Le riduzioni di spesa dell`art. 6 possono essere modulate

Transcript

Le riduzioni di spesa dell`art. 6 possono essere modulate
Le riduzioni di spesa dell’art. 6 possono essere modulate dagli enti locali secondo le
loro esigenze (Corte Cost. sent. n. 139/2012)
di Alberto Barbiero
1. La sentenza della Corte Costituzionale n. 139/2012: l’art. 6 della legge n. 122/2010 è
“solo” norma di principio anche per gli enti locali.
Le norme che individuano limiti di spesa puntuali per le amministrazioni statali costituiscono
solo norme di principio anche per gli enti locali, oltre che per le Regioni.
La sentenza della Corte costituzionale n. 139 del 23 maggio – 4 giugno 2012 precisa che le
disposizioni specifiche contenute nell’art. 6 della legge n. 122/2010 (conversione del d.l. n.
78/2010) non operano in via diretta, ma solo come disposizioni di principio, anche in
riferimento agli enti locali e agli altri enti e organismi che fanno capo agli ordinamenti
regionali.
La pronunzia della Consulta dichiara non fondate le varie questioni di legittimità
costituzionale presentate nei ricorsi di alcune Regioni contro una serie di disposizioni
contenute nell’art. 6 del c.d. decreto sviluppo, disciplinanti misure di contenimento dei costi
degli apparati amministrativi.
Il dato normativo pone una serie di vincoli rilevanti, tra i quali il contenimento entro
determinate percentuali della spesa del 2009 per studi ed incarichi di consulenza, per
relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicità e rappresentanza (20%), nonchè per le
missioni e per la formazione (50%).
Il comma 20 dello stesso art. 6 stabilisce inoltre che le disposizioni non si applicano in via
diretta alle regioni, alle province autonome e agli enti del Servizio sanitario nazionale, per i
quali costituiscono disposizioni di principio ai fini del coordinamento della finanza pubblica,
risultando peraltro incidente direttamente su particolari tipologie di spese degli enti locali.
Le Regioni avevano lamentato un’invasione della loro potestà legislativa in materia di
coordinamento della finanza pubblica, in quanto da quelle previsioni non poteva estrapolarsi
alcun principio o limite complessivo di spesa, mentre invece il dettaglio delle stesse
precludeva qualsiasi possibilità di autonomo adeguamento.
Secondo la Corte costituzionale, però, il legislatore statale può, con una disciplina di
principio, legittimamente imporre agli enti autonomi, per ragioni di coordinamento finanziario
connesse ad obiettivi nazionali, condizionati anche dagli obblighi comunitari, vincoli alle
politiche di bilancio, anche se questi si traducono, inevitabilmente, in limitazioni indirette
all’autonomia di spesa degli enti.
Questi vincoli possono considerarsi rispettosi dell’autonomia delle Regioni e degli enti locali
quando stabiliscono un limite complessivo, che lascia agli enti stessi ampia libertà di
allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa.
Lo Stato, quindi, può agire direttamente sulla spesa delle proprie amministrazioni con norme
puntuali e, al contempo, dichiarare che le stesse norme sono efficaci nei confronti delle
Regioni a condizione di permettere l’estrapolazione, dalle singole disposizioni statali, di
principi rispettosi di uno spazio aperto all’esercizio dell’autonomia regionale. In caso
contrario, la norma statale non può essere ritenuta di principio, a prescindere dall’autoqualificazione operata dal legislatore.
La Consulta afferma quindi che La disciplina dettata dall’art. 6 della legge n. 122/2010
soddisfa tali condizioni, poiché le sue disposizioni prevedono misure puntuali di riduzione
parziale o totale di singole voci di spesa, ma ciò non esclude che da esse possa desumersi
un limite complessivo, nell’ambito del quale le Regioni restano libere di allocare le risorse tra
i diversi ambiti e obiettivi di spesa (possibilità espressamente prevista dal comma 20).
In base a tale principio, la Consulta rileva che l’articolo non intende imporre alle Regioni
l’osservanza puntuale ed incondizionata dei singoli precetti di cui si compone e può
considerarsi espressione di un principio fondamentale della finanza pubblica.
