Audizione ABI 18 gen 2005
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Audizione ABI 18 gen 2005
ASSOCIAZIONE BANCARIA ITALIANA La gestione del rischio nelle piccole e medie imprese e negli enti locali 18 gennaio 2005 Il presente documento è stata elaborato quale contributo alla “Indagine conoscitiva sulle problematiche relative alla diffusione di strumenti finanziari derivati” promossa dalla VI Commissione Finanze della Camera dei Deputati 18/01/05 1/51 ASSOCIAZIONE BANCARIA ITALIANA INDICE EXECUTIVE SUMMARY .................................................................................... 3 CAPITOLO 1 - IL FINANZIAMENTO DELLE PMI E DEGLI EE.LL. ................................ 5 1.Tipologia di finanziamenti concessi alle PMI e agli EE.LL. e rischi associati........... 5 CAPITOLO 2 - DERIVATI: NOZIONE E LORO UTILIZZO......................................... 9 1. Origine e funzione dei derivati.................................................................... 9 2. Gli strumenti derivati: inquadramento normativo generale .............................11 3. Principali tipologie di derivati e loro utilizzo ai fini di copertura ........................12 4. Esempi di utilizzo di derivati a fini di copertura .............................................14 5. Il ruolo degli intermediari nella copertura ....................................................19 6. Gli scambi di contratti derivati...................................................................21 7. Il trattamento contabile degli strumenti derivati ...........................................27 CAPITOLO 3 - I FATTI..................................................................................33 1. Un’analisi del quadro macroeconomico-finanziario degli ultimi anni..................33 2. Il ricorso delle PMI a strumenti di copertura.................................................35 3. Derivati agli Enti Locali ............................................................................40 CAPITOLO 4 - IL QUADRO NORMATIVO DI RIFERIMENTO E LA PRASSI CONTRATTUALE............................................................................................41 1. La disciplina positiva................................................................................41 2. La finanza locale .....................................................................................44 3. La prassi contrattuale .............................................................................46 CAPITOLO 5 – CONCLUSIONI..........................................................................49 18/01/05 2/51 ASSOCIAZIONE BANCARIA ITALIANA EXECUTIVE SUMMARY L’analisi che segue si incentra sui contratti derivati stipulati dalle banche con le piccole e medie imprese (PMI) e gli enti locali (EELL), essendo su queste due tipologie di clientela che si è concentrato l’interesse della Commissione Finanza. L’attenzione viene posta, nel primo capitolo, sul rapporto di credito fra banca e cliente PMI/EELL, attraverso l’indicazione di dati aggregati sulla sua entità e sulle differenti tipologie di finanziamento concessi; l’analisi passa poi ad esaminare i rischi tipici di tale rapporto che restano a carico del cliente PMI ovvero delle banche, e che sono prevalentemente legati a movimenti del mercato quali il rialzo dei tassi di interesse e l’apprezzamento del dollaro sull’euro, mostrando le possibili tecniche di copertura per giungere fino alla nozione di derivato e all’illustrazione di come un tale strumento finanziario possa essere utilizzato per immunizzare il cliente dai rischi del finanziamento. Nel secondo capitolo, si provvede a definire cosa sia, da un punto di vista finanziario, uno strumento derivato, affrontando tale tematica dapprima secondo un approccio generale, volto a descrivere le funzioni che un derivato può assolvere, i luoghi in cui tali strumenti vengono prevalentemente scambiati, le modalità con cui sono negoziati, nonché i relativi ammontari (nozionali di riferimento); successivamente, si focalizza l’attenzione sulle caratteristiche di quegli strumenti derivati effettivamente utilizzati per la copertura dei rischi delle PMI e degli EELL. Viene quindi presentato l’inquadramento normativo/regolamentare dei contratti derivati e le relative regole nazionali e internazionali di contabilizzazione (IAS), attuali e prospettiche. L’analisi procede, nel terzo capitolo, esaminando quanto accaduto, al fine di chiarire che quanto si è verificato, cioè l’andamento fatto registrare negli ultimi tempi dai derivati sottoscritti da PMI/EELL, non è un fenomeno patologico legato ad un uso distorto di tali strumenti finanziari, bensì un evento inatteso causato da un imprevedibile mutamento del quadro macroeconomico mondiale, europeo, italiano, che ha sconfessato le aspettative presenti al momento in cui tali strumenti sono stati sottoscritti. Si precisa tuttavia che la decisione di sottoscrivere un derivato a coperta delle proprie posizioni di rischio non origina unicamente dalle proprie aspettative sull’andamento del mercato, ma anche da una valutazione prospettica della gestione dei flussi interni e dell’andamento economico. Si va poi a illustrare, sulla base dei dati disponibili, l’ampiezza del fenomeno, che appare abbastanza circoscritto, provvedendo ad esaminare il comportamento tenuto dalle banche nella vendita di tali strumenti, e a ricostruire gli altri aspetti della prassi seguita. Nel capitolo quarto viene esaminata la disciplina dei servizi di investimento concernente la vendita dei contratti derivati, con riferimento alla natura, qualificata o meno, della controparte, e ai doveri di diligenza e correttezza in capo agli intermediari. Viene poi presentata un’analisi della disciplina inerente la vendita di tali strumenti agli enti locali, che si conclude con un esame dell’impatto del nuovo decreto ministeriale in materia. Quindi, sulla base dei dati disponibili, si va ad illustrare la prassi contrattuale tenuta dalle banche nella vendita dei prodotti derivati, nonché i comportamenti posti in essere per identificare la clientela qualificata. 18/01/05 3/51 ASSOCIAZIONE BANCARIA ITALIANA Infine, nel capitolo cinque, si traggono le conclusioni, che sono volte ad evidenziare come le banche abbiano fornito ai loro clienti utili strumenti per il contenimento del rischio, nell’ottica dell’ottimizzazione del rapporto banca-impresa, comportandosi secondo criteri di professionalità e diligenza ed ottemperando pienamente agli obblighi previsti dalla vigente normativa. 18/01/05 4/51 ASSOCIAZIONE BANCARIA ITALIANA CAPITOLO 1 - IL FINANZIAMENTO DELLE PMI E DEGLI EE.LL. 1.Tipologia di finanziamenti concessi alle PMI e agli EE.LL. e rischi associati Le imprese, nell’esercizio della loro attività hanno necessità di reperire mezzi finanziari tramite il ricorso a capitale di rischio e capitale di debito. Ancorché negli ultimi anni il ricorso alle operazioni di venture capital e private equity siano aumentate, il credito “tradizionale”, ossia i finanziamenti bancari, rappresenta la principale fonte di indebitamento delle imprese (soprattutto quelle di più piccole dimensioni). Quest’ultimo si distingue principalmente in due macro comparti in relazione alla durata: credito a breve termine e credito a medio e lungo termine. La gamma di operazioni di finanziamento che ricadono nella categoria di credito a breve termine è molto ampia; alcune di quelle più tipiche sono: l’apertura di conto corrente, lo sconto di cambiali, le anticipazioni bancarie, i finanziamenti a breve termine (c.d. operazioni di ”denaro caldo”, in genere con scadenze inferiori ai tre mesi) Quanto invece agli strumenti di finanziamento a medio e lungo termine, i più comuni sono i finanziamenti assistiti o meno da garanzie, come i mutui ipotecari, il leasing, i finanziamenti in pool, nonché l’emissione di prestiti obbligazionari. Tolti questi ultimi, nei quali l’impresa è il soggetto attivo che emette i titoli finanziandosi attraverso la loro vendita (sottoscrizione) ai risparmiatori e agli investitori professionali, l’ammontare a giugno 2004 di finanziamenti a breve e a medio/lungo termine concessi dalle banche alle PMI era pari a oltre 293,3 miliardi di euro, in costante aumento rispetto ai precedenti valori, come si può evincere dalla tabella sottostante. Tab. 1 Finanziamenti bancari alle PMI* a breve e m/l termine Dati in milioni di euro dic-02 dic-03 mar-04 giu-04 PMI 268.273 280.106 288.089 293.269 * Le informazioni sui finanziamenti bancari alle PMI sono desunti rielaborando i dati classificati in base alle grandezza del fido. In particolare, sono assunte essere PMI tutte quelle imprese aventi una classe di fido inferiore ai 5 milioni di euro. Fonte: Elaborazioni ABI su dati Banca d'Italia - Bollettino Statistico, 2004. Anche i prestiti concessi dalle banche alle Amministrazioni Locali, seppur di minor entità, sono comunque importanti perché costituiscono circa metà del totale delle fonti di finanziamento a debito da queste impiegate per finanziarsi. 18/01/05 5/51 ASSOCIAZIONE BANCARIA ITALIANA Tab. 2 Consistenza del debito delle Amministrazioni Locali Dati in milioni di 1999 2000 2001 2002 euro Debito 32.662 38.874 40.633 45.331 di cui: titoli 4.321 6.928 8.788 13.425 1 prestiti di IFM 31.828 31.728 28.223 31.906 altri 2 118 118 118 Fonte: Banca d'Italia - Relazione Annuale, 2003. 2003 70.411 16.817 31.153 22.441 Oltre alla durata, i finanziamenti bancari si distinguono in relazione alla tipologia di tasso di interesse applicato (cioè se variabile o fisso) ovvero alla valuta. In relazione a ciò, i principali rischi - sostenuti dalle imprese - connessi al loro debito bancario sono essenzialmente: - rischio di tasso, derivante dalle fluttuazioni dei tassi di interessi inerenti debiti (ad e.: mutui) accesi a tasso variabile; - rischio di cambio, riveniente dai finanziamenti o flussi commerciali3 regolati valuta. in Appare opportuno esaminare più da vicino i rischi di tasso e di cambio e come questi possono concretizzarsi e ripercuotersi economicamente sull’impresa. Per quanto riguarda il tasso di interesse, ipotizziamo che l’impresa abbia acceso un finanziamento a cinque anni a tasso variabile per un ammontare pari a 1.000.000 Euro. Oltre alla restituzione del capitale, che avverrà secondo il piano di ammortamento concordato con la banca, l’impresa è tenuta a versare periodicamente gli interessi sul debito residuo, calcolati utilizzando un tasso di mercato, preso a riferimento (ad esempio, il tasso Euribor a 6 mesi4 ) di volta in volta rilevato. 1 Istituzioni Finanziarie e Monetarie: vi rientrano le banche e le altre istituzioni finanziarie residenti. Non è inclusa la Banca d'Italia in quanto le è vietato, in base alle normative comunitarie, di concedere qualsiasi forma di facilitazione creditizia alle Amministrazioni pubbliche (art. 101 del Trattato che istituisce la Comunità Europea). 2 Nella voce "altri", a partire dal 2003, sono imputati i debiti delle amministrazioni locali verso la Cassa Depositi e Prestiti a seguito della trasformazione di quest'ultima da ente pubblico a società per azioni. Si rammenta, infatti, che nel debito delle amministrazioni locali sono imputati solo i finanziamenti ricevuti da settori istituzionali di natura privata: per tal motivo i debiti verso la Cassa Depositi e Prestiti, nel periodo in cui questa era di emanazione pubblica, non possono essere rilevati in tali statistiche. 3 Ad es.: commesse, forniture o contratti stipulati nell’ambito di rapporti commerciali legati all’attività di import o di export. 4 Il tasso di interesse potrebbe anche prevedere una maggiorazione o riduzione rispetto al tasso di riferimento: ad esempio potrebbe essere previsto il pagamento del tasso Euribor + 1% (viene spesso espresso in basis points o bps, pari ciascuno ad un centesimo di punto percentuale e 18/01/05 6/51 ASSOCIAZIONE BANCARIA ITALIANA In un finanziamento a tasso variabile, l’impresa, come accade per i mutui a tasso variabile concessi alla clientela privata, nel momento in cui accende il finanziamento conosce esclusivamente l’importo della prima rata da pagare, ma non può essere a conoscenza della misura degli interessi futuri e, quindi, del costo totale del finanziamento acceso. La variabilità dei tassi di interesse costituisce, quindi, un elemento di incertezza che, tuttavia, può rappresentare una opportunità ma anche un rischio per l’impresa, in relazione al concreto andamento del tasso di interesse di riferimento. In particolare, laddove negli anni successivi al primo periodo, i tassi dovessero salire, l’impresa si troverà a dover sostenere flussi per interessi crescenti, con un incremento del costo totale del finanziamento. Diversamente, se il tasso di interesse preso a riferimento dovesse restare ai livelli iniziali (o, addirittura, scendere), gli esborsi rimarrebbero invariati (o, nella migliore delle ipotesi, si ridurrebbero nel tempo). Una impresa, invece, che decide di finanziarsi a tasso fisso, stabilisce fin da subito gli esborsi futuri per interessi sul finanziamento accesso, dando certezza in questo modo ai flussi di cassa futuri, qualunque sarà l’andamento dei tassi di mercato. Tuttavia, il rischio per l’impresa è rappresentato dalla possibile perdita di opportunità di risparmio di interessi laddove i tassi di mercato dovessero ridursi nel tempo rispetto alle condizioni di finanziamento concordate con la banca. Diversamente, laddove i tassi dovessero salire, l’impresa sosterrà un costo per interessi inferiore a quello che avrebbe avuto se avesse acceso un finanziamento a tasso variabile Si ricorda, però, che fin dall’inizio dell’operazione il tasso fisso pagato è maggiore rispetto a quello variabile iniziale, poiché incorpora il premio per il rischio richiesto da chi finanzia a tasso fisso. Una posizione debitoria, dunque, qualunque sia la sua tipologia, può essere per l’impresa un rischio oppure un’opportunità, dipendendo dall’andamento futuro dei tassi di interesse. Nella maggior parte dei casi, l’obiettivo dell’impresa, quando decide di finanziarsi a medio-lungo termine, è di avere certezza circa le future rate da pagare alla banca, perché in questo modo riesce più facilmente a calcolare i ricavi necessari a coprire i costi del finanziamento5 , In altri termini, il finanziamento a tasso fisso semplifica di molto il problema della programmazione economica e finanziaria dell’impresa. Al fine di meglio comprendere le differenze tra un indebitamento a tasso fisso e uno a tasso variabile, ipotizziamo due imprese che ricorrono ad un finanziamento bancario per il medesimo importo di 1 milione di Euro, da restituire in cinque anni. La prima impresa (Impresa A) decide di finanziarsi a tasso variabile, pari al tasso Euribor a sei rappresentano la unità di misura delle frazioni di punto percentuale nei tassi di interesse, nell’esempio Euribor + 100 bp). 5 Si pensi alla necessità di effettuare previsioni di investimento connesse alla realizzazione di progetti industriali/commerciali e calcolare correttamente i flussi di cassa e l’orizzonte temporale per raggiungere il punto di pareggio (break-even point). Tale obiettivo, ovviamente, è condiviso anche dalla banca finanziatrice, la cui finalità è programmare correttamente i flussi economici da parte dell’impresa e, per tale verso, la solvibilità della stessa nel tempo. Da questo punto di vista, come peraltro anticipato, l’assunzione di una posizione debitoria a tasso fisso garantisce protezione dall’incertezza delle future condizioni di mercato. 