Finire una storia - Mondadori Education
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Finire una storia - Mondadori Education
FINIRE Se l'inizio di una storia è l'ingresso in un mondo a parte, nel mondo creato dal suo scrittore, la fine di una storia è un congedo da quello stesso universo. Al di fuori della narrazione quei personaggi e quei luoghi non esistono più: tutto quello che di loro è, rimane nello spazio della storia. La fine può dare un senso alle loro esistenze, può lasciarli in sospeso, può proiettarsi verso il mondo di chi legge, o aprire a un altro inizio. Può essere completamente assurda, o interrogativa, o sapienziale. Antologizzare i finali di racconti diversi permette di cogliere le molteplici sfumature del liberatorio The End. Ma, paradossalmente, potrebbe essere il punto di avvio di infinite altre storie, da ricostruire partendo da questo finale, o da continuare nel gioco del sequel: che ne sarà dell'incrocio di Kafka? La Penelope di Alice Munro si farà viva? La cameriera di Stevenson chiamerà la polizia? Isaac Asimov, Mosche (ASIMOV 1991, p. 599). Possibile mai che Casey non sapesse? Possibile che l'essenza del primitivo castigo consistesse nel non venire mai a sapere d'essere Belzebù? Casey! Signore delle Mosche! Jane Austen, Lady Susan (AUSTEN 2012, p. 166). Può sembrare che la sorte di Sir James sia stata più dura di quanto la sua mera Stoltezza avrebbe meritato. Lo affido quindi a tutta la Pietà che chiunque possa accordargli. Quanto a me, confesso che io posso compatire soltanto Miss Manwaring la quale, venendo in Città e sottoponendosi a delle spese di Vestiario, che la impoverirono per due anni, appositamente per assicurarsi Sir James, fu defraudata di quanto le spettava da una Donna di Dieci anni più vecchia di lei. Ingeborg Bachmann, Un negozio di sogni (BACHMANN 1991, p. 65). Per alcune settimane rimasi inchiodato al letto da una malattia provvidenziale, quasi senza dolore; avevo molto tempo, tempo senza dolore e senza sogni. Il giorno in cui mi ero ristabilito al punto che avrei potuto attendere nuovamente al mio lavoro, ricevetti dalla mia ditta la lettera di licenziamento. Mi ero preso, appunto, troppo tempo, e ora mi veniva regalato ancora una volta del tempo, per molto tempo. Tempo per cosa? Honoré de Balzac, Primo studio di donna (BALZAC 1944, p. 15). Il marchese dice a chi gli domanda la ragione di quel mutamento di vita: – Mia moglie ha una gastrite. Io che la curo e conosco il suo animo, so che ella ha soltanto una piccola crisi nervosa, di cui approfitta per rimanere in casa. Samuel Beckett, Rimasugli (BECKETT 1972, p. 214). Personalmente lui si sentiva calmo e trepidante. Un lavoratore classico-romantico, quindi. Le parole della rosa alla rosa gli fluttuarono in mente: – Nessun giardiniere è morto, virgola, a memoria rosacea. – Cantò una canzoncina, si bevve la bottiglia di birra, scagliò via una lacrima, si mise comodo. Così van le cose al mondo. © Mondadori Education Heinrich Böll, Confessione di un accalappiacani (BÖLL 1964, p. 42). Sono perduto, e alcuni mi considerano un cinico, ma come posso non diventarlo, se ho sempre a che fare con i cani? Alessandro Bonsanti, La serva amorosa (BONSANTI 1962, p. 239). Avviandosi incontro alla fiammata, verso le figure raccolte intorno ad essa che lo attendevano col bicchiere in mano, Meco si diceva che da vecchi ci si accorge davvero di essere entrati come in una gran fiaba. Massimo Bontempelli, Imperatrice (BONTEMPELLI 1953, p. 105). La madre di Cecilia si trovò in mezzo al corridoio, con la schiena appoggiata al muro; non