Diritti senza confini

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Diritti senza confini
L’educazione in
materia di protezione
Diritti
senza
confini
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Pedagogika.it 2012 XVI_3
Diritti senza confini
Rivista di educazione, formazione e cultura
2012_XVI_3 - € 9
Rivista trimestrale di educazione, formazione e cultura - Registrazione Tribunale di Milano n.187 del 29/3/1997
Sped. in abb. post. 45% ART.2, COMMA 20B, LEGGE 662/96 FILIALE DI MILANO - ISSN 1593-2559
In caso di mancato recapito restituire al mittente presso CMP Padova che si impegna a pagare la tassa di restituzione
Rivista di educazione, formazione e cultura
anno XVI, n° 3
Luglio, Agosto, Settembre 2012
Pedagogika.it/2012/XVI_3/
Rivista di educazione, formazione e cultura
esperienze - sperimentazioni - informazione - provocazioni
Anno XVI, n° 3 – Luglio/Agosto/Settembre
Direttrice responsabile
Maria Piacente - [email protected]
Responsabile testata on-line
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Redazione
Fabio Degani, Marco Taddei, Mario Conti, Dafne
Guida Conti, Nicoletta Re Cecconi, Carlo Ventrella,
Mariarosaria Monaco, Liliana Leotta, Cristiana La
Capria, Serena Bignamini, Emanuele Tramacere,
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Modini, Angela Nava Mambretti, Anna Rezzara, Lea
Melandri, Angelo Villa
Promozione e diffusione
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Registrazione Tribunale di Milano n.187 del
29/3/1997 - Sped. in abb. post. 45%
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MILANO - issn 1593-2559
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Hanno collaborato
Paola Gandolfi, Mariateresa Muraca, Camila
Munarini, Marco Benini, Roberta Sala, Giancarla
Codrignani, Mariangela Giusti, Giuseppe Vico,
Sergio Tramma, Cristiana La Capria, Paola
Zaretti, Eugenio Rossi, Eleonora Viganò, Gennaro
Tedesco, Marco Taddei, Nicoletta Mandaradoni,
Maurizio Tiriticco.
Fotografie: www.sxc.hu
Edito da StripesNetwork s.r.l - www.stripes.it
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I testi pervenuti sono soggetti all’insindacabile giudizio della Direzione e del Comitato di redazione e
in ogni caso non saranno restituiti agli autori
Questo periodico è iscritto a
Unione Stampa Periodica Italiana
Coordinamento Riviste
italiane di cultura
Errata Corrige
Su Pedagogika.it, Anno XVI n. 2, a pagina 113 nella recensione sul libro di Giovanna Providenti, La porta
è aperta, per un errore di stampa è stato attribuito all'autrice il romanzo "La porta è aperta". Trattasi
invece di L'arte della gioia. Ce ne scusiamo con le lettrici ed i lettori.
Pedagogika.it/2012/XVI_3/
s o m m a r i o
5
Editoriale
Salvatore Guida
../Dossier/Diritti senza confini
8 Introduzione
10 I giovani maghrebini
scolarizzati: la forza
dell'immaginazione, i luoghi
del cambiamento
Paola Gandolfi
59 L 'educazione al mondo è tra i
compiti assegnabili alla scuola?
Sergio Tramma
64 Diritti umani
../Temi ed esperienze
68 Io mangio. Le abitudini
alimentari dell'adolescente
Cristiana La Capria
74 Gli anziani e la paura del crimine
Eugenio Rossi
18 Educação do campo.
Reinventare la scuola,
trasformare la realtà
Mariateresa Muraca, Camila
Munarini
82 Conversione al genere
femminile
Paola Zaretti
24 La nostra Africa: una scuola
di frontiera ai margini della
guerra civile
Marco Benini
88 Diritto di credito e dovere
di riparazione contro le
ingiustizie globali
Eleonora Viganò
31 Diventare donne.
L'educazione delle bambine
come educazione alla propria
libertà
Roberta Sala
94 Bingo Bongo nel Congo
Gennaro Tedesco
40 L'istruzione dei bambini e
delle bambine
Giancarla Codrignani
46 Il diritto all'istruzione e
all'educazione dei ragazzi
rumeni in Italia
Mariangela Giusti
54 L'istruzione tra solitudine e
migranti
Giuseppe Vico
../Cultura
101 A due voci
Angelo Villa, Ambrogio Cozzi
105 Scelti per voi,
Libri - Ambrogio Cozzi (a cura di)
Musica - Angelo Villa (a cura di)
Cinema - Cristiana La Capria (a cura di)
115 Arrivati in redazione
117 ../In vista
118 ../In breve
119 Carnet - La redazione consiglia
3
Pedagogika.it
Piano editoriale 2012
Il futuro tra paure e speranze
Spazi geografici e psichici
del mutamento
Desideri, diritti e doveri
Educare al tempo della crisi
Rivista di educazione, formazione e cultura
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4
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Pedagogika.it/2012/XVI_3/
A buon diritto
Salvatore Guida
“Occorre prender atto che la storia, soprattutto quella dei poveri, ci sta
incalzando e, forse, sul piano degli ideali e dei valori ci ha già superato e ci sta
insegnando che il mondo si estende ben oltre quei confini che noi, per secoli,
abbiamo costruito. Cosa aspettiamo, allora, a cambiare la scuola, i metodi, la
formazione dei docenti, i rapporti scuola-territorio e quando riusciremo a fare
coscienza che la stessa istruzione va colta in orizzonti più generosi, solidali
e accoglienti?...”. “L’ingresso del mondo e del molteplice pone localmente e
globalmente questioni complesse quali, per esempio, quelle dei diritti, delle
pari opportunità, dell’attivazione di prassi di riconoscimento reciproco, del
riequilibrio economico e di potere”.
Già forse, a partire da queste parole di Giuseppe Vico e Sergio Tramma,
è possibile rimettere in discussione lo stesso sistema di interrogazioni che il
pedagogista - e la pedagogia in atto - si fanno o, perlomeno, dovrebbero farsi
quando vogliano cogliere il senso ed il verso del cosa significhi oggi educare,
di chi e verso cosa, a favore di cosa educare bambine e bambini. E’ normale ed
è - e deve essere - eticamente desiderabile, chiedersi come rifondare se stessi e le
proprie convinzioni se si assumono parole d’ordine come educare al mondo, al
cambiamento, al superamento di stereotipie e culture di appartenenza quando
queste palesemente confliggano con l’idea stessa di diritto e di libertà, quando
stentino ad astrarsi dalla schiavitù dell’assenza, della mancanza, non solo della
scuole o dell’insegnante, ma dello stesso cibo e della stessa acqua, dell’igiene e
della salute e, per contro, eccedano in abuso di potere, in endemica corruzione,
in sottovalutazione della vita stessa, in pervicaci attaccamenti a moduli e pratiche di mutilazione identitaria, di militarizzazione dell’infanzia, di indifferenza
ad ogni statistica di mortalità infantile.
La stampa, conservatrice o progressista ormai solo per autodefinizione e non
perché fattivamente come tale riconoscibile, non aiuta certo a fare chiarezza: ad
ogni appuntamento internazionale sotto le varie species dell’ONU, della FAO,
del WTO, GATT, TRIPS, gli allarmi si susseguono senza che poi seguano concreti sviluppi ed evoluzioni; le notizie e le statistiche agghiaccianti conquistano
per qualche giorno una qualche evidenza e poi cala su di esse un coltre di oblio,
l’opinione pubblica rafforza sempre di più il proprio processo di mitridatizzazione, ognuno viene ripreso dalle proprie quotidiane angustie, sospende ogni indignazione, pronto a rispolverarla alla prossima notizia di catastrofe umanitaria e
figurarsi se i destini dei diritti negati – quelli all’istruzione poi! - riescono a pesare
più di tanto sulle coscienze.
Che non vi siano speranze non è, tuttavia, assodato: tante piccole esperienze
e tante pratiche ultralocali di cambiamento riescono – possono riuscire – a far
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ripartire, senza indulgere a retoriche caritative, un’idea di umanità diversa, nuova,
condivisa, solidale; un’idea di solidarietà che abbia anche risvolti di interesse da
parte di chi vive nella parte “buona” del mondo.
Vogliamo dire che sostenere il diritto all’istruzione significa poter riaffidare
ai popoli il diritto e il dovere di farsi artefici delle proprie sorti e della propria
rivalsa e che, alla lunga, il conto potrebbe tornare in attivo anche per chi, oggi,
ritiene che sia troppo oneroso ed eccessivamente volontaristico ed oblativo
occuparsi, un po’ meno egoisticamente, delle ragioni e dei diritti dei meno
fortunati Di queste esperienze vogliamo dare conto e di queste storie vogliamo
far tesoro perché chi ci legge vi trovi spunto per nuove riflessioni, per nuove
prese di coscienza
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Dossier 7
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Diritti negati: l’istruzione
In un periodo in cui tutti ci invitano al dovere abbiamo ritenuto necessario non
dimenticarci dei diritti. Diritti che per noi non hanno neanche più il “sapore dei
diritti” ma che, per molte persone nel mondo, rappresentano ancora qualcosa di
lontano e irraggiungibile.
Avrebbe forse senso, allora, pensare a quel Mondo in cui le persone godono
ancora di troppi pochi diritti per poter permettersi “il lusso” di pensare ai propri
doveri in quanto cittadini e lavoratori.
Essendo questo un percorso troppo ampio per poterne darne conto in maniera dignitosa in un dossier di Pedagogika.it, abbiamo ristretto il campo ad
uno dei tanti diritti che vengono negati ai bambini nel Sud del Mondo: il
diritto all’istruzione.
Più di 100 milioni di minori nel mondo non godono, a dispetto dell’art. 26
della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, di quel diritto che recita:
“l’istruzione deve essere indirizzata al pieno sviluppo della personalità umana ed al
rafforzamento del rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali”.
In particolare, per il mondo femminile, le donne, le ragazze e le bambine dei
paesi in via di sviluppo l’istruzione è fondamentale per intraprendere percorsi che
le portino ad essere parte attiva nelle famiglie e nelle società in cui vivono.
In questo dossier di Pedagogika.it vogliamo indagare quanto le piccole realtà siano importanti ed efficaci in tali contesti e quanto si faccia invece sentire
l’inefficacia di grandi organizzazioni non governative: centrali sono le testimonianze di chi ha avuto esperienza diretta nel promuovere la diffusione di
un’istruzione per tutti.
Altrettanto importante è il modo in cui, nella nostra società, l’istruzione pubblica ed ogni altro contesto educativo vivono la responsabilità di risvegliare le coscienze ed educarci a valori comunitari di solidarietà, giustizia ed equità.
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Denied rights: education
In a period in which everyone invites us to duty we think it is necessary
not to forget rights. Rights that for us don’t even have the “taste of rights”
anymore, but that represent something far and unreachable for many people
around the world.
It would make sense, therefore, to think about that World in which people
still enjoy too few rights to afford “the luxury” to think about their own duties
as citizens and workers.
Being it too wide an issue to deal with properly in a dossier of Pedagogika.it, we
reduced the field to one of the many rights that are denied to children in the South
of the World: the right to education.
In spite of the Article 26 of the Universal Declaration of Human Rights,
more than 100 million minors around the world don’t enjoy that right that
reads: “Education shall be directed to the full development of the human
personality and to the strengthening of respect for human rights and fundamental freedoms”.
Particularly, for female world, women and girls education in developing
countries is fundamental to start paths leading them to be an active part in their
families and in the societies in which they live.
In this dossier of Pedagogika.it we would like to investigate how important and effective are small realities in these settings and how ineffective big
non-governmental organizations are: central is the account of people who
have had personal experience in promoting the diffusion of an education for
everyone.
Equally important it’s the way in which, in our society, public education and
other educational setting live the responsibility to awake consciences and to educate us to the social values of solidarity, justice and equity.
Dossier 9
Pedagogika.it/2012/XVI_3/Diritti_senza_confini
I giovani maghrebini scolarizzati:
la forza dell’immaginazione,
i luoghi del cambiamento
Maghreb: tra diritto all’educazione e processi di rivoluzione
Dove si realizza, di cosa si nutre il diritto all’immaginazione se non attraverso
il più elementare diritto all’educazione e alla formazione nel loro senso più
profondo? E come non poter pensare quanto il diritto all’educazione sia il diritto
alla scolarizzazione, ma anche il diritto all’educazione informale che, anche al di
là delle scuole, si costruisce negli spazi e nei tempi della società civile, dei mass
media e dei nuovi media, delle attività quotidiane coi pari?
