Cittadini e vita quotidiana a Forlì-Cesena - Provincia di Forlì
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Cittadini e vita quotidiana a Forlì-Cesena - Provincia di Forlì
Rapporto di ricerca Cittadini e vita quotidiana a Forlì-Cesena pa rt e re ci pa z la z e n io i o n i s o c i a li be n e ss e re Novembre 2011 Indice Presentazione p. 4 Premessa p. 5 1. La vita quotidiana di individui e famiglie: cura, relazioni, tempi di Nicoletta Santangelo “ 7 2. Il lavoro: esperienze, orientamenti e servizi di Claudia Dall’Agata “ 56 3. Condizione economica e capacità di risparmio di Elena Mattioli “ 86 4. Atteggiamento verso la politica, civicness e religiosità di Valerio Vanelli “ 107 5. Percezioni e atteggiamenti verso l’immigrazione: tra apertura ed esclusione di Lorenzo Latella “ 144 “ 167 7. Idee di giustizia sociale, aspettative di welfare e servizi di Ilaria Pitti “ 191 8. Metodologia, strumenti e frequenze relative di Valerio Vanelli 222 6. Qualità della vita, sicurezza e radicamento territoriale di Stella Volturo “ 3 Presentazione La Provincia di Forlì-Cesena è lieta di presentare i risultati dell’indagine realizzata grazie alla pluriennale e fruttuosa collaborazione con l’Università di Bologna – Polo Scientifico Didattico di Forlì ed in particolare con il gruppo di ricerca coordinato dal professore Paolo Zurla e dal dottor Alessandro Martelli. L’indagine è stata avviata allo scopo di valutare come stanno i cittadini nella Provincia di Forlì-Cesena, e rappresenta un cambiamento nelle analisi sociali realizzate fino ad oggi a livello provinciale che partivano dall’analisi dei dati relativi all’offerta di servizi. Il punto di vista in questo caso è spostato invece su ciò che i cittadini percepiscono. Tale analisi è fondamentale in un momento come quello attuale. Amministratori e classe dirigente sono chiamati infatti ad una sfida molto importante: salvaguardare il livello di benessere raggiunto dai cittadini anche a fronte di una forte riduzione di risorse. I risultati che con il presente documento vengono pubblicati forniscono elementi di conoscenza utili a tale scopo e permettono anche di fugare alcuni pregiudizi o credenze. Questa Amministrazione, anche grazie alla disponibilità accordata dall’Università di Bologna – Polo Scientifico Didattico di Forlì, ribadisce l’impegno ad approfondire i temi che in tale pubblicazione sono richiamati anche in momenti successivi con gruppi di lavoro all’uopo costituiti, avendo come finalità quella di mettere a disposizione dei decisori politici tutti gli elementi utili a riflettere sui cambiamenti in atto nella popolazione provinciale. 4 Premessa La ricerca dal titolo “Condizioni socio-economiche, stili di vita e aspettative di benessere. Un’indagine nella provincia di Forlì-Cesena” nasce nel 2009 dalla collaborazione tra la Provincia di Forlì-Cesena e l’Università di Bologna - Polo Scientifico-didattico di Forlì, nell’ambito dell’Osservatorio sul Welfare Locale provinciale. L’indagine ha riguardato nove comuni del territorio forlivese e cesenate (Forlì, Predappio, Santa Sofia, Portico–San Benedetto, Cesena, Sarsina, Savignano sul Rubicone, Sogliano, Cesenatico), selezionati nel processo di costruzione di un campione complessivo di 835 cittadini d’età compresa tra i 15 e i 74 anni, estratto dagli archivi anagrafici dei comuni coinvolti. Obiettivo dell’indagine è stato quello di fornire un quadro della realtà sociale e della qualità della vita dei cittadini forlivesi e cesenati, focalizzando l’attenzione anche sui principali aspetti delle trasformazioni socioeconomiche in atto. L’indagine fornisce una descrizione particolareggiata delle strutture familiari, delle reti di parentela e di quelle di aiuto informale, della vita di coppia, dell’organizzazione del tempo, delle condizioni economiche ed occupazionali, della percezione della sicurezza, degli orientamenti valoriali, dell’atteggiamento verso i processi migratori, del rapporto con il territorio e con i molteplici servizi dell’amministrazione pubblica, delle forme di partecipazione sociale e politica, delle aspettative di welfare. Diverse sono state le fasi e le azioni in cui si è articolata la ricerca. Il lavoro di progettazione ha preso avvio nel 2009, con la costruzione del questionario, l’elaborazione del piano di campionamento e il coinvolgimento dei Comuni per il reperimento dei dati. Ad aprile 2010, dopo la selezione e la formazione degli intervistatori, è iniziata la vera e propria fase empirica della ricerca relativa alla somministrazione dei questionari sul campo, realizzata in totale da 65 intervistatori. Durante tutto l’arco temporale dell’indagine l’équipe di ricerca si è occupata sia del supporto tecnico relativo alla fase di somministrazione che della raccolta, del monitoraggio, del controllo, della verifica e dell’inserimento dei dati. La ricerca sul campo si è conclusa nel luglio 2011 e a questa fase è seguita quella di elaborazione e analisi dei dati. Come è facile intuire il report “Cittadini e vita quotidiana a Forlì-Cesena: benessere, relazioni sociali, partecipazione” è il frutto dello sforzo e dell’impegno di moltissimi attori, protagonisti insieme all’équipe di ricerca, di questa indagine: la Provincia, i Comuni, gli Enti di formazione e di terzo settore del territorio che hanno contribuito a suggerire e contattare nominativi per la realizzazione delle interviste ed infine chi si è occupato 5 degli aspetti amministrativi e gestionali del progetto, tra cui in particolare la Coop. Soc. Spazi Mediani (ora Dialogos) di Forlì. Un grazie particolare va rivolto all’assessore al welfare e allo sviluppo economico Guglielmo Russo, che sin dall’inizio ha sostenuto l’esigenza di approfondire la conoscenza delle condizioni di vita della popolazione forlivese-cesenate e ha seguito da vicino l’intero percorso di ricerca; a Lorena Batani, che per la Provincia ha coordinato da un punto di vista tecnico-amministrativo l’intero percorso di indagine ponendosi come costante e attento interlocutore dell’équipe di ricerca; alla dirigente Nadia Zanfini e allo staff dell’assessorato nelle figure di Luciano Bigi, Marilena Mazzoni, Lumturi Selaj per il prezioso contributo alla riuscita di una ricerca lunga e complessa. Il ringraziamento si estende, con riconoscenza, a tutti gli intervistatori che hanno portato a termine con impegno e professionalità il loro non semplice lavoro e ai tanti cittadini che hanno partecipato dedicando un’ora del loro tempo alle interviste e contribuendo così alla realizzazione di questa indagine dedicata ad una migliore conoscenza del territorio, delle sue risorse e delle aspettative che al suo interno si generano. Hanno preso parte all’intera indagine e, in particolare, alla stesura del report e della presente sintesi Claudia Dall’Agata, Nicola De Luigi, Lorenzo Latella, Alessandro Martelli, Elena Mattioli, Ilaria Pitti, Nicoletta Santangelo, Valerio Vanelli, Stella Volturo, Paolo Zurla. 6 1. La vita quotidiana di individui e famiglie: cura, relazioni, tempi di Nicoletta Santangelo 1.1. Premessa Il tema al centro del capitolo è la famiglia, intesa nella duplice accezione di istituzione sociale primaria – caratterizzata da specifiche forme, relazioni, esigenze e modalità di gestione della quotidianità – e di luogo di convivenza tra generi e generazioni – a partire dal quale ogni individuo progetta, costruisce e percorre la propria traiettoria biografica. Gli aspetti analizzati riguardano un ampio ventaglio di questioni che vanno dalla struttura e dalla composizione dei nuclei familiari (paragrafo 1.2) alle strategie con cui ogni famiglia risponde alle necessità di cura dei propri membri più fragili (paragrafo 1.3), dagli eventi che segnano il passaggio di testimone da una generazione all’altra (paragrafo 1.4) agli equilibri temporali, individuali e familiari, che consentono di tenere insieme ruoli molteplici spesso in concorrenza tra loro (paragrafo 1.5). Ad accomunarli, oltre al concetto di famiglia quale contesto vitale collettivo ed elemento di sintesi ideale e materiale, vi è il fatto che si tratta di aspetti da alcuni anni attraversati da profondi processi di innovazione e di trasformazione, visibili tanto nella prospettiva quotidiana quanto nel dibattito teorico. Sono cambiati e stanno cambiando le forme e i modelli di vita familiare1; si sono modificati e complessificati tanto i bisogni delle famiglie quanto le reti di sostegno utilizzate per farvi fronte2; si sono spostate in avanti e rimescolate le tappe di transizione verso la vita adulta3; si sono moltiplicati e si vanno sempre più sovrapponendo gli ambiti e i ruoli quotidiani da combinare in una perenne corsa contro il tempo4. 1 Cfr. M. Barbagli, M. Castiglioni, G. Dalla Zuanna, Fare famiglia in Italia. Un secolo di cambiamenti, Bologna, il Mulino, 2003; P. Di Nicola, Famiglia: sostantivo plurale, Milano, FrancoAngeli, 2008; Istat, La vita quotidiana nel 2009, Informazioni n. 5, Roma, 2010. 2 Cfr. P.P. Donati (a cura di), Famiglia e capitale sociale nella società italiana. Ottavo rapporto CISF sulla famiglia in Italia, Cinisello Balsamo, San Paolo, 2003; C. Saraceno, Mutamenti della famiglia e politiche sociali in Italia, Bologna, il Mulino, 2003. 3 Cfr. M. Livi Bacci, Too few children and too much family, in «Daedalus», n. 2, 2001; C. Buzzi, A. Cavalli, A. de Lillo (a cura di), Rapporto giovani. Sesta indagine dell’Istituto IARD sulla condizione giovanile in Italia, il Mulino, Bologna, 2007. 4 Cfr. L. Balbo, Tempi di vita, Milano, Feltrinelli, 1991; M. Colleoni, I tempi sociali. Teorie e strumenti di analisi, Roma, Carocci, 2004. 7 Rispetto a tali questioni, ci si propone di offrire un ritratto della vita quotidiana degli individui e delle famiglie in provincia di Forlì-Cesena così come emerge dalle risposte degli intervistati, con un’attenzione specifica rivolta alle differenze percepibili tra gruppi di individui accomunati dalle medesime caratteristiche socio-demografiche e agli eventuali divari tra territori dalla configurazione socio-economica non del tutto omogenea. Per ogni fronte di indagine, dunque, verranno in primo luogo fornite alcune coordinate essenziali, utili ad inquadrarlo nel più ampio contesto delle trasformazioni demografiche e sociali contemporanee; in seguito, dopo aver illustrato l’andamento generale delle risposte, si procederà a presentare alcuni approfondimenti mirati, volti a verificare come si distribuiscano tra gli intervistati gli aspetti indagati e se si rilevino tendenze diverse in relazione alle principali variabili socio-demografiche. Per ciascuno degli ambiti considerati – situazione familiare, gestione delle esigenze di cura, eventi biografici, uso del tempo – l’analisi si concentrerà sui fattori tipicamente connessi alla produzione/riproduzione delle disuguaglianze di opportunità per cittadini e famiglie dalle caratteristiche diverse. Di volta in volta, infine, si segnaleranno le piste interpretative al centro del dibattito contemporaneo ritenute utili per comprendere l’articolazione e lo sviluppo dei processi posti sotto osservazione a livello locale. 1.2. Una famiglia, tante famiglie: composizione ed esigenze di cura Considerata da sempre il nucleo primario della società, luogo di convivenza di generi e generazioni, dove uomini e donne, bambini e adulti formano, negoziano ed esprimono la loro individualità, la famiglia è oggi un’entità dalle molte facce e dalle molte storie. Per una volta la realtà sembra aver camminato più veloce dell’immaginazione con cui gli studiosi la etichettano e il passaggio dalla famiglia una, unica e indivisibile, alle famiglie, sostantivo plurale5, a volte stenta ancora a trovare i termini adatti per essere descritto. Famiglie unipersonali, monoparentali, estese o lunghe, nuove forme familiari, living apart together o double income no kids, sono solo alcune delle molteplici combinazioni con cui si sviluppano oggi le convivenze tanto che lo stesso concetto di nucleo familiare appare sempre più difficile da identificare6. 5 Cfr. P. Di Nicola, Famiglia: sostantivo plurale, op. cit.; R. Volpi, La fine della famiglia. La rivoluzione di cui non ci siamo accorti, Milano, Mondadori, 2007. 6 Cfr. M. Barbagli, M. Castiglioni, G. Dalla Zuanna, Fare famiglia in Italia. Un secolo di cambiamenti, op. cit.; A.L. Zanatta, Le nuove famiglie, Bologna, il Mulino, 2003; G.A. 8 Come illustrato nella nota metodologica (cfr. capitolo 8), il campionamento e le successive interviste sono state effettuate avendo come base di riferimento i singoli individui. Tuttavia, in molti dei quesiti proposti è implicita o talvolta apertamente messa al centro della questione anche la dimensione familiare, in considerazione del fatto che alla costruzione del benessere personale e alla definizione del panorama di vincoli e opportunità tra cui muoversi sulla scena sociale concorrono risorse ed esigenze che vanno oltre il singolo individuo. In questa sede, dunque, si cercherà di tratteggiare il quadro delle relazioni familiari in cui gli intervistati sono inseriti e di rendere conto di alcuni aspetti relativi alle esigenze di cura e all’organizzazione familiare messa a punto per farvi fronte. Il primo elemento da considerare per ricostruire l’universo relazionale degli intervistati e, di conseguenza, aver un’idea anche della struttura di relazioni sociali esistenti all’interno del più ampio contesto provinciale, è costituito dal ruolo che ogni individuo ricopre all’interno del proprio nucleo familiare inteso come unità di convivenza stabile. La maggior parte degli intervistati vive in famiglie tradizionali – entrambi i genitori con uno o più figli – al cui interno però riveste posizioni diverse: nel 35% dei casi si tratta di coniugi/conviventi con figli, nel 21,4% di partner in una coppia senza figli, e nel 19,8% di figli che convivono con entrambi i genitori. Minoritari sono i genitori soli con uno o più figli (3,1%) e pochi di più sono coloro che vivono in nuclei familiari composti o abitano con altre persone, esterne alla famiglia. Al di là della distribuzione in sé, tenere conto dei ruoli ricoperti dagli intervistati all’interno delle rispettive famiglie consente di analizzare con maggiore accuratezza alcune delle risposte fornite rispetto ai temi al centro dell’indagine. È evidente, infatti, come essere figli con genitori piuttosto che genitori con figli modifichi in modo rilevante la possibilità e/o necessità di fornire determinati aiuti ad altre persone, ribaltando completamente il punto di vista da cui valutare priorità e disponibilità di tempo per le diverse attività quotidiane. Il quadro muta parzialmente se si cerca di ricostruire il panorama delle convivenze a partire dalla composizione delle famiglie anziché soffermarsi sulla posizione che gli intervistati ricoprono all’interno del proprio nucleo familiare. Osservando la composizione delle famiglie, la preponderanza delle forme di convivenza tradizionali diventa ancora più evidente, differenziando in parte il campione dalla ripartizione delle strutture familiari registrata dall’Istat7 (cfr. tab. 1.1). Le coppie con figli, infatti, costituiscono Micheli (a cura di), Strategie di family formation. Cosa sta cambiando nella famiglia forte mediterranea, Milano, FrancoAngeli, 2006. 7 Cfr. Istat, La vita quotidiana nel 2010, http://www.istat.it, 2011. 9 il 50,9% dei nuclei familiari contattati, mentre i single si rivelano la categoria meno rappresentata, con una quota di intervistati pari a 12,8%. Tab. 1.1. Tipo di nucleo familiare per distretto. Valori % Tipo di nucleo familiare Forlì CesenaRubicone-Costa Valle Savio Single 14,1 9,8 14,1 Monogenitore 8,5 4,1 7,5 Coppia senza figli 23,3 22,4 16,6 Coppia con figli 49,2 52,3 52,3 Famiglia estesa 2,8 6,5 4,5 Altro 2,1 4,9 5,0 Totale 100,0 100,0 100,0 N 390 246 199 Totale 12,8 6,9 21,5 50,9 4,3 3,6 100,0 835 Anche il numero medio di componenti, pari a 2,9 (cfr. tab. 1.2), risulta più elevato di quello rilevato tanto dall’Istat (2,3 per l’Emilia-Romagna, 2,5 per l’Italia, media 2008-20098) quanto dalla Regione per i singoli comuni e distretti (2,37 Cesena-Valle del Savio, 2,3 Forlì, 2,51 Rubicone-Costa, 2,37 totale provinciale all’1.1.20109). Tab. 1.2. Numero medio di componenti per tipo di nucleo familiare Numero medio di componenti Forlì CesenaRubicone-Costa Valle Savio Single 1,0 1,0 1,0 Monogenitore 2,3 2,5 2,7 Coppia senza figli 2,0 2,0 2,0 Coppia con figli 3,6 3,5 3,7 Famiglia estesa 4,4 4,2 4,7 Altro 3,0 3,7 3,7 Totale 2,7 3,0 3,0 N 390 246 199 Totale 1,0 2,4 2,0 3,6 4,4 3,5 2,9 835 In particolare, l’analisi della distribuzione delle forme familiari nei diversi distretti rivela una presenza maggiore di coppie con figli, famiglie estese e altri nuclei nei distretti cesenati a cui corrisponde una media più 8 Cfr. Istat, La vita quotidiana nel 2010, op. cit. Dati elaborati con il Programma statistico regionale on line, Indicatori delle famiglie anagrafiche http://www.regione.emilia-romagna.it. 9 10 elevata di componenti per nucleo familiare, pari a 3, a fronte del 2,7 registrato nel Forlivese. Tuttavia, struttura dei nuclei familiari e numerosità dei componenti costituiscono solo indicatori piuttosto grezzi delle caratteristiche delle famiglie; se possono offrire informazioni sulla presenza o meno di figli e di altri familiari, non consentono però di capire fino a che punto la quotidianità di tali nuclei si differenzi da quella di altri, né se tali aspetti possano tradursi in criticità dal punto di vista delle esigenze economiche, di cura e/o di assistenza. Una prima verifica riguarda dunque il numero e l’età dei figli conviventi. In più del 60% dei nuclei familiari raggiunti dagli intervistatori è presente almeno un figlio convivente (compreso l’intervistato stesso) e in circa la metà di questi (26,3% del totale) almeno un figlio minore. In entrambi i casi, la prevalenza assoluta va ai figli unici (quasi assenti i figli di ordine superiore al terzo), ponendo la media generale pari a 1,36 figli per nucleo familiare. L’approfondimento condotto sulle età dei figli minori consente di comprendere meglio l’impegno richiesto ai genitori dal momento che i costi temporali ed economici della cura variano nel tempo sia per tipologia sia per entità (cfr. tab. 1.3). Tab. 1.3. Presenza ed età dei figli conviventi. Valori assoluti e % N almeno un figlio tra 0-3 anni 41 almeno un figlio tra 4-6 anni 51 almeno un figlio tra 7-10 anni 46 almeno un figlio tra 11-14 anni 47 almeno un figlio tra 15-18 anni 94 Totale % 14,7 18,3 16,5 16,8 33,7 100,0 L’analisi rivela come il 14,7% delle famiglie con figli minori ne abbia almeno uno tra 0 e 3 anni, età comunemente definita ad alta intensità di accudimento, mentre la maggioranza relativa abbia figli conviventi con età comprese tra i 15 e i 18 anni (33,7%). Ciò non significa, ovviamente, che i figli maggiori di 3 anni non richiedano cura o attenzione; la distinzione in classi di età mira a mettere in luce le trasformazioni a cui le esigenze dei minori vanno incontro a seconda della diversa presa in carico da parte delle istituzioni (nido d’infanzia piuttosto che scuola dell’infanzia o primaria e secondaria), della possibilità per i genitori di ottenere congedi e permessi di cura (che si riducono al crescere dell’età dei figli), della necessità di assistenza per nutrirli, lavarli, vestirli piuttosto che per studiare con loro e seguirli nei diversi impegni legati alla scuola, agli amici, allo sport, ecc., a 11 cui prendono parte a seconda delle età. In quest’ottica si può dunque ipotizzare che almeno la metà delle famiglie con figli minori si trovi ad attraversare un periodo in cui il tempo e l’attenzione da dedicare loro siano ancora piuttosto elevati, in considerazione del limitato grado di autonomia negli spostamenti fuori casa, che tende a perdurare per tutta la scuola primaria. La seconda verifica rispetto alla composizione dei nuclei familiari riguarda la presenza di persone anziane e/o non autosufficienti. Anche in questo caso, infatti, la vita quotidiana delle famiglie può richiedere un’elevata abilità organizzativa per districarsi tra centri diurni, assistenza domiciliare, visite mediche, faccende domestiche, cura della persona, richiedendo risorse economiche e temporali dedicate per funzionare in modo efficiente. L’analisi dell’età degli intervistati e dei loro familiari evidenzia come la convivenza con anziani ultra65enni interessi circa un quarto dei nuclei familiari coinvolti nell’indagine (il 26%) e nell’11,8% dei casi ce ne sia più di uno, soprattutto in famiglie estese/altre convivenze e coppie senza figli, mentre almeno un grande anziano, ovvero un ultra75enne, è presente nel 7,4% dei nuclei familiari (soprattutto in famiglie estese/altre convivenze e nuclei monogenitoriali). Per quanto riguarda la non autosufficienza, il 21,4% degli intervistati dichiara di avere almeno un familiare non in grado di provvedere a se stesso, del tutto o in parte, all’interno della propria rete parentale e, in un caso su quattro, la persona non autosufficiente attualmente vive all’interno del nucleo familiare (per lo più in famiglie estese/altre convivenze). A partire dal quadro delineato, si è ritenuto utile provare a costruire un indice in grado di sintetizzare il carico familiare che, teoricamente, i diversi nuclei familiari si trovano a sostenere. Se si attribuisce un peso ipotetico (e del tutto discrezionale) alla presenza di ciascuna delle figure precedenti (nonché ad eventuali ulteriori minori conviventi) in considerazione dell’impegno in termini economici e di cura che potrebbero richiedere da parte degli altri membri della famiglia, si ottengono indicazioni sulla presenza nel territorio di nuclei familiari che devono sostenere, contemporaneamente, molteplici esigenze di cura e che, dunque, più facilmente potrebbero trovarsi in affanno nel farvi fronte10. 10 L’indice di carico familiare è stato costruito attribuendo ad ogni minore presente in famiglia un punteggio decrescente all’aumentare dell’età, secondo lo schema seguente: 6 punti tra 0 e 3 anni, 5 tra 4 e 6 anni, 4 tra 7 e 10 anni, 3 tra 11 e 14 anni, 2 tra 15 e 18 anni. A tale punteggio sono stati aggiunti 2 punti per ogni anziano ultra75enne convivente, 3 punti per ogni persona non autosufficiente appartenente al nucleo familiare (convivente o meno) e ulteriori 2 punti per ogni persona non autosufficiente convivente. Il punteggio così ottenuto è stato normalizzato e riportato su una scala 0-10, in modo tale che a partire da 0 punti, 12 Analizzando la distribuzione degli intervistati rispetto all’indice di carico familiare, il primo dato da segnalare è come ben il 50% delle famiglie contattate non abbia tra i propri componenti nessun soggetto caratterizzato da situazioni di fragilità ipotizzate e dunque si attesti su un punteggio pari a 0, corrispondente a nessun carico familiare da soddisfare. Concentrando l’attenzione solo sugli intervistati con carichi familiari (cfr. fig. 1.1.), il secondo dato da segnalare è come la maggioranza relativa delle famiglie con carichi di cura (quasi il 45%) si trovi in realtà ad affrontare un impegno abbastanza circoscritto, grazie soprattutto alla presenza di minori che hanno già raggiunto almeno l’età scolare e/o anziani ancora in buona salute (punteggi pari a 1). Fig. 1.1. Distribuzione intervistati con carico familiare secondo il punteggio sull’indice 50 45 40 35 30 25 20 15 10 5 0 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 Diversa la situazione dei restanti nuclei familiari. Se un ulteriore 42% ha al proprio interno un solo componente che necessita di un livello elevato di accudimento o due con esigenze meno pressanti (punteggi 2 e 3, ovvero un bambino sotto i 3 anni, due in età scolare e/o un anziano o un non autosufficiente convivente), decisamente più pesante appare la condizione in corrispondenti a nessun carico familiare, l’indice aumenti man mano che il numero di persone e le situazioni ipotizzate aumentano (nella fig. 1.1., in cui si analizza soltanto la condizione di chi ha un carico familiare, tale aumento si rileva man mano che la curva procede verso destra). 13 cui si trova il rimanente 13% delle famiglie con carichi familiari, posizionate su punteggi pari o superiori a 4 attestanti la presenza contemporanea di almeno due membri, giovani e/o anziani, che richiedono un’attenzione pressoché costante. L’indice consente di tracciare un’ipotetica graduatoria dei nuclei familiari che sostengono i carichi di cura più elevati (cfr. tab. 1.4), ovvero prima di tutto le famiglie estese (che sono tali proprio per avere all’interno del proprio nucleo altri familiari, spesso in condizione di bisogno), le coppie con figli (spesso a rischio di sovraccarico di cura negli anni in cui sono presenti contemporaneamente più minori da seguire) e le convivenze tra persone non imparentate tra loro (con tutta probabilità composte da anziani più un assistente domiciliare-badante)11. Tab. 1.4. Punteggio medio sull’indice di carico familiare per tipo di nucleo familiare Media Dev. Std N Single 1,33 0,2 19 Monogenitore 2,04 1,3 22 Coppia senza figli 1,38 0,5 56 Coppia con figli 2,36 1,5 272 Famiglia estesa 2,87 1,2 32 Altro 2,20 1,1 15 Totale 2,20 1,4 416 Infine, merita di essere segnalata la presenza di alcuni single tra i soggetti con punteggi positivi sull’indice di carico familiare che, per quanto poco numerosi, potrebbero costituire una delle categorie più problematiche in un futuro non troppo lontano. In questo caso, sono gli stessi intervistati ad avere più di 75 anni o ad essere responsabili dell’assistenza di familiari non autosufficienti residenti altrove, delineando una condizione di fragilità potenziale che con gli anni rischia di trasformarsi in una vera e propria vulnerabilità esistenziale, soprattutto se la vita da single non rappresenta una scelta ma un ripiego dovuto all’assenza di congiunti in grado di prendersi cura di loro e/o con cui condividere la cura di eventuali altri soggetti deboli. Nel valutare il peso e la sostenibilità dei carichi di cura per individui e famiglie occorre, infatti, spingersi oltre la fotografia dell’esistente, cercando 11 Tali situazioni di sovraccarico dal punto di vista della cura, per alcune famiglie, potrebbero essere ulteriormente aggravate anche da difficoltà dal punto di vista economico: i punteggi medi più elevati sull’indice del carico di cura, infatti, si ritrovano proprio nei nuclei familiari che possono contare sul reddito medio disponibile pro-capite più basso (espresso dall’indice di disponibilità economica per i cui dettagli si rinvia al cap. 8), inferiore ai 700 euro (2,3 contro il 2,0 di chi ha un reddito medio superiore ai 1200 euro mensili). 14 di cogliere le tendenze emergenti – anche in altri contesti – per prefigurare tempestivamente gli scenari futuri. Alla naturale evoluzione delle biografie familiari, che col passare degli anni porta ad un alleggerirsi delle responsabilità genitoriali nei confronti di figli che crescono e ad un appesantirsi di quelle filiali nei confronti di genitori che invecchiano, oggi si intrecciano le più ampie trasformazioni demografiche in corso in Europa e in Italia. La provincia di Forlì-Cesena non costituisce un’eccezione in un panorama nazionale e regionale caratterizzato dalla riduzione delle nascite e dall’invecchiamento della popolazione. Con un tasso di fecondità totale12 pari a 1,41 nel 2009 (1,41 in Italia, 1,50 in Emilia-Romagna) e un indice di vecchiaia13 pari a 167,6 al 1 gennaio 2010 (144,0 in Italia, 170,0 in EmiliaRomagna)14, nel volgere di qualche decennio la composizione dei nuclei familiari è destinata a mutare in modo radicale anche nel territorio provinciale, con conseguenze non irrilevanti sulla distribuzione e la sostenibilità dei carichi di cura da parte delle famiglie. Se il peso dei figli minori è destinato a ridursi con il diminuire delle nascite, quello dei grandi anziani (ultra75enni) e degli anziani non autosufficienti, non solo tenderà ad aumentare con l’ingresso nella terza età della generazione del baby boom, ma graverà sulle spalle di una platea di adulti e giovani-adulti numericamente ridotta e spesso priva di congiunti con cui condividerlo. In un territorio tutto sommato ancora caratterizzato da una buona tenuta delle strutture familiari, gli effetti di una rimodulazione degli equilibri tra generazioni e la prospettiva di un’evoluzione delle tradizionali famiglie nucleari, fino ad oggi maggioritarie, in formazioni cosiddette a baccello15 (con i conseguenti mutamenti tanto degli impegni di cura quanto delle risorse con cui farvi fronte) rappresentano dunque una sfida prioritaria per tutti gli attori sociali e chiamano direttamente in causa la capacità riflessiva delle istituzioni locali nell’individuare e intercettare i nuovi bisogni di 12 Numero medio di figli per donna in età feconda. Rapporto percentuale tra la popolazione in età anziana (65 anni e più) e la popolazione in età giovanile (meno di 15 anni). 14 Cfr. Istat, Noi Italia 2011, http://www.istat.it per l’andamento storico degli indici citati e il sito http://www.regione.emilia-romagna.it, Previsioni demografiche - evoluzione 2004-2024, per gli scenari relativi alla popolazione in Emilia-Romagna. 15 Con tale definizione si identificano quelle famiglie estese che comprendono più nuclei familiari legati da rapporti di ascendenza/discendenza anziché collateralità che assumono così una forma lunga – in seguito alla coabitazione e ricoabitazione tra generazioni – e stretta – in quanto sempre più spesso caratterizzate da discendenze di figli unici. Cfr. P. Di Nicola, Famiglia: sostantivo plurale, op. cit.; Istat, Rapporto annuale 2010, http://www.istat.it, 2011. 13 15 individui e famiglie prima che si manifestino con la criticità e l’urgenza riscontrate in altri contesti. 1.3. Famiglia e oltre: relazioni, aiuti e reti di sostegno Alle esigenze di cura e di attenzione appena descritte le famiglie reagiscono tipicamente ricorrendo ad una varietà di soluzioni, unendo ed armonizzando con regia sapiente contributi diversi, materiali e immateriali, formali e informali. Spesso, infatti, le risorse messe a disposizione dalle istituzioni (asili e scuole, ma anche residenze e centri diurni per anziani) non possono coprire l’intero arco temporale in cui i membri adulti della famiglia sono impegnati con il lavoro e in altre attività familiari e personali, cosicché il mosaico degli aiuti tende a espandersi in altre direzioni, cercando di allargare la rete di persone coinvolte nell’assistenza dei familiari più fragili. Altre volte, la difficoltà di tessere e di mantenere attive le relazioni di supporto e mutuo-aiuto non consente di poter contare su tale condivisione informale e lascia alle famiglie come unica alternativa quella di reagire in modo autonomo alla situazione, addossandosi direttamente le responsabilità di cura, con conseguenti rischi di sovraccarico. Bambini e anziani (autosufficienti e non), come si è visto, rappresentano i due fronti su cui si giocano le capacità di tenuta familiare dal punto di vista della cura, cosicché diventa particolarmente importante comprendere se e su quali aiuti esterni le famiglie possano contare, ovvero come si organizzino per far fronte alle proprie esigenze e quali siano i soggetti più disponibili, propensi e, anche loro malgrado, coinvolti nel prestare aiuto ad altre persone, familiari e non. Rispetto al primo fronte, quello dei minori, l’analisi delle figure chiamate ad occuparsene al di fuori del tempo scolastico o coperto da servizi a pagamento mette in luce sostanzialmente tre possibili strategie: l’autoaddossamento ovvero la cura prestata in prima persona dai genitori, il coinvolgimento della rete familiare - ovvero di nonni e/o altri parenti - e il ricorso alla rete allargata, costituita da amici e vicini di casa. Nella realtà quotidiana, le soluzioni prevedono in genere un mix di queste diverse strategie ed anche i dati raccolti mostrano come in molti casi a prendersi cura dei minori siano più soggetti. In ogni caso, nelle famiglie dove è presente almeno un bambino o ragazzo sotto i 18 anni (cfr. tab. 1.5) sono prima di tutto i genitori, padre e madre insieme o solo uno dei due (83,5%), a prendersene cura, seguiti da altri familiari (51,9%) e solo in misura residuale da appartenenti alla rete allargata (8,5%), senza differenze degne di nota rispetto a variabili socio-demografiche quali età, titolo di studio, reddito e tipo di nucleo familiare. 16 Tab. 1.5. Chi si occupa dei minori al di fuori dei servizi scolastici e/o a pagamento: singoli soggetti e tipo di strategia adottata. Valori assoluti e % % Sì N Solo la madre 12,9 232 Solo il padre 3,9 232 Madre e padre 81,8 236 Nonni 52,2 232 Altri parenti 18,6 231 Vicini di casa / amici 9,5 232 Auto-addossamento famiglia Rete familiare Rete allargata 83,5 51,9 8,5 260 260 260 Per quanto riguarda il secondo fronte di cura, quello degli anziani e dei non autosufficienti, alle strategie di presa in carico già citate – autoaddossamento del nucleo familiare, appoggio sulla rete parentale, estensione alla rete allargata di amici e vicini – si aggiunge la possibilità di esternalizzazione tramite servizi pubblici o assistenza privata, utilizzata in sostituzione o in affiancamento alle altre risorse. Anche in questo caso, osservando i dati, si nota una sovrapposizione tra le figure che si prendono cura di non è in grado di provvedere a sé in tutto o in parte, ma ancora una volta è la famiglia a farsi carico nella maggior parte dei casi dell’assistenza del proprio congiunto: nel complesso, l’86% dei parenti stretti si occupa in prima persona del proprio familiare in difficoltà, più spesso le figlie dei figli (cfr. tab. 1.6). Il ricorso ad altri parenti sembra essere decisamente più ridotto di quanto non avvenga nel caso dei minori (solo il 25,6% degli intervistati ne fa cenno), così come il coinvolgimento della rete allargata, amicale e di vicinato, che appare del tutto trascurabile. Un ruolo non indifferente giocano invece le risorse esterne, servizi pubblici e assistenza privata, che insieme interessano oltre il 50% delle famiglie con adulti e anziani fragili. Merita di essere segnalato come, anche in questo caso, non si notino relazioni significative tra le strategie di cura adottate e le altre variabili socio-demografiche16, quasi a suggerire una sorta di trasversalità nel modo di far fronte all’assistenza dei propri familiari, giovani e anziani, in cui a fare la differenza non sono tanto le caratteristiche personali quanto la possibilità concreta di rivolgersi o meno a determinate figure – presenza, distanza, condizioni di salute, disponibilità temporale – circostanza legata ad una varietà tale di fattori da mettere in ombra ogni eventuale relazione diretta. 16 In ogni caso, il numero ridotto di rispondenti in tale condizione non consente di ottenere indicazioni sufficientemente attendibili. 17 Tab. 1.6. Chi si occupa delle persone non autosufficienti appartenenti al nucleo familiare: singoli soggetti e tipo di strategia adottata. Valori assoluti e % % Sì N Figlia/e 61,9 42 Figlio/i 29,3 41 Moglie/marito 33,3 42 Altri parenti 27,9 43 Vicini di casa / amici 2,4 42 Servizi pubblici 21,4 42 Assistenza privata 38,1 42 Auto-addossamento famiglia Rete familiare Rete allargata Esternalizzazione 86,0 25,6 2,3 51,2 43 43 43 43 Una nota a parte merita il ricorso a servizi domiciliari a pagamento che, soprattutto per quanto riguarda l’assistenza dei bambini (ma in buona parte anche per gli anziani e i non autosufficienti), sembra costituire una soluzione decisamente residuale tra le famiglie coinvolte nell’intervista. L’alta quota di rispondenti che dichiara di farne un utilizzo saltuario suggerisce come per quanto riguarda i minori sia vista come una soluzione di emergenza, da utilizzare in appoggio ad altre ritenute più affidabili ed economiche. Al di là delle esigenze di cura di minori e anziani, la figura a cui le famiglie si rivolgono più numerose è quella del collaboratore domestico, indicato dal 13,8% dei nuclei familiari (per lo più single e, in misura minore coppie, con e senza figli); di questi, oltre il 40% vi ricorre in modo saltuario, mentre per i restanti la media di ore settimanali è pari a 7,4. Decisamente residuale, come già accennato, è l’utilizzo di baby sitter: solo il 5% delle famiglie con minori dichiara di farvi ricorso e di queste ben il 75% afferma di farlo in modo saltuario, mentre anche per le più assidue la media oraria settimanale resta inferiore alle 10 ore. Del tutto diverso è invece il modello di impiego degli assistenti domiciliari dediti alla cura di anziani o disabili. In questo caso, infatti, sebbene ad avvalersi del loro aiuto non sia neanche il 30% delle famiglie con persone non autosufficienti all’interno della propria rete parentale, per la maggior parte di quanti vi fanno ricorso la figura del/la badante sembra connotarsi come un supporto quasi continuo, raggiungendo una media oraria settimanale superiore alle 46 ore, mentre gli utilizzatori saltuari arrivano solo al 31,9%. 18 L’approfondimento relativo ad un’eventuale connessione tra utilizzo di servizi domiciliari a pagamento e reddito medio disponibile mensilmente per ciascun componente del nucleo familiare rivela come tale associazione emerga con nettezza solo a proposito del contributo dei collaboratori domestici (senza tuttavia influire sulla quantità di ore di servizio richieste): ad essi ricorre ben il 25,4% delle famiglie il cui reddito medio pro-capite supera i 1.200 euro, l’11,5% di quelle con entrate comprese tra 701 e 1.200 euro e solo il 7,5% di quelle che dispongono di cifre inferiori ai 700 euro mensili, mentre nessuna tendenza significativa si evidenzia nel ricorso a baby sitter e badanti. In ogni caso, rispetto alle prassi e alle strategie combinatorie con cui le famiglie si occupano di bambini, anziani e non autosufficienti, vale la pena di ricordare come la geografia della cura appena delineata non assuma affatto un carattere di necessità né di stabilità. Il modo in cui le risorse utilizzate si integrano – tra stato, famiglia e mercato, e, all’interno della famiglia, tra i generi e le generazioni – non dipende infatti solo da variabili quali la presenza e la disponibilità delle stesse. Tanto la possibilità di raggiungerle facilmente e attivarle con la necessaria continuità quanto, soprattutto per gli anziani, le condizioni di salute dei destinatari (con ricorso all’istituzionalizzazione in strutture sanitarie in caso di peggioramento) rendono il quadro delineato al momento dell’intervista suscettibile di modifiche e revisioni tanto nel breve quanto nel medio-lungo periodo. A questo proposito, senza volersi addentrare nel dibattito sulla vulnerabilità sociale, sembra utile richiamare l’attenzione sul concetto oggi particolarmente attuale di normalità problematica. Sempre più spesso, infatti, al fianco di famiglie con disagi gravi e conclamati, che riescono a trovare una sponda e un supporto nei servizi sociali, ne esistono altre cosiddette normali per le quali è un precario equilibrio tra risorse e bisogni a determinare se e quando attraverseranno il confine della vulnerabilità17. Nessuno dei rischi socialmente riconosciuti (carenza di risorse, bisogni di cura sociali e sanitari, assenza di reti sociali, scarsità di capacità di fronteggiamento18), se preso singolarmente, assume per questi nuclei familiari una dimensione tale da connotarli come problematici. Tuttavia, l’aggravarsi, il cronicizzarsi, il succedersi e/o il combinarsi di eventi critici può far superare tale soglia, rendendo difficile da sostenere anche la quotidianità. Ed è proprio in prossimità di questi eventi, prima che l’attraversamento sia compiuto, che famiglie e individui cercano di mobilitare tutte le risorse possibili per far fronte al momento critico, per cercare di ritrovare un 17 18 Cfr. P. Di Nicola, Famiglia: sostantivo plurale, op. cit.; Istat, Rapporto annuale 2010, op. cit. Cfr. C. Ranci, Le nuove disuguaglianze sociali in Italia, Bologna, il Mulino, 2002. 19 equilibrio (o in attesa di trovarne uno nuovo nel caso in cui la crisi o il disagio si prolunghino nel tempo), per riorganizzarsi e ridefinire la propria situazione. La disponibilità individuale di relazioni svolge così la funzione di un vero e proprio capitale sociale, consentendo di attivare mix diversi di risorse – familiari, comunitarie e associative – e tracciando nuove linee di disuguaglianza tra famiglie più o meno dotate di tale capitale19. Per sondare la disponibilità di risorse utili a compensare eventuali carenze, materiali e di cura, agli intervistati è stato chiesto se, in caso di necessità, possano contare sull’aiuto di persone non conviventi (cfr. tab. 1.7). Le figure interne alla famiglia, intesa nell’accezione allargata di rete parentale, prevalgono di gran lunga su tutte le altre: ben l’80% delle famiglie afferma di potersi rivolgere ai propri parenti. Al secondo posto si trovano gli amici, indicati da oltre il 61% dei rispondenti, mentre meno diffusa sembra l’abitudine ad appoggiarsi sulle reti di vicinato, citate dal 36% degli intervistati, e solo residuale il ricorso ad appartenenti ad associazioni di volontariato e ad altre persone. Tab. 1.7. Soggetti su cui la famiglia può contare in caso di necessità. Valori % % Sì Parenti 79,9 Amici 61,6 Vicini 36,1 Appartenenti ad associazioni di volontariato 13,0 Altre persone 2,1 Tuttavia, quando si osserva il capitale relazionale di cui una famiglia può disporre, è importante analizzare non solo la presenza o meno delle diverse categorie di soggetti, ma anche come tali categorie si combinino tra loro. Tenendo conto contemporaneamente di tutte le figure citate, infatti, è possibile verificare l’esistenza di fenomeni di polarizzazione tra famiglie in grado di mobilitare risorse molteplici ed altre che al contrario non appaiono inserite in alcun network di relazioni affidabili (cfr. tab. 1.8). Dalla combinazione delle risposte emerge così come una quota non irrilevante di famiglie, oltre l’11%, riferisca di non poter contare sull’aiuto di nessuna persona non convivente, neppure in caso di necessità. 