CONFEDERAZIONE GIUDICI DI PACE Da circa dodici anni svolgo

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CONFEDERAZIONE GIUDICI DI PACE Da circa dodici anni svolgo
CONFEDERAZIONE GIUDICI DI PACE
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Da circa dodici anni svolgo funzioni di Giudice di Pace presso l’ufficio
di Forlì, che peraltro comprende, per competenza territoriale, anche il
comune che ci ospita e quindi volevo raccontare un po’ di questa mia
esperienza.
Com’è noto a tutti, il Giudice di Pace è nato come giudice di prossimità,
è l’autorità giudiziaria alla quale il cittadino può rivolgere anche
personalmente le proprie istanze di tutela, per ottenere una risposta in
tempi brevi.
Un bel riconoscimento del Giudice di Pace come giudice di prossimità,
a mio avviso, lo ha dato la Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza
n. 21582/2011 resa a Sezioni Unite nella quale precisa che “il modello di
giudice disegnato dal legislatore del 1991 - "a metà tra onorarietà e
professionalità ed investito di una competenza ben più che bagatellare",
ha assorbito l'intera competenza per valore del conciliatore e del pretore,
oltre ad incunearsi in materie assai rilevanti con l'obbiettivo primario di
ridurre l'enorme carico di lavoro della magistratura togata, gravemente
compromissivo della credibilità e dell'effettività dell'amministrazione della
giustizia. Ha fatto seguito il progressivo aumento della competenza non
solo sotto il profilo del valore delle controversie, ma anche della loro
rilevanza sociale. Il nuovo magistrato onorario nasce come organo da
preporre a difesa delle regole della convivenza e della tolleranza, poiché
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proprio in ordine a siffatte questioni l'elevato costo della giustizia aveva
privato il cittadino della tutela giudiziaria.
Secondo la Suprema Corte, l’istituzione del Giudice di Pace è volta al
recupero dell'efficienza come valore anche democratico, giacché sono i
soggetti più deboli quelli maggiormente colpiti dalle inefficienze del
sistema giurisdizionale, civile e penale.
Questo diceva la Corte di Cassazione nel 2011, sennonché il nostro
Legislatore, mosso dalla primaria esigenza di contenere la spesa pubblica,
con il decreto legislativo n. 156/2012, in attuazione alla legge delega n.
148/2011, ha previsto la soppressione di moltissimi uffici del giudice di
pace, fra questi anche l’ufficio di Bagno di Romagna, per i quali è stato
disposto l’accorpamento secondo criteri di competenza circondariale.
Tale provvedimento ha sancito praticamente la scomparsa del giudice di
prossimità in senso territoriale, in quanto attualmente l’ufficio del giudice
di pace, salvo rare eccezioni, ha la stessa competenza territoriale del
circondario del Tribunale.
Inevitabile effetto dell’accorpamento degli uffici è stata la drastica
riduzione delle domande di tutela da parte di tanti cittadini, scoraggiati dal
venir meno del presidio territoriale di giustizia di cui prima beneficiavano.
Eppure, la giustizia del Giudice di Pace rimane un servizio con accesso
semplificato e che offre una risposta in tempi brevi.
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Dall’ultima relazione del Capo Dipartimento dell’Organizzazione
Giudiziaria, dott. Mario Barbuto, emerge che nel triennio 2010/2013 vi è
stata una riduzione di procedimenti sopravvenuti (nella misura di circa il
6%) ed una riduzione dei procedimenti pendenti (nella misura di circa il
9%). Viene anche precisato che l’ufficio del Giudice di Pace avrebbe una
potenzialità di esaurimento dell’arretrato in un periodo di circa 10 mesi.
L’ufficio del Giudice di Pace è l’unico ufficio che registra una contrazione
dei giudizi pendenti rispetto all’anno precedente, ponendosi in linea con i
parametri previsti dalla legge Pinto sulla ragionevole durata del processo
ed equa riparazione (L89/2001). Ricordo che in base alla legge Pinto, il
termine ragionevole del processo è stabilito in tre anni per il primo grado
di giudizio, in due anni per il secondo grado ed in un anno per il giudizio
di legittimità.