Paola Gandolfi*
Insegnando “Politiche educative nei paesi arabo-islamici del Mediterraneo” e
avendo svolto da diversi anni ricerche pedagogiche e antropologiche in alcuni paesi
arabi e in particolare in Maghreb, mi sono ritrovata spesso dinnanzi alla difficoltà
di dover aiutare i miei studenti e i miei interlocutori a decostruire rappresentazioni
diffuse sulle società arabo-islamiche e, nello specifico, sulle società maghrebine contemporanee. Negli ultimi dieci anni le società maghrebine sono state attraversate da
importanti e delicati processi di cambiamento. Eppure, nella percezione diffusa, dalla
vicina riva nord del Mediterraneo i paesi del Maghreb apparivano spesso monolitici,
statici, rigidamente chiusi nelle loro strutture socio-politiche e socio-antropologiche,
quando non ingarbugliati in stereotipi intrisi di fondamentalismo religioso o di minacce terroristiche. Con queste premesse, è impresa complessa provare a decostruire
rappresentazioni e proporre griglie di lettura di una realtà così complessa ed eterogenea come quella di società come quella marocchina, tunisina, algerina. Quando mi
trovavo (fino a poco più di un anno fa) a spiegare che la Tunisia ha portato avanti un
progetto educativo impegnativo e singolare da molti anni e che è stato uno dei paesi
arabi con il più importante tasso di scolarizzazione e di giovani formati nei gradi di
scuola inferiore e superiore, e ancora, che la riforma educativa tunisina già all’epoca
di Mohamed Charfi1 ha costituito un oggetto di studio e di dibattito pedagogico e
1 Mohamed Charfi, all’epoca presidente fondatore della Lega tunisina per i diritti dell’uomo, fu nominato
già nei primi anni del governo di Ben Ali (dal 1989) Ministro dell’Educazione Nazionale, dell’Insegnamento Superiore e della Ricerca Scientifica, con l’incarico di riformare l’insegnamento alla luce
dei “valori”della modernità e della cittadinanza. Le prime misure simboliche da lui adottate furono il
ritiro di manuali scolastici di ispirazione islamista, il divieto di portare il velo a scuola, l’obbligo della
mescolanza dei sessi nelle scuole, la riforma dei manuali e di cicli di insegnamento, la separazione tra
educazione civica e educazione religiosa, l’insegnamento dei diritti dell’uomo come materia nelle scuole
secondarie, e molto altro ancora (che sarebbe degno di un’attenzione molto più vasta).
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Pedagogika.it/2012/XVI_3/Diritti_senza_confini/I_giovani_maghrebini_scolarizzati...
culturale non indifferente, per molti la Tunisia era un piccolo paradiso turistico a
basso costo o coincideva quasi esclusivamente con l’idilliaca isola di Djerba. Oppure
quando cercavo di dare delle coordinate per la comprensione di quella che chiamavo
“la sfida dell’educazione nel Marocco contemporaneo”2 e di come il paese avesse per
la prima volta nella sua storia recente scelto come priorità politica3 per il decennio
2000-2010 l’educazione, quasi nessuno sapeva che il Marocco era al centro di un difficile, lento, molto discutibile eppure significativo processo di riforme. Tale processo
aveva incluso: cambiamenti nel Codice della famiglia e della persona (Moudawwana), il tentativo di valorizzare la più importante componente linguistica e culturale
minoritaria nel paese (la lingua e la cultura amazighe – o berbera – riconoscendola
come parte integrante dello storico patrimonio culturale del Marocco, rendendola
oggetto di ricerche4 e finanche dal 2003 lingua di insegnamento obbligatorio per
tutti nelle scuole primarie) e infine un processo di riconciliazione nazionale5 (unico
nel mondo arabo-islamico) che ha cercato di fare luce sugli anni di piombo della
dittatura del Re Hassan II.
Quando spiegavo quanto numerosa fosse la componente giovanile in queste
società maghrebine e come si esprimesse talora in forme artistiche e culturali underground con originalità, la reazione più ricorrente dei miei interlocutori stava
nello scoprire, con stupore, che la stragrande maggioranza di questi giovani usava
quotidianamente internet e i social network. La rappresentazione dominante voleva
questi giovani fissi nel tempo e nello spazio, quasi senza tecnologie e senza competenze. Bisognava far capire che non solo i satelliti, le parabole, la telefonia mobile erano pressoché ovunque, ma anche che da anni questi giovani erano assidui
navigatori del web e costruivano e comunicavano i loro desideri e i loro sogni tra i
loro quartieri e la rete delle loro fitte connessioni e dei loro “paesaggi elettronici”6.
Ebbene, ora, il susseguirsi degli eventi che hanno segnato il Maghreb e il mondo
arabo in questo ultimo anno hanno decisamente contribuito a ribaltare alcune
rappresentazioni prevalenti e recidive e a mostrare al mondo intero la presenza e
la forza dei giovani nelle società arabo-islamiche e il loro livello di conoscenza, di
competenza tecnologica, di consapevolezza socio-politica. Gli eventi delle rivolte e
delle rivoluzioni in Maghreb (e poi altrove nel mondo arabo) hanno segnato una
svolta storica, epocale, per i processi di cambiamento che hanno rappresentato e
messo in moto, per la rottura che hanno segnato rispetto a “ciò che era”. Eppure,
a mio parere, hanno significato una svolta anche per la rottura che hanno scalfito
rispetto al passato in merito ad alcuni dati relativi alla realtà giovanile maghrebina
2 Cfr. P.Gandolfi, La sfida dell’educazione nel Marocco contemporaneo. Complessità e criticità dall’altra
sponda del Mediterraneo, Sestante, Bergamo 2011.
3 Naturalmente immediatamente dopo quella che è sempre rimasta da decenni la prima preoccupazione politica nazionale ovvero l’integrità territoriale.
4 In particolare con la creazione nel 2002 dell’IRCAM – Istituto Reale di Ricerche per la Lingua e
la Cultura Amazighe.
5 Per realizzare il quale è stata istituita la commissione IER – Istance Equité et Reconciliation nel 2004.
6 A. Appadurai (1996), Modernità in polvere, Meltemi, Roma 2001.
Dossier 11
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contemporanea e ai processi di educazione e formazione che li riguardano. Oggi
è sapere condiviso da tutti che tra i primissimi e più attivi protagonisti delle dinamiche di rivolta, di protesta e di rivoluzione ci siano stati i giovani, molti dei quali
formati e diplomati, e che una buona parte delle dinamiche rivoluzionarie è stata
possibile grazie all’abilità e alla facilità da parte di questi giovani contemporanei di
comunicare e di agire tramite il web e i social network.
Una mia prima considerazione che propongo è quindi nella direzione di un
diritto all’educazione che trovi un’eco nella reciprocità o nel rapporto con l’alterità
e che permetta ai giovani al centro di un processo educativo di essere rappresentati
per quello che sono.
Con questa premessa intorno all’idea di rottura con “ciò che era” e di rottura
con le rappresentazioni dominanti fino al passato più recente, credo che i discorsi
che si potrebbero aprire sono molteplici. Se il focus dell’analisi si ponesse intorno
ai diritti e ai diritti negati credo ci sarebbe un complesso discorso da fare – e che
ho già proposto altrove7 – che mette in stretta connessione queste dinamiche di
trasformazione epocale e alcuni diritti fondamentali a lungo negati quali il diritto
dei giovani maghrebini ad esprimersi, il diritto a trasgredire le norme esplicite ed
implicite, il diritto a non aver più paura, il diritto a re-inventare la propria storia,
il diritto ad essere giovani (o donne o adulti) e a partecipare, il diritto a pensarsi e
ad agire come collettività. Ma anche, forse prima di tutto, il diritto a immaginare
e immaginarsi altrimenti.
Ma dove si realizza, di cosa si nutre il diritto all’immaginazione se non attraverso in primis il più elementare diritto all’educazione e alla formazione nel loro
senso più profondo? E come non poter pensare quanto il diritto all’educazione
sia il diritto alla scolarizzazione, ma anche il diritto all’educazione informale che,
anche al di là delle scuole, si costruisce negli spazi e nei tempi della società civile,
dei mass media e dei nuovi media, delle attività quotidiane coi pari? Credo che
esistano due livelli di diritto all’educazione che sempre più nelle società maghrebine contemporanee si sono ampliati in questo decennio abbondante: a) il diritto
all’educazione inteso come diritto alla scolarizzazione e che ha visto un aumento
graduale e significativo del numero di giovani diplomati e formati; b) i processi
educativi e formativi diretti e indiretti messi in atto dai mass media e dai nuovi
media, dalla società civile, dalle istituzioni e dagli organismi religiosi, dai luoghi
(anche i più informali e underground) di espressione artistica e culturale.
Da un lato, allora, il processo di scolarizzazione e di educazione a
livello“istituzionale” dei giovani è diventato sempre più importante nei paesi maghrebini degli ultimi 10-15 anni e a questo si è andato affiancando un dato di costante
crescita demografica. La crescita esponenziale dei giovani ha cioè riguardato giovani
formati, diplomati, laureati. Tutte le società maghrebine contemporanee sono però
7 Cfr. P. Gandolfi, “Quali diritti? Il diritto di trasgredire e di re-inventare la propria storia. Frammenti di storie e di inedite rivoluzioni in Maghreb”, DEP, n.18-19, 2012. http:www.unive.it/
media/allegato/dep/n18.2012/Finestra/Definitivi/18_Gandolfi_c.pdf
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Pedagogika.it/2012/XVI_3/Diritti_senza_confini/I_giovani_maghrebini_scolarizzati...
da troppo tempo al centro di una crisi economica nazionale e regionale molto grave
per cui questi giovani formati sin dagli anni ’90, e soprattutto negli ultimi 10 anni,
sono andati a costituire la comunità dei cosiddetti diplomés-chomeurs (diplomatidisoccupati)8 che da sempre hanno rivendicato e lottato per i loro diritti e che hanno
poi avuto un ruolo importante nei recenti processi di rivolta e di rivoluzione.
Per quanto il singolo contesto delle società maghrebine sia molto diverso l’uno
dall’altro, il tasso di scolarizzazione e di giovani laureati è andato aumentando
ovunque in questo ultimo decennio. In un paese come il Marocco che a lungo è
stato uno dei paesi con il più alto tasso di analfabetismo, è importante ricordare
non solo significativi processi di alfabetizzazione in particolare nelle regioni svantaggiate e nelle zone rurali, ma anche quanto l’avvento della Carta per l’Educazione
e la Formazione (1999) abbia segnato una sorta di spartiacque tra un prima e un
dopo, mettendo in atto un processo di riforma e una politica educativa nazionale
in cui per la prima volta assieme ai valori islamici e all’identità culturale della civiltà
marocchina (i valori della monarchia e i valori nazionali), entravano ufficialmente
a pieno titolo anche i valori della cittadinanza e quelli dei diritti dell’uomo nella loro accezione universale9. Il che ci racconta quanto la cittadinanza in ambito pedagogico, anche in Marocco, abbia cominciato ad essere pensata rispetto a
un percorso che, accanto alla riaffermata realtà della nazione, ha visto diffondersi
un processo di appropriazione dei diritti dell’uomo come metro di lettura della
realtà, in una delicata interazione con altri processi quali la coesione sociale, le
appartenenze comunitarie, i processi di individualizzazione, ma anche processi di
partecipazione attiva alla vita sociale e culturale. La pedagogia marocchina contemporanea si interroga, quindi, sul senso dell’educare alla cittadinanza che sia
un educare ai diritti e ai doveri, ma anche un educare ad essere attori partecipi
nella complessa società marocchina contemporanea. Lungo e complesso sarebbe
il discorso della corrispondenza tra principi e prassi, che ancora fa trapelare molte
falle (e che richiederebbe un altro contributo); ma quel che mi pare interessante
in questa sede è capire come ci sia stata una mutazione dei metri di lettura delle
realtà che se ancora nelle pratiche pedagogiche e didattiche (oltre che nelle pratiche
culturali e socio-politiche) si rivela contraddittoria, incerta e ambigua, ci suggerisce
quanto le società maghrebine contemporanee siano pienamente e continuamente a
confronto con questi parametri, a più livelli e in più contesti.
