Il contratto di lavoro a domicilio

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Il contratto di lavoro a domicilio
Articolo pubblicato sul numero 38|2014 del 20/10/2014
Il contratto di lavoro a domicilio
di Gesuele Bellini
Il lavoro a domicilio costituisce una particolare tipologia di contratto caratterizzato dal fatto che la prestazione lavorativa
viene eseguita non già nei locali dell'impresa, bensì presso il domicilio del lavoratore ovvero in luoghi di cui abbia la
disponibilità; esaminiamo di seguito gli aspetti operativi e pratici oltreché dottrinali di questo particolare contratto di
lavoro
Lavoro : Rapporto di lavoro : Lavoro a domicilio
Cod. civ. art. 2094
Cod. civ. art. 2128
C. Cass. sent. n. 12264 del 20 agosto 2003
C. Cass. sent. n. 21594 del 15 novembre 2004
C. Cass. sent. n. 4761 del 6 marzo 2006
Legge n. 877 del 1973, art. 1
Legge n. 877 del 1973, art. 9
Int. MinLavoro n. 19 del 2008
Nelle norme codicistiche il richiamo al lavoro al domicilio si
rinviene nell’art. 2128 c.c., il quale dispone che allo stesso
siano applicate, per quanto compatibili con la specialità del
rapporto, le disposizioni dedicate nel medesimo codice al
lavoratore subordinato in generale.
La portata di tale disposizione, tuttavia, con l’emanazione di apposite normative speciali (Legge
n.264/1958, Legge n.877/1973) è stata ritenuta superata dalla dottrina maggioritaria, secondo cui le
disposizioni riguardanti la generale materia del lavoro subordinato potrebbero applicarsi solo in via
residuale alla speciale fattispecie del lavoro a domicilio, in quanto compatibili, a fronte
dell'applicazione di principi di carattere generale, assumendo, pertanto, la portata di norma di
carattere generale. (1)
L'istituto in esame trova, dunque, la sua regolamentazione nella Legge 18 dicembre 1973 n. 877,
contenente “Nuove norme per la tutela del lavoro a domicilio”, con la quale è stata introdotta una
disciplina specifica per tale tipologia di rapporto di lavoro.
In particolare, l’art. 1 della citata legge definisce lavoratore a domicilio «chiunque, con vincolo di
subordinazione, esegue nel proprio domicilio o in locale di cui abbia disponibilità, anche con l’aiuto
accessorio di membri della sua famiglia conviventi e a carico, ma con esclusione di manodopera
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salariata e di apprendisti, lavoro retribuito per conto di uno o più imprenditori, utilizzando materie
prime o accessorie e attrezzature proprie e dello stesso imprenditore, anche se fornite per il tramite
di terzi».
Dal tenore letterale della norma un primo peculiare elemento che si evince con chiarezza e
contraddistingue questo contratto è la particolare dislocazione geografica in cui la prestazione
lavorativa viene svolta, che non è, dunque, l’azienda, quale centro naturale dell’organizzazione
imprenditoriale, ma il domicilio del lavoratore o comunque altri locali non di pertinenza
dell’imprenditore.
Un altro requisito essenziale del lavoro subordinato a domicilio è rappresentata dal fatto che lo
stesso sia reso in favore di uno o più imprenditori, con la conseguenza di escluderne la
configurabilità quando le opere frutto del lavoro siano destinate ad essere poste direttamente sul
mercato.
Limiti di ammissibilità per le imprese e obblighi del
lavoratore
Non sempre, per la Legge 18 dicembre 1973 n. 877, è possibile ricorrere al lavoro a domicilio.
Sono, infatti, escluse le imprese che hanno effettuato ristrutturazioni, riorganizzazioni, conversioni
comportanti licenziamenti collettivi o sospensioni, per un anno dai licenziamenti o dalle sospensioni,
per il dubbio che quelle misure aziendali siano state adottate proprio pensando di poter sopperire
con questo lavoro.
Per le stesse ragioni, non possono essere iscritte nei registri dei committenti le imprese che abbiano
ceduto, a qualsiasi titolo, macchine e attrezzature da trasferire fuori dello stabilimento, continuando
altrove la lavorazione.