Le Regioni, inoltre, lamentavano una lesione della loro potestà legislativa esclusiva in
materia di ordinamento degli uffici e degli enti regionali e locali, in quanto il comma 20 della
disposizione limitativa non menziona gli enti locali e gli enti ed organismi appartenenti al
sistema regionale, con la conseguenza che le disposizioni puntuali si applicano in via diretta
a tali enti.
Proprio su questo punto la Corte costituzionale ha elaborato nella motivazione (punto 6 della
sentenza) un’interpretazione ricostruttiva, affermando che la previsione contenuta nel
comma 20 dell’art. 6, nello stabilire che le disposizioni di tale articolo non si applicano in via
diretta alle regioni, alle province autonome e agli enti del Servizio sanitario nazionale, per i
quali costituiscono disposizioni di principio ai fini del coordinamento della finanza pubblica,
va intesa nel senso che le norme impugnate non operano in via diretta, ma solo come
disposizioni di principio, anche in riferimento agli enti locali e agli altri enti e organismi che
fanno capo agli ordinamenti regionali.
Pertanto, le amministrazioni locali dovranno perseguire l’obiettivo di riduzione della spesa
complessivamente determinato dall’art. 6 del decreto sviluppo, ma potranno scegliere
liberamente le tipologie di spesa alle quali apportare i tagli che consentano di realizzare il
risultato previsto.
2. Il quadro di sintesi: possibilità di scelta delle voci di spesa da ridurre (rispetto al
limite complessivo).
Le norme che individuano limiti di spesa puntuali per le amministrazioni statali costituiscono
solo norme di principio anche per gli enti locali, oltre che per le Regioni.
La sentenza della Corte costituzionale n. 139 del 23 maggio - 4 giugno 2012 precisa che le
disposizioni specifiche contenute nell'art. 6 della legge n. 122/2010 (conversione del d.l. n.
78/2010) non operano in via diretta, ma solo come disposizioni di principio, anche in
riferimento agli enti locali e agli altri enti e organismi che fanno capo agli ordinamenti
regionali.
Il dato normativo pone una serie di vincoli rilevanti, tra i quali il contenimento entro
determinate percentuali della spesa del 2009 per studi ed incarichi di consulenza, per
relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicità e rappresentanza (20%), nonchè per le
missioni e per la formazione (50%).
Le Regioni avevano lamentato un'invasione della loro potestà legislativa in materia di
coordinamento della finanza pubblica, in quanto da quelle previsioni non poteva estrapolarsi
alcun principio o limite complessivo di spesa, mentre invece il dettaglio delle stesse
precludeva qualsiasi possibilità di autonomo adeguamento.
Secondo la Corte costituzionale, però, il legislatore statale può, con una disciplina di
principio, legittimamente imporre agli enti autonomi, per ragioni di coordinamento finanziario
connesse ad obiettivi nazionali, condizionati anche dagli obblighi comunitari, vincoli alle
politiche di bilancio, anche se questi si traducono, inevitabilmente, in limitazioni indirette
all'autonomia di spesa degli enti.
Questi vincoli possono considerarsi rispettosi dell'autonomia delle Regioni e degli enti locali
quando stabiliscono un limite complessivo, che lascia agli enti stessi ampia libertà di
allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa.
La Corte costituzionale ha poi elaborato nella motivazione (punto 6 della sentenza)
un’interpretazione ricostruttiva anche in relazione al comma 20 dell’articolo 6 affermando che
la previsione in esso contenuta, nello stabilire che le disposizioni dell’articolo non si
applicano in via diretta alle regioni, alle province autonome e agli enti del Servizio sanitario
nazionale, per i quali costituiscono disposizioni di principio ai fini del coordinamento della
finanza pubblica, va intesa nel senso che le norme impugnate non operano in via diretta, ma
solo come disposizioni di principio, anche in riferimento agli enti locali e agli altri enti e
organismi che fanno capo agli ordinamenti regionali.
Pertanto, le amministrazioni locali dovranno perseguire l’obiettivo di riduzione della spesa
complessivamente determinato dall’art. 6 del decreto sviluppo, ma potranno, al pari delle
Regioni, scegliere liberamente le tipologie di spesa alle quali apportare i tagli che
consentano di realizzare il risultato previsto.