8 E. Montserrat Badimon, «Diplômés chômeurs au Maroc: dynamiques de pérennisation d’une
action collective plurielle», L’année du Maghreb, III, 2007, pp. 297-311. S. Mazzella (dir.), La
mondialisation étudiante. Le Maghreb entre Nord et Sud, Karthala, Paris 2009.
9 Come abbiamo visto la Tunisia aveva già cercato molti anni prima di introdurre ufficialmente nella
propria politica educativa i parametri della cittadinanza e dei diritti dell’uomo, ma lo scarto tra la
dichiarazione di principi e le prassi quotidiane socioculturali e sociopolitiche è stato così evidente
nei decenni da risultare paradossale. Il discorso andrebbe anche a questo livello ampliato, al fine di
comprendere quali siano i nessi sottili tra le strategie politiche, le modalità di mantenimento del
potere e dello stato di polizia e le ufficiali aperture dichiarate nell’ambito politico e nello specifico
nel contesto della politica educativa nazionale.
Dossier 13
Pedagogika.it/2012/XVI_3/Diritti_senza_confini/I_giovani_maghrebini_scolarizzati...
L’altro livello di educazione e formazione, abbiamo visto, si gioca al di fuori
della scuola ed è da analizzare in relazione all’appartenenza dei giovani ad un’eterogeneità, costruita intorno a immaginari locali e diasporici che hanno portato alla
produzione di nuove soggettività.
L’emergenza massiva della società civile in paesi come il Marocco e l’Algeria ha
permesso alla vita associativa di questi ultimi anni di sbocciare e di partecipare alla
produzione di tali soggettività. I mass media, le possibilità di comunicazioni elettroniche, l’apertura dei mercati nazionali a imprese transnazionali hanno ugualmente
contribuito a ridurre le distanze e a trasformare le rappresentazioni del tempo. Ciò
ha favorito delle interconnessioni complesse che hanno talora reinventato i legami
tra i maghrebini e la loro appartenenza locale, creando trasformazioni culturali locali nutrite da un sentimento di de-territorializzazione10. Anche la cultura politica è
stata colpita da queste mutazioni e si interroga sulla natura del locale in un mondo
globalizzato e de-territorializzato11. La risposta a tali situazioni e interrogazioni passa
in gran parte per il ruolo dell’immaginazione nella vita sociale, in ragione del fatto
che le persone vedono sempre più la loro esistenza attraverso il prisma delle vite e dei
mondi possibili offerti dalla diverse immagini, anche mediatiche, che circolano attraverso il mondo. L’immaginazione come pratica sociale passa attraverso l’immagine,
l’immaginato e l’immaginario. L’immaginazione occupa dunque un posto essenziale
nel rapporto degli individui con la globalizzazione e con la loro appartenenza nazionale, ma anche con i processi di cambiamento. Un flusso di movimento umano e
culturale trasforma continuamente le comunità e la distribuzione e la disseminazione dell’informazione rendono la configurazione dell’immaginario nazionale e locale
molto mobile. Uno sguardo trasversale sull’“essere maghrebini” nell’epoca della globalizzazione permette di rimettere in questione il compromesso tra ciò che un individuo può immaginare e ciò che la vita sociale gli permette. Ci si può ritrovare, cioè, ad
immaginare la propria vita in funzione dei “paesaggi elettronici” ma anche dei molti
altri paesaggi – “scapes”12 – con cui si entra in relazione13. Ne risulta un processo di
soggettivazione che permette all’“essere marocchini” o “tunisini” o “maghrebini”, in
quanto maniera di essere al mondo, di costituirsi come soggetto individuale e riflessivo e di relazionarsi in modo molteplice con gli obblighi collettivi, con le norme
culturali, sociali, politiche, religiose. Ne deriva un continuo riposizionamento ovvero
10 Cfr. Bhabha H. (1994), I luoghi della cultura, Meltemi, Roma 2001. Vertovec S., Cohen R., Migration, Diasporas, and Transnationalism, Elgar Reference Collection, Cheltenham 1999. Hannerz
U., Transnational connections. Culture, People, Places, Columbia University Press, New York 1996.
11 Cfr.Basch L., Glick Schiller N., Szanton-Blanc C. (a cura di), Nations unbound: Transnational projects,
postcolonial predicaments and deterritorialized nation-states, Gordon and Breach, New York 1994.
12 A. Appadurai (1996), Modernità in polvere, Meltemi, Roma 2001.
13 Il che potrebbe anche portare a forgiare un’appartenenza “rizomatica” (Cfr. G.Deleuze, F.Guattari.,
Rizoma, Edizioni Pratiche, Parma 1978). Ci si può allora domandare: cosa significa educare ad
un’appartenenza caratterizzata da immaginari locali e diasporici? Al di là delle teorizzazioni, non
si tratterebbe poi nel concreto di scegliere per una pedagogia che includa nel suo lessico e nelle
sue prassi la mobilità, la de-territorializzazione, l’attraversamento di frontiere?
14
Pedagogika.it/2012/XVI_3/Diritti_senza_confini/I_giovani_maghrebini_scolarizzati...
una rielaborazione delle norme che si realizza dapprima a livello individuale e che
poi, con la forza dell’immaginazione, riesce a costruire l’appartenenza ad una comunità che includa in modo costruttivo l’inedito. È sull’idea di immaginazione come
forza creatrice, sulla creatività e quindi sul diritto alla re-invenzione della propria
storia individuale e collettiva che si delinea una prassi di cambiamento. Da un lato,
quindi, il diritto all’informazione e alla formazione dei giovani maghrebini si è andato moltiplicando negli spazi e nei tempi delle società globalizzate di cui anche questi
giovani della riva sul del Mediterraneo sono parte e, dall’altro, nei luoghi dell’associazionismo e della società civile (in modi diversi da stato a stato, spesso anche in
forme sotterranee e difficili). I luoghi e i modi dell’informazione e dalla formazione
si sono moltiplicati e i nuovi media hanno portato ad una lenta frammentazione e
contestazione delle autorità culturali, politiche e religiose convenzionali. Si è andata
creando, da anni, una nuova sfera pubblica e la fruizione dei mass media e dei nuovi
mezzi tecnologici ha creato spazi di informazione altra o alternativa, agendo sulla
riformulazione delle norme. E’ tramite questi complessi ed eterogenei immaginari
locali e transazionali che si è agito gradualmente sulla rielaborazione della propria
storia individuale e poi collettiva.
Credo dunque che bisognerebbe parlare di almeno due livelli inscindibili di
diritto all’educazione e alla formazione, quello di politiche educative che negli
anni hanno garantito un sempre maggiore accesso all’istruzione alla popolazione14
e quello che (in maniera talora indiretta) anche le società maghrebine contemporanee globalizzate hanno inevitabilmente contemplato nell’ambito dei nuovi media,
dell’associazionismo, della produzione artistica e culturale underground e in tutti
quei luoghi che gradualmente hanno costituito dei luoghi di educazione e formazione alla “cultura del cambiamento”. A conferma che un processo di rivolta,
di rivoluzione, di profonda trasformazione passa attraverso una lenta e complessa
“cultura del cambiamento” che si apprende e si mastica nei luoghi e nelle forme
più molteplici ed eterogenee (anche informali) dell’educazione e della formazione,
nel quotidiano.
*Docente di Politiche educative nei paesi arabo-islamici del Mediterraneo e di Migrazioni e cooperazione internazionale presso l’Università degli Studi di Bergamo
14 Per quanto in questo momento in paesi come il Marocco il discorso non vada ancora nell’ordine di
un’offerta formativa qualitativa, ma nella promozione dell’alfabetizzazione e della scolarizzazione.
Dossier 15
100
Pedagogika.it/2012/XVI_3/Cultura/A_due_voci
Scrive Mia Couto nel suo, forse non del tut- Avevo già ammirato la capacità di Atxaga di
to imprevedibile, Veleni di Dio, medicine del descrivere delle deflagrazioni all’interno dei
diavolo (ed. Voland): “Un europeo che cam- gruppi. Nel suo precedente romanzo Il libro
mina nell’Africa profonda salta agli occhi. Si di mio fratello riusciva a descrivere la violenza
muove a passi misurati, quasi troppo lenti, lo trattenuta e il clima claustrofobico all’interno
sguardo cauto ad esplorare il cammino. Non si di una cellula dell’ETA. Lì la rottura avveniva
fida, la sua ombra non gli ubbidisce. Passa per in modo netto, contrapposta ai capitoli preceil mercato, evita i venditori, i mendicanti, gli denti in cui si viveva immersi nella natura, in
ubriachi. «Vita di merda» pensa, «Chi viene una progressiva quanto in parte inconsapevole
da me non mi cerca come persona. Uno ha escalation si veniva calati all’interno della vita
qualcosa da vendere, un
quotidiana in un grupaltro qualcosa da rubapo separatista basco
re. Nessuno mi avvicina
che viveva sul confine
in modo disinteressato.
francese. La tensione si
Dio, quanto me la fanno
innalzava, fino a portapagare la razza!»”.
re alla dissoluzione del
E’ l’Africa, l’Africa
gruppo e all’arresto dei
nera, per quanto al
membri come una sorta
fondo, meno cupa e
di liberazione.
misteriosa di quella
In questo nuovo roimmortalata dal granmanzo la scelta è dide Conrad nel suo ceversa come ambienlebre Cuore di tenebra.
tazione.
Potremmo
La Couto narra del
dire che dove Cuore di
Mozambico, l’inquietenebra termina con
to Conrad del Congo
Kurz che nomina l’orche ispirò anche alcune
rore, il testo di Axtaga
memorabili scene Apoinizia rappresentandoci
calypse now di Coppola.
quello stesso orrore, veVi ricordate l’incipit:
niamo trascinati in una
“The Nellie, a cruising
zona d’ombra dove il
yawl, swung to her antempo si è fermato, in
chor without a flutter
cui domina l’immobiBernardo Atxaga
of the sails, and was the
lità anche delle cose, e
L'ottava casa
rest…”. Tranquilli, non
proprio qui trova casa
Passigli,
lo conosco a memoria!
l’orrore, come stravolBagno a Ripoli (FI) 2011,
Lo riprendo dal testo
gimento della quotipp. 225, € 16,50
con edizione originale
dianità, arresto delle
a fronte pubblicato nelancette dell’orologio,
Ambrogio Cozzi
Angelo Villa
A due Voci
Cultura 101
Pedagogika.it/2012/XVI_3/Cultura/A_due_voci
gli Oscar Mondadori e che si avvale di una
puntuta introduzione del burbero e polemico Naipaul, un autore mai banale, non sempre (e per fortuna!) politicamente corretto.
Già, il Congo, per l’appunto, al centro del
continente africano, il suo lato meno turistico e più caotico. Una terra ricchissima,
un Paese in miseria.
Pinol, un antropologo e romanziere catalano, ha scritto un libro di enorme successo,
quanto meno all’estero, dal titolo Congo. Inferno verde (ed. Fazi). Una storia d’avventura, estremamente appassionante. Il Congo,
annota Pinol, è un oceano verde: “E, sotto
gli alberi, il nulla”. Leggetelo, vi catturerà
sin dalla prima pagina.
Tuttavia non è di Pinol che voglio parlare,
ma di un altro suo conterraneo, non oserei mai dire un suo connazionale, cioè uno
spagnolo. Lo scrittore cui mi riferisco è infatti basco, si chiama Bernardo Axtaga ed
è l’autore di L’ottava casa, edito da Passigli.
Anch’esso ambientato, of course, in Congo.