19 Cfr. P.P. Donati, R. Prandini, The Family in the Light of a New Relational Theory of Primary, Secondary and Generalized Social Capital, in «International Review of Sociology», n. 17, 2007, pp. 209-223; P.P. Donati, L. Tronca, Il capitale sociale degli italiani. Le radici familiari, comunitarie e associative del civismo, Milano¸ FrancoAngeli, 2008. 20 Tab. 1.8. Soggetti su cui la famiglia può contare in caso di necessità: numero di categorie citate. Valori % % Nessuna 11,2 1 23,2 2 33,6 3 26,2 4 e oltre 5,8 Totale 100,0 N 831 Un approfondimento consente di identificare alcune caratteristiche delle famiglie che ricadono in tale gruppo: al suo interno risultano sovrarappresentati i nuclei familiari con figli rispetto a quelli senza figli (13,2% contro 8%), con un basso livello culturale (15,7% rispetto al 7,1% dei più istruiti)20, un reddito medio disponibile procapite inferiore ai 700 euro (15,7% contro il 9% di quanti superano i 1.200 euro). Come gli studi più recenti sui nuovi rischi sociali ipotizzano, anche in provincia di ForlìCesena, tanto i capitali – sociale, economico e culturale – quanto le vulnerabilità sembrano cumularsi più che distribuirsi in modo casuale tra la popolazione, contribuendo a rafforzare le disuguaglianze21. Con lievissime differenze tra distretti, la maggior parte dei nuclei familiari dotati di scarso o nullo capitale relazionale si trovano proprio tra quanti forse potrebbero trovarsi ad averne più bisogno perché meno dotati anche delle altre due forme di capitale. La riaggregazione delle figure citate dagli intervistati in rete familiare – propria dell’ambito interattivo familiare e di parentela – rete comunitaria allargata – relativa alle cerchie sociali di mondo vicino (amici, vicini di casa, colleghi di lavoro, etc.) – e rete associativa – caratteristica degli ambiti interattivi di terzo settore – secondo le dimensioni relazionali individuate negli studi sul capitale sociale22, mette in luce come ben il 71,4% dei nuclei familiari possa contare su reti di sostegno molteplici, formate da figure appartenenti a più di un universo sociale (cfr. fig. 1.2). Tuttavia, nella maggioranza assoluta dei casi (58,3%) le reti multiple sono costituite da un mix tra rete familiare e rete comunitaria allargata (amici e vicini), rivelando come il panorama delle figure che sostengono le famiglie, anche quando si allarga oltre la parentela, rimanga in realtà per lo 20 Per i dettagli sulla costruzione dell’indice di status culturale familiare si rinvia al cap. 8. Cfr. C. Ranci, Le nuove disuguaglianze sociali in Italia, op.cit.; C. Saraceno, L’assistenza senza il welfare, in «il Mulino», vol. LVIII, n. 4, 2009, pp. 553-560. 22 Cfr. P.P. Donati, L. Tronca (2008), Il capitale sociale degli italiani. Le radici familiari, comunitarie e associative del civismo, op. cit. 21 21 più circoscritto ai rapporti elettivi personali. Solo nel 9,9% dei casi, infatti, la capacità di mobilitazione interessa tutte le possibili reti. Fig. 1.2. Configurazione delle reti di sostegno solo rete associativa 1,5% solo rete comunitaria allargata 7,3% reti multiple 71,4% solo rete familiare 19,8% rete familiare + comunitaria allargata 58,3% altre combinazioni 3,2% rete completa 9,9% Chi accede ad una sola risorsa, infine, lo fa in prevalenza attingendo al capitale sociale legato alle reti di parentela (19,8%) o, in misura minore, al proprio mondo vicino (7,3%), mentre il ricorso esclusivo a persone appartenenti al terzo settore appare del tutto residuale. Nonostante gli studi sul capitale sociale segnalino spesso la presenza di significative relazioni tra l’estensione della rete alle cerchie più esterne rispetto al nucleo familiare e variabili quali il livello culturale, il reddito e la partecipazione associativa23, nel campione in esame tali relazioni sembrano emergere solo in misura piuttosto contenuta (tutte comprese entro i 10 punti percentuali di distacco tra gli estremi delle distribuzioni). Si può tuttavia segnalare come, al crescere del livello di istruzione familiare, si noti uno spostamento dalla centratura sulla rete familiare, più diffusa tra i meno scolarizzati (23% contro 14,6%), ad un più elevato sostegno da parte del mix parentela più mondi vicini (57,1% contro 64,3%) e della rete completa (7,9% contro 12,7%) tra quanti vantano un percorso scolastico più lungo, decentramento favorito forse anche dall’apertura di 23 Cfr. P. Di Nicola, S. Stanzani, L. Tronca, Reti di prossimità e capitale sociale in Italia, Milano, FrancoAngeli, 2008. 22 nuove opportunità di costruire relazioni significative con persone esterne alla cerchia familiare proprio durante gli anni di studio. Tab. 1.9. Numero di aiuti forniti gratuitamente a persone non conviventi (parenti e non) nelle ultime 4 settimane. Valori % Nessuna Una o due Tre e Totale N azione oltre Sesso Maschio 36,4 36,4 27,2 100,0 429 Femmina 26,1 30,0 43,9 100,0 406 Età 15-24 anni 25-34 anni 35-44 anni 45-54 anni 55-64 anni 65 anni e oltre 33,3 30,8 33,9 35,4 21,0 33,8 43,2 36,3 31,0 29,8 31,9 30,9 23,5 32,9 35,1 34,8 47,1 35,3 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 102 143 171 141 138 139 Distretto residenza Forlì Cesena-Valle Savio Rubicone-Costa 28,2 32,5 36,2 32,3 36,2 31,7 39,5 31,3 32,1 100,0 100,0 100,0 390 246 199 Titolo di studio Fino a licenza elementare Licenza media o qualifica Diploma di maturità Laurea o post-laurea 30,9 36,8 29,8 23,6 36,1 33,7 32,4 32,7 33,0 29,5 37,8 43,6 100,0 100,0 100,0 100,0 97 288 278 165 Ruolo nel nucleo familiare Persona sola Figlio con genitore/i Coniuge/convivente senza figli Coniuge/convivente con figli Altra condizione 29,0 30,9 26,3 33,2 39,1 31,7 40,6 30,7 33,2 27,2 39,3 28,5 43,0 33,6 33,7 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 107 165 179 292 92 Partecipazione associativa Non associato Monoassociato Multiassociato 39,3 30,2 20,5 31,5 38,6 32,1 29,2 31,2 47,4 100,0 100,0 100,0 356 199 268 Per completare la ricostruzione del tessuto sociale e relazionale in cui si muovono gli intervistati e le loro famiglie, al quadro delle strategie, dei 23 sostegni e degli aiuti a cui ricorrono o sentono di poter ricorrere deve essere affiancato un secondo piano di analisi, costituito dalle attività che gli intervistati svolgono gratuitamente in favore di persone (parenti e non parenti) non conviventi (cfr. tab. 1.9). Ad un primo sguardo generale al numero di attività di aiuto prestate nelle quattro settimane precedenti l’intervista, il campione sembra dividersi quasi equamente tra quanti non hanno indicato nessuna delle azioni menzionate, né in favore di parenti né di non parenti (31,6%), quanti riferiscono di averne compiuta una o due (33,5%) e quanti ne segnalano tre o più (34,9%). Se si osservano le caratteristiche individuali degli intervistati si notano alcune differenze significative nella composizione dei tre gruppi. A non indicare nessuna delle attività di aiuto proposte sembrano essere in primo luogo individui di sesso maschile, entro i 24 anni o tra i 35 e i 54 anni, con titoli di studio medio-bassi, che appartengono a nuclei familiari di tipo non tradizionale24 e che non partecipano ad alcuna attività associativa. Al contrario, ad aiutare maggiormente altre persone, dichiarando di aver effettuato tre o più delle azioni indicate nel corso del mese precedente l’intervista, sono principalmente donne, con un’età compresa tra i 55 e i 64 anni, con un titolo di studio elevato, che vivono in coppie senza figli o da soli/e e partecipano abitualmente a più attività associative. Il profilo dei care givers in provincia di Forlì-Cesena non sembra dunque molto diverso da quanto mostrano indagini condotte a livello nazionale e – oltre a confermare alcuni assunti consolidati relativi, ad esempio, ai livelli di istruzione – mettono in luce il persistere di una disuguaglianza di genere che identifica nelle donne, soprattutto in età tardoadulta, le fornitrici di cura per elezione25. Se si approfondisce il tipo di aiuti forniti, distinguendo tra aiuti strumentali – ovvero economici e/o finalizzati al compimento di attività specifiche – e aiuti di cura – relativi ad un’ampia gamma di azioni di sostegno non necessariamente materiali – è possibile cogliere ulteriori dettagli (cfr. fig. 1.3). In particolare, uomini e donne si dimostrano entrambi più attivi sul versante degli aiuti strumentali rispetto a quelli di cura e nei confronti di parenti piuttosto che di non parenti, ma il divario di genere risulta evidente in tutti gli ambiti. Il 50% delle intervistate e il 40,5% degli intervistati hanno fornito almeno una delle forme di aiuto materiale citate a familiari non conviventi, mentre ad aver prestato cure di qualche tipo sono il 24 Sono stati inseriti nella categoria “altra condizione” gli intervistati appartenenti a famiglie estese, monogenitoriali e a convivenze di altro tipo. 25 Cfr. Istat, Parentela e reti di solidarietà, http://www.istat.it, 2006; Istat, Rapporto annuale 2010, op. cit. 24 40,4% delle femmine e il 29,4% dei maschi. Per quanto riguarda persone esterne alla rete della parentela, almeno un aiuto strumentale è citato dal 35,9% delle donne e dal 29,6% degli uomini a fronte dei più contenuti 24,7% e 14% che dichiarano di aver svolto almeno un’azione di cura in favore di persone esterne alla propria famiglia. Fig. 1.3. Consistenza degli aiuti forniti dagli intervistati per sesso, tipologia di attività e destinatari 100% 90% 80% 70% 60% 50% 40% 30% 20% 10% 0% maschi femmine aiuto srumentale a parenti maschi femmine aiuto strumentale ad altri nessuna attività una attività maschi femmine aiuto di cura a parenti maschi femmine aiuto di cura ad altri due attività o più L’analisi dell’età dei care givers rivela nuove sfumature nella geografia degli scambi, soprattutto se si presta attenzione alle categorie di aiuti prestati – strumentali o di cura – e ai destinatari – parenti o non parenti. Ad offrire sostegno ai parenti dal punto di vista materiale, infatti, sono soprattutto gli intervistati compresi tra i 55 e i 64 anni, mentre per quanto riguarda i non-parenti la situazione appare più variegata e le fasce d’età più coinvolte sembrano essere in prevalenza quelle centrali, tra i 25 e i 54 anni. Parzialmente diverso è il quadro relativo agli aiuti classificati come cura. In questo caso, la fascia d’età più attiva nei confronti dei parenti è ancora una volta quella dei 55-64enni, ma quando si passa alle persone non appartenenti alla rete familiare sembrano essere i giovani (15-24enni) i più coinvolti nel contribuire alle esigenze di cura di altri. L’analisi dettagliata del tipo di aiuti forniti contribuisce a far luce sui risultati precedenti. Se i tardo-adulti (55-64enni e oltre) offrono ai propri parenti in prevalenza aiuti economici e collaborazione allo svolgimento di 25 attività domestiche o di pratiche burocratiche, le fasce d’età centrali contribuiscono al sostegno materiale di persone esterne alla propria famiglia fornendo, in primo luogo, cibo e vestiti. Quanto alla cura, l’assistenza prestata dai 55-64enni consiste per lo più in cura di parenti bambini ed adulti, mentre per i giovani 15-24enni le attività svolte in favore di non familiari consistono soprattutto in aiuti nello studio, con tutta probabilità prestati a studenti coetanei. I dati raccolti non permettono di identificare i singoli destinatari del flusso di aiuti, strumentali e di cura, proveniente dai care givers tardoadulti26, ma la configurazione dei legami familiari descritta in altri studi27 induce ad ipotizzare che, anche nel caso degli intervistati, le relazioni si dispieghino in entrambe le direzioni, raggiungendo da un lato gli ascendenti – genitori e parenti anziani – dall’altro i discendenti – figli e nipoti28. I legami genitori-figli, infatti, non sembrano allentarsi né tantomeno interrompersi con l’uscita di casa e l’acquisizione dell’autonomia economico-abitativa da parte della generazione più giovane; al contrario, il flusso di scambi e di supporti, materiali ed affettivi, che intercorre tra i due nuclei familiari diventa spesso addirittura più intenso e senza dubbio più riconoscibile una volta che i figli hanno lasciato la famiglia d’origine29. 26 In proposito c’è chi segnala l’emergere di una nuova figura di carer anziano o quasi anziano (E. Pavolini, Regioni e politiche sociali per gli anziani. Le sfide della non autosufficienza, Roma, Carocci, 2004), più vicino ai sessanta che ai cinquanta, spesso fuori dal mercato del lavoro – perché non vi è mai entrato (ex-casalinghe) o perché ne è precocemente uscito (pensionamenti anticipati) – che tuttavia può trovarsi egli stesso in una fase della vita problematica dal punto di vista delle risorse materiali ma anche fisiche a cui attingere, ponendo nuove sfide alla sostenibilità nel tempo dei modelli di welfare che fanno perno su un’idea familista della cura. 27 Cfr. G.B. Sgritta (a cura di), Il gioco delle generazioni: famiglie e scambi sociali nelle reti primarie, Milano, FrancoAngeli, 2002; M. Albertini M., Il contratto generazionale tra pubblico e privato. Equilibri e squilibri tra le generazioni in Italia, in «Pólis», vol. XXII, 2008, pp. 221-242; C. Facchini (a cura di), Conti aperti. Denaro, asimmetrie di coppie e solidarietà tra le generazioni, Bologna, il Mulino, 2008. 28 Oltre alla nota definizione di generazione sandwich, riferita in particolare alle donne tra i cinquanta e i sessant’anni che si prendono cura, contemporaneamente della generazione precedente (i propri genitori) e di quella o quelle successive (figli e nipoti), recentemente è stata proposta quella di Janus position (G.O. Hagestad, K. Herlofson, Micro and macro perspectives on intergenerational relations and transfers in Europe, UN, New York, 2007) per identificare la condizione di quanti si trovano a fornire cure a chi sta alle loro spalle e cure e reddito a chi viene dopo di loro. 29 Cfr. M. Albertini, M. Kohli, C. Vogel, Intergenerational transfers of time and money in European families: common patterns different regimes?, in «Journal of European Social Policy», vol. 17, n. 4, 2007, pp. 319‐334; C. Saraceno, W. Keck, Can We Identify Intergenerational Policy Regimes in Europe?, in «European Societies», vol. 12, n. 5, 2010, pp. 675-696. 26 A questo proposito, fondamentale per il prolungarsi dei legami intergenerazionali tipici della famiglia italiana sembra essere la distanza – tendenzialmente minore rispetto agli altri paesi europei – che separa le residenze di genitori e figli30. Se si tiene conto di tale distanza rispetto ai genitori tanto degli intervistati quanto dei loro partner (cfr. fig. 1.4), si nota come quasi il 50% dei nuovi nuclei familiari risieda a meno di un chilometro da almeno uno degli ascendenti e, nel 25% dei casi addirittura vi conviva, mentre non raggiunge neppure il 10% la quota di quanti vivono a più di cinquanta chilometri di distanza o all’estero. Fig. 1.4. Distanza della residenza dell’intervistato dai genitori, propri e/o del partner tutti deceduti 20,0% almeno un genitore/ suocero convivente 25,4% almeno un genitore/ suocero all'estero 5,1% almeno un genitore/ suocero oltre 50 km 4,4% almeno un genitore/ suocero entro 50 km 6,5% almeno un genitore/ suocero entro 1 km 22,6% almeno un genitore/suocero nello stesso comune 16,0 L’abitudine alla prossimità residenziale tipicamente italiana sembra dunque confermata anche in provincia di Forlì-Cesena e, sebbene non si rintraccino relazioni certe con nessuna delle principali variabili sociodemografiche, l’analisi dei profili degli intervistati che hanno adottato le soluzioni abitative prevalenti – ovvero la coabitazione, una distanza 30 Cfr. G.B. Sgritta (a cura di), Il gioco delle generazioni: famiglie e scambi sociali nelle reti primarie, op. cit.; Istat, Parentela e reti di solidarietà, op. cit.; P. Di Giulio, A. Rosina, Intergenerational family ties and the diffusion of cohabitation in Italy, in «Demographic Research», n. 16, 2007, pp. 441-468; A. Rosina, P.P. Viazzo (a cura di), Oltre le mura domestiche. Famiglia e legami intergenerazionali dall’Unità d’Italia ad oggi, Udine, Forum, 2008. 27 contenuta nel raggio di un chilometro e la residenza all’interno dello stesso comune – può offrire alcuni interessanti spunti di riflessione. Il discrimine tra i modelli di prossimità genitori-figli più diffusi sembra, infatti, passare prima di tutto per l’età e la condizione familiare e solo in misura residuale per variabili quali il titolo di studio o il reddito. Da un lato, la convivenza sembra essere la soluzione migliore, scelta o subita per far fronte a necessità economiche o di assistenza, non solo per i giovanissimi (97% dei 1524enni), ma anche per una quota non irrilevante di intervistati intorno ai 30 anni (38% dei 25-34enni). Dall’altro, chi ha già formato un proprio nucleo familiare, soprattutto se ha figli, opta nella quasi totalità dei casi per l’autonomia abitativa, raggiungendo un equilibrio funzionale tra separazione e prossimità nei rapporti tra generazioni, grazie ad una distanza abbastanza ridotta, così da rendere semplici e poco onerosi, almeno dal punto di vista degli spostamenti, i reciproci scambi di aiuti, materiali e di cura, ma sufficiente per evitare gli svantaggi di una convivenza continua (il 38,4% delle famiglie con figli risiede a meno di un chilometro da uno dei genitori/suoceri e il 23,8% abita all’interno dello stesso comune). Ancora una volta, dunque, la famiglia si riconferma al centro delle biografie degli intervistati, condizionando o agevolando tanto le scelte abitative, quanto un’organizzazione della cura che continua a fare perno essenzialmente sulle relazioni familiari. La tenuta di una rete di sostegno incentrata per ben una famiglia su cinque esclusivamente sulla parentela e la densità di un flusso di aiuti, materiali e non, che intercorre abitualmente tra nuclei familiari non conviventi gravando soprattutto sulle spalle di donne prossime alla terza età sarebbero probabilmente minori se le distanze tra le residenze di figli e genitori fossero superiori. Non solo, dunque, coabitazione prolungata, ricoabitazione in occasione di eventi critici (divorzio, malattia, sfratto, disoccupazione) e prossimità residenziale appaiono oggi fondamenti imprescindibili del sistema di welfare familiare all’italiana31, ma con buona probabilità sia le trasformazioni demografiche in corso sia le conseguenze della crisi economica in atto indurranno le famiglie ad accentuare tale tendenza in futuro. Per far fronte alle nuove vulnerabilità dei propri membri, in assenza di un adeguato riconoscimento (e sostegno) sociale, la soluzione più razionale per l’istituzione familiare sembra essere quella di internalizzare e redistribuire al proprio interno le difficoltà, siano esse economiche, abitative o di cura, almeno fino a quando le stesse famiglie avranno le risorse sufficienti per farlo. 31 Cfr. M. Albertini, Il contratto generazionale tra pubblico e privato. Equilibri e squilibri tra le generazioni in Italia, op. cit.; C. Saraceno, W. Keck, Can We Identify Intergenerational Policy Regimes in Europe?, op. cit. 28 1.4. Eventi biografici e transizioni: generazioni in corso Un tema di particolare attualità quando ci si occupa di famiglia e di rapporti tra generazioni è senza dubbio quello del superamento delle cosiddette tappe di transizione alla vita adulta, in particolare dei modi, dei tempi e delle sequenze con cui tali transizioni si verificano oggi rispetto a ieri32. È ormai da diversi anni, infatti, che quelli che sembravano solo indizi di un allentamento della standardizzazione e sincronizzazione dei passaggi abitualmente attraversati dai giovani per entrare nel mondo adulto hanno assunto una rilevanza tale da far dubitare persino che il concetto stesso di soglie di transizione possa continuare ad avere cittadinanza nella società contemporanea. Ai percorsi interrotti, alle sequenze scambiate e ai passaggi saltati si affiancano sempre più modelli ricorsivi, le yo-yo transitions, in cui nessuna tappa è mai raggiunta per sempre, ma piuttosto è sempre possibile (e talvolta necessario) fare ritorno a quelle precedenti e modificare le proprie scelte33. Nuove rappresentazioni della giovinezza e dell’età adulta (ma anche di quella anziana) rendono pensabili e possibili traiettorie di vita molteplici, in cui l’età anagrafica non è più l’unico riferimento per comprendere le biografie personali. L’idea di un ciclo di vita individuale, familiare e sociale coordinato – e in qualche modo predefinito – viene sempre più rimpiazzata da quella di corsi di vita plurali, costruiti a partire da incroci di eventi diversi che per ciascuno si verificano (o anche non si verificano) in tempi diversi34. A ciò si aggiunge la constatazione che studio, lavoro, affetti si intersecano con un tempo storico e sociale in grado di favorire o meno, concretamente e normativamente, il compiersi di determinati eventi, componendo vite individuali e vite familiari dalle forme molteplici. La presente indagine non mira certo a risolvere l’annoso dibattito relativo al ritardo dei giovani italiani rispetto a quelli degli altri paesi nell’uscire di casa, né di comprendere se si tratti di scelta o necessità35. 32 Cfr. G. Merico, Giovani e società, Roma, Carocci, 2004; A. Walther, Regimes of Youth Transitions. Choice, flexibility and security in young people’s experiences across different European contexts, in «Young», vol. 14, n. 2, 2006, pp. 119-141. 33 Cfr. O. Galland, Adolescence, Post-Adolescence, Youth: Revised Interpretations, in «Revue française de sociologie», vol. 44, n. 5, 2003, pp. 163-188; N. De Luigi, I confini mobili della giovinezza, Milano, FrancoAngeli, 2007. 34 Cfr. C. Saraceno, M. Naldini, Manuale di Sociologia della famiglia, Bologna, il Mulino, 2007. 35 Cfr. M. Livi Bacci, Too few children and too much family, op. cit.; L. Mencarini, M. L. Tanturri, Una casa per diventare grandi. I giovani italiani, l’autonomia abitativa e il ruolo della famiglia di origine, in «Pòlis», vol. XX, n. 3, 2006, pp. 405-430; G.A. Micheli, Dietro ragionevoli scelte, Torino, Edizioni Fondazione Agnelli, 2008. 29 Nondimeno, le domande riguardanti la successione degli eventi che identificano le tradizionali tappe di transizione alla vita adulta, grazie alla modalità con cui sono state poste, risultano particolarmente utili per verificare se e come la scansione temporale con cui i superamenti avvengono sia mutata nel tempo. Pur non trattandosi di un’indagine longitudinale, infatti, la disponibilità di informazioni comparabili, relative a soggetti tra i 15 e i 74 anni, rende possibile osservare il verificarsi degli eventi in un’ottica diacronica, permettendo di cogliere segnali di eventuali cambiamenti grazie al confronto tra fasce di età diverse. Come prevede la sequenza delle transizioni, il primo ambito esaminato è quello dell’uscita dal circuito dell’istruzione. Se si considera l’intero campione (escludendo coloro per cui l’evento non si è ancora verificato), l’età media di fine studi si attesta a 18 anni; se invece si calcola l’età media della transizione dividendo gli intervistati in quattro gruppi in base alla loro data di nascita emergono le prime differenze: per i 15-29enni l’età media è 18,636, per i 30-49enni 19,5, per i 50-64enni 17,2 e per gli ultra65enni 15,1. Già questi primi risultati sembrano suggerire l’idea che qualche modifica nelle scelte e/o nelle opportunità di istruzione degli intervistati si sia verificata nel corso degli oltre 50 anni che separano i più giovani dai più anziani. Tuttavia, l’utilizzo dei valori medi, non consentendo per sua natura di cogliere le differenze, restituisce un quadro d’insieme piuttosto appiattito, in cui non è possibile distinguere quanti individui, all’interno della stessa fascia di età, abbiano, presumibilmente, raggiunto il diploma di laurea e quanti invece si siano fermati alla scuola dell’obbligo. L’analisi delle deviazioni standard (che indicano le dispersioni rispetto a ciascun valore medio), tutte piuttosto elevate (comprese tra 3,7 e 7,3 anni), conferma come intorno alle medie calcolate siano in realtà presenti oscillazioni piuttosto significative. Si è così proceduto a classificare le età di fine studi (e, a seguire, le età relative agli altri eventi sotto osservazione)37, adottando una scansione temporale in grado di offrire maggiori indizi rispetto al raggiungimento dei diversi traguardi scolastici, in modo da poter verificare quanti degli intervistati appartenenti ad uno stesso gruppo di età ricadano all’interno di 36 Va tuttavia segnalato che per oltre il 50% degli intervistati appartenenti a questa classe di età l’evento non si è ancora compiuto. 37 La suddivisione in categorie delle età delle transizioni è stata effettuata a partire dall’analisi delle distribuzioni relative al verificarsi di ciascun evento, individuando i valori che consentivano di creare 3 gruppi equilibrati tra quanti lo avevano già vissuto e ponendo in una quarta categoria quanti invece non lo avevano ancora attraversato. Le cadenze emerse dall’analisi dei percentili utilizzate per la suddivisione sono specificate di volta in volta nel testo. 30 ciascuna categoria, ovvero se per loro l’evento si sia verificato entro i 15 anni, tra 16 e 19 anni o a 20 anni ed oltre. Il primo dato che è possibile cogliere osservando la figura 1.5. è come, passando dai più anziani ai più giovani, si riduca considerevolmente la quota di individui che ha lasciato la scuola entro i 15 anni (dal 59,4% all’8%) e come, al contrario, aumenti quella di quanti hanno proseguito gli studi almeno fino ai 19 anni (dal 18,8% al 24,1% dei 15-29enni e al 42,3% dei 3049enni). È evidente come tale cambiamento non possa essere ricondotto esclusivamente alla libera scelta dei singoli intervistati, ma, nell’ottica dell’intreccio tra vite individuali e tempi storici cui si accennava in precedenza, debba essere inquadrato nel più ampio contesto sociale: chi oggi ha 70 anni ed è nato negli anni Quaranta si è trovato a vivere in un mondo molto diverso da quello in cui sono cresciuti i 30-40enni di oggi che, in proporzione quasi doppia, hanno probabilmente proseguito gli studi fino alla laurea o anche oltre (35,3% contro il 18% dei più anziani). In ogni caso, non si può sottovalutare come sia l’aumento dell’età di uscita dal circuito scolastico-formativo, sia la presenza di adulti e tardo-adulti che dichiarano di essere ancora in istruzione rappresentino un segnale di quella pluralizzazione delle traiettorie di vita ipotizzata a livello teorico. Fig. 1.5. Età a cui gli intervistati hanno terminato gli studi per fascia d’età 100% 90% 80% 70% 60% 50% 40% 30% 20% 10% 0% 15-29 30-49 non ancora avvenuto entro i 15 anni 50-64 tra 16 e 19 anni 65 e oltre a 20 anni e oltre Il secondo passaggio esaminato è costituito dalla conquista del primo lavoro, non necessariamente a tempo indeterminato ma con l’esplicita 31 esclusione delle attività occasionali. La cadenza indicata dalla distribuzione delle risposte degli intervistati – entro i 16 anni, tra 17 e 20 anni, a 21 anni e oltre – lascia presumere che si tratti di un evento che, in accordo con la sequenza standard fine degli studi-inizio del lavoro, tende a verificarsi dopo il precedente (cfr. fig. 1.6). Ancora una volta ad essere particolarmente interessanti sono le differenze che emergono dal confronto tra le diverse classi di età. Se ben il 45% dei più anziani a 16 anni poteva già dirsi inserito nel mondo del lavoro, tra i più giovani alla stessa età solo il 10,4% è riuscito ad entrarvi ed anche tra i 30-49enni la percentuale resta decisamente ridotta (22,3%). Fig. 1.6. Età a cui gli intervistati hanno iniziato il primo lavoro non occasionale per fascia d’età 100% 90% 80% 70% 60% 50% 40% 30% 20% 10% 0% 15-29 30-49 non ancora avvenuto entro i 16 anni 50-64 tra 17 e 20 anni 65 e oltre a 21 anni e oltre L’innalzamento dell’età in cui si raggiunge il primo impiego non occasionale a prima vista sembra procedere in modo graduale, ma non si può non notare il progressivo ampliarsi della percentuale di intervistati che dichiara di aver trovato un lavoro dopo i 20 anni, praticamente raddoppiata passando dagli ultra65enni ai 30-49enni (da 21,4% a 42,2%). Il ritardo nell’inizio nel primo lavoro, per quanto frutto di un’esplicita scelta per una quota non definibile di giovani e giovani-adulti, va tuttavia osservato alla luce di almeno due ordini di fattori, materiali e ideali. Da un lato si pone il complesso di circostanze storiche, sociali ed economiche che differenziano il contesto attuale da quello in cui si trovavano a vivere, alla stessa età, le 32 generazioni oggi più adulte, tra cui si possono ricordare l’innalzamento dell’età di uscita dal circuito della formazione già segnalato e un mercato del lavoro non certo in espansione come poteva esserlo negli anni sessanta. Dall’altro la diffusione di nuovi valori e nuovi stili di vita ha posto le basi per un diverso atteggiamento nei confronti del lavoro, che si è tradotta anche in una inedita propensione ad attendere il posto giusto, sostenuta dalle maggiori risorse economiche a disposizione delle famiglie e dalla democratizzazione dei rapporti genitori-figli che hanno reso possibile prolungare una convivenza vissuta come meno problematica da entrambe le parti. L’uscita di casa, difatti, come suggerisce anche la scansione delle età emersa dalle risposte degli intervistati – entro i 20 anni, tra 21 e 25, a 25 e oltre – rappresenta la tappa successiva, tradizionalmente superabile da quanti hanno già concluso gli studi e raggiunto una sufficiente indipendenza economica. Se per l’assoluta maggioranza dei 15-29enni di oggi l’eventualità di lasciare la casa dei genitori rappresenta un traguardo ancora molto lontano (solo poco più del 20% ha già compiuto tale passo), lo slittamento nelle età della transizione riscontrato a proposito degli eventi precedenti risulta in questo caso molto meno marcato (cfr. fig. 1.7). Fig. 1.7. Età a cui gli intervistati hanno lasciato la casa dei genitori per vivere da soli o convivere per fascia d’età 100% 90% 80% 70% 60% 50% 40% 30% 20% 10% 0% 15-29 30-49 non ancora avvenuto entro i 20 anni 50-64 tra 21 e 25 anni 65 e oltre a 26 anni e oltre 33 Oltre alla evidente diminuzione della quota di quanti si sono resi indipendenti entro i 20 anni, passando dal 32,6% degli ultra65enni al 23,9% dei 30-49enni, e all’aumento, al contrario, di quanti lo hanno fatto solo dopo i 25 anni (dal 26,5% al 33,8%), per la prima volta anche nelle fasce di età adulte di oggi è presente un 10% circa di intervistati per cui tale evento non si è ancora verificato38. Più o meno negli stessi anni in cui gli individui attraversano i traguardi analizzati finora, e spesso in contemporanea con l’uscita di casa, si verificano anche gli eventi cruciali per la formazione di un nuovo nucleo familiare ovvero l’inizio di un unione stabile e la procreazione. La distribuzione delle risposte degli intervistati impone tuttavia un ulteriore avanzamento nelle scansioni temporali che marcano le età di tali transizioni collocando, per il campione in oggetto, a 22 anni, tra i 23 e i 26 e a 27 e oltre le soglie relative all’avvio della prima convivenza e a 24 anni, tra i 25 e i 29 e a 30 e oltre quelle relative alla nascita del primo figlio. Osservando i dati, si nota come, nelle due classi di età più adulte, i tempi di avvio della vita di coppia risultino piuttosto simili e come, in entrambi i casi, circa il 70% degli intervistati si sia sposato o abbia cominciato a convivere entro i 26 anni (cfr. fig. 1.8). Molto diversa è la situazione delle generazioni successive, resa particolarmente evidente dalla netta discontinuità riscontrabile a partire dalla classe dei 30-49enni. Tra questi, poco più del 40% a 26 anni viveva già in coppia, un ulteriore 32,5% ha iniziato a 27 anni o più avanti, ma una quota pari al 25,9% non ha ancora oltrepassato tale traguardo. Tra i più giovani, poi, la percentuale di quanti stanno già vivendo con un partner non raggiunge complessivamente il 14%. La transizione – non all’età adulta ma a nuove biografie individuali e familiari – sembra dunque essersi verificata a partire dalla generazione nata negli anni sessanta, essere proseguita almeno fino a quella degli anni ottanta e mostrare segni di ulteriore radicalizzazione in quella più recente. Lo scivolamento in avanti delle età in cui gli eventi sotto osservazione si sono verificati, che appariva graduale rispetto all’istruzione, al lavoro e anche all’uscita di casa, sembra subire un’improvvisa accelerazione rispetto alle convivenze e, come si vedrà, anche alla nascita del primo figlio. 38 In realtà, soprattutto per quanto riguarda gli ultra 50enni, la mancata acquisizione dell’autonomia abitativa non necessariamente corrisponde ad un’interruzione della traiettoria di vita tradizionale. Considerate anche le caratteristiche di parte del tessuto abitativo provinciale, composto di unità residenziali autonome spesso ampliate negli anni proprio per far spazio alle famiglie dei figli, il mantenimento di una residenza congiunta con i propri genitori non implica che tali intervistati non abbiano ugualmente proseguito il proprio percorso di vita con la creazione di un nuovo nucleo familiare. 34 D’altra parte, gli studiosi della famiglia indicano come proprio a cavallo degli anni settanta si sia verificato un mutamento generalizzato nel modo di intendere la famiglia, la vita di coppia, la procreazione, la sessualità e come una crescente esigenza di realizzazione di sé e delle proprie potenzialità abbia messo in crisi abitudini consolidate e tradizioni fino a quel momento ritenute immutabili39. Fig. 1.8. Età a cui gli intervistati si sono sposati o sono andati a convivere per fascia d’età 100% 90% 80% 70% 60% 50% 40% 30% 20% 10% 0% 15-29 30-49 non ancora avvenuto entro i 22 anni 50-64 tra 23 e 26 anni 65 e oltre a 27 anni e oltre L’analisi dei dati relativi alla nascita del primo figlio offre sostegno a tale ipotesi anche per quanto riguarda la provincia di Forlì-Cesena (cfr. fig. 1.9): oltre il 60% degli ultra50enni a 29 anni aveva già assunto il ruolo di genitore, ma tra gli intervistati di 30-49enni alla stessa età solo poco più del 30% si trovava nella medesima condizione, mentre tra i meno che 30enni la quota di coloro che non hanno ancora vissuto tale esperienza supera il 90%. 39 Cfr. D. van de Kaa, Europe’s Second Demographic Transition, in «Population Bulletin, Population Reference Bureau», n. 42, 1987; Cfr. M. Barbagli, M. Castiglioni, G. Dalla Zuanna, Fare famiglia in Italia. Un secolo di cambiamenti, op. cit.; R. Lesthaeghe, The unfolding story of the Second Demographic Transition, in «Population and Development Review», n. 36, 2010, pp. 211-251. 35 Fig. 1.9. Età a cui gli intervistati hanno avuto il primo figlio per fascia d’età 100% 90% 80% 70% 60% 50% 40% 30% 20% 10% 0% 15-29 30-49 non ancora avvenuto entro i 24 anni 50-64 tra 25 e 29 anni 65 e oltre a 30 anni e oltre Se il quadro appena ricostruito ritrae le cadenze con cui i diversi gruppi di intervistati suddivisi per età hanno attraversato le diverse soglie, prima di passare all’approfondimento di alcuni aspetti riguardanti le soluzioni abitative adottate, sembra utile accennare, almeno brevemente, ad un altro fronte di analisi ossia quello che valuta le transizioni in un’ottica di genere. È evidente, infatti, come la condizione biologica e sociale dell’essere maschi o femmine si intersechi doppiamente tanto con le biografie individuali quanto con quelle familiari, definendo tempi di vita, diversi per uomini e donne. L’analisi delle scansioni temporali degli eventi alla luce, oltre che dell’età, anche del sesso rivela almeno due tendenze interessanti, la prima relativa all’età di uscita dal circuito dell’istruzione e la seconda alla nascita del primo figlio, che suggeriscono come in questi anni siano state soprattutto le donne a sperimentare le discontinuità più radicali nelle loro traiettorie di vita. Per quanto riguarda il termine degli studi, se un progressivo innalzamento dell’età è ben visibile in entrambi i sessi, nell’arco dei quarant’anni che separano la generazione delle ultra65enni da quella delle 30-49enni, si registra una vera e propria impennata nella quota di probabili laureate, che arriva addirittura a superare quella dei coetanei maschi. Le donne ancora impegnate negli studi dopo i 20 anni, infatti, passano dal 36 15,6% delle più anziane al 36,3% delle più giovani, mentre nello stesso periodo gli uomini passano dal 20,3% al 34,3%. Ancora più evidente è lo scarto tra maschi e femmine rispetto all’età in cui si è avuto il primo figlio, soprattutto se si tiene conto del minore margine di libertà femminile nel posticipare tale evento a causa del limite fisiologico della maternità, molto più precoce di quello della paternità. In ogni caso, nella generale tendenza al rinvio, è interessante notare come, passando dagli ultra65enni ai 30-49enni, varino le quote di uomini e di donne diventati genitori per la prima volta entro i 24 anni. Tra i maschi, si va dal 22,9% dei più anziani al 9,9% dei 30-49enni, ma, nello stesso intervallo di tempo, le percentuali femminili subiscono un crollo che le porta dal 62,1% delle ultra65enni al 20,3% delle più giovani, a riprova di quanto il cambiamento di valori, attitudini e stili di vita abbia avuto un impatto decisamente maggiore sulla vita delle donne. L’ultimo evento considerato nella ricostruzione delle transizioni vissute dagli intervistati, l’acquisto della prima casa, non appartiene propriamente alle tappe tradizionali, tuttavia risulta interessante perché condensa in sé i due aspetti, materiale e ideale, già ricordati, fornendo indizi sulla loro modifica nel tempo. La decisione di acquistare un’abitazione, infatti, dipende da un lato dalla volontà di raggiungere una completa indipendenza dalla propria famiglia di origine, dall’altro dalla possibilità di affrontarne i costi, grazie ad una situazione economica sufficientemente stabile da consentire la stipula di un eventuale mutuo e, in seguito, di poterlo onorare. Così, desideri personali e contesto socio-economico si intrecciano ancora una volta e le differenze nelle età in cui i diversi gruppi di intervistati sono diventati proprietari della prima casa si prestano ad essere lette come indizi di un mutamento sia negli stili di vita sia nel clima sociale, culturale e materiale nel corso del tempo. Uno sguardo d’insieme agli intervalli di età classificati a partire dalla distribuzione delle risposte – entro i 26 anni, tra 27 e 32, a 33 anni e oltre – e all’andamento della figura 1.10 rivela come l’acquisto di una casa sembri effettivamente costituire l’ultimo passo di un percorso che può durare molti anni. Per la prima volta, anche i due gruppi più anziani mostrano percentuali non trascurabili di intervistati (superiori al 20%) per cui l’evento non risulta essersi ancora verificato e circa il 28% degli ultra50enni ha raggiunto tale traguardo solo dopo i 32 anni. Lo scarto con i 30-49enni, di cui il 50% non ha ancora vissuto tale esperienza, può forse ancora ridursi, man mano che essi si inoltreranno nell’età adulta, ma il divario con i 15-29enni appare pressoché incolmabile e di molto superiore a tutti i precedenti (per la quasi totalità degli intervistati si tratta di un evento non ancora verificatosi). 37 In considerazione di ciò, sembra possibile ipotizzare che le mutate condizioni economiche stiano giocando un ruolo non secondario nel favorire la comparsa di questa ulteriore discontinuità nelle traiettorie di vita degli intervistati. Una discontinuità molto meno ideale e molto più materiale di quella relativa alla formazione della famiglia osservata in precedenza. Fig. 1.10. Età a cui gli intervistati hanno acquistato la prima casa di proprietà per fascia d’età 100% 90% 80% 70% 60% 50% 40% 30% 20% 10% 0% 15-29 30-49 non ancora avvenuto entro i 26 anni 50-64 tra 27 e 32 anni 65 e oltre a 33 anni e oltre L’approfondimento condotto sulle condizioni preliminari all’uscita di casa conferma l’esistenza di una forte connessione tra indipendenza abitativa e vita di coppia: il motivo principale per allontanarsi dai genitori e iniziare il proprio percorso di autonomia residenziale ha origine proprio dalla decisione di avviare una convivenza (cfr. tab. 1.10). L’analisi delle ragioni che hanno spinto gli intervistati a lasciare la famiglia di origine, infatti, mette in luce come, non diversamente da quanto mostrano altre ricerche sul tema, ma anzi, con percentuali addirittura superiori, quasi il 70% dei rispondenti, un po’ più le femmine dei maschi, indichino nel matrimonio o nella convivenza la causa prima dell’uscita di casa40. 40 Cfr. Istat, Le difficoltà nella transizione dei giovani allo stato adulto e le criticità nei percorsi di vita femminili, http://www.istat.it, 2009. 38 Il desiderio di autonomia e indipendenza sembra non costituire un motivo sufficiente per invogliarli a compiere questo passo e se per gli uomini rappresenta comunque la seconda ragione di uscita (11,8%), per le donne risulta ancora meno rilevante, raccogliendo solo l’8,6% dei consensi41. Poco numerosi sono anche gli intervistati, più maschi che femmine, che indicano il lavoro come ragione di uscita di casa, quasi una conferma indiretta della scarsa mobilità territoriale degli italiani, ancora più evidente tra quanti vivono in un territorio in grado di offrire sufficienti opportunità di impiego. Tab. 1.10. Motivi per cui si è lasciata la casa dei genitori la prima volta per sesso. Valori % Maschi Femmine Totale Convivenza 10,5 9,5 10,0 Matrimonio 57,7 61,6 59,7 Lavoro 10,5 6,0 8,2 Studio 4,6 11,7 8,2 Esigenze autonomia indipendenza 11,8 8,6 10,2 Decesso genitori 1,0 1,6 1,3 Altro 3,9 1,0 2,4 Totale 100,0 100,0 100,0 N 305 315 620 Uscire di casa per se stessi, semplicemente per rendersi indipendenti e iniziare un percorso autonomo, non sembra, dunque, essere ed essere stata una priorità per gli intervistati, anche se non si possono ignorare i vincoli economici che si frappongono al raggiungimento di una completa autonomia abitativa, tanto per chi aspira ad acquistare una casa quanto per chi desidera affittarla, e favoriscono piuttosto il prolungarsi delle convivenze genitorifigli42. 