18/01/05 7/51 ASSOCIAZIONE BANCARIA ITALIANA mesi con una maggiorazione di 0,8%, mentre la seconda azienda accendere un prestito al tasso fisso del 5,5 per cento. La tabella che segue riporta, a posteriori, gli esborsi sostenuti dalle due imprese per restituire il capitale alla banca e per corrispondere alla stessa gli interessi dovuti. Tab. 3 Esempi di finanziamento a tasso fisso e a tasso variabile IMPRESA A IMPRESA B Anno/ Quota Debito Differenza Tasso Quota Tasso Quota mese Capitale residuo A–B variabile Interessi fisso Interessi 1 200.000 1.000.000 4,3% 43.000 5,5% 55.000 -12.000 2 200.000 800.000 5,6% 44.800 5,5% 44.000 800 3 200.000 600.000 4,0% 24.000 5,5% 33.000 -9.000 4 200.000 400.000 3,6% 14.400 5,5% 22.000 -7.600 5 200.000 200.000 3,0% 6.000 5,5% 11.000 -5.000 Tot. 1.000.000 132.200 165.000 -32.800 Importi espressi in Euro - Il Tasso Variabile è pari al tasso Euribor a 6 mesi maggiorato di 80 bps. Il tasso fisso è pari al tasso dell’IRS a 5 anni maggiorato di 80 bps. In definitiva, dato l’andamento dei tassi nel corso dei cinque anni, l’impresa A, scegliendo di finanziarsi al tasso variabile ha ottenuto, a posteriori, un risparmio per interessi rispetto all’impresa B, che diversamente ha scelto di indebitarsi a tasso fisso. Quest’ultima, tuttavia, ha potuto programmare fin da subito le uscite da sostenere per interessi. Il livello di incertezza associato ad una esposizione debitoria di una impresa – e quindi il valore di rischio associato – aumenta quando al rischio di tasso di interesse, appena descritto, è associato un rischio di tasso di cambio. Tale situazione si realizza concretamente quando l’impresa si finanzia in una valuta diversa da quella domestica. L’incertezza sui tassi di cambio futuro condiziona, in questo caso, non solo gli esborsi periodici relativi agli interessi ma anche il rimborso dello stesso capitale. Infatti, sia i primi (anche se calcolati a tasso fisso) che i secondi dovranno essere convertiti in valuta estera al tasso di cambio del momento in cui sono pagati/rimborsati. Un incremento nel tempo dei tassi di cambio della valuta estera, comporta, quindi, un aumento non prevedibile dei flussi di cassa connessi al rimborso del finanziamento. Negli ultimi decenni, con l’evoluzione del sistema finanziario, si sono sviluppate tecniche e strumenti di gestione del rischio (risk mangement) che permettonodi mitigare o annullare l’assunzione dei rischi connessi ad una posizione debitoria, così come altre tipologie di rischio che può assumere una impresa (ad esempio il rischio del prezzo delle materie prime).. Al riguardo, è sana prassi gestionale per le imprese “coprirsi” adeguatamente da tali tipologie di rischi, mediante gli strumenti finanziari derivati, che possono di volta in volta riguardare i tassi di interesse (IRS o opzioni del tipo cap, floor e collar) ovvero le valute, con contratti di tipo currency swap. 18/01/05 8/51 ASSOCIAZIONE BANCARIA ITALIANA CAPITOLO 2 - DERIVATI: NOZIONE E LORO UTILIZZO 1. Origine e funzione dei derivati I contratti derivati, in via generale, sono strumenti finanziari che consentono di acquistare/vendere una determinata attività sottostante ad una data futura e ad un prezzo prefissato. Il valore di un derivato (e quindi il loro prezzo) dipende o è determinato (quindi “deriva”) dal valore, o dal cambiamento di valore, dell’attività sottostante, nonché da altre variabili, la cui rilevanza e influenza cambia a seconda della struttura e della complessità del derivato. Queste variabili sono combinate insieme sulla base di modelli matematici (i c.d. modelli di pricing), che vengono utilizzati dagli operatori e dagli investitori per stimare in un qualunque momento il valore teorico di mercato (o fair value) del derivato ed effettuare le proprie scelte di investimento/disinvestimento. L’innovazione finanziaria negli ultimi decenni ha inoltre prodotto tipologie di strumenti derivati, con livelli di complessità e caratteristiche strutturali diverse tra loro. Dai primi contratti forward si è passati, con la moderna finanza, agli swap e ai contratti di opzione, fino a strumenti dalle strutture più articolate. Quando si parla di strumenti derivati, quindi, ci si riferisce ad un insieme molto eterogeneo di strumenti con caratteristiche e meccanismi di funzionamento differenti6 . L’attività sottostante un contratto derivato può avere natura reale o finanziaria. Nel primo caso possono aversi prodotti derivati su merci agricole (mais, grano), prodotti energetici (petrolio, gas naturale, energia elettrica, ecc.), merci alimentari (olio, succo di arancia surgelato, ecc.), merci animali e materie preziose (oro, argento, ecc.). Quanto alle attività finanziarie, si annoverano strumenti derivati su titoli azionari, titoli di Stato, obbligazioni, tassi di interesse, tassi di cambio e indici azionari. I derivati su tali strumenti, sia reali che finanziari, sono utilizzati per immunizzarsi dai rischi di variazione avversa dei prezzi, cioè dai rischi c.d. di mercato. Negli ultimi anni, poi, è andato crescendo l’interesse anche per strumenti di gestione di altre tipologie di rischio, quali quello di credito, derivante dal possibile inadempimento o fallimento di un determinato soggetto, nonché i rischi meteorologici, connessi a eventi o indicatori atmosferici (ad es. pioggia, temperature elevate, grandine, ecc.). Si è quindi di fronte ad un crescere dell’importanza e della rilevanza degli strumenti finanziari derivati, situazione riconosciuta anche a livello europeo; non è certo un caso se la nuova Direttiva Europea sui Mercati di Strumenti Finanziari (MiFID) tiene conto di nuove, numerose, tipologie di strumenti finanziari derivati, sia con riferimento alla natura del sottostante che alla struttura di funzionamento, rispetto alla precedente Direttiva sui Servizi di Investimento (ISD), che andrà a sostituire dal 30 aprile 2006. 6 I primi derivati nascono nelle piazze borsistiche americane nella seconda metà del 1800, per consentire ai produttori di merci agricole e di bestiame di assicurarsi un prezzo certo per la vendita futura delle proprie mercanzie. Più di recente, negli anni settanta, con lo svilupparsi delle transazioni finanziarie e, soprattutto, con l’abolizione dell’accordo di Bretton Woods, che stabiliva tassi di cambio fissi tra le valute, nasce l’esigenza di disporre di efficaci strumenti di gestione del rischio, contro la volatilità dei tassi di cambio. Nascono così i primi contratti derivati finanziari, utilizzati appunto per svolgere attività di hedging su portafogli azionari ed obbligazionari, su tassi di interesse e tassi di cambio. Nel 1972 si avviano le negoziazioni sul Chicago Mercantile Exchange (CME) e solo nel 1992 apre le porte il primo mercato italiano di derivati (MIF), oggi non più in attività. 18/01/05 9/51 ASSOCIAZIONE BANCARIA ITALIANA La struttura del contratto derivato può prevedere che, alla scadenza, la consegna fisica dell’attività sottostante possa essere sostituita dalla liquidazione di un differenziale monetario (c.d. cash settlement). Tale modalità è utilizzata, oltre che in tutti i casi in cui sia previsto nelle caratteristiche del prodotto, laddove l’attività non è, per le sue caratteristiche, consegnabile. Si pensi ad esempio ad un derivato su indice azionario e alla difficoltà, per non parlare della conseguente onerosità, di consegnare, nella giusta proporzione, i differenti titoli presenti nel paniere dell’indice. Un’altra caratteristica molto importante dei contratti derivati è la loro capacità di impegnare rilevanti importi, ad esempio per effettuare attività di copertura, utilizzando somme relativamente ridotte. In pratica, attraverso i prodotti derivati, anziché versare/ricevere il controvalore complessivo dei titoli (come avverrebbe nel caso di investimento diretto), si versa solo una frazione di questo (a titolo di garanzia o di acquisto della facoltà futura), impegnandosi, ora per allora, a comprare o a vendere o riservandosi di farlo (opzione). Tale capacità è definita “effetto leva” o “leverage”. Naturalmente, l’effetto leva comporta che le oscillazioni di prezzo dell’attività sottostante si ripercuotano sul prodotto derivato in maniera sovra-proporzionale, amplificando i guadagni ma anche le perdite. Per avere un’idea di cosa questo significhi, si consideri, ad esempio, che, per acquistare un contratto future sul titolo azionario FIAT, pari ad un valore nozionale di circa 3000 euro 7 , è sufficiente anticipare poco più di 300 euro 8 . Gli effetti economici saranno quindi riferiti al capitale nozionale, e pertanto, ad esempio, un movimento favorevole del 5% del prezzo delle azioni FIAT si tradurrà in un flusso positivo pari a 150 euro, con un guadagno netto sul capitale effettivamente investito del + 50% circa. Ovviamente, questo varrà anche nel caso di movimenti al ribasso del titolo. Quando si parla pertanto di valore nominale o nozionale del contratto derivato si fa riferimento al valore dello stesso in termini di attività sottostante. Tuttavia, proprio per l’effetto leva, il valore nominale di un derivato non corrisponde necessariamente all’effettivo esborso sostenuto dal compratore, come normalmente avviene per la maggior parte degli strumenti finanziari non derivati (ed esempio azioni e obbligazioni). I derivati, quindi, nascono per assolvere alla funzione fondamentale di protezione dai rischi. Con i derivati, infatti, un soggetto avverso al rischio si immunizza da variazioni avverse, ad esempio, dei prezzi di un titolo azionario, o di un tasso di interesse, trasferendo tale rischio ad un altro soggetto. Tale attività viene comunemente denominata “copertura” e si realizza affiancando alla posizione o al portafoglio che si vuole immunizzare una operazione in derivati di segno opposto. In tale modo, le eventuali perdite sulla posizione da coprire, che si determinano in caso di variazione sfavorevole dei prezzi, saranno neutralizzate dai corrispondenti profitti derivanti dalla posizione in derivati. I contratti derivati, oltre che consentire il trasferimento dei rischi, svolgono anche una importante funzione informativa per il mercato. Essi, esprimendo il prezzo futuro di un bene o di una attività finanziaria, contribuiscono a completare lo stock informativo, 7 Calcolato come il prodotto tra il numero di titoli sottostanti il future (500 azioni) e il prezzo di mercato del titolo FIAT (circa 5,8 euro). 8 Il margine iniziale richiesto dalla Cassa di Compensazione e Garanzia è, infatti, stabilito pari al 12,5 % del controvalore del contratto (Fonte CCG - novembre 2004) 18/01/05 10/51 ASSOCIAZIONE BANCARIA ITALIANA dando indicazione del valore (atteso) a termine dei beni o delle attività finanziarie a cui sono correlate (c.d. attvità sottostanti), migliorando in tale modo il processo di formazione dei prezzi. Per le funzioni svolte, quindi, i contratti e i mercati derivati sono stati riconosciuti dalla teoria economico-finanziaria elemento di fondamentale importanza per l’efficienza complessiva del sistema finanziario. In particolare, le contrattazioni a termine contribuirebbero al miglioramento dell’efficienza di “completezza”, assicurando la possibilità di effettuare scambi relativi a tutte le scadenze future, e dell’efficienza “allocativa”, contribuendo a distribuire proficuamente le risorse a disposizione. In particolare, la completezza dei mercati assume un ruolo determinante per il raggiungimento dell’efficienza complessiva dell’economia. L’innovazione finanziaria, introducendo nuovi strumenti sempre più idonei ed efficaci, svolge un ruolo fondamentale poiché consente di trasferire e ripartire il rischio nel tempo e tra i diversi soggetti economici. 2. Gli strumenti derivati: inquadramento normativo generale L’art. 1, comma 3 del testo unico dell’intermediazione finanziaria (d. lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 – Tuf) definisce “strumenti finanziari derivati” gli strumenti finanziari previsti dal comma 2, lett. f), g), h), i) e j) dello stesso art. 1. In particolare, quindi, sono strumenti derivati: “f) i contratti "futures" su strumenti finanziari, su tassi di interesse, su valute, su merci e sui relativi indici, anche quando l'esecuzione avvenga attraverso il pagamento di differenziali in contanti; g) i contratti di scambio a pronti e a termine (swaps) su tassi di interesse, su valute, su merci nonché su indici azionari (equity swaps), anche quando l'esecuzione avvenga attraverso il pagamento di differenziali in contanti; h) i contratti a termine collegati a strumenti finanziari, a tassi d'interesse, a valute, a merci e ai relativi indici, anche quando l'esecuzione avvenga attraverso il pagamento di differenziali in contanti; i) i contratti di opzione per acquistare o vendere gli strumenti indicati nelle precedenti lettere e i relativi indici, nonché i contratti di opzione su valute, su tassi d'interesse, su merci e sui relativi indici, anche quando l'esecuzione avvenga attraverso il pagamento di differenziali in contanti; j) le combinazioni di contratti o di titoli indicati nelle precedenti lettere”. Tale disciplina mostra che il tentativo di codificare gli strumenti finanziari derivati9 è probabilmente operazione priva di utilità. L’esperienza dell’ultimo decennio ha infatti 9 Va chiarito che in questa sede si userà indifferentemente l’espressione strumento finanziario derivato o contratto derivato, considerandosi che la stipulazione di un contratto derivato costituisce ad un tempo atto negoziale e mezzo di generazione dello strumento, “con la conseguenza di infondere alle parti la doppia posizione di contraenti e di creatori di un’autonoma entità finanziaria. Le parti che stipulano un contratto di swap non si limitano a negoziare uno strumento finanziario già esistente: è la loro stessa attività negoziale che produce la creazione dello strumento. Il che non accade, ad esempio, in occasione della stipulazione di un ordinario contratto di compravendita di azioni, nel quale le parti nulla tolgono e nulla aggiungono al titolo fondamentale, preesistente al loro negoziare”: così GIRINO, I contratti derivati, Milano, 2001, p. 9. 18/01/05 11/51 ASSOCIAZIONE BANCARIA ITALIANA dimostrato come il mercato cerchi nel derivato non soltanto l’alternativa a strumenti “tradizionali”, ma anche il veicolo per pervenire alla creazione di nuove forme di investimento, di speculazione o di copertura, specificamente concepite per nuove peculiari esigenze. Il bisogno di pervenire a soluzioni sempre più confacenti alle necessità degli operatori e dei mercati ha indotto ed induce la moderna ingegneria finanziaria ad un continuo sforzo di perfezionamento. Il risultato è una progressiva ed incessante sofisticazione dei modelli in uso e, di frequente, una complessa combinazione di una o più unità contrattuali. Non appena si abbandoni l’analisi degli “archetipi” previsti dal Tuf 1 0 per intraprendere l’indagine delle loro innumerevoli sottoclassificazioni e filiazioni, la certezza classificatoria viene meno. Prova ne sia l’art. 18 Tuf, ai sensi del quale il Ministro del Tesoro (ora, dell’Economia), sentite la Banca d’Italia e la Consob, “può individuare, al fine di tenere conto dell’evoluzione dei mercati finanziari e delle norme di adattamento stabilite dalle autorità comunitarie, nuove categorie di strumenti finanziari, nuovi servizi di investimento e nuovi accessori”. Il derivato, infatti, non si riconnette solo alle fattispecie-base, riconducibili alle figure di forward/future, option e swap, di seguito illustrate, ben potendo manifestarsi in ulteriori ed imprevedibili forme, frutto della combinazione di uno o più modelli ovvero di loro versioni più “raffinate”. Tale principio è stato, come accennato, prudentemente affermato nell’art. 1, comma 2, lett. j) Tuf, laddove si afferma che fra i derivati rientrano anche “le combinazioni di contratti o di titoli indicati nelle precedenti lettere”. 3. Principali tipologie di derivati e loro utilizzo ai fini di copertura Si è detto che non è semplice fornire una panoramica completa delle varie tipologie di strumenti derivati, poiché varie sono le loro caratteristiche e quello dei derivati costituisce uno dei settori della finanza in cui l’innovazione finanziaria, più che in altri, ha trovato fertile terreno. E’ possibile tuttavia operare una distinzione di base, differenziando i prodotti con strutture “semplici” – quali forward, future, opzioni e swap - da quelli più complessi, spesso nati quale evoluzione e/o combinazione delle predette strutture, che sono correntemente denominati prodotti esotici. Tra i prodotti derivati “semplici”, anche detti plain vanilla, si annoverano tre principali famiglie di strumenti: i contratti forward/future, i contratti di opzione e gli swap. Con un contratto forward l’acquirente si impegna ad acquistare dal venditore alla scadenza del contratto una determinata quantità di attività sottostante ad un prezzo stabilito. Quando questi contratti sono scambiati su di un mercato regolamentato essi prendono il nome di contratti future. 10 Al di là dell’elencazione contenuta nel Tuf, non vi sono definizioni legali relative ai contratti derivati, fatta eccezione di quella contenuta nel Regolamento del 2 luglio 1991 (Istruzioni di vigilanza per gli Intermediari del Mercato Mobiliare) adottato nel vigore della abrogata legge SIM n. 1 del 2 gennaio 1991, successivamente modificato e, quindi, riadattato e rivisitato in sede di emanazione del Regolamento 4 agosto 2000, ove la Banca d’Italia definisce il future come “il contratto derivato standardizzato con il quale le parti si impegnano a scambiare ad una certa data prestabilita determinate attività” (punto 5.11, comma 2, n. 1). 18/01/05 12/51 ASSOCIAZIONE BANCARIA ITALIANA Il contratto di opzione, invece, prevede che l’acquirente acquisisca la facoltà, dietro pagamento di un “premio”, di ritirare alla, o entro la, scadenza dal venditore, che ne ha diversamente l’obbligo, una determinata quantità di attività sottostanti ad un prezzo concordato (c.d. “prezzo di esercizio”). Questa tipologia di opzione si chiama “opzione call”. Quando invece oggetto della facoltà dell’acquirente è la consegna al venditore dell’attività sottostante alle medesime condizioni di cui sopra, l’opzione è nominata “opzione put”. I contratti cap, floor e collar, sono ugualmente contratti di opzione (tipicamente su tassi di interesse) ma prevedono dei limiti agli esborsi o agli incassi. In particolare, l’opzione cap consente al possessore di pagare un tasso di interesse massimo, pari al prezzo di esercizio, su un ammontare nominale e per un periodo di tempo predefiniti. L’opzione floor, invece, permette di incassare un tasso di interesse minimo, pari al prezzo di esercizio, su un ammontare nominale e per un periodo di tempo predefiniti. Infine l’acquisto di un collar consente di fissare un tasso minimo e di un tasso massimo di indebitamento. Infine, nel contratto swap, i contraenti si impegnano a scambiarsi, per un periodo di tempo predefinito, due flussi di pagamenti periodici, uno di importo fisso e l’altro variabile (o entrambi variabili), con o senza scambio del capitale di riferimento. Come detto tali contratti possono essere utilizzati per immunizzarsi dai rischi. Ad esempio, se si detiene una posizione debitoria a tasso variabile, e non si vuole rischiare che eventuali rialzi dei tassi di mercato determinino un aumento nel costo del debito, è possibile comprare un future su un capitale nozionale pari all’entità del debito. Su tale ultima posizione, il rialzo dei tassi di mercato determina un profitto che neutralizza i maggiori oneri del debito. Viceversa, nel caso di un diminuzione dei tassi di mercato, il minor costo del debito sarà compensato dalle perdite generate sulla posizione derivata. Una altra possibilità è invece offerta dai contratti di opzione, il cui funzionamento è molto simile a quello dei contratti assicurativi. Ad esempio, per immunizzare dal rischio di cambio un flusso commerciale in valuta estera, è possibile acquistare un contratto di opzione call su un capitale nozionale pari al flusso atteso; tale strumento derivato, dietro pagamento di un premio iniziale, consente di scambiare la valuta estera (es. USD) con quella domestica (es. EUR) ad un tasso di cambio prefissato. In caso di apprezzamento dell’EUR sul USD, e quindi di salita del tasso di cambio di mercato EUR/USD sopra il tasso