L’ottava casa narra le vicende di un distaccamento dell’esercito privato di Leopoldo II
nel Congo belga, a Yagambi, all’inizio del
secolo. Romanzo ottimamente scritto, di
piacevolissima lettura. La storia ha come
suoi protagonisti: il capitano della legione,
un uomo dall’animo poetico maritato con
una donna avida, rimasta (sic!) in Europa,
che vuole possedere ben sette case, richiesta che lo costringe a trafficare in mogano
e avorio per soddisfare tale esigenza; il suo
rozzo luogotenente Van Thiegel che vuole
edipicamente rubargli la moglie, la seducente (da foto) Christine, la duecentesima
preda del suo carniere; Chrisostome, sospettato di omosessualità, gran tiratore che
spara ai mandrilli… E’ il racconto d’un
tempo che sembra bloccato come in una
palla di vetro, fermo, parassitario, ma, in
un certo senso, a suo modo, non immobi-
102
apertura su un’altra scena dominata dalla violenza e dalla stupidità. Non ci si attendano
scene pulp alla Tarantino, o vicine a certi finali hard boiled di gialli che vanno per la maggiore, qui la violenza si insinua piano, nelle
fessure minime delle giornate immobili, in
intolleranze e maldicenze che molto dicono
sulla difficoltà e a volte addirittura l’impossibilità di condividere qualcosa che esca da uno
stupido formalismo rituale.
La storia è quella di un avamposto militare
nel Congo durante la colonizzazione belga,
un avamposto sperduto, sembra l’ultimo prima che la foresta pluviale invada e inghiotta tutto. Il lavoro di estrazione della gomma
e del taglio degli alberi viene rappresentato
come una fatica immensa, un corpo a corpo
con la natura che sullo sfondo appare vincente e sfuggente, animata quasi da una volontà
di non farsi conquistare, di opporsi al lavoro
degli uomini. Qui la situazione si biforca narrativamente, dall’arrivo il luogo dominante
diventa l’interno dell’avamposto, le relazioni
tra i militari che vi vivono, trascinando giornate sempre uguali che sfociano in rivalità e
aggressività giocate su più piani dalla maldicenza a trame più o meno infide.
Ma c’è un tema che accomuna sia le figure
che ci appaiono positive (come Chrisostome), sia quelle negative (come il capitano
Lalande Biran, corrotto che cerca solo di accumulare denaro per regalare alla moglie la
settima casa da comprare in Costa Azzurra):
il tema è quello della paura del contagio, metaforizzato come contagio sessuale che spinge
l’uno a stuprare vergini e l’altro a rifiutare
ogni contatto sessuale mediante una religiosità colpevolizzante e ossessiva. Ma il contagio è quello che altri come Richardson e Van
Thiegel hanno invece contratto perdendosi,
trovando in questa perdizione un alibi, un
modo comunque per evitare il contatto con
l’altro. L’altro sono gli indigeni che appaio-
Pedagogika.it/2012/XVI_3/Cultura/A_due_voci
le. Tutto sembra assurdo e, nel contempo,
iperreale. In particolare, è il tema della distanza ad apparire trasfigurato nella storia. I
bianchi lontani dall’Europa, ma anche da sé
stessi. Gli africani che guardano, subiscono.
Paiono mondi che si riaprono all’interno di
mondi che, a loro volta, si dischiudono a
cascata su altri… Come se si alzasse un velo
dietro al quale se ne dispone un altro e così
via. Una sensazione appare chiara, quella di
una separazione tra uomini e culture diverse, anche se risulta poi difficile cogliere il
senso preciso di questa differenza. Il Kurtz
conradiano era più immaginifico, evocativo. Qui, invece, una linea sottile si sdoppia,
si rarefa, si dissolve e puntualmente ricompare. Lasciando ciascuno prigioniero della
sua storia. Non è allora curioso che Pinol,
un catalano, e Atxaga, un basco, scrivano di
quel Paese africano? Due spagnoli, controvoglia? Tocca forse a loro riproporre su una
scena più vasta la complessa questione di
un’identità alienata, di uno sguardo orfano
di uno specchio?
Ma cos’è allora il Congo? Una regione
dell’Africa o, anche, e soprattutto un luogo
della mente, uno stato improbabile dell’essere? Lo spazio di un’eterna sospensione
dell’accader soggettivo, dove la vita passa,
anche brutalmente, senza che mai avvenga?
Ritorno sulle parole di Mia Couto che ben
si addicono al sentimento di estraneità che
può assalire un europeo, un bianco in quelle
terre. Come se l’umano, con la sua unificante pretesa di omogeneità, si smarrisse questa
volta in mille rivoli, in un agglomerato di
frammenti, di pezzi contrapposti, incapace
di ritrovarsi in un sentire comune. Perché
Congo significa poi, alla fin fine, dietro le
maschere o le recite di convenienze, violenza, sopraffazione, incomunicabilità…
Bianchi su neri, ma anche neri su bianchi
e poi bianchi su bianchi, neri su neri… Il
no sullo sfondo come protagonisti secondari,
schiavi al lavoro protagonisti di sporadiche e
perdenti ribellioni o fughe, o come oggetti
sessuali. Lontani eppure così vicini, lì dietro
la svolta di un sentiero della foresta, eppure
per certi versi imprendibili e incomprensibili.
Questo è l’orrore che si scatenerà in una catastrofe finale senza redenzione dove più piani
di vendetta si incrociano. Quello del padrone
bianco che possiede tutte le donne e non può
permettere che altri cerchino di impossessarsene, che giocherà la vendetta tramite un sotterfugio, senza esporsi, approfittando di tensioni già esistenti che lui decide di sfruttare.
Quello dei neri che attraverso i serpenti raggiungeranno una mezza vendetta, mandando
Lalande Biran nell’ottava casa. Serpenti che
si possono liberare ora che la Madonna che
giaceva sulla riva è stata portata via, posta su
un’altura a vigilare sul continente. L’assenza
delle donne, che appaiono solo saltuariamente come oggetti è ciò che scatena la progressiva follia? Dall’immagine della Madonna che
schiaccia la testa dei serpenti si arriva ai serpenti che si scatenano nella sua assenza?
Ma vi è un altro tema dominante, ed è quello di un’Europa lontana e persa nei traffici e
nella cupidigia, nello spreco dell’accumulo di
case disabitate, nella stupidità di una poesia
senza dove le parole non si stringono al mondo, sono anzi usate per eluderlo. Lontananza
che è ben rappresentata da Lassalle, il giornalista inviato a scrivere il reportage e che si trova a scrivere lettere di condoglianze al posto
di chi “non vede”.
Vorrei chiudere con una citazione tratta da
Il sogno del Celta, la biografia di Roger Casement (figura allo stesso tempo ambigua e
limpida dell’anticolonialismo, tralascio qui
altre informazioni per ragioni di spazio),
anche lui funzionario coloniale in Congo,
è rinchiuso in cella alla viglia dell’esecuzione «Steso sulla branda di spalle, con gli occhi
Cultura 103
Pedagogika.it/2012/XVI_3/Cultura/A_due_voci
razzismo è solo una forma “socializzata” di
quella insensata distruttività che ogni essere
umano porta dentro di sé. L’inferno (verde?), cioè il Congo, Pinol dixit, sono gli altri, diceva Sartre. Occorre correggere la formula: l’inferno è dentro di noi. E il Congo è
solo la cartina di tornasole di una realtà che
l’esotismo dilata, confonde. O che forse gli
regala una equivoca libertà di manovra, d’azione. Un’apparente messa tra parentesi delle regole che presiedono alla cosiddetta civile convivenza, ma che probabilmente tanto
civile non lo è mai. Il Congo, quel Congo è un po’ ovunque. La geografia inventa
poco, spesso inganna. Ricorda saggiamente
Marlow in Cuore di tenebra, riferendosi a…
Londra: “E anche questo è stato un angolo tenebroso della terra”. E, forse, lo è ancora. A
presto, dunque, alla foce del Tamigi, in una
città qualsiasi o, senza scomodarsi molto,
alla prossima assemblea di condominio…
La tenebra ci assilla, ci distrugge e, nel contempo, domanda la luce. Anche nel Congo,
vero e proprio. Imparassimo a riconoscere
con onestà la verità della prima, il bisogno
carnale della seconda…
104
chiusi, gli tornò alla memoria Joseph Conrad.
Si sarebbe sentito meglio se il marinaio avesse
firmato la sua petizione? Forse sì, forse no. Che
cosa gli aveva voluto dire, quella notte, nella sua
villetta nel Kent, quando affermò “Prima di recarmi nel Congo io non ero altro che un povero
animale”? La frase l’aveva impressionato, anche
senza comprenderla del tutto. Che cosa significava? Forse che, quello che fece, quello che smise
di fare, vide e udì in quei sei mesi nel Medio e
Alto Congo gli aveva ridestato inquietudini più
profonde e trascendenti sulla condizione umana, sul peccato originale, sul male, sulla Storia.
Roger poteva capirlo molto bene. Anche a lui il
Congo l’aveva reso più umano, se essere umano
significava conoscere gli estremi cui potevano
arrivare la cupidigia, l’avarizia, i pregiudizi, la
crudeltà. La corruzione morale era proprio questo, sì: qualcosa che fra gli animali non esisteva,
una esclusività degli umani… Per lottare contro l’avvilimento che lo stava invadendo tentò
d’immaginare il piacere che sarebbe stato farsi
un lungo bagno in una vasca, con molta acqua
e molto sapone, stringendo contro il suo un altro
corpo nudo”.
P.S. Conrad non firmò la petizione per salvare Casement dal patibolo. Come scrive
Vargas Llosa per Casement “Gli eroi non sono
statue, non sono esseri perfetti”, forse è più vero
di quello che riusciamo ad immaginare.
Pedagogika.it/2012/XVI_3/Cultura/Scelti_per_voi
Scelti per voi
a cura di Ambrogio Cozzi
libri
libri, cinema, musica
Paolo Mottana
Piccolo manuale di
controeducazione
Mimesis,
Sesto San Giovanni
(MI) 2012,
pp. 122, € 12,00
Nostalgia e invidia:
sono le parole chiave che nominano,
dopo la lettura di questo atipico manuale, i sentimenti di chi, come me, ha
attraversato stagioni dell’educazione,
belle e fertili alcune, bruttine e deprimenti molte altre, compresa la presente.
Nostalgia per quei tempi in cui bambini
che ha in mente l’autore davvero sono
esistiti, davvero scorrazzavano per piazze, campetti e sterpaglie facendo delle
loro giornate luogo e tempo dell’esperienza avventurosa del crescere.
Invidia per non aver saputo cogliere da
educatore e pedagogista, con altrettanta
sensibilità, quel che stava accadendo,
tra un tentativo di riforma e l’altro, alla
scuola e all’educazione, nella seconda
metà dell’appena trascorso secolo breve.
Paolo Mottana traccia, con poche ma
intense pagine, una sorta di foto senza
veli di quel che è diventata la nostra
scuola in termini di educatività, della
vita quotidiana di bambini e ragazzi in
termini di sostenibilità, degli insegnanti
in termini di frustrazione e decadimento professionale.
Non vi sono, come lui stesso dice nel suo
“barbarico incipit”, puntuali istruzioni
su come salvare i bambini dall’educa-
strazione né su come scatenarli contro
l’ortometria pedagogica, calcolata e disciplinata. Ma, certamente, si evidenzia
la necessità di farlo, e presto, per dare
senso ad una disciplina che non voglia
limitarsi a officiare ieratici e consunti riti
pedagogici. Si tratta anche di recuperare
suggestioni antiche di vecchie battaglie,
di valorizzarne di nuove, ancora in corso,
nella direzione del ribaltamento e della
rifondazione radicale della scuola; vi si
riparla di Steiner e di Ilich, di Schérer e
di Naranjo, contro “la bruttezza, la noia,
la trascuratezza diffuse in ogni dove”.
Soprattutto viene stigmatizzato il continuo ricorso, in educazione, alle logiche sacrificali dei sacerdoti del martirio
e della fatica; la domanda – semplice e
terribile nella sua crudezza, nuova nello
stile enunciativo, alieno da accademici e
raffinati stilemi – che si fa e ci fa Mottana, può essere ricondotta, anche se con
diversi e dissacranti accenti, a quella che,
cento anni fa, nel 1912, nel suo Chiudiamo le scuole, pronunciava Giovanni Papini: “Ma cosa hanno mai fatto i ragazzi, gli
adolescenti, i giovanotti che dai sei fino ai
dieci, ai quindici, ai venti, ai ventiquattro anni chiudete tante ore del giorno nelle
vostre bianche galere per far patire il loro
corpo e magagnare il loro cervello?”.