Ricordo inoltre che nel processo penale del giudice di pace non è
previsto l’istituto della sospensione condizionale della pena, che quindi
viene eseguita al momento del passaggio in giudicato della sentenza di
condanna. Né sono previsti riti alternativi, quali il rito abbreviato o il
patteggiamento, che prevedono la riduzione in maniera significativa della
pena finale inflitta.
E non è vero che il Giudice di Pace possa applicare soltanto sanzioni di
tipo pecuniario, in quanto l’art. 52 del D. Lvo 274/2000 prevede anche la
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pena della permanenza domiciliare, privativa della libertà personale al pari
delle pene detentive.
Dopo la soppressione di moltissimi uffici del giudice di pace, un
altro intervento legislativo, recentissimo, che ha già avuto e che avrà
in futuro pesanti ricadute sul tema della sicurezza nei rapporti di
convivenza civile, è rappresentato dalla cosiddetta depenalizzazione.
Sono stati pubblicati in GU n. 17 del 22.01.2016 i D.lgs. 7 e 8 che,
rispettivamente, dispongono l’abrogazione e la depenalizzazione di alcuni
reati del codice penale e delle leggi speciali, con entrata in vigore dal 06
febbraio 2016.
Va opportunamente precisato che la delega contenuta nella L. 67/2014
consentiva al Governo di estendere la depenalizzazione ad una fascia più
numerosa di reati, in essa specificamente elencati. Per varie ragioni, di
natura principalmente politica, il Governo ha ristretto le fattispecie,
escludendo
espressamente
dalla
depenalizzazione
reati
quali
l’immigrazione clandestina e l’invasione di terreni ed edifici.
Il ripensamento del Governo ci consente così di continuare a sanzionare
penalmente le condotte di chi si introduce nello Stato italiano o vi si
trattiene senza averne titolo e di chi invade, al fine di occuparli, edifici
altrui, pubblici o privati.
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Vediamo adesso di esaminare brevemente questi due provvedimenti
legislativi.
A. Il Decreto Legislativo n. 7/2016 di abrogazione dei reati.
Il decreto in esame elimina parte dei reati di competenza del giudice di
pace penale, i quali vengono convertiti in illeciti puniti con “sanzioni
pecuniarie civili”, che vengono applicate dal giudice civile, a seguito di un
processo civile ordinario promosso dal danneggiato per ottenere il
risarcimento del danno.
Questo decreto legislativo stravolge non solo tutta la terminologia, non
si parla più di vittima di reato, ma di danneggiato, non si parla più di
sanzione penale, ma di sanzione pecuniaria civile, ma stravolge lo stesso
approccio alla giustizia da parte di chi sia stato colpito da illecite condotte
altrui.
Al riguardo volevo rilevare alcuni profili critici del nuovo sistema.
1. La tutela giuridica è rimessa all’iniziativa privata.
Direi che questo rappresenta il primo e più rilevante aspetto critico.
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Per ottenere giustizia, in conseguenza dell’abrogazione di alcune
fattispecie, il danneggiato dovrà promuovere un processo civile per
ottenere il risarcimento del danno.
All’esito del giudizio, se il giudice riterrà sussistente la condotta illecita,
condannerà il convenuto (non più quindi l’imputato) al risarcimento del
danno in favore dell’attore-danneggiato.
Veniamo ad un esempio concreto.
E’ stato abrogato il reato di cui all’art. 594 c.p. Pertanto non è più reato
ingiuriare qualcuno.
Oltre alla banale discussione tra vicini, che può degenerare in condotte
offensive, dobbiamo considerare anche altre ipotesi, forse estreme, ma che
purtroppo abbiamo riscontrato nei nostri uffici giudiziari.
Per effetto dell’abrogazione del reato di ingiuria, chiunque potrà
offendere una donna, anche sputandole addosso, magari davanti al
figlio minore, senza alcuna conseguenza penale.