41 È tuttavia plausibile che la maggiore propensione femminile nel lasciare la casa genitoriale per ragioni di studio (11,7% contro il 4,6% dei maschi), oltre alla più elevata partecipazione femminile all’istruzione terziaria, possa in realtà celarsi un desiderio inespresso (magari anche a se stesse), ancora non completamente legittimato dal contesto sociale, di allontanarsi dalla famiglia di origine per sperimentare la propria autonomia in un’altra città e in un ambiente diverso. 42 Un rapido sguardo ai dati alla luce dell’età degli intervistati consente tuttavia di cogliere qualche debole indizio di cambiamento: ad essere usciti in seguito al matrimonio sono soprattutto i più anziani (83,7% tra gli ultra 65enni contro il 44,1% dei 30-49enni), mentre tra i giovani adulti la risposta relativa all’autonomia comincia a riscuotere maggiori consensi (15,6% contro 1,6%). 39 1.5. Il tempo conteso: equilibri e squilibri tra generi e generazioni Nelle società contemporanee, altamente differenziate e complesse, sperimentare ruoli e identità molteplici sembra, paradossalmente, essere diventata la norma per la maggioranza dei cittadini. La principale promessa collettiva della post-modernità – ovvero l’opportunità, accessibile a tutti, di conseguire la piena realizzazione di sé e delle proprie capacità espressive – si è infatti trasformata nel corso degli anni da certezza in potenzialità, per poi capovolgersi in un timore di perdere occasioni che induce a rincorrere stili di vita diversi cercando di farli coesistere simultaneamente43. Per un numero crescente di individui, ciò che ne deriva sembra essere una concitazione e una convulsione dei tempi di vita che fa proprio del tempo una delle risorse più scarse e desiderate al giorno d’oggi. Compresenza e sovrapposizione di ruoli e identità, infatti, rendono sempre più complessa la ricomposizione dei frammenti del sé all’interno di un orizzonte per sua natura circoscritto; così, anziché liberati, i tempi di oggi diventano sempre più obbligati44. A ciò si aggiunge quella che può essere definita come la seconda promessa non mantenuta dalla società post-moderna e post-industriale, la liberazione dal lavoro, o, perlomeno, la liberazione, grazie alle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione, dai suoi aspetti più onerosi e dai vincoli temporali di un’organizzazione lavorativa fondata su luoghi e ritmi comuni. Non solo tale liberazione non sembra essersi compiuta, almeno per la grande maggioranza dei lavoratori, ma anzi, mai come nell’epoca della «fine del lavoro»45, proprio il lavoro sembra essere diventato imprescindibile per accedere e mobilitare altre risorse: per partecipare pienamente alla vita collettiva, acquisendo titolarità di diritti e protezione sociale, e, paradossalmente, anche per liberare tempo, per sé, per la famiglia, per la cura, consentendo di acquistare sul mercato beni e servizi. Oltretutto, proprio per le forme che va sempre più assumendo, spesso flessibili e precarie, oggi più di ieri il lavoro rischia di contribuire a 43 Cfr. C. Lasch, La cultura del narcisismo. L’individuo in fuga dal sociale in un’età di disillusioni collettive, Milano, Bompiani, 1981; R. Sennett, L’uomo flessibile. Le conseguenze del nuovo capitalismo sulla vita personale, Milano, Feltrinelli, 1999; K. Kumar, Le nuove teorie del mondo contemporaneo. Dalla società post-industriale alla società post-moderna, Torino, Einaudi, 2000. 44 Cfr. L. Balbo, Tempi di vita, op. cit.; F. Crespi, Tempo vola: L’esperienza del tempo nella società contemporanea, Bologna, il Mulino, 2005. 45 Cfr. J. Rifkin, La fine del lavoro, Roma, Dalai Editore, 1996. 40 fagocitare, anziché a liberare, le altre risorse individuali, prima tra tutte proprio il tempo46. Quella che a lungo è stata tematizzata come doppia presenza femminile tra (un) fronte lavorativo e (un) fronte familiare sembra così essere diventata oggi una necessità di presenza plurima, quando non di vera e propria ubiquità, che riguarda un numero crescente individui, maschi e femmine47. Il tempo per il lavoro o per i lavori, il tempo per la famiglia e per la cura di figli, nipoti, genitori, altri familiari, il tempo per le relazioni da tessere e mantenere, ma anche il tempo da dedicare a se stessi, si sono trasformati in tempi obbligati, da incastrare tra loro e all’interno di biografie individuali e sociali sempre più complesse. Eppure, questi tempi sembrano sempre meno riconosciuti e riconoscibili come tempi sociali48. Privi della scansione comune dettata dall’organizzazione della società industriale che sincronizzava, uniformandoli, tempi individuali e tempi collettivi, nelle società contemporanee gli equilibri diventano instabili ed ogni individuo, grazie a risorse ed abilità strategiche personali, si trova a dover ricomporre tempi in competizione tra loro, comprimendoli o espandendoli uno a scapito dell’altro. L’attualità delle analisi dei tempi di vita sembra dunque maggiore oggi di quando lo sia stata negli anni settanta e se i rischi di sovraccarico e di vulnerabilità nel fronteggiare la quotidianità sono sempre più diffusi, resta il dubbio che ancora una volta nell’intreccio tra biografie individuali e collettive si vadano riproducendo e perpetuando vecchie disuguaglianze49. I dati medi relativi all’uso del tempo in provincia di Forlì-Cesena mostrano, ovviamente, come una quota rilevante del monte ore settimanale degli intervistati sia occupata dall’attività professionale e dal lavoro domestico e familiare. La verifica delle stesse medie in un’ottica di genere rivela però anche come le differenze nell’impiego del tempo tra maschi e femmine non siano affatto scomparse. In particolare, non diversamente da 46 Cfr. J. Gershuny, Changing times: work and leisure in post-industrial society, UK, Oxford University Press, 2000; L. Gallino, Il costo umano della flessibilità, Roma-Bari, Laterza, 2001; S. Piccone Stella (a cura di), Tra un lavoro e l’altro: vita di coppia nell’Italia postfordista, Roma, Carocci, 2007. 47 Cfr. L. Balbo, La doppia presenza, in «Inchiesta», vol. 8, n. 32, 1978, pp. 3-6; L. Balbo, M.P. May, G.A. Micheli, Vincoli e strategie nella vita quotidiana, Milano, FrancoAngeli, 1990; M. Piazza, Le politiche di conciliazione dei tempi, in «Inchiesta», vol. XXX, n. 127, 2000; P. Zurla (a cura di), Quando le madri lavorano. Percorsi di conciliazione in un contesto locale, Milano, FrancoAngeli, 2006; G. Altieri (a cura di), Uomini e donne moderni. Le differenze di genere nel lavoro e nella famiglia: nuovi modelli da sostenere, Roma, Ediesse, 2007. 48 Cfr. L. Balbo, Tempi di vita, op. cit.; M. Colleoni, I tempi sociali. Teorie e strumenti di analisi, op. cit.; Istat, I tempi della vita quotidiana, Argomenti n. 32, Roma, 2007. 49 Cfr. L. Balbo, La doppia presenza, op. cit.; C. Leccardi, Ricomporre il tempo: le donne, il tempo, il lavoro, in «Sociologia del lavoro», n. 56, 1994, pp. 148-155. 41 quanto segnalano altri studi sull’uso del tempo in Italia50, risulta confermata l’esistenza di un notevole squilibrio di genere nelle ore dedicate alle attività casalinghe che, pur attenuandosi in alcuni casi, continua a penalizzare tutte le donne, indipendentemente dalla loro condizione familiare e professionale. Considerando l’intero territorio provinciale (cfr. tab. 1.11), le intervistate dedicano ogni settimana al lavoro domestico e familiare mediamente più del doppio delle ore riservatevi dagli intervistati maschi (23,7 contro 11,3), mentre sul fronte dell’attività professionale i valori medi si attestano su 35,7 ore settimanali per le donne e 42,1 per gli uomini. La scomposizione a livello di distretti rivela alcune differenze ed assegna all’area di Cesena-Valle Savio il primato della minore disuguaglianza nella divisione dei compiti familiari: le donne forlivesi e del Rubicone-Costa, infatti, risultano impegnate nelle attività casalinghe per ben 14 ore in più dei maschi residenti negli stessi territori (rispettivamente 24,4 contro 10,9 e 23,3 contro 9,8), mentre a Cesena-Valle Savio il divario tra femmine e maschi è solo di 10 ore settimanali (23,0 contro 13,2). Tab. 1.11. Tempo dedicato dagli intervistati al lavoro domestico, all’attività lavorativa e a sé stessi, per sesso e per distretto. Valori medi Ore di lavoro domestico - settimanali Media Dev.St. N Forlì Maschi Femmine Totale Ore di lavoro per il mercato - settimanali Media Dev.St. N Ore per i propri interessi - giornaliere Media Dev.St. N 10,9 24,4 17,9 10,3 21,7 18,4 161 172 333 42,4 35,0 39,2 12,3 12,8 13,0 138 106 244 4,6 3,2 3,9 4,4 2,6 3,7 184 168 352 Cesena-Valle savio Maschi 13,2 Femmine 23,0 Totale 18,1 10,3 17,4 15,1 112 113 225 42,7 36,3 39,7 12,6 11,9 12,7 82 70 152 3,8 4,2 4,0 4,2 6,7 5,5 124 107 231 Rubicone-Costa Maschi Femmine Totale 9,8 23,3 16,8 7,7 15,0 13,8 87 92 179 40,7 36,0 38,5 14,2 11,2 13,0 58 52 110 3,2 3,1 3,2 2,9 3,4 3,2 99 94 193 Totale provincia Maschi Femmine Totale 11,3 23,7 17,8 9,79 18,96 16,40 360 377 737 42,1 35,7 39,2 12,8 12,1 12,9 278 228 506 4,0 3,5 3,7 4,0 4,4 4,2 407 369 776 50 Cfr. C. Saraceno, La conciliazione di responsabilità familiari e attività lavorative in Italia: paradossi ed equilibri imperfetti, in «Pòlis», vol. 17, n. 2, 2003, pp. 199-228; A. Alesina, A. Ichino, L’Italia fatta in casa, Milano, Mondadori, 2009; Istat, La divisione dei ruoli nelle coppie. Anno 2008-2009, http://www.istat.it, 2010. 42 L’analisi delle medie relative alle ore disponibili in un giorno feriale per i propri interessi e svaghi pare confermare l’esistenza di equilibri temporali diversi all’interno dei tre distretti. A fronte di una media generale di 4,0 ore per i maschi e 3,5 per le femmine, sono le donne forlivesi quelle che sembrano soffrire maggiormente la compressione del tempo per sé in relazione agli uomini dello stesso territorio, registrando una media di 3,2 ore contro 4,6. Nel distretto del Rubicone-Costa, il tempo libero femminile appare solo di poco inferiore a quello delle vicine forlivesi, ma il problema sembra investire allo stesso modo uomini e donne che dichiarano, rispettivamente, 3,2 e 3,1 ore. Nel distretto di Cesena-Valle Savio, invece, si assiste addirittura ad una inversione della tendenza generale, con le donne che possono contare quotidianamente su ben 4,2 ore contro le 3,8 degli uomini. Al di là delle fluttuazioni territoriali segnalate, è evidente come il fronte più critico per il raggiungimento di un’organizzazione dei tempi di vita equilibrata dal punto di vista del genere sia costituito dalla disuguale ripartizione del lavoro domestico e familiare, ambito per cui l’Italia continua a distinguersi dagli altri paesi europei a causa tanto della scarsa partecipazione maschile quanto dell’elevato impegno femminile. Se sul fronte professionale e del tempo per sé la distanza tra uomini e donne risulta oggi contenuta, il forte scarto tuttora esistente sul fronte delle attività casalinghe suggerisce come all’interno delle famiglie italiane continuino ad esistere e ad essere operanti schemi di ripartizione dei compiti tutto sommato tradizionali. Tali schemi, pur non attribuendo più la totalità dei lavori domestici a donne che sempre più sono anche lavoratrici, seguitano però a caricare sulle loro spalle le maggior parte delle faccende di casa e, soprattutto, a delegare loro l’intera responsabilità della gestione familiare51. Per comprendere meglio come i modelli di divisione dei ruoli di genere siano distribuiti tra gli intervistati sembra utile proporre un approfondimento che tenga conto oltre che del sesso anche della posizione ricoperta all’interno del nucleo familiare in cui vivono. Rappresentazioni, aspettative e comportamenti di genere, infatti, si costruiscono, si negoziano e si realizzano all’interno degli ambienti sociali e proprio le interazioni con persone del proprio e dell’altro sesso forniscono le conferme e le disconferme in grado di promuovere l’adozione di modelli più o meno paritari52. In tali dinamiche non può dunque essere secondaria la posizione 51 Cfr. Istat, Rapporto annuale 2010, op. cit.; C. Saraceno, La conciliazione di responsabilità familiari e attività lavorative in Italia: paradossi ed equilibri imperfetti, op. cit.; F. Zajczyk, La resistibile ascesa delle donne in Italia. Stereotipi di genere e costruzione di nuove identità, Milano, il Saggiatore, 2007. 52 Cfr. C. Leccardi (a cura di), Tra i generi. Rileggendo le differenze di genere, di generazione, di orientamento sessuale, Milano, Edizioni Guerini, 2002; F. Bimbi, Differenze 43 ricoperta dall’individuo all’interno della famiglia. La condizione di genitore, figlio, partner in coppia, single, si intreccia con il genere di appartenenza, rinviando a modelli diversi che prescrivono per ciascuna figura familiare, maschile o femminile, il modo opportuno di comportarsi. A questo proposito è interessante notare come lo schema di ripartizione dei compiti già evidenziato, con le donne che mediamente dedicano al lavoro domestico il doppio del tempo degli uomini, si ritrovi anche tra quanti non vivono in coppia (cfr. tab. 1.12). Tab. 1.12. Tempo dedicato al lavoro domestico, all’attività lavorativa e a sé stessi, per sesso e per posizione nel nucleo familiare. Valori medi Ore di lavoro domestico settimanali Media Dev.St. N Persona sola Maschi Femmine Totale Ore di lavoro per il mercato - settimanali Media Dev.St. N Ore per i propri interessi - giornaliere Media Dev.St. N 9,9 20,8 15,4 6,9 19,5 15,7 48 50 98 41,4 39,5 40,5 11,5 14,3 12,9 36 34 70 4,5 3,9 4,2 3,3 2,7 3,0 51 51 102 Figlio con genitore/i Maschi 8,2 Femmine 12,3 Totale 10,3 7,2 13,3 10,9 64 65 129 39,8 32,2 36,8 11,4 12,2 12,3 50 32 82 4,3 4,2 4,3 3,8 3,5 3,5 88 68 156 Coniuge/convivente senza figli Maschi 14,1 10,7 Femmine 26,0 16,5 Totale 19,9 15,0 84 80 164 39,1 36,0 37,7 11,2 13,1 12,1 47 37 84 5,1 4,0 4,6 4,9 4,8 4,8 85 80 165 Coniuge/convivente con figli Maschi 11,8 11,1 Femmine 27,9 19,3 Totale 19,9 17,6 131 133 264 43,0 35,0 39,4 11,2 10,7 11,6 120 97 217 3,0 2,4 2,7 3,6 2,1 3,0 144 126 270 Altra condizione Maschi Femmine Totale 10,5 27,1 20,4 7,9 21,7 19,3 33 49 82 49,5 37,0 42,9 21,8 12,3 18,4 25 28 53 3,9 3,8 3,9 4,3 8,8 7,0 39 44 83 Totale provincia Maschi Femmine Totale 11,3 23,7 17,7 9,8 19,0 16,4 360 377 737 42,1 35,7 39,2 12,8 12,1 12,9 278 228 506 4,0 3,5 3,7 4,0 4,4 4,2 407 369 776 e diseguaglianze. Prospettive per gli studi di genere in Italia, Bologna, il Mulino, 2003; E. Ruspini, Le identità di genere, Roma, Carocci, 2003. 44 La gestione della casa e l’eventuale cura di familiari non conviventi, infatti, sembrano richiedere ai single maschi solo 9,9 ore settimanali, lasciando loro 4,5 a disposizione ogni giorno per i propri interessi, mentre per le single donne l’impegno domestico arriva a 20,8 ore e le ore di tempo libero sono solo 3,9. D’altra parte, l’abitudine di contribuire alle faccende casalinghe in modo sbilanciato a seconda del sesso si apprende precocemente se si considera che le femmine dedicano ben 4 ore in più dei maschi alle attività domestiche (12,3 contro 8,2) anche tra gli intervistati che ancora rivestono la posizione di figlio e convivono con i genitori. In completa sintonia con quanto rilevato in altre ricerche è poi la modifica dei modelli organizzativi che coinvolge i partner di una coppia quando sono presenti dei figli53. Indipendentemente dall’età dei figli, se gli intervistati sono genitori, i loro schemi di divisione dei tempi tendono ad aderire maggiormente ad una concezione tradizionale dei ruoli: le donne aumentano il loro coinvolgimento nelle attività domestiche e familiari, passando da 26 ore quando non hanno figli conviventi a quasi 28 quando diventano madri, e riducono l’impegno professionale (da 36 a 35 ore). Gli uomini, al contrario, diminuiscono il loro apporto alle faccende di casa, passando da 14,1 a 11,8 ore, e prolungano il proprio orario di lavoro (da 39,1 a 43). Benché la riduzione del contributo maschile sul fronte familiare possa apparire compensata dal maggiore impegno sul fronte professionale, la specificità di un contesto socio-economico in cui le casalinghe dichiarate raggiungono appena l’11% del totale e oltre il 57% delle donne lavora (meno di un terzo part-time), porta a chiedersi se, almeno per queste ultime, non sia possibile attendersi un aumento del carico di lavoro domestico e familiare più contenuto rispetto alle non occupate. Ciò che rivelano i dati è, invece, esattamente l’opposto. Come prevedibile, la media delle ore dedicate alle attività casalinghe è decisamente superiore tra le donne non occupate che vivono in coppia, sia con che senza figli (rispettivamente 36,9 e 34,2), ma l’aumento del carico di lavoro che subiscono le madri occupate con figli è decisamente molto più consistente, portandole a raggiungere le 24,3 ore di impegno dentro casa (a cui si aggiungono le 35,3 fuori casa), a fronte delle 15,9 ore dichiarate da quante non hanno figli. Un ultimo approfondimento riguarda l’eventuale ruolo giocato dal livello culturale familiare nel favorire l’adozione di modelli di genere più paritari, aumentando l’apporto maschile e/o diminuendo quello femminile, 53 Cfr. Istat, Conciliare lavoro e famiglia: una sfida quotidiana, Argomenti n. 33, Roma, 2008; Istat, La divisione dei ruoli nelle coppie. Anno 2008-2009, op. cit. 45 evidenziato in altri studi54. A livello generale, l’effetto dell’istruzione sulle ore di lavoro domestico e familiare svolte dalle donne appare incontrovertibile, con una netta riduzione dei valori medi man mano che il livello culturale sale (da 29 ore a 22 a 19), mentre, rispetto al contributo maschile, non si riscontra alcun aumento sistematico (11 ore per gli uomini appartenenti a nuclei familiari con livelli di istruzione bassi o elevati e 12 per quelli medi). Tuttavia, è il confronto tra uomini e donne in coppia – con e senza figli – a far emergere i contrasti più stridenti. Prendendo in considerazione prima di tutto i partner maschi, con e senza figli, si nota come, parallelamente alla crescita del livello culturale, si registri una attenuazione dello schema tradizionale secondo cui, in presenza di figli, il già limitato contributo domestico viene ulteriormente diminuito in cambio di un aumento dell’attività lavorativa. Da una piena adesione a tale schema, particolarmente evidente nelle famiglie meno scolarizzate (dove gli uomini senza figli lavorano in media 41 ore, aiutando in casa per 16 ore settimanali, mentre quelli con figli lavorano 44 ore, aiutando per sole 8 ore), si passa ad una prima innovazione, visibile nelle famiglie mediamente istruite (dove gli uomini aumentano considerevolmente il loro orario di lavoro, da 38 a 43 ore settimanali, senza però ridurre il contributo domestico che resta pari a 13 ore), a quello che può apparire come il primo segnale di una nuova concezione di genitorialità tra le famiglie con un livello culturale più elevato (le ore lavorate aumentano da 40 a 42, ma aumenta anche il contributo all’attività domestica da 11 a 13 ore). Del tutto diverso è il modo in cui il livello culturale familiare sembra interagire con il tempo femminile, la cui complessa articolazione è spesso l’esito di compromessi tra priorità personali e familiari in contrasto tra loro. Le donne con figli che vivono in nuclei familiari a bassa scolarizzazione sembrano adottare un modello simile a quello maschile, con un coinvolgimento nelle attività domestiche e familiari invariato (31 ore) e un prolungamento dell’orario lavorativo (da 29 a 34 ore), probabilmente per far fronte alle accresciute esigenze economiche. Nelle famiglie con istruzione media, invece, il modello femminile appare complementare a quello maschile tradizionale: quando sono presenti dei figli, la donna aumenta il proprio impegno dentro casa (da 23 a 29 ore) e diminuisce quello fuori casa (da 40 a 35 ore), avvicinandosi allo schema male breadwinner/female parttime carer55. Nelle famiglie con un livello di istruzione elevato, infine, le ore 54 Cfr. C. Saraceno, La conciliazione di responsabilità familiari e attività lavorative in Italia: paradossi ed equilibri imperfetti, op. cit.; E. Ruspini (a cura di), Donne e uomini che cambiano. Relazioni di genere, identità sessuali e mutamento sociale, Milano, Edizioni Guerini, 2005; Istat, I tempi della vita quotidiana, op. cit. 55 Cfr. B. Pfau-Effinger, Change of Family Policies in the Sociocultural Context of European Societies, in «Comparative Social Research», n. 18, 1999, pp. 135-159. 46 dedicate dalle donne al lavoro casalingo crescono (da 19 a 24) e si riducono quelle per il lavoro retribuito (da 37 a 34). Si tratta di un risultato a prima vista poco coerente con i modelli teorici che tendono a considerare le madri lavoratrici appartenenti a tale gruppo come le più interessate a restare nel mercato del lavoro e le meglio attrezzate, culturalmente e materialmente, per far fronte ad eventuali difficoltà di conciliazione. Tuttavia, una riduzione dell’orario di lavoro temporanea potrebbe rappresentare per le madri più istruite una scelta strategica, compiuta per superare un momento critico e resa possibile proprio dalla loro migliore posizione sul mercato del lavoro, in grado di proteggerle dalla completa rinuncia all’impiego a cui spesso vanno incontro le lavoratrici con bassi titoli di studio e basse qualifiche56. Gli elementi in gioco, le combinazioni e i significati della riorganizzazione dei tempi della coppia sono indubbiamente più complessi e numerosi di quelli ricostruiti finora. Nondimeno le analisi condotte confortano l’ipotesi di una connessione tra allocazione del tempo e posizione ricoperta dagli individui, maschi e femmine, all’interno delle rispettive famiglie, e, soprattutto, rivelano come l’essere donna, ancora oggi e in ogni posizione, risulti associato ad una maggiore assunzione/attribuzione di responsabilità domestiche e familiari. Data la complessità degli equilibri in qualche modo raggiunti dagli intervistati, è utile affiancare alle considerazioni precedenti un approfondimento specifico teso ad indagare la soddisfazione dei singoli individui rispetto alla quantità di tempo che possono/devono dedicare ad alcune delle attività più comuni e la loro percezione di come tale quantità sia eccessiva, insufficiente o adeguata. Il quadro ricostruito a partire dalle risposte ritrae gli uomini e le donne della provincia di Forlì-Cesena come abbastanza soddisfatti della propria organizzazione temporale dal momento che tutte le attività indagate raccolgono una quota di consensi superiore al 50% alla voce il giusto tempo (cfr. tab. 1.13). L’unica eccezione è costituita dalla domanda relativa alla possibilità di svolgere attività di volontariato e/o di tipo politico/sindacale per cui i consensi rispetto al tempo giusto scendono al 46,7%57. 56 Istat, Rapporto annuale 2010, op. cit. Osservando tale dato parrebbe esserci un potenziale di partecipazione sociale del tutto inesplorato e non utilizzato: circa un intervistato su due, infatti, più le femmine dei maschi, considera troppo poco il tempo che riesce a dedicare ad attività in cui, stando alle loro stesse dichiarazioni (cfr. capitolo 4), risulta coinvolto solo in misura piuttosto ridotta. Va tuttavia segnalato come rispetto a tali attività ben il 66% degli intervistati non abbia fornito alcuna risposta, suggerendo come a sentire la mancanza di tempo siano in realtà persone già impegnate nel volontariato o nell’attività politico/sindacale, che desidererebbero potervi dedicare maggiori energie, mentre la maggioranza dei cittadini appaia non interessata a svolgerle in nessun caso. 57 47 Tab. 1.13. Soddisfazione degli intervistati per il tempo dedicato alle diverse attività per sesso. Valori % Poco tempo Il giusto Troppo Totale N tempo tempo M F M F M F M F M F Il mio lavoro 2,1 6,3 63,2 68,6 34,7 25,1 100 100 285 239 Lavoro domestico e familiare Mantenere contatti con i parenti Mantenere contatti con amici e conoscenti I miei hobby e interessi Dormire Svolgere attività di volontariato o di tipo politico/sindacale 43,8 18,9 54,9 65,0 1,3 16,1 100 100 384 391 44,3 43,5 54,0 53,7 1,7 2,8 100 100 422 398 28,6 35,0 67,1 61,2 4,3 3,8 100 100 420 397 39,4 47,1 54,1 51,1 6,5 1,8 100 100 416 378 31,6 29,9 63,9 63,7 4,5 6,4 100 100 427 402 48,9 57,0 46,7 42,3 4,4 0,7 100 100 137 142 Il dato mediamente positivo registrato non implica, tuttavia, né che la soddisfazione sia uguale per tutti né che non esistano zone d’ombra: la sensazione di scarsità di tempo interessa infatti quote rilevanti di intervistati, che oscillano tra il 30% e il 50%. Oltre al già ricordato ambito associativo, gli aspetti della vita quotidiana in cui più forte si fa sentire la mancanza di tempo sono la gestione dei rapporti con i parenti e la possibilità di seguire i propri hobby e interessi. Se nel primo caso le percentuali di femmine e di maschi insoddisfatti praticamente si equivalgono ed entrambi si attestano poco oltre il 40%, nel caso del tempo per sé emerge una maggiore insofferenza femminile per l’impossibilità di dedicarsi alle attività desiderate (47,1% contro 39,4%). Opinioni maschili e femminili divergono in modo considerevole anche a proposito del tempo dedicato al lavoro domestico. Sono, un po’ a sorpresa, gli uomini, con un cospicuo 43,8% (al terzo posto dopo volontariato e parenti), a rammaricarsi dell’impossibilità di contribuire come vorrebbero alle attività casalinghe58, mentre tra le intervistate la percentuale di quante segnalano la propria insoddisfazione per questo aspetto della vita quotidiana si ferma al 18,9% (quota quasi controbilanciata dal 16,1% che ritiene di dedicarvi fin troppo tempo). Uomini e donne si trovano invece d’accordo a proposito del troppo tempo richiesto dal lavoro, l’unico aspetto a raccogliere proporzioni 58 Va però segnalato come nella descrizione dell’item fosse esplicitamente inclusa la manutenzione della casa, l’unica attività domestica al cui proposito tutte le ricerche sull’uso del tempo concordano nel registrare un picco di collaborazione maschile. 48 significative di scontenti, il 34,7% dei maschi e il 25,1% delle femmine. Quando nelle intense agende settimanali esaminate in precedenza si devono incastrare anche tutte le altre attività quotidiane, la pressione temporale tende ad aumentare rapidamente e con essa l’insoddisfazione. Nella crescente competizione tra attività che richiedono tutte tempo ed attenzione, è il tempo lavorativo, per lo più incomprimibile e vincolato, a provocare il malcontento maggiore. Le altre attività, infatti, consentono spesso maggiori margini di manovra, possono essere rimodulate o anche trascurate a seconda della presenza di esigenze concorrenti; l’orario di lavoro, invece, solo in alcuni casi può essere ridotto e, nel contesto attuale, rischia di diventare sempre meno governabile dai singoli e sempre più condizionato, tanto nelle diminuzioni quanto negli aumenti, dalle esigenze economiche e produttive anziché personali. La distinzione tra occupati e non occupati diventa così il discrimine principale tra gli intervistati, in grado di farli propendere verso la soddisfazione o l’insoddisfazione per il proprio equilibrio temporale e capace di erodere la quota di individui (maggioritaria a livello generale) che dichiaravano di riuscire a dedicare il tempo giusto ad ogni cosa (cfr. fig. 1.11). Fig. 1.11. Intervistati, occupati e non occupati, che dichiarano di avere poco tempo per svolgere le diverse attività 70 60 50 40 30 20 10 0 Lavoro domestico e familiare Mantenere contatti con Mantenere contatti con I miei hobby e interessi i parenti amici e conoscenti Lavora Dormire Svolgere attività di volontariato o di tipo politico/sindacale Non lavora 49 In particolare, se chi lavora denuncia in proporzione maggiore rispetto a chi non lavora la propria mancanza di tempo in tutti gli ambiti osservati (con scarti tra i 16 e i 26 punti percentuali), i divari più ampi emergono a proposito delle relazioni con parenti (54,3% contro 27,7%) e amici (41,3% contro 16,3%) e degli interessi e hobby personali (26,9% contro 52,9%), proprio le attività più facilmente comprimibili in caso di necessità. Una seconda variabile in grado di incidere sulla ripartizione tra soddisfatti e insoddisfatti è costituita dall’età. In questo caso non emerge alcuna tendenza univoca, né una fascia di età ugualmente in sofferenza rispetto a tutti gli ambiti di attività; si può tuttavia identificare negli adulti in età centrale, tra i 30 e i 49 anni, la categoria di soggetti più a rischio di sovraccarico temporale. Sono loro infatti a riferire in proporzione maggiore di avere poco tempo per tenere i contatti con parenti e amici, per occuparsi dei propri hobby e perfino per dormire, mentre da un lato gli anziani appaiono i più soddisfatti del loro equilibrio temporale, dall’altro i giovani sembrano risentire della scarsità di tempo per lo più a proposito del lavoro domestico, dei rapporti con i parenti e della partecipazione associativa. Altri fattori sono ovviamente in grado di alterare a livello individuale tanto le esigenze temporali quanto la percezione di scarsità del tempo disponibile per soddisfarle, spesso operando in modo congiunto e/o sovrapponendosi (ad esempio, come si è già notato, età e titolo di studio, età e ruolo familiare ma anche sesso e ruolo familiare). Un cenno specifico va però dedicato ad un elemento di contesto, che prescinde dalle caratteristiche socio-demografiche dei singoli, ma consente di fotografare alcune differenze nella valutazione dell’adeguatezza della propria organizzazione temporale: il distretto di residenza. Uno sguardo generale all’andamento delle risposte nei tre distretti identifica i residenti nei territori del Rubicone-Costa e di Cesena-Valle Savio come i più soddisfatti del tempo a loro disposizione, seguiti a qualche distanza dai forlivesi. Si tratta, è evidente, di un’indicazione sintetica e approssimata, relativa ad una percezione più che ad un fatto concreto, e che per essere compresa richiederebbe valutazioni più complesse di tutti gli aspetti che caratterizzano le diverse aree di insediamento – dal mercato del lavoro alla mobilità urbana, dalla composizione demografica alla disponibilità di servizi, dalla conformazione fisica del territorio alla configurazione sociale di chi lo abita – che, evidentemente, esulano dallo scopo del presente lavoro. Tuttavia, con tutte le cautele del caso, si possono segnalare gli ambiti in cui emergono le maggiori disparità tra le valutazioni dei residenti nei tre distretti: gli abitanti dell’area Rubicone-Costa esprimono in percentuale maggiore insoddisfazione per il tempo da dedicare ai propri hobby e interessi (49,2% contro 39,2% dei Cesenati); i residenti nel Cesenate-Valle Savio, a loro volta, si lamentano del poco tempo disponibile per mantenere i contatti con i 50 parenti (49,2% contro 35,7% del Rubicone-Costa); i forlivesi, invece, manifestano in quota maggiore il loro disappunto per il troppo tempo destinato al lavoro (35,7% contro 21,4% di Cesena-Valle Savio) e per la scarsità di quello dedicato al lavoro domestico (32,2% contro 30,3% del Rubicone-Costa), a tenere i contatti con gli amici (33,2 contro 30,0% di Cesena-Valle Savio) e fare volontariato o attività politico-sindacale (56,5% contro 46,4% di Rubicone-Costa). Ancora una volta, il cuore dell’insoddisfazione sembra essere l’eccessivo impegno richiesto dal lavoro, che finisce col sottrarre tempo ed energie a tutti gli altri spazi vitali. Per questo motivo e per saggiare in modo esplicito le reciproche interazioni tra ambito domestico-familiare e ambito lavorativo, l’ultimo quesito sollecitava gli intervistati con un’occupazione a riferire con quale frequenza fosse capitato loro, nella vita concreta di ogni giorno, di rientrare troppo stanchi dal lavoro per occuparsi delle faccende domestiche o familiari e/o quante volte invece i problemi familiari avessero inciso sulla loro prestazione lavorativa (cfr. tab. 1.14). Tab. 1.14. Frequenza con cui gli intervistati occupati si sono trovati nelle diverse situazioni per sesso. Valori % Mai/ Più volte Più volte al Totale N raramente l’anno mese/alla settimana M F M F M F M F M F Arrivare a casa dal lavoro talmente stanco da non essere in grado di svolgere i lavori di casa Difficoltà di fronte alle responsabilità familiari per l’eccessivo impegno lavorativo Difficoltà di concentrazione sul lavoro a causa di responsabilità e problemi familiari 28,4 23,1 32,1 32,4 39,5 44,5 100 100 218 173 48,0 35,2 37,3 47,0 14,7 17,8 100 100 225 185 50,6 39,2 42,6 44,9 6,8 15,9 100 100 235 176 Osservando le risposte disaggregate per sesso emerge immediatamente come a soffrire di più per il sovrapporsi dei due ambiti di vita siano le donne, in sintonia con quanto sembravano suggerire già i dati sull’organizzazione temporale analizzati in precedenza. Le percentuali di uomini che dichiarano di non aver mai sperimentato o di essersi trovati solo raramente nelle condizioni di disagio ipotizzate, infatti, superano sempre quelle delle donne (dai 5 ai 13 punti di distacco) che, al contrario, mostrano punteggi superiori a quelli maschili quando si osservano le frequenze più 51 ravvicinate, mensili e settimanali (dai 3 ai 9 punti di distacco). La circostanza più critica appare quella della gestione dei lavori di casa: dopo un’intensa giornata di lavoro quasi metà delle lavoratrici (44,5% a fronte del 39,5% degli uomini) prova, più volte al mese o addirittura più volte alla settimana, una stanchezza tale da non essere in grado di svolgere le faccende domestiche come di consueto. Al di là delle valutazioni astratte, l’equilibrio tra lavoro per il mercato e lavoro casalingo continua ad essere piuttosto instabile per le donne, soprattutto se si considera la frequenza con cui sembrano verificarsi occasioni di conflitto che sfociano in una concreta difficoltà nel far fronte ai propri impegni in uno dei due ambiti. Tuttavia, l’analisi degli stessi dati effettuata alla luce oltre che del sesso anche della posizione ricoperta da ciascun intervistato nel proprio nucleo familiare rivela come, ancora una volta, sia la combinazione donna più carichi familiari a mettere maggiormente alla prova il precario equilibrio che tiene insieme i tempi per ogni cosa. Le donne con figli, infatti, oltre ad avere in comune con tutte le altre donne la citata tensione a proposito delle faccende casalinghe da svolgere al rientro dal lavoro, si ritrovano più numerose a sperimentare tensioni anche sul fronte professionale: il 21,9% dichiara di aver incontrato almeno più volte al mese difficoltà nel concentrarsi sul luogo di lavoro a causa di problemi familiari da cui non riescono a separarsi, a fronte di un ridotto 7,4% totalizzato dagli uomini nella stessa condizione. Più egualitario, se così si può definire, il disagio di uomini e donne in coppia con figli nei confronti dei doveri propriamente familiari. In questo caso la quota di lavoratori e lavoratrici che incontrano problemi più volte al mese (o anche più spesso) nel rispondere alle proprie responsabilità familiari a causa dell’impegno eccessivo nel lavoro è pari circa al 20% per entrambi i sessi. La sensibilità e il coinvolgimento maschile, quando si tratta di questioni familiari e non semplicemente domestiche, sembra dunque avvicinarli all’esperienza femminile della conciliazione non riuscita tra famiglia e lavoro, anche se ben il 39,1% dei lavoratori, a fronte del 27,4% delle lavoratrici, dichiara comunque di non aver mai sperimentato momenti critici o di averlo fatto solo raramente. La verifica dell’andamento delle risposte in relazione al distretto di residenza conclude l’analisi degli equilibri temporali degli intervistati offrendo un prospettiva del tutto diversa da quella osservata attraverso le opinioni sull’adeguatezza dei tempi dedicati alle diverse attività. Il quadro dell’effettivo verificarsi di situazioni critiche sul fronte lavorativo o familiare causate dall’eccessivo dispendio di tempo ed energie sull’altro fronte ritrae, infatti, i residenti nel distretto di Forlì come gli intervistati che sperimentano con meno frequenza le tre situazioni in esame, nonostante 52 avessero segnalato più degli altri un’insoddisfazione per i propri tempi di vita. Al contrario, proprio i residenti a Cesena-Valle Savio, che meno di tutti lamentavano la mancanza di tempo per le altre attività, risultano quelli che più spesso vivono sulla propria pelle i conflitti tra i vari ambiti della quotidianità. Al di là delle tante variabili contestuali e individuali, impossibili da tenere sotto controllo contemporaneamente, ciò che i dati sembrano in ogni caso dimostrare è come percezioni astratte e situazioni concrete si trovino in realtà su due piani diversi e come per tentare di valutare in modo obiettivo le difficoltà quotidiane nel conciliare esigenze e tempi diversi sia necessario prestare attenzione alle specifiche configurazioni adottate da ciascuno nell’organizzazione delle proprie attività. 1.6. Rilievi di sintesi La ricostruzione della quotidianità di individui e famiglie attraverso l’analisi di aspetti come le esigenze di cura, le relazioni di aiuto, gli eventi biografici e i tempi di vita, ha consentito di mettere a fuoco il panorama di vincoli e opportunità connessi alla sfera familiare entro cui gli intervistati si muovono. Vivere in una famiglia numerosa o da soli, essere un genitore oppure un figlio – solo per citare alcuni casi – ha evidenti ripercussioni tanto sulle responsabilità e i doveri di cui farsi carico, quanto sui margini di autonomia con cui prendere decisioni e gestire il proprio tempo. Altrettanto evidente è l’intreccio con le principali variabili demografiche, quali l’età e il sesso, a cui più volte si è fatto cenno nel corso delle analisi precedenti, mentre meno generalizzato sembra essere l’impatto delle variabili sociali, quali il titolo di studio, la posizione professionale e il reddito. Un’efficace sintesi della vita quotidiana dei residenti in provincia di Forlì-Cesena rispetto alla sfera familiare potrebbe forse essere quella di una quotidianità pacata, tranquilla e tranquillizzante, in cui non sembrano emergere criticità intollerabili né necessità urgenti di sostegno per far fronte ad un sovraccarico, di cura o temporale. Con equilibri – e certamente dosi di affanno – molto diversi, i nuclei familiari osservati sembrano, infatti, almeno per il momento, riuscire ad organizzarsi e a gestire le proprie esigenze e le proprie risorse attraverso una sorta di internalizzazione allargata, che impegna in modo consistente la rete parentale ma che, non riuscendo ad aprirsi ad altri soggetti, attinge in modo massiccio alla riserva temporale femminile, quasi potesse essere illimitata. 53 Tuttavia, se dalla fotografia dell’esistente non emergono vulnerabilità eclatanti, ciò non significa che non ci siano individui e nuclei familiari fragili o a rischio e, soprattutto, che, senza un ripensamento delle basi su cui si fonda l’equilibrio attuale, non ce ne saranno. Il quieto vivere e la calma apparente che sembrano trasparire dal quadro appena delineato, infatti, hanno in realtà un carattere temporaneo e portano in sé già i segnali di una tensione futura che tanto le trasformazioni demografiche quanto il difficile contesto economico di questo periodo rischiano di aggravare. L’analisi delle modifiche nelle transizioni biografiche ha messo in evidenza come indizi del più generale mutamento socio-demografico che sta interessando l’intero Paese siano ormai visibili anche in provincia di ForlìCesena. La difficoltà di immaginare le ripercussioni concrete di tali mutamenti sulla vita quotidiana delle famiglie italiane nei prossimi decenni può indurre a ritenerlo poco più di un fatto di costume: un mutamento segnalato dagli studiosi, ma che ancora non ha provocato squilibri realmente insostenibili. E ciò appare ancora più vero a livello locale. Al di là delle modifiche nelle cadenze delle transizioni tra classi di età diverse, illustrate nel paragrafo 1.4., infatti, le grandi trasformazioni attese nella famiglia e nell’organizzazione quotidiana non sembrano ancora così evidenti e la tradizionale coppia con figli è ancora la forma di famiglia più diffusa in provincia. Tuttavia, tali trasformazioni, benché sottotraccia, stanno interessando tutto il territorio provinciale, con un andamento del tutto simile a quello riscontrato a livello nazionale. Nonostante il contributo delle donne straniere, un recupero completo della natalità fino alla soglia di sostituzione appare ormai impensabile, almeno per la generazione delle nate tra la metà degli anni sessanta e l’inizio degli anni settanta che sta registrando la quota di donne senza figli tra le più elevate in Europa (circa il 20% per la coorte nata nel 196459), riducendo così la platea di potenziali care givers per la prossima generazione di anziani che tende, invece, ad ampliarsi. Da un lato, dunque, la pressione sulle reti di sostegno parentali rischia di aumentare, dall’altro sono le reti stesse a restringersi e a invecchiare, aprendo nuovi fronti di vulnerabilità. Altrettanto sottotraccia, ma altrettanto gravide di conseguenze, rischiano di essere le ripercussioni della crisi economica; ancora una volta gli effetti non sono (stati) immediatamente visibili, grazie anche alla tenuta del tessuto produttivo locale e degli ammortizzatori sociali. Tuttavia, come mettono in luce i dati più recenti sull’occupazione nel Paese, la situazione sta rapidamente cambiando. Il lavoro diventa sempre più centrale per poter avere accesso a risorse e diritti. Sempre meno tutelato, nelle sue forme e 59 Cfr. OECD, Family database, http://www.oecd.org. 54 condizioni, rischia di costringere uomini e donne ad abbassare le proprie aspettative, ad adattarsi e ad accettare anche orari difficili da conciliare con le proprie esigenze familiari e di cura, pur di non rinunciare a quella che per la maggior parte dei cittadini resta la principale fonte di sostentamento. Nonostante il quadro apparentemente tranquillo i dati presentati invitano a mantenere un’attenzione costante su ciò che avviene e avverrà già nei prossimi mesi, quando gli effetti a lungo termine della crisi saranno divenuti più pervasivi ed evidenti, trasformando piccole difficoltà quotidiane o squilibri temporanei in qualcosa di più grave e permanente. Come si è visto, sempre più il passaggio dalla normalità alla vulnerabilità e dalla vulnerabilità alla problematicità che si accompagna alla povertà di risorse – economiche e relazionali – si verifica quando fragilità e fronti critici si sovrappongono, facendo crollare gli equilibri precari su cui tante delle esistenze cosiddette normali oggi sono costruite. È vero, infatti, che la quota di famiglie con carichi di cura elevati è ridotta, così come i conflitti temporali sono tutto sommato modesti, ma se si osservano i due aspetti insieme si nota come in molti casi essi si combinino, dando luogo a situazioni potenzialmente critiche su più fronti, soprattutto nel caso in cui le reti di sostegno, per quanto efficienti, facciano perno prevalentemente sulla famiglia. Tanto il carico familiare quanto la pressione temporale percepita risultano già oggi molto più elevati tra quegli intervistati che vivono in nuclei con familiari, giovani o anziani, che necessitano di assistenza. Si tratta di una quota non irrilevante di intervistati impegnati, ogni settimana, per 60 ore e oltre tra lavoro per il mercato e lavoro familiare; intervistati e cittadini che potrebbero trovarsi ad essere le prime vittime collaterali delle trasformazioni socio-demografiche ed economiche in corso. 