Non a caso lo stile è volutamente caustico e le parole, intenzionalmente graffianti, non concedono sconti: barbari, incendi, braci, pervertita, strali, contumelie,
livorosi, ossessioni, ubbìe, borborigmi,
dispendio. Ma anche, sul versante di una
riscossa possibile, iniziazioni e restituzioni, espansioni e liberazioni, esuberanza,
sgorgare, scaturire per arrivare a definire,
con estrema e inusuale efficacia, il compito controeducativo: “occorre ripensare
lo spazio, il tessuto fisico dell’esperienza gio-
Cultura 105
Pedagogika.it/2012/XVI_3/Cultura/Scelti_per_voi
vanile, sgomberarlo, liberarlo, disseminarlo
di opportunità di nuovo cimento, di nuova
sperimentazione”.
Questo libro si può amarlo come tutte
le cose che hanno il pregio della chiarezza o odiarlo, magari per la stessa ragione, perché ti toglie ogni alibi! Certamente non si può ignorarlo: può essere
un seme o una bomba, dipende da chi
lo legge. Per mio conto sono curioso di
sapere se la palude del paludato sapere
ne sarà scossa o se riuscirà ad ingoiare ed
omologare anche questo grido di amore per l’educazione. Un’ultima chiosa
merita il suo Post-sfizio. Oracoli e ascendenti. Non è una bibliografia quella che
ha scritto Paolo Mottana, è qualcosa
di più: vi sono, piuttosto, raccontati
e descritti – con le loro opere e in un
simpatico rovesciamento del loro ruolo
di mentori, alcuni inconsapevoli, altri
suoi veri e diretti maestri – coloro che
ne hanno ispirato, in varia misura, l’ermeneutica pedagogica, accompagnato
le intuizioni fondative, condiviso tappe
e percorsi del suo crescere professionale e scientifico. Da leggere, da studiare,
questo manuale.
Salvatore Guida
Gail E. Dennison,
Paul E. Dennison,
Jerry V. Teplitz
Brain Gym® per
l'impresa.
Una fonte di
energia immediata
per il cervello per
stare bene e
lavorare meglio
InfinitiForm Edizioni, Pavia 2011,
pp. 128, € 24.00
106
Durante gli anni ‘70 Paul E. Dennison,
pedagogista americano, ha sviluppato
una disciplina, la Kinesiologia Educativa, con l’obiettivo di migliorare l’apprendimento e le potenzialità di ognuno a scuola e al lavoro mediante l’integrazione e il riequilibrio degli emisferi
cerebrali e dell’intero sistema corporeo,
disciplina i cui studi sono ancora oggi
in continua evoluzione presso l’EDU-K
Foundation, in California. All’interno
della Kinesiologia Educativa il Brain
Gym® rappresenta un programma,
basato su semplici movimenti corporei
che attivano la mente, che ha ancora
ampi margini di divulgazione nel nostro Paese. A diffondere una maggiore
conoscenza di questo metodo, si dedica
la società “InfinitiForm” di P. Salvi e di
M. P. Casali, pedagogista e Brain Gym®
Teacher, tramite corsi individuali e di
gruppo nella sua sede di Pavia e nel resto
d’Italia (vedi www.infinitiform.it).
La versione italiana di questo manuale di
Paul E. Dennison, di sua moglie Gail E.
Dennison e di Jerry V. Teplitz, tradotto
da S. Loos, curato dalla stessa Casali e
contenente dei bei disegni inediti di M.
Brancaforte, rappresenta un ulteriore tassello nella divulgazione a tutto campo di
questa pratica: il metodo e, naturalmente, buona parte degli esercizi che vengono descritti sono rivolti infatti ad un
pubblico ben più vasto di quello dell’impresa, si potrebbe dire a tutti coloro che
necessitano, come recita il sottotitolo, di
“una fonte di energia immediata per il
cervello per stare bene e lavorare meglio”.
E chi non ne ha bisogno? Così viene illustrata la procedura per ri-accordarsi in 7
minuti, una semplice sequenza di attività
di Brain Gym® che possono essere fatte ogni mattina. Scrivono Salvi e Casali
Pedagogika.it/2012/XVI_3/Cultura/Scelti_per_voi
nella nota a pag. 15: «Abbiamo scelto di
tradurre “The Seven-Minute Tune-up” con
ri-accordarsi perché [questa espressione]
vuol dire predisporre le nostre ‘corde’ per la
musica che vogliamo o dobbiamo suonare, individualmente o ‘in orchestra’. Vuol
dire prendere atto che ci scordiamo di noi
e continuiamo a suonare ‘scordati’: un invito a ri-cordarci di quello che siamo e che
stiamo facendo nel presente, qui ed ora, per
una lettura proficua del passato e una pianificazione attenta del futuro [...] Questo
ri-accordarsi è un’opportunità per cominciare facilmente e con successo la giornata,
assicurandoti che il tuo cervello – in realtà
il tuo intero sistema – riceva il sangue, l’ossigeno e l’elettricità di cui hai bisogno. Eseguendo questo ciclo tutti i giorni ti sentirai
meglio e decisamente più efficiente”.
Il libro contiene poi degli indici minuziosi e specifici delle “Aree di lavoro”
e delle “Competenze” che guidano le
attività di Brain Gym® con le quali si
possono individuare le abilità che si intendono migliorare.
Il metodo Brain Gym® è e rimane comunque una pratica educativa ed autoeducativa: per questo la lettura del manuale mi sembra particolarmente consigliata a chi opera in questo settore, nel
sociale, in quello delle relazioni umane.
Marco Taddei
Michela Marzano
Volevo essere
una farfalla.
Come l'anoressia
mi ha insegnato
a vivere
Mondadori,
Milano 2011,
pp. 208, € 17,50
Di ritorno da Milano, passo alla stazione da Feltrinelli e, invece di curiosare
tra la saggistica psicopedagogica, sociale, politica, vado alla sezione narrativa
e novità e mi colpiscono questo titolo, Volevo essere una farfalla, e l’autrice, Michela Marzano, una filosofa ex
normalista, docente a Paris Descartes,
autrice di saggi di filosofia, morale, sociopolitica, quindi non una scrittrice a
tutto tondo.
E sono stato premiato! Tre ore di viaggio, tre ore di lettura intensa, appassionante, interessata e veloce! Era tempo
che non leggevo un romanzo con tanto
interesse! Ma il libro che ho acquistato,
più per impulso che per scelta ragionata, in effetti non è un romanzo! Non è
un’autobiografia, non sono memorie,
non è una ricerca sociologica, non è un
saggio, non è uno scritto di autoanalisi… eppure è tutte queste cose insieme,
una chiave narrativa assolutamente originale e nel contempo assolutamente
avvincente!
Il “come l’anoressia mi ha insegnato
a vivere”, che compare in copertina,
non giustifica affatto il libro né ne
costituisce l’hard core! Non è un libro
sull’anoressia, questa è solo l’aspetto
esteriore di un male profondo che è
di una bambina, di una ragazza, che
vuole solo vivere, comprendere, gioire
e crescere in una situazione in cui un
padre, severo docente universitario, e
una madre amorevole non sono affatto la ragione scatenante di ciò che la
affligge. È la fatica di vivere, o meglio
la fatica di voler capire tutto, afferrare tutto che aggredisce e attanaglia
la piccola Michela, il conflitto tra un
dover essere atteso e perseguito con
ostinazione e un essere fragile, indife-
Cultura 107
Pedagogika.it/2012/XVI_3/Cultura/Scelti_per_voi
so, forse insufficientemente protetto
da un calore famigliare, che in effetti
non le manca.
Di qui si snoda tutta la sua vita che
non è un racconto lineare e puntuale,
cronologicamente condotto: si tratta
di una serie di flash come “confessioni” rese sul lettino dell’analista, che si
susseguono come in una serie di foto e
di videoclip, sostenute e “commentate”
da spunti di analisi sempre puntuali e
sottili.
Michela costruisce la sua storia con
criteri atemporali perché non è lo scorrere del tempo che caratterizza il suo
crescere e maturarsi! È come se la variabile essere, il dipanarsi dell’essere,
ammortizzasse la variabile tempo: è
l’inquietudine costante e insoddisfatta
di Michela bambina, giovinetta, adulta, studentessa, professore, filosofo,
che tesse il filo della narrazione, una
sorta di diario che, però, non afferisce
al susseguirsi dei giorni, ma è scandito
per dolori e gioie, pensieri di morte e
inni alla vita.
Si tratta di 62 capitoletti, di 3 o 4 pagine ciascuno… e ciascuno ha la sua
autonomia. Piccoli medaglioni, direi!
E allora sono divagazioni? No! Ricordi?
No! Commenti? No! Eppure sono tutte
queste cose insieme… la sua vita, le sue
gioie, i suoi dolori, i suoi studi, i suoi
amori, i suoi interessi, la sua caparbietà
nel conoscere e amare ogni cosa che fa
con un’onestà profonda, sostenuta da
curiosità, voglia di capire, di mettere ordine, di scazzi furenti a volte, e di grandi empiti di felicità.
Ma è la sua vita stessa che è un insieme di cammei, non c’è un inizio, non
c’è una fine, soprattutto non c’è un
fine… Ciò che conta e vive da bam-
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bina ha la stessa forza di ciò che sente
da studentessa, da normalista, da docente universitaria, da ricercatrice, da
filosofa…
Non è un romanzo perché non c’è una
storia, un inizio, una fine, un fine, non
c’è neanche una narrazione distesa, ma
una serie infinita di eventi e di riflessioni. Il richiamo che Michela fa a Nelly
Arcan, la putain suicida a soli 34 anni,
dà il senso del travaglio lancinante di
una donna, di un mondo al femminile
di oggi, tuttora alla ricerca di un posto in una società forse ancora immatura per capirla e accoglierla. Michela
ci ricorda che dopo Putain Nelly aveva scritto Folle, pazza: la paura di una
donna non tanto di essere abbandonata, quanto di non essere, forse perché
si è, se si è in due! E la disperazione
assoluta ricordata in quarta di copertina dall’editore francese divenne una
buona ricetta per vendere! E Michela
sottolinea il cinismo di una società che
strumentalizza tutto, anche la disperazione e la morte!
“Imparare a vivere significa accettare
l’attesa, la sospensione, l’incertezza. Integrare lentamente l’idea che, nonostante tutto, il vuoto che ci portiamo dentro
non potrà mai essere del tutto colmato. Che ci sarà sempre qualcosa che ci
manca. E che è proprio questa assenza
che caratterizza il nostro rapporto con
il tempo, con lo spazio, con l’amore…
E che gli altri non sono ‘cattivi’ se non
sono sempre lì, pronti a intervenire,
pronti a fare qualcosa perché il vuoto
faccia meno male”: una delle tante
perle di saggezza con cui Michela ama
chiosare le pagine del suo libro! Da
non perdere!
Maurizio Tiriticco
Pedagogika.it/2012/XVI_3/Cultura/Scelti_per_voi
Ramona Parenzan
Babel Hotel.
Vite migranti nel
condominio più
controverso d'Italia
Infinito Edizioni,
Castel Gandolfo
(RM) 2011,
pp. 192, € 17,00
Leggere Babel Hotel vuol dire prendere coscienza di una realtà che cerchiamo di ignorare, ma che è più vicina
di quanto non immaginiamo. Ogni
giorno ci imbattiamo in individui, che
chiamiamo immigrati, extracomunitari o genericamente marocchini, senza
considerare la loro reale provenienza.
Chiusi nella nostra indifferenza e nella
presunzione di trovarci a casa nostra,
in un mondo civile ed evoluto, non
intendiamo aprirci ad uomini che consideriamo privi di cultura e arretrati,
anche se ci preoccupiamo di negare
d’essere razzisti.
Noi ci rifiutiamo di conoscere questi
migranti, la loro storia, i loro bisogni e
ci lasciamo guidare dai pregiudizi che
li dipingono come delinquenti, incivili, sporchi e privi di valori. Così sono
visti gli abitanti dell’Hotel House, una
costruzione enorme che accoglie circa
tremila persone provenienti dai luoghi
più disparati della terra, che sono riuscite a creare una sorta di convivenza
civile nel rispetto delle diverse abitudini di vita.