ricordò come v'era arrivata. Qualcuno la trovò là, la accompagnò dove il dottore l'aspettava. Come lo vide, la donna tutt'a un tratto si scosse, si eresse, prima che lui potesse dire una parola, con una soffocata voce arida comandò: «Le proibisco di guarire mia figlia». Massimo Bontempelli, Pietro e Domenico (BONTEMPELLI 1953, p. 59). Un più mostruoso scoppio coprì le loro parole, mentre la parete crollava e strepitando si disfaceva addosso a Pietro e Domenico, che in un ultimo istinto s'erano ributtati giù come se avessero ancora qualche cosa di terrestre da difendere. Jorge Luis Borges, Tre versioni di Giuda (BORGES 1995, p. 148). Morì della rottura di un aneurisma, il primo marzo 1912. Gli eresiologi, forse, ne faranno cenno: aggiunge al concetto di Figlio, che sembrava esaurito, le complessità del male e della sventura. Charles Bukowski, Un'amabile storia d'amore (BUKOWSKI 1978, p. 157). “No, un lavoro non mi serve.” Passai oltre. Avevo il sole in faccia. Avevo 74 cents. Il sole m'andava bene. Michail Bulgakov, La tormenta (BULGAKOV 1990, p. 96). «Ci andrà... ci-an-drà...» ticchettava l'orologio, ma sempre più sommesso... Poi più nulla. Silenzio. Sonno. Dino Buzzati, Il mantello (BUZZATI 1958, p. 82). E allora la mamma finalmente capì, un vuoto immenso, che mai e poi mai nei secoli sarebbero bastati a colmare, si aprì nel suo cuore. Capì la storia del mantello, la tristezza del figlio e soprattutto chi fosse il misterioso individuo che passeggiava su e giù per la strada, in attesa, chi fosse quel sinistro personaggio fin troppo paziente. Così misericordioso e paziente da accompagnare Giovanni alla vecchia casa (prima di condurselo via per sempre), affinché potesse salutare la madre; da aspettare parecchi minuti fuori dal cancello, in piedi, lui signore del mondo, in mezzo alla polvere, come pezzente affamato. © Mondadori Education Italo Calvino, L'avventura di una moglie (CALVINO 1958, p. 332). Stefania capì che era successo qualcosa da cui non poteva più tornare indietro. Questo suo nuovo modo di stare in mezzo agli uomini, il nottambulo, il cacciatore, l'operaio, la faceva diversa. Era stato questo il suo adulterio, questo stare sola in mezzo a loro, così, alla pari. Di Fornero non si ricordava neanche più. Il portone era aperto. Stefania R. rincasò in fretta in fretta. La portinaia non la vide. Raymond Carver, E guarda questa! (CARVER 2009, p. 180). – Harry, dobbiamo volerci bene tra noi, – disse lei. – non dobbiamo fare altro che volerci bene tra noi, – disse. Emilio Cecchi, La lettera di presentazione (CECCHI 1959, p. 200). E negli otto chilometri del ritorno, ebbi agio di comparare l'opinione dei contemporanei che l'uomo viaggiando s'accresce e potenzia, con l'opinione dei greci che l'uomo fuori di casa sua non è che un disgraziato: opinione che doveva esser sempre valida al tempo che Pascal scriveva che tout malheur provient de ne pas savoir se tenir dans une chambre. Anton P. Čechov, Angoscia (ČECHOV 2007, p. 90). Il cavalluccio mastica, ascolta e respira sulle mani del suo padrone... Iona si lascia trascinare e gli racconta ogni cosa... Agatha Christie, Il caso del marito scontento (CHRISTIE 1990, p. 635). «Ehm!» disse Parker Pyne. «Mi spiace ammetterlo, ma è stato un errore di giudizio da parte mia.» Scosse tristemente la testa e, tirandosi vicino il fascicolo del signor Wade, scrisse sopra: Caso fallito per cause naturali. N.B. Avrebbero dovuto essere previste. Fausta Cialente, Viaggio (CIALENTE 1976, p. 149). Non aveva più diciott'anni. Aveva fatto un viaggio senza ritorno, Ilia; e difatti, quando