di cambio concordato nell’opzione, il diritto verrà esercitato e consentirà di limitare le perdite. Nel caso, invece, in cui il tasso di cambio non dovesse salire, l’opzione non verrà esercitata, con il solo costo sostenuto per il pagamento del premio. Se un soggetto detiene, invece, un finanziamento a tasso variabile – poiché ad esempio si è finanziato per cinque anni al tasso Euribor – e intende proteggersi dal rialzo dei tassi di interesse che determinerebbero esborsi per interessi crescenti, può trasformare la propria esposizione in una a tasso fisso, attraverso un contratto di swap. In particolare, con tale contratto, il soggetto in questione si accorda di ricevere periodicamente dalla controparte flussi d’interesse variabili (calcolati applicando il tasso Euribor) e di pagare alla stessa flussi calcolati applicando al capitale di riferimento un tasso di interesse fisso prestabilito. In altre parole, ad ogni scadenza periodica verrà regolata tra le parti la differenza tra i due tassi, tale che, laddove il tasso variabile Euribor superi il tasso fisso, riceverà dalla controparte la differenza tra 18/01/05 13/51 ASSOCIAZIONE BANCARIA ITALIANA il tasso Euribor e il tasso fisso; quando diversamente il tasso Euribor scende sotto il tasso fisso, sarà tenuto a pagare alla controparte la differenza tra il tasso fisso e il tasso variabile. In tale modo, pur mantenendo in essere il finanziamento a tasso variabile, l’abbinamento di un tale contratto swap consente di dare certezza ai flussi di cassa originati dalla propria esposizione debitoria. In definitiva, dunque, va osservato che l’immunizzazione dai rischi attraverso l’utilizzo di derivati si concretizza in maniera differente in relazione allo specifico prodotto utilizzato o combinazione di prodotti utilizzati. Infatti, mentre con un contratto di opzione si realizza effettivamente una sterilizzazione dal rischio, con il contratto di swap si effettua solo una trasformazione della tipologia di rischio. Nel caso sopra descritto, si passa da un indebitamento a tasso variabile ad una posizione debitoria complessiva a tasso fisso, con l’effetto che se prima il rischio era che i tassi di interesse crescessero nel futuro, dopo il rischio è che i tassi possano invece diminuire. Va però precisato che il contratto di opzione, rispetto ad un contratto di swap, prevede un esborso iniziale da parte del contraente che si immunizza, costituito dall’importo del premio. La protezione dai rischi, poiché svolge una funzione economica, è una attività non priva di costo per chi la pone in essere. Tuttavia, la natura di tale costo differisce a seconda della tipologia di derivato utilizzato. Nel caso dell’opzione, il costo della copertura è costituito dal “premio” corrisposto al venditore per acquistare la facoltà di acquistare nella call e vendere nella put). Tale onere è assimilabile al costo di una polizza assicurativa. Diversamente, quando si utilizzano altre tipologie di contratto, quali future e gli swap, il costo della copertura non è di immediata determinazione, poiché non è previsto nel meccanismo contrattuale un esborso iniziale come per il contratto di opzione. In questi casi, dunque, il costo della copertura può essere ragionevolmente individuato nel c.d. “costo opportunità”, rappresentato dal possibile mancato guadagno a cui si rinuncia in caso in cui le previsioni iniziale dovessero risultare disattese. Inoltre, diversamente dai contratti di opzioneil costo non è determinabile a priori. 4. Esempi di utilizzo di derivati a fini di copertura Al fine di comprendere il meccanismo con cui un derivato può essere utilizzato a fini di copertura, appare utile riprendere l’esempio descritto nel Capitolo 1: l’impresa A si finanzia per un ammontare (nozionale N) di 1 milione di Euro al tasso (variabile) Euribor + 0,8%, mentre l’impresa B si indebita, per il medesimo importo e orizzonte temporale, al tasso (fisso) del 5,5%. 4.1 Interest Rate Swap Si ipotizzi che l’impresa A, indebitata a tasso variabile, dopo aver pagato la seconda rata, di importo maggiore della prima a causa dell’aumento dei tassi verificatosi nella seconda annualità, decida, temendo un rialzo ulteriore, di cambiare la propria posizione finanziaria, passando dalla sua attuale posizione a tasso variabile ad una a tasso fisso. Per realizzare ciò, sceglie di aprire un’operazione di interest rate swap (IRS) con la Banca 2 come controparte. 18/01/05 14/51 ASSOCIAZIONE BANCARIA ITALIANA L’operazione di IRS viene strutturata come segue: l’impresa A si impegna a pagare alla Banca 2 un flusso di interessi al tasso fisso del 5,5%, e per contro riceverà dalla Banca 2 un flusso di interessi al tasso variabile pari al tasso Euribor maggiorato dello 0,8%. L’impresa A quindi, compensando i flussi di interessi in entrata (Euribor + 0,8%) e in uscita (5,5%) dell’IRS con quelli in uscita (Euribor + 0,8%) del debito, giungerà ad avere un unico flusso in uscita a tasso fisso (5,5%), raggiungendo così lo scopo che si era prefissata di cambiare la propria posizione debitoria da variabile a fissa per la durata residua del finanziamento. Nella tabella 4 sono rappresentati i flussi dell’IRS e del debito per tutti i 5 anni di durata del finanziamento, ipotizzando che l’IRS venga avviato a partire dal 3° anno. Tab. 4 Esempio di finanziamento a tasso variabile con annesso IRS (fisso contro variabile) Anno Tasso Costo Finanziamento Flusso Swap Costo variabil Debito Quota Flusso Flusso Flusso Totale e Finanz.t residuo interessi entrata uscita Netto (Euribor o + (var.) (var.) (fisso) (var. – + 0,8)) Swap [A] [B] [C] fisso) [B-C=D] [A-D] 1 4,3% 1.000.00 43.000 n.a. n.a. n.a. 43.000 0 2 5,6% 800.000 44.800 n.a. n.a. n.a. 44.800 3 4,0% 600.000 24.000 24.000 33.000 -9.000 33.000 4 3,6% 400.000 14.400 14.400 22.000 -7.600 22.000 5 3,0% 200.000 6.000 6.000 11.000 -5.000 11.000 Tot. n.a. n.a. 132.200 44.400 66.000 -21.600 153.800 Nella metà sinistra della figura 1 sono rappresentati i flussi descritti per la terza annualità, in particolare con linea continua quello relativo al tasso fisso originato dall’IRS (flusso 3) e con linea tratteggiata i due inerenti il tasso variabile, ovvero quello originato dall’IRS (flusso 2) e quello originato dal debito (flusso 1). Come si può evincere dalla tabella 4 e dalla figura 1, nella terza annualità il tasso variabile (Euribor + 0,8%) è stato pari a 4,0%. 18/01/05 15/51 ASSOCIAZIONE BANCARIA ITALIANA Interest rate swap(s) Impresa A (1) Tasso variabile (3) Tasso fisso [5,50%] (2) Tasso variabile Banca 2 (5) Tasso fisso [5,50%] (6) Tasso variabile Euribor + 0,8% Euribor + 0,9% [4,00%] [4,10%] Euribor + 0,8% Impresa B opzione collar [floor 2,50% - cap 4,10%] [4,00%] Banca 1 (4) Tasso fisso [5,50%] Banca 3 Fig. 1 Consideriamo ora anche l’altra impresa (l’Impresa B), che ha in essere un finanziamento a tasso fisso [flusso (4)] con la Banca 3 di analogo ammontare e durata del finanziamento dell’impresa A. Contrariamente all’Impresa A, l’Impresa B prevede un calo dei tassi di interesse e preferirebbe pagare un tasso variabile. A tale scopo, entra in un’operazione di swap (variabile contro fisso) con la Banca 2 al fine di ricevere un flusso di interessi a tasso fisso [flusso (5)] a compensazione di quello corrisposto alla Banca 3 [flusso (4)]. Successivamente alla stipula, può essere particolarmente utile conoscere il valore corrente dell’IRS, determinato sulla base delle condizioni di tasso espresse dal mercato (c.d. mark-to-market). La conoscenza del valore corrente assume particolare importanza in caso di estinzione anticipata, nel qual caso tale valore viene riconosciuto dalla parte debitrice alla parte creditrice. Durante la vita del contratto è possibile determinare il valore dell’IRS considerando la differenza tra gli interessi futuri da ricevere e gli interessi futuri da pagare, attualizzati secondo le condizioni di mercato dei tassi di interesse relativi alle varie scadenze residue. L’attualizzazione consente di calcolare il valore ad oggi di somme di denaro esigibili/pagabili in futuro, così da essere confrontabili. Il valore dell’IRS durante la sua vita è quindi strettamente legato al concreto andamento dei tassi di interesse di riferimento rispetto alle assunzioni di partenza. In maniera semplicistica, possiamo considerare che quando i tassi di interesse di mercato risultano inferiori al tasso fisso concordato nell’IRS, il valore di mercato dello swap sarà negativo per il contraente che paga il tasso fisso (poiché sta pagando interessi più alti di quelli di mercato) e positivo per la parte che paga il tasso variabile (e quindi riceve un tasso fisso più elevato di quello di mercato). Nello scenario opposto, ovviamente, il valore corrente dello swap sarà positivo per chi corrisponde il tasso fisso e negativo per l’altra parte. Al momento iniziale del contratto, il suo valore corrente è pari a zero poiché i flussi relativi alla parte fissa e quelli relativi alla parte variabile del contratto si equivalgono. 18/01/05 16/51 ASSOCIAZIONE BANCARIA ITALIANA 4.2 Interest Rate Option Invece che entrare nell’operazione di swap, l’impresa A avrebbe potuto immunizzarsi totalmente dal rischio di una discesa dei tassi acquistando un’opzione cap, che consente al possessore di pagare un tasso di interesse massimo, pari al tasso di esercizio prestabilito nel contratto di opzione (c.d. cap rate), su un ammontare nominale e per un periodo di tempo predefinito, a fronte del pagamento di un premio per l’acquisto dell’opzione. Supponiamo quindi che l’impresa A, per l’intera durata del finanziamento (5 anni), decida di acquistare un’opzione cap con tasso di esercizio del 5,0%, su un capitale nozionale pari al debito residuo, a fronte del pagamento di un premio annuo dello 0,1% del capitale nozionale 1 1 . Tale premio si aggiunge al tasso variabile del finanziamento (Euribor + 0,8%), per un esborso complessivo pari a Euribor + 0,9%. L’opzione verrà esercitata il 2° anno, quando il tasso di mercato sarà superiore al cap rate (del 5,0%) dell’opzione. L’impresa A, quindi, invece di pagare il tasso di mercato, pari a 5,6%, corrisponde il livello massimo fissato contrattualmente del 5%. Tab. 5 Anno Esempio di finanziamento a tasso Tasso Costo Finanziamento variabil Debito Quota e residuo interessi (Euribor (var.) + 1,3) [A] 1 4,3% 2 3 4 5 Tot. 5,6% 4,0% 3,6% 3,0% n.a. 1.000.00 0 800.000 600.000 400.000 200.000 n.a. 43.000 44.800 24.000 14.400 6.000 132.200 variabile con annessa opzione Cap Flusso Opzione Cap Costo Totale Finanz.to + Premio Mancato flusso Cap (0,1% in uscita [A-B-C] debito (per esercizio residuo) cap) [B] [C] 1.000 0 44.000 800 600 400 200 3.000 - 4.800 0 0 0 40.800 24.600 14.800 6.200 130.400 L’opzione si configura quindi come una vera e propria “assicurazione”, a fronte della quale l’impresa A versa alla controparte, anno per anno, un premio, a prescindere dall’effettivo utilizzo o meno della copertura. La differenza fra la copertura con un’opzione e quella con uno swap risiede principalmente nel fatto che, con l’opzione, l’impresa A acquista una vera e propria assicurazione che la copre totalmente dal rischio di un movimento avverso dei tassi, e, a fronte di ciò, paga alla controparte un premio fissato a priori. Con lo swap, invece, l’impresa A cambia il proprio profilo di rischio, passando da un tasso variabile ad un tasso fisso, senza sostenere un costo iniziale, come nel caso dell’opzione. 11 L’intera entità del premio può anche essere corrisposta alla controparte in unica soluzione all’inizio dei cinque anni. 18/01/05 17/51 ASSOCIAZIONE BANCARIA ITALIANA 4.3 Interest Rate Swap con Collar Per soddisfare esigenze di copertura più articolate, le imprese possono utilizzare gli strumenti appena descritti in maniera combinata, attraverso prodotti più complessi, come accade per l’impresa B nella figura 1, che sottoscrive un Interest Rate Swap con l’aggiunta di una opzione collar (c.d. embedded); in tal caso il derivato che viene costruito ha caratteristiche particolari che coniugano quelle dei due derivati base sopra descritti. Riprendiamo l’esempio dell’Interest Rate Swap, ipotizzando che la Banca 2, a fronte di una specifica commissione, offra un’ulteriore protezione all’Impresa B attraverso un contratto aggiuntivo di opzione collar sul tasso di interesse variabile [flusso (6)]. Come già spiegato, l’opzione collar è un accordo tra la Banca 2 e l’Impresa B sul valore minimo (c.d. floor rate) e massimo (c.d. cap rate) del tasso variabile che l’Impresa B pagherà alla Banca 2. Pertanto, l’opzione collar consente all’Impresa B di trarre benefici da una possibile discesa dei tassi di interesse fino al livello del floor, e nello stesso tempo di limitare al livello del cap gli esborsi futuri per interessi. 4.4 Cross Currency Interest Rate Swap Consideriamo ora l’impresa C che esporta all’estero i propri prodotti. In particolare ha un contratto pluriennale di fornitura di beni alla Impresa D, con sede negli Stati Uniti, la quale paga periodicamente il corrispettivo dei beni in dollari [flusso (7)]. L’Impresa C, pertanto, ha un fatturato in dollari e, pertanto, si assume il rischio che una riduzione dei tassi di cambio EUR/USD (cioè un rafforzamento dell’Euro sul dollaro) abbia un impatto negativo sui propri ricavi. L’impresa C, pertanto, decide di coprirsi da tale rischio, concludendo con la Banca 4 un contratto di cross-currency swap (del tipo fisso contro fisso) in forza del quale, a fronte del pagamento periodico di flussi denominati in USD, essa riceve flussi denominati in EUR, calcolati secondo un tasso di cambio pattuito. Si noti che in questo caso può esserci o meno lo scambio del nozionale al termine del periodo. Tale operazione, dunque, consente all’impresa di ridurre notevolmente l’incertezza dei futuri tassi di cambio EUR/USD e di immunizzare i propri ricavi futuri dal rischio di cambio. Dall’altro lato, l’Impresa D statunitense ha in essere un finanziamento con la Banca 5 a tasso fisso, denominato in Euro, necessario per far fronte agli acquisti dalla Impresa C. Essa ha, tuttavia, aspettative di rialzo del dollaro rispetto all’Euro, che avrebbe la conseguenza di rendere più cari pagamenti per interessi dovuti alla Banca 51 2 e pertanto, intende coprirsi da tale rischio. Essa inoltre ritiene che i tassi di interesse in Europa siano destinati in futuro a scendere, pertanto intende trasformare la propria posizione di indebitamento a tasso fisso in una posizione a tasso variabile. A tal fine, conclude con la Banca 4 un cross-currency swap (del tipo fisso contro variabile), con il quale riceve da questa periodicamente interessi in Dollari, calcolati su un tasso fisso, e paga interessi in Euro calcolati a tasso variabile. Nella fig. 2 sono schematizzati i flussi scambiati tra le controparti dello swap (con linea continua quelli relativi al tasso fisso e con linea tratteggiata quelli variabili). 12 L’impresa D, infatti, per pagare le somme in Euro deve cambiare la valuta domestica (il Dollaro) a tassi di cambio più elevati. 18/01/05 18/51 ASSOCIAZIONE BANCARIA ITALIANA Cross currency swap(s) Banca 5 (11) EUR tasso fisso Impresa D (7) USD pagamenti periodici fissi (12) USD tasso fisso Impresa C (9) USD tasso fisso (10) EUR tasso fisso (13) EUR tasso variabile Banca 4 Fig. 2 Vale la pena accennare che la Banca 4, controparte di entrambe le operazioni di swap svolge un ruolo importante nel trasferire il rischio tra le due imprese. Tuttavia, nell’esempio considerato, essa riceve un flusso in Euro calcolato sulla base di un tasso variabile dall’impresa D, mentre paga all’impresa C un flusso in Euro a tasso fisso. Essa, pertanto, è a sua volta esposta al rischio di riduzione dei tassi di interesse: laddove, infatti, il tasso variabile di riferimento dello swap concluso con l’Impresa D scendesse sotto il tasso fisso concordato nello swap con l’Impresa C, la Banca 4 avrebbe una perdita. Essa pertanto, gestirà tale rischio, coprendosi a sua volta ovvero mantenendolo, nell’ambito del proprio portafoglio. 5. Il ruolo degli intermediari nella copertura I contratti derivati, dunque, costituiscono lo strumento con cui si trasferisce il rischio da soggetti avversi a soggetti disposti ad assumersi tale rischio. E’ chiaro dunque che a fronte di un soggetto che intende ridurre il proprio grado di rischio dovrà esserci un soggetto che, invece, desidera assumersi coscientemente rischi di maggiore entità, eventualmente per aumentare il livello dei potenziali guadagni. Gli intermediari, da questo punto di vista, svolgono un ruolo fondamentale perché offerta e domanda di rischio possano incontrarsi. In particolare essi operano in qualità di mediatori, ricercando la controparte per i propri clienti, ovvero assumendosi in proprio tale rischio, al fine di gestirlo in maniera professionale e secondo sofisticati modelli di risk management. 