Certo la mescolanza di etnie e idiomi
diversi evoca la confusione e la difficoltà di comprendersi, simboleggiate dalla
Torre di Babele di biblica memoria, ma
se, superando i pregiudizi e la diffidenza da cui l’Hotel House è avvolto, ci
addentriamo in quello che gli abitanti
di Porto Recanati definiscono con gli
epiteti più offensivi, quali gigante di cemento, mostro, isola, ci accorgiamo che
i diciassette piani che lo compongono
brulicano di una umanità viva, uomini, donne, bambini, animati da sogni
e speranze, determinati a realizzarli in
una terra che hanno imparato ad amare
sin da quando hanno deciso di lasciare
il paese natio per raggiungere quella che
ai loro occhi appariva come il mitico
“Eldorado” o l’America.
I protagonisti dei racconti di Babel Hotel sono ispirati a persone reali che, si
possono incontrare nell’Hotel House e
che vivono la loro vita dedite ai lavori
più umili, che gli Italiani rifiutano di
svolgere e, pur attraverso le mille rinunce a cui si sottopongono, continuano a
coltivare i loro sogni.
Tra questi potremmo trovare Lerato
Mokhine, una cantante hip hop sudafricana portata in Italia all’età di sedici
anni, autrice di due CD e di un libro
non ancora pubblicato. Viene arrestata
nel corso di un’operazione di polizia in
seguito ad una denuncia di ignoti. Portata su un velivolo da trasporto con una
trentina di donne e bambini, sogna una
partita di basket tra gli ospiti dell’Hotel House e il resto dell’Italia iniziata
da due millenni, alla quale assistono i
nomi più importanti della lotta per i
diritti umani.
Potremmo incontrare il senegalese che
ha affrontato le peripezie del viaggio
verso la libertà e, dopo dieci giorni dal
suo arrivo, trova lavoro in un cantiere
edile. Deluso dalla scarsa paga ricevuta,
decide di studiare per uscire dall’ignoranza e combattere l’ingiustizia, ma, a
causa di un incidente sul lavoro, che gli
Cultura 109
Pedagogika.it/2012/XVI_3/Cultura/Scelti_per_voi
causa la perdita di un braccio, perde,
con la possibilità di ricominciare un’altra vita e lavorare, la dignità.
Kiki, una ragazza senegalese di sedici
anni, da poco arrivata in Italia, rimpiange la sua terra, i parenti lasciati là,
e ha difficoltà di inserimento nella realtà scolastica, ma non può gridare il suo
odio per l’Italia.
Sono alcuni dei personaggi che popolano l’Hotel House, accomunati da
identiche storie di sofferenza, di miseria, di guerra, che si sentono a proprio
agio solo all’interno di questo condominio, nonostante l’evidente stato
di degrado e di abbandono in cui l’edificio è lasciato dal Comune e dagli
Organi competenti, in quanto solo qui
si riappropriano della loro identità, di
cui si sentono defraudati in una società
che non li vede, non li considera come
uomini, ma degli invisibili.
Un elemento che li accomuna è infatti
la perdita identitaria: l’identità dell’immigrato è definita in base alle apparenze
e la loro immagine appare sfocata sia
agli occhi degli autoctoni, che a quelli
dei migranti stessi.
Appaiono come alieni all’interno della
società italiana, privi persino del diritto
di dissentire, che è prerogativa di chi è
riuscito ad ottenere il riconoscimento
della propria identità, come sogna Pedrafà, un uomo colto che ha affrontato
un viaggio massacrante per giungere in
Italia e, di fronte al degrado dell’Hotel
House, non si perde d’animo, si rimbocca le maniche per fare dell’Hotel
House un luogo collegato con il centro,
ben organizzato, in cui si possono ascoltare echi di Paesi lontani.
Possiamo condividere questo sogno e
auspicare che si creino in Italia e nel
110
mondo realtà in cui ci si senta tutti
cittadini con gli stessi diritti e doveri, indipendentemente dal Paese di
provenienza, visto che la condizione
umana è caratterizzata proprio dalla
mobilità e la vita stessa può essere immaginata come un’esperienza migratoria continua.
Nicoletta Mandaradoni
Richard David Precht
L’arte di non essere
egoisti. Perché
vorremmo tanto
essere buoni e cosa ci
impedisce di farlo
Garzanti,
Milano 2012,
pp. 514, € 28,00
“L’uomo è buono, è la gente che è bastarda”. È questa celebre frase del drammaturgo ottocentesco Nestroy ad aprire
il libro L’arte di non essere egoisti di Richard David Precht, un giovane filosofo,
scrittore e giornalista tedesco formatosi
all’Università di Colonia e collaboratore
di quasi tutte le più importanti testate e
reti televisive tedesche.
Il libro, a prima vista imponente con le
sue cinquecento pagine, si pone un fine
tutt’altro che semplice; rispondere a
domande quali: «Che cosa sappiamo nel
XXI secolo della natura morale dell’uomo? […] Quando agiamo moralmente e
quando no? Perché non siamo tutti buoni
come vorremmo? Come potremmo cambiare la nostra società per renderla “migliore” a lungo termine?».
La risposta di Precht si sviluppa raccogliendo nel testo materiale proveniente da discipline diverse, dalla
Pedagogika.it/2012/XVI_3/Cultura/Scelti_per_voi
sociobiologia alla filosofia, dall’empirismo inglese alle scienze cognitive, il
tutto con un solo imperativo: evitare
il settorialismo e la parcellizzazione
del sapere così da poter presentare il
concetto di morale nel modo meno
particolare e limitato possibile.
Il volume è diviso in tre parti. La prima, partendo da Platone e Aristotele, passando da Hobbes e Huxley e
arrivando agli studi di neuroscienze
sui primati, pone l’attenzione su alcuni punti critici dell’idea di Bene
come l’impossibilità di darne una definizione precisa o come la difficoltà
di scegliere tra tanti buoni propositi
quale sia il migliore. Il bene, sostiene
Precht, non è un’idea assoluta, non
esiste al di là delle persone e la stessa
morale non è qualcosa di separabile
dall’uomo. La capacità morale è, infatti, innata e si sviluppa influenzata
dall’educazione e dalla società fino a
raggiungere il livello di un elaborato
senso di giustizia. L’essere umano agisce sì in base al proprio interesse, ma
ciò non vuol dire che sia uno spietato egoista anzi il più delle volte il suo
interesse coincide con l’avere fiducia,
affetto e amore e il benessere che si
prova nell’essere buoni. Ma se ciò è
vero, perché, allora nel mondo esiste
così tanto male?
Perché non esistono solo cose belle
nella natura morale umana, ma anche
cose brutte ed è a esse che è dedicata
la seconda parte del libro. Nonostante
le nostre “armi razionali” siano in grado di formulare massime universali e ci
spingano a voler essere buoni, esserlo
veramente è un compito molto arduo.
Ciò, è dovuto soprattutto al fatto che
i comportamenti altrui influenzano il
nostro modo di pensare e comportarci e
al fatto che mostriamo totale disinteresse per quei problemi che vanno al di là
della nostra sfera morale perlopiù limitata alla comunità in cui viviamo.
A questo si aggiungono, nella terza
parte del libro, il nostro morboso attaccamento al denaro, il dilagante consumismo e la competizione economica
che hanno provocato un progressivo
peggioramento della coesione sociale.
Come fare in una tale situazione a riportare le virtù morali all’interno della
società? Il filosofo tedesco sembra avere
le idee molto chiare a riguardo fornendo al lettore soluzioni non solo teoriche, ma anche pratiche.
Chi pensa di trovarsi di fronte al solito incomprensibile saggio di filosofia
si sbaglia di grosso. I massimi sistemi
di etica teorica vengono affrontati da
Precht con un linguaggio sobrio e comprensibile adatto al grande pubblico e
non necessariamente ristretto agli addetti ai lavori.
Fanno sorridere le descrizioni di Platone come l’inventore dei talk show,
di Socrate come “un vagabondo senza arte né parte, un senzatetto, […]
dall’ingegno sopraffino” e di Aristotele
come “un uomo che andò a riprendersi
l’etica in cielo per radicarla nel cuore
umano”.
Che dire allora di questo testo? Niente di meno che un esperimento ben
riuscito di come la filosofia possa mescolarsi nella società tra noi “comuni
mortali” per indicarci il cammino verso il Bene nella convinzione che “chi
ci considera cattivi per natura […] si
preclude la strada per educarci ad essere
migliori”.
Serena Bignamini
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musica
The Black Keys
El Camino
Nonesuch, 2011,
€ 19,90
a cura di Angelo Villa
Tom Waits
Bad as me
Anti-, 2011,
€ 19,50
Vinicio Capossela
Marinai, profeti e
balene
Atlantic, 2011,
€ 22,50
Steven Wilson
Grace for
Drowning
K-scope, 2011,
€ 15,90
Ben più dei gatti che, di vite, si dice
che abbiano appena sette, il rock ne
possiede tante da garantirgli un indiscusso attributo, quello dell’immortalità. Non è del tutto sicuro che ciò
comporti necessariamente un privilegio, forse la vita sogna anche di potersi
concedere un meritato riposo, forse,
ancora, ciò condanna un genere musicale a una ripetizione infinita, snervante, in definitiva noiosa… Ma poi che
importa? E’ solo rock and roll, come
cantavano i Rolling Stones. Meglio
lasciar cader questioni eccessivamente
oziose o cerebrali e arrendersi a una
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piacevole constatazione: il rock non
muore. Mai, almeno per il momento.
Una conferma in tal senso viene dall’ottavo cd, il migliore a detta degli esperti più
raffinati, di un duo di ragazzotti dell’Ohio
che si fanno chiamare The Black Keys.
Uno suona la chitarra, l’altro la batteria:
in una parola, l’essenziale ridotto ai suoi
minimi termini. Ovviamente, nell’incisione altri gli danno una mano, per quanto il suono degli strumenti dei due titolari
della premiata ditta siano spesso in primo
piano. Il titolo dell’album è El Camino. E’
rock, per l’appunto, ma per nulla scontato. Le undici canzoni sono davvero belle,
vive. Sprizzano energie. Dispiace che il cd
finisca, troppo presto, ahimè, perché si
vorrebbe continuasse ancora un po’… Ma
è così. Tra i brani ascoltati mi ha impressionato “Little Black Submarine”, lirica e
trascinante. Una canzone quasi divisa in
due, tra una parte iniziale dolce, accattivante, stile ballata acustica, e una successiva dominata da un vertiginoso crescendo elettrico. Un brano che non può far a
meno di ricordare la celebre “Stairway to
heaven” dei Led Zeppelin. Brothers, il loro
cd uscito nel 2010, ha venduto milioni
copie e sbancato i grammys. E’ facile profezia ipotizzare che El Camino imbocchi
la medesima strada, come recita opportunamente il titolo. Rock on, dunque.
Passo oltre. Ammetto che d’istinto ho
(mentalmente) storto il naso quando mi
è stato regalato l’ultimo cd di Tom Waits.
Chi me lo stava regalando mi era troppo
caro perché potessi obiettare o sollevare
chissà quali perplessità. Nel mio intimo,
liberando quella supponenza che non
aspettava altro che di prender voce, mi
ero, infatti, detto: “Tom, ormai, ha già
dato tutto quel che poteva dare, sarà solo
un cd inutile, rantoli rauchi più qualche
Pedagogika.it/2012/XVI_3/Cultura/Scelti_per_voi
di Tate Taylor
The Help
Usa 2011
Produzione:
Paramount Vantage,
1492 Pictures,
DreamWorks
Pictures,
Harbinger Pictures,
Imagenation Abu
Dhabi FZ, Participant Media
Distribuzione: Walt Disney Pictures
Sapere è potere
“Non hai diritto a rilasciare i tuoi escrementi nelle stesse tubature in cui lo faccio io. Sei una negra pericolosa, difetto-
cinema
di Vinicio mi è parso, soggettivamente,
insopportabile. Avrei voluto stordirmi
con un greatest hits di Little Tony, sparato
a palla! Continuando, di tanto in tanto,
ad abbassare il volume per chiedermi ad
alta voce: “Ma, soprattutto, perché?”.
E, per finire, l’oggetto misterioso: questo, l’ho proprio comprato. Sapete quanta fatica ho nel resistere alle offerte che il
mio pusher di fiducia mi propina. Come
al solito, lui ha insistito, assicurandomi
che il cd era un capolavoro e l’artista un
genio. Da bravo boccalone ho accettato e ora non ne saprei dire di più. Non
proprio capito... Un po’ ricorda Mike
Oldfied, quello di Tabular bells, un po’ i
Pink Floyd e boh. Se vi capita di ascoltarlo fatemi sapere un vostro parere, magari
con un piccione viaggiatore o affidandolo a un pony express. Lui, il cantante e
compositore, si chiama Steven Wilson. E
il cd, mannaggia, anche questo doppio:
Grace for Drowning. Mah, doppio mah.