sua madre lo vide con la barba lunga e ispida e quello sguardo colmo di ferocia lo riconobbe appena. Bruno Cicognani, Bechèsce (CICOGNANI 1917a). Se poi egli avesse capito e capisse che senza la gobbina a braccetto tutta la mitologia non l'avrebbe salvato dall'essere il ludibrio dei ragazzi è un'altra questione.... Julio Cortázar, Continuità dei parchi (CORTÁZAR 2003, p. 6). Al piano superiore, due porte. Nessuno nella prima camera, nessuno nella seconda. La porta del salotto, e allora il pugnale in mano, la luce delle vetrate, l'alto schienale di una poltrona di velluto verde, la testa dell'uomo nella poltrona che sta leggendo un romanzo. Alfred Döblin, Le memorie del blasé (DÖBLIN 2004, pp. 173-174). Ho tanta paura. Mi piace solo correre. Mio dio, aiutami. © Mondadori Education Corro attraverso la neve. Ora so che sono perduto. Mi siedo nella neve soffice, ecco. Sprofondo o non sprofondo? Lo capirò contando i miei bottoni. Dolce neve. Dio mio, aiuta al più presto la mia anima malata. Carlo Emilio Gadda, Il club delle ombre (GADDA 1989, p. 848). La povera bimba piangeva. Né si capì di dove – se dalla querce, che nell'ora pacata si faceva ombra, o dai diruti vestigi del castello dov'è il club delle ombre – ma sul limitare della notte e del vaticinio di primavera il chiù diede voce: un mite, appassionato dittongo: una gocciola che l'eternità versasse nel cratere della notte: di cui era germinato il segno nel cielo, per un'ora. Il suo vano fiore, il suo vano smeraldo. Günther Grass, 1934 (GRASS 1999, p. 97). Mi presi una lavata di capo dal comandante Eicke: «Perdio, Ehardt, avrebbe dovuto sistemare la questione in modo un po' più pulito!» C'era solo da dargli ragione, perché, detto in confidenza, questa storia ci peserà addosso ancora per un bel pezzo, visto che non siamo riusciti a rendere muto l'ebreo sordo. La voce si sparse dappertutto... All'estero hanno fatto di Mühsam un martire... Persino i comunisti... E il campo di Orianenburg abbiamo dovuto chiuderlo, distribuire gli internati in altri lager. Adesso sono di nuovo a Dachau, per riabilitarmi, suppungo. Ernest Hemingway, Un posto pulito, illuminato bene (HEMINGWAY 1961, p. 349). Un caffè pulito, illuminato bene era una cosa diversa. Ora, senza pensarci più, se ne sarebbe andato a casa in camera sua. Si sarebbe messo a letto e infine, con la luce dell'alba, addormentato. Dopo tutto, disse tra se stesso, è probabilmente soltanto insonnia. Devono averla molti. Hermann Hesse, Il costruttore di città (HESSE 1997, p. 37). Anche ora, quando sono stanco e sul punto di cedere e di trattare quelle nostre speranze di allora come sogni, mi basta pensare a lui – e allora so di nuovo che avevamo ragione allora e che è meglio restare fedeli a se stessi e sognare città del futuro, piuttosto che costruire singole case. E. T. A. Hoffmann, Il maggiorasco (HOFFMANN 1946, p. 122). Povero vecchio Roderico dalla vista corta! Quale tremendo e maligno potere hai evocato coi tuoi scongiuri ad avvelenare nel suo primo sorgere e fiorire quella stirpe che tu avevi pensato di aver piantato con radici salde per l'eternità!? James Joyce, I morti (JOYCE 1963, p. 244). E l'anima gli svanì lenta mentre udiva la neve cadere stancamente su tutto l'universo, stancamente cadere come scendesse la loro ultima ora, su tutti i vivi e i morti. Franz Kafka, Un incrocio (KAFKA 1970, p. 424). Per questo animale il coltello del macellaio potrebbe forse essere una redenzione, ma avendolo ereditato, gliela devo negare. Perciò dovrà aspettare finché gli manchi il fiato, anche se talvolta mi guarda con