1 Relazione per il Seminario Permanente “Lionello R. Levi
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1 Relazione per il Seminario Permanente “Lionello R. Levi
Relazione per il Seminario Permanente “Lionello R. Levi-Sandri” ‘Attività transnazionali, sapere giuridico e scienza della traduzione’ Università di Roma, La Sapienza – Università di Roma, Tor Vergata Roma, 12-13 novembre 2009 Primo laboratorio: Diritto, geo-diritto e concetti nella mediazione linguistico-giuridica Ordinamenti giuridici e linguistica: da Heinrich Heine a Darwin, e ritorno Pierluigi Congedo, King’s College London – Univ. Roma 3 Premessa. Ringrazio gli organizzatori per avermi invitato ad esprimere il mio modesto punto di vista su una tematica così complessa quale i rapporti tra ordinamenti giuridici a livello globale e il ruolo della lingua e delle tecniche linguistiche (o dei ‘linguaggi tecnici’) del diritto come veicolo di comunicazione tra tali ordinamenti. Il mio iter professionale e accademico attraverso tre ordinamenti, quello comunitario, quello inglese, che attualmente mi ospita, e quello italiano, che per primo mi ha formato al diritto, è ancora incompleto per giungere a conclusioni certe. Per questo la fiducia e l’apprezzamento dei miei ospiti va sicuramente al di là dei miei meriti e persino della mia abilità a sussumere sotto categorie universali, care agli ordinamenti di Civil-Law, i molteplici trends, fratture, spostamenti impercettibili e costanti, che noi ci sforziamo di percepire quotidianamente, quasi aghi di sismografi. Il mio brevissimo intervento muove da una provocazione, si sviluppa attraverso un paradosso, e si conclude con una iperbole. 1 La provocazione. E’ possibile che una lingua, poniamo l’inglese, possa divenire in un tempo ragionevole, non solo in Europa ma a livello globale, la principale lingua di comunicazione e che essa possa addirittura non solo influenzare ma, addirittura, rinforzare dall’interno la portata stessa dei concetti giuridici che essa stessa veicola? Procederò nel ragionamento attraverso un paradosso: proprio il nostro sistema giuridico di riferimento, quello romano-germanico, muovendo dai concetti e dalle categorie generali (da cui trae origine ‘la specie del fatto’ o ‘fattispecie’), ha per primo dotato di forza quella razionalissima tecnica giuridica che consiste nel ‘non reinventare la ruota’, ovvero nel riconoscere la funzione para-normativa del precedente propria dello jus praetorium, a sua volta alla base degli ordinamenti giuridici di CommonLaw; cioè di quella stessa famiglia giuridica che oggi, nuovo Oreste, potrebbe uccidere i suoi genitori, senza per questo impazzire o, nuovo Edipo, ritenere doveroso accecarsi, per l’unione con sua madre. Non è chi non veda questo trend negli ultimi tre secoli del diritto pubblico: la reverenza per il fatto, la praxis, come interpretata dal giudice, proprio quello jus praetorium esaltato dai sistemi di Common Law diviene, nelle ricostruzioni della moderna democrazia di Locke e di Montesquieu, il vertice stesso della piramide dei poteri. Al di sopra della stessa legge, e molto al di sopra dei poteri esecutivi, risiede la giurisprudenza. Non solo quella locale e nazionale ma, soprattutto, quella delle corti comunitarie. Un simile trend è osservato dai giuristi impegnati tra due o più ordinamenti a livello privatistico. La norma nazionale che abbiamo studiato con totale fedeltà e devozione, si dissolve di giorno in giorno non solo nelle norme comunitarie, ma nelle interpretazioni che di esse danno le corti comunitarie. In altri termini, pragmatismo ed efficienza, ovvero la giustizia del caso singolo e l’operazione di distinzione, caso per caso, nell’applicazione di 2 norme generali e astratte, e non già le nude categorie giuridiche dei sistemi continentali, sembrerebbero prevalere. Tali premesse mi dovrebbero permettere di concludere con una iperbole. L’antropologo francese Claude Levi-Strauss1, scomparso meno di due settimane fa, ha riconosciuto per primo che tutti gli aggregati umani sembrano rispondere alle medesime esigenze di razionalità, ancorché aggregati più organizzati ed efficienti di altri finiscano in effetti per prevalere sugli altri. La mia iperbole consiste nel sostenere che ordinamenti e sistemi tecnicamente più efficienti, nel senso di più