Angelo Villa
a cura di Cristiana La Capria
sonorità strampalata, stereotipate prostitute e alcool a gogò… Solita roba, insomma… Non c’è più niente da aspettarsi del
vecchio Tom (“sottile” gioco di parole per
i lettori anglofili sul cognome dell’autore!!!)”. E invece no, alla faccia della mia
solerte presunzione. Tom mi ha sorpreso
e mi ha fregato! Bad as me è veramente
bello, toccante. Quando la voce sofferta di
Tom si inerpica lungo ballate come “Pay
me” o “Last leaf” è il dolore del mondo,
assurdo e incontenibile che prende voce,
al di là di ogni ragione, di ogni utopia, di
ogni chiacchera. Nessuno riesce a cantare
in quel modo, sgraziato e pieno di grazia
al contempo. Le parole vi arrivano dirette
giù nell’anima. E’ l’angolo, in disparte nel
mondo, quelle delle canzoni di Waits, che
raccoglie la poesia, l’unica poesia di cui
questo stesso mondo è capace. Grandioso,
superbo. Grazie, di cuore.
Da Waits a Vinicio Capossela, il passo
è breve. O, almeno, una volta era tale.
Il nostro Vinicio lo scimmiottava parecchio. Ora, francamente, non so cosa
abbia preso all’autore di “Che cos’è l’amor” ma passare da Tom a lui è come
andare dall’Everest alla collinetta di san
Siro. Non so, ripeto, non so quale supposizione maniacale l’abbia catturato e
rapito, come fa il vento con gli aquiloni
quando si rompe il filo che li tiene legati
a una mano. E’ l’ombra del fantasma di
Melville, lo scrittore di Moby Dick; come
lascia credere il suo ultimo doppio (sic! E
quindi doppio sic!) dal titolo: Marinai,
profeti e balene. Me l’hanno regalato e
sono riuscito a ascoltarlo una sola volta.
Poi, francamente, non ne potevo più. La
straziante pesantezza dell’album mi ha
sopraffatto, peggio di una giornata trascorsa all’Asl a inserire dati nel computer.
Il tono orante, supplicante, profetizzante
Cultura 113
Pedagogika.it/2012/XVI_3/Cultura/Scelti_per_voi
sa, infetta. Va fuori in giardino dove ti
ho fatto costruire un apposito water. Qui
comando io, questa è casa mia. Io sono
bella, bianca, bionda, giovane, ricca. Mi
sento rivoluzionaria ad avere proposto
una così raffinata soluzione per le signore educate della mia città: una casa con
due bagni, uno interno per la famiglia e
uno esterno per te, domestica nera. Tu ti
devi lavare spesso le mani con il sapone
e mangiare con le tue posate. I rischi di
infezione si annidano per ogni dove. Tu
stai dietro la mia figlia, le cambi i pannolini e le canti la ninna nanna: io, donna
elegante e sposata, devo occuparmi del
marito e delle amiche con cui gioco a
carte; non mi macchio di certo le mani
con le feci dei bebè, non perdo di certo
il sonno dietro a sciocche cantilene notturne. Puah!”
Odioso appare il ritratto della donna
bianca alto-borghese che viene presentato da questo film. Le belle signore americane con i bei vestiti nelle belle case sono
impegnate nel nulla della loro vanità
mentre le rotonde signore africane con i
brutti vestiti sfangano tutto il giorno per
abbellire le superfici dell’anima delle loro
padrone. Molti sono i lavori sul tema
razziale. Interessa molto che il contesto
americano di quarant’anni fa torni alla
ribalta proprio adesso. Perché ci riguarda molto da vicino, noi donne occidentali. Perché in questa storia sono messe
in primo piano le donne che sfruttano
e maltrattano altre donne, quelle che
sembrano la feccia dell’umanità più bassa, un concentrato di categorie perdenti:
povere, africane, poco istruite e femmine. Talmente è ridicolo il problema del
gabinetto separato da procurare fastidio
allo stomaco. Quasi iperbolico nelle sue
sfaccettature: una domestica nera viene
114
licenziata per avere inquinato le stesse tubature della padrona con i propri
escrementi; che vergogna! Il film riporta
su una superficie dai colori pastello un
quadro sociale buio e tetro che quasi
non si può vedere tanto è fosco. Donne
nere con il grembiulino bianco servono
donne bianche con l’abito di seta. Ma
quando il gioco si fa duro le vittime reagiscono e raccontano le piaghe morali
e politiche della upper class americana. E
siccome ciò che cacci dalla porta rientra
dalla finestra, ecco la sagace sequenza
che mostra la domestica nera licenziata
portare in dono alla sua ex padrona una
torta fatta con suoi escrementi, quegli
stessi escrementi che la signora perbene
aveva snobbato, come a dire: cara padrone, se non vuoi la mia cacca nel tuo
gabinetto, allora te la mangi tanto, malgrado la differenza di pelle, il colore della
cacca è universale, no? E il primo piano
del godimento orale della donna bianca
che - ignara - assapora dal piatto quella
pasta friabile di colore marrone è davvero
esilarante.
Un quadro di potere tra donne di razze
diverse montato secondo lo stile del vecchio Altman, con una ripresa alternata
e distribuita in tante caselle colorate che
incorniciano donne isteriche e velenose che parlano un linguaggio fatto di
una specie di ironia noir ereditata dalla più giovane serie televisiva Desperate
housewives. E se le vittime non vincono
sulle carnefici, di certo si prendono una
bella rivincita con un libro, The help,
scritto a più mani e capace di togliere il
sonno alle belle signore bianche. Perché
ciò che di male si nasconde va detto e va
saputo; riuscirci è una grande forma di
potere. Da vedere per non dimenticare.
Cristiana La Capria
Pedagogika.it/2012/XVI_3/Cultura
ARRIVATI_IN_REDAZIONE
Angela Lanza (a cura di)
Ho fame di giustizia. La rivolta delle donne a Palermo contro la mafia
Narrativa editore, Marsala-Palermo 2011, pp. 141, € 12,00
Nel 1992, a seguito della Strage di via D'Amelio, le donne del digiuno decidono
di non rassegnarsi all'isolamento delle proprie case ma di dar voce, insieme,
al desiderio di cambiamento che le accomuna: occupano per un mese piazza
Castelnuovo, al centro della città, attuando a turno tre giorni di sciopero della
fame. Angela Lanza, protagonista di quell'esperienza, attraverso i ricordi delle
donne del digiuno, ci racconta quelle settimane, trascorse nella consapevolezza
che riappropriarsi del proprio corpo e di uno spazio collettivo significa proporre
un'alternativa sociale e politica.
Maria Grazia Battistoni, Rita Giomprini,
Anna Paola Moretti, Mirella Moretti
La deportazione femminile. Incontro con Irene Kriwcenko
Assemblea Legislativa delle Marche,
Istituto di Storia Contemporanea della Provincia di Pesaro e Urbino, 2010
In coincidenza della celebrazione del giorno della memoria l'Assemblea Legislativa
delle Marche promuove la pubblicazione di questo lavoro realizzato dall'Istituto
di Storia Contemporanea della Provincia di Pesaro e Urbino che ha permesso di
portare alla luce la storia di Irene Kriwcenko, ucraina di nascita, ma marchigiana
di adozione perché da molti anni vive a Pesaro: è la storia della deportazione di una
donna che, arrestata nel 1942, viene costretta al lavoro coatto a Magdeburgo
Nathalie de Salzmann de Etievan
Non sapere è formidabile! Il modello
formativo Etievan
Bonanno Editore, Roma 2012, pp. 240, € 18,00
Questo volume raccoglie e ordina varie conferenze e incontri tenuti dall'autrice
in molti paesi, nel corso di vari anni, così come resoconti di riunioni sostenute
con i gruppi di insegnanti e genitori. Il metodo pedagogico emerge in tal
modo sempre in intima e proficua relazione con le realtà educative concrete,
non come una fredda teoria applicata dogmaticamente ai rapporti con i
ragazzi. Educare significa innanzi tutto condividere una ricerca attenta, attiva,
entusiasta con i propri allievi.
Fabio Dovigo
Guida alla mediazione e alla
conciliazione professionale
Carocci, Milano 2011, pp. 200, € 16,00
Negli ultimi anni la mediazione si è andata affermando anche in Italia
come uno strumento importante di risoluzione delle controversie,
al pari di quanto già da tempo avviene in altri paesi dell'Europa e
del Nord America. Il suo scopo è aiutare le persone a recuperare e
sviluppare le risorse necessarie ad affrontare i conflitti e a trovare una
soluzione equa e condivisa da entrambe le parti.
Dossier 115
Pedagogika.it/2012/XVI_3/Cultura/Arrivati_in_redazione
Serena Giordano
Disimparare l'arte. Manuale di antididattica
Il Mulino, Bologna 2012, pp. 210, € 15,00
Perché di fronte alle “immortali” opere d'arte del passato il pubblico
comune nutre sentimenti di deferenza? E perché in quello stesso pubblico gli
“incomprensibili” capolavori contemporanei suscitano invece diffidenza? Dalla
prima infanzia all'età adulta, lo spettatore si sente sempre giudicato dall'arte:
a partire dalla scuola, che utilizza l'espressione creativa come indicatore dello
sviluppo cognitivo o persino morale del bambino, per giungere al museo, in cui
bambini e adulti sono spesso vittime di un'ossessione per l'assistenza e la cura.
Carlo Scataglini
Il sostegno è un caos calmo e io non
cambio mestiere
Erickson, Trento 2012, pp. 112, € 13,00
Mi piace l'idea di provare a raccontare alcune esperienze che mi sono capitate
in più di vent'anni di lavoro, di incontri, di emozioni. Di spiegare le ragioni
per cui, secondo me, il mondo del sostegno è una specie di “caos calmo”,
un ossimoro disordinato e lento, generativo e immobile, difficile da vivere e
magnifico, spaventoso e intrigante, per il quale niente è semplice o scontato,
niente è uguale due volte di seguito. Nemmeno aprire la porta ed entrare in
classe al mattino: tutto è sempre una nuova scoperta.
Anna Oliviero Ferraris
Padri alla riscossa. Crescere un figlio oggi
Giunti, Firenze 2012, pp. 208, € 16,00
Dalla psicologa più autorevole e più seguita dai media, una guida sicura
per imparare a star bene insieme ai propri figli. A cosa serve un padre? Che
importanza riveste in famiglia e nella crescita di un figlio? Un padre può essere
intransigente, dominatore, impaurito o smarrito. A dispetto dell'opinione
comune, oggi molti padri rivendicano il diritto di esercitare un ruolo attivo sia
all'interno della famiglia tradizionale, sia in caso di separazione.
Julia Kristeva, Jean Vanier
Il loro sguardo buca le nostre ombre
Donzelli, Roma 2011, pp. 221, € 16,00
Cos'hanno in comune una delle voci più autorevoli del pensiero laico occidentale
contemporaneo come Julia Kristeva e Jean Vanier, il filosofo cattolico fondatore
dell'Arca? Lo si scopre nel fitto dialogo che i due intrecciano in queste pagine,
nate da uno scambio epistolare durato oltre un anno e incentrato sulle loro
rispettive esperienze: quella di psicanalista, scrittrice e soprattutto madre, che
vede Julia Kristeva impegnata da anni in una battaglia politica per assicurare ai
disabili una vita dignitosa nella società, e quella di Vanier, che da quarantasei anni
pratica e predica il vivere insieme alle persone portatrici di handicap
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Il sorriso dei miei Bimbi Onlus.
Il Progetto giovani Rocinha
Helena Bastos Wittlin*, Barbara Pascali**
in_vista
Pedagogika.it/2012/XVI_3/In_vista
Il Progetto Giovani, fondato nel 2004, ha sviluppato
le proprie attività sulla base degli orientamenti e delle
fondamenta giuridiche dello Statuto del Bambino e
dell’Adolescente.
