La posizione delle vittime di reato nell`azione dell

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La posizione delle vittime di reato nell`azione dell
UNIONE DELLE CAMERE PENALI ITALIANE
OSSERVATORIO EUROPA
La posizione delle vittime di reato nell’azione dell’Unione europea
1. Premessa
Il Consiglio europeo ha di recente confermato l’importanza dell’azione diretta a rafforzare la
posizione delle vittime di reato, ormai promossa da anni – a partire dal Programma di Stoccolma1
e dalla successiva tabella di marcia2 –, concretizzatasi nell’adozione della Direttiva 2012/29/UE
che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato 3;
un’azione, per la verità, ancora prima avviata con l’adozione della Decisione quadro
2001/220/GAI relativa alla posizione della vittima nel procedimento penale 4. Nelle sue conclusioni
del 26 e 27 giugno 2014 sullo spazio di libertà, sicurezza e giustizia e alcune questioni orizzontali
connesse5, il Consiglio europeo ha infatti ribadito la necessità di ulteriori azioni per, inter alia,
rafforzare la protezione delle vittime.
Come già avvenuto in passato, questo impegno viene accompagnato da quello assunto per il
rafforzamento tanto dei diritti degli indagati e degli imputati nei procedimenti penali, quanto del
riconoscimento reciproco delle decisioni e sentenze, così da realizzare un bilanciamento tra istanze
sociali, esigenze di garanzia e urgenze repressive. Interessante è sottolineare l’obiettivo cui
vengono ricollegate le priorità individuate: il buon funzionamento di un autentico spazio europeo
di giustizia nel rispetto dei diversi ordinamenti giuridici e delle diverse tradizioni giuridiche degli
Stati membri, anche a servizio di una sana crescita economica che consenta alle imprese e ai
consumatori di beneficiare di un ambiente imprenditoriale affidabile nell’ambito del mercato
interno.
1
G.U.U.E. C-115 del 4 maggio 2010, p. 1.
G.U.U.E. C-187 del 28 giugno 2011, p. 1.
3
G.U.U.E. L-315 del 14 novembre 2012, p. 57.
4
G.U.C.E. L-82 del 22 marzo 2001, p. 1.
5
G.U.U.E. C-240 del 24 luglio 2014, p. 13.
2
La Direttiva 2012/29/UE6 – una delle tappe più importanti della sopra citata tabella di marcia
– è certamente il punto di partenza per un’attenta riflessione sul ruolo che il legislatore
sopranazionale sta progressivamente ritagliando alla vittima nel procedimento penale, anche grazie
alla specifica base giuridica contenuta nell’art. 82, par. 2, lett. c), del Trattato sul funzionamento
dell’Unione europea, che consente l’adozione di norme minime al fine di armonizzare i diritti delle
vittime della criminalità.
Per quegli Stati membri che partecipano alla sua adozione7, la Direttiva mira a rivedere e
integrare i principi enunciati nella Decisione quadro 2001/220/GAI8, sostituendola; restano salvi,
invece, altri atti giuridici dell’Unione che trattano in modo più mirato le specifiche esigenze di
particolari categorie di vittime, quali le vittime della tratta degli esseri umani9, e i minori vittime di
abuso e sfruttamento sessuale e pedopornografia 10.
Sono tre gli assi portanti della Direttiva sui quali vale la pena soffermarsi, cui corrispondono
il Capo II, III e IV del testo legislativo, rispettivamente intitolati a: “Informazioni e sostegno”,
“Partecipazione al procedimento penale” e “Protezione delle vittime e riconoscimento delle
vittime con specifiche esigenze di protezione”. Il Capo V è invece dedicato alla “Formazione degli
operatori”, rivelando un’accentuata sensibilità nei confronti della necessità di una formazione
specialistica di tutti gli operatori suscettibili di entrare in contatto con le vittime di reato: agenti di
polizia e personale giudiziario, giudici e pubblici ministeri, avvocati. Non solo. Esso mira a
promuovere la cooperazione tra gli Stati membri al fine di sollecitare lo scambio di migliori prassi,
la consultazione in singoli casi e l’assistenza alle reti europee che lavorano su questioni attinenti ai
diritti delle vittime.