55 2. Il lavoro: esperienze, orientamenti e servizi di Claudia Dall’Agata 2.1. Premessa Sul fronte del lavoro diversi sono i processi e le trasformazioni che, a livello micro e macro, hanno riguardato negli ultimi decenni le imprese e il sistema di produzione e organizzazione da un lato e i lavoratori e le condizioni di lavoro dall’altro. Rispetto ai lavoratori tali mutamenti hanno dato avvio a processi di fragilizzazione dei percorsi e delle biografie e ad un aumento della concentrazione dell’instabilità soprattutto per certe categorie di soggetti. Le conseguenze sono visibili a livello di progettualità – sia individuale che collettiva – mentre si differenziano le condizioni socio-economiche territoriali. Il tutto in un quadro in cui il sistema di welfare italiano, soprattutto per coloro che sono più a rischio di precarietà, risulta sempre più debole e inadeguato. Accanto a lavoratori che si muovono al centro del sistema, stabili e più tutelati vi sono quelli periferici che maggiormente risentono delle incertezze e godono di meno diritti. Tuttavia, se nella società della conoscenza si assiste ad un aumento della polarizzazione nel mercato del lavoro tra chi sta fuori e chi sta dentro, tra occupati e disoccupati, tra “protetti” e “a rischio”, è anche vero che i confini tra i due mondi diventano molto più labili e permeabili. Così anche tra coloro che sono occupati si notano disomogeneità in termini di diritti e risorse differenti, a seconda di fattori come genere, territorio di appartenenza, dimensione di impresa, settore economico, ecc. Tale proliferazione di posizioni dà vita a differenti concezioni del lavoro anche assai distanti tra di loro e all’estendersi di attività esterne al mercato del lavoro, che hanno a che fare con la cosiddetta sfera della reciprocità e della società civile. I termini coniati per questo tipo di società sono diversi: società dei lavori, società pluriattiva, società a termine1. Tutti però intendono sottolineare la crisi di un modello socio-organizzativo e lavoristico incentrato sul lavoro tipico della società fordista, le cui caratteristiche erano, fra le altre, quelle della stabilità e della continuità. Tale modello ha conosciuto varie declinazioni territoriali a seconda delle differenti culture, dello sviluppo storico, delle istituzioni, del tessuto imprenditoriale e dei diversi sistemi di regolazione affermatisi a livello locale. In provincia di Forli-Cesena, non diversamente da quanto verificatosi 1 Cfr. R. Sennet, L’uomo flessibile, Milano, Feltrinelli, 2001. 56 in altre aree del nord-est del paese, ha prevalso uno sviluppo socioeconomico caratterizzato dalla micro-impresa o dai distretti industriali basati sulla specializzazione flessibile anziché sulla produzione di massa. L’economia informale ha spesso avuto un grosso peso nell’influenzare l’andamento dell’economia e molto rilevante è stato anche il ruolo del sistema di relazioni industriali sostenuto da istituzioni politiche locali che hanno contribuito a rafforzare un tessuto fiduciario in grado di promuovere tali modelli di sviluppo. Tuttavia, è possibile individuare alcune tendenze comuni che negli ultimi anni hanno caratterizzato i sistemi produttivi territoriali. Ci si riferisce in particolare ai processi di globalizzazione, di terziarizzazione, di femminilizzazione del mercato del lavoro e di flessibilizzazione della produzione, della tecnologia, delle organizzazioni e dei rapporti di lavoro, che, interagendo con i modelli di sviluppo socio-economico, hanno avuto ricadute differenti nei diversi contesti locali. Un elemento importante da segnalare nel panorama dei cambiamenti di questi ultimi anni è la sempre più massiccia adozione di forme di lavoro non standard, definite anche atipiche2. Nonostante un utilizzo crescente da parte delle imprese e l’enfasi posta sull’emergere di questa tipologia di lavoro (messa in evidenza anche dalle analisi condotte in maniera sistematica soprattutto a partire dalla fine degli anni ‘90), il peso di tale forma di lavoro rispetto a quello standard, rimane marginale. All’interno di questa tipologia (che prevede anche contratti svincolati dalla categoria della dipendenza lavorativa), quello che sembra incidere maggiormente oggi è il contratto a tempo determinato3. E non c’è dubbio che siano le donne e i giovani le categorie che al momento sperimentano maggiormente tale precarizzazione del lavoro. Se cambia il lavoro non possono non modificarsi anche i significati ad esso attribuiti. D’altra parte, mentre viene ribadita la maggior libertà dell’individuo nelle scelte, la sua capacità di autodeterminare il proprio destino, in maniera più attiva rispetto al passato, il lavoro non è più l’unica fonte di identità dei soggetti. L’individualizzazione della società e il mutamento culturale avvenuto all’interno delle imprese e delle organizzazioni hanno infatti condotto a un cambiamento degli orientamenti legati al lavoro che perdono terreno a favore di valori personali, legati alla sfera privata e della reciprocità. Il disincanto del lavoro emerge con forza soprattutto nelle giovani generazioni tra cui cresce il peso attribuito ad altre 2 Numerosi sono stati i cambiamenti che accompagnano questo processo tra cui quelli legati al modello capitalistico, alla struttura imprenditoriale a livello macro e micro, alla globalizzazione, all’impatto sulla produzione e sul lavoro delle nuove tecnologie, ecc. 3 Dal 1993 al 2007 il peso del lavoro a termine nell’ambito del lavoro dipendente è cresciuto più del 30% (Istat, Rilevazione continua sulle forze di lavoro). 57 esperienze sociali. Tali esperienze, però, non sostituiscono quella lavorativa ma più probabilmente vanno ad affiancarsi ad essa. Così, se il lavoro perde la sua centralità come unica esperienza ed occasione di realizzazione, non si può non riconoscerne l’importanza nel processo di costruzione dell’identità4. Comprendere come mutano i significati del lavoro diventa importante per capire come le diverse esperienze lavorative e di vita delle persone si rapportano e si influenzano reciprocamente. Il significato del lavoro e le sue trasformazioni diventano infatti uno strumento per analizzare come cambiano i rapporti sociali tra gli individui e quindi come varia la società in generale. Rispetto alla crisi attuale che nasce alla fine del 2008, ma che pare destinata a lasciare un segno profondo sulle condizioni socio-economiche dei paesi, sugli assetti sociali e politici, sugli atteggiamenti e i comportamenti di consumo, c’è da chiedersi quale possa esserne l’influenza sugli aspetti legati al lavoro e sulla tenuta di un modello sociale basato in misura crescente sulla precarietà. Una crisi di origine soprattutto finanziaria ma che minaccia profondamente la coesione e il legame sociale sui cui la società si fonda con ricadute differenti nei diversi paesi in base ai modelli economici, ai sistemi di welfare nazionali, al funzionamento del mercato del lavoro e più in generale delle istituzioni. Anche da un punto di vista micro le attuali difficoltà economiche hanno un peso diverso sui singoli individui, a seconda del territorio in cui risiedono, del genere, della classe sociale, delle risorse famigliari, dei titoli di studio acquisiti e del livello culturale, dell’etnia, ecc... Ma ciò che più conta è che la crisi diffusasi così rapidamente, repentinamente e globalmente, non sembra più essere una questione congiunturale, ma avere a che fare con le radici profonde della società. Nel prossimo futuro interessante sarà comprendere se si tratta di un fenomeno che ha prodotto (o produrrà) una discontinuità, una cesura rispetto al passato o se invece ha solo evidenziato gli assetti già fragili e vulnerabili delle società contemporanee, sempre più liquide, individualizzate e caratterizzate dall’insicurezza. Di fronte a tali cambiamenti anche il sistema di welfare e in particolare il sistema di protezione sociale necessitano di adeguarsi alle inedite configurazioni, soprattutto per quanto riguarda le tutele del lavoro temporaneo e l’inserimento lavorativo. Già dalla fine degli anni ‘80 nell’ambito delle politiche di contrasto della povertà, della disoccupazione e dell’esclusione sociale si è cominciato a parlare di misure di attivazione dei cittadini. Lo scopo non è solo quello di proteggere i soggetti in particolari momenti di difficoltà e crisi, supportandoli con misure di tipo passivo, ma di creare le condizioni 4 Cfr. G. Gosetti, Giovani, lavoro e significati, Milano, FrancoAngeli, 2004. 58 favorevoli perché le persone siano in grado di inserirsi nel mercato del lavoro, partecipando attivamente al proprio processo di integrazione. Da qui l’idea di un active welfare state5 che si basa su una concezione promozionale o abilitante delle capabilities degli individui attraverso un intervento pubblico che ha come principale obiettivo l’empowerment dei cittadini, raggiunto tramite una loro responsabilizzazione e un ampliamento della loro libertà sostanziale, intesa come possibilità di negoziazione e codefinizione del servizio. Questa nuova concezione ha delle inevitabili ricadute anche nel modo di riformare e di organizzare i servizi pubblici per l’impiego. Servizi a cui è richiesta maggiore flessibilità e integrazione sia a livello orizzontale – rispetto alle politiche sociali e del lavoro – sia verticale – rispetto alle altre istituzioni, pubbliche e private. La traduzione pratica di tale concezione non è stata, però, né così immediata né tanto meno univoca ma, ancora una volta ha dato avvio a modelli diversi nei diversi paesi, in relazione anche ai rispettivi sistemi di welfare, che di fatto non sempre hanno portato benefici o risolto problema dell’inserimento sociale e lavorativo dei soggetti6. Nei successivi paragrafi si analizzeranno i risultati dell’indagine condotta in provincia di Forlì-Cesena considerando le tematiche relative alla condizione occupazionale, agli orientamenti verso il lavoro, alla ricerca di un lavoro e ai servizi per l’impiego pubblici. 2.2. Esperienze lavorative e condizione non occupazionale Prima di analizzare i risultati dell’indagine rispetto alle tematiche lavorative, si intende fornire, seppur sinteticamente, un quadro delle condizioni occupazionali a livello provinciale, regionale e nazionale in relazione ad alcuni dei principali indicatori relativi al mercato del lavoro. I dati Istat 2010 relativi al mercato del lavoro in Italia (cfr. tab. 2.1) mostrano un tasso di occupazione pari al 56,9% in calo rispetto al quadriennio 2007 - 2010. A livello territoriale sia il tasso di occupazione regionale (67,4%) che provinciale (67,9%) risultano superiori a quello nazionale. La provincia di Forlì-Cesena, nonostante la crisi, nel 2010, mostra una tenuta migliore dell’occupazione, attestandosi sul livello del dato occupazionale 2007. Il dato relativo al tasso di disoccupazione nella 5 Cfr. M. Paci, Nuovi lavori, nuovo welfare, Bologna, il Mulino, 2005. Per una critica delle politiche di attivazione cfr., tra gli altri, M. Villa, Dalla protezione all’attivazione. Le politiche contro l'esclusione tra frammentazione istituzionale e nuovi bisogni, Milano, FrancoAngeli, 2007. Per un quadro sulle differenti declinazioni del concetto di attivazione si veda R. Van Berkel, Inclusione attraverso la partecipazione? Riflessioni sulle politiche di attivazione nell’Unione europea, in Borghi V. (a cura di), Vulnerabilità, inclusione sociale e lavoro, Milano, FrancoAngeli, 2002. 6 59 provincia di Forlì-Cesena cresce, però, nel quadriennio, fino a raggiungere, nel 2010, un livello superiore rispetto al dato regionale (6,2% verso 5,7%). Il tasso di attività, invece, in crescita di 1,9 punti percentuali rispetto all’anno 2009, risulta superiore rispetto sia al livello nazionale che regionale. Analizzando i dati in una prospettiva di genere si constata, inoltre, che i tassi di occupazione femminili (58,5% nel 2009) sono molto più bassi di quelli maschili (74,1%) anche in provincia di Forlì-Cesena. In generale si può affermare come, rispetto anche ad altre province della regione, si sia ancora distanti tanto dagli obiettivi della Strategia di Lisbona 20107, quanto, soprattutto, da quelli previsti nelle strategie occupazionali dell’Unione Europea per il 2020, che pongono il tasso di occupazione per la fascia 20-64 anni pari al 75%8. Obiettivo che per effetto della recessione sembra allontanarsi ulteriormente dagli standard europei 9. Tab. 2.1. Principali indicatori mercato del lavoro – popolazione 15 – 64 anni 2007, 2008, 2009 e 2010. Valori % Tasso occupazione Tasso disoccupazione Tasso di attività 2007 Forlì-Cesena 67,8 3,8 70,5 Emilia-Romagna 70,3 2,9 72,4 Italia 58,7 6,1 62,5 2008 Forlì-Cesena Emilia-Romagna Italia 66,5 70,2 58,7 5,0 3,2 6,7 70,1 72,6 63,0 2009 Forlì-Cesena Emilia-Romagna Italia 66,3 68,5 57,6 5,9 4,8 7,8 70,6 72,0 62,4 67,9 67,4 56,9 6,2 5,7 8,4 72,5 71,6 62,2 2010 Forlì-Cesena Emilia-Romagna Italia Fonte: Istat 7 La strategia di Lisbona prevedeva il 60% per il tasso di occupazione femminile e il 70% per il tasso di occupazione complessivo. 8 Cfr. Ires Emilia-Romagna, Osservatorio sull’economia e il lavoro in provincia di ForlìCesena, numero 0, febbraio 2011. 9 Cfr. Ervet, Regione Emilia-Romagna, Economia regionale. Congiuntura e previsioni, maggio 2011. 60 Nel campione di residenti nella provincia di Forlì-Cesena intervistato, è il 61,8% dei cittadini a risultare occupato. Tra chi si dichiara non occupato si evidenzia quasi un 50% di pensionati, seguiti da un 22% di studenti e un 15,3% di casalinghe. Disoccupati e persone in cerca di prima occupazione raggiungono il 9,3%. Analizzando nel campione alcune relazioni significative tra variabili si nota che la probabilità di essere occupato aumenta con il titolo di studio: sono i laureati, infatti, coloro che registrano una percentuale più alta di occupati (77,6%). Differenze nella condizione occupazionale emergono anche osservando la tipologia familiare: sono i single ad essere maggiormente occupati (66,4%), mentre le coppie senza figli sono quelle che risultano avere la percentuale di non occupazione maggiore (52,0%), anche se non si tratta di disoccupati ma, nella quasi totalità dei casi, di pensionati e casalinghe. Per quanto riguarda la tipologia contrattuale degli occupati le due grandi categorie in cui il campione si suddivide sono quelle dei lavoratori dipendenti (71,3%) e dei lavoratori autonomi (24,4%). Incrociando tale dato relativo con le classi d’età emerge che la probabilità di lavorare come autonomo aumenta al crescere dell’età. Come si poteva supporre considerando la variabile di genere (cfr. tab.2.2 ) si evidenzia che il lavoro autonomo ha una maggiore probabilità di essere svolto dalla componente maschile (30,6%). La probabilità che il lavoro parasubordinato sia donna (6,0%) è, invece, doppia rispetto alla probabilità che sia un uomo ad avere un contratto non standard. In questo senso anche il campione riproduce le stesse segmentazioni occupazionali del mercato del lavoro, mettendo in evidenza la condizione di maggiore fragilità e debolezza da un lato e la minore propensione al rischio dall’altro, della componente femminile della popolazione. Tab.2.2. Tipologia di lavoro per sesso. Valori % Maschio Lavoro dipendente 66,4 Lavoro autonomo 30,6 Lavoro parasubordinato/senza contratto 3,0 Totale 100,0 N 271 Femmina 77,0 17,0 6,0 100,0 230 Totale 71,2 24,4 4,4 100,0 501 La letteratura socio-lavorista, come noto, individua alcune dimensioni della flessibilità ponendo l’accento di volta in volta sugli aspetti che la caratterizzano maggiormente. Esiste, ad esempio, quella numerica che riguarda la possibilità delle imprese di ridurre le risorse umane a seconda delle richieste del mercato e dei cambiamenti a livello tecnologico e 61 organizzativo interni. Una seconda flessibilità è quella di tipo funzionale che gioca sulla professionalità e competenze dei dipendenti secondo la domanda del mercato e riguarda l’organizzazione e il contenuto del lavoro. Vi è poi la flessibilità retributiva che prevede variazioni dei salari e delle politiche retributive; quella oraria o temporale che è legata agli andamenti ciclici e stagionali della produzione; quella territoriale che prevede di stabilire accordi locali relativi alla mobilità territoriale dei lavoratori10. A partire dai dati raccolti, in questa sede ci si concentrerà, in particolare, sulla flessibilità legata alla durata del contratto e all’organizzazione dell’orario di lavoro. Uno sguardo alla tipologia di contratto per classe d’età (cfr. tab. 2.3) mette in evidenza che il tempo determinato riguardi soprattutto i più giovani. A partire, infatti, dalle classi di età più giovane si riscontrano le percentuali più elevate: se i giovani lavorano, dunque lo fanno principalmente attraverso un contratto a termine, anche se la flessibilità legata al contratto di lavoro a tempo determinato, si conferma una realtà anche per le classi più adulte. Non è quindi solo una questione legata all’ingresso nel mercato del lavoro, ma una condizione che sembra riguardare anche color che hanno alle spalle più esperienze di lavoro. Pare dunque emergere una frammentazione delle biografie individuali e una difficoltà di costruire percorsi professionali continuativi e consolidati che può creare difficoltà anche nella realizzazione dei propri progetti di vita tanto per i più giovani quanto per gli adulti. Sicuramente la rilevanza dell’elemento generazionale segnalata in numerose indagini11 nazionali viene confermata anche in provincia di Forlì-Cesena. I giovani, se è possibile definire tali anche le persone che rientrano nella classe d’età che arriva ai 39 anni, sono coloro che faticano a trovare un impiego più stabile insieme alle donne. Considerando anche il genere, infatti, si rileva una maggiore probabilità che il contratto a tempo determinato riguardi le donne (31,4%) piuttosto che gli uomini (21,2%). Ancora una volta, i dati relativi al campione indagato paiono confermare quelli di livello regionale e nazionale. Non è comunque detto che la scelta di un lavoro a tempo determinato sia sempre subìta: diverse possono essere, infatti, le ragioni per cui si predilige questo tipo di contratto (insieme come vedremo al part-time). Tra queste la possibilità di proseguire gli studi e la formazione, alternandola a periodi di lavoro e il desiderio di fare qualche esperienza professionale prima 10 Cfr. G. Gosetti, Giovani, lavoro e significati, op.cit. Cfr., tra gli altri, A. Schizzerotto (a cura di), Vite ineguali, Bologna, il Mulino, 2004; C. Buzzi, A. Cavalli, A. De Lillo, (a cura di), Rapporto giovani: sesta indagine dell'Istituto IARD sulla condizione giovanile in Italia, Bologna, il Mulino, 2007; Censis, 44° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese, Roma, 2010; D. Checchi, Immobilità diffusa. Perché la mobilità intergenerazionale è così bassa in Italia, Bologna, il Mulino, 2010. 11 62 di stabilizzarsi, soprattutto per la classe d’età più giovane. Come noto, infatti, la società contemporanea si caratterizza per una flessibilità anche dei percorsi di studio e formazione. Si parla spesso di life-long learning proprio per sottolineare l’opportunità per le persone di riprendere percorsi per formarsi e aggiornarsi, cercando di adeguarsi ai cambiamenti del mondo del lavoro. Al crescere dell’età si può ipotizzare che la persistenza di un livello abbastanza sostenuto di contratti a tempo determinato è più probabilmente dovuta alla difficoltà di trovare qualche lavoro più stabile, alla crisi economica oppure a una scelta legata, soprattutto per la componente femminile, alla cura e alla conciliazione degli impegni famigliari. Tab 2.3. Tipologia di contratto per classi d’età. Valori % Tempo indeterminato Tempo determinato Totale N 15-24 29,4 70,6 25-34 63,0 37,0 35-44 78,1 21,9 45-54 82,8 17,2 55-64 90,0 10,0 65 e oltre 40,0 60,0 100,0 17 100,0 92 100,0 114 100,0 87 100,0 40 100,0 5 Totale 73,8 26,2 100,0 355 Il dato relativo al lavoro a termine va letto tenendo conto anche del contesto territoriale in cui si è svolta l’indagine e al modello di sviluppo economico che risulta caratterizzato, in parte maggiore o minore a seconda dei distretti, da un tipo di economia ancora molto legata all’agricoltura e al terziario. E’ chiaro che in tali settori la flessibilità non rappresenta una novità degli ultimi anni, ma ha a che fare con il modello di organizzazione del lavoro. Tab. 2.4. Tipologia contrattuale per settore economico. Valori % Industria, Agricoltura costruzioni Terziario 25,0 82,6 73,1 Tempo indeterminato 75,0 17,4 26,9 Tempo determinato 100,0 100,0 100,0 Totale 16 109 223 N Totale 73,9 26,1 100,0 348 La tabella 2.4 mostra, infatti, che la probabilità che il contratto di lavoro sia a tempo determinato è più alta sicuramente nel terziario (26,9%) rispetto al settore industriale che pare garantire maggiormente una stabilità attraverso il tempo indeterminato (82,6%). Come già sottolineato quando si parla di flessibilità si può fare riferimento anche all’orario di lavoro. 63 Analizzando la relazione tra orario part-time, ricodificato in quattro categorie12, e la tipologia di contratto si nota che la probabilità che l’orario superi le 40 ore, come ci si poteva del resto aspettare, è maggiore per i lavoratori autonomi (62,0%) rispetto a quelli dipendenti. Interessante appare tuttavia il dato relativo a questi ultimi (18,0%) poiché lo svolgimento di un’attività lavorativa che va oltre le ore di lavoro previste dal contratto costituisce un segnale delle trasformazioni contemporanee del lavoro. Sempre più spesso, infatti, anche i dipendenti lavorano avendo come obiettivo la realizzazione di un progetto: si parla, infatti, a questo proposito di aumento della responsabilizzazione del lavoro dipendente che fa da contraltare all’aumento di dipendenza per i cosiddetti lavoratori non standard. La letteratura relativa alla dimensione del tempo di lavoro nella società della conoscenza13 è oramai concorde nell’affermare che a fronte di situazioni di flessibilità e di lavori a tempo ridotto crescono sempre più i ritmi e i tempi di lavoro sia di coloro che sono dipendenti che dei lavoratori flessibili. Ciò è legato al complessificarsi del lavoro e alla sua trasformazione “liquida” che interessa sia il contenuto del lavoro che la sua organizzazione. Tab. 2.5. Orario di lavoro per sesso. Valori % Maschio Femmina fino a 24 5,9 13,5 da 25 a 35 8,1 21,7 da 36 a 40 51,6 43,5 Oltre 40 34,4 21,3 Totale 100,0 100,0 N 270 230 Totale 9,4 14,4 47,8 28,4 100,0 500 Analizzando gli stessi dati per sesso (cfr. tab. 2.5) emerge come siano in maggior misura gli uomini ad avere orari di lavoro prolungati (34,4%), ma anche come non sia da sottovalutare il consistente coinvolgimento della componente femminile (21,3%). Orari ridotti “fino a 24 ore” e “da 25 a 35” interessano complessivamente il 35,2% delle donne. 12 Le quattro categorie sono: fino a 24 ore, da 25 a 35 ore, da 36 a 40 ore e oltre 40 ore. Senza andare nello specifico di alcuni contratti che prevedono il tempo pieno con livelli orari più bassi di quelli tradizionali del settore industriale (si pensi al settore scuola, ad esempio), le prime due classi segnalano orari ridotti di lavoro che possono variare dalle classiche 24 ore a orari più estesi fino alle 35 ore. La terza categoria riguarda il tempo pieno in senso classico, ovvero industriale, e l'ultima categoria rappresenta l'orario straordinario. 13 Cfr., tra gli altri, R. Sennet, L’uomo flessibile: le conseguenze del nuovo capitalismo sulla vita personale, Milano, Feltrinelli, 1999; A. Accornero, Era il secolo del lavoro, Bologna, il Mulino, 2000; E. Rullani, Il capitalismo personale: vite al lavoro, Torino, Einaudi, 2005. 64 Rispetto, invece, alla tipologia familiare sono i single che svolgono maggiormente (35,2%) un lavoro con orario oltre le 40 ore: in questo caso il lavoro non trova vincoli di tipo familiare, o comunque ne trova sicuramente meno, rispetto a strutture famigliari più complesse dove conciliare i vari aspetti con l’attività lavorativa risulta più impegnativo. Infine è il settore privato (23,4%) ad avere la probabilità più alta di riscontrare un maggior utilizzo di lavoro straordinario. Analizzando nello specifico l’orario ridotto si evidenzia che esso è direttamente correlato con il settore economico terziario che come noto raccoglie un bacino occupazionale femminile maggiore rispetto a quello maschile. Come ci si poteva attendere, infatti, il part-time è correlato positivamente con la componente femminile (cfr. tab. 2.6) che ne usufruisce in maniera maggiore rispetto agli uomini, per motivi, come vedremo, legati, nella maggior parte dei casi, prevalentemente al ruolo familiare svolto nelle attività di cura. Tab.2.6. Tipologia di orario per sesso. Valori % Maschio Part-time 6,7 Tempo pieno 93,3 Totale 100,0 N 149 Femmina 28,5 71,5 100,0 165 Totale 18,2 81,8 100,0 314 Rispetto alle motivazioni (cfr. tab. 2.7) che stanno alla base della scelta, più o meno volontaria, di un lavoro part-time rileviamo che le principali ragioni riguardano: la cura dei figli e la conciliazione degli impegni famigliari, la mancanza di un lavoro a tempo pieno, seguite al terzo posto dall’esigenza di frequentare o completare il percorso degli studi a pari merito con il desiderio di avere più tempo per se stessi. Sembra emergere, dunque, la figura di una donna che ancora oggi, per scelta o, al contrario, perché sprovvista di altre opzioni, tenta di conciliare il lavoro familiare legato alle attività di cura, educazione ed assistenza con quello per il mercato riducendo il proprio orario di lavoro. Tradizionalmente il sistema di welfare italiano si è appoggiato molto alla figura femminile e ciò ha influenzato le donne tanto nella scelta del lavoro quanto in quella di avere figli. Tuttavia, per motivi diversi che vanno dalla sostenibilità economica di certe scelte professionali agli obiettivi di realizzazione personale, questo modello comincia ad entrare crisi14. 14 Cfr. D. Del Boca, Italia. Partecipazione femminile al lavoro: vincoli e strategie, in «Rivista delle politiche sociali», n. 2, aprile-giugno, 2009. 65 Il lavoro di cura, marginalizzato e anche poco riconosciuto dal punto di vista sociale per motivi economici, culturali e storici che hanno a che fare con un certo modello di società e di lavoro, infatti, rimane tuttora a carico prevalentemente della donna, anche quando lavora e anche laddove, come nelle giovani coppie si riscontrano situazioni di maggiore conciliazione dei compiti e dei ruoli15. A confermarlo sono anche le ricerche sui “bilanci del tempo”, che quantificano, a parità di tempo lavorativo tra i due sessi, un carico fortemente sbilanciato a sfavore della donna che impiega un maggior numero di ore rispetto all’uomo per il lavoro di riproduzione16. Accanto al part-time ricercato o “scelto per necessità familiari”, c’è poi anche chi, invece, il part-time lo subisce come unica possibilità di entrare o restare nel mercato del lavoro, situazione segnalata dal 28,6% degli intervistati. Sequenze non temporanee dove si alternano lavori instabili e a termine possono portare al nascere di condizioni che favoriscono fenomeni di disuguaglianza, intrappolamento ed esclusione che avranno conseguenze non solo per l’immediato ma anche per il futuro delle donne in particolare e dei giovani. E ciò soprattutto in Italia dove il sistema di protezione sociale si presenta fortemente deficitario. Al terzo posto le motivazioni indicate riguardano la richiesta di avere più tempo a disposizione o per se stessi o per formarsi e/o continuare a studiare. Da questo punto di vista appare evidente che cresce nelle persone anche l’importanza attribuita ad attività extra-lavorative il che non fa che confermare l’affermarsi di valori legati alla sfera privata e sociale. Tab. 2.7. Motivazioni rispetto alla scelta del part-time. Valori % Per prendermi cura dei figli, di bambini o persone non autosufficienti Non ho trovato un lavoro a tempo pieno Studio o seguo corsi di formazione professionale Per avere a disposizione più tempo libero Svolgo un secondo lavoro Altri motivi familiari (esclusa cura figli o altre persone) Altri motivi Totale N % 33,9 28,6 12,5 12,5 7,1 1,8 3,6 100,0 56 Per quanto riguarda il tema relativo ai redditi delle famiglie occorre fare una breve premessa. Diverse sono le indagini che hanno l’obiettivo comune 15 Cfr. S. Piccone Stella (a cura di), Tra un lavoro e l'altro, Roma, Carocci, 2007. Cfr. M.C. Bombelli, Il lavoro e la vita: alla ricerca di un nuovo punto di incontro, in «Sviluppo & Organizzazione», n. 199, settembre/ottobre, 2003, pp. 69-73. 16 66 di rilevare il benessere o la condizione economica, approfondendo questioni relative al reddito disponibile, al potere d’acquisto delle famiglie, alla propensione al risparmio, ecc.17. Tale tema è diventato di grande rilevanza, considerata la situazione socio-economica degli ultimi anni e l’evolversi della tradizionale stratificazione sociale. La questione centrale, infatti, è costituita dall’aumento della povertà che non colpisce più soltanto le famiglie tradizionalmente considerate svantaggiate o deprivate, ma anche famiglie o individui che, a causa di alcuni eventi legati al lavoro, alla salute, alla condizioni di vita, si ritrovano più vulnerabili e a rischio di povertà18. Rispetto al reddito - rilevato con uno specifico quesito con cui si domandava all’intervistato di indicare l’attuale reddito netto mensile da lavoro e/o da pensione della famiglia - si è costruito un indicatore in grado di parametrare tale disponibilità economica familiare al numero dei componenti della famiglia stessa. È indubbio, infatti, che al variare del numero di figli (e, più in generale, del numero dei componenti il nucleo) il reddito familiare complessivo possa risultare più o meno adeguato19. La variabile continua così ottenuta è stata poi trasformata in una categoriale a tre modalità disponibilità bassa, media e alta - così da renderla più facilmente utilizzabile ed evitando inoltre di dover utilizzare i valori cardinali che in realtà non hanno un significato intrinseco, ma sono solo, appunto, un’astrazione statistica per indicare del livello di benessere della famiglia. Tab. 2.8. Indice di disponibilità familiare per tipologia familiare. Valori % Single Coppia senza figli Coppia con figli Altro Basso 22,1 27,2 35,6 47,1 Medio 28,9 43,8 40,5 39,7 Alto 49,0 29,0 23,9 13,2 Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 N 104 169 398 121 Totale 33,9 39,5 26,6 100,0 792 17 Dalle indagini svolte su queste tematiche (es. Istat – Indagine campionaria sul Reddito e le condizioni di vita condotta a cadenza annuale dal 2004 che fa parte dell’Indagine europea EUSILC; Indagine sui Bilanci delle famiglie della Banca d’Italia (IBFI) e altre indagini campionarie condotte a livello locale) si rileva che non esiste una definizione univoca di reddito e che spesso la metodologia adottata per il calcolo del reddito differisce da un’indagine all’altra. Da qui la difficoltà di fare comparazioni. 18 Cfr., tra gli altri, A. Schizzerotto, Trasformazioni e destini delle classi medie italiane, in Catanzaro, G. Sciortino (a cura di), La fatica di cambiare. Rapporto sulla società italiana, Bologna, il Mulino, 2009; N. Negri, M. Filandri (a cura di), Restare di ceto medio: il passaggio alla vita adulta nella società che cambia, Bologna, il Mulino, 2010; M. Baldini, P. Bosi, P. Silvestri (a cura di), Le città incartate: mutamenti nel modello emiliano alle soglie della crisi, Bologna, il Mulino, 2010. 19 Per i dettagli sulla costruzione dell’indice di disponibilità economica familiare si rinvia al cap. 8. 67 Analizzando tale indice in relazione alla tipologia familiare (cfr. tab. 2.8) si nota come la disponibilità economica pro-capite diminuisca con l’aumentare dei componenti del nucleo familiare. Sono i single, infatti, a collocarsi nel 49% dei casi ad un alto livello di reddito. Interessante rimarcare come la probabilità che la disponibilità economica familiare sia alta (cfr. tab. 2.9) è correlata con il livello di istruzione familiare20 più elevato (45,5%) a conferma dell’importanza e del peso dell’investimento in capitale umano, anche dal punto di vista economico. Tab.2.9. Disponibilità economica familiare per status culturale familiare Valori % Livello d’istruzione familiare Disponibilità economica Basso Medio Alto Totale Basso (fino a 700 euro) 46,0 28,5 21,4 33,8 Medio (tra 701 e 1200) 41,9 39,1 33,1 39,0 Alto (oltre 1200) 12,0 32,4 45,5 27,2 Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 N 291 312 154 757 Un ultimo sguardo alla situazione territoriale (cfr. tab. 2.10) mette in evidenza che la probabilità che vi sia un’alta disponibilità familiare è pressoché simile nei distretti di Forlì (30,2%) e Cesena (31,4%) mentre il distretto Rubicone-Costa (13,8%) rimane molto al di sotto del livello rilevato negli altri due territori. Tab. 2.10. Disponibilità economica familiare per distretto. Valori % Forlì Cesena-Valle Savio Rubicone-Costa Basso 33,2 27,7 42,8 Medio 36,6 40,9 43,4 Alto 30,2 31,4 13,8 Totale 100,0 100,0 100,0 N 361 242 189 Totale 33,9 39,5 26,6 100,0 792 Su tali differenze potrebbero influire le vocazioni economico-produttive dei singoli distretti territoriali. 20 Per i dettagli sulla costruzione dell’indice di status culturale familiare si rinvia al cap. 8. 68 2.3. Orientamenti al lavoro nella provincia di Forlì-Cesena La simultaneità dei cambiamenti che toccano il lavoro da diversi punti di vista come il contenuto, l’organizzazione, le caratteristiche del prodotto finale, ecc., riconfigurando la relazione tra vita e sfera lavorativa, spingono a riflettere su come vadano modificandosi anche i significati e gli orientamenti attribuiti al lavoro. Significati che nascono proprio dalla relazione tra individuo e società, all’interno di un contesto contrassegnato da specificità di carattere sociale, storico, culturale ed economico. Diverse sono state le interpretazioni relative al futuro del lavoro e alle sue trasformazioni che hanno posto l’accento su differenti aspetti. In sintesi le teorie possono essere ricondotte a due orientamenti principali21. Il primo sostiene la fine del lavoro o un suo forte indebolimento, dovuto all’introduzione sempre più massiccia di tecnologia, alle trasformazioni organizzative e al prevalere di una dimensione lavorativa legata ai servizi e alla conoscenza e meno alla produzione industriale. Il secondo orientamento ritiene, invece, che il lavoro non stia perdendo la sua centralità ma semplicemente stia trasformandosi, divenendo più variabile, imprevedibile e insicuro. Lo stesso processo di globalizzazione non farebbe altro che confermare che il lavoro non è in diminuzione ma semmai è in aumento in una prospettiva di economia globale. Per quanto riguarda il primo orientamento legato alla fine del lavoro, sono altre le dimensioni in cui l’individuo trova spazio per esprimersi, costruendo la propria identità: la sfera del tempo libero, quella della reciprocità, della vita pubblica e politica. Nella seconda prospettiva, invece, il lavoro viene considerato come un legame che unisce individui e società, anche se variano i significati ad esso attribuiti rispetto al passato. Da un’ottica puramente strumentale si andrebbe nella direzione che privilegia la dimensione autorealizzativa individuale e solidale. Secondo questo approccio dunque il lavoro non perde le sue potenzialità in termini di capacità effettiva di emancipazione dell’individuo, ma rimane alla base della società influendo sui mutamenti delle forme del legame sociale. E in questo senso la ridotta stabilità dei lavori e la loro frammentazione non farebbero che aumentare anche la frammentazione sociale. Al di là delle contrapposizioni più o meno ideologiche, ciò che pare emergere è che l’idea del lavoro come dimensione centrale per l’individuo nel suo percorso di costruzione di identità è andata indebolendosi e questo, in particolar modo, per le giovani generazioni. Nel percorso di crescita, di esperienze e di produzioni di significati del lavoro altre dimensioni sembrano acquisire importanza. Di fronte a processi di differenziazione 21 Per un'analisi più approfondita si veda G. Gosetti, Giovani, lavoro e significati, op. cit. 69 sociale, in un quadro dominato dall’incertezza e dal rischio, si parla perciò di pluralizzazione dei significati del lavoro. Ciò che diviene importante è dunque la relazione che si instaura tra individui e tra individui e società. Per tale motivo non è possibile ragionare sul senso del lavoro escludendo la dimensione individuale o collettiva. Anche il significato del lavoro è una costruzione sociale e occorre un approccio multidimensionale che consideri non solo il sistema lavoro ma il sistema di relazioni che l’individuo sviluppa quotidianamente, dentro e fuori la sfera lavorativa per comprendere le trasformazioni legati ai significati e agli orientamenti. Al di là dell’evoluzione del lavoro in sé esso rimane fonte di significato e nasce dall’intreccio delle relazioni che gli individui hanno con altri significati che possono essere precedenti l’ingresso nel mondo del lavoro. Al centro dei processi di significazione si riconosce, perciò, il peso della sfera esperienziale non necessariamente legata alla sfera economica. Nel comprendere tali significati e la loro evoluzione vengono in aiuto quelle analisi che ricorrono a letture multidimensionali lungo traiettorie che tengono conto di vari aspetti, come ad esempio, il ruolo e l’importanza del lavoro attribuita dal soggetto rispetto alla sua scala di valori e alle esperienze di vita in generale, il lavoro concreto, il lavoro nelle relazioni sociali e nel contesto sociale e le caratteristiche specifiche che il soggetto riconosce al lavoro. Tra queste ultime si riscontrano diverse dimensioni: espressiva, relazionale, acquisitiva, meritocratica, negoziale, spazio-temporale, della sicurezza e sociale. Infine per comprendere i significati del lavoro molto rilevanti sono le dimensioni correlate alla qualità del lavoro come quella ergonomica, dell’autonomia, economica, della decisione e del controllo. Ognuna di queste dimensioni pone l’accento su alcuni elementi legati al lavoro ritenuti fondamentali. Nella ricerca condotta in provincia di Forlì-Cesena alla domanda relativa agli aspetti rilevanti del lavoro gli intervistati, occupati e non, hanno risposto attribuendo differenti gradi di importanza alle varie dimensioni del lavoro. Nella tabella 2.12 sono riportati, accorpati, i giudizi più favorevoli (punteggio max = 4 e 5), ordinando i vari items per rilevanza e calcolando media e deviazione standard delle risposte. In ordine d’importanza si segnalano (cfr. tab. 2.11): la sicurezza del contratto (81%), lo stipendio (79,6%) e i rapporti con i colleghi (79,3%). Ad un primo esame dei dati, dunque, si riscontra che nonostante l’enfasi posta sulla flessibilità del lavoro e sulla fine del posto fisso, o forse proprio per tali motivi, nella provincia di Forlì-Cesena le persone segnalano al primo posto proprio la sicurezza contrattuale legata al posto di lavoro. Sicurezza che sta ad indicare desiderio-ricerca di stabilità, continuità e conseguente allontanamento del rischio di difficoltà economiche, di precarietà e/o 70 vulnerabilità sociale. Su questa risposta non può non pesare, oltre che la struttura produttiva territoriale, la situazione di crisi economica che ha colpito anche la provincia di Forlì-Cesena oltre che l’Italia e il resto d’Europa22. Lo stipendio viene segnalato al secondo posto. La questione economica potrebbe essere connessa sia alla fase di crisi ma anche alla lenta e progressiva erosione del potere d’acquisto dei salari e all’aumentato costo della vita, che ha innalzato le difficoltà economiche nella gestione quotidiana dell’organizzazione familiare, soprattutto per i nuclei con reddito medio e basso. Tab. 2.11. Importanza degli aspetti legati al lavoro. Valori % e medi 4+5 Media Sicurezza del posto di lavoro 81,0 4,33 Stipendio 79,6 4,21 Rapporti con colleghi 79,3 4,20 Possibilità di imparare 76,5 4,14 Rapporti con superiori 73,1 4,03 Compatibilità carichi famigliari 65,0 3,86 Condizioni ambientali 63,9 3,80 Tempo libero 60,0 3,74 Orario 59,6 3,73 Carriera 48,1 3,41 Distanza abitazione 45,8 3,34 Possibilità di viaggiare 29,8 2,72 Dev. Std. 0,99 0,88 0,94 1,09 1,07 1,12 1,12 1,13 1,15 1,25 1,23 1,41 Accanto a queste due dimensioni più legate ad una questione di sicurezza che si potrebbe definire “sociale” dell’individuo e del nucleo familiare, al terzo posto vengono segnalati i “rapporti con i colleghi”. Tale dimensione rientra a pieno titolo in quegli aspetti del lavoro che hanno a che fare con il benessere del lavoratore e con il clima organizzativo. Attinente ad un orientamento relativo alla realizzazione e al percorso di crescita del lavoratore è l’importanza attribuita alla risposta “possibilità di imparare”. Meno rilevanti appaiono, invece, quei fattori connessi alla 22 Anche se nella domanda relativa all'importanza attribuita al lavoro non veniva esplicitamente chiesto di esprimere un giudizio sulla questione in termini di lavoro dipendente o di lavoro autonomo ma si faceva riferimento, più in generale, alla sicurezza del contratto, è interessante leggere questo dato anche con la risposta alla domanda relativa alle azioni di ricerca (cfr. tab. 2.16), dove le azioni intraprese per avviare un’attività autonoma si collocano nelle ultime posizioni. E’ chiaro che le due risposte si muovono lungo lo stesso asse di orientamento, segnalando una scarsa propensione verso il lavoro autonomo. 