BANDIERA NERA Racconto di Roberto Ritondale Scosso nel sonno

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BANDIERA NERA Racconto di Roberto Ritondale Scosso nel sonno
BANDIERA NERA
Racconto di Roberto Ritondale
Scosso nel sonno da un rumore indecifrabile, il vecchio parroco si alzò a fatica
dalla poltrona di pelle consumata. Trovato l’equilibrio, attraversò il corridoio che dalla sacrestia portava alla navata laterale. I suoi passi erano lenti e incerti, anche per il
buio che li incalzava.
All’improvviso sentì un tonfo. Lo riconobbe e si arrestò: qualcuno aveva sbattuto con violenza il portone di legno massiccio. Riprese allora il suo cammino, questa
volta più veloce, e arrivò in chiesa trafelato. Appoggiò la mano a una colonna: la ritirò immediatamente, raggelato dal contatto col marmo.
Si guardò intorno.
Sette candele rosse diffondevano tremolii di luce dinanzi alla statua della Madonna. Quando si avvicinò per spegnerle, padre Amadeus notò delle macchie a terra.
Schizzi di cera, pensò. Frugò nella tasca della tonaca e vi trovò un fazzoletto sgualcito. Si abbassò lentamente. Si rese conto che di schizzi ce n’erano a decine, e non tutti
in corrispondenza delle candele accese. Tracciavano anzi una scia che conduceva sin
dietro l’altare.
Il sacerdote alzò istintivamente gli occhi e vide lo sportellino del ciborio semiaperto. Smarrito, si avvicinò al tabernacolo. Aprì, prese il calice e rese grazie a
Dio: l’antica coppa di metallo pregiato, in cui per cinquant’anni aveva versato vino,
era ancora lì. Nessuno l’aveva rubata.
Afferrò l’oggetto sacro e lo posò delicatamente sull’altare. Guardando
all’interno, lo assalì un orrore che presto sfociò in conato: la coppa riboccava di sangue, e nel sangue galleggiavano due piccole dita. Le dita di un ragazzino.
Rimase paralizzato dal terrore. Il cervello, le mani, le gambe: nulla rispondeva
più ad alcun impulso. Soltanto l’udito gli sembrava funzionasse alla perfezione, allertato dal sospetto di un pericolo imminente. Dalla statua dell’Immacolata sentì prove-
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nire un ronzio percettibile a stento. E in quel preciso istante immaginò che l’autore
del macabro scherzo fosse ancora lì, nascosto all’ombra della Vergine.
Immobile come la statua di San Sebastiano, si sentiva infilzato da fitte di pura
angoscia. Si riprese a fatica dallo stordimento, ripose in fretta il calice e si incamminò
verso la sacrestia. Lo bloccò la visione di un’altra traccia, forse di sangue anche quella, che terminava sotto l’acquasantiera. Si avvicinò con il cuore in tumulto. Arrivato
alla meta, vide tre piccole dita galleggiare nell’acqua.
È un incubo, si disse, è soltanto un incubo, vecchio mio, in realtà tu sei seduto
in poltrona, hai mangiato troppo e stai ancora dormendo, tra poco viene la perpetua
e ti sveglia con l’aroma del caffè, come sempre, come ogni giorno, come tutti i santi
giorni, come sarà fino alla fine dei tuoi giorni, nulla di tutto questo può essere vero,
ora ti svegli e scopri che l’incubo è finito, anzi ti svegli e ti prepari alla festa, perché
stasera i parrocchiani ti faranno una festa, vecchio mio, per i tuoi ottant’anni, e per i
cinquanta vissuti a fare da guida alle pecorelle smarrite di questo paese, ecco, adesso ti sveglia e…
«Padre Amadeus, che fa? Vuole andare già via? Ma se lo spettacolo è appena
cominciato…»
Il prete si voltò curvo, di scatto.
«Mi riconosce?» domandò lo sconosciuto.
«Chi sei?»
«Ha ragione, è passato tanto tempo…»
«Chi sei?» ripeté il parroco con il respiro affannoso dell’ansia.
«E poi è buio, qui dentro. Troppo buio. Aspetti che mi avvicino…»
Il vecchio parroco vide l’ombra avanzare, farsi persona. Riuscì a distinguere
nel chiaroscuro del tempio due occhi sgranati dal bisogno di luce.
«Ancora non mi riconosce? Nemmeno adesso?»
«Io non ti conosco. E se questo è uno scherzo…»
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«Ma quale scherzo, padre? Questo è il mio regalo di compleanno. Perché oggi
è il suo compleanno, non è vero?»