6
Il termine entro cui darvi attuazione è fissato al 16 novembre 2015.
Regno Unito e Irlanda hanno notificato di voler partecipare all’adozione e all’applicazione della Direttiva.
La Danimarca, invece, ha notificato di non voler partecipare.
8
Il cui stato di attuazione è stato definito insoddisfacente nella relazione della Commissione del 20 aprile
2009 (COM 2009 166 def.).
9
Il riferimento è alla Direttiva 2011/36/UE concernente la prevenzione e la repressione della tratta di esseri
umani e la protezione delle vittime, G.U.U.E. L-101 del 15 aprile 2011, p. 1.
10
Il riferimento è alla Direttiva 2011/93/UE relativa alla lotta contro l’abuso e lo sfruttamento sessuale dei
minori e la pornografia minorile, G.U.U.E. L-335 del 17 dicembre 2011, p. 1.
7
2
2. Informazioni e sostegno
Il Capo II della Direttiva richiede, innanzitutto, che le vittime ricevano assistenza, fin dal
primo contatto con un’autorità competente nell’ambito di un procedimento penale, affinché
possano comprendere ed essere comprese. A tal fine, gli Stati membri sono tenuti a garantire che
le comunicazioni, siano esse fornite oralmente o per iscritto, vengano offerte in un linguaggio
semplice e accessibile, tenendo conto anche delle caratteristiche personali della vittima che ne sia
destinataria, la quale potrà eventualmente avvalersi di una persona di sua fiducia. È altresì
individuato il contenuto minimo delle informazioni che gli Stati membri si impegnano a offrire
alla vittima, sempre fin dal primo contatto con un’autorità competente11.
Il Capo II, poi, individua, da un lato, diritti strumentali alle garanzie di partecipazione al
procedimento, e, dall’altro, il diritto di accesso ai servizi di assistenza.
Quanto al primo gruppo di diritti, è previsto che gli Stati membri facciano in modo che la
vittima ottenga un avviso di ricevimento scritto della denuncia formale presentata all’autorità
competente, indicante gli elementi essenziali del reato interessato. Gli Stati membri devono inoltre
informare la vittima del diritto che ha di ricevere, previa richiesta – vincolante per l’autorità
competente –, informazioni su un’eventuale decisione di non esercitare l’azione penale o di non
11
In particolare, essa impone agli Stati membri che, fin dal primo contatto con l’autorità competente e senza
indebito ritardo, la vittima sia informata circa: a) il tipo di assistenza che può ricevere e da chi, nonché, se del
caso, informazioni di base sull’accesso all’assistenza sanitaria, ad un’eventuale assistenza specialistica, anche
psicologica, e su una sistemazione alternativa; b) le procedure per la presentazione di una denuncia relativa ad
un reato e il ruolo svolto dalla vittima in tali procedure; c) come e a quali condizioni è possibile ottenere
protezione, comprese le misure di protezione; d) come e a quali condizioni è possibile avere accesso all’assistenza di un legale, al patrocinio a spese dello Stato e a qualsiasi altra forma di assistenza; e) come e a quali
condizioni è possibile l’accesso a un risarcimento; f) come e a quali condizioni ha diritto all’interpretazione e
alla traduzione; g) qualora risieda in uno Stato membro diverso da quello in cui è stato commesso il reato,
quali sono le misure, le procedure o i meccanismi speciali a cui può ricorrere per tutelare i propri interessi
nello Stato membro in cui ha luogo il primo contatto con l’autorità competente; h) le procedure disponibili
per denunciare casi di mancato rispetto dei propri diritti da parte dell’autorità competente operante
nell’ambito di un procedimento penale; i) a chi rivolgersi per comunicazioni sul proprio caso; j) i servizi di
giustizia riparativa disponibili; k) come e a quali condizioni le spese sostenute in conseguenza della propria
partecipazione al procedimento penale possono essere rimborsate.