3. Un esempio: come rimodulare le spese assoggettate all’art. 6 per recuperare risorse
per la formazione.
Gli enti locali possono decidere come operare le riduzioni di spesa per consulenze, mostre e
convegni, spese di rappresentanza, formazione e missioni, senza dover seguire i limiti
specifici indicati dalla normativa.
Gli effetti della sentenza della Corte costituzionale n. 139/2012 riguardano tutte le tipologie di
spesa ricomprese nell’art. 6 della legge n. 122/2010, per le quali la disposizione prevedeva
vincoli specifici che si applicavano anche agli enti locali.
Nella motivazione della pronuncia della Consulta è ribadito il principio (più volte affermato, a
partire dalle sentenze n. 34/2004 e n. 417/2005) in base al quale il legislatore statale può
imporre vincoli alle politiche di bilancio delle autonomie territoriali solo se stabiliscono un
limite complessivo, che lascia agli enti stessi ampia libertà di allocazione delle risorse fra i
diversi ambiti e obiettivi di spesa.
Nella sentenza si rileva come l’art. 6 consenta un processo di induzione in base al quale le
amministrazioni regionali devono ridurre le spese di funzionamento amministrativo di un
ammontare complessivo non inferiore a quello disposto dalla disposizione per lo Stato.
Per gli enti locali la trasposizione del principio deriva dall’affermazione della Corte
costituzionale nel punto in cui evidenzia che la previsione contenuta nel comma 20 dell’art. 6,
nello stabilire che le disposizioni non si applicano in via diretta alle regioni, alle province
autonome e agli enti del Servizio sanitario nazionale, per i quali costituiscono disposizioni di
principio ai fini del coordinamento della finanza pubblica, va intesa nel senso che tali norme
non operano in via diretta, ma solo come disposizioni di principio, anche in riferimento agli
enti locali e agli altri enti e organismi che fanno capo agli ordinamenti regionali.
Sotto il profilo operativo, quindi, comuni e province devono anzitutto determinare l’impatto
complessivo degli effetti dell’art. 6, calcolando per le varie voci sottoposte al taglio il dato di
valore complessivo.
L’analisi riguarda molti elementi incidenti sulla produzione di servizi alla persona
(organizzazione di mostre e convegni), sulla comunicazione (pubblicità, relazioni pubbliche,
spese di rappresentanza) e sull’organizzazione delle amministrazioni (consulenze, incarichi,
formazione del personale, missioni, autovetture.)
Una volta determinato il volume complessivo delle riduzioni, ogni ente potrà decidere su
quali voci effettuarle, senza dover sottostare ai vincoli specifici stabiliti dall’art. 6.
In termini esemplificativi, qualora un’amministrazione dovesse ridurre complessivamente per
un certo ammontare la spesa per gli apparati amministrativi, potrebbe decidere di riservarla
prevalentemente alle attività formative, per percentuali superiori a quelle di riduzione
specifica (stabilite dall’art. 6 nel 50% della spesa del 2009), riducendo in compensazione le
risorse per consulenze e per missioni.
Qualora, per esempio, un ente locale nel 2009 avesse sostenuto una spesa molto limitata
per la formazione o addirittura non avesse effettuato spese, potrebbe riallocare sulla voce
delle attività formative risorse recuperate, ad esempio, dalla riduzione della spesa per
pubblicità e pubbliche relazioni.
L’amministrazione, potendo decidere ove allocare le risorse, avrebbe peraltro margine per
conservare maggiori disponibilità per le attività di consulenza e per gli incarichi (a maggior
ragione se nella previsione di far fronte a contenzioso urgente, per il quale il Consiglio di
Stato, con la sentenza n. 2730 dell’11 maggio 2012 ha precisato che non si è in presenza di
un appalto di servizi legali, ma di un contratto d’opera intellettuale).
Gli enti locali potranno quindi rimodulare le eventuali partizioni di budget relative alle voci di
spesa sottoposte all’art. 6, secondo le nuove scelte e facendo particolare attenzione
comunque al perseguimento dell’effetto di riduzione nei valori complessivi.