adatti a fornire soluzioni adeguate alle esigente di regolazione dei rapporti interindividuali e al soddisfacimento delle esigenze di giustizia, a prescindere dallo sforzo di traduzione e di conoscenza di altri sistemi, in un arco di tempo fino a poco tempo fa giudicato talmente lungo da non meritare studi e previsioni, potrebbero finire per prevalere su sistemi raffinati, ma incapaci di modernizzarsi dall’interno (o, più semplicemente, di adeguarsi efficacemente), come incapaci furono, tra gli altri ordinamenti, il tardo Impero romano o la Repubblica di Venezia di Campoformio. Così, centocinquanta anni esatti, proprio questo mese, dalla pubblicazione de ‘L’origine della specie per mezzo della selezione naturale’ di Darwin, si dibatte ancora se la scienza evoluzionista si possa applicare anche alle manifestazioni culturali umane, quali sono i sistemi giuridici (e, forse, persino le religioni): se tale assunto fosse verificato, forse la mia iperbole, cioè che l’evoluzione culturale è uno degli aspetti dell’evoluzione biologica, non risulterebbe del tutto frutto di fantasia oratoria. 1 Claude Lévi-Strauss, Bruxelles 1908 – Parigi 2009, padre dell’antropologia strutturale. 3 Rule of law(s) dalla Magna Charta all’efficienza economica della Scuola di Chicago, ovvero ottocento anni di pragmatismo. Ho premesso che stimolerò l’attenzione del pubblico con una provocazione. E’ stato di recente pubblicato una parte della corrispondenza tra il filosofo Karl Popper, emigrato a causa delle leggi razziali da Vienna in Nuova Zelanda, prima, e in Inghilterra, poi, e uno dei massimi esponenti della Scuola di Vienna, l’economista Friedrich von Hayek, emigrato per le stesse ragioni e quasi nello stesso periodo negli Stati Uniti per poi rientrare subito dopo la guerra in Austria. L’ “amico Fritz” (così chiama Friedrich l’amico Karl), rientrato da poco a Salisburgo e investito di un incarico ancora ‘precario’, invita il suo connazionale, allora alla London School of Economics, a venire ad insegnare nella sua stessa sede. E’ illuminante la risposta che, nel lontano ottobre 1969, Popper invia a Von Hayek alla sua lettera di invito: ‘mia moglie è preoccupata – molto più di me – del fatto che la mia influenza, o piuttosto l’influenza delle mie idee, venga pregiudicata dal mio lasciare il mondo anglofono. In Austria la mia influenza è pari a zero [!]. Non posso fare a meno di pensare – e di sperare – che la lingua inglese sia più importante, dal punto di vista intellettuale, della lingua tedesca’. Cosa vi è dietro l’intuizione di Popper, che lo porta a non lasciare il mondo anglosassone, se non quello stesso pragmatismo e quel sostanziale e oggettivo relativismo, propri anche dell’economista Von Hayek ( e di tanti altri della Scuola di Vienna) che intuì, ancora nel 1944, che le ideologie, anche di matrici opposte, sarebbero fallite, nel mondo occidentale, sul piano economico prima ancora che giuridico? Per entrambi la conoscenza del mondo anglosassone, attraverso la perfetta conoscenza della lingua inglese, aveva permesso loro di comprendere l’esistenza non solo di un mondo linguistico, ma di meccanismi razionali sostanzialmente empirici e non dogmatici (si veda l’influenza di William Occam sull’intera storia del pensiero anglosassone) dotati di flessibilità e di capacità di adattamento alle esigenze non solo del mercato, ma della stessa collettività, tali da soddisfare nella maniera più efficiente al tempo 4 stesso non solo le esigenze di certezza del diritto delle imprese o delle professioni, ma della collettività in senso lato, al punto di garantire nella maniera più efficiente il rispetto del cosidetto ‘rule of law(s)’, frase che incapsula non solo i diritti comuni, ma persino i diritti fondamentali e fondanti di quelle democrazie. Un collega a me caro, che richiama spesso alcuni giuristi americani del XX secolo, mi ricorda spesso che il diritto del consumatore (io direi il diritto comunitario in senso lato), nasce proprio all’indomani di Auschwitz. Ci è possibile vedere un legame tra la Magna Charta, il Bill of Rights, le costituzioni occidentali moderne, e la stessa tutela del consumatore e l’impatto che oggi diritti di matrice anglosassone (ma già presenti, in nuce, nel codice di Giustiniano) come il diritto della concorrenza stanno avendo sui