È previsto che l’entità o il livello di dettaglio delle informazioni possano variare in base alle specifiche
esigenze e circostanze personali della vittima, nonché al tipo o alla natura del reato. Ulteriori informazioni
dettagliate possono essere fornite nelle fasi successive, in funzione delle esigenze della vittima e della
pertinenza di tali informazioni in ciascuna fase del procedimento.
3
proseguire le indagini o di non perseguire l’autore del reato, ovvero sulla data e il luogo del
processo, nonché sulla natura dei capi d’imputazione a carico dell’autore del reato. Dello stesso
obbligo informativo si fanno carico gli Stati membri, seppur in questo caso tenendo conto del
ruolo che la vittima svolge nel sistema giudiziario penale nazionale, in merito all’eventuale
sentenza definitiva del processo e a tutte quelle informazioni che consentono alla vittima di essere
messa al corrente dello stato del procedimento – salvo il caso in cui vi sia il rischio di pregiudicare
il corretto svolgimento del procedimento –. Gli Stati membri sono altresì tenuti a garantire alla
vittima la possibilità di essere informata, senza indebito ritardo, della scarcerazione o dell’evasione
della persona posta in stato di custodia cautelare, processata o condannata con riferimento al reato
interessato, nonché di eventuali pertinenti misure attivate per la sua protezione in caso di
scarcerazione o evasione dell’autore del reato12.
Determinante per un’effettiva partecipazione al procedimento penale è, infine, il diritto
all’interpretazione e alla traduzione13: su sua richiesta, la vittima che non comprenda o non parli la
lingua del procedimento penale può essere assistita gratuitamente da un interprete, almeno durante
le audizioni o gli interrogatori nel corso del procedimento penale dinanzi alle autorità inquirenti e
giudiziarie – inclusi gli interrogatori di polizia –, come pure per la sua partecipazione attiva alle
udienze, ivi comprese le necessarie udienze preliminari; la stessa vittima può anche chiedere la
traduzione gratuita delle informazioni essenziali in una lingua a lei comprensibile, nella misura in
cui tali informazioni siano accessibili, affinché possa esercitare i suoi diritti nel procedimento
penale14. Spetta all’autorità competente valutare la necessità dell’interpretazione e della traduzione
12
Tali informazioni vengono fornite previa richiesta, almeno nei casi in cui sussista un pericolo o un rischio
concreto di danno nei confronti della vittima, purché tale notifica non comporti un rischio concreto di danno
per l’autore del reato.
13
Un diritto, per la verità, riconosciuto anche al di fuori del procedimento penale, già al momento della
denuncia, là dove è previsto che la vittima che non comprenda o non parli la lingua dell’autorità competente
abbia la possibilità di presentare la denuncia utilizzando una lingua che comprende o ricevendo la necessaria
assistenza linguistica, e disponga, qualora ne faccia richiesta, della traduzione gratuita dell’avviso di
ricevimento scritto.
14
Le traduzioni di tali informazioni comprendono almeno la decisione che mette fine al
procedimento penale relativo al reato subito dalla vittima e, previa richiesta la motivazione o una
breve sintesi della motivazione della decisione, eccetto il caso di una decisione della giuria o di una
decisione le cui motivazioni siano riservate, nel qual caso le stesse non sono fornite in base al diritto
4
mediante una decisione, impugnabile da parte della vittima secondo le norme procedurali
nazionali.
Quanto al diritto di accesso ai servizi di assistenza, gli Stati membri si impegnano a garantire
alla vittima e ai suoi familiari15 l’accesso a servizi che siano riservati, gratuiti e operanti
nell’interesse della vittima16, prima, durante e per un congruo periodo di tempo dopo il
procedimento penale, e comunque mai subordinati alla presentazione di una formale denuncia.