71 conciliazione con i tempi di vita famigliari (orario, distanza dall’abitazione, compatibilità carichi familiari) e al tempo libero. Da segnalare che le condizioni di sicurezza legate all’ambiente di lavoro, vengono indicate come meno importanti. Tanti potrebbero essere i motivi: la scarsa consapevolezza dei rischi possibili da parte dei lavoratori, condizioni buone degli ambienti di lavoro o ancora il prediligere altri aspetti lavorativi che, in tempo di crisi, vengono anteposti a qualsiasi altra esigenza23. Scarsa importanza viene attribuita, infine, alla carriera e alla possibilità di viaggiare. In sintesi, tenendo conto delle condizioni critiche legate al contesto, la priorità sembra essere quella connessa all’avere un lavoro legato a una prospettiva di stabilità e al guadagnare uno stipendio congruente. I vari orientamenti hanno a che fare con i diversi significati che le persone attribuiscono al lavoro che possono, a loro volta, dipendere da molteplici fattori. Le modalità di elaborazione dei significati possono, infatti, essere correlate sia alle caratteristiche personali legate a genere, età, esperienze pregresse, ecc. che al contesto socio-economico e culturale nel quale si è inseriti. Variabili come l’incertezza, il processo di individualizzazione, la flessibilità, la crisi economica non possono non andare ad incidere su questi orientamenti. Le scelte dei soggetti saranno dunque influenzate e connesse alle opportunità e risorse a disposizione, legate alla famiglia, alle reti sociali e al contesto socio-economico e culturale di appartenenza24. Se questo è il quadro generale delle risposte ai singoli item, è possibile che gli intervistati nell’esprimere le loro opinioni facciano riferimento ad alcune dimensioni latenti che orientano le loro valutazioni portandoli ad attribuire valori più elevati ad alcune voci invece che ad altre. Proprio per verificare l’esistenza di tali dimensioni sottostanti, si è deciso di condurre sui dati un’analisi fattoriale, cercando di ricostruire alcuni indici rappresentativi degli orientamenti espressi dagli intervistati. Osservando la tabella 2.12 si nota come i fattori emersi dall’analisi statistica appaiano coerenti anche con un criterio semantico che lega alcuni item tra loro in base al loro 23 D’altra parte come segnala anche l’ultimo Rapporto Annuale Inail 2010 gli infortuni del lavoro (compresi quelli mortali) in Emilia-Romagna sono in calo. Inail, Rapporto annuale. L’andamento infortunistico, 2010. Molte sono comunque le critiche rivolte a queste rilevazioni, sia per la metodologia seguita (si tratta in alcuni casi di dati non definitivi ma di stime), sia perché nell’interpretazione del fenomeno infortunistico non si tiene conto dell’effetto della crisi e della diminuzione del lavoro sulla riduzione degli incidenti. 24 Cfr. G. Gosetti, Giovani, lavoro e significati, op. cit. 72 significato25. Il primo fattore risulta costituito dalle variabili “orario di lavoro”, “compatibilità dei carichi di lavoro”, “possibilità di avere tempo libero” e “distanza tra luogo di lavoro e abitazione”. Tali variabili rientrano in una visione del lavoro che non ne fa una priorità assoluta. Il lavoro in questo caso viene vissuto come importante al pari di altre dimensioni ritenute rilevanti in un’ottica di conciliazione degli aspetti extra-lavorativi, siano essi legati al lavoro di cura per la famiglia o al tempo per se stessi. Analogamente il secondo fattore, costituito dalle variabili “possibilità di fare carriera”, “possibilità di imparare cose nuove ed esprimere le proprie capacità” e “possibilità di viaggiare”, pare associato ad un significato del lavoro che ne sottolinea la dimensione espressiva, legata alla realizzazione di se stessi, e la dimensione carrieristica, di crescita personale e professionale, di sviluppo della propria personalità. Un terzo fattore, infine, riunisce le variabili “rapporti con i colleghi”, “rapporti con i superiori”, “stipendio” e “sicurezza del posto di lavoro”. Solitamente queste variabili, nelle ricerche relative al significato del lavoro, non rientrano in un unico atteggiamento nei confronti del lavoro. La dimensione relazionale non collima, infatti, con quella economica e della sicurezza. In questo caso, tuttavia, occorre tenere in considerazione il fatto che nell’indagine svolta incidono due elementi importanti di contesto: da un lato la crisi economica e dall’altro il modello di sviluppo economico e il tessuto imprenditoriale del territorio. L’evidente difficoltà delle famiglie e degli individui di questo periodo, in misura variabile rispetto all’età e al sesso soprattutto, sicuramente accentua una visione del lavoro in cui vengono riconosciuti come rilevanti gli aspetti legati alla stabilità e alla retribuzione, al di là e prima di altri aspetti di carattere più realizzativo, proprio perché risorsa scarsa. Nello stesso tempo, però, in un contesto in cui prevalgono un’economia ancora piuttosto tradizionale26 e una struttura imprenditoriale legata alla dimensione micro e piccola di impresa, di fianco alle condizioni economiche possono facilmente acquistare importanza anche dimensioni di tipo relazionale. Si può infatti ipotizzare che l’esigenza dei soggetti di lavorare in un clima sereno, fatto di rapporti interpersonali più umani abbia favorito l’abbinamento tra un significato del lavoro legato più a valori materialistici (sicurezza e stipendio) ed uno maggiormente “post-moderno”, più pragmatico, de-ideologizzato e disincantato del lavoro, legato a buone condizioni relazionali nell’ambiente di lavoro. 25 Le affinità tra item sono visibili nella struttura delle covariazioni emersa dall'analisi fattoriale presentata nella tabella 2,13 che consente di distinguere i factor loadings più elevati per ciascuno dei tre fattori. 26 Cfr. Camera di Commercio, L'innovazione nella provincia di Forlì-Cesena, 2011. 73 Tab.2.12. «Factor loadings» delle tre componenti principali27 Dimensioni del lavoro I II Orario 0,702 Compatibilità con carichi familiari 0,715 Avere tempo libero 0,677 Distanza rispetto abitazione 0,778 Possibilità carriera 0,759 Possibilità imparare 0,701 Possibilità viaggiare 0,756 Stipendio Rapporti colleghi Rapporti superiori e capi Sicurezza contratto lavoro III 0,556 0,679 0,733 0,614 Tab. 2.13. Andamento dei tre indici: valori medi e deviazione standard (range 0-10) lavoro come lavoro come lavoro come conciliazione (1) investimento (2) strumento (3) N Valid 801 812 790 Missing 34 23 45 Media 6,68 6,07 7,99 Dev.Std. 2,19 2,39 1,69 Seguendo le indicazioni dell’analisi fattoriale sono stati creati tre indici, normalizzati su una scala da 0 a 10, le cui medie (cfr. tab. 2.13) indicano in modo sintetico quali dimensioni siano state giudicate più importanti. Tra gli indici quello che ottiene una media più alta è quello relativo agli aspetti materialistici legati allo stipendio e alla sicurezza da un lato e agli aspetti pragmatici del lavoro connessi alle condizioni relazioni dall’altro (7,99). Al secondo posto rileviamo il profilo relativo al lavoro come possibilità e opportunità di conciliare aspetti pubblici e privati della propria vita (6,68). In terza posizione si rileva il profilo relativo alla realizzazione lavorativa, alla dimensione carrieristica e all’accrescimento personale. In base all’analisi svolta, ragionando sull’importanza del lavoro in generale e sul posto ad esso assegnato dalle persone, si potrebbe ipotizzare che il primo indicatore segnali la posizione di coloro per cui il lavoro è una delle diverse dimensioni della vita accanto ad altre forse ritenute più centrali come quelle famigliari e del tempo libero (lavoro come “conciliazione”). Il secondo indicatore mostrerebbe, invece, la posizione di coloro che ritengono il lavoro un elemento centrale, fondamentale per se stessi. Da tale 27 Scompare la dimensione condizioni ambientali di lavoro perché i loadings non raggiungono il valore 0,4. Analisi condotta tramite estrazione in componenti principali – rotazione Varimax. Percentuale di varianza predetta: 57,3%. Per facilitare la lettura, sono stati inseriti in tabella soltanto i loadings > ǀ0,4ǀ 74 concezione del lavoro deriva, infatti, l’impegno ad esprimere le proprie capacità, a voler formarsi, a volere fare carriera e la possibilità di viaggiare, magari per allargare orizzonti professionali e competenze (lavoro come “investimento”). Il terzo indicatore è forse quello che segnala un atteggiamento maggiormente strumentale nei confronti del lavoro: l’attenzione è riposta, da un lato, su aspetti molto pratici e concreti come la stabilità e lo stipendio che riguardano le condizioni per le quali si lavora e dall’altro ad aspetti meno materialistici ma altrettanto concreti e tangibili come quelli legati a un buon ambiente di lavoro dal punto di vista delle relazioni con colleghi e superiori (lavoro come “strumento”). Si è proceduto poi all’incrocio di tali indici relativi ai significati del lavoro con alcune variabili: sesso, età, titolo di studio, status occupazionale (cfr. tab. 2.14). Nella tabella 2.14 si presentano le medie dei punteggi registrati sui tre indici. Tab. 2.14. Andamento dei tre indici: valori medi e deviazione standard lavoro come conciliazione Dev. Std. lavoro come investimento Dev. Std. lavoro come strumento Dev. Std. Sesso Maschio Femmina 6,34 7,06 2,2 2,1 6,22 5,90 2,4 2,4 7,93 8,05 1,7 1,6 Età 15-29 anni 30-49 anni 50-64 anni 65 anni e oltre 6,31 6,83 6,95 6,33 1,8 2,2 2,2 2,3 6,93 6,11 6,04 5,00 1,9 2,3 2,4 2,6 8,00 8,02 8,09 7,76 1,5 1,6 1,7 2,0 Titolo di studio Fino a lic. elementare Lic. media o qualifica Diploma di maturità Laurea o post-laurea 6,15 6,94 6,77 6,44 2,2 2,2 2,1 2,1 4,45 5,92 6,26 6,93 2,3 2,5 2,3 1,8 7,77 8,02 8,07 7,98 2,2 1,7 1,6 1,4 6,91 6,52 6,49 7,10 6,28 2,0 2,4 2,3 2,3 1,8 6,04 6,28 5,42 6,10 7,24 2,4 2,5 2,6 2,3 1,8 8,26 7,22 8,12 8,03 7,68 1,4 2,1 1,9 1,8 1,4 5,60 2,04 6,42 2,34 7,74 1,5 Status occupazionale Lavoratori dipendenti Lavoratori autonomi Pensionati Casalinghe Studenti Disoccupati e in cerca di prima occupazione 75 Per quanto riguarda il sesso si nota un punteggio medio più alto per le donne, rispetto agli uomini, in relazione al lavoro inteso come una delle tante dimensioni importanti, vissuto in un’ottica di conciliazione con altri ambiti di vita sociale e familiare. Più elevato rimane per gli uomini il punteggio relativo al lavoro visto come investimento relativo ad una concezione che investe sulla dimensione della realizzazione personale e della carriera. Il terzo indice relativo alla visione strumentale del lavoro risulta sostanzialmente paritario per uomini e donne, con una leggerissima prevalenza a favore della componente femminile. Analizzando ora i significati del lavoro al variare dell’età, si nota che l’indice legato al lavoro come conciliazione ottiene un punteggio medio più alto nelle prime tre fasce d’età, quando in effetti i carichi famigliari risultano più pesanti. Diminuisce, invece, nell’ultima classe d’età. La visione maggiormente legata all’autorealizzazione sul lavoro ottiene un punteggio inversamente proporzionale all’età: come se nelle fasi centrali della vita si facessero sentire altre esigenze più legate alla sfera privata e/o familiare e nelle fasi di ingresso nel mercato del lavoro le aspettative riguardo alla propria riuscita personale sul lavoro fossero molto elevate. Tale dato sarebbe anche confermato dall’andamento del punteggio medio del primo indice. Il lavoro nella sua accezione materialistico-pragmatica è importante per le prime tre fasce d’età. Dai 65 anni in su, si nota, invece, una minor importanza probabilmente in connessione con la fine della propria carriera lavorativa. E’ chiaro che nella fase finale sia il senso di sicurezza/benessere legato alla stabilità e allo stipendio che alle relazioni interpersonali sul luogo di lavoro perdono di rilevanza. Per quanto riguarda i titoli di studio i laureati (6,93), nell’indice relativo al lavoro come investimento, hanno un punteggio medio più alto, rispetto agli altri livelli di istruzione: preparazione e competenze sono sicuramente più elevate in questo gruppo e ciò spiegherebbe anche un atteggiamento legato a maggiori aspettative nei confronti del lavoro. I laureati raggiungono il punteggio medio più basso per quanto riguarda il lavoro come strumento (7,98). L’idea di avere un lavoro che concili le esigenze anche extralavorative raccoglie un punteggio superiore per coloro che hanno la licenza media o la qualifica professionale (6,94). Dal punto di vista, infine, dello status occupazionale, sono i lavoratori dipendenti (6,91) e le casalinghe (7,10), rispetto alle altre categorie, ad avere un punteggio medio più alto in relazione al lavoro come conciliazione. Si può ipotizzare che il lavoro dipendente, almeno nella sua accezione tradizionale, sia in grado più di quello autonomo, di lasciare maggior tempo all’individuo per rispondere a esigenze extra-lavorative. Si presume che anche le casalinghe che non lavorano per il mercato si riconoscano in una concezione del lavoro che evidenzia l’importanza della conciliazione. 76 L’indice 2 relativo al lavoro come investimento risulta, invece, avere un punteggio medio più alto per i lavoratori autonomi rispetto a quelli dipendenti. Il rischio insito nelle professioni autonome viene a coincidere in questo caso con l’investimento riposto nel lavoro in termini di crescita professione e di riuscita. Il lavoro come realizzazione e come dimensione centrale della vita ottiene un punteggio medio più alto anche per gli studenti (7,24). Le aspettative sono dunque più elevate rispetto ad altri status occupazionali: si tratta di una posizione in cui pesano le attese per il futuro, le speranze per un inizio lavorativo, l’impegno e la disponibilità ad assumere un certo comportamento sul mercato del lavoro, considerate anche le difficoltà odierne soprattutto per le giovani generazioni. Da questo punto di vista probabilmente anche il peso dell’investimento che gli studenti stanno facendo sul fronte del capitale umano ha una sua incidenza. L’indice 3 risulta avere un punteggio medio elevato per i lavoratori dipendenti (8,26). Si registra dunque un’attenzione anche da parte della categoria di lavoratori considerata più tutelata, rispetto al lavoro precario non standard, verso la stabilità e lo stipendio che appaiono oggi forse messi a rischio anche dalla crisi e in generale dalla situazione di incertezza. 2.4. La ricerca di un lavoro nella provincia di Forlì-Cesena: i servizi provinciali Prima di analizzare le risposte relative alle differenti azioni che i soggetti intraprendono per cercare lavoro è utile soffermarsi, seppure brevemente, su alcune riflessioni riguardanti i servizi per l’impiego e il processo di riforma in Italia. Alla fine degli anni ‘90 con la riforma delle politiche per il lavoro si è assistito ad un processo di decentramento delle competenze che ha sostituito il vecchio modello centralizzato del collocamento. La riforma dei servizi per l’impiego ha previsto mutamenti a livello sia organizzativo che gestionale. Diversi sono stati i cambiamenti avvenuti, tra cui quelli relativi ai contenuti dei servizi dei Centri per l’impiego, in termini di ampliamento e qualificazione, per cercare di rispondere maggiormente alle richieste dell’utenza. Utenza composta da cittadini e imprese che vengono posti al centro dell’erogazione del servizio articolato in varie tipologie: accoglienza, informazione, orientamento, consulenza per le imprese, gestione amministrativa, incrocio domanda e offerta28. Ciò che si persegue con tali riforme è senza dubbio la modernizzazione dei servizi e la loro integrazione 28 Cfr. Isfol, Le azioni sperimentali nei Centri per l’impiego. Verso una personalizzazione dei servizi, Roma, 2010. 77 con le politiche del lavoro. Servizi a cui si richiede di essere adeguati in un mercato del lavoro sempre più segmentato, mutevole e globalizzato. In Europa la sfida della modernizzazione si fonda su un sistema consolidato e collaudato di servizi locali prevalentemente di natura pubblica e a valenza nazionale che può contare su una rete decentrata in grado di erogare anche altre misure di welfare legate al sostegno per il lavoro, come sussidi e ammortizzatori sociali29. In Italia alle difficoltà legate alle trasformazioni tecnologiche e organizzative dei sistemi economici e produttivi si aggiungono diverse problematiche. Vi sono quelle inerenti il modello legislativo che aprono a difficoltà sul piano dell’allocazione delle funzioni e dei rischi che il decentramento potrebbe portare sul piano delle disuguaglianze territoriali. Quelle connesse alla transizione istituzionale e al ruolo dell’amministrazione centrale che appare debole e non sempre efficace. Vi sono poi le difficoltà legate al cambiamento di cultura organizzativa e la conseguente offerta di servizi personalizzati che non devono essere considerati come attività meramente assistenziali e/o informative, ma funzioni più avanzate e sofisticate. Si aggiungono a queste le novità dovute all’introduzione nell’ambito dell’intermediazione di soggetti non pubblici, la necessità di integrazione con le politiche del lavoro attive e passive e le difficoltà connesse all’occupabilità e alle categorie più a rischio di vulnerabilità30. Attualmente, superata la fase di avvio della nuova concezione dei servizi pubblici per l’impiego, si apre quella del consolidamento e della specializzazione: i Centri per l’impiego devono assumere un ruolo strategico a livello territoriale ed essere considerati come i referenti istituzionali per l’integrazione tra le diverse politiche del lavoro e i differenti soggetti che si affacciano sul mercato nell’erogazione di servizi per il lavoro. Sul piano empirico diverse sono le ricerche che hanno monitorato sia a livello nazionale che locale la struttura organizzativa e dei servizi dei Centri per l’impiego31. Rispetto a quanto analizzato dalla ricerca svolta nella 29 Cfr. Regione Emilia-Romagna, Il sistema dei servizi pubblici per l’impiego in EmiliaRomagna, 2004. 30 Cfr. Ministero del lavoro, salute e politiche sociali, Isfol, Strumenti e strategie di governance dei sistemi locali per il lavoro, Monitoraggio Cpi, 2000–2007; Irpet, Il sistema dei servizi per l’impiego in Toscana, 2010. 31 Numerose sono le regioni che acquisendo per via della riforma delle politiche del lavoro la responsabilità in tale materia hanno redatto report relativi allo stato di funzionamento e di sviluppo dei Centri per l’impiego. La stessa cosa, su spinta anche dell’Unione europea, si è verificata a livello centrale. Tali indagini sono volte a verificare, ad esempio, il grado di adeguatezza del sistema dei servizi per il lavoro, la sostenibilità economica ed operativa della capacità di mettere in campo misure di politica del lavoro, la segmentazione territoriale, ecc. Infine molte sono le indagini condotte dai singoli Centri per l’impiego provinciali rispetto ai servizi offerti, ai progetti sperimentali e alla soddisfazione dell’utenza. 78 provincia di Forlì-Cesena appare interessante prendere in considerazione l’indagine condotta da Isfol32 sui servizi per l’impiego che rileva alcuni andamenti relativi all’utenza di tali servizi a livello nazionale. Secondo tale indagine sono le donne e i giovani (15 - 29 anni) a usufruire maggiormente dei Centri per l’impiego. Rilevante è anche la percentuale degli ultraquarantenni nel nord del paese. Rispetto alla condizione occupazionale è interessante notare come siano coloro che lavorano ad utilizzare il servizio pubblico, in più del 50% dei casi, nelle regioni del nord-est e del centro, mentre al sud prevalgono i disoccupati. Rispetto ai canali di ricerca maggiormente efficaci per trovare lavoro33 prevalgono quelli di carattere informale ovvero le relazioni personali, in modo particolare fra i giovani anche se fra i laureati la percentuale si abbassa fortemente. Le inserzioni sui giornali hanno successo in pochi casi mentre le autocandidature presso i datori di lavoro risultano maggiormente funzionali per trovare un impiego. Anche il canale dei concorsi è andato indebolendosi e non costituisce più una risorsa efficace per l’ingresso del mercato del lavoro. Per quanto riguarda la misurazione del grado di soddisfazione dell’utenza dei Centri per l’impiego pubblici e la loro qualità non è facile ricostruire un quadro italiano rispetto ai temi della soddisfazione a causa della non omogeneità delle rilevazioni condotte a livello nazionale dagli stessi Centri per l’impiego o dalle Province. L’indagine Isfol Plus34 tenta una lettura del grado di soddisfazione dell’utenza ponendolo in relazione al grado di implementazione dei servizi. Ciò che emerge è che la maggior parte degli utenti esprime un giudizio positivo sulla qualità dei servizi in corrispondenza di un’implementazione medio-alta degli stessi. Importante è la percentuale di coloro che esprimono giudizi almeno sufficienti sui servizi erogati a un livello solo elementare. A incidere su tali dati vi è il contesto territoriale e lo stato di disoccupazione. Spostandosi verso il sud e aumentando la durata della disoccupazione decresce il livello di soddisfazione. In termini più generali, tra gli utenti occupati e quelli non occupati non sembrano esistere differenze 32 Si tratta dell’Indagine Campionaria sul funzionamento dei centri per l’Impiego 2005 – 2006 condotta da D. Gilli, R. Landi, Monografie sul Mercato del lavoro e le politiche per l’impiego, n. 1, 2007. 33 L’indagine Isfol Plus è inserita nel programma statistico nazionale (PSN). Si tratta di un’indagine campionaria rappresentativa che è stata condotta a partire dal 2005 negli anni 2006, 2008, 2010 e 2011. E’ possibile trovare una descrizione dell’indagine in E. Mandrone, D. Radicchia, “Plus”, Rubettino editore, 2006. 34 Cfr G. Baronio, M. D’Emilione, C. Gasperini, G. Linfante, F. Tantillo, (a cura di), Gli utenti e i centri per l'impiego, in «Monografie sul Mercato del lavoro e le politiche per l’impiego», n. 7, 2004. 79 particolarmente rilevanti. Nemmeno la tipologia contrattuale, il titolo di studio e il genere sembrano incidere più di tanto sul livello di soddisfazione. A partire da questa premessa di seguito l’attenzione si focalizzerà sull’analisi dei risultati dell’indagine condotta nella provincia di ForlìCesena, relativa alla ricerca attiva del lavoro e alle modalità di utilizzo dei servizi pubblici per l’impiego. Dall’esame dei risultati si nota che solo poco meno dell’11% delle persone sta cercando attivamente lavoro. Di queste il 50,6% è donna. Confrontando questo dato con quello relativo a chi si dichiara in cerca di prima occupazione (1%) o disoccupato (8,3%) notiamo che la percentuale di chi cerca occupazione è solo leggermente superiore. Nell’indagine provinciale si chiedeva di indicare le azioni di ricerca svolte da chi è alla ricerca di un impiego. Tab. 2.15. Azioni di ricerca effettuate nelle ultime quattro settimane. Valori % Consultare offerte lavoro sui giornali Inviare domanda di lavoro, invio cv Chiedere il supporto alla rete parentale, amicale, sindacale Cercare su Internet Rivolgersi al Centro per l’impiego Sostenere un colloquio di lavoro/selezione Rivolgersi a strutture di intermediazioni pubbliche o private Mettere inserzioni e rispondere ad annunci sul giornale Inviare domanda per partecipare a un concorso Effettuazione di un concorso Attivarsi per cercare terreni, locali, ecc. per avvio att. autonoma Attivare per chiedere permessi licenze, ecc. per att. autonoma Altro % Si 72,9 71,8 64,0 61,0 54,7 41,9 40,0 35,3 20,0 9,4 4,7 2,4 12,9 I tre principali strumenti utilizzati in provincia di Forlì-Cesena per cercare lavoro (cfr. tab. 2.15) sono: la consultazione di offerte di lavoro sui giornali (72,9%), l’invio di domande di lavoro e curriculum vitae a privati (71,8%) e il ricorso all’aiuto della rete parentale, amicale, sindacale (64%). Anche se sarebbe interessante incrociare questi risultati con alcune variabili indipendenti come sesso, età, titolo di studio, distretto territoriale, ecc, purtroppo la numerosità di coloro che hanno risposto a questa domanda non permette di operare in questo senso. Le uniche considerazioni che possiamo compiere sono dunque relative alla tipologia di azione adottata. In generale nelle ultime 4 settimane le persone non sono entrate in contatto direttamente con un possibile datore di lavoro o committente. Nonostante l’esistenza di agenzie di intermediazione sia pubbliche (Cpi) che private che offrono servizi anche innovativi, rispetto al passato, le persone prediligono ancora o strumenti tradizionali come le offerte sui 80 giornali o le segnalazioni delle reti parentali, amicali e sindacali. Un dato comunque interessante è che oltre la metà del campione (54,7%) dichiara di essersi recato al Centro per l’impiego pubblico. L’utilizzo di reti informali è una caratteristica che non riguarda solo il territorio provinciale ma l’intero Paese. Non sempre, però, le relazioni informali sono considerate un canale per migliorare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, anche perché le persone che accedono al mercato del lavoro tramite tale canale, in media, hanno redditi più bassi. La scelta di abbreviare i tempi di ricerca ricorrendo alle proprie conoscenze farebbe correre ai lavoratori il rischio di rimanere intrappolati in occupazioni meno remunerative a causa della scarsa corrispondenza tra profilo di competenze e requisiti richiesti dal lavoro35. Inoltre livelli informali molto diffusi, anche per le posizioni elevate, sono un’implicita selezione che si contrappone ai talenti e al mercato36. Interessante notare che uno strumento come internet, con i social network e altre tipologie di servizi di incontro domanda-offerta, viene utilizzato in maniera significativa. Quest’ultimo dato non stupisce accanto alla predilezione di reti amicali che si connotano oggi anche per essere comunità virtuali soprattutto per il mondo giovanile, ma non solo. Coloro che hanno dichiarato di essersi recati al Centro per l’impiego affermano di essere venuti a conoscenza del servizio (40%) attraverso amici e conoscenti, ovvero il classico passa-parola più che essere stati informati tramite una comunicazione diffusa di tipo strutturato e/o istituzionale. Tenendo conto della scarsa numerosità dei casi anche per la domanda relativa alle motivazioni che spingono ad utilizzare i Centri per l’Impiego (cfr. tab. 2.16) si può notare che le ragioni principali sono quelle relative alla ricerca di informazioni sulle opportunità lavorative (47,6%) e alla lettura degli annunci e offerte di lavoro (23,8%)37. In relazione al grado di soddisfazione relativo ai Centri per l’impiego (cfr. tab. 2.17) si nota che la maggior parte delle persone (63,3%) si concentra nella fascia che attribuisce un punteggio che va da 5 a 7: tra queste il 42,8% esprime un giudizio sufficiente o discreto, mentre il 20,5% si attesta su un giudizio insufficiente. Poco meno del 15% pensa che il servizio offerto sia buono o ottimo. 35 Cfr. Isfol, Rapporto 2008 – Sintesi, Roma, 2008. Cfr. Isfol, Plus Partecipation Labour Unemployment Survey. Indagine nazionale campionaria sulle caratteristiche e aspettative degli individui sul lavoro, 2006. 37 Anche in questo non è possibile effettuare ulteriori approfondimenti perché non risulterebbero significativi. 36 81 Tab. 2.16. Motivazioni rispetto alle azioni di ricerca svolte. Valori % Per avere informazioni su opportunità occupazionali Per leggere gli annunci e le offerte di lavoro-consultare Per apprendere tecniche di ricerca lavoro Per avere informazioni su corsi di formazione professionale Per essere orientato nella scelta del mio percorso formativo Per avere informazioni sulla legislazione Per utilizzare i servizi amministrativi Altro Totale N % 47,6 23,8 9,5 7,1 4,8 2,4 2,4 2,4 100,0 42 Tab. 2.17. Grado di soddisfazione dei servizi per il lavoro (Centri per l’impiego) – Scala da 1 a 10. Valori % % Per niente 8,3 2,00 3,1 3,00 3,9 4,00 6,6 5,00 20,5 6,00 21,8 7,00 21,0 8,00 10,9 9,00 2,2 Completamente 1,7 Totale 100,0 N 229 Un’ultima considerazione deriva dall’analisi della domanda 76 (cfr. tab. 2.18) che chiedeva di indicare una priorità per la distribuzione delle risorse del Comune o della Provincia. Dalla tabella emerge che c’è una forte richiesta degli abitanti della provincia di Forlì-Cesena per quanto riguarda investimenti relativi ai servizi per il lavoro e l’occupazione (media 7,66) oltre che per l’istruzione e la formazione professionale (media 7,99). Su tutti i possibili investimenti le due voci si collocano, infatti, ai primi due posti della classifica, il che ribadisce l’importanza e anche la carenza o la difficoltà di reperire lavoro. Quando si parla, infine, della natura pubblica o privatistica dell’intervento in ambito lavorativo per l’inserimento nel mercato occupazionale delle persone emerge che tale supporto non deve essere delegato alla sola sfera pubblica, ma che anche il singolo cittadino deve farsi carico della sua situazione (67,8%). Tale dato non fa che confermare gli 82 orientamenti delle politiche per il lavoro basate sull’attivazione dei soggetti e su azioni di aumento dell’occupabilità. Tab. 2.18. Priorità assegnata ai diversi settori nella distribuzione delle risorse del Comune o della Provincia. Valori medi (range 0-10)38 Media Trasporti pubblici locali 6,10 Istruzione/formazione 7,99 Servizi per anziani 7,55 Servizi per il lavoro e l’occupazione 7,66 Servizi per l’infanzia 7,81 Servizi sociali per fasce svantaggiate 7,58 Manutenzione strade e miglioramento della viabilità 7,11 Manutenzione parchi e aree verdi 6,81 Attività economiche e produttive 7,29 Educazione ambientale e civica 7,13 Centri di aggregazione per i giovani 7,02 Iniziative culturali (rassegne, concerti, ecc.) 6,98 2.5. Rilievi di sintesi Anche a livello locale sembrano riconfermarsi le tendenze nazionali che vedono nei giovani e nelle donne le categorie maggiormente penalizzate sul mercato del lavoro. L’universo femminile e giovanile, dunque, sembra includere una quota non irrilevante di soggetti potenzialmente a rischio poiché interessati da forme di lavoro flessibile. Per i giovanissimi emerge infatti che i contratti a tempo determinato sono praticamente l’unica risorsa per poter accedere ad un lavoro, mentre per le donne, maggiormente impiegate con contratti part-time, la probabilità di avere un contratto non standard è doppia rispetto a quella degli uomini. Incide su queste situazioni il modello di sviluppo territoriale locale fatto da micro e piccole imprese e caratterizzato dal settore agricolo e dei servizi. La probabilità che il contratto di lavoro sia a tempo determinato è infatti più elevata in tali settori, in cui l’organizzazione del lavoro è da sempre maggiormente legata alla stagionalità, mentre è l’industria che offre maggiori garanzie. Accanto all’utilizzo di contratti a termine e di orario ridotto emerge, però, anche l’incremento dell’orario di lavoro soprattutto per i lavoratori 38 Il quesito domandava all’intervistato di attribuire un punteggio da 1 a 10 per ognuna delle voci presentate. L’intervistato non doveva pertanto fornire una “graduatoria”; al contrario, poteva dare massima priorità (“10) a tutte le voci, così come, all’opposto, attribuire a tutte minima priorità (“0”). In questa sede si presenta per ciascun item il punteggio medio delle risposte fornite dagli intervistati. 83 maschi autonomi ma, in buona misura, anche per i lavoratori dipendenti. Si tratta di un fenomeno che emerge in misura inedita rispetto al passato a partire dal processo in atto che vede un aumento della responsabilizzazione e dell’autonomia dei lavoratori subordinati e la subordinazione della parte più vulnerabile dei lavoratori autonomi, i lavoratori non standard. Tali dati non possono non avere che pesanti ripercussioni anche sulle condizioni di vita e di benessere, soprattutto per le generazioni più giovani, che si trovano nella condizione di dover iniziare a costruire una propria indipendenza. Dal punto di vista femminile, la flessibilità può anche essere ricercata per conciliare le diverse esigenze di cura, tuttavia se non è scelta ma subita per mancanza di altre opportunità può avere conseguenze anche sul piano della sostenibilità economica familiare. Soprattutto in momenti di congiuntura economica non favorevole, in una società che si basa su un modello familiare di tipo dual-earner e su un sistema di welfare che risulta debole nella protezione di coloro che sono meno integrati nel mercato del lavoro. Dalla ricerca condotta emerge la preoccupazione per il futuro laddove ai primi posti, tra gli aspetti del lavoro ritenuti rilevanti, vengono collocati la stabilità del contratto e lo stipendio. Due elementi che vanno nella direzione opposta ai cambiamenti odierni in cui si assiste a un aumento della flessibilizzazione e della precarizzazione del lavoro e a un conseguente contenimento o ridimensionamento dei salari. Situazione che la crisi economica non ha fatto altro che accentuare, nel settore pubblico e privato, soprattutto per quanto riguarda i lavoratori meno stabili. Un aspetto interessante che emerge, e che può essere in qualche modo collegato a tale discorso, è sicuramente quello connesso agli orientamenti nei confronti del lavoro. Nella provincia di Forlì-Cesena si evidenzia una concezione del lavoro non ideologica, disincantata e pragmatica legata alle dimensioni della sicurezza economica e della stabilità contrattuale ma anche ad aspetti di benessere del lavoratore connessi al contesto relazionale lavorativo. Aspetti che solo apparentemente sono in contraddizione tra di loro, ma che ben si sposano sia con il periodo di crisi che con le caratteristiche socio-economiche del territorio di pertinenza. Ciò che il lavoratore ricerca come prima cosa non é più soltanto, in una visione strumentale e funzionale del lavoro, una sicurezza per se e per la propria famiglia ma anche relazioni lavorative non conflittuali. Le motivazione alla base di questo orientamento potrebbero essere molteplici: la struttura produttiva in cui il lavoratore è maggiormente a stretto contatto con l’imprenditore e con i colleghi, i mutamenti del lavoro che richiedono cooperazione e lavoro di rete ma anche il venire meno di un identità del lavoro collettiva favorita dalla frammentazione delle carriere e dei luoghi di lavoro. Al secondo posto emerge l’orientamento al lavoro che considera 84 importanti aspetti come la conciliazione con i carichi famigliari, maggiore tempo libero, orario di lavoro e distanza dall’abitazione. La concezione in cui le persone si riconoscono di meno è quella che considera il lavoro centrale nella propria vita in termini di impegno e crescita personale. Il lavoro dunque come dimensione che gratifica, realizza e apre prospettive rimane da sfondo ad altre concezioni ritenute più valide. Per quanto riguarda, invece, i servizi per l’impiego e la ricerca attiva del lavoro, tra coloro che effettuano azioni di ricerca (circa l’11%), poco più del 50% dei cittadini si rivolge al Centro per l’impiego. L’approccio all’utilizzo dei servizi è piuttosto tradizionale legato ad un’esigenza informativa rispetto alle opportunità di lavoro del mercato. I soggetti preferiscono ancora fare ricorso alle reti amicali o parentali per cercare un lavoro piuttosto che rivolgersi a strutture di intermediazione. Quest’ultimo dato forse non sorprende, soprattutto in una dimensione provinciale come quella di ForlìCesena, in cui il capitale sociale appare molto sviluppato così come un tipo di economia ancora molto tradizionale e poco innovativa, fatta di micro imprese che si avvalgono, per lo più, di figure professionali con titoli di studio di livello medio-basso. Accanto alla richiesta di investire risorse pubbliche per tali servizi e per la formazione professionale, sembra emergere la necessità che i Centri per l’impiego rafforzino, attraverso un’azione anche di diffusione e informazione, l’offerta di quei servizi che aiutino l’individuo ad attivarsi e ad essere partecipe del processo di inserimento o integrazione nel mercato del lavoro. Aumenta, perciò, la responsabilità dei Centri per l’impiego che secondo la riforma delle politiche del lavoro devono assumere una nuova cultura di servizio proiettata sull’utente e sulla personalizzazione ed efficacia delle azioni. In questa prospettiva di ammodernamento sta anche la ricerca di un ampliamento della platea dei soggetti e di un ruolo di governance del pubblico. Tale orientamento non implica una perdita di importanza del pubblico ma semmai un suo rafforzamento insieme ad un cambiamento legato al ruolo e alla nuova identità. 85 3. Condizione economica e capacità di risparmio di Elena Mattioli 3.1. Premessa Come è noto, l’attuale congiuntura economica negativa ha avuto pesanti conseguenze sui bilanci delle famiglie, già provati nel corso degli ultimi venti anni dalla progressiva perdita del potere di acquisto di salari e stipendi dei lavoratori1. Nelle pagine seguenti si vuole quindi approfondire l’analisi dell’impatto della crisi sulle famiglie forlivesi e cesenati2, in relazione a quattro aspetti: 1) se e come si manifestano processi di fragilizzazione della situazione economica delle famiglie; 2) se la capacità di risparmio delle famiglie abbia subito delle modifiche alla luce della crisi, e, nel caso in cui ciò si sia verificato, quali famiglie ne abbiano maggiormente risentito; 3) se e quale livello di preoccupazione esprimano le famiglie in relazione alle conseguenze della crisi economica sul proprio nucleo familiare e sulla conseguente attuazione di comportamenti volti al risparmio; 4) quale sia la percezione delle famiglie riguardo la propria condizione economica, lungo un continuum che va da situazioni di estrema povertà a situazioni di elevato benessere economico, alla luce anche delle eventuali dinamiche di sostegno presenti all’interno della rete parentale. I fattori che possono rendere più vulnerabili individui e famiglie sono molteplici e di diversa nature (economica, sociale e culturale). Ciò richiede di analizzare sia aspetti oggetti, relativi alla sfera economica, sia gli aspetti soggettivi, ovvero quelli attinenti alla percezione individuale della propria situazione, nella quale gioca un ruolo di centrale importanza il confronto tra bisogni e aspettative dell’individuo e risorse a sua disposizione3. 1 Si rimanda alle analisi della Banca d’Italia presentate annualmente nell’ambito dell’Indagine sui bilanci delle famiglie. 2 A tale proposito, si ricorda che il periodo di somministrazione dei questionari dell’indagine oggetto del presente rapporto ha avuto luogo tra aprile 2010 e luglio 2011. 3 Sul concetto di vulnerabilità cfr., tra gli altri, N. Negri., La vulnerabilità sociale, in «Animazione sociale», agosto/settembre, 2006; C. Ranci, Fenomenologia della vulnerabilità sociale, in «Rassegna italiana di sociologia», n. 4, 2002. 86 Rispetto a queste quattro aree tematiche, si vuole in primo luogo verificare lo stato di benessere economico delle famiglie del campione, e se vi siano particolari fattori che possano favorire l’insorgere di elementi di criticità (cfr. par. 3.2). In secondo luogo, si cercherà di appurare se la capacità di risparmio delle famiglie abbia subito delle modifiche nel corso dell’ultimo anno (cfr. par. 3.3). In terzo luogo, si vuole capire se le famiglie reagiscano alla crisi economica con maggiore preoccupazione, e se tale livello di preoccupazione incida o meno sui comportamenti di acquisto delle famiglie (cfr. par. 3.4). Infine, si vuole comprendere quale percezione abbiano le famiglie del proprio status economico, approfondendo anche il possibile ruolo svolto dal sostegno della rete parentale nel modificare in senso positivo o negativo tale percezione (cfr. par. 3.4). 