Il sacerdote non rispose. I suoi occhi stanchi si appoggiarono a quello sguardo
sgranato che continuava a fissarlo.
«Le ho fatto una domanda… NON È VERO?» gridò lo sconosciuto senza
preavviso.
«È vero, è vero…» cercò di calmarlo il prete.
«E io ho allestito per lei una festa veramente speciale. Una caccia al tesoro,
come quelle che organizzava lei per i bambini… Se le ricorda?»
Padre Amadeus si sentiva in pericolo, aveva addosso la sensazione di poter essere aggredito da un momento all’altro.
Temporeggiare. Doveva temporeggiare.
«Di chi sono quelle dita?» domandò con calma, avviandosi a passo lento dietro
l’altare per guadagnare tempo e distanza.
«Quanta fretta di conoscere questo piccolo segreto… Eppure lei dovrebbe essere un maestro, nell’arte di custodire i segreti…»
«Figliolo, di chi sono…»
«NON CHIAMARMI FIGLIOLO!» urlò l’uomo nel buio, e la sua voce rimbalzò da una navata all’altra della chiesa. Padre Amadeus ebbe l’impressione di riconoscerla, quella voce esplosa insieme a una rabbia incontrollata. Frugò nella memoria, trovando solo inutili cianfrusaglie. Non riusciva a capire chi fosse quel giovane
fuori dalla grazia di Dio. Forse era solo l’incarnazione del maligno.
«Dimmi come ti chiami.»
«Sarebbe troppo facile… E io non ho alcuna intenzione di aiutarla. Non ora.»
«Sei stato un mio allievo?» domandò ancora il prete fingendo di mettere ordine
sull’altare, senza abbassare lo sguardo. Strinse forte il calice d’oro: l’avrebbe usato
come arma di difesa, se lo sconosciuto l’avesse aggredito.
«Hai frequentato questa parrocchia da bambino?»
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L’uomo annuì. E annuendo cominciò a passeggiare su e giù per la navata centrale della chiesa. Nel silenzio assoluto, risuonava soltanto il rumore dei suoi passi.
Padre Amadeus approfittò di quella pausa per fare ordine davvero, non
sull’altare, ma tra i suoi pensieri sempre più confusi. Chi era quello sconosciuto? Doveva avere una trentina d’anni, non di più, e il suo abbigliamento non sembrava quello tipico dei non-colti, la casta che stava facendo proseliti in città, distruggendo chiese e biblioteche, razziando musei, e in qualche caso uccidendo gli esponenti più in vista della casta dei colti.
E poi, di chi erano quelle piccole dita? Certamente di un ragazzino, pensò il
prete. E dunque, da qualche parte, c’era un bimbo in pericolo. O un bambino già morto.
«Almeno dimmi di chi sono quelle dita.»
«Le dirò tutto… Ma fossi in lei adesso darei un’occhiata lì dentro» sussurrò lo
sconosciuto indicando il tabernacolo.
Il vecchio parroco voltò lo sguardo. Un brivido gli attraversò la schiena. Gli
sembrò una scudisciata.
«Coraggio, infili una mano…»
Padre Amadeus toccò qualcosa di molliccio e rugoso. Si sentì mancare.
«Che c’è? Le fa schifo? È soltanto una lingua…»
«Perché quest’orrore, sant’Iddio?» esclamò il prete asciugandosi il sudore
freddo sulla fronte.
«Lei si impressiona troppo facilmente… Sta invecchiando…»
«Perché ce l’hai con me? Qual è la mia colpa?»
«Tutti abbiamo una colpa. Anzi, nasciamo con una colpa, lo dice spesso anche
lei… Non penserà mica di essere l’unico uomo senza peccato?»
Il vecchio prete si ammutolì. Quale peccato immondo doveva espiare, fino a
meritare quello scempio? Ripensò a quanto l’uomo gli aveva detto sui segreti. Collegò la frase del giovane alla lingua tagliata.
«Ho detto qualcosa che non dovevo dire?»
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Lo sconosciuto si sedette sulla panca della prima fila. Distese le gambe, le accavallò. Sembrava sentirsi a suo agio, in quella chiesa. Come se l’avesse sempre frequentata.
«Già stanco di giocare?»
«Per amor di Dio! Come puoi considerare un gioco questo macabro sacrilegio?» sbottò il sacerdote.
«Si calmi, padre… Non sprechi le sue forze… E dia un’occhiata nella teca di
vetro, sotto l’altare. Se non vuole che qualcuno faccia a pezzi anche lei…»
Il prelato non si mosse.
«Ti ho detto di guardare nella teca. Non è un invito, è un ordine!»