3. Partecipazione al procedimento penale
Il Capo III della Direttiva disciplina una serie di diritti processuali che gli Stati membri sono
tenuti a garantire alle vittime di reato. In particolare, la vittima deve poter essere sentita nel corso
del procedimento17 e deve poter fornire elementi di prova, nel rispetto delle norme procedurali
stabilite dal diritto nazionale. Una disposizione da intendersi nel senso chiarito dalla Corte di
giustizia con riferimento a un’analoga disposizione contenuta nella previgente Decisione quadro
2001/220/GAI, a maggior ragione in considerazione della particolare enfasi ora posta sul diritto
nazionale. Nella causa Katz, i giudici di Lussemburgo hanno ritenuto che, nell’ambito di un
procedimento di accusa privata sussidiaria – quale quello oggetto della fattispecie –, non sussista
nazionale.
15
In conformità delle loro esigenze e dell’entità del danno subito a seguito del reato commesso nei confronti
della vittima.
16
I servizi di assistenza alle vittime forniscono almeno: a) informazioni, consigli e assistenza in materia di
diritti delle vittime, fra cui le possibilità di accesso ai sistemi nazionali di risarcimento delle vittime di reato, e
in relazione al loro ruolo nel procedimento penale, compresa la preparazione in vista della partecipazione al
processo; b) informazioni su eventuali pertinenti servizi specialistici di assistenza in attività o il rinvio diretto
a tali servizi; c) sostegno emotivo e, ove disponibile, psicologico; d) consigli relativi ad aspetti finanziari e
pratici derivanti dal reato; e) salvo ove diversamente disposto da altri servizi pubblici o privati, consigli
relativi al rischio e alla prevenzione di vittimizzazione secondaria e ripetuta, di intimidazione e di ritorsioni.
Gli Stati membri si impegnano anche a istituire servizi di assistenza specialistica gratuiti e riservati in
aggiunta a, o come parte integrante di, servizi generali di assistenza alle vittime, o per consentire alle
organizzazioni di assistenza alle vittime di avvalersi di entità specializzate già in attività che forniscono
siffatta assistenza specialistica. Tali servizi di assistenza specialistica forniscono almeno: a) alloggi o altra
eventuale sistemazione temporanea a vittime bisognose di un luogo sicuro a causa di un imminente rischio di
vittimizzazione secondaria e ripetuta, di intimidazione e di ritorsioni; b) assistenza integrata e mirata a vittime
con esigenze specifiche, come vittime di violenza sessuale, vittime di violenza di genere e vittime di violenza
nelle relazioni strette, compresi il sostegno per il trauma subito e la relativa consulenza.
17
Quando la vittima da sentire è un minore, si tengono in debito conto la sua età e la sua maturità.
5
alcun obbligo in capo al giudice nazionale di ammettere l’audizione della vittima in qualità di
testimone; quando privata di tale possibilità, la vittima deve, però, poter essere ammessa a rendere
una deposizione che possa essere presa in considerazione come elemento di prova18.
Va detto, comunque, che il diritto della vittima di essere sentita è di natura strettamente
procedurale, non potendo in alcun modo influire sul diritto penale sostanziale, in particolare sulla
determinazione della pena a carico dell’imputato e sulla sua entità. Questo è quanto è stato chiarito
dalla Corte di giustizia, nelle cause riunite Gueye e Sanchez, in sede di interpretazione della
Decisione quadro 2001/220/GAI – un’interpretazione che pare riferibile anche alla Direttiva in
esame –, là dove si è escluso che possa non applicarsi una sanzione di allontanamento
obbligatoria, prevista dall’ordinamento penale di uno Stato membro a titolo di pena accessoria, nei
confronti degli autori di violenze commesse in ambito familiare, quando le relative vittime
contestino l’applicazione della sanzione stessa, manifestando l’intenzione di riprendere i contatti
con i rei e di addivenire alla mediazione penale 19.
La vittima può godere anche – sempre, quando si procede per reati gravi – del diritto di
chiedere il riesame di una decisione che disponga il non esercizio dell’azione penale, secondo il
ruolo che le è attribuito nel pertinente sistema giudiziario penale e in base alle norme procedurali
domestiche20, salvo il caso di composizione extragiudiziale.