3.2. Situazione economica delle famiglie: fragilità o solidità? In quali condizioni versano le famiglie cesenati e forlivesi in questi tempi senati dalla crisi economica che in Italia ha iniziato a far sentire i suoi effetti a partire dalla fine del 2008? A partire da questa domanda l’obiettivo è verificare l’insorgenza di particolari difficoltà nel raggiungere fine mese, evidenziando l’eventuale presenza di fattori che possano determinare situazioni di fragilità piuttosto che di solidità. In particolare, si vuole comprendere se e quale influenza abbiano fattori come, ad esempio, il tipo di nucleo familiare, la condizione abitativa (in relazione alle spese legate al pagamento delle mensilità di affitto o delle rate del mutuo in caso di abitazione di proprietà) e il contesto di residenza, alla luce delle diverse caratteristiche sociali, economiche e culturali che connotano le diverse aree territoriali. Per quanto riguarda la situazione a fine mese delle famiglie (cfr. tab. 3.1), è possibile evidenziare che circa un quinto si trova costretta a prelevare dai propri risparmi, oppure, in casi più gravi, deve contrarre debiti (5,3%). A fronte di tale situazione, più della metà degli intervistati afferma che la propria famiglia riesce a gestire il bilancio familiare mensile (55,6%). Oltre a ciò, un quinto del campione dichiara di non avere particolari problemi di bilancio. È possibile quindi delineare due distinti profili relativi alla situazione economica familiare: nel primo caso, definibile in termini di fragilità economica, rientrano quei nuclei familiari costretti a contrarre debiti o a prelevare dai risparmi (24,1%), mentre nel secondo caso troviamo le famiglie che riescono a far quadrare i propri bilanci familiari e non 87 presentano particolari problemi, che si caratterizzano pertanto per la propria solidità economica e che rappresentano, nel nostro campione, la stragrande maggioranza dei casi (75,9%). Tab. 3.1. Situazione economica a fine mese delle famiglie intervistate. Valori % Deve fare debiti 5,3 Non è costretta a fare debiti, ma deve prelevare dai risparmi 18,8 Riesce a fare quadrare il bilancio 55,6 Non ha problemi di bilancio 20,3 Totale 100,0 N 835 A questo punto è interessante andare a vedere quali siano le famiglie più toccate da processi di fragilizzazione dei propri bilanci economici. Osservando la situazione a fine mese rispetto alle risorse economiche di cui dispone la famiglia4 (cfr. tab. 3.2) possiamo notare, com’era prevedibile, che sono proprio i nuclei con la minore disponibilità pro-capite ad avvertire maggiori difficoltà. La tabella evidenzia come all’aumentare della disponibilità economica familiare, diminuiscano fortemente le probabilità di rientrare nel profilo della fragilità: la percentuale di famiglie con disponibilità economica elevata che presentano una condizione economica fragile sono il 7,6%, a fronte di una percentuale pari al 41,6% per le famiglie con scarse risorse economiche. Tab.3.2. Situazione economica a fine mese per indice di disponibilità economica familiare pro-capite. Valori % Basso Medio Alto Totale Fragilità 41,6 21,8 7,6 24,7 Solidità 58,4 78,2 92,4 75,3 Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 N 267 312 211 790 Per quanto riguarda invece la tipologia di nucleo familiare (cfr. tab. 3.3), dalla tabella si evince come a soffrire maggiormente delle difficoltà siano le famiglie costituite da coppie con figli: all’aumentare del carico familiare cresce quindi la probabilità di incontrare difficoltà economiche, dovute ad un ampliamento delle necessità materiali cui il nucleo si trova a far fronte (ad esempio, aumento dei consumi alimentari, spese legate ai bisogni di cura e care dei propri membri, etc.). Una maggiore solidità 4 Per i dettagli nella costruzione dell’indice si rinvia al capitolo 8. 88 economica sembra invece caratterizzare la situazione dei single (81,3%) e delle coppie senza prole (77,7%). Tab. 3.3. Situazione economica a fine mese per tipologia di nucleo familiare. Valori % Single Coppia senza Coppia con Altro Totale figli figli Fragilità 18,7 22,3 24,8 28,7 24,1 Solidità 81,3 77,7 75,2 71,3 75,9 Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 N 107 179 423 122 831 Sembra poi emergere una relazione tra situazioni di fragilità e condizione abitativa (cfr. tab. 3.4). La tabella mette in luce come l’avere una casa di proprietà riduca la probabilità di trovarsi in condizioni economiche difficili: la percentuale di famiglie fragili con casa di proprietà è infatti inferiore di circa tredici punti percentuali rispetto alle famiglie in affitto e alle famiglie che abitano in case concesse in usufrutto/uso gratuito. Tab. 3.4. Situazione economica a fine mese per condizione abitativa. Valori % Affitto Proprietà Usufrutto/uso gratuito Totale Fragilità 33,9 20,1 34,6 24,1 Solidità 66,1 79,9 65,4 75,9 Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 N 127 596 104 827 E’ possibile inoltre notare alcune differenze in base al paese di origine dell’intervistato (cfr. tab. 3.5). Nonostante la maggior parte del campione, sia fra intervistati di origine italiana che fra intervistati di origine straniera, presenti una sostanziale solidità economica familiare, si delinea un maggiore disagio per le famiglie in cui l’intervistato è di origine straniera: infatti, mentre la percentuale degli intervistati di origine italiana con una situazione di solidità è pari al 77,6%, tale percentuale diminuisce di 16,6 punti percentuali fra gli intervistati di origine straniera, attestandosi al 61%. Tab. 3.5. Situazione economica a fine mese per paese di origine dell’intervistato. Valori % Italiano Straniero Totale Fragilità 22,4 39,0 24,1 Solidità 77,6 61,0 75,9 Totale 100,0 100,0 100,0 N 744 82 826 89 Infine, alla luce delle differenze nelle caratteristiche socio-economiche5 del territorio6, è interessante verificare se vi siano differenze nella situazione economica delle famiglie rispetto al territorio di residenza. I dati permettono di evidenziare una maggiore sofferenza tra le famiglie residenti nel distretto Rubicone-Costa (29,1%), che presenta uno scarto di circa 7 punti percentuali rispetto a quanto rilevato nei distretti di Forlì e Cesena-Valle Savio (cfr. tab. 3.6). Tab. 3.6. Situazione economica a fine mese per distretto. Valori % Forlì Cesena-Valle Savio Rubicone-Costa Fragilità 22,6 22,4 29,1 Solidità 77,4 77,6 70,9 Totale 100,0 100,0 100,0 N 389 246 196 Totale 24,1 75,9 100,0 831 In sintesi, quindi, le analisi effettuate permettono di riscontrare una sostanziale tenuta dei bilanci delle famiglie forlivesi-cesenati. Tuttavia, i dati mettono in luce come alcune fasce della popolazione, probabilmente risentendo degli effetti della crisi economica, siano maggiormente esposte al rischio di uno scivolamento in condizione di marginalità economica. 5 Secondo alcune ricerche effettuate negli ultimi anni, l’economia provinciale, pur caratterizzandosi per la relativa stabilità e solidità e la presenza sul territorio di aziende leader a livello mondiale per certi settori, è sottoposta alle sfide legate alla crescente internazionalizzazione dei mercati, soprattutto per l’emergere di economie altamente concorrenziali provenienti dai paesi in via di sviluppo dell’area asiatica. La presenza di aree votate all’agricoltura e al turismo, inoltre, risente della caratterizzazione stagionale del lavoro. Sul tema del distretto calzaturiero si veda ad esempio P. Zurla, a cura di, Il distretto calzaturiero del Rubicone. Dallo sviluppo spontaneo allo sviluppo riflessivo, Milano, Franco Angeli, 2004. Per quanto riguarda invece il distretto nautico cfr. N. De Luigi, A. Martelli, P. Zurla, a cura di, Pratiche di governance tra welfare e sistemi locali di produzione. Sfide e opportunità, Milano, Franco Angeli, 2009. 6 I distretti della Provincia di Forlì-Cesena presentano caratteristiche abbastanza eterogenee non solo tra loro ma anche al proprio interno. Il distretto Rubicone-Costa si posiziona lungo la costa adriatica, connotandosi prevalentemente come un territorio a forte vocazione turistica-balneare, includendo tuttavia alcuni comuni afferenti all’area collinare (ad esempio Sogliano); gli altri due distretti (Cesena-Valle Savio e Forlì) racchiudono al loro interno grandi centri urbani e piccoli centri dell’area montana, con differenti connotazioni sia in termini economici sia rispetto alle caratteristiche della popolazione residente (ci si riferisce all’importante incidenza dei cittadini di origine straniera sulla popolazione residente nei comuni montani, ad es. Santa Sofia). 90 3.3. Famiglie e capacità di risparmio Dopo aver analizzato la condizione di sofferenza e fragilità economica delle famiglie della Provincia, ora l’attenzione si focalizza sulle il presente paragrafo prende in esame la loro capacità di risparmiare, cercando poi di comprendere se e come la crisi abbia avuto un impatto, nel corso dell’ultimo anno, sulle pratiche e sui comportamenti di consumo. L’analisi si svilupperà a partire da tre principali obiettivi. In primo luogo, si intende descrivere la capacità di risparmio delle famiglie forlivesi e cesenati, per poi passare ad analizzarne la propensione all’utilizzo di forme di credito al consumo7, come carte di credito, rate, carte revolving8, ecc. Infine, si vuole comprendere se vi siano particolari elementi che possano incidere sulla capacità di risparmio delle famiglie. A partire dall’analisi dei dati a nostra disposizione, è possibile segnalare come oltre la metà degli intervistati dichiari di non essere riuscita a risparmiare nel corso dell’ultimo anno (cfr. tab. 3.7), nonostante, come si è avuto modo di mettere in evidenza prima, la maggior parte del campione non presenti particolari problemi di bilancio (cfr. tab. 3.1). Tab. 3.7. Capacità di risparmio nel corso dell’ultimo anno. Valori % Sì No Totale N 43,4 56,6 100,0 835 La possibilità di riuscire a mettere da parte risorse economiche sembra essere ancora minore per gli intervistati di origine straniera (cfr. tab. 3.8): a fronte di una percentuale di intervistati italiani pari al 54,8%, la percentuale degli intervistati stranieri impossibilitati a risparmiare si attesta al 70,4%. 7 Per credito al consumo si intende «il credito per l’acquisto di beni e servizi (credito finalizzato) ovvero per soddisfare esigenze di natura personale (ad esempio: prestito personale, cessione del quinto di stipendio) concesso ad una persona fisica (consumatore). Il credito al consumo può assumere la forma di dilazione del pagamento del prezzo dei beni e servizi ovvero di prestito o analoga facilitazione finanziaria». Cfr. Banca d’Italia, http://www.bancaditalia.it/serv_pubbl/conoscere/edufin-bi/Credito (ultimo accesso: 18 settembre 2011). 8 Particolare tipo di carta di credito che consente la rateizzazione del pagamento della merce acquistata. 91 Tab. 3.8. Capacità di risparmio nel corso dell’ultimo anno per paese di origine degli intervistati. Valori % Italiano Straniero Totale Sì 45,2 29,6 43,7 No 54,8 70,4 56,3 Totale 100,0 100,0 100,0 N 736 81 817 Rispetto al nucleo familiare (cfr. tab. 3.9), si manifesta una certa difficoltà di risparmio per tutte le famiglie ad eccezione dei single che, nella maggior parte dei casi (52,3%), sono riusciti nel corso dell’ultimo anno a mettere da parte qualcosa. I dati mostrano anche come le coppie senza figli abbiano maggiori difficoltà rispetto a quelle con prole, con uno scarto di circa quattro punti percentuali tra i valori presentati, rispettivamente 58,4% e 54,3%. Tab. 3.9. Capacità di risparmio nel corso dell’ultimo anno per tipologia di nucleo familiare. Valori % Single Coppia senza figli Coppia con figli Altro Totale Sì 52,3 41,6 45,7 30,9 43,4 No 47,7 58,4 54,3 69,1 56,6 Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 N 107 178 414 123 822 I dati raccolti, inoltre, evidenziano una forte associazione tra disponibilità economica familiare e capacità di risparmio: come si può vedere dai dati riportati nella tabella (cfr. tab. 3.10), coloro che dispongono di un basso reddito familiare e dichiarano di non essere riusciti a risparmiare sono quasi il 15% in più rispetto a quelli che dispongono di un reddito familiare compreso tra i 700 e i 1200 euro, e sono più del doppio di quelli che hanno invece un’alta disponibilità economica (34,5%). Tab. 3.10 Capacità di risparmio nel corso dell’ultimo anno per indice di disponibilità economica familiare. Valori % Basso Medio Alto Totale Sì 26,4 41,3 67,3 43,3 No 73,6 58,7 32,5 56,7 Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 N 265 312 209 786 Ciò permette di sottolineare un elemento di criticità: il fatto che siano proprio le famiglie con la minore disponibilità economica quelle con più 92 difficoltà di risparmio potrebbe innescare di un circolo vizioso, il quale, portando ad una maggiore erosione delle già scarse risorse economiche e alimentando di conseguenza l’incapacità di risparmio, comporterebbe quindi un peggioramento delle situazioni di chi è già in difficoltà. Dalle analisi effettuate emerge inoltre una maggiore difficoltà di risparmio per le famiglie che vivono in affitto (cfr. tab. 3.11), le quali nel 68,8% dei casi dichiarano di non essere riuscite a mettere da parte risorse nel corso dell’anno. Si sottolinea nuovamente la presenza di una situazione di difficoltà anche per quelle famiglie che vivono in abitazioni concesse in usufrutto/uso gratuito (64,1%), sebbene in misura leggermente minore rispetto a quelle in affitto. Tab. 3.11. Capacità di risparmio nel corso dell’ultimo anno per condizione abitativa. Valori % Affitto Proprietà Usufrutto/uso gratuito Totale Sì 31,2 47,6 35,9 43,6 No 68,8 52,4 64,1 56,4 Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 N 125 590 103 818 Si riscontrano nuovamente differenze rispetto alla dimensione territoriale (cfr. tab. 3.12): a fronte di una sostanziale situazione di equilibrio nei distretti di Forlì e Cesena-Valle Savio, nel distretto Rubicone-Costa ben il 63,6% degli intervistati dichiara di non essere riuscito a risparmiare. Tab. 3.12. Capacità di risparmio nel corso dell’ultimo anno per distretto. Valori % Forlì Cesena-Valle Savio Rubicone-Costa Totale Sì 44,5 47,3 36,4 43,4 No 55,5 52,7 63,6 56,6 Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 N 382 245 195 822 Rispetto all’utilizzo di forme di credito al consumo, le analisi svolte permettono di osservare come nel campione di riferimento prevalga la tendenza a farne uso (il 58,5%). Non si osservano associazioni significative tra utilizzo di forme di credito al consumo e sesso dell’intervistato - pur prevalendo leggermente i sì fra gli intervistati di sesso maschile (il 51,6%) - né rispetto all’età (cfr. fig. 3.1), ad eccezione della fascia degli ultrasessantacinquenni, che risultano essere i meno propensi a farne uso, e della fascia dei 30-49enni, che ne rappresentano i maggiori fruitori. 93 Fig. 3.1. Utilizzo di forme di credito al consumo per età. Valori % 100 90 80 70 60 50 40 30 20 10 0 15-29 30-49 50-64 65 e oltre Fig. 3.2. Utilizzo forme di credito al consumo per livello di istruzione familiare. Valori % 100 90 80 70 60 50 40 30 20 10 0 Basso Medio Alto 94 I dati disponibili evidenziano inoltre una forte correlazione tra la propensione all’utilizzo di forme di credito al consumo e il livello di istruzione familiare: come si evince dalla figura 3.2, al crescere del livello di istruzione aumenta anche il ricorso al credito al consumo. Ciò vale anche rispetto alla disponibilità economica familiare: le analisi effettuate rivelano infatti che al crescere della disponibilità economica aumenta considerevolmente anche la propensione delle famiglie ad utilizzare forme di credito al consumo (cfr. tab. 3.13). Tab. 3.13. Utilizzo di forme di credito al consumo per indice di disponibilità economica familiare. Valori % Basso Medio Alto Totale Sì 49,6 54,8 74,5 58,3 No 50,4 45,2 25,5 41,7 Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 N 264 312 208 784 Oltre a ciò, come si evince dalla figura 3.3, il ricorso al credito al consumo varia in base al tipo di nucleo familiare, concentrandosi in modo particolare nei nuclei familiari composti da coppie con figli. Fig. 3.3. Utilizzo forme di credito al consumo per tipologia di nucleo familiare. Valori % 100,0% 90,0% 34,6 80,0% 47,6 45,5 51,1 70,0% 60,0% 50,0% 40,0% 65,4 30,0% 52,4 54,5 48,9 20,0% 10,0% 0,0% Single Coppia senza figli Coppia con figli Sì Altro No 95 Si riscontrano quindi anche in Provincia di Forlì-Cesena le tendenze relative all’uso di forme di credito al consumo evidenziate in recenti indagini, nelle quali è possibile rintracciare diverse interpretazioni del fenomeno. Secondo alcuni autori, si riscontra un maggiore ricorso al credito al consumo in nuclei familiari con un livello culturale ed economico alto e con un capo famiglia giovane, più incline quindi ad avere necessità di liquidità per far fronte alle spese connesse alla formazione di un proprio nucleo familiare. Secondo altri, invece, la relazione tra maggiore ricorso al credito al consumo ed età e livello culturale ed economico della famiglia, sarebbe legata alle previsioni di crescita dei propri guadagni futuri (avanzamenti di carriera, raggiungimento stabilità lavorativa, etc.) 9. Infine, vi sono interpretazioni che, dissentendo da tale lettura, ritengono più determinante la negatività della situazione economica familiare10: in altre parole, la maggiore propensione al credito al consumo sarebbe una conseguenza della scarsa liquidità disponibile, che rende necessario il ricorso a pagamenti rateali e varie forme di credito per far fronte alle necessità del nucleo. Come riscontrato per lo stato di benessere economico delle famiglie, anche rispetto a questa variabile è possibile osservare alcune differenze territoriali: a fronte di percentuali sostanzialmente omogenee nei distretti di Forlì e Rubicone-Costa, che si assestano intorno al 57% circa, è possibile distinguere nel distretto di Cesena-Valle Savio un utilizzo leggermente più marcato, dove dichiarano di ricorrere al credito al consumo il 61,5% degli intervistati (cfr. tab. 3.14). Tab. 3.14. Utilizzo di forme di credito al consumo per distretto. Valori % Forlì Cesena-Valle Savio Rubicone-Costa Sì 57,1 61,5 57,7 No 42,9 38,5 42,3 Totale 100,0 100,0 100,0 N 385 244 196 Totale 58,5 41,5 100,0 825 Riassumendo, è possibile constatare un utilizzo diffuso di forme di credito al consumo da parte delle famiglie forlivesi e cesenati, in modo particolare nelle coppie con figli. Inoltre, si delinea una maggiore 9 Cfr. S. Magri, R. Pico e C. Rampazzi, Which households use consumer credit in Europe?, Questioni di Economia e finanza, occasional papers, luglio 2011, Banca d’Italia (documento disponibile online su http://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/econo/quest_ecofin_2/QF_100/QEF_100.pdf). 10 cfr. B. Cavalletti, C. Lagazio e D. Vandone, Il credito al consumo in Italia: benessere economico o fragilità finanziaria, Università degli Studi di Milano, Working paper no. 200824, 2008. 96 propensione per gli intervistati con età compresa tra i 30 e i 49 anni, con alti livelli di istruzione familiare e un elevato benessere economico familiare. Ciò concorda con quanto emerso dalle analisi finora effettuate, le quali complessivamente permettono di constatare una situazione di sostanziale solidità dei bilanci economici delle famiglie del campione, pur mettendo in luce il profilarsi di una certa difficoltà costituita da una riduzione nella capacità di risparmio. A tale proposito è interessante osservare se a questa difficoltà gli intervistati e le loro famiglie reagiscano mettendo in campo strategie di consumo orientate al contenimento delle voci di spesa, aspetto del quale si occuperà il prossimo paragrafo. 3.4. Preoccupazione e rinunce: l’impatto della crisi sulle famiglie Le pagine seguenti, come anticipato poco sopra, si concentreranno sull’eventuale impatto che la crisi può avere sulla preoccupazione delle famiglie rispetto alla loro situazione economica, cercando poi di cogliere l’eventuale influenza del livello di preoccupazione tanto sui comportamenti di acquisto quanto sull’orientamento delle famiglie verso pratiche maggiormente volte al risparmio. Chiamati ad esprimere un giudizio su una scala da 0 a 10 circa la preoccupazione per le conseguenze della crisi sulla situazione economica della propria famiglia, gli intervistati del campione hanno espresso un livello medio di preoccupazione non trascurabile, attestato al 6,82. Dal confronto del valore medio rispetto ad alcune variabili (cfr. tab. 3.15), non si riscontrano particolari differenze rispetto al nucleo familiare se non per alcune realtà minoritarie, come le famiglie monogenitori e quelle estese, che sembrano manifestare una maggiore preoccupazione (si noti infatti come la categoria “altro”, nella quale sono ricomprese famiglie monogenitori e famiglie estese, esprima un livello medio di preoccupazione pari a 7,30 a fronte di un valore medio che si attesta a 6,82). Rispetto all’indice di disponibilità economica familiare emerge una relazione inversa: le famiglie che presentano un punteggio medio di preoccupazione maggiore sono quelle della fascia inferiore (fino a 700 euro mensili). Si nota quindi una progressiva diminuzione del livello di preoccupazione all’aumentare della disponibilità economica. Lo stesso si verifica rispetto al livello di istruzione familiare: dai dati è possibile infatti notare come al crescere del livello di istruzione diminuisca di quasi un punto il valore medio relativo alla preoccupazione per le conseguenze della crisi (che passa da un punteggio medio pari a 7,28 per le 97 famiglie con il livello di istruzione minore a un valore medio di 6,19 per quelle con un alto livello). Ancora, i dati indicano una maggiore preoccupazione per le famiglie del distretto Rubicone-Costa, che esprimono un punteggio medio pari a 7,26 a fronte di valore medi che si attestano per Cesena-Valle Savio al 6,58 e per il distretto di Forlì al 6.74. Tab. 3.15. Preoccupazione per le conseguenze della crisi economica – Valore medio e deviazione standard Media Dev. Std N Tipologia di nucleo familiare Single 6,43 2,7 107 Coppia senza figli 6,84 2,4 179 Coppia con figli 6,77 2,4 424 Altro 7,30 2,2 124 Disponibilità economica familiare Basso Medio Alto 7,68 6,69 5,95 2,1 2,4 2,4 268 313 211 Status culturale familiare Basso Medio Alto 7,28 6,71 6,19 2,4 2,3 2,5 299 325 170 Distretto Forlì Cesena-Valle Savio Rubicone-Costa 6,74 6,58 7,26 2,5 2,5 2,0 389 246 199 Paese di origine Italiano Straniero 6,69 7,91 2,4 1,9 747 82 Si evidenziano poi livelli di preoccupazione più elevati nel caso di famiglie in cui l’intervistato è di origine straniera, che esprimono una preoccupazione media pari a 7,91, all’incirca un punto in più rispetto alle famiglie in cui l’intervistato è italiano. I dati mettono poi in evidenza come siano le donne ad essere leggermente più preoccupate rispetto agli uomini (con uno scarto di 0,19). Da sottolineare infine un livello di preoccupazione maggiore tra i nuclei che non sono stati in grado di risparmiare nel corso dell’ultimo anno, per i quali la preoccupazione raggiunge un valore medio 98 pari al 7,42, con uno scarto di 1,34 punti rispetto a chi è riuscito a mettere da parte un po’ di denaro. A questo punto ci si chiede se ad una maggiore preoccupazione rispetto alle possibili conseguenze della crisi economica corrisponda una maggiore propensione a modificare le proprie abitudini di consumo in un’ottica di risparmio. Rispetto a tale questione11, non si evidenziano nel campione oggetto d’indagine sostanziali cambiamenti. Come si evince dalla tabella (cfr. tab. 3.16), uno dei comportamenti di risparmio maggiormente adottati dalle famiglie riguarda la voce di spesa relativa ai consumi energetici. Tab. 3.16. Rinunce e comportamenti volti al risparmio – Media e deviazione standard Media Dev. Std N Riduzione consumi energetici 3,52 1,4 819 Riduzione acquisti al di fuori da saldi e offerte 3,19 1,5 807 Riduzione spese per viaggi 2,99 1,6 703 Riduzione spese per hobby e tempo libero 2,79 1,5 745 (es. pay-tv, libri, ristorante, ecc.) Rinuncia ad acquisti importanti già decisi (es. 2,66 1,6 701 auto, casa, arredi, ecc.) Riduzione uscite con amici e parenti 2,45 1,5 772 Cambio dei punti vendita dove acquista 2,04 1,4 805 Rinuncia ad avvalersi di personale di sostegno 1,92 1,4 221 (colf, baby sitter, etc)12 Si registrano poi maggiori rinunce nell’acquisto di abbigliamento al di fuori del periodo di saldi (punteggio medio pari a 3,19) e nelle spese per viaggi e vacanze (valore medio di 2,99). Infine, sono da evidenziare due aspetti per quanto riguarda la rinuncia ad avvalersi di personale di sostegno (ad esempio, colf, baby sitter, etc.): se da un lato circa tre quarti degli intervistati (il 73,4%) dichiara di non avvalersene, dall’altro lato, fra le persone che possono contare sulla collaborazione di personale esterno, prevale la tendenza a non rinunciarvi (il valore medio risulta essere infatti pari a 1,92)13. 11 Agli intervistati è stato chiesto di esprimere un voto da 1 (per niente) a 5 (molto) su alcune rinunce o comportamenti attuati al fine di risparmiare. 12 Per poter procedere all’osservazione dei valori caratteristici della variabile, è stata effettuata una ricodifica che contasse i valori “non utilizza” come system missing, il che spiega la presenza di un valore di N minore rispetto agli altri item. 13 Rispetto a tale aspetto, è da sottolineare come vi sia una maggiore propensione a rinunciarvi tra i nuclei con una bassa disponibilità economica familiare: il punteggio medio 99 Per dare un’immagine sintetica in grado di riassumere in una sola variabile la propensione del campione a mettere in pratica comportamenti volti al risparmio nel corso dell’ultimo anno, si è proceduto alla costruzione di un indice14. Tab. 3.17. Indice di propensione ad attuare comportamenti di risparmio Media Dev. Std N validi 4,44 2,7 576 Come si evince dai valori caratteristici (cfr. tab. 3.17), il punteggio medio ottenuto dagli intervistati relativamente all’indice di propensione ad attuare comportamenti di risparmio è pari a 4,44, su un campo di variazione 0-10. In altre parole, il campione oggetto di indagine sembra nel complesso non avere modificato più di tanto i propri comportamenti, attuando particolari strategie o rinunce per migliorare la propria capacità di risparmio. A tale proposito, si può ipotizzare che, al tempo della rilevazione, gli effetti della crisi non si fossero ancora dispiegati pienamente nei territori della Provincia, oppure si può pensare che le famiglie abbiano finora risposto attingendo risorse dai propri risparmi, cercando quindi, secondo logiche di solidarietà familiare e intergenerazionale, di attutire l’impatto della congiuntura economica negativa sui membri più esposti della propria famiglia. Ciò potrebbe essere anche interpretato come indicatore di una certa ‘resistenza’ del campione rispetto alla necessità di modificare i propri stili di vita e di consumo, preferendo attingere dai propri risparmi piuttosto che modificare il proprio ‘status’ socio-economico. Non si evidenziano particolari differenze in relazione alle tipologie familiare (cfr. tab. 3.18), anche se è possibile sottolineare una lieve maggior resistenza al cambiamento tra i single, a fronte di una maggiore propensione in alcuni nuclei minoritari. In relazione alla disponibilità economica delle famiglie, il confronto dei punteggi medi evidenzia come al diminuire delle risorse economiche a disposizione, aumenti la propensione a mettere in pratica comportamenti volti al risparmio: il valore medio passa infatti da per queste famiglie si attesta infatti a 2,62 rispetto a valori medi inferiori tra le famiglie con un reddito pro-capite medio ed alto (rispettivamente 1,70 e 1,63). 14 Tale indice è costituito dalla somma dei punteggi ottenuti rispetto a ciascuna della variabili sopra commentate relative ai comportamenti attuati per risparmiare, ad esclusione della variabile relativa alla rinuncia ad avvalersi di personale di sostegno per due motivi: 1) da un punto di vista statistico, la correlazione tra questo indicatore e gli altri risultava molto bassa, 2) ben il 73% degli intervistati ha dichiarato di non farne uso, il che portava all’esclusione di un numero considerevole di casi. 100 2,94 per le famiglie di fascia alta a 6,05 per le famiglie della fascia inferiore. Lo stesso accade in relazione al livello di istruzione familiare: a fronte di un valore medio pari a 3,46 per le famiglie con alti livelli di istruzione, il valore medio sale a 5,29 per le famiglie con un basso livello. Per quanto riguarda il territorio, il distretto Rubicone-Costa presenta un valore medio di poco più alto rispetto ai distretti di Forlì e Cesena-Valle Savio (rispettivamente 4,88, 4,40 e 4,13). Tab. 3.18. Indice propensione ad attuare comportamenti di risparmio – media e deviazione standard Media Dev. Std N Tipologia di nucleo familiare Single 4,09 3,0 64 Coppia senza figli 4,42 2,8 106 Coppia con figli 4,42 2,7 321 Altro 4,79 2,8 85 Disponibilità economica familiare Basso Medio Alto 6,05 4,42 2,94 2,7 2,5 2,2 162 230 159 Status culturale familiare Basso Medio Alto 5,29 4,30 3,46 3,0 2,5 2,5 189 240 124 Distretto Forlì Cesena-Valle Savio Rubicone-Costa 4,40 4,13 4,88 2,7 2,7 2,8 255 178 143 Paese di origine intervistato Italiano Straniero 4,28 6,09 2,7 2,7 522 49 Ancora, i dati permettono di osservare una maggiore propensione all’attuazione di strategie di risparmio da parte degli stranieri: il valore medio dell’indice passa infatti da 4,28 per gli italiani a 6,09 per gli intervistati di origine straniera. Infine, da sottolineare una maggiore propensione ad attuare comportamenti volti al risparmio tra le famiglie caratterizzate da una situazione economica fragile (il valore medio si attesta a 6,44, circa il doppio rispetto ai nuclei con una situazione economica più 101 solida) e tra coloro i quali hanno dichiarato di non essere riusciti a risparmiare nel corso dell’anno, per i quali il valore medio si attesta al 5,56 (con uno scarto di 2,4 punti rispetto a chi vi è riuscito). Alla luce delle osservazioni sinora emerse, è interessante a questo punto osservare l’autopercezione degli intervistati rispetto alla condizione economica della propria famiglia15, e cercare di capire se tale definizione sia suscettibile di un miglioramento in considerazione dell’apporto di risorse economiche o di cura dalla propria rete parentale. Per quanto riguarda l’autopercezione della propria famiglia (cfr. tab. 3.19), il valore medio risulta essere pari a 5,37, dunque leggermente al di sotto del punto medio sulla scala 0-10: le famiglie del campione tendono quindi a percepire la propria situazione economica come non troppo positiva, ma nemmeno eccessivamente negativa. Tale valore medio tende a crescere leggermente (con un punteggio pari a 5,61) nel momento in cui gli intervistati definiscono la propria famiglia comprendendo anche la rete parentale. Tuttavia, se da un lato gli aiuti provenienti dai parenti contribuiscono ad accrescere le risorse su cui poter contare, dall’altro lato l’entità di tale miglioramento non permette di rilevare una differenza sostanziale nella percezione che le famiglie hanno del proprio status economico. Tab. 3.19. Media e deviazione standard Media Autopercezione della condizione economica della propria famiglia Autopercezione della condizione economica della propria famiglia, includendo il sostegno della rete parentale 5,37 5,61 Dev.Std 1,3 1,4 N 832 824 Dal confronto dei valori medi (cfr. tab. 3.20) rispetto alla tipologia di nucleo familiare, è possibile evidenziare la tendenza a dichiarare valori leggermente inferiori alla media (pari a 5,37) da parte delle famiglie costituite da single, che esprimono un punteggio medio pari a 5,19. Non si rilevano differenze sostanziali tra i valori medi espressi dalle coppie sia con figli che senza, presentando punteggi medi rispettivamente pari a 5,50 e 5,41. Possiamo quindi affermare che i single tendono a considerarsi mediamente meno ricchi rispetto alle altre tipologie familiari. Tutti i nuclei, 15 Agli intervistati è stato chiesto di definire la propria famiglia su una scala da 0 a 10, dove 0 equivale a molto povera, 5 a né ricca né povera e 10 a molto ricca. 102 in ogni caso, registrano un aumento del punteggio medio qualora considerino anche il sostegno della rete parentale; ciò avviene soprattutto per i single (+ 0,24) e per le coppie con figli (+ 0,25). Tab. 3.20. Autopercezione della condizione economica della propria famiglia– media e deviazione standard Autopercezione della Autopercezione della condizione economica condizione economica della della propria famiglia propria famiglia includendo sostegno rete parentale Media Dev. Std N Media Dev. Std N Tipologia familiare Single 5,19 1,4 106 5,43 1,3 105 Coppia senza figli 5,41 1,2 179 5,63 1,4 177 Coppia con figli 5,50 1,3 423 5,75 1,4 419 Altro 4,98 1,5 124 5,27 1,4 123 Disponibilità economica familiare Basso 4,78 Medio 5,40 Alto 6,04 1,5 1,1 1,1 267 313 211 5,17 5,57 6,19 1,6 1,2 1,3 265 309 209 Status culturale familiare Basso 5,00 Medio 5,53 Alto 5,81 1,2 1,3 1,3 299 324 169 5,19 5,78 6,12 1,4 1,3 1,4 295 322 167 Distretto Forlì Cesena-Valle Savio Rubicone-Costa 1,3 1,4 1,3 388 245 199 5,47 5,57 5,42 1,4 1,5 1,3 385 244 195 1,3 1,2 199 630 4,93 5,83 1,4 1,3 195 627 5,40 5,29 5,39 Situazione economica a fine mese Fragilità 4,56 Solidità 5,62 Rispetto all’indice di disponibilità economica familiare, si rilevano elevati scostamenti in relazione all’ammontare di risorse pro-capite che un nucleo è in grado di assicurare ai propri membri. I valori medi presentati dalla definizione della propria famiglia subiscono un notevole cambiamento a seconda del livello di risorse su cui la famiglia può contare: le famiglie con bassa disponibilità economica, infatti, presentano un valore medio pari a 103 4,78, con uno scarto di 1,26 rispetto al punteggio medio ottenuto dalle famiglie con una disponibilità economica superiore ai 1200 euro mensili. È interessante inoltre notare che anche in questo caso il punteggio medio tende a salire qualora si comprenda anche il sostegno parentale, tendendo però a diminuire in maniera inversamente proporzionale rispetto alla fascia economica. Infatti, mentre il valore medio attribuito dalle famiglie di bassa fascia è pari a 5,17, con un aumento di 0,39 rispetto alle risorse del solo nucleo familiare, nelle altre fasce il contributo della rete parentale risulta più modesto, aumentando il punteggio medio rispettivamente di 0,17 punti nelle fasce medie e 0,15 in quelle ad alta disponibilità economica. Si può quindi ipotizzare che la rete parentale contribuisca a migliorare la situazione economica soprattutto dei nuclei familiari con scarse risorse, mentre incida meno nella percezione dello status di benessere delle famiglie ad alta disponibilità economica. Confrontando i valori medi riportati per livello di istruzione familiare, troviamo che all’aumentare del livello di istruzione migliora l’autopercezione della propria condizione economica: a fronte di un valore medio pari a 5,00 per le famiglie con basso livello, infatti, si riscontra un punteggio medio pari a 5,81 per le famiglie con un alto livello di istruzione. È da sottolineare inoltre che tutti tendono a dare una definizione in termini di maggiore ricchezza qualora si faccia riferimento anche alla rete parentale, anche se ciò accade in misura maggiore per le famiglie della fascia superiore, per le quali il valore medio passa da 5,81 a 6,12, con uno scarto pari a 0,31 punti. Non si evidenziano invece particolari differenze a livello territoriale, mentre è possibile notarne rispetto alla situazione economica della famiglia per quanto riguarda la capacità di mantenere il medesimo stile di vita per tutto il mese. Le famiglie in condizione di fragilità economica, infatti, presentano un valore medio inferiore rispetto alle famiglie più solide: il punteggio medio passa da 4,56 nelle prime a 5,62 nelle seconde (+1,16). Anche in questo caso si può notare un miglioramento nella definizione della propria famiglia se si include il sostegno della rete parentale, registrando i valori medi un incremento, rispettivamente, pari a +0,37 e + 0,21. In sintesi possiamo quindi affermare che le famiglie della Provincia di Forlì-Cesena, pur con alcune differenze, tendono a definirsi mediamente come né ricche né povere. Tale definizione migliora leggermente nel momento in cui esse ampliano la propria visuale fino a comprendere gli aiuti provenienti dalla propria rete parentale. 104 3.5. Rilievi di sintesi L’analisi dei dati rilevati nel corso dell’indagine effettuata sul territorio provinciale permette quindi di evidenziare una situazione di sostanziale solidità economica delle famiglie del campione. Vi sono tuttavia da rilevare alcune differenze, che indicano la presenza di maggiori difficoltà nelle famiglie costituite da coppie con figli, soprattutto nel caso in cui la disponibilità economica familiare sia bassa. Inoltre, una maggiore preoccupazione sembra essere avvertita dalle famiglie in cui l’intervistato è di origine straniera. Anche a livello territoriale si notano alcune differenze: i dati hanno infatti messo più volte in luce una maggiore difficoltà per le famiglie residenti nel distretto Rubicone-Costa. In secondo luogo, l’indagine permette di rilevare una diminuzione, nel corso dell’ultimo anno, della capacità di risparmio delle famiglie forlivesicesenati, che va di pari passo con una non trascurabile preoccupazione circa i possibili effetti negativi della crisi economica. Tuttavia, tale diminuzione non sembra essere seguita da cambiamenti nei comportamenti di consumo delle famiglie, le quali non dimostrano di reagire attuando particolari strategie di fronteggiamento della crisi in un’ottica di maggiore risparmio (ad eccezione dei nuclei familiari con un basso reddito pro-capite e scarsa capacità di risparmio, i quali si trovano costretti a tagliare le proprie spese, anche se non in misura così radicale come ci si aspetterebbe). Per cercare di spiegare tale apparente contraddizione, si possono avanzare alcune ipotesi. In primo luogo, si può ipotizzare che la crisi non abbia ancora avuto conseguenze particolarmente gravi e diffuse a livello locale. Si può altrimenti pensare che le famiglie siano riuscite sinora a rispondere alla crisi attingendo risorse dai propri risparmi, cercando quindi, secondo logiche di solidarietà familiare e intergenerazionale, di proteggere i membri della famiglia più esposti alle difficoltà. Si potrebbe altresì ipotizzare, considerando il non trascurabile livello di preoccupazione delle famiglie, che l’attuale crisi sia vissuta con un atteggiamento di attesa vigile rispetto a ciò che si potrà accedere in futuro, interpretando dunque la resistenza a modificare significativamente i propri comportamenti come il tentativo di salvaguardare e mantenere il proprio status sociale ed economico in attesa che il periodo di crisi passi. Da un lato dunque i dati a disposizione permettono di confermare il fatto che le famiglie abbiano risentito degli effetti della crisi, come dimostrato dalla effettiva diminuzione della capacità di risparmio. Dall’altro lato, però, appare necessario approfondire maggiormente la conoscenza 105 relativa alle percezioni che le famiglie hanno della crisi e della sua durata, alla luce della rilevanza assunta dalla dimensione soggettiva nella costruzione delle rappresentazioni della povertà. Infine, appare opportuno avviare riflessioni sui meccanismi motivazionali alla base dei comportamenti attuati dalle famiglie nell’ambito delle strategie messe in campo per fronteggiare le sfide imposte dalla crisi. 106 4. Atteggiamento verso la politica, civicness e religiosità di Valerio Vanelli 4.1. Premessa Con questo capitolo si procede in primo luogo all’analisi dell’atteggiamento dei cittadini della provincia di Forlì-Cesena nei confronti della politica e delle istituzioni. È certamente superfluo sottolineare che si tratta di un tema assai ampio e articolato, studiato in questi decenni da una pluralità di punti di vista e secondo una molteplicità di approcci1; del resto, è noto che l’Italia nel suo complesso si caratterizza per una identità nazionale debole, una insufficienza di cultura democratica e una scarsa legittimità e credibilità delle istituzioni, dei partiti e dei politici: «un lungo resistente filo impolitico e antipolitico corre nella storia italiana sia dopo sia prima dell’unificazione politica»2. Ciò si è palesato nella cosiddetta crisi della Prima Repubblica, avvenuta nei primi anni Novanta, che ha fatto venir meno quell’equilibrio che aveva fin a quel momento caratterizzato il sistema politico italiano3. Anche il primo decennio del nuovo millennio risulta caratterizzato dal persistere di questo stato di malessere e di diffidenza nei confronti della politica e delle cosiddette istituzioni della democrazia, palesato anche dalla 1 L’ampia letteratura sul tema si può far partire dalla ricerca comparata condotta da Almond e Verba, The civic culture (cfr. G.A. Almond, S. Verba, The Civic Culture. Political Attitudes and Democracy in Five Nations, Boston, Little Brown, 1963, 1965), per poi ricordare, tra gli altri, J. LaPalombara, Italy: Fragmentation, Isolation, Alienation, in L.W.Pye, S. Verba (a cura di), Political culture and Political Development, Princeton, Princeton University Press, 1965 (pp. 282-329), G. Sani, The Political Culture of Italy: Continuità and Change, in G.A. Almond, S. Verba, The Civic Culture Revisited, Boston, Little, Brown, 1980, pp. 273-324, il fondamentale studio condotto da Robert Putnam e i suoi collaboratori (R. D. Putnam, Making Democracy Work. Civic Traditions in Modern Italy, Princeton, Princeton University Press, trad. it. La tradizione civica nelle regioni italiane, Milano, Mondadori, 1993), oltre a C. Tullio-Altan, La nostra Italia. Arretratezza socio-culturale, clientelismo, trasformismo e ribellismo dall’Unità a oggi, Milano, Feltrinelli, 1986 e R. Cartocci, Fra Lega e Chiesa. L’Italia in cerca di integrazione, Bologna, Il Mullino, 1986 e Mappe del tesoro. Atlante del capitale sociale in Italia, Bologna, il Mulino, 2007, cap. 1. 