"Il ritorno del lupo cattivo": una vergogna italiana

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"Il ritorno del lupo cattivo": una vergogna italiana
marzo-aprile 2014
Flora e fauna
"Il ritorno del lupo cattivo":
una vergogna italiana
di Franco Tassi
Coordinatore Gruppo Lupo Italia
Come insegna la saggezza
orientale, si può salvare sia il
lupo che il pastore con le sue
pecore e i formaggi, insieme
al magnifico mastino bianco
abruzzese.
(Simbolo della filosofia Tao)
È
Il lupo, una vera forza della
natura da tutelare come elemento
essenziale dell’equilibrio ecologico”
(Foto Herbert Grabe).
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una bella favoletta italiana, largamente circolata negli anni scorsi,
quella degli italiani tanto sensibili
alle tematiche ecologiche, e pronti a difendere la natura. Certo a molti di noi
piacerebbe immaginarli così, ma basta
un repentino tuffo nella realtà per far
scoprire che, in concreto, la situazione
è davvero ben diversa. L’esempio più
recente è stato offerto dall’accoglienza
riservata al ritorno del lupo nell’Italia
settentrionale, spinto alla riconquista di
territori perduti dall’abbandono della
montagna e dall’esplosione degli ungulati, primo tra tutti il cinghiale.
C’erano mille modi diversi di affrontare
questa novità, ma nell’Italia che si reputa progredita è stato scelto certamente
il peggiore. In Toscana, in particolare,
è risorta la sindrome di Cappuccetto
Rosso, ha ripreso vita la ridicola storia
del ripopolamento dei lupi (magari lanciati con il paracadute?) e si è tornati
al barbaro sport del passato: l’indiscriminata strage dei lupi. Nella sola Maremma, nel giro di qualche settimana,
sono stati almeno una decina gli animali massacrati, e poi esibiti con fierezza, esposti nelle piazze, vantati come
ritorno alla pace sociale. Il risultato?
Nessuna soluzione al problema, ma
un danno irreparabile all’immagine di
marzo-aprile 2014
Flora e fauna
Il primo incontro in Andalusia tra il lupo iberico e la segretaria del Gruppo Lupo Italia (Foto Franco Tassi).
La miglior forma di prevenzione dei danni dei carnivori predatori consiste nell’affidare ai pastori cani da guardia
abruzzesi, efficacissimi nella difesa del bestiame. (Foto Gruppo Lupo Italia).
una terra che stava acquistando grande
fascino e richiamo turistico. Al punto
che, nella valanga di proteste seguite,
non sono stati pochi a giurare che mai
più in futuro avrebbero messo piede in
Maremma.
Se di fronte all’innegabile problema
dei danni al bestiame domestico era
giusto protestare, l’incivile reazione di
certa gente (per fortuna, non tutti) ha
ottenuto sicuramente risultati opposti
a quelli che voleva raggiungere, perché
il lupo è protetto da norme europee, e
tutti si sono schierati in sua difesa. Ma
la barbarie è frutto anche dell’ignoranza, e questa triste storia lo conferma nel
modo più evidente.
Anzitutto, i “colpevoli” giustiziati non
erano quasi mai veri lupi, ma assai più
spesso cani o ibridi, come le analisi genetiche hanno poi dimostrato. Segno
evidente che il vero, grande problema
irrisolto resta quello dei cani randagi,
vaganti o rinselvatichiti (tre categorie
da tenere ben distinte per origine e caratteristiche). Perché se è vero che in
Italia ormai vi sono piú di un migliaio di lupi, come mai nessuno dice che
abbiamo anche oltre un milione di cani
abbandonati e incontrollati? Pensiamo
davvero che possano sopravvivere nutrendosi soltanto di aria e fiorellini, o
non saranno proprio loro i responsabili
dei danni maggiori? Il randagismo può
e deve essere controllato e prevenuto,
ma nessuno sembra volersene occupare davvero. E non dimentichiamo che
uccidendo qualche lupo o decimando i
loro branchi, che rispondono anche nel
comportamento a ferree leggi naturali, non si farà che aumentare il rischio
di ulteriori ibridazioni. A tutto ciò va
aggiunto un fenomeno meno noto, ma
gravissimo e piú che documentato: l’abbandono di cani lupi pericolosi da parte
di allevatori incoscienti.
Altra prova dell’inconcludenza traspare dalla protesta contro il consiglio di
usare cani pastori da guardia, perché,
si sostiene, “abbiamo provato con i
cani maremmani, ma non serve a nulla!”. Chi conosce la situazione non può
che sorriderne, dato che in effetti nessun esperto suggerirebbe mai l’impiego
di cani maremmani, bensì dei mastini
abruzzesi, simili d’aspetto ma diversissimi nel comportamento.
Ma dove la protesta naufraga nel ridicolo è allorchè ignora l’altro grande
problema incombente, l’invasione dei
cinghiali, questi sì portatori di danni enormi alle attività agricole. Ce ne
sono oltre un milione nel nostro Paese,
prolificissimi e dilaganti, frutto delle irresponsabili introduzioni di ceppi mitteleuropei a scopo venatorio. Nessuna
forma di caccia o cattura potrebbe
ormai contenerli, ma i branchi di lupi,
invece, vi riuscirebbero egregiamente.
Senza nulla pretendere in cambio, se
non essere lasciati vivere in pace.
Vien da chiedersi, allora, come mai tutte le strategie maestre seguite in passato
in Abruzzo, che si erano dimostrate più
che valide – dalla famosa Operazione
San Francesco al Progetto Arma Bianca – non siano state applicate, e neppure ricordate. Forse istituzioni, media,
studiosi e ambientalisti non le conoscevano, o non le avevano capite, o magari non le ricordavano? Oppure l’idea
dominante restava comunque quella di
cancellare la memoria storica, per qualche fine inconfessabile? Di certo, non
mancano legioni di aspiranti a nuovi
progetti, miranti a finanziamenti per
cui il lupo appenninico rappresenta il
bancomat ideale. Ma se fondi occorre
erogare, meglio sarebbe anzitutto risarcire nel modo più equo e tempestivo i
veri danni di lupi agli aventi diritto.
Probabilmente non si sta scegliendo la
strada giusta. In fondo anche il “lupo
cattivo” può diventare un pretesto per
ritornare alla barbarie, inondare il
mondo di vuote chiacchiere inutili, e litigare all’infinito… Ripetendo gli errori
di sempre, senza nulla concludere. Come
impone l’inveterato costume nazionale.
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