla figlia in Silenzio. Il regista spagnolo
cambia i connotati geografici e temporali di Juliet –
spostandola un po’ più in qua per attualizzare il soggetto – e
la rende Julieta. E nell’aggiunta di quella vocale ci sono già
i colori del suo modo di raccontare; c’è anche un metodo
diverso di chiudere, i simbolici puntini di sospensione con
cui termina l’opera letteraria da lui utilizzati alla maniera
di caselle di un rebus che va decifrato, come se la sua
intenzione fosse analoga a quella della bambina che voleva
salvare la vita alla sirenetta. Almodóvar vuole lasciare una
fiducia più morbida alla sua Julieta, meno dura da portare
della sola speranza.
E lo fa a modo suo, trasferendo la poetica del premio Nobel
nella propria, senza risparmiarsi per comprensibile riguardo
nei confronti di uno dei più grandi scrittori viventi. Ne
consegue che Julieta è un film comunque almodovariano, che si
segue come una sua opera non solo nella messinscena
tipicamente iberica del suo cinema, ma anche nella scrittura –
e le storie della Munro, pur parlando di tematiche universali,
sono molto legate alla terra della scrittrice. Lo è molto
anche il regista spagnolo, innamorato dei suoi colori e della
sua cultura, e appunto per questo riesce a realizzare un
gioiello di trasposizione, utilizzando le ellissi temporali
della scrittrice e anche, diversamente, del suo cinema,
travestendo da melò e da giallo quello che nell’opera della
Munro è senso del mistero e delle circostanze. Non rifà, come
fece pur bene l’esordiente attrice alla regia Sarah Polley in
Away from Her – Lontano da lei (adattando molto fedelmente il
racconto The Bear Came Over the Mountain), ma organizza per il
plot una struttura più circolare, un flashback che contiene le
libere associazioni temporali dei racconti e che gli permette
di mettere in scena una delle più belle sequenze del suo
cinema, quando le due attrici che interpretano la Julieta
giovane e quella matura (Adriana Ugarte e Emma Suárez) si
scambiano definitivamente di posto nella storia: una sola
inquadratura per esprimere la tessitura inesorabile del tempo
su due belle guance.
Il dettaglio di un tessuto rosso apre come un sipario la
storia di Julieta – è l’abito che indossa mentre sta
letteralmente avvolgendo il tempo (imballa un vecchio oggetto
della sua vita precedente), ma il ricordo doloroso della
figlia smarrita tornerà a tormentarla impedendole di attuare
il presente, cioè il trasferimento in Portogallo col suo
attuale compagno. L’incontro fortuito con una giovane donna
che le porterà notizie di Antìa non le consentirà più di
chiudere quel sipario che si è aperto, di avvolgere e
accantonare il tempo che precede. Così nella scena di
passaggio tra le due stagioni della donna si chiude il primo
anello temporale del flashback, e sempre attraverso un sipario
– prima il vestito, poi l’asciugamano – si apre il terzo atto
della storia. Come nei migliori drammi, è il dolore laddove si
fa più intollerabile che fa scaturire ogni passaggio della
vicenda.
Ancora un tessuto; ora, nella ricerca della figlia, avvolgente
come una vestaglia: Julieta ne indossa una che richiama le
“tessere bizantine” dei famosi dipinti di Klimt. In un ricordo
la vedremo uscire dalla casa paterna in mezzo alla figlia
piccola e la madre malata, le età della donna rappresentate
dal pittore austriaco che prima ci erano state suggerite
adesso si mostrano nella loro fulgida trasparenza, e si resta
avviluppati nella trama di tutte le trame, dalla densa
brillantezza della stoffa che intesse il tempo in cui Antìa
(Penelope nei racconti della Munro) lascerà che a intrecciare
la tela sia sua madre Julieta, insegnante di letteratura greca
e atea. Perché si è per forza smarriti a vivere in un mondo
che ci è stato consegnato senza Dio. Si è smarriti
probabilmente comunque, ma almeno il tempo che rimane potrebbe
sembrare più comprensibile, e di certo più rassicurante,
nell’attesa di un lieto fine già scritto.
Una breve riflessione sulla memoria e le sue cose preziose, da
Fatalità di Alice Munro:
Kallipareos. Dalle belle guance. Finalmente l’ha pescato.
L’epiteto omerico scintilla appeso all’amo. E Juliet
all’improvviso recupera il suo intero vocabolario greco, tutto
ciò che sembrava finito in fondo a un armadio da quasi sei
mesi. Non insegnando la lingua, l’aveva messa via.
È così che succede. Ritiri ogni cosa per qualche tempo, e di
tanto in tanto dai un’occhiata dentro l’armadio in cerca
d’altro e allora te ne ricordi e ti dici: fra poco. Poi
diventa un oggetto che è là, nell’armadio, e vi si affollano
davanti e sopra altre cose, e finisci col non pensarci nemmeno
più.
Proprio a ciò che consideravi il tuo luminoso tesoro. Non ci
pensi. Una perdita che in passato ritenevi insopportabile è
diventata ora qualcosa che a stento ricordi.
È così che succede.
E anche se non lo metti via, se anche ti ci guadagni da
vivere, ogni giorno… Juliet ripensa alle altre insegnanti più
vecchie, a scuola, a quanto poco la maggior parte di loro
sembrasse interessata a qualunque materia d’insegnamento.
Prendi Juanita, che ha scelto lo spagnolo perché si adatta al
suo nome (in realtà è irlandese) e che vuole parlarlo bene,
usarlo per viaggiare. Non si può dire però che lo spagnolo sia
il suo tesoro.
Sono poche, pochissime le persone che hanno un tesoro, perciò
se ce l’hai devi tenertelo stretto. Non devi lasciarti
imbrogliare e fartelo portare via.