sistemi romano-germanici, anche semplicemente in chiave interpretativa? Dopo la provocazione, ho promesso un paradosso: l’ordinamento padre, il sistema giuridico romano-germanico, è all’origine del sistema di Common-Law, ma da questo è sorpassato e assorbito. Chiunque operi nell’accademia, nelle istituzioni di garanzia (mi riferisco alle Authorities), nei maggiori studi internazionali, non solo italiani o spagnoli, tedeschi e francesi, ma persino sud-americani, sud-est asiastici, cinesi, è consapevole che quello che ormai conta non è solo la lingua con cui gli atti sono redatti e divulgati, l’inglese, ma persino il linguaggio tecnico, direi il modo stesso di analizzare, liberi da preconcetti astratti o dogmi (le categorie care a Kant, e ai giuristi tedeschi dell’ ‘800), la realtà in veste giuridica. La realtà giuridica, il fatto, non è inquadrato in un contesto giuridico, sia esso rappresentato dalla norma o sia esso costituito dalla sentenza, perché esiste una categoria astratta disponibile 5 ‘a priori’ in cui sussumerla. La realtà giuridica esiste piuttosto perché si manifesta come esigenza meritevole di tutela.2 La lingua inglese, in questo contesto, diviene il veicolo dell’esportazione non solo di questo o quell’altro istituto dei sistemi di Common-Law, ma persino dei ‘meccanismi culturali’, dei procedimenti di valutazione della realtà, che sono sottintesi in un sistema che si fonda sulla prassi e sul ‘rule of reason’ (o ragionevolezza). Non sto parlando di ricostruzioni astratte (o a posteriori) sulla base di esperienze personali. Chiunque operi nei sistemi anglosassoni, o in relazione a tali sistemi, è consapevole dell’importanza dell’ ‘equity’ nella cultura giuridica di quei Paesi, intesa come giustizia del caso singolo. E non solo da un punto di vista storico-sistematico. Nel mio settore di specializzazione, il diritto antitrust, la certezza e univocità della norma precettiva (quell’atteggiamento dei giurista che nei paesi di lingua inglese si definisce ‘per se approach’) si affianca costantemente a quello che parte della dottrina (termine che non gode della stessa aura di infallibilità che si respira ancora nei Paesi di Civil Law) definisce come ‘rule of reason approach’. Per cui, se volessimo prendere l’esempio dell’art. 81 CE, relativo alla proibizione degli accordi o pratiche concordate restrittivi della concorrenza, sappiamo che la prescrizione del primo comma non solo trova una eccezione nella prescrizione del terzo comma (che ammette, in determinate circostanze, l’esistenza di tali accordi) ma, all’interno dello stesso primo comma, parla di restrizioni che per oggetto e per effetto determinino restrizioni della concorrenza, sanzionato con la nullità degli atti contra legem. 2 Si pensi, in questo campo, ai progressi registrati ad esempio nel diritto di famiglia o nella tutela dei diritti della persona (o personalissimi) registrati nelle ultime decadi in vari paesi occidentali, in parziale rottura con alcune costruzioni di impostazione giustinianea. 6 Nel caso Cityhook3 di cui mi sono occupato nel 2005 presso l’Autorità garante della concorrenza britannica, su cui di recente si è pronunciata la High Court di Londra in una procedura definita di ‘Judicial Review’ per accertare eventuali errori procedurali da parte dell’amministrazione, gli stessi giudici hanno escluso ogni responsabilità in capo all’Autorità proprio avendo rilevato l’impegno con cui i funzionari tennero conto non tanto della possibilità di applicare la norma piana del divieto a eventuali comportamenti anticompetitivi per ‘oggetto’, ma proprio per aver cercato di dimostrare eventuali effetti nocivi per la concorrenza (da valutare anche mediante modelli economici), senza peraltro riuscire ad isolarli o a identificarli. Gli effetti, in altri termini, risultavano essere addirittura positivi per il consumatore finale. A questo punto, e dati i limiti di tempo, rimane, a conclusione del mio ragionamento, l’iperbole. 