18/01/05 19/51 ASSOCIAZIONE BANCARIA ITALIANA Le esigenze di copertura delle imprese coinvolgono mediamente importi non rilevanti, mentre il mercato derivati, soprattutto quello over-the-counter, è per la maggior parte caratterizzato da negoziazioni per valori nominali elevati (c.d. mercato all’ingrosso). Gli intermediari, quindi, svolgono anche il compito di consentire alle imprese, soprattutto a quelle di piccole e medie dimensioni, di accedere a prodotti di gestione dei rischi altrimenti non utilizzabili. Ciò è possibile, poiché, le banche si rivolgono al mercato professionale, spesso a banche estere, per importi rilevanti e offrono strumenti alle imprese di taglio inferiore, con il risultato di “frazionare” grossi importi a favore della propria clientela. L’attività svolta dagli intermediari viene remunerata attraverso l’applicazione di un c.d. “mark-up” sul prezzo del contratto derivato offerto. Ad esempio per il contratto di swap, il tasso di interesse che viene pagato dall’impresa è determinato considerando il tasso di interesse di un equivalente contratto di swap con pari durata offerto sul mercato all’ingrosso più un ulteriore “spread”, nel quale viene ricompreso un premio per il rischio di controparte assunto dalla banca1 3 più la remunerazione per l’attività svolta dalla banca. In definitiva, dunque, le imprese e gli intermediari possono avere una visione differente dei derivati: per i primi questi assolvono l’importante funzione di coprirsi dai rischi, mentre gli intermediari svolgono la fondamentale funzione di gestire professionalmente tali rischi, assumendoli in proprio, completamente o in parte, ovvero di ricercare la controparte disposta a farlo. Come indirettamente sottolineato in precedenza, la rilevanza operativa degli strumenti derivati assume specifico significato anche nell’ambito della definizione del corretto rapporto banca-impresa. Infatti, un derivato permette di ridurre l’impatto dei rischi finanziari nell’ambito delle valutazioni relative all’affidamento bancario, diminuendo quindi la rischiosità complessiva dell’impresa, con benefici sia per la banca, sotto forma di un minor rischio di credito associato all’impresa, sia per l’impresa stessa, migliorando l’accesso al credito. Sotto questo profilo lo strumento derivato, rispetto alle forme tradizionali di garanzia (pegno, ipoteca, fideiussione), con cui si pone in un rapporto di complementarietà, presenta minori oneri economici e amministrativi. D’altra parte deve essere chiaro che essi, per i contraenti, generano incassi (flussi positivi) od esborsi (flussi negativi). Tuttavia, è altrettanto opportuno chiarire che gli eventuali esborsi da parte dell’impresa che ha concluso il derivato, non costituiscono il “profitto” per la banca, ma un flusso positivo che compensa, a sua volta, analoghe transazioni che la banca ha messo in piedi per coprirsi a sua volta, essendo la banca, tipicamente, un risk manager. Attraverso l’utilizzo di derivati più complessi è possibile, anziché coprirsi totalmente dal rischio, immunizzarsi parzialmente, differenziando il livello di copertura sulla base del diverso grado di probabilità circa il verificarsi di predeterminati eventi. Tale possibilità consente, ad esempio, di ridurre il costo complessivo di un finanziamento; tuttavia, laddove si dovessero verificare le condizioni meno probabili (per i quali la copertura agisce in maniera meno efficace) tale costo potrebbe risultare superiore rispetto alla situazione di partenza. 13 La misura del premio di rischio varia in relazione al merito creditizio attribuito dalla banca a ciascuna controparte. 18/01/05 20/51 ASSOCIAZIONE BANCARIA ITALIANA 6. Gli scambi di contratti derivati I contratti derivati possono essere scambiati sia sui mercati regolamentati sia direttamente tra le parti, intermediari o investitori, al di fuori di queste strutture. Ci si riferisce spesso all’insieme degli scambi bilaterali di derivati come al mercato over-thecounter (OTC), termine mutuato dal linguaggio finanziario inglese che indica l’insieme delle transazioni concluse al di fuori delle strutture organizzate - reali o virtuali - di un mercato. I contratti derivati scambiati sui mercati regolamentati si differenziano da quelli overthe-counter per l’elevata standardizzazione delle caratteristiche contrattuali, necessaria perché essi possano essere negoziati multilateralmente e in maniera centralizzata in un mercato. Le caratteristiche contrattuali sono pertanto stabilite dal Mercato sul quale il contratto è negoziato, senza alcuna possibilità per le parti di apportare variazioni alle stesse. Diversamente, le caratteristiche di un derivato OTC sono stabilite di volta in volta tra le parti e dunque offrono una maggiore flessibilità nel soddisfare le esigenze di copertura . Spesso, quando il contratto è concluso tra operatori professionali, le reciproche obbligazioni fanno riferimento a schemi contrattuali predefiniti e comunemente approvati (c.d. master agreement), che lasciano alle parti di indicare esclusivamente i termini economici specifici del contratto che intendono concludere. Si può quindi affermare che se i mercati OTC offrono maggiore flessibilità di prodotto, sui mercati regolamentati si concentra maggiore “liquidità”, conseguenza della standardizzazione dei prodotti, che offre maggiore possibilità di investimento e disinvestimento. Nella scelta di un prodotto derivato regolamentato o over-the-counter non si può, pertanto, prescindere dal valutare il trade-off fra liquidità e flessibilità. Occorre inoltre evidenziare che non risulta facile quantificare l’attività di scambio di prodotti derivati. In particolare gli scambi di derivati over-the-counter non si prestano ad una precisa rilevazione, tenuto conto che sono prevalentemente conclusi bilateralmente e non vengono rilevati in maniera centralizzata come invece accade per quelli conclusi sui mercati regolamentati. Statistiche sugli scambi che avvengono su tali ultimi mercati, inoltre, sono giornalmente diffuse con indicazione dei contratti conclusi e delle posizioni in essere a fine giornata (c.d. open interest). In generale, poi, come visto, nella specie dei prodotti derivati esistono diverse famiglie di strumenti contraddistinte da una elevata eterogeneità delle caratteristiche, che rende difficile l’aggregazione di sintesi dei dati. Gli scambi di strumenti derivati, come si vedrà di seguito, appaiono molto elevati, soprattutto se confrontati con gli scambi dei rispettivi strumenti sottostanti. Tuttavia, va precisato, che essi sono normalmente misurati in termini di valori nozionali, i quali, per le ragioni prima spiegate sul cosiddetto leverage, sovra-stimano il fenomeno e non danno una idea delle risorse finanziare effettivamente scambiate. 6.1 Gli scambi sui mercati regolamentati Le negoziazioni sui mercati regolamentati si svolgono, secondo regole predefinite stabilite dal mercato, attraverso sistemi di negoziazione nei quali i partecipanti al mercato inseriscono le proprie proposte di acquisto e di vendita degli strumenti. Il 18/01/05 21/51 ASSOCIAZIONE BANCARIA ITALIANA sistema, secondo criteri predefiniti di priorità di prezzo e di tempo, provvede a combinare le proposte di negoziazione per la conclusione del contratto. Sui mercati regolamentati derivati interviene, a garanzia dell’adempimento degli obblighi economici contrattuali, la c.d. controparte centrale, che si interpone tra l’acquirente ed il venditore, divenendo la controparte di tutte le transazioni eseguite sul mercato. La controparte centrale, o clearing house, garantisce in proprio il buon fine dei contratti e, a tale scopo, richiedere ai partecipanti al mercato il versamento di margini di garanzia iniziali (calcolati in percentuale del valore nominale dei contratti derivati conclusi) e prevede a calcolare giornalmente le perdite/profitti delle controparti e a richiederne il regolamento (c.d. marking-to-market). Sui mercati regolamentati sono scambiati principalmente derivati su tassi di interesse e bond, su azioni e indici azionari, in parte minore, anche se rilevante, su commodities e valute. In Italia, il solo mercato regolamentato di strumenti derivati è l’IDEM (l’Italian Derivatives Equity Market) organizzato e gestito dalla Borsa Italiana, nel quale sono negoziati contratti future e di opzione con sottostanti titoli o indici azionari. E’ inoltre attivo un sistema di scambi organizzati, l’E-Mider, nel quale sono scambiati contratti swap su tassi di interesse. Gli scambi a livello mondiale di prodotti derivati sui mercati regolamentati nel 2003, secondo i dati pubblicati nel rapporto annuale della World Federation of Exchanges (FIBV), sono ammontati a circa 1,7 milioni di miliardi di Euro, con una forte preponderanza di scambi, in termini di valore nozionale, di derivati su tassi di interesse, per circa il 92 percento, e per la rimanente quota di scambi di derivati su titoli e indici azionari. In termini di volumi scambiati, i derivati azionari hanno, invece, rappresentato oltre il 70 percento degli scambi (cfr. Tab. 6). 18/01/05 22/51 ASSOCIAZIONE BANCARIA ITALIANA Tab. 6 SCAMBI DI DERIVATI SUI MERCATI REGOLAMENTATI MONDIALI - anno 2003 Volumi negoziati num. Contratti Derivati su tassi di interesse Tassi di interesse a breve future opzioni Tassi di Interesse a lungo future opzioni Derivati azionari opzioni su azioni future su azioni opzioni su indici future su indici Derivati su tassi di cambio future opzioni Derivati su merci future opzioni Totale Valore Nozionale % USD milioni EUR milioni Posizioni aperte % num. Contratti % 708.579.956 182.999.206 879.788.549 194.014.987 778.573.937 171.694.679 37.807.409 18.150.503 862.882.430 118.915.201 1.873.376.793 639.324.272 6.200.364 23,6% 722.436.427 7.006.411 1.803.246.374 92% 11.498.566 3.213.496 70.669.974 15% 70,8% 2.850.595 257.154 13.518.932 126.625.129 143.251.810 7% 317.043.749 2.922.862 48.170.472 20.205.588 388.342.671 82% 0,9% 4.313.872 495.132 4.809.004 0,2% 2.071.887 741.657 2.813.544 1% 4,7% 2.998.437 208.861 3.207.298 2.838.317 0,2% 5.483.244 4.423.394 9.906.638 2% 1.954.514.486 1.725.403.081 1.470.181.473 86.633.080 3.356.829.909 695.159.273 5.608.803.735 55.648.334 13.861.559 69.509.893 321.247.413 49.948.894 371.196.307 7.922.886.728 1.595.793.251 2.522.650 227.570 11.963.657 112.057.636 126.771.513 3.817.586 438.170 4.255.756 2.653.484 184.833 471.732.827 Elaborazione su dati della World Exchanges Federation - www.world-exchanges.org tasso di cambio medio 2003 USD/EUR: 1,13 A livello europeo, sempre secondo la stessa rilevazione, il valore degli scambi in derivati si è attestato nell’ultimo anno (ott. 03 – sett. 04) su valori di poco superiori a 365 mila miliardi di Euro, pari a poco più del 21 percento dei scambi a livello internazionale. Anche in europa i derivati su tassi di interesse rappresentano la tipologia di strumenti più negoziata in termini di valore nominale, pari al 95 per cento, seguita dai derivati su azioni ed indici azionari, per il 4 per cento (cfr. Tab. 7). 18/01/05 23/51 ASSOCIAZIONE BANCARIA ITALIANA Tab. 7 SCAMBI DI DERIVATI SUI MERCATI REGOLAMENTATI EUROPEI - anno 2003 Volumi negoziati num. Contratti Derivati su tassi di interesse Tassi di interesse a breve future opzioni Tassi di Interesse a lungo future opzioni Derivati azionari opzioni su azioni future su azioni opzioni su indici future su indici Derivati su merci future opzioni Totale EUR milioni Posizioni aperte % num. Contratti % 217.893.996 92.914.489 192.826.545 82.225.212 3.638.581 8.653.157 526.886.630 49.564.404 844.766.321 38,3% 74.710.092 7.004.641 392.523.218 66.115.126 6.198.797 347.365.679 95% 2.459.937 951.154 15.702.829 11% 46,9% 848.453 55.662 5.120.322 11.124.250 17.148.686 750.843 49.258 4.531.258 9.844.469 15.175.829 4% 90.510.404 2.729.435 24.028.239 3.148.158 120.416.236 85% 0,1% 7.939 1.640 9.579 7.026 1.451 8.477 0,0% 173.851 27.610 201.461 0% 14,8% 2.998.437 147.704 3.146.141 2.653.484 130.711 2.784.195 0,8% 5.483.244 395.116 5.878.360 4% 1.735.130 138.324 1.873.454 321.247.413 4.154.612 325.402.025 2.205.075.625 (quota mercati internazionali) USD milioni 190.478.711 77.836.576 500.943.933 60.621.984 226.470.578 246.870.784 1.034.907.279 Derivati su tassi di cambio future opzioni Valore Nozionale % 412.818.045 27,8% 365.325.703 141.997.425 21,1% 30,1% Elaborazione su dati della World Exchanges Federation - www.world-exchanges.org tasso di cambio medio 2003 USD/EUR: 1,13 Per quanto, invece, riguarda gli scambi di derivati sui mercati regolamentati in Italia, sull’IDEM sono stati negoziati, nell’anno 2003, contratti derivati su azioni e indici azionari per complessivi 777 miliardi di euro. In particolare, il 76 percento del valore degli scambi ha riguardato i contratti future su indici azionari, anche se la tipologia di derivato che ha registrato il maggior numero di transazioni è stata l’opzione su singoli titoli azionari (cfr. Tab. 8). Tab. 8 SCAMBI DI DERIVATI IDEM - anno 2003 Volumi negoziati num. Contratti Derivati azionari opzioni su azioni future su azioni opzioni su indici future su indici Totale 7.924.078 468.083 2.505.351 6.834.124 Valore nozionale % EUR millioni 45% 3% 14% 39% 17.731.636 30.940 2.050 153.998 590.435 % 4% 0% 20% 76% 777.423 Elaborazione su dati della Borsa Italiana - www.borsaitalia.it 18/01/05 24/51 ASSOCIAZIONE BANCARIA ITALIANA 6.2 Gli scambi di derivati over-the-counter Diversamente da quanto accade sui mercati regolamentati, nella contrattazione bilaterale over-the-counter, invece, la conclusione dei contratti avviene attraverso contatti telefonici registrati tra le parti, che provvedono poi ad inviarsi conferme scritte della transazione conclusa. Negli ultimi anni si sono anche sviluppati sistemi informatici che consentono di esporre proposte di acquisto e di vendita, senza tuttavia effettuare la combinazione delle offerte, facilitando la ricerca delle controparti con cui negoziare. Quanto alla garanzia delle operazioni over-the-counter, le controparti frequentemente usano scambiarsi titoli o contante (c.d. collateral), a garanzia del loro potenziale inadempimento. La Bank for International Settlement (BRI), sulla base di rilevazioni trimestrali sull’attività in derivati effettuata da un campione di banche, ha di recente stimato che il turnover giornaliero dei derivati su tassi e valuta negoziati OTC nei 44 Paesi BRI è stato di 1.220 miliardi di dollari, dei quali 140 su valuta (12%) e 1.025 su tasso (88%). In termini comparativi, il turnover dei derivati su tassi e valuta negoziati sui mercati regolamentati nei 44 Paesi BRI è stato di 4.543 miliardi di dollari, di cui 22 su valuta (0,5%) e 4.521 su tassi (99,5%). L’Italia è il 5° Paese fra i 44 censiti dall’indagine BRI per turnover degli scambi di derivati OTC, con una quota di solo il 2,7%. I Paesi con un’attività in derivati OTC superiore a quella rilevata in Italia sono, nell’ordine, UK (42,6%), USA (23,5%), Francia (10,2%) e Germania (3,0%). Tab. 9 SCAMBI GIORNALIERI DI DERIVATI OTC IN ITALIA Aprile 2004 44 PAESI BRI Turnover giornaliero Tipologia di derivato Derivati su tassi di cambio Currency Swaps Options Altro Turnover giornaliero (b) 21 117 2 0,3 3,9 0,0 140 Quota su BRI 8% 2,98% 92% 4,40% 100% 4,04% 9,6 32,9 2,6 1025 1220 % (b)/(a) 4,2 12% 233 621 171 tot. Totale % (a) tot. Derivati su tassi di interesse FRAs Swaps Options ITALIA 45,1 88% 4,1% 49,3 Fonte: Elaborazione su dati BRI e UIC – Dati in miliardi di dollari Il turnover italiano giornaliero medio è cresciuto di circa il +71% nel periodo 20012004, passando da 24 a 41 miliardi di dollari (dati corretti sia localmente che cross border). 18/01/05 25/51 ASSOCIAZIONE BANCARIA ITALIANA La crescita media dei 44 Paesi coinvolti dall’indagine è stata, per lo stesso periodo, del +97%, con un passaggio da 764 miliardi di dollari a 1.508. Quanto alla natura della controparte, dai dati contenuti nell’indagine svolta dalla BRI e dall’Ufficio Italiano dei Cambi (UIC) su un campione di 46 banche (43 aziende di credito italiane e 3 filiali di banche estere che complessivamente rappresentano circa l'84 per cento del mercato dei derivati), emerge che nelle transazioni di derivati overthe-counter in Italia prevalgono, per quasi l’80 per cento, controparti di natura bancaria (dealers), seguiti da altre istituzioni finanziarie per il 17 per cento. Solo il 4 per cento delle transazioni in derivati è concluso con la clientela. Si rileva, inoltre, che negli scambi interbancari prevalgono le banche estere (mediamente nove su dieci): quest'ultime, infatti, sono in grado di operare intensamente negli scambi interbancari di titoli derivati grazie alla loro dimensione mediamente superiore a quella degli istituto di credito italiani. Tab. 10 DERIVATI NEGOZIATI OTC - Natura della controparte (Apr. 2004) Tipologia Italia – Italia Rett.– Perc. BRI – controparte Percentuale* Percentuale Dealers 79% 85,8% 49% Residenti 8% 9% 18,5% Non 71% 76,8% 30,5% residenti Altre ist. 17% 12,4% 43% finanziarie ND ND 18% Residenti ND ND 25% Non residenti Clientela 4% 1,8% 8% Residenti ND ND 4% Non ND ND 5% residenti *I dati riferiti al sistema Italia sono calcolati su una base differente rispetto a quelli BRI. Infatti i dati italiani, forniti dall’UIC, comprendono anche il mercato spot/termine delle valute. I dati italiani depurati di tale fattore sono stati ottenuti tramite elaborazioni interne e vengono rappresentati nella colonna “rett.” Infine, secondo un’indagine condotta lo scorso anno dall’ISDA 1 4 , il 92% delle 500 maggiori società non finanziarie mondiali utilizza strumenti derivati per copertura. Fra i rischi più “coperti”, il rischio di tasso (85% del campione), il rischio di valuta (78%), il rischio legato al prezzo delle commodities (23,5%), il rischio di mercato su azioni in portafoglio (11%). Dalla analisi di queste cifre è possibile trarre un’importate considerazione. Il mercato over-the-counter è dimensionalmente inferiore a quello regolamentato. Tuttavia, il mercato non regolamentato, pur offrendo prodotti più complessi, ha il vantaggio di 14 International Swaps and Derivatives Association, Inc. – “2003 survey of derivatives usage” www.isda.org . Il campione di imprese prevede, tra le altre, 196 imprese USA, 89 imprese giapponesi, 37 imprese francesi, 35 imprese del Regno Unito e 34 imprese tedesche. 18/01/05 26/51 ASSOCIAZIONE BANCARIA ITALIANA offrire maggiore flessibilità nel soddisfare le esigenze degli investitori (tailored products). 