intelligenti occhi umani che invitano ad agire con intelligenza. © Mondadori Education Heinrich Von Kleist, Santa Cecilia o la potenza della musica (KLEIST 1945, p. 199). Qui termina questa leggenda. La donna, la cui presenza in Aquisgrana non aveva più scopo, lasciò in deposito al Tribunale una piccola somma a benefizio dei suoi miseri figli, e se ne tornò a L'Aia, dove, profondamente scossa da questo evento, l'anno seguente rientrò nel grembo della Chiesa Cattolica. I figli invece morirono in tarda età di una morte serena e soddisfatta dopo avere intonato un'ultima volta, secondo la loro abitudine, l'inno del «Gloria in excelsis». Tommaso Landolfi, Maria Giuseppa (LANDOLFI 1991, p. 15). Dimodoché, tanto per finire, adesso sto solo nella casa, solo sul serio adesso. Una donna viene in fretta per mezz'ora a fare qualche servizio e scappa via, la bestia, non si sa perché. Ma me ne fotto. Vado tutte le sere a spasso e qualche volta arrivo fino al Camposanto, come v'ho detto. Ho trentaquattro anni. Ho finito. Buonanotte, Signori. Tommaso Landolfi, Colpi di spillo (LANDOLFI 1992, p. 964). Concludo. I colpi di spillo, già: sono i colpi di spillo che alla fine ci lasciano esausti e sgomenti. Magari ci toccasse opporci solo alle grandi avversità! Codeste recano in sé un tanto di magnanimo, e suscitano poi i nostri istinti di difesa, le nostre virili azioni e ribellioni. Mentre, pensate un poco, dai colpi di spillo non sarebbe vergognoso pararsi? A costo di ridurci come colabrodi, ci conviene far finta di nulla e rifiutare una tentazione ignominiosa. Nikolaj Leskov, Lady Macbeth del distretto di Mzensk (LESKOV 1948, p. 87). Il raffio pesante assicurato ad una lunga fune volò e cadde in acqua. Sonetka non si vedeva più. Due secondi dopo, trascinata lontano dalla rapida corrente, di nuovo alzò le braccia; ma in quel momento da un'altr'onda si sollevò sull'acqua, fino alla cintura, Katerina Lvovna, si gettò su Sonetka, come il forte luccio sul ghiozzo delicato, e le due donne non furono più viste. Arturo Loria, Le sirene (LORIA 1961, pp. 126-127). «Somigliava al nostro Gustavo» mormorò Edmea. «È vero» approvò Colomba con tristezza. Al buio gl'inviarono dolcissimi, schioccanti baci, poi si mossero per un viaggio lungo che durò fino all'alba. Illuminava quelle due povere vecchie affrante, che sperdutesi nella città immensa, cercavano il loro albergo. Luigi Malerba, Una pulce al Grand-Hôtel (MALERBA 1963, pp. 187-188). La ragazza rimase nell'isola un mese e poi entrò in una clinica per iniziare le cure annuali di disintossicazione. Della pulce si perse ogni traccia. Il Duca sostenne che le cure probabilmente avevano avuto un benefico effetto anche su di lei e che un giorno o l'altro sarebbe ricomparsa sulla scena mondo aristocratico, ma il Professore più pessimisticamente annotò sul suo diario che la pulce, ormai in preda alla droga, doveva essere certamente perita nelle acque del mare Tirreno dove la ragazza si bagnava ogni giorno. Giorgio Manganelli, Novantacinque (MANGANELLI 1979, p. 196). Quando cominciò a vedere le fate e gli elfi e gli angeli custodi, gli parve di essere sempre vissuto in una città deserta di esseri umani, o popolata di comparse; ora comincia a chiedersi se anche il © Mondadori Education Mondo, appunto il Mondo, sia una Cosa che non esiste. Katherine Mansfield, Sulla baia (MANSFIELD 1935, p. 62). Una nuvoletta serena venne a posarsi davanti alla luna. In quell'istante di oscurità, la voce del mare echeggiò cupa e turbata. Poi la nuvoletta sparì e la voce del mare divenne un mormorio vago, come se esso