3 Caso Cityhook, chiuso per ragioni amministrative di fronte all’Office of Fair Trading nel 2005. Si veda la sentenza del 7 aprile 2007 del Competition Appeal Tribunal di Londra che ritiene inammissibile l’appello e non rinviene fondamenti per l’applicazione del Chapter I Prohibition del Competition Act 1998 (equivalente all’art. 81 CE).Il 20 gennaio 2009 la High Court di Londra ha stabilito che l’OFT abbia agito ragionevolmente nel chiudere l’indagine in base al Competition Act 1998. Si ricorda che le ragioni ‘amministrative’ che possono portare alla chiusura di una indagine per mere ragioni di priorità di fronte all’OFT sono le seguenti: (i) eventuali benefici per il consumatore nel portare avanti un caso; (ii) la solidità delle prove disponibili; (iii) il tipo di violazione commessa; (iv) circostanze aggravanti o attenuanti; (v) considerazioni di ‘policy’ (cioè, accertare se il caso possa avere valore di precedente o si collochi in una cosiddetta ‘area di priorità’ e cioè: credito ai consumatori; sanità, costruzioni; articoli di vendita di massa e interazione tra governo e mercati; e (vi) accertare se agire in base al Competition Act 1998 e di fronte all’Office of Fair Trading siano i modi migliori per affrontare il caso specifico (ref. High Court: Cityhook v OFT and Ors [2009] EWHC 57). 7 Può prevedersi che non solo un sistema giuridico, ma persino la lingua che lo veicola, possano prevalere, nel lungo periodo sulla molteplicità dei sistemi giuridici e delle lingue che noi conosciamo? Popper aveva ragione ad avvalersi della lingua inglese negli anni sessanta? Avrebbe oggi ragione ad avvalersi della lingua, poniamo, cinese? Sono domande cui è in realtà difficilissimo rispondere. Si discute dell’ interpretazione traducente’, come di una forma adattativa di sistemi che cercano di penetrare sistemi preservandoli e rafforzandoli. Conosciamo l’importanza della preservazione delle diversità culturali nell’unità dei sistemi come componente essenziale della Carta di Nizza divenuta preambolo fondante della nuova Costituzione per l’Europa e del Trattato di Lisbona. E’ questo un imperativo del nostro secolo, ancora troppo vicino agli orrori del secolo scorso (ricordo, tra tutti gli esempi più recenti, che proprio nel novembre di settantuno anni fa si ebbe la Notte dei cristalli e i falò dei libri di culture non gradite da culture dominanti). Ma a prescindere da ogni forma cruenta, esiste una evoluzione culturale che includa in un comune processo evolutivo le lingue e persino i sistemi giuridici, negli stessi termini con cui studiamo l’evoluzionismo naturale (o biologico)? Cito L.L. Cavalli Sforza: “[c]on Darwin, Mendel e le teorie matematiche del secolo XX, l’evoluzione biologica è fondamentalmente spiegata. Ma l’uomo evolve anche culturalmente e per questo è importante ricordare Lamarck”. E qui ritorno a Levi – Strauss citato in apertura. Se è vero che tutti gli aggregati umani, i loro sistemi culturali e quindi persino i loro sistemi giuridici, sono impostati su comportamenti e astrazioni profondamente razionali, siamo consapevoli che l’evoluzione del genere umano anche a livello culturale procede per successive stratificazioni in cui qualcosa 8 sopravvive di quanto precede ma non necessariamente rimane intelligibile nel lungo periodo. E’ una conclusione che potrebbe apparire nichilista, e probabilmente lo è nel lungo periodo della storia umana. L’unità di misura dell’evoluzione culturale è una generazione, esattamente come nell’evoluzione naturale (o biologica), e sappiamo che in pochissime generazioni sono avvenuti cambiamenti radicali, anche se si prenda in considerazione la sola scienza giuridica. Eppure proprio operando all’interno di una generazione, e all’interno di ordinamenti che definirei ‘contigui’, forse è possibile rievocare l’importanza di quella ‘interpretazione traducente’ di cui ci ha parlato ieri il professor Benedetti che esprime con chiarezza quell’esigenza di coesistenza tra ordinamenti diversamente efficienti che soddisfano in maniera diversa la medesima esigenza di razionalizzazione dell’operato umano. Sappiamo che l’esito non permetterà nel lungo periodo la coesistenza di tutti i sistemi. Ma l’operatore del diritto, quale scienza della coesistenza stessa, non puo’ venire meno al suo ruolo di garante di quella che dovrebbe essere la più indolore delle evoluzioni naturali: l’evoluzione culturale. Heinrich Heine, ebreo, ma figlio della cultura luterana e delle guerre di religione, ci ammoniva anch’egli, centocinquanta anni fa, che ‘chi brucia libri finisce poi con il bruciare gli uomini’. Da Darwin ad Heine il cerchio si potrebbe così chiudere. 9