7. Il trattamento contabile degli strumenti derivati 7.1 La normativa attuale In materia di strumenti derivati, nell’ambito delle disposizioni dettate dal codice civile, vista l'assenza di una specifica disciplina, si deve far riferimento ai principi generali di redazione del bilancio 1 5 . Gli strumenti derivati sono invece disciplinati nell’ambito delle disposizioni dettate per le banche (D. Lgs n. 87 del 1992), mentre per le imprese non bancarie quotate deve farsi riferimento alla Comunicazione Consob n. 1026875 del 2001, che individua nelle disposizioni dettate per le banche una linea interpretativa dei principi di carattere generale prima richiamati. Per le imprese non bancarie non quotate si rileva l’assenza di norme specifiche. Anche la recente riforma del diritto societario non ha introdotto disposizioni in materia. Tutte le imprese, sulla base delle regole generali previste per la redazione dei bilanci sopra richiamate, sono tenute a contabilizzare la quota degli oneri e proventi rivenienti dagli strumenti derivati, realizzati o maturati alla data di redazione del bilancio (tipicamente nelle voci “Proventi/Oneri finanziari” o “Altri proventi/Oneri finanziari”). La normativa attuale non richiede alcun obbligo specificodi evidenziare separatamente i relativi effetti economici e patrimoniali e di fornire altre informazioni di dettaglio utili per una migliore comprensione delle operazioni derivate poste in essere dall’impresa. Non si rinviene altresì alcuna norma specifica circa la contabilizzazione dei risultati della valutazione (plusvalenze o minusvalenze da valutazione) dello strumento derivato alla data di redazione del bilancio 1 6 . Il trattamento contabile delle valutazioni degli strumenti derivati, per le imprese non bancarie, viene pertanto lasciato al più generico principio della prudenza 1 7 . Lo scenario prima delineato comporta, come conseguenza, l’assenza di informazioni riferibili ai contratti derivati desunti dai bilanci delle imprese non bancarie, censiti dalla Centrale dei Bilanci1 8 . La possibilità di rinvenire specifiche informazioni sui contratti derivati negoziati dall’impresa non bancaria può dipendere quindi dalla volontà della stessa di darne apposita evidenza, attenendosi, ad esempio, alle sopra citate disposizioni dettate per i bilanci delle banche dal D. Lgs n. 87 del 1992, nonché dalle relative istruzioni di vigilanza emanate dalla Banca d’Italia 1 9 . Nel caso l’impresa sia sottoposta a 15 Cfr. Artt. 2423 (principio della rappresentazione veritiera e corretta della situazione patrimoniale, economica e finanziaria della società) e 2423 bis (principi della competenza e della prudenza). 16 All’atto della stipula gli strumenti derivati sono registrati tra gli impegni al loro valore nozionale. 17 In applicazione del principio della prudenza di cui all’art. 2423 bis del Codice Civile, tutte le imprese devono effettuare rettifiche di valore delle attività o costituire accantonamenti a fronte dei rischi ravvisabili alla data di redazione del bilancio. 18 La Centrale dei bilanci censisce, tra l’altro, i dati di bilancio delle società italiane di capitale. 19 La citata Comunicazione della Consob, oltre alla normativa dettata per i bilanci bancari, richiama anche i Principi contabili internazionali, le cui disposizioni in materia di classificazione in bilancio degli strumenti derivati sono ritenute dalla stessa Consob compatibili con le disposizioni 18/01/05 27/51 ASSOCIAZIONE BANCARIA ITALIANA certificazione di bilancio (obbligatoria o volontaria), le società di revisione pongono particolare attenzione alle operazioni in derivati, al fine della loro corretta rappresentazione, prendendo a riferimento la normativa bancaria di seguito sintetizzata2 0 . La disciplina dettata per le banche prevede che, in presenza di un’operazione in strumenti derivati effettuata per finalità di copertura 2 1 , lo strumento derivato sia valutato coerentemente con lo strumento coperto. Di conseguenza: 1) se lo strumento coperto fa parte del banking book22 ed è pertanto valutato al costo storico di acquisto, non è prevista la valutazione dello strumento derivato, ma solo la contabilizzazione dei proventi/oneri (assimilati agli interessi), realizzati o maturati alla data di redazione del bilancio; 2) se lo strumento coperto fa parte del trading book23 ed è pertanto valutato al mercato (se lo strumento derivato è quotato) o al minore fra costo e valore di mercato (se lo strumento derivato non è quotato), i risultati della valutazione dello strumento derivato sono contabilizzati nella voce 60 – Profitti e perdite da operazioni finanziarie, fino a concorrenza delle oscillazioni di valore registrate sullo strumento coperto. Nella voce 60 vanno contabilizzati anche i proventi/oneri realizzati o maturati alla data di redazione del bilancio. Viceversa, nel caso di operazioni che non rispettano i requisiti previsti per le operazioni di copertura ovvero nel caso vengano meno detti requisiti, lo strumento derivato va considerato di trading ed è pertanto valutato al mercato o al minore fra costo e valore di mercato. In entrambi i casi, gli eventuali risultati negativi della valutazione dello strumento derivato (minusvalenze da valutazione) devono essere iscritte nel conto economico (voce 60 – Profitti e perdite da operazioni finanziarie). Tale disciplina prevede che nella nota integrativa sia fornita, tra l’altro, la separata indicazione degli effetti economici e patrimoniali (sia relativi agli oneri/proventi che alle valutazioni) contabilizzati sugli strumenti derivati. L’applicazione alle imprese non bancarie della normativa dettata per le banche comporta il rispetto dei requisiti previsti per le operazioni di hedging ai fini della classificazione di un’operazione come di copertura. Pertanto, quando le operazioni classificate di copertura non risultano simmetriche in termini di caratteristiche e condizioni contrattuali (nozionale, tassi di riferimento, durata, ecc.) rispetto ai relativi sottostanti coperti, esse dovranno essere classificate tra le operazioni di negoziazione, legali italiane ed europee. Si segnala che i requisiti previsti dai Principi contabili internazionali (segnatamente dallo IAS 39) ai fini della classificazione di un’operazione come di copertura, risultano più stringenti rispetto a quelli previsti dalla normativa attuale dettata per le banche. 20 Con riguardo ai soggetti a cui è demandata la verifica della corretta contabilizzazione delle operazioni in derivati, la citata comunicazione della Consob individua gli stessi negli amministratori, oltre che nelle società di revisione. 21 Un’operazione di copertura può essere designata come tale solo se l’intento di porre in essere la copertura, così come l’elevata correlazione tra le caratteristiche tecnico-finanziarie delle attività/passività coperte e quelle del contratto derivato di copertura, sono documentati da evidenze interne. 22 Il banking book è rappresentato tipicamente dai finanziamenti erogati e dalle poste che l’impresa intende detenere fino a scadenza. 23 Il trading book è rappresentato dalle attività detenute ai fini di negoziazione. 18/01/05 28/51 ASSOCIAZIONE BANCARIA ITALIANA con la conseguenza di dover procedere alla registrazione nel conto economico degli eventuali risultati negativi della valutazione dello strumento derivato alla data di redazione del bilancio (minusvalenze da valutazione). Infatti, mentre in un’operazione di copertura i risultati della valutazione dello strumento derivato devono essere contabilizzati solo nella misura necessaria a compensare le variazioni di valore dello strumento coperto2 4 , in un’operazione che non rispetta i requisiti (al momento in cui è posta in essere o anche in un momento successivo) per essere classificata di hedging i risultati negativi della valutazione dello strumento derivato devono essere contabilizzati nel conto economico per l’intero importo. Nel corso di un’analisi dei bilanci relativi all’esercizio 2003 di alcune società non bancarie quotate (tra cui una PMI quotata nel segmento Expandi), in materia di strumenti derivati si è rilevato sinteticamente quanto segue: 1) viene specificato l’intento per cui tali strumenti sono detenuti (negoziazione o copertura); 2) viene fornita l’indicazione delle voci interessate dalla contabilizzazione dei proventi/oneri realizzati o maturati alla data di redazione del bilancio, con la separata indicazione degli importi relativi agli strumenti derivati; 3) viene fornita l’indicazione delle voci interessate dalla contabilizzazione delle variazioni del valore degli strumenti derivati detenuti per finalità di negoziazione. In conclusione, si può affermare che, nei casi in cui l’assenza di una normativa specifica in materia di strumenti derivati non sia colmata (facendo riferimento ad esempio alla normativa prevista per le banche), la capacità informativa del bilancio potrebbe risultare notevolmente ridotta, con il rischio di ritardare, a danno di tutti i soggetti che sono a vario titolo interessati all’andamento dell’impresa, la corretta percezione circa l’effettiva consistenza dei riflessi economici e patrimoniali connessi al fenomeno in oggetto. 7.2 Evoluzioni Riguardo alle informazioni di bilancio, è utile richiamare il D. Lgs. n. 394 del 2003, di attuazione della direttiva 2001/65 (cosiddetta direttiva fair value), le cui previsioni si applicheranno a partire dal 1° gennaio 2005. Tale provvedimento, che dispone norme specifiche in tema di disclosure degli strumenti finanziari, introduce l’art. 2427 – bis del codice civile, con il quale viene richiesto alle imprese (quotate e non quotate) che non valutano al fair value 2 5 gli strumenti finanziari, di indicare in nota integrativa (dei 24 E’ evidente che se lo strumento coperto è valutato al costo non verrà registrata alcuna variazione. 25 I Principi contabili internazionali definiscono il fair value come il corrispettivo al quale un’attività potrebbe essere scambiata, o una passività estinta, in una libera transazione tra parti consapevoli e indipendenti. Lo IAS 39 indica la seguente gerarchia dei criteri di stima del fair value: • l’esistenza di quotazioni pubbliche del prezzo in un mercato attivo; • l’utilizzo di tecniche valutative affidabili e comunemente adottate dagli operatori di mercato; • il prezzo di recenti transazioni di mercato tra parti consapevoli ed indipendenti; • il riferimento ai valori correnti di mercato di strumenti sostanzialmente identici; 18/01/05 29/51 ASSOCIAZIONE BANCARIA ITALIANA bilanci individuali e consolidati) il fair value dei derivati e, per le immobilizzazioni finanziarie iscritte ad un valore superiore al fair value (nel caso detto valore sia determinabile), i motivi per i quali dette immobilizzazioni non sono state svalutate; inoltre, all’art. 2428, viene aggiunta una disposizione volta a richiedere che nella relazione sulla gestione (allegata ai bilanci individuali e consolidati) siano indicate le politiche di gestione del rischio finanziario e l'esposizione a tale rischio. Conseguentemente, dai bilanci redatti dal 31/12/2005 si rinverranno informazioni utili sull’esposizione in strumenti derivati per tutte le classi di imprese. 7.3 I principi contabili internazionali Il Regolamento comunitario n. 1606/2002 impone l'obbligo, alle società europee quotate, di redigere i bilanci consolidati secondo i principi contabili internazionali IAS/IFRS, emanati dall’International Accounting Standards Board (IASB) e omologati dalla Commissione europea, a decorrere dall'esercizio 2005. Si precisa che il regolamento comunitario limita l’ambito di applicazione degli IAS alle imprese organizzate in forma societaria. Con l’entrata in vigore dei principi contabili internazionali, lo scenario normativo sopra descritto subirà delle variazioni. Infatti, le disposizioni dello IAS 39 prevedono che tutti i contratti derivati siano iscritti nello stato patrimoniale al fair value, instaurando un sistema specifico di regole contabili a seconda della finalità per la quale il derivato è stato sottoscritto. In particolare: • derivati di negoziazione; a differenza della normativa attuale i risultati delle valutazioni (variazioni del fair value) sono sempre imputati a conto economico2 6 ; • derivati di copertura; il sistema di regole previsto dallo IAS 39 per le operazioni di hedging garantisce la contabilizzazione simultanea degli utili e delle perdite rilevabili sullo strumento coperto e su quello di copertura. A tal fine, contrariamente a quanto previsto dalla normativa attuale, è lo strumento di copertura che detta le regole di contabilizzazione dello strumento coperto (che viene quindi valutato al fair value); • designazione di un’operazione di copertura; per designare uno strumento derivato come di copertura, è richiesta una formale e continua documentazione sia della strategia di risk management sia dell’efficacia della copertura stessa. Solo in presenza di tali requisiti, più stringenti rispetto a quelli previsti dalla normativa attuale 2 7 , è possibile applicare il sistema di regole previsto per tali operazioni (cosiddetto hedge accounting). • l’utilizzo di tecniche basate sull’attualizzazione dei flussi di cassa o sui modelli per il pricing delle opzioni. 26 Come indicato in precedenza, in base alla normativa attuale nell’ipotesi di utilizzo del criterio del minor valore tra costo e mercato, il conto economico è interessato solo se il valore di mercato è inferiore al costo. 27 In particolare, nella valutazione periodica dell’efficacia della copertura, lo IAS 39 indica limiti precisi (80-125%) che definiscono quanto di regola uno strumento di copertura può allontanarsi 18/01/05 30/51 ASSOCIAZIONE BANCARIA ITALIANA Infine, si segnala che le disposizioni previste dagli IAS relativamente alla disclosure sugli strumenti derivati consentiranno agli utilizzatori del bilancio di reperire informazioni utili per apprezzare l’operatività dell’impresa in tale comparto. L’estensione dell’applicazione degli IAS a soggetti diversi dai gruppi quotati è disciplinata dall’art. 25 della Legge Comunitaria 2003, che delega al governo la facoltà di estendere l’ambito di applicazione degli IAS ad altri soggetti rispetti a quanto previsto dal Regolamento comunitario 1606/2002; lo schema di decreto legislativo di attuazione dei criteri di delega dettati dall’art. 25 della legge comunitaria 2003, approvato dal Consiglio dei Ministri il 26 novembre scorso e in attesa di ricevere il parere delle competenti commissioni di Camera e Senato, prevede quanto segue: 1) per le società emittenti strumenti finanziari quotati in mercati regolamentati, le società aventi strumenti finanziari diffusi preso il pubblico, nonché le banche e gli intermediari finanziari vigilati, l’obbligo di applicazione dei principi contabili internazionali nella redazione del bilancio consolidato, a partire dall’esercizio 2005, e nella redazione del bilancio d’esercizio, a partire dal 2006 nonché la facoltà di applicare i principi contabili internazionali nella redazione del bilancio di esercizio 2005; 2) per le società assicurative, l’obbligo di redazione del bilancio consolidato secondo i principi contabili internazionali a partire dall’esercizio 2005. Per quanto riguarda il bilancio di esercizio, invece, è previsto l’obbligo di applicare i principi contabili internazionali a partire dall’esercizio 2006 solo nel caso in cui la società sia quotata e non rediga il bilancio consolidato; 3) per le società diverse da quelle sopra indicate e di dimensioni superiori a quelle che consentono la redazione del bilancio in forma abbreviata è prevista la facoltà di applicare i principi contabili internazionali. In particolare: • per le società incluse nel bilancio consolidato delle società quotate, la facoltà può essere esercitata già dall’esercizio 2005; • per le società non quotate che redigono il bilancio consolidato nonché per quelle incluse nel gruppo, la facoltà di applicare i principi contabili internazionali, a partire dall’esercizio 2005; • per le società diverse dalle precedenti la facoltà di applicare i principi contabili internazionali nella redazione del bilancio di esercizio. La fissazione dell’esercizio a partire dal quale tale facoltà potrà essere esercitata è demandata ad un successivo decreto dei Ministri dell’economia e delle finanze e della giustizia. Alla luce di quanto appena detto, il sistema bancario vede con favore l’applicazione dei Principi contabili internazionali (IAS) da parte di tutte le imprese che pongono in essere operazioni in strumenti derivati. Le disposizioni contenute negli IAS, infatti, assicurano un’adeguata rappresentazione in bilancio delle operazioni in strumenti derivati e, quindi, la possibilità di reperire informazioni dettagliate sull’operatività in tali strumenti. A tal fine, il sistema bancario auspica l’emanazione in tempi brevi del dalla copertura perfetta nel compensare le variazioni dello strumento coperto, senza che ciò comprometta l’efficacia della copertura stessa. 18/01/05 31/51 ASSOCIAZIONE BANCARIA ITALIANA decreto dei Ministri dell’economia e delle finanze e della giustizia previsto dallo Schema di decreto legislativo (che estende la facoltà di applicazione dei principi contabili internazionali alle imprese di piccole dimensioni) e che l’esercizio delle facoltà previste dal citato schema di decreto legislativo da parte delle imprese non obbligate all’applicazione di tali principi, venga incentivato, anche attraverso specifiche raccomandazioni, ad opera dei relativi rappresentanti di categoria. Infine, si segnala che lo IASB (International Accounting Standard Board), l’organismo che emana i Principi Contabili Internazionali, ha avviato un progetto volto a definire degli standard internazionali comuni per le Small and Medium-sized Entities. Tale progetto è solo alle fasi iniziali. 7.4 Gli enti locali Non essendoci vincoli normativi in tema di contabilizzazione da parte degli enti locali delle somme risultanti dall’utilizzo degli strumenti derivati, ogni ente decide il proprio metodo di contabilizzazione richiamandolo opportunamente nell’ambito del proprio regolamento di contabilità. In generale la soluzione più appropriata, a quanto risulta adottata in via generalizzata, è quella di contabilizzare solo i differenziali che si generano nell’operazione anno per anno. Se il differenziale assume valore positivo, la contabilizzazione ha luogo nel Titolo III, categoria 5, trattandosi di entrate extratributarie; se il differenziale, di contro, assume valore negativo, l’iscrizione interessa il Titolo I della Spesa, intervento 06 “interessi passivi ed oneri finanziari diversi”. 