si fosse destato da un sogno angoscioso. Tutto era tranquillo. William Somerset Maugham, Pioggia (MAUGHAM 1986, p. 58). Essa si raccolse. Nessuno avrebbe potuto descrivere l'espressione di disprezzo che assunse il suo viso, l'odio che animò la sua risposta. «Uomini! Sudicioni, porci che non siete altro! Tutti uguali, tutti! Porci! Porci!» Il dottor Macphail restò a bocca aperta. Aveva capito. William Somerset Maugham, La conversione di Ginger Ted (MAUGHAM 1986, p. 235). L'amministratore si sentì mancare il respiro. E si affrettò ad andarsene perché pensava che se non correva subito a bere una bottiglia di birra sarebbe crepato di un colpo apoplettico. Non aveva mai avuto una scossa simile in tutta la sua vita. Guy De Maupassant, La diligenza (MAUPASSANT 1945, p. 17). Attaccata nel vivo, la sua mente si affievoliva. Verso la fine di dicembre si mise a letto. Morì ai primi di gennaio: e nel delirio dell'agonia protestava la sua innocenza ripetendo: «Una piccola cordicella... una piccola cordicella, ecco, guardate, signor sindaco...» Elsa Morante, Il ladro dei lumi (MORANTE 1994, pp. 16-17). Tale era il mio Dio; e quella ragazzina fui io, o forse mia madre, o forse la madre di mia madre; io sono morta e rinata, e ad ogni nascita si inizia un nuovo processo incerto. E quella ragazzina è sempre là, che interroga spaurita nel suo mondo incomprensibile, sotto l'ombra del giudice, fra i muti. Alice Munro, Alla foce del Meneseteung (MUNRO 1998, p. 94). E potrebbero giungere a conclusioni erronee, dopo tutto. Potrebbe essere capitato a me. Non so se Almeda Roth abbia mai preso il laudano. Molte signore ne facevano uso, non so se abbia mai fatto la gelatina d'uva. Alice Munro, Quello che si ricorda (MUNRO 2003). Si chiese se sarebbe rimasto tale, o se avesse in serbo per lui qualche altro ruolo, qualche altro uso immaginario per il tempo a venire. Alice Munro, In fuga (MUNRO 2004, p. 40). Continua a sperare di ricevere una parola di Penelope, ma senza perderci il sonno. Spera, come la gente di buon senso può sperare in una felicità immeritata, un perdono spontaneo, roba così. © Mondadori Education Alice Munro, Dulse (MUNRO 2008b, p. 72). Eppure, guarda quanto le aveva insidiosamente scaldato il cuore, quel regalo a distanza. Alice Munro, Il Jack Randa Hotel (MUNRO 2008a, p. 177). Che cosa si può mettere in una scatola così prima di incartarla e spedirla lontano? Una perla, una piuma, una pillola potente? O un messaggio, ripiegato stretto stretto, fino a farlo divenire piccolo come uno spillo. Adesso tocca a te seguirmi. Alice Munro, Faccia (MUNRO 2011, p. 176). Pensate che avrebbe potuto cambiare le cose? La risposta è certo, oppure un po', oppure mai e poi mai. Robert Musil, Il compimento dell'amore (MUSIL 1960, p. 177). E poi Claudine sentì con orrore che, nonostante tutto, il suo corpo si colmava di voluttà. E tuttavia in fondo alla sua memoria pensava a qualcosa che aveva sentito una volta in un giorno di primavera: come un potersi dare a tutti, eppure appartenere a uno solo. E lontano lontano – come i bambini dicono di Dio: Egli è grande – vide e conobbe l'immagine del suo amore. Flannery O'Connor, Il fiume (O'CONNOR 1990, p. 191). Di tanto in tanto, la testa del signor Paradise affiorava sul pelo dell'acqua. Alla fine, molto più a valle, il vecchio si rizzò, come un antico mostro marino, e rimase a mani vuote a fissare con gli occhi senza luce la distesa del fiume, fin dove giungeva il suo sguardo. Anna Maria Ortese, La città involontaria (ORTESE 1954, p. 37). Cominciava la notte, ai Granili, e la città involontaria