Interessanti, poi, sono le particolari tutele cui la Direttiva vincola gli Stati membri nel caso in
cui la vittima scelga di partecipare a procedimenti di giustizia riparativa; adeguata protezione deve
essere fornita a fronte dei rischi di vittimizzazione secondaria e ripetuta, intimidazione, e
ritorsioni. A questo fine è disposto che l’accesso ai servizi di giustizia riparativa avvenga a
condizione che: si ricorra a detti servizi nell’interesse della vittima, la quale possa esprimere il
proprio consenso libero, informato (in merito al procedimento e al suo potenziale esito, così come
in merito alle modalità di controllo dell’esecuzione di un eventuale accordo) e sempre revocabile;
18
CGE C-404/07 del 9 ottobre 2008.
CGE C-483/09 e C-1/10 del 15 settembre 2011.
20
Qualora la decisione di non esercitare l’azione penale sia adottata dalla massima autorità responsabile
dell’esercizio dell’azione penale avverso le cui decisioni non è possibile chiedere la revisione secondo il
diritto nazionale, la revisione può essere svolta dalla stessa autorità.
19
6
l’autore del reato abbia riconosciuto i fatti essenziali del caso; e le discussioni non pubbliche
nell’ambito del procedimento di giustizia riparativa restino riservate, ad eccezione dei casi in cui
vi sia un accordo delle parti ovvero la divulgazione sia consentita dal diritto nazionale per
preminenti motivi di interesse pubblico. A queste condizioni, gli Stati membri si impegnano a
facilitare il rinvio dei casi ai servizi di giustizia riparativa. A tale proposito, si segnala la sentenza
della Corte di giustizia, pronunciata nelle già citate cause riunite Gueye e Sanchez, in riferimento a
una disposizione contenuta nella Decisione quadro 2001/220/GAI sulla mediazione tra vittima e
autore del reato – riconducibile alla giustizia riparativa cui si riferisce la Direttiva 21 –, nella quale è
stata riconosciuta la possibilità agli Stati membri di escludere il ricorso alla mediazione nei
procedimenti penali relativi ai reati commessi in ambito familiare, tenuto conto della loro
particolare natura22. La Corte di giustizia, nella causa Eredics, ha altresì avuto modo di chiarire
che, ai fini della mediazione, la nozione di «vittima» non include le persone giuridiche 23.
Per favorire la partecipazione della vittima al procedimento penale, la Direttiva impone agli
Stati membri di garantire tanto l’accesso al patrocinio a spese dello Stato, quanto la possibilità di
ottenere il rimborso delle spese sostenute proprio a seguito dell’attiva partecipazione al
procedimento; le condizioni e le norme procedurali sono quelle stabilite dal diritto nazionale.
Sempre in base alle condizioni e norme procedurali interne, gli Stati membri provvedono – in
21
La «mediazione nelle cause penali» è così definita nella Decisione quadro: la ricerca, prima o durante il
procedimento penale, di una soluzione negoziata tra la vittima e l’autore del reato, con la mediazione di una
persona competente. La «giustizia riparativa» è così definita nella Direttiva: qualsiasi procedimento che
permette alla vittima e all’autore del reato di partecipare attivamente, se vi acconsentono liberamente, alla
risoluzione delle questioni risultanti dal reato con l’aiuto di un terzo imparziale.
22
CGE C-483/09 e C-1/10, cit.
23
CGE C-205/09 del 21 ottobre 2010. La Corte ha aggiunto che non è possibile desumere dalla Decisione
quadro un obbligo per gli Stati membri di prevedere, nel caso in cui la vittima sia una persona fisica, il ricorso
alla mediazione per quanto riguarda reati relativamente ai quali la normativa nazionale non prevede un tale
ricorso, sebbene l’elemento oggettivo di tale reato coincida con quello dei reati per i quali è possibile la
mediazione. Più in generale, sull’esclusione delle persone giuridiche dalla nozione di «vittima» nella
Decisione quadro 2001/220/GAI, v. CGE C-467/05, causa Dell’Orto, del 28 giugno 2007, in cui la Corte ha
affermato che, nell’ambito di un procedimento penale e, più specificamente, di un procedimento di
esecuzione successivo a una sentenza definitiva di condanna, come quello della causa principale, la nozione
di «vittima» ai sensi della Decisione quadro non include le persone giuridiche che hanno subito un
pregiudizio causato direttamente da atti o omissioni che costituiscono una violazione del diritto penale di uno
Stato membro.