18/01/05 32/51 ASSOCIAZIONE BANCARIA ITALIANA CAPITOLO 3 - I FATTI 1. Un’analisi del quadro macroeconomico-finanziario degli ultimi anni Andando ad esaminare la dinamica macroeconomica e finanziaria delle principali aree economiche internazionali si scopre facilmente che negli ultimi 5/6 anni vi è stato un turbamento dello status quo precedentemente esistente. A tali cambiamenti hanno contribuito sia fattori prettamente economici-finanziari - quali l’eccezionale crescita industriale registrata dalla Cina, nonché lo “scoppio” della bolla speculativa sui mercati azionari internazionali – ma anche fattori geopolitici – come l’11 settembre e la conseguente lotta globale al terrorismo intrapresa dagli Stati Uniti. Dopo una tal serie di eventi straordinari la capacità degli analisti e degli operatori economici di capire, attraverso i segnali del mercato, quali potessero essere le evoluzioni nei tassi di crescita macroeconomica delle principali economie, nonché dei tassi d’interesse e di cambio di riferimento, è andata nettamente indebolendosi. A solo titolo di esempio, si possono osservare le previsioni sui tassi di crescita macroeconomica effettuate dal Fondo Monetario Internazionale, relativamente alle principali economie mondiali, per l’anno 2001 (cfr. tabella A1). Confrontando le stime di crescita con le effettive realizzazioni si rilevano degli scostamenti di previsione pari, mediamente, a quasi il 67%. Tab. 11 Errore di previsione del FMI sulla crescita reale del Pil - dati riferiti al 2001 previsioni (a)* dato effettivo (b) Differenza (b-a) Stati Uniti 3,0 1,2 -1,8 Giappone 1,8 -0,4 -2,2 Germania 3,3 0,6 -2,7 Francia 3,1 2,0 -1,1 Italia 2,8 1,8 -1,0 Media -1,8 * Tratte dall' IMF - World Economic Outlook - maggio 2000. Fonte: Elaborazioni ABI su dati Fondo Monetario Internazionale. Forti cambiamenti vi sono stati anche sulla struttura dei tassi d’interesse e su quella dei tassi di cambio, anche e soprattutto a seguito dell’introduzione dell’euro e del conseguente accentramento della politica monetaria presso la Banca Centrale Europea. In particolare, i tassi d’interesse hanno manifestato, fino a tutto il 2000, una tendenza crescente, per poi invece flettere verso i valori storicamente bassi registrati di recente (cfr. Fig. 4). Tale andamento non è stato previsto dagli operatori internazionali: osservando difatti il tasso implicito desumibile dalle quotazioni, relative al maggio del 2000, del contratto futures sul tasso interbancario a 3 mesi - scambiato sul mercato tedesco dei prodotti derivati (Eurex) – si rileva che gli agenti economici prevedevano, per la fine del 2001 e del 2002, tassi d’interesse di 2-2,5 punti 18/01/05 33/51 ASSOCIAZIONE BANCARIA ITALIANA percentuali più elevati di quelli effettivamente osservati, quindi con un errore di stima del 100%. Per quanto attiene al tasso di cambio dell’euro verso il dollaro si osserva, invece, che questo ha avuto un andamento cosiddetto ad “U”, cioè fin dall’introduzione dell’euro avvenuta nel 1999 - questo ha manifestato una svalutazione nei confronti del dollaro; le quotazioni sono scese ampiamente al di sotto della soglia unitaria, valore ritenuto da molti analisti come il livello d’equilibrio tra euro e dollaro. A partire però dalla prima metà del 2002 le quotazioni dell’euro hanno avuto una forte accelerazione, fino a registrare un apprezzamento tra il valore minimo e quello massimo di circa il 50%. Ad incidere fortemente sul deprezzamento del dollaro nei confronti dell’euro hanno agito in particolar modo le scelte di politica economica attuate dagli Stati Uniti, a loro volta legate all’inaspettata esigenza di dover finanziare una spesa bellica in notevole incremento dopo gli eventi dell’11 settembre. Fig. 4 Area Euro: tasso interbancario e tasso di cambio euro-dollaro Euribor 3M Tasso di cambio euro-dollaro 5,3 1,30 1,25 4,8 1,20 4,3 1,15 1,10 3,8 1,05 3,3 1,00 2,8 0,95 0,90 2,3 0,85 1,8 0,80 dic-98 dic-99 dic-00 dic-01 dic-02 dic-03 Fonte: Elaborazioni ABI su dati Thomson Financial Datastream. Anche l’evoluzione dei mercati azionari ha avuto un importante ruolo nel determinare uno stato di incertezza tra gli operatori economici. Alla forte crescita dei corsi azionari registrata fino ai primi mesi del 2000 ha fatto seguito una continua diminuzione, che ha toccato il punto di minimo tra la fine del 2002 e gli inizi del 2003 (cfr. Fig. 5). 18/01/05 34/51 ASSOCIAZIONE BANCARIA ITALIANA Fig. 5 Andamento del Mibtel e delle quotazioni dell'oro Mibtel Oro - Indice Gold Bullion (dollari per oncia - scala dx) 35.000 425 32.000 400 29.000 375 26.000 350 23.000 325 20.000 300 17.000 275 14.000 250 dic-98 dic-99 dic-00 dic-01 dic-02 dic-03 Fonte: Elaborazioni ABI su dati Thomson Financial Datastream. Il forte grado di incertezza indotto sui mercati da un siffatto contesto macroeconomico e finanziario è ben sintetizzato dall’evoluzione delle quotazioni dell’oro, il bene rifugio per eccellenza, che nell’arco di circa 3 anni ha visto quasi raddoppiare il suo valore (cfr. Fig. 5). 2. Il ricorso delle PMI a strumenti di copertura L’alea presente sui mercati è andata dunque ampiamente diffondendosi, rendendo negli ultimi anni sempre più difficile prevedere e valutare i futuri andamenti di mercato, generando spesso previsioni che in molti casi si sono rivelate, ex post, del tutto errate. Ad esempio, alcune scelte di investimento, e le relative operazioni di copertura dai rischi di mercato attraverso i contratti derivati, sono state prese sulla base di aspettative di una ripresa economica vigorosa per l’Italia e l’intera Area Euro; il mancato verificarsi di tali attese ha provocato, in taluni casi, costi – nella forma di perdite finanziarie – sostenuti per la copertura di rischi che si sono rilevati infondati, quali l’innalzamento dei tassi d’interesse o la svalutazione dell’euro. Anche le piccole e medie imprese non sono sfuggite al quadro di incertezza che ha caratterizzato gli ultimi anni. In particolare, soprattutto le imprese con finanziamenti a tasso variabile, per le quali dunque la prevista ripresa dei tassi di interesse avrebbe generato un costo crescente di indebitamento, hanno iniziato verso la fine dello scorso decennio a richiedere strumenti di copertura dai rischi di tasso e, seppur in misura minore, di cambio. Tali previsioni, suffragate da un lato dalla crescita dei tassi registrata nel periodo 1998- 2000 e dall’altro da una curva dei tassi di interesse a termine crescente che mostrava livelli futuri dei tassi più alti di quelli correnti, hanno dunque indotto tali imprese a stipulare contratti derivati con finalità di copertura, ed in particolare contratti di Interest Rate Swap con i quali le imprese hanno potuto trasformare 18/01/05 35/51 ASSOCIAZIONE BANCARIA ITALIANA l’indebitamento a tasso variabile in una esposizione a tasso fisso.A titolo esemplificativo si consideri, infatti, che sino al culmine raggiunto dai tassi di interesse nella seconda metà del 2000, il tasso di interesse Euribor a 12 mesi è sempre risultato più elevato dei corrispondenti tassi a 3 e a 6 mesi (si veda il grafico sottostante in Fig. 6), riflettendo l’opinione prevalente del mercato di una crescita dei tassi nel medio/lungo periodo. Fig. 6 ANDAMENTO DELL'EURIBOR (1999-2004) 5,500 5,000 1 Month 6 Month Punti percentuali 4,500 12 Month 4,000 3,500 3,000 2,500 2,000 30 /12 /19 30 98 /03 /19 30 99 /06 /19 30 99 /09 /19 30 99 /12 /19 30 99 /03 /20 30 00 /06 /20 30 00 /09 /20 30 00 /12 /20 30 00 /03 /2 30 001 /06 /20 01 30 /09 /20 30 01 /12 /20 30 01 /03 /20 30 02 /06 /20 30 02 /09 /20 30 02 /12 /20 30 02 /03 /20 30 03 /06 /20 30 03 /09 /20 30 03 /12 /20 30 03 /03 /20 30 04 /06 /20 30 04 /09 /20 04 1,500 Data Dalla fine del 2000, invece, contrariamente a quanto il mercato si aspettava, i tassi di interesse hanno mostrato una inversione di tendenza che ha gradualmente portato i tassi di interesse ai livelli di oggi. L’andamento non atteso dei tassi ha, conseguentemente, determinato effetti negativi per le imprese con finanziamenti a tasso variabile coperti con contratti di swap, in forza dei quali si sono trovate a dover sostenere esborsi a tassi fissi elevati anziché a tassi variabili in diminuzione. Al fine di comprendere il fenomeno sopra descritto, si è ritenuto opportuno avviare, presso un campione di banche italiane attive nell’offerta di derivati alle imprese e agli Enti Locali, una indagine volta a comprendere sia gli aspetti prettamente quantitativi nonché conoscere le prassi adottate nei rapporti con le piccole e medie imprese 2 8 . I dati e le considerazioni che seguono sono, pertanto, riferiti a tale specifico campione di indagine ma, considerata la sua elevata rappresentatività, si ritiene che rappresenti una ottima stima della totalità del fenomeno. 28 In particolare, sono stati raccolti dati e informazioni (al 30 giugno 2004) da complessive sette banche, che rappresentano per attivi di bilancio più del 40 per cento del sistema bancario (dati BilBank al 31/12/02). Si stima, inoltre, che esse rappresentino la maggior parte delle banche attive nell’offerta di derivati alle PMI e agli EE.LL., fornendo quindi un quadro affidabile del mercato dei prodotti derivati. 18/01/05 36/51 ASSOCIAZIONE BANCARIA ITALIANA Tab. 12 DERIVATI ALLE PMI Numero di PMI con derivati Percentuale rispetto al totale delle PMI italiane Dimensione media del fatturato Ammontare medio dei finanziamenti erogati Percentuale dei finanziamenti coperti Percentuale di imprese classificate come qualificato” 36.769 1% 7,87 milioni di Euro 1,1 milioni di Euro 39,6 % “operatore 91% Numero di contratti derivati conclusi con le PMI Valore nozionale Valore nozionale medio Percentuale dei contratti in essere con finalità di copertura 69.048 89,4 miliardi di Euro 1,3 milioni di Euro 90,83 % Valore nozionale degli strumenti derivati presso il sistema 4.367 bancario (fine 2003) Euro Percentuale di derivati conclusi con le PMI 2% Fonte: Elaborazione ABI su dati forniti dalle banche al 30/06/04 miliardi di Il campione delle banche preso in considerazione ha in essere contratti derivati con circa 36.000 imprese di piccole e medie dimensioni 2 9 . Si stima che tale insieme costituisca una bassissima percentuale della popolazione delle PMI italiane, non superiore a circa l’1%3 0 . In particolare, la dimensione media del fatturato delle imprese considerate nel campione si aggira attorno agli 8 milioni di euro, con rapporti di finanziamento bancario per un valore medio di poco superiore il milione di euro. La conclusione di contratti derivati da parte delle imprese ha riguardato circa il quaranta percento dei finanziamenti erogati, il 90 per cento dei quali ha finalità di copertura dai rischi tipici (rischio di tasso e rischio di cambio). Due delle banche intervistate, inoltre, hanno effettuato operazioni con PMI per immunizzare i rischi relativi a finanziamenti concessi da altri istituti. In particolare, sono stati conclusi circa 69 mila contratti derivati, per un valore nozionale complessivo di 89 miliardi di euro (circa 1,3 mil. di euro il valore medio per contratto). L’ammontare dei derivati conclusi dalle imprese bancarie con PMI è pari a circa il 2 per cento della consistenza di strumenti derivati presso il sistema bancario a fine 2003, pari a circa 4.367 miliardi di Euro 3 1 . Se si considera in particolare la parte di tale consistenza conclusa con imprese residenti, pari a 233,7 miliardi di Euro, la parte di derivati conclusi con piccole e medie imprese è di circa il 38 per cento. 29 Ai fini dell’indagine, sono state considerate PMI le imprese aventi al massimo 250 dipendenti ed un fatturato inferiore a 40 mln di euro, in linea con la definizione della Commissione Europea. 30 Il dato costituisce una stima approssimativa ed è stato calcolato considerando il numero di imprese fino a 250 addetti esistenti in Italia nel 2002, pari a 4.221.414 unità (Fonte ISTAT) 31 Segnalazioni statistiche e di vigilanza – Cfr. Audizione della Banca d’Italia presso la Commissione Finanza del 16 dicembre 2004. 18/01/05 37/51 ASSOCIAZIONE BANCARIA ITALIANA Le tipologie più utilizzate dalle PMI per la copertura dei rischi sono state, per quanto riguarda i rischi legati ai tassi di interesse, gli Interest Rate Swap (IRS), sia nella forma semplice (c.d. plain vanilla) che strutturate con opzioni cap, floor e collar o le opzioni su tassi di interesse. Per quanto, invece, concerne i rischi valutari, sono state principalmente utilizzate opzioni su tassi di cambio, sia semplici che strutturate. Per immunizzare le imprese, in maniera contestuale, dai rischi di tasso e da quelli di cambio, sono stati anche utilizzati Cross Currency Swap. Le principali politiche commerciali adottate dalle banche nella conclusione di contratti derivati con le PMI sono prevalentemente orientate ad offrire alla propria clientela servizi di gestione del rischio ovvero strumenti per limitare l’onerosità associata alle posizioni debitorie. Tutte le banche intervistate hanno adottato specifiche regole di comportamento e procedure interne per la vendita dei derivati alle imprese, finalizzate ad accertare la coerenza dell’offerta con le caratteristiche del cliente. Il 91 percento della clientela alla quale sono stati offerti prodotti di gestione dei rischi è stata classificata dalle banche “operatore qualificato”. Con l’evoluzione, avvenuta negli ultimi tempi, dell’offerta e il cresciuto interesse da parte delle imprese di prodotti derivati, molte banche hanno apportato miglioramenti alle proprie procedure commerciali, prevedendo particolari procedure e requisiti per valutare l’affidabilità e l’adeguatezza dei clienti con cui concludere contratti derivati. Spesso, accanto all’autocertificazione prevista dalla normativa Consob 3 2 , alcune banche hanno iniziato a richiedere requisiti aggiuntivi, ad esempio, in termini di affidamenti complessivi, totale di bilancio, patrimonio netto, fatturato, forma societaria, espressa previsione nello statuto della possibilità per la società di svolgere attività in derivati. L’utilizzo di criteri quantitativi da parte delle banche, basati su classi dimensionali, nella decisine di offrire determinati prodotti alle imprese è stata anche riscontrata dalla Consob nell’ambito dell’indagine svolta e presentata in occasione dell’audizione del 12 gennaio u.s.. Nell’attività pre-contrattuale, le strutture commerciali che gestiscono i rapporti con la clientela hanno normalmente cura di illustrare alle imprese i benefici ed i rischi finanziari potenziali impliciti nell’operazione offerta, valutando la consapevolezza e la corretta formazione della volontà del sottoscrittore. Le operazioni in derivati sono assistite da specifiche linee di credito, a garanzia di potenziali esborsi futuri del cliente con il quale è stato concluso il contratto derivato. Tale garanzia non viene richiesta quando l’impresa abbia acquistato una opzione, considerato che il pagamento iniziale dell’importo del premio costituisce il massimo esborso da parte dell’acquirente, mentre viene normalmente prevista nei casi di vendita di contratti di opzione e di contratti di swap. L’ammontare del fido viene stabilito in percentuale del valore nozionale del derivato, generalmente sulla base della durata del contratto derivato. Le metodologie utilizzate possono variare da sistemi più semplici, quali l’applicazione di una percentuale fissa per ogni anno di durata del contratto a sistemi più sofisticati di valutazione del rischio 3 3 . Nel primo caso, ad esempio, un contratto di durata quinquennale di valore nominale di 1.000.000 Euro 32 Si veda il capitolo quarto per una trattazione degli obblighi regolamentari. Le metodololgie più complesse si basano sulla determinazione della esposizione potenziale del soggetto, la c.d. “ future potential exposure”. 33 18/01/05 38/51 ASSOCIAZIONE BANCARIA ITALIANA viene garantito attraverso una linea di credito di 50.000 Euro, pari all’1 % per ciascun anno di vita del contratto. La banca sottopone a verifica periodica l’esposizione potenziale dell’impresa, calcolando il valore corrente del contratto derivato in essere (il c.d. mark-to-market), decurtando, se negativo, la linea di credito aperta per un importo corrispondente. In particolare, vengono frequentemente utilizzati sistemi informatici on-line di monitoraggio del valore corrente delle posizioni del cliente, con l’obiettivo di identificare prontamente eventuali situazioni di criticità e, eventualmente, proporre azioni correttive al cliente. Alcune banche prevedono, al verificarsi di determinati eventi, ad esempio il raggiungimento di un livello di utilizzo della linea di credito accordata, la richiesta al cliente di corrispondere ulteriori garanzie ovvero la chiusura delle posizioni. Riprendendo l’esempio sopra indicato, nel caso in cui il contratto derivato dovesse presentare perdite potenziali, e quindi avere un valore di mercato (mark-to-market) negativo, per un importo prossimo a 50.000 Euro, pari alla linea di credito accordata, al cliente verrà chiesto di ricostituire le garanzie iniziali. Il campione di banche intervistato ha evidenziato un bassissimo livello di reclami, sino ad ora ricevuti, se confrontato con il numero di clienti e di contratti conclusi, pari a circa il solo 0,74% rispetto al numero delle PMI a cui tali contratti sono stati offerti. E’ stato riportato un solo caso di contenzioso. Tra i motivi delle lamentele presentate sono stati riscontrati con maggiore frequenza: scarsa comprensione o carente informativa sul prodotto ovvero imperfezioni formali nella conclusione dei contratti (ad es. mancanza del potere di firma). L’esiguo numero di situazioni critiche è stato peraltro confermato dai dati forniti dalla Consob nella propria audizione, sulla base dei quali si apprende che una bassissima percentuale degli esposti pervenuti dal 2002 (30 casi su 9000 relativi alla prestazione dei servizi di investimento) ha riguardato tale operatività. Dall’esame dei dati forniti dalle banche è emerso che, in certi casi, operazioni in derivati su tassi di interesse (tipicamente swap) sono state, su richiesta delle imprese stesse, oggetto di rinegoziazione. Questo tipo di operazioni rappresenta per l’impresa una opportunità di rivedere la propria posizione, al fine di rimodulare il contratto esistente in maniera più consona alla propria situazione debitoria ovvero alle mutate condizioni di mercato dei tassi di interesse o dei cambi. Dal punto di vista operativo, la rinegoziazione si sostanzia nella chiusura del contratto originario e la conclusione di un nuovo contratto, che sostituisce il primo, con diverse caratteristiche. Per l’estinzione del contratto originario, l’impresa dovrebbe saldare alla banca il suo valore corrente di mercato (il c.d. mark-to-market)3 4 . Tale esborso può essere evitato laddove il nuovo contratto sia concluso a condizioni (di tasso, di durata e/o di ammontare nozionale) tali che esso generi sin dall’inizio un valore di mercato positivo (c.d. up-front) pari al valore di mercato negativo del contratto estinto. 