si apprestava a consumare i suoi pochi beni, in una febbre che dura fino al mattino seguente, ora in cui ricominciano i lamenti, la sorpresa, il lutto, l'inerte orrore di vivere. Aldo Palazzeschi, Gedeone e la sua stella (PALAZZESCHI 1957, p. 555). Nel paese tutti dicevano: «Che cose! Che scene! Che marito! Che moglie! Che gente! Povero Gedeone! Com'è andato a finire!». Chi teneva la bocca stretta, chi si prodigava ad allargarla, chi rimaneva a bocca spalancata delle mezz'ore: «L'ha fatto impazzire! È diventata terribile!». Chi si metteva a piangere, chi si metteva a ridere, e nessuno si accorgeva ch'era una coppia felice. Emilia Pardo Bazàn, In silenzio (PARDO BAZÀN 2003, p. 87). Le gambe gli tremavano un po', ma quanto più si allontanava dalla taverna dove aveva murato la sua vendetta, tanto più correva. E fece bene a mettersi fretta perché il grande transatlantico stava scaldando le caldaie e lui fu uno degli ultimi ad arrivare tra gli emigranti. Pier Paolo Pasolini, Gli angeli distratti (PASOLINI 1993, p. 122). © Mondadori Education La vista mi si era oscurata, e tutto mi si presentava con quel misto di straordinario nitore e di confusione con cui gli oggetti appaiono a chi abbia appena preso la notizia di una sventura irreparabile. E allora capii d'essere morto; capii che quel ponte, quelle case, quella città, io non le vedevo con gli occhi, ma che era una musica, una musica dolorosa e altissima, a suggerirmene le immagini. Cesare Pavese, Le tre ragazze (PAVESE 1960, p. 195). Lo rivedo ancora gironzolare per i campi, spiarmi, seguirmi, e una volta affrontarmi scuro in faccia, avvilito. Ma le minacce e le suppliche m'impazientirono soltanto; le scenate alla moglie arrivavano in piazza e indignarono tutti; da me non ottenne più nulla. Poi gli nacque una bambina, io decisi di venire in città e non ne sentii più parlare. Luigi Pirandello, Ciàula scopre la luna (PIRANDELLO 1952, p. 227). E Ciàula si mise a piangere, senza saperlo, senza volerlo, dal gran conforto, dalla grande dolcezza che sentiva, nell'averla scoperta, là, mentr'ella saliva pel cielo, la Luna, col suo ampio velo di luce, ignara dei monti, dei piani, delle valli che rischiarava, ignara di lui, che pure per lei non aveva più paura, né si sentiva più stanco, nella notte ora piena del suo stupore. Edgar Allan Poe, Sei stato tu! (POE 1995, p. 910). Credo che non resti da spiegare altro. Mister Pennifeather fu rilasciato sull'istante, ereditò la fortuna dello zio, e profittando delle lezioni dell'esperienza, cambiò, come si dice, registro, e condusse di lì innanzi una felice nuova vita. Aleksàndr Puškin, La tempesta di neve (PUŠKIN 1958, p. 113). – Dio mio, Dio mio! – disse Màrja Gavrìlovna, prendendogli la mano: – Allora eravate voi! E non mi riconoscete? Bùrmin impallidì... e si gettò ai suoi piedi... Horacio Quiroga, I tre baci (QUIROGA 1990, p. 105). Giovane poeta, artista, filosofo: non guardare altrove nel dare un bacio, non vendere all'ultimo bacio l'ideale della tua giovane vita. Poiché se per prolungarla la sacrifichi, capirai troppo tardi che il supremo canto, il divino colore, la severa giustizia avevano valore soltanto quando possedevi un cuore pronto a morire per loro. Alberto Savinio, Mia madre non mi capisce (SAVINIO 1943, p. 171). Nivasio si avvicina alla piccola gallina, le si chiana accanto, cerca anche lui di farsi piccolo piccolo. Ci riesce. E nell'oscurità di quella stanza che credeva di non conoscere e che invece è la camera nella quale egli è venuto al mondo, Nivasio dà sfogo silenziosamente alle lacrime da tanti anni tenute a