Il lavoro a domicilio non è consentito, inoltre, per le attività che comportano l’impiego di sostanze o
materiali nocivi o pericolosi per la salute e l’incolumità.
Va tenuto presente che l’impresa non può valersi di intermediari o mediatori per la ricerca di
lavoranti e in ogni caso questi soggetti debbono ritenersi diretti dipendenti dell’impresa.
Per il lavoratore, invece, ai sensi dell’art. 11 della Legge n. 877/1973, è prevista:
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l’osservanza degli obblighi di diligenza;
il rispetto del segreto sui modelli di lavorazione;
l’osservanza delle istruzioni;
l’obbligo di non operare in concorrenza col committente per conto proprio o di terzi nei casi in cui
il lavoro commesso sia assorbente
I1 lavorante ha altresì l’obbligo di tenere un registro di controllo per dar conto delle consegne e
delle riconsegne, con sottoscrizione del committente o di chi per lui. (2)
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In merito al tempo di lavoro, quello a domicilio può anche non essere esclusivo, difatti, il Ministero
del lavoro nell’interpello n. 19 del 2008, ha precisato che è possibile la coesistenza in capo allo
stesso lavoratore di un rapporto di lavoro a domicilio con un altro rapporto di lavoro a tempo
parziale quando la quantità del lavoro affidata al lavoratore a domicilio non sia tale da impegnarlo
per tutta la durata dell’orario normale.
La subordinazione
Una particolare precisazione nel lavoro a domicilio va, invece, fatta nei confronti del requisito della
subordinazione, la quale viene definita dal capoverso della Legge n. 877 in argomento, secondo cui
"agli effetti della presente legge e in deroga a quanto stabilito dall'articolo 2094 del codice civile,
ricorre quando il lavoratore a domicilio è tenuto ad osservare le direttive dell'imprenditore circa le
modalità di esecuzione, le caratteristiche e i requisiti del lavoro da svolgere nell’esecuzione parziale,
nel completamento o nell’intera lavorazione di prodotti oggetto dell'attività dell’imprenditore
committente".
In pratica, con l’introduzione della predetta disciplina viene superata una vecchia disputa che
distingueva tra lavoro autonomo e lavoro subordinato a domicilio.
Invero, la subordinazione, viene intesa da parte del legislatore del 1973 come una species
derogatoria nell'ambito del lavoro a domicilio rispetto al contesto normativo dell'art. 2094 c.c., che
può esaurirsi nell'osservanza delle direttive, circa le modalità di esecuzione, impartite al momento
del conferimento dell'incarico ad opera dell'imprenditore.
Quest’ultimo potrà eseguire il controllo dell’attività svolta del prestatore anche soltanto a
lavorazione avvenuta, dal momento che questa si verifica in ambiente diverso rispetto a quello
tradizionale di lavoro.
Sotto tale profilo, il lavoro a domicilio viene inquadrato in una tipica forma di lavoro subordinato
decentrato, organizzato in funzione sostitutiva o complementare rispetto al lavoro svolto in fabbrica,
con la conseguenza che la subordinazione assume un carattere prevalentemente tecnico, per cui, in
presenza dei requisiti posti dalla citata disposizione, è riconducibile in tale nozione anche quel
lavoro che, in altro ambiente, orbiterebbe nell'ambito della prestazione autonoma (C. App. Ancona
19.01/06.02.2007, n. 15).
In altre parole, il lavoro a domicilio, in base alla disciplina di cui alla Legge 18 dicembre 1973 n. 877,
costituisce una forma di manifestazione del cosiddetto «decentramento produttivo»
dell’organizzazione dell’impresa o «eterorganizzazione» (C. Cass. sent. n. 628 del 2.03.1989)
contraddistinta dal fatto che l'oggetto della prestazione del lavoratore viene in rilievo non come
risultato, ma come energie lavorative utilizzate in funzione complementare e sostitutiva del lavoro
eseguito all'interno dell'azienda e, quindi, in esso, il vincolo di subordinazione consiste
nell'inserimento dell'attività del prestatore nel ciclo produttivo aziendale di cui quest'ultimo - benché
operante all'esterno e con la predisposizione di propri mezzi ed attrezzature - diviene elemento
integrativo (Cass. 21.5.2002 n. 7469; Cass. 3.4.1992, n. 4118; Cass. 16.6.2000 n. 8221).