7
seguito a una decisione di un’autorità competente – alla restituzione alla vittima dei beni
sequestrati nell’ambito del procedimento penale, tranne quando il procedimento penale imponga
altrimenti. Alla vittima è riconosciuto altresì il diritto di ottenere una decisione in merito al
risarcimento da parte dell’autore del reato 24 nell’ambito del procedimento penale entro un
ragionevole lasso di tempo, salvo il caso in cui il diritto nazionale preveda che tale decisione
venga adottata nell’ambito di un altro procedimento giudiziario.
Infine, la Direttiva si fa carico di riconoscere specifici diritti alle cosiddette cross-border
victims, vale a dire le vittime residenti in uno Stato membro diverso da quello in cui è stato
commesso il reato, al fine di ridurre al minimo le difficoltà che una simile situazione è in grado di
porre loro25. In particolare, gli Stati membri devono essere in grado di raccogliere la deposizione
della vittima immediatamente dopo l’avvenuta denuncia del reato all’autorità competente, e di
sentire la vittima mediante video o teleconferenza, secondo quanto stabilito dalla Convenzione UE
di assistenza giudiziaria in materia penale del 2000. Peraltro, la denuncia – che la vittima non sia
stata in grado di sporgere nello Stato membro in cui è stato commesso il reato o, in caso di reato
grave, non abbia desiderato sporgere – può essere sporta presso le autorità competenti dello Stato
membro di residenza, le quali, nel caso in cui non intendano esercitare la competenza ad avviare il
procedimento, sono tenute alla tempestiva trasmissione dell’atto all’autorità competente dello
Stato membro in cui è stato commesso il reato.
Si segnala che alle vittime cross-border è dedicata anche la Direttiva 2004/80/CE relativa
all’indennizzo delle vittime di reato26, con cui si è inteso garantire alla vittima di un reato
intenzionale violento il diritto di presentare la domanda di indennizzo nello Stato membro di
residenza, qualora il reato sia stato commesso in uno Stato membro diverso – quest’ultimo, unico
responsabile dell’erogazione dell’indennizzo –.
24
Gli Stati membri promuovono misure per incoraggiare l’autore del reato a prestare adeguato risarcimento
alla vittima.
25
La Direttiva conferisce diritti alle vittime di reati extraterritoriali solo in relazione a procedimenti penali
che si svolgono nell’Unione. Le denunce presentate ad autorità competenti al di fuori dell’Unione, quali le
ambasciate, non fanno scattare alcun obbligo previsto nella Direttiva in capo agli Stati membri.
26
G.U.U.E. L-261 del 6 agosto 2004, p. 15. La Direttiva è stata attuata in Italia con il decreto legislativo n.
204 del 2007.
8
4. Protezione delle vittime
Il Capo IV si occupa delle misure di protezione che gli Stati membri devono assicurare alla
vittima; esso individua, altresì, misure speciali da rivolgere a chi abbia specifiche esigenze.
L’obiettivo è quello di proteggere la vittima – e se del caso i suoi familiari – da vittimizzazione
secondaria e ripetuta, intimidazione e ritorsioni, ivi compreso il rischio di danni emotivi o
psicologici, e salvaguardarne la dignità durante gli interrogatori o le testimonianze, pur sempre nel
rispetto dei diritti della difesa. Gli Stati membri assicurano ciò anche mediante procedure istituite
ai sensi del diritto nazionale ai fini della protezione fisica della vittima e dei suoi familiari. Il
riferimento è alle misure di protezione della vittima, di natura tanto penale quanto extrapenale,
ormai previste nella maggior parte degli Stati membri e applicate in sede cautelare o decisoria. A
quelle di natura penale in particolare si rivolge la Direttiva 2011/99/UE sull’ordine di protezione
europeo27, che prevede il mutuo riconoscimento di quelle misure di protezione volte a proteggere
una persona da atti di rilevanza penale tali da metterne in pericolo la vita, l’integrità fisica o
psichica, la dignità, la libertà personale o l’integrità sessuale.