Sostanzialmente si depenalizzano anche forme striscianti di piccola
violenza quotidiana che, pur non concretizzando le forme più gravi di
reato, sono però idonee a realizzare una forma di coazione, forse più
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vergognosa e vile, che ha come effetto quello di sottoporre la parte debole
ad umiliazioni anche in pubblico.
Come si può ridurre tutto questo ad un illecito civile?
Come potrà ad esempio una donna che non lavora pagarsi un avvocato
per promuovere una causa civile contro la persona che l’ha ingiuriata?
Con l’abrogazione dell’art. 594 c.p., sarà possibile ingiuriare anche
le forze di polizia in servizio.
Ricordiamo che l’art. 341 bis c.p. (oltraggio a pubblico ufficiale)
sanziona quelle condotte dirette ad offendere congiuntamente sia la
funzione svolta dal pubblico ufficiale che la persona. La nuova
formulazione dell’art. 341 bis c.p. prevede infatti che l’offesa all’onore del
pubblico ufficiale debba riflettersi sul ruolo pubblico rivestito, essendo
elemento costitutivo l’offesa congiunta, e non alternativa, dell’onore e del
prestigio connesso alla pubblica funzione.
Conseguentemente le forze di polizia nel corso dei loro interventi
potranno tranquillamente essere ingiuriate, anche con turpiloqui - purché
non si faccia riferimento alla loro funzione - perché questo non costituisce
più reato.
Non possiamo permettere di svilire coloro che operano nell’interesse
dello Stato e rischiano la loro incolumità e la loro vita per garantire la
sicurezza di tutti.
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Come ho già anticipato, chi è destinatario di offese lesive del proprio
decoro e della propria onorabilità, dovrà farsi carico di promuovere
apposita azione civile per ottenere la condanna al risarcimento del danno
subito in conseguenza di tali offese. All’esito del giudizio, il giudice,
qualora ritenesse fondata la domanda, condannerà il convenuto al
risarcimento del danno ed al pagamento di una sanzione pecuniaria civile,
determinata in base a diversi parametri, fra i quali la gravità della
violazione e la personalità dell’agente. Il responsabile potrà poi pagare tale
sanzione in “comode rate mensili”…
Eppure, il rito penale davanti al Giudice di Pace prevede la possibilità che
il reato si estingua per la condotta riparatoria del reo. Non era già questa
una misura deflattiva? L’art. 35 D. Lgs 274/2000 prevede l’estinzione del
reato, nelle ipotesi in cui l’imputato abbia provveduto, prima dell’udienza
di comparizione delle parti, alla riparazione del danno cagionato, mediante
risarcimento.
Con l’abrogazione di alcuni reati, il potere sanzionatorio dello Stato è
di fatto trasferito all’iniziativa del privato.
Consideriamo alcune conseguenze pratiche.
L’identificazione dell’autore dell’illecito.
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Fino a quando le condotte illecite, come l’ingiuria nell’esempio che stiamo
facendo, erano considerati reati, le indagini venivano compiute dalla
polizia giudiziaria, che, notoriamente usufruisce di competenze e di mezzi
superiori a quelli del privato cittadino.
Quindi, se sono ripetutamente raggiunto da messaggi ingiuriosi, siano essi
telefonici o informatici, il Legislatore lascia adesso alle mie misere facoltà
di privato cittadino lo svolgimento delle indagini per arrivare ad
identificare il colpevole.
Non avrò nessun pubblico ministero che chiederà l’acquisizione di tabulati
telefonici, nessun gip che le autorizzerà.
Se vengo ingiuriato per strada, o in casa, magari davanti ai miei figli,
magari con gesti dispregiativi,
non potrò richiedere l’intervento dei
Carabinieri.
Insomma, le scelte difensive e gli strumenti probatori dovrò concordarli
esclusivamente con il mio avvocato, a mie spese e con gli ovvi limiti di cui
ho appena detto.
Devo dire che l’associazione che ha organizzato il presente convegno
potrebbe assumere un ruolo importantissimo nel dare supporto ai privati,
che intendano tutelare i loro diritti.