La specifica individuazione dei profili caratteristici del lavoro a domicilio, come lavoro comunque
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subordinato, nella valutazione della dottrina assume particolare rilevanza in relazione al contesto
socio-economico in cui tale manifestazione dell’organizzazione del lavoro si colloca. (3)
Difatti, il lavoro a domicilio è stato sovente ricondotto nell’ambito del lavoro precario poiché in tale
ambito si è riscontrato un alto grado di sfruttamento, in particolare dei quella tipologia di lavoratori
svantaggiati o esclusi dal mercato del lavoro a causa di fattori quali l’età, il sesso, l’area di residenza
o la scolarità. (4)
Distinzioni del lavoro a domicilio con il lavoro autonomo
Come è stato prima precisato il vincolo di subordinazione si configura come inserimento dell’attività
del prestatore nel ciclo produttivo dell’azienda, del quale la prestazione lavorativa resa, pur se in
ambienti esterni e con mezzi e attrezzature anche propri del lavoratore stesso, ed eventualmente
con l’ausilio dei suoi familiari purché conviventi e a carico, diventa parte integrante; tale
integrazione si esprime non solo con l’obbligo di seguire analitiche e vincolanti indicazioni
dell’azienda, bensì con l’ineludibile obbligo di lavorare.
La giurisprudenza affrontando la fattispecie del lavoro ha fissato taluni criteri di distinzione fra il
lavoro subordinato a domicilio ed il lavoro autonomo.
In particolare, ha affermato che le direttive datoriali nel lavoro a domicilio, aventi ad oggetto oltre le
modalità di esecuzione della prestazione, le caratteristiche ed i requisiti del lavoro da svolgere, non
debbano essere necessariamente impartire con continuità essendo sufficiente che lo siano una volta
per tutte, inizialmente, anche mediante la consegna di un modello da seguire in tutti i particolari (C.
Cass. sent. n. 1361 del 4.02.1993).
Ne consegue che il controllo del datore può essere esercitato solo al momento della consegna del
prodotto (Cass. 7.4.2001, n. 5227; Cass. 15.12.1999, n. 14120; Cass. 25.8.1998, n. 9516; Cass.
2.2.1989, n. 628), potendo avere anche un carattere non continuativo, come invece per i lavoratori
interni all'azienda (C. Cass. sent. n. 1179 del 1.02.1993).
Sulla base di tali premesse, la giurisprudenza ha chiarito che non costituiscono, ciascuno, elementi
idonei di per sé ad escludere la sussistenza del lavoro subordinato a domicilio le seguenti
circostanze:
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a) la possibilità di avvalersi della collaborazione dei membri della famiglia conviventi e a carico,
espressamente prevista dalla legge (Cass. 6.3.2006, n. 4761; Cass.15.11.2004, n. 21594; Cass.
3.11.1995, n. 11431);
b) la possibilità di scegliere se utilizzare materie e attrezzature proprie o dell'imprenditore, con la
precisazione che le attrezzature di proprietà del lavoratore possono essere anche costose (Cass.
26.2.1993, n. 2398), purché non si sconfini nell'appalto - il che avviene quando il valore dei beni
strumentali sia di gran lunga superiore al compenso pattuito (Cass. 25.8.1998, n. 9516);
c) l'iscrizione del lavoratore all'albo delle imprese artigiane, in forza di un argomento esegetico di
natura storica, poiché nella precedente Legge 13 marzo 1958, n. 264, regolante la materia, tale
iscrizione era sufficiente ad escludere una tal qualificazione, con evidente agevole elusione della
disciplina, mentre una simile disposizione non è stata ripresa dalla sopra menzionata Legge n. 877,
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ne è del resto precluso all'artigiano, ove lo voglia, operare in regime di lavoro subordinato (Cass.
22.4.2002, n. 5840; Cass.14.11.1995, n.11796);
d) lo svolgimento di attività per più imprenditori (Cass.15.11.2004, n. 21594; Cass. 22.4.2002, n.