Questa garanzia di tutela è declinata attraverso l’individuazione di specifici diritti. In primo
luogo, la vittima ha il diritto di non avere contatti con l’autore del reato nei locali in cui si svolge il
procedimento penale28, salvo il caso in cui prevalgano esigenze processuali.
In secondo luogo, di particolari tutele ha diritto la vittima durante la fase delle indagini
preliminari, fatti salvi i diritti della difesa e nel rispetto della discrezionalità delle autorità
giudiziarie competenti. A tal proposito, è disposto che l’audizione della vittima si svolga senza
indebito ritardo dopo la presentazione della denuncia, e che le audizioni – da limitare al numero
minimo – abbiano luogo solo se strettamente necessarie ai fini dell’indagine penale. La vittima
può essere accompagnata dal suo rappresentante legale e da una persona di sua scelta, salvo
27
G.U.U.E. L-338 del 21 dicembre 2011, p. 2.
A questo scopo gli Stati membri provvedono a munire i nuovi locali giudiziari di zone di attesa riservate
alle vittime.
28
9
motivata decisione contraria. È previsto, inoltre, che eventuali visite mediche siano limitate al
minimo e abbiano luogo solo se strettamente necessarie ai fini processuali.
Infine, nell’ambito del procedimento penale, le autorità competenti fanno in modo di
salvaguardare il diritto della vittima alla protezione della sua vita privata – comprese le
caratteristiche personali rilevate nella valutazione individuale (v. infra) e l’immagine, sua e dei
suoi familiari –. Le autorità competenti possono anche adottare misure intese a impedire la
diffusione pubblica di qualsiasi informazione che permetta l’identificazione di una vittima
minorenne. Spetta, invece, agli Stati membri incoraggiare i media ad adottare misure di
autoregolamentazione, nel rispetto della libertà d’espressione e di informazione e della libertà e del
pluralismo dei mezzi di informazione, al fine di proteggere la vita privata, l’integrità personale e i
dati personali della vittima.
4.1. Riconoscimento delle vittime con specifiche esigenze di protezione
Speciali misure sono previste per le vittime con specifiche esigenze, da individuare mediante
una valutazione individuale tempestiva e costantemente aggiornata, da condursi in conformità alle
procedure nazionali e nel rispetto della volontà della vittima, la quale potrà anche decidere di non
avvalersi di alcuna misura speciale. Occorre tenere conto, in particolare, delle caratteristiche
personali della vittima, oltre che del tipo, della natura e delle circostanze del reato.
In considerazione della gravità del reato, della sua natura discriminatoria, ovvero della
particolare esposizione della vittima nei confronti dell’autore del reato per relazione e dipendenza,
sono destinatarie di debita considerazione le vittime del terrorismo, della criminalità organizzata,
della tratta di esseri umani, della violenza di genere, della violenza nelle relazioni strette, della
violenza o dello sfruttamento sessuale o dei reati basati sull’odio, e le vittime con disabilità. A
causa dell’elevato rischio di vittimizzazione secondaria e ripetuta, intimidazione e ritorsione, si
presumono, invece, sempre portatrici di specifiche esigenze le vittime di reato che siano
minorenni; esse sono comunque sottoposte alla valutazione individuale al fine di determinare di
quali misure possano avvalersi.
10
Le misure speciali individuate dalla Direttiva si distinguono in base alla fase del
procedimento in cui possono essere applicate.
Durante le indagini preliminari, particolari cautele sono predisposte per le audizioni: esse
devono svolgersi in locali appositi o adattati allo scopo; devono essere effettuate da o tramite
operatori formati a tale scopo; devono essere svolte dalle stesse persone, a meno che ciò sia
contrario alla buona amministrazione della giustizia; devono essere svolte da una persona dello
stesso sesso della vittima – qualora questa lo desideri e a condizione che non risulti pregiudicato lo
svolgimento del procedimento penale –, tutte le volte in cui si proceda per violenza sessuale,
violenza di genere o violenza nelle relazioni strette, salvo il caso in cui a provvedere sia un
pubblico ministero o un giudice.