34 In generale, in caso di chiusura anticipata di un contratto swap il valore di mercato è sempre dovuto dalla controparte in perdita (per la quale tale valore assume segno è negativo) alla controparte in attivo (per la quale il mark-to-market ha segno positivo). 18/01/05 39/51 ASSOCIAZIONE BANCARIA ITALIANA 3. Derivati agli Enti Locali Dall’indagine compiuta presso il campione di banche italiane maggiormente operative nell’offerta di derivati alle imprese e agli EE.LL. (si veda il precedente capitolo 2) è emerso che gli enti locali che hanno in essere contratti derivati, conclusi con il campione di banche interessate, sono poco più di 800 (pari a circa il 10 per cento degli Enti Locali italiani), per complessivi 1085 contratti con un valore nozionale complessivo di circa 12,4 miliardi di Euro. L’attività in derivati, finalizzata alla gestione dei rischi di tasso di interesse, si è concentrata su Interest Rate Swap (IRS) strutturati con opzioni implicite (cap, floor, collar). Alcune banche del campione hanno comunque evidenziato di aver iniziato ad offrire prodotti derivati agli EE.LL. solo dopo l’emanazione del D.M. 389/03 e della Circolare Ministeriale del 27/5/04. Le politiche commerciali adottate dalle banche e le tipologie di prodotti offerti riflettono la stringente normativa appena citata. Come nel caso delle PMI, anche nei confronti degli EE.LL. le banche adottano sistemi di monitoraggio periodico delle esposizioni creditizie e del valore corrente delle operazioni derivate in essere. Tab. 13 DERIVATI ALLE EE.LL. Numero di EE.LL. con derivati Percentuale rispetto al totale degli EE.LL. italiani Ammontare medio dei finanziamenti erogati Percentuale dei finanziamenti coperti Numero di contratti derivati conclusi con gli EE.LL. Valore nozionale 831 10,3 % 79,7 milioni di Euro 39,6 % 1.143 14,813 miliardi Euro Valore nozionale medio 13 milioni di Euro Fonte: Elaborazione ABI su dati forniti dalle banche al 30/06/04 18/01/05 di 40/51 ASSOCIAZIONE BANCARIA ITALIANA CAPITOLO 4 - IL QUADRO NORMATIVO DI RIFERIMENTO E LA PRASSI CONTRATTUALE 1. La disciplina positiva Come precisato nel par. 2.2., il nostro ordinamento considera un contratto derivato non già un contratto di finanziamento, soggetto quindi alla disciplina contenuta nel Testo unico bancario (d. lgs. 385/1993) ma uno “strumento finanziario”, rientrante nell’elencazione contenuta nell’art. 1 del Tuf. Questa tipologia di strumenti finanziari, nella prassi, raramente è negoziata tra due soggetti privati. Le caratteristiche del mercato, che riposa sulla presenza di operatori specializzati, fanno sì che, in prevalenza, le operazioni si concludano tra intermediari, o con l’intervento di almeno un intermediario. In quest’ultimo e più frequente caso, la normativa in tema di prestazione di servizi di investimento, contenuta nel Testo Unico della Finanza (Tuf) (artt. 21-31) e nei Regolamenti attuativi (del. Consob 11522/1998 e succ. mod., di disciplina degli Intermediari), trova piena applicazione. In via preliminare alla disamina della disciplina, tuttavia, si impone un’altra considerazione di fondo: per le sue caratteristiche e finalità, il contratto derivato è stipulato prevalentemente con soggetti che possono vantare un livello significativo di esperienza nel settore degli strumenti finanziari. Tali soggetti possono rivestire lo status di “operatori qualificati” ai sensi dell’art. 31 del citato Regolamento Consob Intermediari. Ai sensi del comma 2 dell’art. 31 del Regolamento Intermediari, in particolare, sono operatori qualificati: a) gli intermediari autorizzati, le società di gestione del risparmio, le SICAV, i fondi pensione, le compagnie di assicurazione, i soggetti esteri che svolgono in forza della normativa in vigore del proprio Stato d’origine le attività svolte dai soggetti di cui sopra, le società e gli enti emittenti strumenti finanziari negoziati in mercati regolamentati, le società iscritte negli elenchi di cui agli artt. 106, 107 e 113 del Tub, i promotori finanziari, le persone fisiche che documentino il possesso dei requisiti di professionalità stabiliti dal Testo Unico per i soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione e controllo presso società di intermediazione mobiliare, le fondazioni bancarie. Tali soggetti sono considerati di per sé professionali, salvo che chiedano di essere trattati come non professionali (retail); b) ogni società o persona giuridica in possesso di una specifica competenza ed esperienza in materia di operazioni in strumenti finanziari, espressamente dichiarata per iscritto dal legale rappresentante. Questi investitori possono essere trattati come professionali solo se lo richiedono espressamente. L’elencazione di cui al punto a) non comprende in maniera inequivoca alcune importanti tipologie di controparti con cui l’intermediario può stipulare contratti derivati e, cioè, le piccole e medie imprese (PMI), le Regioni e gli enti locali territoriali 3 5 . Da ciò, come meglio si vedrà nel prosieguo, l’esigenza per l’intermediario 35 Invero la norma, nel parlare di società e di "enti emittenti strumenti finanziari negoziati in mercati regolamentati", legittima la riconduzione dell'ente locale nell'elenco di cui alla lett. a) dell'art. 31: si ricorda infatti che i richiamati enti sono abilitati ad emettere titoli obbligazionari 18/01/05 41/51 ASSOCIAZIONE BANCARIA ITALIANA di dotarsi di regole ulteriori rispetto alle indicazioni desumibili dal dato normativo allorché propria controparte sia uno dei soggetti ora indicati. Tornando al contenuto della disciplina Consob, ai sensi del comma 1 dell’art. 31 del Regolamento Intermediari nei rapporti tra intermediari e operatori qualificati non si applicano una serie di disposizioni relative, in particolare, all’informativa precontrattuale ed in costanza di rapporto, agli obblighi di best execution, ai doveri di rendicontazione 3 6 Il principio che sta alla base della disapplicazione delle disposizioni sopra indicate è contenuto nell’art. 6, comma 2 Tuf, ed quello in base al quale le regole di comportamento cui gli intermediari sono tenuti devono essere graduate tenuto conto delle differenti esigenze di tutela degli investitori, connesse alla loro “qualità ed esperienza professionale”. D’altro canto, è intuitivo che trattare un investitore che possieda un buon livello di esperienza e conoscenza della attività in strumenti finanziari come un cliente “comune” può risolversi nell’applicazione di regole non necessarie e, per tale via, costituire fonte di rigidità operative e di incremento dei costi di intermediazione. Si osservi, tuttavia, che nella disciplina dei servizi di investimento la natura “professionale” del cliente comporta la disapplicazione solo di talune regole di comportamento, e non già l’intera sottrazione del servizio alla relativa disciplina: i rapporti tra intermediari ed operatori qualificati sono pertanto soggetti, oltreché alle norme relative ai singoli servizi non espressamente dichiarate inapplicabili, alle seguenti disposizioni generali. Doveri di diligenza e correttezza – Senza distinguere la natura della controparte e come nella vendita di qualunque altro strumento finanziario, anche nell’ipotesi in cui il servizio prestato abbia ad oggetto un derivato, l’intermediario è tenuto ad osservare il dovere di comportarsi con “diligenza, correttezza e trasparenza, nell'interesse dei clienti e per l'integrità dei mercati”, di cui alla lett. a) dell’art. 21 Tuf. L’art. 21 costituisce un’applicazione specifica della disciplina civilistica di cui agli artt. 1175 e 1176 del codice civile 3 7 : trattandosi di disposizioni che avrebbero comunque trovato attuazione in base a regole di diritto comune, il loro espresso richiamo nell’ambito del Testo unico è stato ricondotto alla volontà del legislatore di rendere direttamente perseguibile da parte dell’autorità amministrativa di controllo la violazione dei predetti canoni. (Bcc, Bor, Bop) quotabili sui mercati regolamentati. Ciononostante, attesa la particolare natura del soggetto "ente locale" e le cautele che tradizionalmente circondano l'operatività con tale tipo di clientela, gli intermediari applicano tali indicazioni normative (la possibilità di emettere titoli quotabili) in concorso con altri elementi, desumibili di volta in volta dal caso concreto. 36 In particolare, nei rapporti con “operatori qualificati” non trovano applicazione le disposizioni di cui agli artt. 27, 28, 29,30, comma 1, fatta eccezione per il servizio di gestione, e commi 2 e 3, 32, commi 3, 4 e 5, 37, fatta eccezione per il comma 1, lett. d) , 38, 39, 40, 41, 42, 43, comma 5 lett. b), comma 6 primo periodo e comma 7, lett. b) e c) , 44, 45, 47, comma 1, 60, 61 e 62. 37 L’art. 1175 c.c. recita: “Il debitore ed il creditore devono comportarsi secondo le regole della correttezza”. L’art. 1176 c.c. recita: “Nell’adempiere l’obbligazione il debitore deve usare la diligenza del buon padre di famiglia. Nell’adempimento delle obbligazioni inerenti l’esercizio di un’attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata”. 18/01/05 42/51 ASSOCIAZIONE BANCARIA ITALIANA Tali doveri permeano l’attività dell’intermediario in senso assoluto e, quindi, la loro sussistenza prescinde dalla circostanza che si versi nell’ambito di un rapporto con un operatore qualificato oppure no. Dovere di diligenza – E’ opportuno ricordare che a venire in questione è la diligenza del professionista, quindi più rigorosa, e non già quella generica del buon padre di famiglia. La giurisprudenza ha interpretato la nozione di “diligenza professionale” in maniera molto severa, identificandola con quella di perizia 3 8 . Dovere di correttezza - Più specificamente, il principio di correttezza richiama comportamenti che devono adeguarsi alle circostanza del caso concreto. La nozione di correttezza viene fatta coincidere con quella di “buona fede oggettiva”, dalla quale si fanno discendere obblighi che interessano ogni fase del rapporto con l’investitore. Così: - nella fase precontrattuale, viene in questione un dovere di lealtà, finalizzato ad impedire che nel cliente siano suscitati falsi affidamenti; - nelle successive fasi di formazione ed esecuzione del negozio giuridico, viene in questione un obbligo di protezione da parte dell’intermediario, inteso come dovere di tutelare l’integrità della sfera degli interessi del proprio cliente. Dovere di comportarsi nell’interesse del cliente e per l’integrità dei mercati Riprendendo una disposizione già presente nella legge n. 1/1991, anche il Tuf intende i doveri di correttezza, diligenza e trasparenza come funzionali alla cura dell’interesse del cliente. Quanto al rispetto dell’“integrità dei mercati”, la norma non può certo intendersi nel senso di porre in capo agli intermediari una responsabilità per il corretto andamento dei mercati nel loro complesso; piuttosto, essa è stata interpretata nel senso di richiedere all’intermediario un comportamento che non si ponga in contrasto con l’ordinato svolgimento dei mercati su quali opera. La norma primaria è stata attuata secondo questa interpretazione nella regolamentazione secondaria: secondo l’art. 26 Reg. Intermediari, infatti, gli intermediari “rispettano le regole di funzionamento dei mercati in cui operano”. Letta in questa prospettiva, la norma è allora idonea a rafforzare il legame che sussiste tra la disciplina dei comportamenti relativamente ai rapporti con i clienti, da un lato, ed il comportamento osservato dall’intermediario nell’operare sui mercati, dall’altro. I due profili risultano tra di loro collegati: il perseguimento dell’interesse del cliente richiede che il soggetto operi in modo da non violare le regole di ordinato svolgimento dei mercati. 38 Alla luce delle indicazioni giurisprudenziali in tema, quindi, la mancata diligenza professionale si traduce in imperizia, illustrata con le seguenti massime consolidate: l’imperizia presuppone l’esercizio di una professione o di un’arte e si risponde a tale titolo quando l’agente, essendogli nota la deficiente abilità professionale, agisce mentre sa di non essere capace di operare; la colpa professionale è ravvisabile nell’errore inescusabile, cioè nel difetto della necessaria abilità tecnica ovvero nella mancata applicazione di quelle cognizioni generali e fondamentali attinenti all’esercizio della professione; l’omessa adozione di una tecnica, acquisita senza contrasti dalla prassi professionale, integra la violazione della diligenza professionale del regolato ed accorto professionista. 18/01/05 43/51 ASSOCIAZIONE BANCARIA ITALIANA Infine, l’accezione “mercato” va intesa in senso lato, non essendo riferita soltanto ai “mercati regolamentati” ma, più ampiamente, al mercato dei capitali. Come meglio verrà detto nel paragrafo che segue, solitamente nei rapporti con PMI ed enti locali si è ritenuto possibile applicare la disciplina sulle controparti qualificate non in via automatica, ma a seguito di un obbiettivo esame della circostanze del caso concreto. In questo senso, si sottolinea che le banche, avvalendosi della loro esperienza nel settore, hanno ritenuto opportuno ispirare il loro comportamento a rigorosi canoni di correttezza e di diligenza professionale, ponendo in essere accorgimenti e procedure per apprestare un servizio il più possibile attento alla cura dell’interesse di tale tipo di clientela e attribuendo lo status di operatore qualificato – con sottoscrizione della relativa dichiarazione ai sensi della lett. b) del comma 2 dell’art. 31 – solo a seguito di una obiettiva considerazione del livello di esperienza e conoscenza nel settore delle securities che si manifestava nel caso concreto. 2. La finanza locale L’utilizzo dei derivati da parte della pubblica amministrazione è un fenomeno piuttosto recente originato dall’esigenza, sempre più avvertita dai soggetti pubblici, di adottare politiche di gestione dinamica e manageriale delle attività e passività finanziarie. In questo senso, tale operatività si inserisce in un processo evolutivo volto alla aziendalizzazione degli enti, che può farsi risalire alle norme che hanno sancito, nel decennio scorso, principi di autonomia statutaria e finanziaria, il passaggio da una finanza “derivata” dallo Stato ad una fondata su risorse proprie, l’accollo pressoché totale al bilancio degli enti degli oneri di ammortamento dei mutui e prestiti, il progressivo superamento del sistema di tesoreria unica con recupero di margini di gestione della liquidità. Gli enti hanno dunque cominciato ad avvertire la necessità di adottare tecniche di ristrutturazione del debito pregresso da tempo in uso presso i soggetti privati, realizzando una gestione attiva del debito volta a diminuire gli oneri finanziari delle operazioni di indebitamento, a coprire il rischio di volatilità dei tassi di interesse, a perseguire una struttura equilibrata e dinamica di portafoglio. Per l’uso dei derivati si è subito posto il problema della assenza di indicazioni normative, circostanza questa che ha indotto, in relazione alle prime esperienze, ad ampi dibattiti sulla materia per un suo corretto e cautelativo inquadramento nella disciplina di finanza locale, regolante, in modo puntuale, la gestione finanziaria e contabile degli enti e, specificatamente, i limiti di indebitamento e i vincoli di destinazione delle risorse pubbliche. La prima espressione positiva in materia si è registrata nell’ambito dell’art. 41 della legge finanziaria per l’anno 2002 (legge 28 dicembre 2001, n. 448) il quale ha demandato ad un apposito decreto ministeriale la regolamentazione in materia di utilizzo degli strumenti derivati da parte di enti locale e loro consorzi e delle regioni. A distanza di due anni dalla legge che lo aveva previsto, è stato quindi emanato il decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze 1° dicembre 2003, n. 389 recante il “Regolamento concernente l’accesso al mercato dei capitali da parte delle province, dei 18/01/05 44/51 ASSOCIAZIONE BANCARIA ITALIANA comuni, delle città metropolitane, delle comunità montane e delle comunità isolane, nonché dei consorzi tra enti territoriali e delle regioni, ai sensi dell’art. 41, comma 1, della legge 28 dicembre 2001, n. 448”. Completa il quadro normativo di riferimento la circolare ministeriale 27 maggio 2004, con la quale il Ministero competente ha inteso chiarire alcuni aspetti interpretativi necessari per una corretta applicazione delle norme contenute nel suddetto regolamento. Con riguardo ai contenuti della disciplina in tema di derivati, occorre anzitutto sottolineare che la stessa, come del resto tutte le norme riguardanti la finanza degli enti decentrati di spesa, è particolarmente dettagliata e puntuale essendo in certo qual modo finalizzata a circoscrivere, in via cautelativa, gli ambiti dell’autonomia contrattuale dei singoli enti. La disciplina in esame prende quindi con fermezza le distanze da una possibilità di utilizzo di tali strumenti per finalità speculative in luogo di quelle finalizzate alla rimodulazione dei debiti. Si stabilisce, infatti, il principio in base al quale le operazioni in discorso possono effettuarsi "esclusivamente in corrispondenza di passività effettivamente dovute3 9 e possono essere indicizzate esclusivamente a parametri monetari di riferimento nell’area dei Paesi appartenenti al Gruppo dei Sette più industrializzati". Per i profili oggettivi, si prevede la possibilità per gli enti di effettuare esclusivamente le seguenti operazioni: - swap di tasso di interesse con impegno delle parti contraenti di scambiarsi regolarmente flussi di interesse sul capitale di riferimento (detto nozionale), collegati ai principali parametri del mercato finanziario, secondo modalità, tempi e condizioni contrattualmente stabiliti; - acquisto di forward rate agreement in cui le due parti concordano il tasso di interesse che l’acquirente del forward si impegna a pagare su un capitale stabilito e ad una determinata data futura; - acquisto di cap di tasso di interesse in cui l’acquirente viene garantito da aumenti del tasso di interesse da corrispondere oltre il livello stabilito; - acquisto di collar (acquisto di un cap e contestuale vendita di un floor) di tasso di interesse in cui all’acquirente viene garantito un livello di tasso di interesse da corrispondere, oscillante all’interno di un minimo ed un massimo prestabiliti4 0 ; - strutture ricavate dalla combinazione delle precedenti operazioni, in grado di consentire il passaggio da tasso fisso a variabile e viceversa, al raggiungimento di un valore soglia predefinito o passato un periodo di tempo predefinito; 39 In linea con questa indicazione, si precisa, nell’ambito della circolare ministeriale, che "non sono ammesse operazioni derivate riferite ad altre operazioni derivate preesistenti, in base alla considerazione che nessun derivato è configurabile come passività"; in altre parole, le operazioni in discorso non sono ammesse in quanto manca il requisito obbligatorio costituito dalla sussistenza di una corrispondente passività. 