5840; Cass. 25.8.1998, n. 9516);
e) l'emissione di fatture per le prestazioni rese (Cass.15.11.2004, n. 21594; Cass. 3.11.1995, n.
11431);
f) la possibilità per il committente di non retribuire il prodotto non eseguito a regola d'arte o
l'obbligo del prestatore di rieseguire i prodotti risultati non conformi al campione, non dovendo in
questo caso ravvisarsi una assunzione di rischio imprenditoriale, quanto piuttosto la previsione di
un obbligo avente funzione risarcitoria o sanzionatoria (Cass. 1.2.1993, n. 1179);
g) la mancanza di rigorosi termini di riconsegna del prodotto o la possibilità per il prestatore di
rifiutare in qualche caso il lavoro commessogli per impossibilità di adempierlo nei termini
temporali assegnatigli (Cass.15.12.1999, n. 14120; Cass. 22.4.2002, n. 5840);
h) la negoziazione, di volta in volta, del prezzo delle prestazioni, ove limitata in ambiti prefissati dal
contratto di lavoro, ferma l’irretrattabilità della retribuzione, su cui l'imprenditore fonda il proprio
profitto (Cass. 20.8.2003, n. 12264);
i) la mancanza di continuità delle prestazioni (Cass. 5.5.1989, n. 2109).
Tenendo conto dei citati criteri, si può riassumere che il lavoro a domicilio si configura come lavoro
subordinato laddove sia riscontrabile un inserimento del prestatore nel ciclo produttivo dell’impresa;
mentre, è individuabile la distinta fattispecie del lavoro autonomo soltanto quando nel lavoratore
interessato sia riscontrabile “una distinta organizzazione dei mezzi produttivi ed una struttura
imprenditoriale tale da far ritenere la relazione con l’impresa committente come una forma di
collaborazione tra imprese, anziché come una forma di decentramento produttivo della detta
impresa” (Cass., 2.2.1989, n. 628) cioè una separata organizzazione, a proprio rischio, dei mezzi
produttivi ed una struttura di tipo imprenditoriale (Cass. 18.6.1999, n.6150; Cass. 26.4.1999, n.
4144), o quando il prestatore goda di piena libertà di accettare o rifiutare il lavoro commessogli
ovvero abbia piena discrezionalità in ordine ai tempi di consegna del lavoro stesso (Cass.11.5.2002,
n. 6803).
Tali modalità, difatti, sono considerati inconciliabili con un effettivo inserimento del lavoratore a
domicilio nel ciclo produttivo aziendale che comporta una piena e sicura disponibilità del prestatore
di lavoro ad eseguire i compiti affidatigli ed a soddisfare le esigenze e le finalità programmate
dall'impresa.
Invero, l'art. 2 Legge 8 agosto 1985, n. 443 identifica l'imprenditore artigiano in "colui che esercita
personalmente, professionalmente e in qualità di titolare, l'impresa artigiana, assumendone la piena
responsabilità con tutti gli oneri ed i rischi inerenti alla sua direzione e gestione e svolgendo in
misura prevalente il proprio lavoro, anche manuale, nel processo produttivo ".
Infine, nelle ipotesi in cui l'accertamento e la valutazione degli elementi del rapporto lascino spazi di
incertezza e ambiguità, secondo l’indirizzo dominante, occorre avere riguardo anche alla volontà
delle parti, espressa nella regolamentazione del loro rapporto in termini di subordinazione o
autonomia, quale il possesso da parte del lavoratore a domicilio di macchinari e attrezzature idonei
ad attestare l'esistenza di una piccola impresa e/o la sua natura artigianale.
Al riguardo, tuttavia, non va sottaciuto che taluni casi dubbi, secondo la giurisprudenza, sono stati
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inquadrati nel novero dei rapporti di lavoro subordinato, ai sensi dell’art. 1, co. 2, della Legge 18
dicembre 1973 n. 877, in particolare, nella circostanza che il compenso pattuito sia stato oggetto di
trattative tra le parti, atteso che simili trattative sono compatibili anche con il rapporto subordinato
ordinario.
In questa prospettiva, dunque, si può affermare che la giurisprudenza predilige, nella qualificazione
della fattispecie, l’individuazione di indici sostanziali dell’inserimento del ciclo produttivo della
prestazione del lavoratore a domicilio, a discapito di elementi meramente formali della presunta
autonomia (Cass., 19.11.1996, n. 10104).