2 G. Pasquino, Il sistema politico italiano. Autorità, istituzioni, società, Bologna, Bonomia University press, 2002, cap. 7. 3 Sul tema, cfr. R. Cartocci, L’Italia di tangentopoli e la crisi del sistema partitico, in C. Tullio-Altan, La coscienza civile degli italiani. Valori e disvalori nella storia nazionale, Udine, Gaspari Editore, 1997 e G. Pasquino, Il sistema politico italiano. Autorità, istituzioni, società, op. cit., 2002, cap. 2. 107 critica nei confronti della “casta” e dei costi della politica nell’attuale dibattito sui mass media e a livello di opinione pubblica. Ma se questo vale per l’Italia nel suo complesso, sarà interessante comprendere se e in che misura si rilevi anche per il livello locale, in un territorio noto per un’elevata dotazione di capitale sociale e civicness4. E proprio riguardo a quest’ultimo aspetto, si osserverà il territorio attraverso un’analisi della fiducia nelle istituzioni (cfr. par. 4.4), della propensione all’associazionismo, come forma di partecipazione della società civile e dell’atteggiamento dei cittadini nei confronti dell’ambiente (par. 4.5), vista la centralità che la tutela ambientale e lo sviluppo sostenibile hanno assunto nel corso degli ultimi anni. Lo sguardo verrà infine posato sulla sfera della religiosità (par. 4.6), che costituisce aspetti rilevante non solo in termini di scelte spirituali, ma anche per le implicazioni che essa ha rispetto a visioni e scelte di vita quotidiana. 4.2. L’atteggiamento nei confronti della politica e la partecipazione politica Per studiare l’atteggiamento dei cittadini della provincia di ForlìCesena nei confronti della politica, un buon punto di partenza è senz’altro costituito dalla domanda Shell-Iard5, mutuata nel questionario utilizzato per la presente indagine. Dalla tabella 4.1 si osserva che le prime due opzioni di risposta – quelle indicanti una maggior disponibilità e apertura verso la politica – raccolgono oltre la metà degli intervistati: il 4,5% dichiara di considerarsi politicamente impegnato e il 50% circa di tenersi al corrente della politica, pur senza parteciparvi attivamente. Si colgono poi i segni di quella disaffezione e diffidenza cui si accennava in premessa al presente capitolo: più di un intervistato su dieci dichiara che «bisognerebbe lasciare la politica a persone che hanno più competenza di me», il 21,5% si dichiara semplicemente non interessato alla 4 Cfr. R. Cartocci, Fra Lega e Chiesa, op. cit., R. Cartocci, V. Vanelli, Atlante del capitale sociale, in M. Golinelli, M. La Rosa, G. Scidà (a cura di), Il capitale sociale tra economia e sociologia, Milano, FrancoAngeli, 2006, pp. 169-191 e, specificamente dedicato alla realtà romagnola, R. Catanzaro (a cura di), Nodi, reti, ponti. La Romagna e il capitale sociale, Bologna, il Mulino, 2004. 5 Cfr. C. Buzzi, A. Cavalli, A. de Lillo (a cura di), Rapporto giovani. Sesta indagine dell’Istituto IARD sulla condizione giovanile in Italia, Bologna, il Mulino, 2007 e C. Buzzi, A. Cavalli, A. de Lillo (a cura di), Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto IARD sulla condizione giovanile in Italia, Bologna, il Mulino, 2002. 108 politica e quasi un 13% arriva a indicare un disgusto nei confronti della politica (cfr. tab. 4.1)6. Tab. 4.1. Atteggiamento verso la politica. Valori % Mi considero politicamente impegnato Mi tengo al corrente della politica, ma senza parteciparvi personalmente Bisognerebbe lasciare la politica a persone che hanno più competenza di me La politica non mi interessa La politica mi disgusta Totale N % 4,5 50,1 11,0 21,5 12,9 100,0 817 Si tratta di un segno rilevante, da non trascurare, che, anzi, merita di essere approfondito inserendo le diverse variabili socio-demografiche, per comprendere al meglio in quali fasce della popolazione si concentri maggiormente questa disaffezione nei confronti della politica. Osservando i valori percentuali di tabella 4.2, si evince una scarsa rilevanza della variabile di genere, con uno scarto di appena due punti percentuali fra uomini e donne (rispettivamente 11,9 e 13,9%), così come pare non esserci una relazione fra l’atteggiamento nei confronti della politica e il territorio di residenza. Deve essere invece evidenziato come siano gli intervistati nati nella provincia di Forlì-Cesena a esibire la quota più elevata di “disgustati” dalla politica (15,3% contro il 6% circa che si registra per le altre tre categorie previste per questa variabile). Come ipotizzabile, invece, considerevole il peso dell’età e della condizione occupazionale. La categoria che mostra un maggior disgusto nei confronti della politica è quella dei giovani: rispetto al 12,9% medio dell’intero campione, la percentuale risulta pari 15,7% per i 15-29 e a 14,2% per i 30-49enni. 6 Poiché questa domanda è utilizzata abitualmente nelle sole survey rivolte allo studio delle opinioni e degli atteggiamenti della popolazione giovanile, come le già citate indagini Iard, non è possibile una comparazione fra il dato sopra esposto per la popolazione di Forlì-Cesena e il corrispondente dato medio nazionale (un confronto, invece, limitato alle risposte fornite dai giovani di Forlì-Cesena e l’intera popolazione giovanile nazionale sarà illustrato di seguito). 109 Tab. 4.2. Atteggiamento verso la politica. Sentimento di “disgusto” per principali variabili socio-demografiche. Valori % % disgustati dalla politica Sesso Maschio 11,9 Femmina 13,9 Età 15-29 anni 30-49 anni 50-64 anni 65 anni e oltre 15,7 14,2 9,5 10,9 Distretto residenza Forlì Cesena-Valle Savio Rubicone-Costa 13,2 13,1 11,8 Luogo di nascita Provincia di Forlì-Cesena Altra provincia dell’Emilia-Romagna Altra regione italiana Estero 15,3 6,0 5,7 6,3 Titolo di studio Fino a licenza elementare Licenza media o qualifica Diploma di maturità Laurea o post-laurea 10,4 15,0 12,5 11,1 Status occupazionale Dirigenti, quadri, funzionari Impiegati di concetto e insegnati Impiegati esecutivi e operai Imprenditori e liberi professionisti Artigiani e commercianti Pensionati Casalinghe Studenti 7,5 14,0 18,1 8,8 17,1 9,5 4,3 10,8 Va tuttavia immediatamente aggiunto che il dato è considerevolmente inferiore rispetto a quello registrato dallo Iard: per omogeneità e comparabilità dei dati, si devono considerare, come nel Rapporto Iard, i 1524enni e si osserva così che per Forlì-Cesena la quota di giovani disgustati 110 dalla politica è del 12,2%, mentre il dato nazionale Iard per la stessa fascia di età mostrava, per il 20067, una percentuale del 23%, in flessione rispetto al 26,5% registrato nel 2000 ma comunque in crescita rispetto al 20% circa del 19968. Disaggregando ulteriormente le classi d’età, si può anzi osservare che per la provincia di Forlì-Cesena, la quota di intervistati disgustati dalla politica è più elevata tra i 25-34enni (14,8%) e fra i 35-44enni (15,1%). Come in tutti gli studi in cui ci si trova a esaminare differenze di atteggiamento o di comportamento rispetto all’età, risulta assai complicato mantenere analiticamente distinti i tre tipi di effetti che possono spiegare le differenze tra individui di età diversa: l’effetto del corso di vita, in base al quale atteggiamenti e comportamenti variano via via che la persona invecchia; l’effetto coorte, secondo cui le persone appartenenti ad una determinata coorte/generazione mantengono i propri comportamenti nel tempo, indipendentemente dal ciclo di vita; l’effetto periodo, in base al quale proprio le specificità di un determinato momento storico possono influenzare e modificare gli atteggiamenti e i comportamenti delle persone, giovani o anziane che siano9. Senza la disponibilità di dati rilevati nel tempo, è assai difficile ipotizzare quale di questi effetti incida maggiormente sull’atteggiamento nei confronti della politica, anche se si può notare, ad esempio, che a livello nazionale la quota di giovani disgustati dalla politica è sensibilmente aumentata fra i primi anni Ottanta e il Duemila10, a denotare che un qualche effetto periodo è certamente presente e che “Tangentopoli” e la “crisi della Prima Repubblica” hanno certamente lasciato il segno. Si può poi certamente ipotizzare anche una interazione fra questi tipi di effetto, con un peso della coorte, a cui si aggiunge anche un effetto ciclo di vita, ma resta comunque difficile distinguere con una certa sicurezza tra effetto coorte (dovuto al succedersi di generazioni con orientamenti diversi, acquisiti in periodi diversi) ed effetto del ciclo di vita, per definizione indifferente al succedersi dei periodi storici, in quanto dovuto ai processi di crescita e invecchiamento individuale. I settantenni di oggi avevano venti anni nel 1960, nel periodo del boom economico, mentre i cinquantenni di 7 C. Buzzi, A. Cavalli, A. de Lillo (a cura di), Rapporto giovani, op. cit. C. Buzzi, A. Cavalli, A. de Lillo (a cura di), Giovani del nuovo secolo, op. cit. 9 Il tema è esemplificato efficacemente in M. Caciagli e P. Corbetta (a cura di), Le ragioni dell’elettore. Perché ha vinto il centro-destra nelle elezioni italiane del 2001, Bologna, il Mulino, 2002, cap. 3. 10 Cfr. C. Buzzi, A. Cavalli, A. de Lillo (a cura di), Giovani del nuovo secolo, op. cit. 8 111 oggi avevano venti anni nel periodo della contestazione e dell’attivismo politico degli anni Sessanta-Settanta, e via dicendo. Certamente si nota una certa relazione fra il disgusto nei confronti della politica e lo status occupazionale, con una quota più elevata di “arrabbiati” fra gli artigiani e i commercianti (17,1%) e, soprattutto, tra gli impiegati esecutivi e gli operai (18,1%). Si tratta dunque di un malcontento che pare essere trasversale rispetto alla tradizionale frattura fra lavoratori dipendenti e autonomi e che, appunto trasversalmente, sembra interessare, forse, le fasce mediamente più deboli di entrambe le categorie, probabilmente quelle che hanno maggiormente risentito della crisi economico-finanziaria globale di questi anni, lasciando pertanto intravedere un certo effetto periodo. Minore sembra invece il ruolo esplicativo del livello di istruzione, anche se va certamente evidenziata una quota più elevata di disgustati dalla politica (15%) fra gli intervistati in possesso della licenza media o al massimo della qualifica professionale (cfr. tab. 4.2). È interessante poi osservare la distribuzione congiunta dell’atteggiamento di disgusto nei confronti della politica con l’autocollocazione sull’asse sinistra-destra11 illustrata con la figura 4.1. Fig. 4.1. % intervistati che provano disgusto per la politica per auto-collocazione sull’asse sinistra-destra 20 15 10 5 0 1-Sinistra 2 3 4 5 6 7 8 9 10-Destra 11 Il quesito domandava all’intervistato di collocarsi lungo un continuum a dieci posizioni fra loro equidistanti, in cui 1 indica l’estrema sinistra e 10 1’estrema destra. 112 La quota meno elevata di cittadini disgustati dalla politica si registra fra gli intervistati che si collocano su posizioni di sinistra, cresce in maniera notevole in corrispondenza delle posizioni intermedie della scala, che possono essere fatte corrispondere a una posizione moderata e di centro, per poi aumentare nuovamente via via che ci si sposta lungo il continuum verso il polo di destra e di estrema destra. Probabilmente la maggiore distanza dalla politica è percepita da coloro che, in un sistema tendenzialmente bipolare, non riescono a riconoscersì né nella coalizione di centro-sinistra né in quella del centro-destra, con un conseguente disorientamento, che sfocia, appunto, in atteggiamenti apertamente anti-politici. Non pare pertanto un caso che fra coloro che non vogliono o non sanno collocarsi rispetto alla scala (esclusi dalla fig. 4.1), la percentuale che si dichiara disgustata dalla politica arrivi oltre il 20%. Al di là del complessivo e generico atteggiamento nei confronti della politica, è interessante anche studiare gli effettivi comportamenti e le concrete azioni di natura politica svolte dai cittadini. Non si può non partire dal considerare la partecipazione elettorale, quale forma visibile ed esplicita dell’interesse per la politica e del sentirsi parte di una collettività, nonché fondamento di un sistema politico democratico. Non si può in questa sede approfondire il tema delle motivazioni della partecipazione elettorale e, di converso, dell’astensionismo, se non ricordando che si tratta di una forma di partecipazione non priva di ambiguità, in cui concorre una molteplicità di dimensioni, quali motivazioni particolaristiche, specifiche posizioni politiche ed anche l’astensionismo come forma di protesta e di rifiuto del sistema. Chiaro infatti che in termini strettamente razionali, dal punto di vista del singolo cittadino, recarsi alle urne è una scelta del tutto irrazionale12, dal momento che il contributo del singolo elettore all’esito della competizione elettorale è del tutto nullo13. Pertanto la spiegazione della partecipazione elettorale da parte dei cittadini va cercata proprio nell’irrazionale: quello che per il singolo cittadino è un costo – l’andare a votare – diventa dal punto di vista soggettivo un modo per manifestare la propria identità, sia per il militante politico o per l’elettore “ideologico” sia per quello d’opinione14. «In termini aggregati, la quota di elettori che […] decidono di andare a votare» si traduce senza dubbio in «un contributo alla 12 Cfr. D. Giannetti, Teoria politica positiva, Bologna, il Mulino, 2002. Cfr. R. Cartocci, Mappe del tesoro, op. cit. 14 Si fa qui chiaro riferimento alla tipologia di Parisi e Pasquino che distingue tra elettori d’opinione, elettori d’appartenenza e elettori di scambio. Cfr. A. Parisi, e G. Pasquino, Relazioni partiti-elettori e tipi di voto, in A. Parisi e G. Pasquino (a cura di), Continuità e mutamento elettorale in Italia. Le elezioni del 20 giugno 1976 e il sistema politico italiano, Bologna, il Mulino, 1977, pp. 215-249. 13 113 legittimazione delle istituzioni, un riconoscimento e un sostegno – consapevole o meno – del regime democratico…»15. Per questo motivo, risulta utile osservare la percentuale del campione che dichiara di aver votato: si tratta dell’83,8% degli intervistati per quanto concerne le elezioni politiche e del 79,9% per le amministrative (cfr. tab. 4.3). Si ricorda che alle ultime elezioni politiche, la partecipazione media a livello nazionale indicata dal Ministero degli Interni è stata dell’80,5% (19,5% di astensionismo). Il dato ufficiale della provincia di Forlì-Cesena è pari all’86,6%16, dunque più elevato di quello che emerge dalla rilevazione campionaria realizzata e superiore a quello ufficiale nazionale, collocando la provincia ben al di sopra della media nazionale (come già ricordato, 80,5%); da segnalare come il dato sia leggermente superiore anche a quello medio regionale (86,2%). Del resto, anche nella già citata indagine di Cartocci, che utilizza fra gli indicatori di capitale sociale e civicness anche la partecipazione elettorale (precisamente facendo riferimento alle elezioni politiche del 2001, alle europee del 1999 e ai referendum tenutisi fra il 1999 e il 2001), la provincia di Forlì-Cesena si colloca al settimo posto, preceduta da altre cinque province emiliano-romagnole e dalla toscana Siena17. È tuttavia evidente che la partecipazione elettorale non si esaurisce qui; anche considerando soltanto la partecipazione visibile18, si può considerare la quota di intervistati che ha compiuto ciascuna delle azioni riportate in tabella 4.3. Si nota così che oltre un quarto dei casi (27,3%) ha firmato almeno una petizione negli ultimi dodici mesi. Fra il 10 e il 16% dei casi hanno svolto almeno una delle seguenti azioni: contattato un politico nazionale (10%), indossato o mostrato un adesivo o un altro segnale distintivo di una campagna politica, di sensibilizzazione su un tema, ecc. (12,1%), boicottato 15 R. Cartocci, Mappe del tesoro, op. cit. Cfr. http://www.repubblica.it/speciale/2008/elezioni/camera/ province/forli_ cesena.html. 17 Cfr. R. Cartocci, Mappe del tesoro, op. cit. 18 Nella partecipazione visibile rientrano alcuni comportamenti, come quelli presentati in tabella 4.3, cosiddetti “pubblici”, come recarsi a votare, raccogliere firme, presenziare a manifestazioni, militare in gruppi politici e via dicendo. Si tratta di forme di impegno diretto nella vita della comunità, di presenza del cittadino in prima persona, ancorché in ruoli minori, nella sfera politica. Accanto a queste forme più esplicite di partecipazione ne esistono altre meno visibili, che riguardano il grado di coinvolgimento psicologico dei singoli nelle vicende politiche della società in cui vivono. È possibile ad esempio partecipare seguendo con interesse le fasi e gli sviluppi delle vicende politiche, valutando positivamente o negativamente le azioni e le dichiarazioni dei protagonisti, i dibattiti tra i gruppi o le decisioni dei governanti, ecc. (cfr. M. Barbagli, R. Maccelli, Rapporto sulla situazione sociale a Bologna, Bologna, il Mulino, 1985 e M. Cotta, D. della Porta, L. Morlino, (a cura di), Scienza politica, Bologna, il Mulino, 2001). 16 114 uno o più prodotti (13,2%), partecipato a dimostrazioni pubbliche autorizzate (15,6%). Tab. 4.3. % di intervistati che ha realizzato le seguenti attività/azioni negli ultimi dodici mesi % Sì Ha votato alle ultime elezioni politichea 83,8 Ha votato alle ultime elezioni amministrativea 79,9 Ha contattato un politico nazionale o locale Ha partecipato attivamente alla vita di un partito politico Ha prestato servizio civile volontario in organizzazioni o associazioni Ha partecipato attivamente alla vita di una organizzazione sindacale Ha indossato o mostrato un adesivo o un altro segnale distintivo di una campagna politica, di sensibilizzazione su un tema, ecc. Ha firmato una petizione Ha partecipato a dimostrazioni pubbliche autorizzate Ha boicottato uno o più prodotti 10,0 5,1 8,0 5,8 12,1 27,3 15,6 13,2 Gli altri tipi di azioni previste dal formulario sono state invece svolte da una quota minore di intervistati: appena il 5,1% dei casi ha partecipato attivamente alla vita di un partito e il 5,8% a quella di un sindacato. Da ulteriori elaborazioni si è poi potuto evincere che mentre questo ultimo tipo di attività, presso partiti politici o organizzazioni sindacali, riguarda principalmente uomini (in percentuale doppia rispetto alle donne) e in particolare della fascia di età compresa fra i 50 e i 64 anni, altre azioni – come la firma di petizioni, il boicottaggio di prodotti, ecc. – sembrano riguardare in egual misura uomini e donne e più le fasce di età giovanili (e comunque, più in generale, quelle fino ai 50 anni). 4.3. La partecipazione associativa La presenza di reti di associazionismo è da sempre considerata una dimensione centrale della dotazione di capitale sociale di una collettività e di un territorio. Infatti l’associazionismo civico, basato su reti fiduciarie, produce un miglioramento dell’organizzazione sociale, promuovendo iniziative e azioni decise di comune accordo, con attori che perseguono finalità collettive pur senza la presenza di un interesse personale o di un controllo sociale istituzionalizzato19. Come evidenziato da Cartocci, «il dono 19 Nella assai ricca letteratura sul tema, cfr., tra gli altri, R. Catanzaro (a cura di), Nodi, reti, ponti, op. cit., R. Putnam, La tradizione civica nelle regioni italiane, op. cit., J. Coleman, 115 di sé attraverso forme di volontariato presuppone un orientamento di subordinazione dell’interesse individuale a quello della comunità, nei cui confronti si esperiscono forme di obbligazione morale. […] il senso di obbligazione verso gli altri […] trova la sua più chiara manifestazione nella donazione del proprio tempo e del proprio denaro a favore degli altri. Il terzo settore è alimentato appunto da motivazioni altruistiche, creando reti di relazioni disinteressate…»20. Per studiare l’associazionismo si considerano solitamente almeno due dimensioni: l’intensità della partecipazione e la tipologia associativa. La prima viene abitualmente studiata in termini di numero di associazioni a cui la persona aderisce e alla frequenza con cui si partecipa. In questo caso, si farà riferimento esclusivamente al numero di associazioni, dal momento che il questionario non prevedeva la rilevazione della frequenza della partecipazione. La seconda dimensione è poi quella della tipologia organizzativa a cui si partecipa: - associazioni auto-orientate (o di fruizione), in cui le attività sono prevalentemente rivolte in modo diretto agli iscritti/affiliati e alle loro necessità di auto-realizzazione, socializzazione, valorizzazione fisica e/o intellettuale ed anche di utilizzo del tempo libero a disposizione. Rientrano in questa prima categoria le associazioni sportive, ricreative, ecc.; - associazioni etero-orientate (o di impegno), finalizzate a promuovere l’impegno e la partecipazione degli affiliati alla vita sociale in senso ampio, tramite azioni collettive a carattere politico e sindacale, manifestazioni pubbliche del pensiero, attività rivolte a soggetti svantaggiati e a fasce deboli. Certamente sono da ricondurre a questa categoria le associazioni di volontariato, quelle di tutela dell’ambiente e dei diritti umani, ecc. - associazioni religiose, in cui si ritrovano diversi aspetti delle due precedenti categorie, che tuttavia nella fattispecie sono coniugati Foundations of Social Theory, Cambridge, Cambridge University Press, 1990, C. Trigilia, Capitale sociale e sviluppo locale, in «Stato e mercato» 57/1999, R. Cartocci, Mappe del tesoro, op. cit., cap. 6, N. De Luigi, A. Martelli, P. Zurla (a cura di), Radicamento e disincanto. Un’indagine sui giovani della provincia di Forlì-Cesena, Milano, FrancoAngeli, 2004, cap. 5. 20 R. Cartocci, Mappe del tesoro, op. cit., cap. 6. Al riguardo, cfr. anche P. Donati, I. Colozzi (a cura di), Il privato sociale che emerge. Realtà e dilemmi, Bologna, il Mulino, 2004. 116 con specifici elementi di valorizzazione della spiritualità e di coltivazione della sfera del sacro21. La dimensione associativa preferita dai cittadini di Forlì-Cesena coinvolti nell’indagine è certamente quella con finalità socializzante e di svago, con una forte partecipazione ad associazioni auto-orientate e di fruizione, come quelle sportive (il 19% degli intervistati aderisce ad almeno una associazione sportiva di praticanti) o culturali e ricreative (entrambe attestate vicino al 18%). Il tema dell’uso del tempo è stato approfonditamente trattato nel capitolo 1 del presente rapporto, ma si può comunque anche in questa sede sottolineare come la gestione del tempo libero risulti essere precipuamente orientata alla ricerca dello svago e del divertimento, anche attraverso forme di socializzazione collettiva (cfr. tab. 4.4). Si vuole poi precisare che anche la presenza delle sole associazioni auto-orientate deve essere letta come rappresentativa di una comunità e di una società vitale, con forti dotazioni di capitale sociale; se è vero, infatti, che la partecipazione, ad esempio, a un’associazione sportiva di base, la mera iscrizione, può essere letta in termini di semplice risposta ad una offerta, è altrettanto vero che proprio questo fronte della proposta non deve essere trascurato: dietro ad ogni società sportiva e associazione c’è sempre un contributo di passione e di apertura verso l’altro. Non esisterebbero le decine di migliaia di associazioni presenti in Italia se non vi fosse, per ciascuna di esse, un nucleo di volenterosi che si assume l’onere di impegnare il proprio tempo libero per organizzare, dirigere, allenare, coordinare, coadiuvare, con mansioni anche umili ma indispensabili, per dare vita a una rete di associazioni sul territorio che offre canali e occasioni per svolgere attività di svago e di auto-realizzazione22. C’è poi l’area della partecipazione etero-orientata, con il 15,8% di intervistati che presta la propria opera in azioni di volontariato, un 6,6% che agisce in organizzazioni politiche e il 4,8% impegnato invece in associazioni operanti per la difesa dell’ambiente o dei diritti umani, come il Wwf, Amnesty international, ecc. Da ultimo, deve essere evidenziato come oltre un quinto degli intervistati (21,4%) partecipi ad associazioni di tipo religioso e parrocchiale (cfr. tab. 4.4). 21 Cfr. N. De Luigi, A. Martelli, P. Zurla (a cura di), Radicamento e disincanto, op. cit. e C. Buzzi, A. Cavalli, A. de Lillo, Giovani verso il duemila. Quarto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia, Bologna, il Mulino, 1997. 22 Cfr. R. Cartocci, Capitale sociale, in M. Almagisti, D. Piana (a cura di), Le parole chiave della politica italiana, Roma, Carocci, 2011, pp. 267-282, in particolare nota a pag. 275. 117 Tab. 4.4. Partecipazione ai diversi tipi di associazione. Valori % Organizzazione sportiva di praticanti Organizzazione sportiva di tifosi Organizzazione culturale (teatrale, dibattiti, ecc.) Organizzazione ricreativa Organizzazione politica (partito, movimento) Organizzazione ambientalista/diritti umani (es. WWF, ecc.) Organizzazione studentesca Organizzazione di volontariato (sociale, assistenziale, ecc.) Organizzazione religiosa/parrocchiale (comprese organizzazioni di scout) % 19,0 7,3 17,6 18,0 6,6 4,8 4,3 15,8 21,4 Se questo è in estrema sintesi il quadro della partecipazione associativa dei cittadini intervistati, diviene ora interessante passare ad esaminare l’intensità di questo associazionismo, ragionando, come anticipato, in termini di numero di organizzazioni a cui ciascun intervistato aderisce e pertanto distinguendo fra “Non associati” (chi non partecipa ad alcuna organizzazione), “Monoassociati” (chi aderisce ad una soltanto) e “Multiassociati” (chi aderisce ad almeno due associazioni). Tab. 4.5. Livello di associazionismo per genere. Valori % M F Non associato 43,8 42,6 Monoassociato 24,1 24,3 Multiassociato 32,1 33,1 Totale 100,0 100,0 N 424 399 Totale 43,2 24,2 32,6 100,0 823 Dalla tabella 4.5, considerando innanzitutto la colonna del totale, si osserva come la netta maggioranza degli intervistati (43,2%) non sia associato ad alcuna organizzazione; circa un quarto (24,2%) aderisce ad una sola associazione mentre i cosiddetti multiassociati risultano circa un terzo (32,6%). Si precisa che la maggioranza assoluta (51,5%) dei multiassociati aderisce a due associazioni e il 28% a tre, con una ristretta minoranza di casi frequentanti un numero maggiore di organizzazioni. È interessante proseguire la disamina, per comprendere quali siano i profili di ciascuna di queste categorie (cfr. tab. 4.6). Dalla tabella 4.6 si nota in primo luogo una considerevole influenza dell’età e in particolare una maggiore partecipazione da parte dei giovani: fra i 15-29enni, appena un terzo (33%) risulta non associato e oltre il 43% multiassociato, mentre nelle classi più adulte i valori percentuali si 118 invertono, con circa il 45% dei casi non associati e circa il 30% multiassociati. Tab. 4.6. Livello di associazionismo per genere. Valori % Non MonoMultiassociato associato associato Età 15-29 anni 33,1 23,8 43,1 30-49 anni 45,7 23,9 30,4 50-64 anni 45,8 23,5 30,7 65 anni e oltre 45,6 26,5 27,9 Totale N 100,0 100,0 100,0 100,0 160 335 192 136 Distretto residenza Forlì Cesena-Valle Savio Rubicone-Costa 41,3 41,6 49,4 21,1 28,4 24,8 37,6 30,0 25,8 100,0 100,0 100,0 383 243 197 Luogo di nascita Provincia di Forlì-Cesena Altra provincia Emilia-Romagna Altra regione italiana Estero 42,7 44,0 37,8 53,1 25,5 22,0 15,6 25,9 31,8 34,0 46,6 21,0 100,0 100,0 100,0 100,0 597 50 90 81 Titolo di studio Fino a licenza elementare Licenza media o qualifica Diploma di maturità Laurea o post-laurea 50,0 48,6 41,5 32,3 30,9 23,2 22,5 24,4 19,1 28,2 36,0 43,3 100,0 100,0 100,0 100,0 94 284 275 164 Status occupazionale Dirigenti, quadri, funzionari Impiegati di concetto e insegnati Impiegati esecutivi e operai Imprenditori, liberi professionisti Artigiani, commercianti Pensionati Casalinghe Studenti 39,0 45,7 48,6 30,5 46,3 45,3 55,6 27,7 22,0 21,3 23,4 30,5 24,4 24,3 17,8 24,6 39,0 33,0 28,0 39,0 29,3 30,4 26,7 47,7 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 41 94 218 59 41 148 45 65 Collocazione politica Sinistra/Centro-sinistra Centro-destra/Destra 35,5 42,3 24,6 23,4 39,9 34,3 100,0 100,0 341 175 119 Da ulteriori elaborazioni, rappresentate sinteticamente in figura 4.2, si è potuto rilevare che questa maggiore partecipazione da parte delle classi più giovani deriva dalla loro più frequente adesione ad alcuni tipi di associazione: in primo luogo, come ovvio, quelle studentesche, con oltre il 17% dei casi fra i 15-29enni e una quota vicina all’1% per le classi di età successive. Ed anche una maggiore adesione alle associazioni sportive, sia di praticanti (quasi il 30% fra i 15-29enni, il 20% fra i 30-49enni, il 16% circa fra i 50-64enni e appena il 7% per gli over-64enni), che di tifosi, cui aderiscono circa il 15% degli intervistati di 15-29 anni, meno dell’8% dei 30-49enni e quote percentuali marginali per le classi di età meno giovani. Fig. 4.2. Tipo di associazione per età 35 Religiose/parrocchiali 30 25 20 Volontariato 15 10 Politiche Sportive praticanti Culturali 5 Sportive tifosi 0 15-29 30-49 50-64 65 e oltre Andamento opposto si registra invece per le organizzazioni di stampo religioso, a cui aderisce meno del 17% dei cittadini di età compresa fra 15 e 29 anni, il 18,4% dei 30-49enni, quasi il 22% dei 50-64enni e il 33,8% degli intervistati di almeno 65 anni. Anche per l’associazionismo politico il contributo dei giovani è minoritario rispetto alle altre classi di età, mentre il volontariato sembra tagliare trasversalmente le diverse categorie23 (cfr. fig. 4.2). 23 Per un approfondimento sul livello di associazionismo dei giovani della provincia di ForlìCesena, si rimanda a N. De Luigi, A. Martelli, P. Zurla (a cura di), Radicamento e disincanto, op. cit., cap. 5. In questa sede non si procede a presentare i dati in chiave comparata dal momento che la definizione operativa del quesito utilizzato per quella ricerca è differente da quella utilizzata per la rilevazione al centro del presente rapporto di ricerca. 120 Anche rispetto alle altre variabili indipendenti presentate in tabella 4.6 si evidenziano alcuni rilievi interessanti. Si notano ad esempio minori livelli di associazionismo per il distretto Rubicone-Costa, con oltre il 49% degli intervistati non associati ad alcuna organizzazione a fronte di percentuali inferiori al 42% per le altre due zone sociali. Rispetto al luogo di nascita, si rileva una quota ben più elevata di soggetti non associati fra i cittadini nati all’estero (53,1%): sommando i mono e i multi-associati, per le persone nate in altri Paesi stranieri si arriva al 47% circa, contro il 60% circa registrato per le altre categorie in cui sono distinti in tabella 4.6 i nati in Italia. Per quanto concerne il livello di istruzione, si osserva una relazione lineare monotonica, con l’associazionismo che cresce all’aumentare del titolo di studio; ciò è probabilmente legato all’età; si è infatti visto che sono i giovani – in possesso generalmente di livelli di istruzione più elevati – a mostrare maggiori livelli di associazionismo, rispetto alle classi più anziane, tra le quali si concentra la maggior parte delle persone in possesso di bassi livelli di istruzione. Ciò è confermato da ulteriori elaborazioni, con cui si è potuto evidenziare che in realtà, a parità di età, il titolo di studio risulta quasi ininfluente (cfr. tab. 4.6). Anche la relazione fra partecipazione associativa e status occupazionale risulta piuttosto debole, anche se va notata, da una parte, una maggiore incidenza percentuale di non associati fra le casalinghe (55,6% a fronte del già ricordato 43,2% medio) e, dall’altra, una quota decisamente inferiore di non associati – dunque una maggiore propensione all’associazionismo – fra gli imprenditori e i liberi professionisti (30,5%), seguiti da dirigenti e funzionari (39%). Da evidenziare infine una distribuzione piuttosto differenziata anche rispetto all’autocollocazione politica sull’asse sinistra-destra24. Fra le persone che si sono autocollocate sul polo di sinistra/centrosinistra del continuum sono il 35,5% a risultare non associate, a fronte del 42,3% che si 24 Rispetto alla scala a dieci posizioni, si è proceduto ad una riaggregazione in base alla quale i valori compresi tra 1 e 5 sono stati ricondotti alla categoria «Sinistra/Centro-sinistra» e i valori 6-10 alla categoria «Centro-Destra/Destra», consapevoli di procedere a una drastica semplificazione della realtà rispetto a un tema ben più sfaccettato e complesso che non può essere trattato nell’economia del presente rapporto; si rimanda pertanto alla letteratura in materia, a partire da G. Pasquino, Il sistema politico italiano, op. cit., N. Bobbio, Destra e sinistra. Ragioni e significati di una distinzione politica, Roma, Donzelli, 2004, A. Parisi, H.M.A. Schadeé (a cura di), Sulla soglia del cambiamento. Elettori e partiti alla fine della prima repubblica, Bologna, il Mulino, 1995, M. Caciagli, P. Corbetta (a cura di), Le ragioni dell’elettore. Perché ha vinto il centro-destra nelle elezioni italiane del 2001, op. cit., R. D’Alimonte, S. Bartolini, Maggioritario finalmente? La transizione elettorale 1994-2001, Bologna, il Mulino, 2002, G. Pasquino (a cura di), Dall’Ulivo al governo Berlusconi. Le elezioni del 13 maggio 2001 e il sistema politico italiano, Bologna, il Mulino, 2002. 121 registra per gli auto-collocati sulla parte destra della scala. E, di converso, i multiassociati risultano quasi il 40% tra gli elettori di sinistra/centrosinistra e il 34,3% per quelli di destra/centrodestra. Chiude il quadro la categoria intermedia dei monoassociati, che sono quasi un quarto per entrambi i sottogruppi (cfr. tab. 4.6). Se in generale, dunque, i cittadini di sinistra e di centro-sinistra risultano maggiormente propensi all’associazionismo rispetto a quelli appartenenti allo schieramento opposto, con la figura 4.3 è interessante notare che essi frequentano prevalentemente – e ben più dei cittadini di destra/centrodestra – le organizzazioni di volontariato (20,1% contro 13,1%), culturali e ricreative (circa 25% contro 20%) e di difesa dell’ambiente e dei diritti umani (8,7% contro 1,1%). Fig. 4.3. Tipo di associazionismo rispetto all’auto-collocazione lungo l’asse sinistra-destra. Valori % di associati a ciascun tipo di associazione Sportiva di praticanti Sportiva di tifosi Culturale Ricreativa Politica Ambientalista/diritti umani Studentesca Volontariato Religiosa/parrocchiale 0,0 5,0 10,0 Centrodestra/Destra 15,0 20,0 25,0 30,0 Sin/Centrosin. All’opposto, i cittadini autocollocatisi sul polo di destra/centro-destra risultano maggiormente propensi a frequentare le organizzazioni religiose25 e parrocchiali (25,7% contro meno del 19% degli elettori di sinistra/centrosinistra) e quelle sportive (cfr. fig. 4.3). 25 Si ricorda che al tema della religiosità è dedicato il sesto paragrafo del presente capitolo. 122 4.4. La fiducia nelle istituzioni La riflessione sin qui condotta su partecipazione, solidarietà e cittadinanza può essere ulteriormente arricchita ponendo l’attenzione sulla fiducia che i cittadini ripongono nelle istituzioni e nei principali gruppi sociali. Come già richiamato in premessa al presente capitolo, l’Italia fin dalla sua Unità si caratterizza per uno scarso sostegno da parte dell’opinione pubblica alle cosiddette istituzioni della democrazia. Il deficit di legittimità delle istituzioni e della politica è un tema studiato da numerosi decenni dalle scienze politiche e sociali; da più parti è stato evidenziato che il sostegno alle istituzioni viene accordato o meno dai cittadini sulla base di due elementi: da una parte, in virtù delle performance che le stesse istituzioni offrono alla collettività; dall’altra, in base ad un legame di tipo affettivo/simbolico26. In un Paese come l’Italia, caratterizzato da una perdurante inefficienza delle istituzioni, a più riprese travolte anche da scandali di varia natura, e da un contesto in cui il senso di identificazione simbolica è particolarmente debole, queste due dimensioni non possono che rafforzarsi reciprocamente, producendo un basso attaccamento e una scarsa fiducia nei confronti delle istituzioni27. Dato questo contesto, si tratta ora di capire se e in che misura esso si presenti anche per la provincia di Forlì-Cesena, territorio caratterizzato, come già richiamato, da una considerevole tradizione civica e da un buon funzionamento delle istituzioni. Il questionario ha anche cercato di ampliare il discorso, considerando non soltanto le istituzioni ma anche diversi gruppi sociali e attori economico-sociali, come i manager delle aziende pubbliche e private, la televisione, ecc. La tabella 4.7 presenta le distribuzioni di frequenza percentuali del giudizio espresso dal campione di intervistati per ciascuna di queste istituzioni e gruppi sociali, mostrando anche il punteggio medio28. Al fine di 26 Cfr. in particolare C. Tullio-Altan, La coscienza civile degli italiani, Udine, Gaspari, 1997 e Ethnos e civiltà, Milano, Feltrinelli, 1995, R. Cartocci, Diventare grandi in tempi di cinismo, Bologna, il Mulino, 2002, J. March, J. Olsen, Riscoprire le istituzioni, Bologna, il Mulino, 1993. 27 Al riguardo, la peculiarità del caso italiano è stata messa chiaramente in luce da diversi studi comparati, a partire da G. Almond, S. Verba (a cura di), The Civic Culture, op. cit., da E. Banfield, Le basi morali di una società arretrata, Bologna, il Mulino, II ed., 1976 e, successivamente, da R. Inglehart, Valori e cultura politica nella società industriale avanzata, Padova, Liviana, 1993 e R. Putnam, Making Democracy Work. Civic Traditions in Modern Italy, op. cit. 28 Il quesito domandava agli intervistati di indicare il proprio grado di fiducia utilizzando una scala compresa fra 1 (“Nessuna fiducia”) e 5 (“Massima fiducia”), per cui il punteggio medio 123 una più immediata lettura, la figura 4.4 presenta la quota percentuale di casi che ha espresso un giudizio positivo, collocandosi sui punteggi 4 e 5. Tab. 4.7. Fiducia nelle seguenti istituzioni/gruppi sociali. Valori % e punteggio medio 1– 2 3 4 5– Totale N Media Nessuna Massima fiducia fiducia Pubblica Amm. 13,3 33,9 37,8 12,0 3,0 100 826 2,58 Insegnanti 3,0 14,9 36,1 36,3 9,7 100 826 3,35 Scuola 4,4 17,1 37,0 31,2 10,3 100 826 3,26 Banche 28,7 33,5 25,2 9,7 2,9 100 827 2,25 Polizia 5,7 15,7 34,7 30,1 13,8 100 827 3,31 Sindacati 21,0 28,5 30,8 14,5 5,2 100 814 2,54 Sacerdoti 22,7 21,1 29,5 17,7 9,0 100 821 2,69 Nato 16,9 27,3 35,1 15,6 5,1 100 800 2,65 Militari carriera 17,4 27,6 32,3 15,0 7,7 100 818 2,68 Politici 49,2 33,2 13,2 3,9 0,5 100 825 1,73 Amministratori 3,4 100 818 2,70 Comune in cui 12,8 27,0 40,3 16,5 vive Chiesa 23,1 23,2 27,7 15,3 10,7 100 822 2,67 Università 3,8 13,7 36,7 34,6 11,2 100 809 3,35 Scienza 1,7 10,4 26,1 36,1 25,7 100 821 3,73 Carabinieri 7,3 17,3 33,8 28,0 13,6 100 825 3,23 Imprese 6,1 24,7 43,4 20,2 5,6 100 821 2,95 Manager grandi 37,9 34,8 18,5 7,3 1,5 100 815 2,00 istituti bancari Manager 36,3 34,5 20,7 6,3 2,2 100 820 2,03 aziende pubbl. Manager grandi 24,5 34,4 29,6 9,1 2,4 100 815 2,31 imprese private Partiti politici 45,7 34,5 14,5 4,0 1,3 100 825 1,80 Unione europea 11,9 21,5 38,9 20,0 7,7 100 818 2,90 Giornali 16,0 30,5 38,0 12,3 3,2 100 821 2,57 Magistrati 11,5 18,1 39,0 22,8 8,6 100 823 2,99 ONU 11,2 20,1 37,4 22,9 8,4 100 812 2,97 Sist. giudiziario 15,7 28,5 33,9 16,5 5,4 100 822 2,67 Televisione 22,5 32,6 30,7 11,6 2,6 100 827 2,39 pubbl. Televisione 27,5 31,8 30,3 8,0 2,4 100 823 2,26 private presentato in tabella non è altro che la media aritmetica dei punteggi presenti sulla scala, trattata in questo caso come variabile cardinale. 124 Emerge in maniera nitida una fiducia considerevole nei confronti della scienza, unico item che raccoglie oltre la metà dei casi (61,8%) sulle modalità di risposta del polo positivo del continuum (risposte 4 e 5 sulla scala 1-5). Si pensi al fatto che l’item posizionato al secondo posto – gli insegnanti – concentra appena il 46% dei casi sulle risposte 4 e 5 (cfr. fig. 4.4 e tab. 4.7). Anche guardando alle medie presentati in tabella 4.7 si nota per la scienza un punteggio decisamente elevato, 3,73, dunque ben al di sopra del valore intermedio (2,5) della scala 1-5. È di rilievo notare come, dopo la scienza, seguano altre due istituzioni del sapere: al secondo posto, come già ricordato, gli insegnanti e al terzo l’università. Va poi sottolineata la distanza posta dagli intervistati fra gli insegnanti – classificati, appunto, al secondo posto con oltre il 46% di giudizi positivi – e la scuola, al sesto posto (41,5% di risposte 4 e 5). E qui forse si ritrova quanto si sottolineava in precedenza sul distacco dei cittadini nei confronti delle istituzioni in quanto tali, rappresentanti di “uno Stato che non funziona”, cui si aggiunge, per la scuola in specifico, il tema delle recenti riforme, nonché dei “tagli” dei finanziamenti attuati in questi ultimi anni. Nel mezzo, al quarto e quinto posto, due delle cosiddette ‘istituzioni d’ordine’: Polizia e Carabinieri. Dopo questo primo blocco di soggetti, tutti concentrati fra il 40 e il 45% di giudizi positivi, si passa a istituzioni che mostrano meno di un terzo di risposte positive: i magistrati (31,3%)29, l’Onu (anche essa con la medesima percentuale di valutazioni positive)30, l’Unione europea (27,8%), seguite da sacerdoti (26,8%) e Chiesa (25,9%). Interessante, ma non sorprendente per quanto sottolineato in precedenza, notare come agli ultimi posti si collochino i soggetti politici: i partiti vedono appena un 5,2% di casi accordare loro una elevata fiducia: quasi la metà dei casi (45,7%) dichiara di non avere alcuna fiducia nei loro confronti, a cui si aggiunge un ulteriore terzo (34,7%) che attribuisce punteggio 2 sulla scala 1-5. Eloquente il punteggio medio, pari a 1,80. Il personale politico ottiene una valutazione ancor meno positiva, con appena il 4,4% degli intervistati collocati sui punteggi 4 e 5, oltre il 49% sul punteggio 1 corrispondente a “Nessuna fiducia” e un altro terzo dei casi collocati sul punteggio 2 (media: 1,73). 