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In futuro occorrerà infatti sempre più organizzarsi per tutelare “in proprio”
una più ampia gamma di beni giuridici: non più solo il patrimonio, ma
anche il decoro e l’onore personale, la fede pubblica (per esigenze di
tempo, non riesco a parlare di tutti i reati depenalizzati, ma fra questi
rientrano anche, ad esempio il danneggiamento, qualora commesso senza
violenza alla persona, la falsità in scrittura privata –pensiamo a chi
apponga una sottoscrizione falsa in un contratto di fideiussione bancaria-,
la falsità di foglio firmato in bianco; è stato abrogato anche l’art. 627 c.p.,
e quindi si potranno rubare beni in comproprietà con altri (perché soci,
coeredi) perché questo reato non esiste nell’ordinamento italiano.
Come vedete, i temi in discussione sono moltissimi e penso che
l’associazionismo possa essere di fondamentale importanza, innanzitutto
organizzando incontri informativi e divulgativi.
La conoscenza è il primo strumento di prevenzione e di tutela.
Poi, con l’ausilio di esponenti particolarmente qualificati come i vostri, si
possono pensare strategie di difesa (penso innanzitutto alla raccolta delle
prove per l’eventuale giudizio civile, ma anche alla predisposizione di
forme di assistenza e consulenza giuridica. Non dimentichiamoci che nei
giudizi civili l’onere probatorio della fondatezza della domanda è
interamente a carico dell’attore).
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Un altro aspetto critico, certamente più tecnico, è poi rappresentato da
2. L’incerta natura dell’istituto della sanzione pecuniaria civile.
In primo luogo viene introdotto nel nostro ordinamento giuridico
l’istituto della “sanzione pecuniaria civile”, senza specificarne in concreto
la differenza con la sanzione penale e la sanzione amministrativa. Si tratta
di un istituto del tutto nuovo, del quale il Legislatore stesso deve ancora
valutare alcuni aspetti non secondari, quali la modalità di riscossione, che
l’art. 4 del D. Lgs 7/2016 rimanda a successivi Decreti Ministeriali, non
ancora emessi.
Un primo effetto di tale previsione sarà quello di aumentare in via
esponenziale il contenzioso per tali fattispecie presso i Tribunali, in sede
civile, in considerazione della previsione normativa di determinare la
competenza del giudice in base all’azione di risarcimento del danno.
Non si comprende quindi il senso di questa norma soprattutto in questo
momento storico in cui a livello di politica giudiziaria, sulla base di
espresse indicazioni che provengono dall’Unione Europea, si cerca di
deflazionare il contenzioso civile del Tribunali civili ordinari.
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Sempre nell’intento deflattivo, il Legislatore ha inoltre previsto la
trasformazione in illeciti amministrativi di alcuni reati.
B. Il Decreto Legislativo 8/2016 di depenalizzazione di alcuni reati.
Con questo provvedimento legislativo, viene mutata la natura di alcuni
illeciti, attraverso il mutamento della sanzione per essi prevista.
Per effetto del D. Lgs 8/2016 alcuni illeciti penali vengono trasformati
in illeciti amministrativi, con
immediate ricadute in termini general
preventivi.
Consideriamo ad esempio la contravvenzione di cui all’art. 726 c.p.
(atti contrari alla pubblica decenza)
Trattasi
di
fattispecie
di
reato
commessa
anche
nell’ambito
dell’esercizio della prostituzione e veniva contestata per combattere il
degrado delle città.
Per quanto attiene all’art. 726 c.p. le condotte previste sono commesse
da meretrici (uomini e donne), che esercitano l’attività completamente
svestite, mostrando il loro corpo ai passanti e questo non solo nelle ore
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notturne ma anche in ore diurne e nei pressi di edifici pubblici o destinati
al pubblico, se questi edifici hanno la sventura di trovarsi in arterie di
grande scorrimento.
Se tali fattispecie vengono depenalizzate, oltre alle ovvie conseguenze
in termini di degrado urbano, va ulteriormente considerato che le forze di
polizia non potranno più intervenire per compiere le attività previste dal
codice di procedura penale, ma dovranno limitarsi ad elevare una sanzione
amministrativa, al pari di un divieto di sosta.