Potere direttivo dell’imprenditore
Per quanto riguarda il potere dell’imprenditore committente ed in particolare le direttive riguardo
all’esecuzione della prestazione, la giurisprudenza ha evidenziato come tali disposizioni non debbano
necessariamente essere analitiche, specifiche e reiterate, ma possono essere impartite inizialmente
una volta per tutte e in termini generici, anche perché il prestatore resta sempre assoggettato al un
successivo controllo del datore di lavoro al momento della riconsegna del prodotto, mediante la
verifica della rispondenza di esso alle direttive assegnate (Cass., 2.2.1989, n. 628).
Sotto tale profilo, attesa l’assenza del lavoratore dall’azienda, risulta impossibile per l’imprenditore
esercitare immediatamente il potere direttivo e disciplinare nei confronti dello stesso e, dunque, lo
stesso può esercitare un pregnante controllo solo attraverso la corrispondenza tra le direttive
impartite e il risultato ottenuto.
Solo in tal modo è configurabile quella subordinazione tecnica prevista dalla Legge 18 dicembre
1973 n. 877, tale da limitare ogni margine di discrezionalità del prestatore di lavoro, e non anche la
distinta ipotesi di un’autonoma organizzazione imprenditoriale dei mezzi produttivi da parte del
lavoratore a domicilio.
In altre parole, secondo il dettato dell'art. 1, 2° co., della citata Legge n. 877 la subordinazione
sussiste in presenza due elementi: le direttive preventive dell'imprenditore che concernono le
modalità di esecuzione, le caratteristiche e i requisiti della lavorazione da svolgere e la presenza di
un controllo successivo sul prodotto finito.
Secondo questa linea, pertanto, gli elementi tipici della subordinazione, tra cui, l’esistenza di un
potere direttivo e di controllo, non si presenterebbero attenuati, ma hanno la caratteristica di
concentrarsi in alcuni momenti, in quello precedente allo svolgimento materiale del lavoro, con
direttive tecniche sulla modalità di esecuzione del lavoro, e all'atto di riconsegna del lavoro eseguito,
mediante la verifica della rispondenza con le disposizioni impartite. (5)
Tenendo conto di tali fattori non manca tuttavia chi ritiene che si potrebbe ricondurre il lavoro a
domicilio nell'ambito del lavoro parasubordinato (6) ovvero ritenere che nell'ambito della Legge 18
dicembre 1973, n. 877 vadano ricompresi sia il lavoro subordinato a domicilio che quello autonomo.
(7)
In pratica, l’assenza degli elementi caratterizzanti la subordinazione di cui all’art. 2094
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c.c. (personalità della prestazione, soggezione al potere direttivo e disciplinare), nonché l’esclusione
del lavoratore a domicilio dall’ambito di applicazione dei diritti fondamentali della persona del
lavoratore (diritto alla salute, alla maternità, alla salubrità del luogo di lavoro, all’igiene e alla
sicurezza del lavoro), vengono ritenuti indizi sufficienti a considerare il rapporto in esame come
assimilabile alla parasubordinazione. (8)
Le questioni previdenziali
La Legge 18.12.1973, n. 877 dispone che al lavoratore subordinato a domicilio vadano applicate le
norme vigenti per i lavoratori subordinati in materia di assicurazioni sociale e di assegni familiari,
con esplicita esclusione di quelle in materia di integrazione salariale (art. 9, Legge 18.12.1973, n.
877).
L’assenza di una specifica disciplina ha suscitato un forte dibattito in dottrina e giurisprudenza sul
possibile riconoscimento dell'indennità di mobilità in favore del lavoratore a domicilio.