Durante il procedimento, particolari cautele sono invece predisposte per: evitare il contatto
visivo fra la vittima e l’autore del reato, anche durante le deposizioni, ricorrendo a mezzi adeguati,
ivi comprese le tecnologie di comunicazione; consentire alla vittima di essere sentita in aula senza
essere fisicamente presente, anche in questo caso potendo fare ricorso ad appropriate tecnologie di
comunicazione; evitare domande non necessarie sulla vita privata della vittima; e permettere di
svolgere l’udienza a porte chiuse.
Diverse e ulteriori speciali misure di protezione sono previste, poi, nei confronti del minore
vittima29, come si è detto presuntivamente portatore di specifiche esigenze. Gli Stati membri
provvedono, infatti, affinché, nell’ambito delle indagini penali, tutte le audizioni del minore
possano essere oggetto di registrazione audiovisiva utilizzabile come prova nei procedimenti
penali, in base a quanto previsto dal diritto nazionale. Si segnala l’importanza della riserva in
favore delle opzioni applicative domestiche, anche alla luce di una pronuncia della Corte di
giustizia, in sede di interpretazione della Decisione quadro 2001/220/GAI, nella causa X, là dove è
stato considerato del tutto compatibile con la norma europea il diritto nazionale che non preveda
l’obbligo per il pubblico ministero di rivolgersi al giudice affinché quest’ultimo consenta a una
vittima particolarmente vulnerabile di essere sentita e di deporre secondo le modalità
29
Qualora l’età della vittima dovesse risultare incerta e vi sia motivo di ritenere che si tratti di un minore, ai
fini della Direttiva in esame si presume che la vittima sia un minore.
11
dell’incidente probatorio nell’ambito della fase istruttoria del procedimento penale 30, né autorizzi
la vittima a proporre ricorso avverso la decisione del pubblico ministero recante rigetto della sua
domanda di essere sentita e di deporre secondo tali modalità 31. Una decisione, questa della Corte
di giustizia, che ha in parte ridimensionato l’approccio meno rigoroso adottato nella nota sentenza
pronunciata nella causa Pupino, con cui – facendo leva sull’obbligo del giudice nazionale di
interpretare, per quanto possibile, le norme dell’ordinamento interno nel loro complesso alla luce
della lettera e dello scopo della Decisione quadro di riferimento –, si era ritenuto che il giudice
nazionale dovesse avere la possibilità di autorizzare bambini in età infantile vittime di
maltrattamenti a rendere la loro deposizione secondo modalità che permettessero di garantire un
livello di tutela adeguato, ad esempio al di fuori e prima dell’udienza (vale a dire anche quando
questa possibilità non fosse esplicitamente prevista dal diritto interno)32.
Gli Stati membri provvedono, altresì, affinché venga nominato un rappresentante speciale
del minore vittima qualora, ai sensi del diritto nazionale, i titolari della responsabilità genitoriale
non siano autorizzati a rappresentare il minore a causa di un conflitto di interesse con quest’ultimo,
ovvero quando il minore non sia accompagnato o sia separato dalla famiglia. Infine, gli Stati
membri si impegnano a riconoscere ai minori vittime – qualora abbiano diritto a un avvocato – il
diritto alla consulenza e rappresentanza legale in nome proprio, nel caso in cui sussista o potrebbe
sussistere un conflitto di interessi tra il minore e i titolari della potestà genitoriale.
L’Osservatorio Europa
30
Il diritto interno posto all’attenzione della Corte di giustizia era quello italiano: artt. 392, co. 1 bis, 398, co.
5 bis, e 394 c.p.p.
31
CGE C-507/10 del 21 dicembre 2011.
32
CGE C-105/03 del 16 giugno 2005. Anche in questo caso, le norme di diritto interno di riferimento erano
quelle italiane in materia di incidente probatorio.
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