Qual è l’effetto deterrente di tale depenalizzazione?
Sempre in tema di tutela del pudore, ricordo che è stato depenalizzato
anche l’art. 527 c.p., rubricato come “atti osceni”, pertanto la pesante pena
della reclusione precedentemente prevista viene adesso sostituita con una
sanzione pecuniaria, nemmeno paragonabile per afflittività alla sanzione
penale.
E’ stato depenalizzato anche l’art. 653 c.p., rubricato come “rifiuto di
prestare la propria opera in occasione di un tumulto”, pertanto il mancato
aiuto alle autorità da parte del cittadino in occasione di eventi che
richiedono la solidarietà civica e umana di tutti, verrà da oggi punito con
una sanzione amministrativa.
Ricordo inoltre la depenalizzazione del reato previsto dall’art. 661 c.p.,
rubricato come “abuso della credulità popolare”, e mi vengono in mente
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tutte le condotte spregiudicate di coloro che captano la buona fede dei più
deboli (giovani, familiari di persone ammalate), attraverso i mezzi moderni
di comunicazione, condotte ridotte adesso a fatti di insignificante valore
penale.
Le ripercussioni sull’ordine pubblico e la sicurezza pubblica.
Come già esposto l’abrogazione e la trasformazione in illeciti
amministrativi di tali reati avrebbe l’effetto di indurre il cittadino a
difendersi da sé, perché non può più avvalersi dell’ausilio delle forze
dell’ordine per far cessare le condotte lesive del suo onore, della sua
proprietà, della sua identità, del suo senso del pudore.
Il tema è molto delicato ed anzi proprio in questi giorni abbiamo letto
sui giornali degli scontri avvenuti fra le diverse forze parlamentari, durante
la discussione alla Camera del disegno di legge n.2892, che prevede la
modifica dell’art. 52 c.p., ovvero della disciplina della legittima difesa.
Secondo l’impostazione del deputato sottoscrittore (on.le Molteni), la
legittima difesa è sempre presunta per colui che agisce per respingere
l’ingresso, mediante effrazione o contro la volontà del proprietario, con
violenza minaccia o uso di armi, in abitazione privata o luogo in cui viene
esercitata l’attività lavorativa. Il tema della discussione è ovviamente di
natura politica e segue le notizie di cronaca che frequentemente segnalano
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sentenze di condanna a carico di chi avrebbe difeso la propria abitazione o
la propria famiglia, o la propria attività dall’aggressione di terzi.
La materia non riguarda la competenza del giudice di pace, ma credo
che l’introduzione di una “presunzione” di legittima difesa sia espressione
di una netta tendenza alla giustizia privata, nella sua peggiore accezione,
per sopperire alle gravi mancanze della giustizia ordinaria, non sempre in
grado di dare risposte rapide ed adeguate.
Forse tutti quanti, tecnici e comuni cittadini, dovremmo riflettere su
questo fenomeno.
Immaginiamo le gravissime ricadute di un continuo indietreggiare
dello Stato, sia attraverso la riduzione di presidi sul territorio, come è
stato per gli uffici del giudice di pace e per le sezioni distaccate del
Tribunale, che con la rinuncia alla sanzione penale per alcune
tipologie di condotte, soprattutto in quei territori infettati dalla
criminalità organizzata.
La competenza penale del giudice di pace, pur non interessando
questioni che riguardano tali forme di criminalità, rappresenta una risposta
immediata ad una situazione d’illegalità rafforzando non solo la
percezione della presenza dello Stato, ma l’effettiva risposta dello Stato
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medesimo a tutti i reati che interessano direttamente i cittadini (lesioni,
percosse, minacce).
Non possiamo commettere l’errore di abbandonare parti del territorio
dello Stato a beneficio di organizzazioni criminali e favorirne così la
ramificazione all’interno della società civile, perché lo Stato Italiano ha
deciso
che
determinate
condotte,
oggettivamente
criminali,
costituiscano più reato.
Adele Linguanti
Confederazione Giudici di Pace
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non