Secondo un primo indirizzo, l'esplicita menzionata previsione normativa che lascia fuori i lavoratori
a domicilio dalla disciplina della cassa integrazione, per interpretazione analogica, condurrebbe
all’esclusione del diritto all'indennità. (9) In ogni caso, si fa osservare che l’anzianità aziendale di
dodici mesi prevista dall'art. 16, della riferita legge del 1991 per il godimento del beneficio, non
possa essere rilevata per il lavoratore a domicilio, che per sua natura opera al di fuori del complesso
aziendale. (10)
Un altro orientamento, invece, si dimostra favorevole all'applicabilità dell'istituto previdenziale
ritenendo che il riferimento alle imprese soggette alla cassa integrazione contenuto nell'art. 16,
Legge 23 luglio 1991, n. 223, individuante quelle beneficiarie dell'indennità, ha il solo scopo di
delimitare il campo d'applicazione dell'indennità di mobilità, da riconoscere in ogni caso a tutti i
dipendenti, tra cui i lavoratori a domicilio. (11)
La giurisprudenza al riguardo ha oscillato tra la prima e la seconda posizione fino alla composizione
del contrasto da parte delle Sezioni Unite (C. Cass. SS.UU. n. 106 del 12.03.2001), che hanno
sancito il diritto dei lavoratori a domicilio all'indennità di mobilità, ai sensi e per gli effetti di cui
all'art. 7 della citata Legge n. 223, con rapporto continuativo, cioè ove possano fare valere, ai sensi
dell'art. 16, co. 1, della medesima legge, una dipendenza di almeno dodici mesi dalla stessa azienda
(di cui almeno sei di lavoro effettivamente prestato, ivi compresi i periodi di sospensione per ferie,
festività ed infortuni), con un rapporto di lavoro a carattere continuativo o comunque non a termine.
In pratica, la Corte ha riconosciuto come presupposto a percepire la citata indennità, il fatto che i
lavoratori a domicilio hanno perso il posto di lavoro per effetto di provvedimenti datoriali che
interessano i dipendenti come collettività, restando, quindi, irrilevante che i singoli lavoratori siano o
meno legittimati alla percezione del trattamento di integrazione salariale.
Inoltre, secondo la giurisprudenza di legittimità, non assume rilevanza il fatto che il lavoro a
domicilio sia reso al di fuori dell'azienda, poiché l’attività può essere coordinata con il ciclo
produttivo aziendale e dunque in tal senso va solo verificata la compatibilità in base alla peculiarità
della situazione concreta da cui emerge il carattere di continuità della prestazione (Cass. 23.03.2002,
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n. 4192).
La tutela della salute e sicurezza
In tema di salute e sicurezza il legislatore è intervenuto a più riprese nel corso degli anni
introducendo norme più pregnanti finalizzate a tutelare le condizioni di lavoro ma escludendo
dapprima i lavoratori a domicilio.
Le varie normative introdotte a partire dagli anni ’50, che hanno rappresentato i capisaldi della
tutela della salute e sicurezza dei lavoratori, quali il D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547 (Norme per le
prevenzione degli infortuni sul lavoro) il D.P.R. 19 marzo 1956, n. 303 (Norme generali per l’igiene
del lavoro), non avevano inizialmente ricompreso il lavoro a domicilio.
Il campo di applicazione della prima norma infatti, si riferiva «a tutte quelle attività alle quali erano
addetti lavoratori subordinati o ad essi equiparati» (art. 1) e per lavoratore subordinato l’art. 3 dello
stesso D.P.R. intendeva “colui che fuori del proprio domicilio presta il proprio lavoro alle dipendenze
e sotto la direzione altrui, o senza retribuzione, anche al solo scopo di apprendere un mestiere o
un’arte”.
Così anche il D.P.R. n. 303/1956 ricalcava la definizione di lavoratore subordinato quella fornita dal
D.P.R. n. 547/1955, escludendo anche in questo caso, il lavoratore a domicilio dal campo di
applicazione.
Solo con la Legge n 877 si trova un riferimento, sebbene indiretto alla tutela alla salute e sicurezza
del lavoratore, nella quale viene esclusa la possibilità di svolgere il lavoro a domicilio per le attività
che comportino l’impiego di sostanze o materiali nocivi o pericolosi per la salute o l’incolumità del
lavoratore e dei suoi familiari (art. 2).
Il primo vero livello di protezione nel contratto in esame giunge solo nel 1994, con il D.Lgs. 19
settembre 1994, n. 626, con il quale si prevedendo alcuni obblighi prevenzionistici per i lavoratori a
domicilio.