freno, e al pianto di una intera vita. Allora la piccola gallina cessa il suo lamento. Ha ritrovato il suo pulcino. Alberto Savinio, Nuove metamorfosi di Ovidio (SAVINIO 1943, p. 117). Guardavo in direzione delle misteriose Poteche. Poi tornai a guardare il vecchio. Ma il vecchio non c'era più. © Mondadori Education C'era appena una luce in forma d'uomo. Poi anche la luce si spense. Vittorio Sereni, Il sabato tedesco (SERENI 1998, p. 224). La terrazza esterna dell'albergo. Soleggiata ma perfettamente vuota con le bianche troppo bianche volute trafori ricami della ringhiera delle seggiole dei tavoli su cui alcune bevande consumate solo in parte, derelitte, filtrano la luce settembrina, o di ancora settembrino ottobre, e garofani bianchi e vermigli accoppiati o disposti in simmetria rivelano quanto può essere freddo e fiammante, dunque spettrale, un garofano. Ardengo Soffici, Gelosia come fato (SOFFICI 1958, p. 56). In questo momento passeggia in su e in giù nella stanza accanto: odo di qui il rumore dei suoi passi brevi e nervosi, attutito dal tappeto massiccio. Fra poco aprirà quella porta; mi dirà che non mi ama più e a me non resterà che morire. Mario Soldati, Harlem (SOLDATI 1991, p. 84). Tutto attorno a noi, cento camere a destra e cento camere a sinistra, dieci piani sopra e dieci piani sotto, era il fraterno sonno del College. E quello che con tanta ansia avevo chiesto invano alle donne bianche e alle donne nere, era forse qui, nella pace di questo sonno innocente, nella dolce compagnia della giovinezza. Robert Louis Stevenson, Markeim (STEVENSON 1949, p. 118). Poi il campanello suonò nuovamente con un impaziente squillo. Guardò dritto in faccia la cameriera sulla soglia mentre quasi l'ombra di un sorriso gli passava sul volto: «Fareste bene ad andare a chiamare la polizia,» disse «Io ho ammazzato il vostro padrone.» Italo Svevo, La madre (SVEVO 2004, p. 125). Ammirando il proprio raro, atroce destino, egli disse con tristezza: – La madre mia, invece fu una bestiaccia orrenda, e sarebbe stato meglio per me ch'io non l'avessi mai conosciuta. Antonio Tabucchi, Rebus (TABUCCHI 1990, p. 46). Ma a lei perché interessano le storie altrui? Anche lei deve essere incapace a riempire i vuoti fra le cose. Non le sono sufficienti i suoi propri sogni? Lev Tolstoj, Ore di lezione (TOLSTOJ 1952, p. 23). Ecco che si sente un passo su per la scala: ma non è Fòka, questo! Io ho fatto esperienza della sua camminata, e riconosco ogni volta lo scricchiolio dei suoi stivali. La porta s'aprì, e ci apparve una figura, che a me riuscì perfettamente nuova. Federigo Tozzi, Il padre (TOZZI 1963, p. 205). Pietro non fece più forza, e cadde presso una gamba della tavola martellato dai pugni, con le braccia spasimanti. E quando il cuoco e le donne si frapposero fra lui e il padre, egli non aveva nella sua anima, se non un'angoscia forte. © Mondadori Education Giovanni Verga, L'amante di Gramigna (VERGA 1941, p. 209). Che poteva fare? Rimase dov'era, a buscarsi il pane rendendo qualche servizio ai soldati, ai carcerieri, come facesse parte ella stessa di quel gran fabbricato tetro e silenzioso. Verso i carabinieri poi, che le avevano preso Gramigna nel folto dei fichidindia, sentiva una specie di tenerezza rispettosa, come l'ammirazione bruta della forza, ed era sempre per la caserma, spazzando i cameroni e lustrando gli stivali, tanto che la chiamavano «lo strofinacciolo della caserma». Soltanto quando partivano per qualche spedizione rischiosa, e li vedeva caricare le armi, diventava pallida e pensava a Gramigna. © Mondadori Education