40 Da sottolineare come solo in questo ambito (ed unicamente al fine di finanziare la protezione dal rialzo dei tassi di interesse fornita dall’acquisto del cap) sia consentita all’ente la vendita di opzioni. 18/01/05 45/51 ASSOCIAZIONE BANCARIA ITALIANA - altre strutture (anch’esse riconducibili a combinazioni delle operazioni già indicate), che non implichino per gli enti, al momento del perfezionamento, un profilo crescente dei valori attuali dei singoli flussi di pagamento relativi alla sottostante passività4 1 ; in via d’eccezione è consentito uno “sconto o premio” non superiore all’1% del nozionale della sottostante passività. Per i profili soggettivi, la normativa di cui trattasi consente la conclusione dei contratti “con intermediari contraddistinti da adeguato merito di credito, così come certificato da agenzie di rating riconosciute a livello internazionale”. In materia, la circolare ministeriale del 27 maggio 2004 ribadisce innanzitutto che gli intermediari con i quali è ammesso concludere operazioni derivate devono essere necessariamente dotati di un merito di credito certificato dalle agenzie di rating riconosciute a livello internazionale (attualmente Standard & Poor’s, Moody’s e FitchRatings”); la medesima circolare precisa inoltre che rating adeguato possa essere considerato quello non inferiore a BBB/Baa/BBB. Nell'ambito dell'articolata disciplina di finanza locale non si rinvengono indicazioni in tema di qualificazione dell'ente locale quale operatore professionale. Al riguardo si osserva comunque che tale disciplina di dettaglio fornisce ora cautele sostanzialmente analoghe a quelle previste dal Regolamento Intermediari della Consob per gli operatori non qualificati, circostanza questa che, in via di principio, può rendere secondaria la problematica della qualificazione dell'operatore". 3. La prassi contrattuale 42 Né le PMI né gli enti locali, fatte salve le indicazioni fornite ai precedenti paragrafi 4.1 e 4.2, sono compresi nell’elenco degli operatori qualificati di cui all’art. 31, comma 2, Reg. Consob. Si tratta, pertanto, di verificare se ed in quale misura ad essi si applica la previsione di cui all’ultimo comma del predetto articolo, secondo la quale è operatore qualificato “… ogni società o persona giuridica in possesso di una specifica competenza ed esperienza in materia di operazioni in strumenti finanziari espressamente dichiarata per iscritto dal legale rappresentante”. Secondo il quadro complessivo ricostruito sulla base delle informazioni assunte presso le banche, può affermarsi che le banche adottano di regola con riguardo agli acquirenti in esame comportamenti contrassegnati da particolare cura e diligenza. Esse, infatti, conducono di norma indagini volte a verificare, caso per caso, la sussistenza in concreto della “specifica competenza ed esperienza” richiesta dall’Art. 31 Reg. Consob per gli operatori qualificati. A compimento di tale indagine e conclusione del relativo accertamento, le banche chiedono alla PMI od ente locale di sottoscrivere l’autocertificazione richiesta dalla predetta norma. Con particolare riferimento agli acquirenti PMI, è bene sottolineare che le banche conoscono già tali soggetti, in virtù dei rapporti creditizi in essere anche da molti anni. Le banche vengono in possesso di dati finanziari e di bilancio, sui quali fanno 41 Tale prescrizione, come è stato chiarito nella circolare ministeriale del 27 maggio 2004, “è volta ad evitare che siano poste in essere operazioni derivate i cui flussi di pagamento da parte dell’ente vengano concentrati in prossimità della scadenza”. 42 Le considerazioni del seguente paragrafo sono state elaborate sulla base di indicazioni fornite da alcune banche circa la prassi contrattuale da esse seguita nella offerta e vendita di derivati, con particolare riguardo, dal lato dell’acquirente, alle PMI nonché agli enti locali. 18/01/05 46/51 ASSOCIAZIONE BANCARIA ITALIANA affidamento in quanto forniti dalle imprese, che consentono di valutare in concreto se le singole PMI possiedano o meno i necessari requisiti di competenza ed esperienza per investire in derivati. Tale valutazione si basa spesso sull’applicazione di parametri oggettivi (ad esempio, volume di fatturato) ed anche sulla verifica effettiva della capacità del soggetto di operare una corretta contabilizzazione e valorizzazione del risultato economico delle operazioni a copertura di rischio. Quanto alla richiesta di sottoscrizione della dichiarazione ex Art. 31, comma 2, u.p., Reg. Consob, dalla indagine condotta è emerso che, ad accrescere la consapevolezza dell’acquirente circa l’operazione in corso di finalizzazione le banche adottano una gamma di comportamenti. Alcune inseriscono all’interno del contratto una clausola che riproduce i contenuti del predetto art. 31 Reg. Consob (per la parte rilevante) e richiedono la doppia sottoscrizione della clausola. Altre affiancano alla predetta clausola un documento separato contenente il testo della dichiarazione, che viene dunque sottoscritto a parte dal legale rappresentante. Altre ancora, adottano un testo, riprodotto in un documento allegato al contratto, dai contenuti più specifici rispetto al tenore generico dell’art. 31 Reg. Consob. Alcune banche richiedono infine, limitatamente agli enti locali, che la sottoscrizione della dichiarazione formi oggetto di approvazione specifica da parte dell’organo dell’ente che ha i poteri di approvare l’operazione nel suo complesso. Solitamente le banche forniscono sia alle PMI che agli enti locali una informativa precontrattuale superiore e più completa rispetto a quella che la legge richiede venga resa agli operatori qualificati, sia con riferimento ai prodotti che con riguardo al contenuto ed alle conseguenze della dichiarazione ex Art. 31 Reg. Consob. Per quanto riguarda la vera e propria documentazione contrattuale, trattandosi di fenomeno relativamente recente (le banche hanno indicato una operatività risalente al 1999-2000 per le PMI), il know-how in materia contrattuale non è ancora consolidato. Secondo quanto riferito dalle banche consultate, i modelli presi a riferimento nello stilare i propri contratti, sono stati i contratti per prodotti derivati ABI, da un lato, e, anche in linea con la internazionalizzazione del fenomeno derivati, la modulistica ISDA, dall’altro. Con il progressivo espandersi del mercato, le banche hanno affinato la propria documentazione contrattuale, anche come conseguenza del maggior volume di negoziazione e dello sviluppo di know-how di prodotto. Il trend attuale, considerato che oramai le banche offrono agli acquirenti diversi tipi di derivati, privilegia la conclusione di contratti quadro. Questi ultimi recano l’assetto complessivo dei diritti ed obblighi dei contraenti con riguardo al complesso delle operazioni che esse potranno porre in essere dopo la conclusione del contratto quadro, che potrà essere successivamente integrato da singoli allegati contrattuali per tipologia di prodotto. Tale documentazione contrattuale adottata dalle banche contiene generalmente una significativa sezione dedicata alle definizioni, nella quale vengono riprodotte le informazioni circa i termini di mercato e le caratteristiche dei prodotti rilevanti, già fornite come si è rilevato agli acquirenti in sede di informativa precontrattuale. Quanto alla fase di esecuzione, con particolare riferimento alle operazioni concluse dalle PMI con funzione di copertura del rischio, si registra la tendenza delle banche ad includere nei propri contratti clausole che pongono a carico del contraente l’obbligo di comunicare significative variazioni nel proprio indebitamento. Adempiendo a tale 18/01/05 47/51 ASSOCIAZIONE BANCARIA ITALIANA clausola, gli acquirenti consentono alla banca di monitorare più da vicino l’andamento della esposizione dell’acquirente. . Il complesso delle informazioni fornite evidenzia, dunque, come le banche adottino cautele e forme di protezione specifiche per le PMI e gli enti locali, ai fini della loro identificazione come operatori qualificati ed anche successivamente alla attribuzione ad essi di tale qualifica. 18/01/05 48/51 ASSOCIAZIONE BANCARIA ITALIANA CAPITOLO 5 – CONCLUSIONI I contratti derivati costituiscono un utile strumento di gestione e protezione dai rischi e svolgono una importate funzione informativa per i mercati finanziari. La teoria economica ne ha per questo riconosciuto il ruolo di importante tassello per la completezza e l’efficienza generale dell’economia. Lo sviluppo dell’economica mondiale e l’integrazione dei sistemi finanziari che ha caratterizzato gli ultimi decenni, ha determinato una maggiore complessità e interrelazione tra i sistemi economici, sia dal punto di vista geografico che settoriale. In questo ambito, l’innovazione finanziaria ha contribuito a individuare tipologie di strumenti derivati sempre più in grado di soddisfare le esigenze sofisticate e complesse degli investitori, coprendo nuove aree di utilizzo. Gli scambi di tali strumenti sono ormai da anni in costante crescita a livello mondiale, anche se l’Italia ha ancora margini di sviluppo rispetto agli altri paesi industrializzati. Anche le imprese hanno dovuto affrontare maggiori sfide, indotte dalla competizione globale, e hanno conseguentemente visto crescere la complessità della propria attività e l’esposizione a nuovi rischi. In questo ambito, le banche svolgono un ruolo di mediazione, ricercando la controparte per i propri clienti, ovvero assumendosi in proprio tale rischio, al fine di gestirlo in maniera professionale e secondo sofisticati modelli di risk management. L’attività della banca non si limita, dunque, alla conclusione di strumenti derivati con l’impresa, ma ha il più ampio obiettivo di dar vita ad un approccio integrato e dinamico alla finanza d’impresa, mettendo a disposizione delle aziende il proprio know-how e le proprie strutture professionali. In realtà aziendali, come le piccole e medie imprese, dove la gestione autonoma e professionale dei rischi risulta non economicamente sostenibile, tale funzione assume un ruolo ancora più importante. Dopo anni di progressiva riduzione del costo del denaro in Italia, l’andamento al rialzo dei tassi di interesse successivo all’avvio della moneta unica europea, ha indotto alcune imprese, con strutture finanziarie e di indebitamento particolarmente sensibili alla variabilità dei tassi e del dollaro, a ritenere probabile un ulteriore rialzo di tali variabili economiche. Sulla base di tale previsione, peraltro diffusa e condivisa da un gran numero di attori economici e da primari istituti di ricerca, tali imprese hanno ritenuto opportuno, in un logica di sana e prudente gestione, premunirsi dai potenziali impatti negativi che l’atteso scenario avrebbe potuto determinare sul proprio equilibrio economico. Ciò ha generato, a partire dal 1998 in poi, una crescente domanda di strumenti di immunizzazione dal rischio e il riscorso ad operazioni in strumenti derivati. Tale esigenza è stata sentita non solo da imprese di grandi dimensioni ma anche da realtà aziendali di piccole e medie dimensioni. L’industria bancaria a risposto a tale richiesta offrendo servizi e prodotti di gestione del rischio, sino ad allora riservati alle imprese con strutture finanziarie più articolate ed esigenze più complesse. Ciò che è accaduto successivamente ha tuttavia disatteso le previsioni formulate. Eventi macroeconomici e geopolitici di carattere internazionale hanno determinato un sostanziale, quanto inatteso, trend al ribasso, dei tassi di interesse europei e un rafforzamento dell’euro sul dollaro. Le imprese con contratti derivati (per la maggior parte swap) sottoscritti per immunizzarsi dai rialzi dei tassi di interesse e della valuta 18/01/05 49/51 ASSOCIAZIONE BANCARIA ITALIANA statunitense, hanno conseguentemente dovuto sostenere un maggiore esborso per interessi. Cio ha anche avuto riflessi negativi sul valore corrente dei contratti in essere (c.d. mark-to-market). In tale scenario, la mancanza per le imprese di piccole e medie dimensioni di regole di contabilizzazione dei derivati, ha reso probabilmente più difficoltosa l’effettiva e tempestiva percezione del fenomeno sopra descritto. Ciò premesso, va comunque precisato che, sulla base della rilevazione effettuata sulle principali banche italiane attive sui derivati, è emerso che il ricorso da parte di piccole e medie imprese italiane a strumenti di gestione del rischio, pur coinvolgendo più di 36 mila aziende, rappresenta un fenomeno dai contorni limitati. Si stima che solo l’uno percento delle piccole e medie imprese utilizza strumenti derivati. Inoltre, l’ammontare di tali strumenti rappresenta solo il due percento della consistenza di strumenti derivati in essere presso il sistema bancario italiano. Quanto ai rapporti contrattuali intrattenuti con le imprese controparti di strumenti derivati, le banche hanno adottato cura e diligenza nel verificare, caso per caso, che le imprese potessero essere considerate operatori qualificati, prevedendo in alcuni casi requisiti aggiuntivi, ad esempio, in termini di affidamenti complessivi, totale di bilancio, patrimonio netto, fatturato, forma societaria, espressa previsione nello statuto della possibilità per la società di svolgere attività in derivati. L’utilizzo dei derivati da parte della pubblica amministrazione è, invece, un fenomeno più recente e certamente ancor più limitato di quello delle piccole e medie imprese, originato dalla esigenza di adottare politiche di gestione dinamica e manageriale delle attività e passività finanziarie. L’emanazione della specifica disciplina in materia di utilizzo dei derivati da parte degli enti locali ha certamente contribuito a fare maggiore chiarezza e dare precise indicazioni, anche al mondo bancario, sulle prassi da adottare e i limiti di utilizzo di tali strumenti. In conclusione siamo di fronte a fenomeni fisiologici dovuto al libero dispiegarsi delle forze di mercato. Le criticità registrate fanno anche esse parte del mercato. Riteniamo che l’enfasi attribuita al fenomeno, ancorché sotto il profilo quantitativo forse eccessiva rispetto alla realtà delle cose, abbia contribuito ad accrescere la percezione e la consapevolezza nell’ambito del variegato mondo della piccole e medie impresa circa l’utilizzo di strumenti di gestione del rischio, aspetto questo senza dubbio positivo, in una economia sempre più globale e finanziarizzata che rende anche le piccole medie imprese soggette ai rischi in precedenza non percepiti e lontani dalla loro sfera di attività. In questo contesto, la richiesta da parte delle imprese (si veda l’audizione della Confindustria) di un rapporto con il sistema bancario votato alla trasparenza appare certamente condivisibile, cosi come l’auspicio espresso dagli organi di vigilanza di un rafforzamento della relazione banca-impresa (si veda l’audizione della Banca d’Italia). Un importate passo è stato compiuto con il recente protocollo d’intesa siglato dall’ABI e dalla Confindustria, che stabilisce una serie di misure di semplificazione dei rapporti operativi tra imprese bancarie e degli altri settori produttivi. In questo ambito viene riconosciuto l’importante ruolo nel nostro paese delle piccole e medie imprese e la 18/01/05 50/51 ASSOCIAZIONE BANCARIA ITALIANA necessità di studiare e avviare specifiche soluzioni per l’aumento delle dimensioni aziendali e la creazione di nuove imprese. Su questa strada, si ritiene che specifiche possibili iniziative di sistema da parte dell’industria bancaria potrebbero essere intraprese efficacemente, al fine di migliorare la comprensione dell’uso dei strumenti derivati da parte delle piccole e medie aziende. 18/01/05 51/51