Secondo quanto previsto dall’art. 1, co. 3 del D.Lgs. n. 626/1994, le relative norme si applicavano ai
lavoratori di cui alla legge 18 dicembre 1973 n. 877 nei casi espressamente previsti e cioè per gli
obblighi di informazione e formazione. Nel successivo art. 21 si stabilivano gli obblighi del datore di
lavoro nei confronti, anche dei lavoratori a domicilio, di provvedere ad un’adeguata informazione
relativamente ai rischi per la sicurezza e la salute connessi all’attività d’impresa in generale, alle
misure e attività di protezione e prevenzione adottate, ai rischi specifici cui il lavoratore è esposto in
relazione all’attività svolta. Il datore di lavoro, inoltre, doveva assicurare che anche il lavoratore a
domicilio ricevesse una formazione sufficiente ed adeguata in materia di sicurezza e di salute, con
riferimento al posto di lavoro ed alle rispettive mansioni.
Il passaggio decisivo che ha permesso l’estensione della tutela prevenzionistica in tema sicurezza e
tutela della salute dei lavoratori ai lavoratori a domicilio è avvenuto con l’entrata in vigore del D.Lgs.
9 aprile 2008, n. 81.
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Invero, nel confermare gli obblighi di informazione e formazione previsti dal D.Lgs. n. 626, ha
introdotto l’obbligo a carico del datore di lavoro di fornire i dispositivi di protezione individuali in
relazione alle effettive mansioni svolte e le attrezzature di lavoro conformi alle norme di cui al Titolo
III dello stesso decreto.
Al riguardo, va segnalata la formulazione contenuta agli artt. 36 e 37 del D.Lgs. n. 81, che fa
riferimento ai rischi per la salute e sicurezza sul lavoro connessi “all’attività dell’impresa” in
generale, la quale ha creato alcune problematiche interpretative, poiché non è chiaro se la norma si
riferisca al domicilio del lavoratore o all’impresa del committente, anche perché se il riferimento
fosse al domicilio del lavoratore diventerebbe pressoché impossibile per il committente essere in
grado di conoscere i rischi. (12)
Un ulteriore obbligo previsto per il datore di lavoro in tema di informazione riguarda i rischi specifici
cui è esposto il lavoratore in relazione all’attività svolta, le normative di sicurezza e le disposizioni
aziendali (art. 36, c. 2, lett. a). Disposizione questa criticata da parte della dottrina secondo cui non
appare chiara la ratio che prevede che il lavoratore a domicilio che svolge la propria prestazione
fuori dai locali di lavoro debba essere informato delle “disposizioni aziendali.” (13)
Un altro aspetto da evidenziare è che la disciplina di cui agli artt. 36, c. 2, lett. b) e 37 c. 4, lett. c)
del D. Lgs. n. 81 appare inconciliabile con quando disposto dall’art. 2 della Legge n. 877 poiché se
da quest’ultima è posto il divieto di impiego di sostanze o materiali nocivi o pericolosi per i lavoratori
a domicilio non si capisce perché dall’atro lato si diano disposizioni che tutelino il lavoratore in caso
di attività pericolose.
Su quest’ultimo punto a fugare ogni dubbio è intervenuto il D.Lgs. n. 3 agosto 2009, n. 106, il quale
modificando il D.Lgs. n. 81 ha ribadito gli obblighi di informazione e formazione ai lavoratori a
domicilio, facendo salva la legge speciale n. 877 che disciplina il lavoro a domicilio, dovendosi così
ritenere inapplicabili nei confronti di tali lavoratori gli articoli 36, comma 2, lett. b) e 37, comma 4,
lett. c) del D.Lgs. n. 81 citato.
In merito, occorre segnalare che la Commissione per gli interpelli istituita presso il Ministero del
Lavoro, ai sensi dell’art. 12 co. 2 del Testo Unico in materia di salute e sicurezza nel lavoro, in
risposta ad una richiesta del Consiglio Nazionale degli Ingegneri, formulata con l'interpello n.
13/2013 del 24 ottobre 2013, nel precisare che il domicilio non è considerato luogo di lavoro ai sensi
dell'art. 62 del D.Lgs. n. 81, ha chiarito che il datore di lavoro è tenuto a fornire un'adeguata
informazione e formazione nel rispetto di quanto previsto dall'accordo Stato-Regioni del 21 dicembre
2011 e non anche quella specifica per il primo soccorso e antincendio.