Prima di iniziare le attività del Progetto, l’anno scorso, abbiamo tenuto quattro incontri con lo staff al
fine di delineare le linee guida pedagogiche che sarebbero state adottate durante l’intero
processo educativo. In questi incontri sono stati discussi temi come la vita quotidiana
(le abitudini culturali della popolazione giovanile), le condizioni socio-economiche (alloggi inadeguati, scarsa istruzione, la violenza sociale), le condizioni ambientali (rifiuti,
servizi igienici), gli aspetti biologici (elaborazione del corpo di un adolescente) e gli
aspetti psicologici (bassa autostima, sentimento di impotenza, debolezza di identità
individuale, problemi emotivi legati alla droga...).
Il nostro team ha come riferimento principale la metodologia partecipativa, nella
quale i giovani sono incoraggiati ad intervenire nella scelta dei contenuti dell’insegnamento trasmesso in aula, durante tutti i 10 mesi di attività del progetto.
Uno degli obiettivi principali di questo lavoro sociale, è appunto quello di sviluppare la
capacità intellettuale, lo sviluppo creativo, critico ed emotivo dei giovani partecipanti.
Attraverso i vari incontri, i partecipanti hanno avuto l’opportunità di entrare in
contatto con le discipline artistiche, le lingue straniere, il teatro, l’educazione alla
salute, l’educazione civica, il cinema e il jiu-jitzu.
Il Projeto Jovem continua inoltre ad offrire l’accompagnamento psicologico, individuale e facoltativo. In questo lavoro clinico che stiamo realizzando assieme ai giovani della Rocinha, sono stati trattati problemi legati alla scarsa preparazione che
gli adolescenti in generale elaborano circa lo stato di abbandono e desolazione (del
vivere in favela), sia all’interno della famiglia che nella società; il disorientamento
soggettivo, l’indebolimento dell’identità individuale e la loro vita sociale.
*Coordinatrice Progetto Giovani, Psicologa Senior Casa Giovani – ONG Amigos da Vida
**Progetto Giovani Bahia, Comunicazione e Web Editing – Onlus Il Sorriso dei miei Bimbi
In Vista 117
in_breve
Pedagogika.it/2012/XVI_3/In_breve
Uomini in educazione: la
scomparsa di un genere
Uomini in educazione è il titolo provvisorio di un volume di prossima pubblicazione
presso Stripes Edizioni. Il libro sarà disponibile a partire dalla fine di ottobre e può
già essere prenotato direttamente all’indirizzo e-mail [email protected]
Se si parla di uomini in educazione1, si parla, soprattutto, di un’assenza. Scrive Andrea Marchesi, educatore e supervisore pedagogico. “Un collega mi racconta che si sono
dimessi tre educatori nel giro di poche settimane e nella sua cooperativa sono disperati
perché non riescono a trovare figure maschili (…). Entro in un’aula universitaria, corso
di laurea in scienze dell’educazione, 200 persone circa: mi bastano le dita per contare gli uomini presenti. Mi chiamano per una consulenza pedagogica in una scuola
primaria (…) partecipo al collegio docenti: incontro solo donne... Dall’università ai
servizi territoriali fino alla scuola (almeno tra scuola dell’infanzia e secondaria di primo
grado) sembra di assistere all’evaporazione degli educatori, alla progressiva scomparsa
di uomini professionisti dell’educazione”. Questa la situazione, eppure non se ne parla
o se ne parla troppo poco: si tratta di un’evidenza invisibile, una realtà così nota, così
scontata al punto da non vederla più e si legittima così, col quasi-silenzio, un fenomeno
preoccupante, si impedisce di prefigurare interventi e non si lascia spazio neppure alla
possibilità di nominare i danni che ne derivano (...)
Se ne parla poco o nulla... anche perché le professioni educative appartengono
a quell’area di lavori definiti lavori di cura e della cura se ne occupano le donne. E
ciò che avviene da sempre appare naturale, non vi si applica né riflessione né critica:
è così ed è giusto che sia così. Eppure ora gli uomini mostrano desideri fino a poco
tempo fa impensati: desiderano essere padri nuovi, desiderano – e lo fanno in molti
– prendersi cura dei loro figli e figlie... Perché, allora, questo desiderio maschile di
cura non si trasferisce negli ambiti professionali?
(…) Si tratta di un problema culturale... e, come tale, superabile, perché le
culture, anche le più tenaci, si possono trasformare, adeguare alle nuove domande.
Basta che queste domande si cominci finalmente a porsele. Domande serie, che
chiedono lo sforzo di superare l’ovvio, il già dato, l’invisibilità delle evidenze.
Ed è urgente farlo perché le assenze maschili in educazione creano problemi
gravi, soprattutto tra chi è più giovane e viene educato o educata in un mondo
tutto femminile e cresce nella convinzione che a prendersi cura siano sempre e
soltanto le donne, che gli uomini non sanno, possono o vogliono farlo...
1 Estratto parziale dell’articolo Uomini in educazione di Barbara Mapelli sull'omonimo convegno
dell'Università Bicocca del 14 marzo 2012, pubblicato su http://www.arcipelagomilano.org/archives/20033
il 26 giugno 2012.
118
Pedagogika.it/2012/XVI_3/Cultura/Carnet
Carnet - La redazione consiglia
Eventi, festival, incontri di interesse in giro per l'Italia
Popsophia Festival
Civitanova Marche (MC),
12-30 luglio 2012
Popsophia è il primo appuntamento nazionale della filosofia che si trasforma in filosofia
popolare o pop filosofia. Il format del festival
rende l’intrattenimento cultura. Attraverso la
voce di pensatori illustri, critici, opinionisti e
personaggi del mondo dello spettacolo e della cultura Civitanova diventa un laboratorio
per capire, declinare e approfondire il mondo della contemporaneità.
Info: http://www.popsophia.it
Lago Film Festival, Festival Internazionale di Cortometraggi, Documentari e
Sceneggiature - Revine Lago (TV),
20-28 Luglio 2012
Saranno Alberto Nerazzini di Report, autore
delle inchieste più clamorose della trasmissione TV di “culto” Report, e Angela Rafanelli, volto de Le Iene di Italia Uno, gli ospiti
d’onore dell’ottava edizione del Lago Film
Fest che si svolgerà dal 20 al 28 luglio sulle
rive del Lago trevigiano e tra i vicoli del borgo in pietra, con un programma imponente
per proposte e numeri (oltre cento i film in
concorso da tutto il mondo, selezionati su
2000). Con tantissime novità, eventi speciali, ospiti nazionali e internazionali, anteprime, mostre d’arte, il Lago Film Fest, regalerà
al pubblico un’edizione strepitosa. Tema forte di quest’anno sarà l’inchiesta giornalistica.
Info: http://www.lagofest.org
Giffoni Film Festival
Giffoni Valle Piana (SA),
14-24 luglio 2012
Il Giffoni Film Festival (GFF) nasce nel 1971
da un’idea di Claudio Gubitosi: promuovere e
far conoscere il cinema per ragazzi, elevandolo dalla posizione marginale che occupava al
tempo, ai ranghi più consoni di un “genere”
di grande qualità e capacità di penetrazione del
mercato. nel vasto calendario d’eventi (fra cui
segnaliamo la serata “omaggio a Tim Burton”),
numerosi saranno anche gli ospiti internazionali alla manifestazione. Oltre alla Agron, è stato
confermato anche il nome di Jessica Alba, altra
famosissima attrice di film e telefilm d’olteroceano come “Dark Angel” o “Sin City” (2003).
Info: http://www.giffonifilmfestival.it
9° Convegno SIPSCO “Rilanciare i legami sociali, attivare partecipazione, promuovere cambiamenti”
27-29 settembre 2012, Milano
E’ disponibile il primo annuncio del nono convegno nazionale della Società Italiana di Psicologia di Comunità che si terrà il prossimo settembre presso l’Università Cattolica di Milano.
Il Convegno che sarà articolato in sessioni
tematiche e simposi e vede programmate per il momento le lezioni magistrali di
Maritza Montero dell’Università Centrale di Caracas e di William Doherty dell’
Università del Minnesota. Nelle prossime settimane sarà attivato un sito dedicato all’evento e seguirà un secondo annuncio con informazioni più dettagliate.
http:// http://www.sipco.it/index.php
Interventi intensivi e precoci per l’autismo
Evidenze scientifiche e sostenibilità Esperienze internazionali a confronto. 13-14
settembre 2012 - Brescia Centro Paolo VI
Si terrà presso il centro paolo IV il convegno internazionale sponsorizzato dall’ Istituto Europeo per lo Studio del Comportamento Umano. - www.iescum.org
Carnet 119
Congresso Nazionale delle Sezioni AIP
20-23 settembre 2012 Università “G.
d’Annunzio” di Chieti-Pescara
“AIP 1992-2012: Psicologia, Scienza, Società”
In occasione del ventennale dell’Associazione
Italiana di Psicologia, i Congressi delle cinque
Sezioni si svolgeranno in parallelo presso il
campus dell’Università di Chieti. Sarà un’occasione eccezionale che, oltre a permettere di
celebrare i vent’anni di attività dell’AIP, vedrà
la partecipazione, nello stesso luogo e negli
stessi giorni, di tanti psicologi italiani provenienti dal mondo accademico e della ricerca.
L’evento, già di per sé unico per il suo formato, verrà ulteriormente arricchito dall’organizzazione di tavole rotonde comuni alle Sezioni, riguardanti le dimensioni cruciali della
psicologia accademica (ricerca, rapporto con
la società, internazionalizzazione) e da simposi riguardanti tematiche di interesse comune.
L’Università di Chieti, immersa tra le colline
d’Abruzzo e situata a breve distanza dal mare e
dalle montagne, è lieta e orgogliosa di ospitare
questo grande evento.
www.aipass.org
Giornata mondiale del software libero
2012 15 Settembre 2012 / In tutto il
mondo - Congresso/Giornate tematiche
Questa manifestazione si svolge annualmente in tutto il mondo. Da quest’anno gli organizzatori vogliono coinvolgere
maggiormente i comitati locali, ai quali si
chiede di inviare la propria candidatura per
ospitare il summit di settembre.
softwarefreedomday.org
Primo “Convegno europeo sul pragmatismo” - Roma, Università di Roma Tre
19-21 Settembre 2012
Dal 19 al 21 settembre 2012 si terrà all’Università di Roma Tre il primo “Convegno
europeo sul pragmatismo”, organizzato
dall’Associazione Pragma in collaborazione
con il Nordic Pragmatist Network e patrocinato dal dipartimento di Filosofia dell’U120
niversità di Roma Tre, dal dipartimento di
Scienze umane, storiche e sociali dell’Università del Molise, dalla Fulbright Commission e dalla U.S.-Italy Fulbright Commission. Il convegno riunirà un gran numero
di eminenti studiosi europei e americani
che parteciperanno alla sessione plenaria
introduttiva e alle 15 sessioni parallele che
si succederanno nei tre giorni del convegno.
http://www.uniroma3.it/
XXVI Convegno SISP
13 - 15 settembre 2012
Università Roma Tre - Facoltà di Scienze Politiche, Dipartimento di Studi Internazionali e
Dipartimento di Istituzioni pubbliche, Economia e Società Il congresso annuale della SISP
offre l’occasione di esplorare e discutere temi
di interesse per la disciplina, nuove prospettive
teoriche e metodologiche e recenti risultati di
ricerche di scienza politica. Il programma comprende sessioni plenarie, l’Assemblea dei soci
e numerosi gruppi di studio, riuniti in sezioni
tematiche, nei quali i partecipanti presentano e
discutono ricerche ed analisi che mirano a un
alto livello scientifico.
http://www.sisp.it/convegno
3rd International conference on degrowth for ecological sustainability
Venezia dal 19 al 23 settembre
La 3a Conferenza internazionale sulla decrescita per la sostenibilità ecologica e l’equità sociale si terrà a Venezia dal 19 al 23 settembre
2012. Dopo Parigi (2008) e Barcellona (2010),
Venezia è stata selezionata per ospitare un importante momento di approfondimento e di
divulgazione della nozione di decrescita per la
sostenibilità ambientale e l’equità sociale.
In occasione della Conferenza, alcuni grandi critici dell’economia convenzionale – tra
cui Serge Latouche e Joan Martínez Alier –
si alterneranno con laboratori e workshop
sulle “buone pratiche” di governo e gestione
dei beni comuni a livello globale.
http://www.venezia2012.it/