Padre Amadeus si abbassò. Il vetro era in frantumi e sul petto del santo imbalsamato non c’era più il cuore d’argento e rubini attaccato a una vecchia collana.
C’erano una chiazza di sangue e un cuore vero.
«Signore mio…»
«Signore… Signore… perché l’hai abbandonato?» rise sguaiato lo sconosciuto.
Il sacerdote tornò in posizione eretta. Mise meglio a fuoco l’uomo che aveva di
fronte.
«Io ti conosco…» sussurrò con un filo di voce. Il viso che aveva dinanzi gli
appariva adesso familiare. Eppure non riusciva a dare un nome a quel volto.
«Sono passati molti anni…»
«Ma forse comincio a riconoscerti… dimmi qual è il tuo nome.»
«Dottor Spaltung. Puoi chiamarmi così.»
«E cosa vuoi da me, dottor Spaltung?»
«Voglio farti impazzire. Di dolore» rispose l’uomo con un tono gelido come
una lama d’acciaio.
«Dimmi di chi sono quella dita.»
«Le mie» rispose Spaltung alzando al cielo un moncherino. «La mano di un ragazzino a cui qualcuno ha rubato l’infanzia. Una mano che chiedeva soltanto di giocare e che invece è diventata segno di potere e di comando.»
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«E… e quella lingua? Di chi è quella lingua?» vacillò il vecchio parroco.
«La mia» rispose Spaltung aprendo la bocca vuota. «La lingua di un uomo che
avrebbe voluto baciare, cantare, gustare ogni piccolo piacere della vita… e che qualcuno ha imprigionato nelle penitenze e nel racconto di mille falsità.»
Padre Amadeus lo fissò con uno sguardo misto di pena e terrore. Lo sconosciuto aveva completamente cambiato tono ed espressione. Si convinse di avere di fronte
un pazzo.
«E il cuore? Di chi è questo cuore?» domandò ancora il sacerdote, inginocchiandosi davanti alla teca di vetro.
«Il mio. Il cuore di uomo che avrebbe voluto conoscere l’amore di una donna,
o il sentimento dell’amore paterno. Un cuore che qualcuno ha invece sigillato in una
teca di piombo.»
«Chi ti ha costretto a fare tutto questo?»
«Sei stato tu, Amadeus.»
Il prete si rialzò aggrappandosi con entrambe le mani al bordo dell’altare. Si
avvicinò allo sconosciuto, fino a distare un soffio. Lo fissò dritto negli occhi e finalmente lo riconobbe.
«Tu non sei il dottor Spaltung. Tu sei Amadeus…»
«Il giovane Amadeus, quello che tu hai tradito. Giusto cinquant’anni fa.»
«E soltanto ora ti ribelli al tuo destino?»
«Non mi sto ribellando. Io sono solo il fantasma di una parte di te. La parte che
hai rinnegato. Ma nessuno può mai essere uno, negando i propri impulsi, le proprie
contraddizioni. Nessuno può vivere sicuro della propria Verità e delle proprie certezze. A meno che non sia un pazzo.»
«Io sono certo di essere ciò che sono» scosse la testa il prete.
«Infatti stai già impazzendo. E io sono il frutto della tua follia» replicò il giovane Amadeus spogliandosi dei suoi abiti, mostrando il petto svuotato che ancora
grondava sangue.
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Il vecchio parroco, sconvolto, gli voltò le spalle e si diresse verso la sacrestia.
Con un solo obiettivo nella mente: salire in fretta in cima al campanile. Non fece in
tempo, Spaltung fu più veloce: gli sfondò il cranio con un candelabro e diede fuoco ai
primi banchi di legno. L’incendio divorò la chiesa in poco tempo.
***
«Che ti sembra, Hul-Isis. Esperimento riuscito?» domandò Isis-Mide spegnendo il monitor collegato alla videocamera nascosta nella statua dell’Immacolata.
«Continua a non convincermi…»
«Cosa?»
«Il metodo. I tempi lunghi. Lo spreco di biotransfer…» si mostrò scettico HulIsis.
«Io invece trovo tutto così gustoso, così convincente… Distruggere la casta dei
colti facendola specchiare nelle proprie contraddizioni» replicò Isis-Mide, mentre un
ghigno gli sbocciava fra le labbra. «Un programma perfidamente efficace.»
«Il Consiglio dei non colti l’ha già approvato, questo programma?»
«La settimana scorsa. La fase sperimentale è finita oggi, con la morte di padre
Amadeus.»
«E da domani?»
«Da domani partirà la fase due: l’autodistruzione di massa» scoppiò a ridere
Isis-Mide, accarezzando perfido la grande bandiera nera.
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