Tipologia contrattuale affine: il telelavoro
Al lavoro a domicilio risulta affine, in un certo senso, l’istituto del c.d. telelavoro, che ricorre
allorquando il lavoratore svolge la propria attività da una postazione di lavoro installata presso il
proprio domicilio, o di un locale di cui abbia la disponibilità, operando su una base dati contenuta
nella memoria centrale di un computer allocato presso il datore di lavoro. (14)
In carenza di un'espressa disciplina legislativa generale, la dottrina è stata indotta a inquadrare il
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dipendente telelavoratore talvolta sotto la figura del lavoratore autonomo, parasubordinato, ovvero
in quella del lavoratore subordinato, come previsto dal D.P.R. 8 marzo 1999, n. 70, per le pubbliche
amministrazioni, tal altra come lavoratore a domicilio nel qual caso, tramite un'interpretazione
evolutiva della normativa dettata dalla Legge n. 877 del 1973, potrebbero essere riconosciute al
dipendente le garanzie del lavoro a domicilio. (15)
La differenza tra il telelavoro a domicilio e quello subordinato “ordinario” secondo un certo indirizzo
starebbe nella possibilità data al primo di avere il possesso dei mezzi, delle attrezzature e strumenti
lavorativi, e di potere inoltre beneficiare, con i limiti esaminati, dell'aiuto dei familiari. (16)
Inoltre, il controllo sulla prestazione non sarebbe caratterizzato, come nel lavoro subordinato,
dall'assoggettamento continuo all'eterodirezione del datore di lavoro ma sarebbe riscontrabile, come
nel lavoro a domicilio, soltanto nella fase iniziale (le direttive) ed in quella successiva di verifica della
rispondenza del prodotto alle istruzioni rese, con la conseguenza di considerare telelavoro a
domicilio quello non interattivo, cioè quando manchi il collegamento in linea e in tempo reale. (17)
NOTE
(1) OFFEDDU, Il lavoro a domicilio, in Tratt. Rescigno, 15, Torino, 1996.
(2) G. PERA, Diritto del lavoro, Giuffrè, 1990.
(3) M. AMENDOLA, in Giurisprudenza Italiana, n. 7,2001.
(4) G. G.BALANDI, La vecchia e la nuova legge sul lavoro a domicilio, in Riv. Giur. Lav., I, 1975.
(5) M.V. BALLESTRERO, L'applicazione dello Statuto dei lavoratori ai lavoratori a domicilio, in RGL,
I, 1979.
(6) P. MORGERA, Lavoro a domicilio tra decentramento produttivo e flessibilità del lavoro, in MGL,
1988.
(7) L. NOGLER, Sulla qualificazione del lavoro a domicilio, in RIDL, II, 1999.
(8) P. MORGERA, op. cit.
(9) M. PAPALEONI, I licenziamenti collettivi, in PAPALEONI, DEL PUNTA, MARIANI, La nuova cassa
integrazione guadagni e la mobilità, Padova, 1993.
(10) G. PERA, Lavoratori a domicilio e indennità di mobilità, in RIDL, 1999.
(11) M. MISCIONE, L'indennità di mobilità, Napoli, 1993.
(12) N.GUARNIER, L’evoluzione legislativa in materia di sicurezza e tutela della salute dei lavoratori
a domicilio, Dossier Adapt, n. 15, 2009.
(13) A. ANTONUCCI, Lavoro a domicilio e telelavoro, in M. Tiraboschi (a cura di), Il Testo Unico
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della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro,2009.
(14) G. AMOROSO, V. DI CERBO, A. MARESCA, Diritto del lavoro, Giuffrè, 2001.
(15) P. PIZZI, Brevi considerazioni sulla qualificazione giuridica del telelavoro, in RGL, 1997.
(16) L. GAETA, La qualificazione del rapporto, in GAETA, PASCUCCI, Telelavoro e diritto, Torino,
1998.
(17) P. ICHINO, Il lavoro subordinato: definizione e inquadramento, Milano, 1992.
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