29 Anche in questo caso, come per scuola/insegnanti, si rileva un differenziale di fiducia fra magistrati (31,3%) e sistema giudiziario (21,9%). 30 Il dato rilevato da Eurobarometro indica una fiducia nell’Organizzazione delle Nazioni Unite da parte degli italiani al 41% (cfr. Eurobarometro, Eurobarometro 69. Opinione pubblica nell’Unione europea. Primavera 2008, 2009). 125 Fig. 4.4. Fiducia nelle seguenti istituzioni/gruppi sociali. Risposte 4 e 5 (valori % in ordine decrescente) 70 60 50 40 30 20 10 0 Anche in questo caso, non si ravvisano particolari novità rispetto alle graduatorie emerse da varie indagini realizzate in questi decenni, a partire da quelle condotte periodicamente dall’Eurobarometro. Per maggiori dettagli sui risultati delle survey svolte periodicamente condotte a livello europeo, si rimanda al relativo sito web dell’Eurobarometro31, comunque evidenziando già in questa sede che, in generale, si conferma la maggiore fiducia accordata alle istituzioni d’ordine32, alla Chiesa e a quelle sopranazionali, con gli ultimi posti occupati dalle istituzioni nazionali: «mentre le istituzioni europee sostanzialmente reggono al test della fiducia tra gli italiani, continua invece il tracollo delle autorità nazionali. La forte disillusione nei confronti della politica si manifesta con dati lampanti: il Parlamento italiano in quanto istituzione riscuote la fiducia soltanto del 16% degli intervistati, e il governo appena del 15%»33. 31 http://ec.europa.eu/public_opinion. Anche dalla più recente indagine Itanes, realizzata in occasione delle ultime elezioni politiche (2008), al di là della differente operazione delle domande e degli item utilizzati, emergeva chiaramente l’elevata fiducia riposta dagli italiani nelle cosiddette istituzioni d’ordine, che godono di un giudizio positivo da parte della maggioranza degli intervistati, al pari del Presidente della Repubblica e distanziando assai considerevolmente i partiti e il Parlamento. Cfr. Itanes, Il ritorno di Berlusconi. Vincitori e vinti nelle elezioni del 2008, Bologna, il Mulino, 2008. 33 Cfr. Eurobarometro, Eurobarometro 69, op. cit. 32 126 Al terz’ultimo posto si collocano poi i manager delle grandi imprese pubbliche, probabilmente visti come attori strettamente connessi alla classe politica. Da notare come, rispetto agli attori politici, si registri un giudizio decisamente più favorevole nei confronti delle amministrazione dei comuni in cui vivono gli intervistati, con circa un quinto dei casi (19,8%) collocati sui punteggi 4 e 5 e una media di sintesi pari a 2,70 (cfr. tab. 4.7). Sembra dunque di assistere ad una fuga34 dalla politica nazionale, o verso la dimensione sovranazionale (l’Unione europea, l’Onu e, seppur più distaccata, la Nato) o verso la dimensione locale, o comunque verso soggetti con una scarsa caratterizzazione politica, come le istituzioni d’ordine (Polizia, Carabinieri), o religiose, o formative/scientifiche o, infine, appartenenti al mondo dell’impresa privata. Da evidenziare, in chiusura di questa disamina, la scarsa fiducia di cui risultano godere i mezzi di comunicazioni televisivi, sia pubblici (14,1% di giudizi positivi) che, soprattutto, privati (10,4%). 4.5. L’attenzione e la sensibilità per l’ambiente Un altro tema a cui si è deciso di dedicare attenzione con la presente ricerca è quello ambientale, in specifico rilevando il grado di sensibilità dei cittadini della provincia di Forlì-Cesena rispetto alle tematiche ambientali, vista la centralità che questa dimensione a ormai assunto nel dibattito politico35 ed economico-sociale36. Con un primo quesito, si è domandato ai soggetti coinvolti nell’indagine una valutazione sulla rilevanza che viene oggi attribuita al tema dei cambiamenti climatici. Oltre il 61% degli intervistati ritiene che la questione ambientale e del clima sia sottovalutata e che sia più grave di quanto si dica. Quasi il 31% dei casi pensa che le sia attribuita la giusta rilevanza e solamente l’8% ritiene invece che sia sopravvalutata. Da elaborazioni di natura bivariata rispetto alle principali variabili socio-demografiche già in precedenza utilizzate, emerge che la questione ambientale è considerata sottovalutata più dalle persone con un livello di 34 Chiaro richiamo al concetto di exit della tipologia di Hirschmann Exit, Voice, Loyalty (defezione, protesta, lealtà). Cfr. A. Hirschmann, Exit, Voice, Loyalty, Cambridge, Harvard University Press, 1970, trad. it. Lealtà, defezione, protesta, Milano, Bompiani, 1982. 35 Basti pensare al recente dibattito a proposito dei referendum del 12-13 giugno 2011 relativi alle “Modalità di affidamento e gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica” (titolo del referendum) ed in particolare al tema della gestione dei servizi idrici. 36 Tra gli altri, cfr. D. Bianchi, G. Gamba (a cura di), Ambiente Italia 2007. La gestione dei conflitti ambientali, Milano, Edizioni Ambiente, 2007. 127 istruzione superiore (e in particolare dai laureati) e dalle classi di età più giovani, senza particolari distinzioni, invece, rispetto al genere. Interessante è anche notare una certa divaricazione rispetto all’asse sinistra-destra, con l’elettorato di sinistra e di centro-sinistra che più di frequente ritiene che il tema dovrebbe essere considerato più grave di quanto oggigiorno si faccia. Tab. 4.8. Grado di accordo con le seguenti affermazioni. % rispondenti che ha indicato 4 o 5 (“Completamente” o “Molto d’accordo”) e punteggio medio rispetto alla scala 1-5 % Media Sarei d’accordo per un aumento delle tasse se venisse usato per prevenire danni ambientali Comprerei cose che costano il 20% in più se questo aiutasse a proteggere l’ambiente I problemi ambientali non possono essere risolti individualmente, senza una politica seria Ciascuno nel proprio quotidiano può contribuire significativamente alla tutela dell’ambiente 24,6 2,37 27,0 2,53 66,5 4,19 64,8 4,19 Come si evince dalla lettura della tabella 4.8, circa un quarto degli intervistati si dichiara completamente o molto d’accordo con un aumento delle tasse che fosse finalizzato a prevenire danni ambientali (24,6% di casi sulle modalità 4 e 5 della scala 1-5) e con l’acquisto di beni ad un prezzo maggiorato del 20% se questo aiutasse a proteggere l’ambiente (27%). Ma sono gli altri due item previsti dalla domanda del questionario ad avere registrato maggiori consensi da parte degli intervistati: circa due terzi dei casi, infatti, si dichiara d’accordo con l’affermazione secondo cui “i problemi ambientali non possono essere risolti individualmente, senza una politica seria” (66,5%) e con quella in base alla quale “ciascuno nel proprio quotidiano può contribuire significativamente alla tutela dell’ambiente” (64,8%). Proprio legandosi a quest’ultima affermazione, si sono voluti indagare i comportamenti che i cittadini effettivamente compiono nel quotidiano per la tutela dell’ambiente (cfr. tab. 4.9). Anche in questo caso, dopo aver presentato le distribuzioni di frequenza percentuali per ciascun item (cfr. tab. 4.9), si è inserita una rappresentazione grafica che mostra la quota percentuale di casi che dichiara 128 di adottare il singolo comportamento “sempre o spesso”, ossia considerando la sola prima opzione di risposta delle quattro previste37. Si osserva così chiaramente come il comportamento adottato maggiormente dagli intervistati sia la raccolta differenziata dei rifiuti, realizzata da circa due intervistati su tre (65,8%). A questo proposito, si possono ricordare i dati ufficiali pubblicato nel Rapporto di Legambiente/«Il Sole-24 ore» Ecosistema Urbano38, che – per quanto concerne l’indicatore relativo alla percentuale di raccolta differenziata sul totale dei rifiuti prodotti – registra per il capoluogo di Forlì un valore del 38%39, collocando la città al trentasettesimo posto40 (l’anno precedente, con il 31,5%, si era collocata al trentanovesimo posto)41. Del resto, anche da ulteriori studi e analisi è emerso come il territorio forlivese e cesenate si caratterizzi per una certa attenzione alla qualità ambientale e per un buon funzionamento dei servizi pubblici locali di gestione dei rifiuti e dei servizi idrici. Uno studio condotto nel 2008 ha preso in considerazione diversi indicatori di efficienza e qualità dell’ambiente e dei servizi relativi all’acqua e ai rifiuti a partire da varie fonti (raccolta differenziata dei rifiuti, efficienza della rete idrica in termini di minor dispersione, capacità di depurazione delle acque reflue), collocando Forlì-Cesena al trentaquattresimo posto delle 103 province considerate, dunque nel primo terzo della graduatoria finale42. Tra i comportamenti virtuosi maggiormente adottati dai cittadini interpellati, dopo la raccolta differenziata dei rifiuti, si trova, poco distanziato (62,7%), l’acquisto e l’utilizzo di elettrodomestici e di lampadine a basso consumo energetico. 37 Testo della domanda: “Quali dei seguenti comportamenti Lei/la sua famiglia adotta per la tutela dell’ambiente?” - opzioni di risposta: “Sì, sempre o spesso”; “Sì, qualche volta o raramente”; “No, ma penso che lo adotterò in futuro”; “No e non penso che lo adotterò in futuro”. 38 Cfr. Legambiente, Ecosistema urbano 2010. XVI Rapporto sulla qualità ambientale dei comuni capoluogo di provincia, Roma, Legambiente, 2010, rapporto di ricerca. 39 Si tratta di un dato di natura differente rispetto a quello derivante dall’indagine in questa sede presentata: Legambiente fa riferimento alla quota di rifiuti prodotti destinati alla raccolta differenziata, mentre il questionario della rilevazione in questa sede presentata chiedeva semplicemente ai cittadini se fanno ricorso alla raccolta differenziata, evidenziando un 65,8% di casi che risponde affermativamente (“Sempre o spesso”) 40 Cfr. sito web www.ilsole24ore.com/speciali/ecosistema2009/ecosistema2009_tipologie_ raccolta_differenziata.shtml (ultimo accesso 21 agosto 2011). 41 Cfr. Legambiente, Ecosistema urbano 2009. XV Rapporto sulla qualità ambientale dei comuni capoluogo di provincia, Roma, Legambiente, 2009, rapporto di ricerca. 42 Cfr. R. Cartocci, V. Vanelli, Acqua, rifiuti e capitale sociale in Italia. Una geografia della qualità dei servizi pubblici locali e del senso civico, Bologna, Misure / Materiali di ricerca dell’Istituto Cattaneo, 2008. 129 Dalla tabella 4.9 si può inoltre notare che è del tutto marginale la quota di cittadini che dichiara che non intende adottare questi due comportamenti maggiormente diffusi. Tab. 4.9. Frequenza con cui viene adottato ciascuno dei seguenti comportamenti Sì, Sì, No, ma No e non Totale N sempre qualche lo adotterò o spesso volta adotterò in futuro in futuro Raccolta differenziata 65,8 21,9 8,2 4,1 100,0 826 Acquisto e utilizzo elettrodomestici e lampadine a basso consumo Riduzione consumi acqua Acquisto prodotti biologici Riduz. acquisto prodotti usa e getta Utilizzo carta riciclata Acquisto oggetti con confezioni ridotte o riciclabili Maggiore uso mezzi pubblici Riduzione uso auto o moto Utilizzo veicoli meno inquinanti (es., auto elettrica) Utilizzo bicicletta Utilizzo detersivi meno inquinanti Acquisto prodotti a Km. zero Utilizzo energie alternative (es. pannelli solari) 62,7 25,8 8,1 3,4 100,0 824 47,6 12,5 36,6 39,0 10,7 21,7 5,1 26,8 100,0 828 100,0 824 26,4 32,8 21,0 19,8 100,0 815 21,5 34,0 22,4 22,1 100,0 827 22,0 30,2 24,8 23,0 100,0 817 14,9 14,1 19,7 51,3 100,0 817 20,2 24,1 17,9 37,8 100,0 814 12,1 6,3 26,2 55,4 100,0 810 38,6 35,2 11,0 15,2 100,0 824 21,5 29,4 28,9 20,2 100,0 804 25,4 25,6 25,3 23,7 100,0 814 5,4 3,7 43,2 47,7 100,0 814 Il terzo tipo di condotta più di frequente adottato risulta piuttosto distanziato: si tratta della riduzione dei consumi dell’acqua, realizzato “sempre o spesso” da meno della metà degli intervistati (47,6%). Al quarto posto, distaccato di quasi altri dieci punti percentuali (38,6%), il maggior utilizzo della bicicletta come mezzo di trasporto. Seguono, realizzati “sempre o spesso” da circa un quarto degli intervistati, la riduzione dell’acquisto di prodotti “usa e getta” e un maggior ricorso ai cosiddetti “prodotti a chilometri zero”. La graduatoria si chiude con il ricorso a fonti energetiche alternative, a cui fa attualmente ricorso appena il 5,4% dei casi, l’utilizzo di mezzi di 130 trasporto meno inquinanti come l’auto elettrica (12,1%) e l’acquisto di prodotti biologici (12,5%)43. Fig. 4.5. Frequenza con cui viene adottato ciascuno dei seguenti comportamenti. % casi che indica di adottarli “Sempre o spesso” 70 60 50 40 30 20 10 0 Dopo aver analizzato ciascuno di questi comportamenti, diviene di rilievo procedere all’analisi della correlazione delle risposte fornite dalle imprese per ciascuna coppia di item, al fine di comprendere quali siano le azioni e i comportamenti fra loro convergenti. In altre parole, si vuole comprendere se il ricorso ad un determinato comportamento (risposte “sempre o spesso” o “qualche volta”) si accompagni anche ad altri comportamenti o se, all’opposto, ad esso corrisponda a uno scarso ricorso ad altri comportamenti/azioni. A tal scopo, si è calcolato, per ciascuna coppia di item, il coefficiente di correlazione r di Pearson, che indica, di fatto, quanto due variabili variano insieme rispetto a quanto ciascuna varia per conto proprio44. Senza presentare la relativa tabella, si può sottolineare che si sono ottenuti soltanto valori positivi, a denotare che, tendenzialmente, i cittadini che abitualmente seguono uno dei comportamenti attenti all’ambiente 43 A questo proposito, si ricorda che l’Emilia-Romagna è la prima regione nel Nord Italia per numero di operatori biologici e la prima in Italia per mense biologiche e consumo del biologico (cfr. sito web www.ermesagricoltura.it). 44 Cfr. A. Marradi, Linee guida per l’analisi bivariata nelle scienze sociali, Milano, FrancoAngeli, 1997. 131 svolgono anche le altre azioni e, viceversa, che chi non ne segue uno tende a non compiere nemmeno le altre azioni indicate in tabella 4.845. Per alcune coppie di item la relazione risulta poi particolarmente forte, come fra l’utilizzo dei mezzi pubblici e la riduzione dell’uso dell’auto (r = 0,54), così come fra l’acquisto di oggetti con confezioni e imballaggi ridotti e l’utilizzo di carta riciclata (0,54) e fra i due comportamenti maggiormente diffusi – il conferimento differenziato dei rifiuti e l’acquisto di elettrodomestici e lampadine a basso consumo energetico (0,48) – e altri ancora. Tramite il coefficiente di correlazione si è così potuta appurare la vicinanza statistico-sintattica fra questi diversi comportamenti, che da un punto di vista del significato possono essere letti tutti come indicatori di attenzione e sensibilità al tema ambientale che si traduce anche in corrispondenti azioni e comportamenti quotidiani. Pertanto, così evidenziata la relazione sintattico-statistica fra queste dimensioni e tematizzata la parziale sovrapposizione semantica46 fra le stesse in quanto tutte afferenti al tema della coscienza e della sensibilità ambientale, si ritiene corretto – e certamente utile ed efficace da un punto di vista descrittivo ed esplicativo del fenomeno qui studiato – procedere alla costruzione di un indice di sintesi. Per la costruzione dell’indice si è proceduto alla ricodifica di ciascuna variabile, attribuendo, per ciascun comportamento/azione, il punteggio 2 a chi ha risposto “sempre o spesso”, il punteggio 1 a chi ha risposto “qualche volta” e 0 a chi ha dichiarato di non tenere quel comportamento (“No, ma penso che lo adotterò in futuro” e “No e penso che non lo adotterò in futuro”). Poiché si tratta di 14 variabili, l’indice così calcolato assume un intervallo di valori compreso fra 0 (per chi ha ottenuto il punteggio di 0 su ciascun item, ossia per chi non svolge nessuna delle azioni in questa sede prese in considerazione) e 28 per chi ha ottenuto il punteggio di 2 si ciascuno di essi, ossia per chi dichiara di svolgere “sempre o spesso” ciascuna delle azioni previste). Al fine di una più immediata lettura, l’indice così calcolato è stato poi normalizzato e traslato alla scala 0-1047, in modo da cogliere più distintamente le differenze nelle analisi che seguiranno. 45 Si ricorda che il coefficiente di correlazione r ha un campo di variazione teorico compreso fra +1 - in caso di perfetta correlazione positiva - e –1, in caso di perfetta correlazione negativa (cfr. P. Corbetta, Metodologia e tecniche della ricerca sociale, Bologna, il Mulino, 1999). 46 Sulla distinzione fra legami semantici e sintattici, vedi R. Cartocci, Diventare grandi in tempi di cinismo, Bologna, il Mulino 2002 e L. Ricolfi, Sul rapporto di indicazione: l’interpretazione semantica e l’interpretazione sintattica, in «Sociologia e ricerca sociale», n. 39, 1992, pp. 57-79. 47 xi * = xi − x min *10 x max − x min 132 Dalla figura 4.6, che presenta la distribuzione di frequenza percentuale dei casi rispetto all’indice finale 0-10 così calcolato, si evince chiaramente come la maggior parte degli intervistati si collochi in posizione intermedia: circa un terzo dei casi (34,6%) assume punteggi compresi fra 4 e 6 e oltre il 61% fra 3 e 7. Sono appena 17 (2,3%) i casi che ottengono punteggio 0, ossia che risultano non seguire alcuno dei comportamenti in questa sede presi in considerazione, mentre, all’opposto, si registrano appena 2 casi con il punteggio massimo, ossia che dichiarano di seguire regolarmente tutti i comportamenti considerati (cfr. fig. 4.6). Fig. 4.6. Distribuzione di frequenza percentuale dell’indice di comportamenti ecocompatibili 8 7 6 5 4 3 2 1 0 0 5 10 Il punteggio medio risulta pari a 4,1, dunque inferiore al midrange (valore intermedio 5 della scala 0-10) di circa un punto, a denotare un minimo di asimmetria e dunque una maggiore concentrazione dei casi nella prima metà (0-5) del continuum. Del resto, collocarsi sul midrange significa, ad esempio, aver ottenuto il punteggio di 2 sulla metà degli item oppure il punteggio di 1 su tutti i 14 item previsti. Si prosegue ora l’analisi studiando la relazione fra questo indice di atteggiamento e comportamento ambientalista e le principali variabili indipendenti sin qui utilizzate (cfr. tab. 4.10). L’analisi viene condotta semplicemente accertando se e quanto la variabilità della scala cardinale – l’indice – sia vincolata all’articolazione in categorie delle diverse variabili indipendenti. 133 Tab. 4.10. Punteggio medio sull’indice di comportamento eco-compatibile rispetto ad alcune variabili indipendenti Punteggio medio sull’indice di comportamenti eco-compatibili Sesso Maschio 3,90 Femmina 4,31 Età 15-29 anni 30-49 anni 50-64 anni 65 anni e oltre 3,91 4,14 4,32 3,91 Distretto residenza Forlì Cesena-Valle Savio Rubicone-Costa 4,49 4,04 3,47 Luogo di nascita Provincia di Forlì-Cesena Altra provincia Emilia-Romagna Altra regione italiana Estero 4,16 3,74 4,09 3,92 Titolo di studio Fino a licenza elementare Licenza media o qualifica Diploma di maturità Laurea o post-laurea 3,61 4,11 4,14 4,34 Status occupazionale Dirigenti, quadri, funzionari Impiegati di concetto e insegnati Impiegati esecutivi e operai Imprenditori e liberi professionisti Artigiani, commercianti Pensionati Casalinghe Studenti 4,23 4,20 4,03 4,08 4,40 3,84 4,55 3,86 Collocazione politica Sinistra/Centro-sinistra Centro-destra/Destra 4,60 3,75 134 Con la tabella 4.10 si procede pertanto al confronto delle medie dei punteggi registrati sull’indice per ciascun sotto-insieme di casi compresi in ciascuna categoria delle variabili indipendenti. Si nota così, in primo luogo, un punteggio medio più elevato per le donne (4,31) rispetto agli uomini (3,90). In secondo luogo, rispetto all’età, si rileva come il punteggio sull’indice – dunque l’atteggiamento e il comportamento maggiormente sensibile dal punto di vista ambientale – aumenti al crescere dell’età, fino ai 64 anni, per poi diminuire nuovamente in corrispondenza alla classe degli ultra-64enni. Da un punto di vista territoriale, il distretto che, stando a quanto dichiarato dagli intervistati, risulta maggiormente virtuoso da un punto di vista della sensibilità ambientale è quello di Forlì (4,49), seguito a distanza da quello di Cesena-Valle Savio (4,04), che a sua volta stacca quello del Rubicone-Costa, attestato a 3,47. Si evidenzia poi che i cittadini nati nella provincia di Forlì-Cesena sono quelli che mostrano i punteggi più elevati (4,16). Assai nitida risulta la relazione con il titolo di studio, con un aumento dei comportamenti virtuosi – e dei punteggi sull’indice – al crescere del livello di istruzione degli intervistati: si passa dal 3,61 per i casi in possesso al massimo della licenza elementare al 4,11 di quelli con la licenza media, al 4,14 per i diplomati per chiudere con il 4,34 dei laureati. La relazione che si individua con riferimento allo status lavorativo – con una minore sensibilità ambientale da parte degli studenti, dei pensionati ed altresì di operai e impiegati esecutivi – è probabilmente spiegabile in base a quanto poc’anzi descritto in merito all’età e al livello di istruzione. Interessante infine osservare come coloro che si considerano di sinistra/centrosinistra assumano sull’indice punteggi assai più elevati degli auto-collocatisi sul polo di destra/centrodestra (4,60 contro 3,75). 4.6. La religiosità Un ultimo tema che si è deciso di esplorare nell’ambito degli orientamenti valoriali dei cittadini di Forlì-Cesena è la religiosità. Si tratta di un tema assai ampio, complesso e poliedrico, che si presta a rilevazioni, letture e analisi su più livelli. Tuttavia, essendo un tema marginale rispetto all’economia del presente progetto di ricerca, con il questionario si è circoscritto il campo soltanto ad alcuni, centrali, aspetti. Si è in primo luogo domandato all’intervistato se sente di appartenere ad una qualche confessione religiosa e, nel caso, a quale, per poi rilevare la frequenza alle funzioni religiose. Va da sé che si tratti di una drastica 135 semplificazione della realtà, escludendo dall’indagine le altre dimensioni spirituali, di esperienza di fede, ecc. inaccessibili all’osservatore esterno. D’altra parte, è altrettanto vero che la partecipazione ai riti è un elemento centrale dell’esperienza religiosa48. «Nel rito si attua la connessione tra il mondo terreno e il trascendente, nonché l’esperienza simbolica della compartecipazione con i fratelli nella fede»49. Come sottolineato da Guizzardi, la frequenza alla messa domenicale «costituisce il più semplice e ricorrente momento in cui la religione cattolica è istituzionalizzata in quanto religione e non quale istituzione avente altri contenuti”»50. Il tema della partecipazione alle funzioni religiose sarà ripreso tra breve; si vuole però prima considerare il senso di appartenenza ad una confessione religiosa. Al relativo quesito hanno risposto affermativamente oltre due intervistati su tre (68%), dichiarandosi nella quasi totalità dei casi (93,1%) cattolici; sono poi presenti musulmani (3%, essenzialmente cittadini provenienti da Paesi stranieri) e cristiani non cattolici, a partire dai protestanti (anche in questo caso principalmente persone di origine non italiana)51. Fra coloro che hanno dichiarato di appartenere a una confessione religiosa, il 39,7% frequenta le funzioni religiose almeno una volta alla settimana e il 13,5% qualche volta al mese. Si tratta però di percentuali calcolate considerando esclusivamente coloro che dichiarano di appartenere a una confessione religiosa, dunque valori che sull’intero campione risulterebbero in realtà meno elevati. Pare pertanto opportuno, per proseguire nell’analisi, costruire una tipologia che consideri, appunto, le risposte alle diverse domande sin qui presentate. Si giunge così alla tipologia presentata in tabella 4.11. Emerge che i cattolici praticanti sono circa un quarto (24%) del totale degli intervistati, mentre quelli non praticanti sono il 39%. Gli atei, agnostici, non credenti (categoria in cui si possono far ricadere tutti coloro che dichiarano di non appartenere ad alcuna confessione religiosa) sono circa un terzo (32,3%); completano il quadro il 4,7% di casi appartenenti ad altre confessioni religiose (cfr. tab. 4.11). 48 Cfr., tra gli altri, G. LeBras, 1955-56 Etudes de sociologie religieuse, Paris, Presses universitaries de France, trad. it. Studi di sociologia religiosa, Milano, Feltrinelli, 1969; J. Cazeneuve, La sociologia del rito, Milano, Il Saggiatore, 1974; V. Turner, Dal rito al teatro, Bologna, il Mulino, 1986; C. Geertz, Interpretazione di culture, Bologna, il Mulino, 1987. 49 R. Cartocci, Geografia dell’Italia cattolica, Bologna, il Mulino, 2011. 50 G. Guizzardi, Cattolicesimo e religiosità. Alcune tendenze in G. Brunetta, L. Longo (a cura di), Italia cattolica, Firenze, Vallecchi, 1991, p. 293. 51 Va precisato che fra gli intervistati nati all’estero, i musulmani costituiscono quasi il 29% dei casi, mentre i cattolici sono il 51% circa. 136 Tab. 4.11. Confessione religiosa e pratica. Distribuzione % Cattolici praticanti Cattolici non praticanti Appartenenti ad altra confessione religiosa Non appartenenti ad alcuna confessione religiosa Totale N % 24,0 39,0 4,7 32,3 100,0 824 Il dato medio nazionale, rilevato dall’Istat per il 200952, mostra una incidenza di praticanti pari al 32,5%, dunque ben più elevato del 24% registrato per la provincia di Forlì-Cesena con la rilevazione al centro del presente report. Questo dato provinciale risulta invece in linea con quello rilevato dall’Istat per l’Emilia-Romagna (22,4%)53. Si deve precisare, poi, che diversi studi hanno evidenziato che gli indicatori di partecipazione alla messa sovrastimano la frequenza effettiva54, per una molteplicità di fattori. In primo luogo, perché è una tipica situazione in cui l’attendibilità della risposta può essere distorta per effetto della cosiddetta “desiderabilità sociale” ossia «la valutazione, socialmente condivisa, che in una certa cultura viene data ad un certo atteggiamento o comportamento individuale»55, per cui vi sono atteggiamenti e comportamenti giudicati negativamente dalle norme collettive di una certa società, mentre altri ricevono valutazioni positive. Se un atteggiamento o un comportamento «è fortemente connotato in senso positivo o negativo in una certa cultura, una domanda che abbia questo come oggetto può dare luogo a risposte fortemente distorte, in quanto l’intervistato può essere riluttante a rivelare opinioni o comportamenti che ritiene indesiderabili e può essere tentato di dare di sé la migliore immagine 52 Cfr. Istat, La vita quotidiana nel 2009. Indagine multiscopo annuale sulle famiglie «Aspetti della vita quotidiana». Anno 2009, Roma, 2010. 53 Ibidem. Si ricorda che l’indagine Istat fornisce i dati disaggregati soltanto fino al livello regionale. 54 Si possono ricordare, tra gli altri, P. Ignazi e E. Spencer Wellhofer, Votes and Votive Candles: Modernization, Secularization, Vatican II, And the Decline of Religious Voting in Italy: 1953-1992, in «Comparative Political Studies» di prossima pubblicazione, A. Castegnaro e G. Dalla Zuanna, Studiare la pratica religiosa: differenze tra rilevazione diretta e dichiarazione degli intervistati sulla frequenza alla messa, in «Polis», vol. 20, n. 1, 2006, pp. 85-110, M. Pisati, La domenica andando alla messa. Un’analisi metodologica e sostantiva di alcuni dati sulla partecipazione degli italiani alle funzioni religiose, in «Polis», vol. 14, n. 1, 2000, pp. 115-136, T.W. Smith, A Review of Church Attendance Measures, in «American Sociological Review», vol. 63, n. 1, 1998, pp. 131-136. 55 P. Corbetta, La ricerca sociale: metodologia e tecniche, Bologna, il Mulino, 2003, p. 137. 137 possibile, anche se poco veritiera»56. A ciò si aggiunge poi un’altra serie di effetti distorsivi di rilievo57, strettamente connessi al precedente, descritti in dettaglio da Castegnaro e Dalla Zuanna proprio con riferimento alla rilevazione della pratica religiosa58: innanzitutto il cosiddetto ‘effetto telescopio’, in base al quale le persone chiamate a rispondere alle domande di un questionario, guardando al passato, tendono a dare più rilevanza ai comportamenti che ritengono più vicini a quelli considerati giusti e a non riportare quelli ritenuti riprovevoli, per cui gli intervistati potrebbero attribuire alla domanda relativa alla partecipazione alla messa un diverso significato, interpretandola come «rilevazione del livello di adesione generale alla chiesa e alla propria religione, piuttosto che come rilevazione puntuale di un comportamento»59. Tutto ciò per sottolineare come il peso della pratica religiosa cattolica, che per la provincia di Forlì-Cesena risulta riguardare meno di un quarto degli intervistati, potrebbe essere in realtà sovra-dimensionato, ad evidenziare la forza con cui il processo di secolarizzazione ha investito questi territori nel corso degli ultimi decenni60. Basti ricordare che nella ricerca condotta di recente da Cartocci61 finalizzata alla rilevazione del livello di secolarizzazione nelle province italiane sulla base di una pluralità di indicatori, Forlì-Cesena risulta la diciannovesima provincia maggiormente secolarizzata d’Italia. Diviene pertanto ancor più rilevante cercare di comprendere in quali fasce della popolazione di Forlì-Cesena sia maggiormente presente la pratica religiosa. Dalla tabella 4.12 si rileva innanzitutto una maggior religiosità e pratica cattolica fra le donne: queste ultime risultano osservanti nel 30,8% dei casi, contro il 17,7% registrato per gli uomini. I cattolici non praticanti sono circa il 38-39% per entrambe i generi. Di converso, le donne che dichiarano di non avere alcuna appartenenza religiosa sono il 26,3% dei casi, a fronte del 38% degli uomini. 56 Ibidem. Questi aspetti sono illustrati con maggior dettaglio in R. Cartocci, Geografia dell’Italia cattolica, op. cit., cap. 2. 58 A. Castegnaro e G. Dalla Zuanna, Studiare la pratica religiosa, op. cit. 59 Ibidem. 60 Sul tema, cfr. L. Ricolfi, Il processo di secolarizzazione in Italia nel dopoguerra, in «Rassegna italiana di sociologia», vol. 29, 1988, pp. 37-87, F. Garelli, Forme di secolarizzazione nella società contemporanea. Il caso italiano, in «Rassegna Italiana di Sociologia», vol. 29, n. 1, 1998, pp. 89-123, R. Cartocci, Fra Lega e Chiesa, op. cit. 61 Cfr. R. Cartocci, Geografia dell’Italia cattolica, op. cit. 57 138 Tab. 4.12. Confessione religiosa e pratica per genere ed età Cattolici Cattolici ApparteNon praticanti non nenti a altra appartepraticanti confess. nenti a religiosa confess. religiosa 12,0 30,1 7,3 50,6 M 15-29 13,4 40,7 8,1 37,8 30-49 22,0 41,0 0,0 37,0 50-64 29,0 46,4 0,0 24,6 65 e oltre 17,7 39,6 4,7 38,0 Totale F 15-29 30-49 50-64 65 e oltre Totale 11,4 25,9 35,1 60,0 30,8 46,8 37,0 40,4 27,7 38,3 5,1 8,0 2,2 0,0 4,6 36,7 29,0 22,3 12,3 26,3 Totale N 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 83 172 100 69 424 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 79 162 94 65 400 Dalla lettura della tabella 4.12 emerge poi un’altra evidenza: l’incremento della pratica religiosa cattolica all’aumentare dell’età62 sia per gli uomini che per le donne63. Si rileva inoltre come il differenziale fra uomini e donne si ampli al crescere dell’età. Ciò è evidente anche dalla rappresentazione grafica di figura 4.7, che offre una maggiore disaggregazione dell’età degli intervistati. Fino a 40 anni, per gli uomini l’incidenza dei praticanti cattolici regolari rimane costante al 12%, mentre per le donne cresce fino dal 18% dei 15-19enni al 23,6% delle trentenni. Dopodichè, mentre per gli uomini si registra una crescita che tuttavia si limita a portare al 25% i praticanti per tutta le fasce di età successive (compresa quella dei settantenni), per le donne fra i 40 e i 60 anni la quota di cattoliche praticanti si avvicina al 30%, per poi crescere in maniera particolarmente marcata per le sessantenni (49,3%) e per le settantenni (67,6%). 62 Sebbene non presentato in tabella, si può citare il dato relativo all’intero campione di uomini e donne insieme: i cattolici praticanti sono meno del 12% fra i 15-29enni, aumentano a quasi il 20% per gli intervistati di 30-49 anni, per poi crescere ulteriormente al 28,4% fra i 50-64enni e al 44% fra le persone di almeno 65 anni. 63 La tendenza risulta in linea con quella delineata con le indagini multiscopo Istat (al riguardo, cfr. R. Cartocci, Geografia dell’Italia cattolica, op. cit., cap. 2. 139 Fig. 4.7. Incidenza praticanti cattolici per genere ed età 80 70 60 50 40 30 20 10 0 15-19 20-29 30-39 40-49 Uomini 50-59 60-69 70+ Donne Da notare come nella già citata rielaborazione dei dati Istat condotta in Geografia dell’Italia cattolica64 a livello nazionale emerge un incremento del divario fra uomini e donne fino ai 59 anni e poi un progressivo riavvicinamento fra i generi per le classi più anziane della popolazione, in particolare per gli over-74enni. Stando ai dati della presente indagine, invece, per Forlì-Cesena si rileva un incremento della pratica cattolica al crescere dell’età, ma questa sembra riguardare in particolare le donne, mentre gli uomini, indipendentemente dall’età, tendono a presentare in generale una scarsa pratica cattolica. Non è naturalmente questa la sede per approfondire ulteriormente il tema, per cui ci si limita a richiamare il ruolo che certamente giocano gli effetti coorte e ciclo di vita illustrati nei precedenti paragrafi, rammentando la forte tradizione di repubblicanesimo – dalle venature anticlericali – del territorio romagnolo65. Da ulteriori analisi, in un primo momento, si era poi evidenziata una relazione con il livello di istruzione, con quote più elevate di praticanti fra le persone meno istruite. Si è tuttavia notato che si trattava di una relazione indiretta, dal momento che il legame causale fra le due variabili è in realtà mediato dalle dimensioni sopra considerate, il genere e, soprattutto, l’età: le 64 Ibidem. Cfr. L. Lotti, I repubblicani in Romagna dal 1894 al 1915, Faenza, Lega, 1957, M. Ridolfi, Il partito della Repubblica: i repubblicani in Romagna e le origini del Pri nell'Italia liberale (1872-1895), Milano, FrancoAngeli, 1990. 65 140 persone in possesso di un basso livello di istruzione risultano maggiormente praticanti perché in questa categoria ricade la maggior parte degli anziani – e specificamente delle anziane – che costituiscono il sotto-insieme maggiormente osservante. Tanto che se nell’analisi della relazione fra pratica cattolica e titolo di studio si inserisce l’età come variabile di controllo, si nota come il livello di istruzione eserciti una assai limitata influenza (ad esempio, fra gli over-64enni, la quota di praticanti è pressoché identica fra le persone in possesso della sola licenza media e fra i laureati). Tornando poi al tema dell’associazionismo, trattato nei precedenti paragrafi, si può sottolineare una maggiore tendenza all’associazionismo da parte dei cattolici praticanti: se nell’intero campione si registrava (cfr. tab. 4.5) il 43% circa di non associati, il 24,2% di monoassociati e il 32,6% di multiassociati, fra i cattolici osservanti si rileva una minor incidenza dei non associati (29,2%), una quota leggermente più elevata di monoassociati (26,2%) e, soprattutto, un peso decisamente maggiore dei multiassociati (44,6%). Si deve aggiungere che questi valori percentuali sono determinati innanzitutto dal differente grado di adesione alle organizzazioni religiose e parrocchiali: come facilmente ipotizzabile, vi aderiscono oltre il 60% dei cattolici praticanti e appena il 9% del resto del campione (cfr. fig. 4.8). Fig. 4.8. Tipo di associazionismo rispetto alla pratica religiosa cattolica. Valori % di associati a ciascun tipo di associazione Sportiva di praticanti Sportiva di tifosi Culturale Ricreativa Politica Ambientalista/diritti umani Studentesca Volontariato Religiosa/parrocchiale 0,0 10,0 20,0 30,0 Resto del campione 40,0 50,0 60,0 70,0 Cattolici praticanti 141 I cattolici osservanti esibiscono una quota percentuale più elevata anche di aderenti ad organizzazioni di volontariato (27,4% contro 12,3% per il resto del campione), ma anche questo dato era prevedibile data la natura cattolica di parte considerevole delle associazioni e del terzo settore che opera nel campo del volontariato e del sociale. Rispetto agli altri tipi di associazioni non si notano invece differenze di rilievo fra intervistati cattolici e non, a parte un minor peso dei primi nelle organizzazioni sportive (di pratica e di tifo), da imputare essenzialmente al fatto che si tratta di realtà dalla forte connotazione giovanile, a fronte, invece, dell’età più avanzata che caratterizza, come osservato, i cattolici praticanti. 4.7. Rilievi di sintesi Con questo capitolo si sono presi in esame opinioni, atteggiamenti e comportamenti dei cittadini di Forlì-Cesena rispetto a diverse tematiche: l’interesse per la politica e l’effettiva partecipazione politica, l’associazionismo, la sensibilità ambientale, ecc. Aspetti diversi che possono tuttavia essere ricondotti a un denominatore comune: l’interesse per la cosa pubblica e per gli altri, il sentirsi parte di una collettività che trascende la stretta cerchia delle reti primarie. Un senso di appartenenza che si traduce in atti specificamente politici, come il recarsi alle urne in occasione del voto, ma anche in gesti quotidiani, come quelli volti alla tutela dell’ambiente o il tempo dedicato ad attività di volontariato o all’associazionismo. Un aspetto che accomuna il territorio provinciale al resto del Paese è la sfiducia verso la politica e i suoi rappresentanti. Si tratta, come detto, di una tendenza nazionale, oggi più che mai evidente, perché al deficit di fiducia istituzionale – che dall’unità d’Italia in avanti rappresenta una specificità della nostra cultura politica – si è aggiunto, come già fu nei primi anni Novanta con la cosiddetta crisi della Prima Repubblica, un marcato disincanto nei confronti della classe politica e dei partiti, che raggiunge un livello di forte distacco ed anche di riprovazione. Esemplificativo il fatto che siano proprio i partiti e i politici i due attori che risultano godere del livello più basso di fiducia da parte dei cittadini intervistati. All’opposto, si trovano attori e istituzioni del sapere: la scienza, gli insegnanti, la scuola e l’università; elevata fiducia va anche a ‘istituzioni d’ordine’ come Carabinieri e Polizia, a loro volta seguite dai magistrati e da due istituzioni extra-nazionali, l’Onu e l’Unione europea. Sembra così evidenziarsi una fuga rispetto all’orizzonte politico nazionale e un conseguente orientarsi o verso soggetti, come la scienza, che trascendono dalla politica, o verso le 142 istituzioni d’ordine - da sempre depositarie, anche a livello nazionale, di elevati livelli di fiducia - o verso il livello sovra-nazionale). Questo a sottolineare che il forte disinteresse e distacco nei confronti della politica evidenziato dagli intervistati della provincia di Forlì-Cesena – ed in particolare dai giovani – è in realtà in linea con il quadro nazionale. Rispetto ad altri contesti italiani, però, nella provincia di Forlì-Cesena, così come in altre province emiliano-romagnole (e in altre aree di quella che è stata storicamente definita ‘Zona rossa’ ed anche di quella etichettata come ‘Zona bianca), si trova un forte senso civico, una elevata dotazione di capitale sociale, inteso, appunto, come civic-ness, che si concretizza non tanto e non soltanto nell’elevata partecipazione elettorale, ma, innanzitutto, in una forte partecipazione associativa. Così come in una notevole sensibilità alle tematiche dell’ambiente e dell’eco-sostenibilità, con circa due terzi dei cittadini intervistati che dichiarano di effettuare la raccolta differenziata dei rifiuti e di stare attenti ad acquistare e a utilizzare elettrodomestici e lampadine a basso consumo energetico. Rispetto a questi tratti, l’analisi condotta ha permesso di cogliere una certa rilevanza delle caratteristiche socio-demografiche delle persone; ad esempio, la partecipazione associativa, così come la sensibilità ambientale, risultano strettamente connesse al titolo di studio, crescendo all’aumentare del livello di istruzione, variabile a sua volta legata fortemente all’età degli individui. Resta certamente fuori da questo denominatore comune l’ultimo tema trattato nel capitolo, la religiosità, che – sebbene rilevata tramite l’atto esplicito della frequenza ai riti religiosi – va indubbiamente ascritta alla sfera personale e intima di ciascun individuo. Si tratta, naturalmente, di una dimensione altrettanto importante, che tuttavia in questa sede può essere letta – anche in virtù delle evidenze sopra riportate – principalmente come variabile indipendente e interveniente rispetto agli altri comportamenti e atteggiamenti osservati (si è visto, ad esempio, un certo rapporto fra associazionismo e religiosità, data la matrice cattolica di una quota rilevante delle associazioni di volontariato). 143 5. Percezioni e atteggiamenti verso l’immigrazione: tra apertura ed esclusione di Lorenzo Latella 5.1. Premessa In questo capitolo si affronta l’analisi delle percezioni e degli atteggiamenti che i cittadini della provincia di Forlì-Cesena dichiarano di avere nei confronti dell’immigrazione e degli stranieri presenti sul territorio provinciale. È chiaramente un tema vasto e particolarmente articolato, che prende in considerazione sia linee di ricerca sulle modalità top-down, cioè sui percorsi che assumono le politiche di immigrazione, che da un livello amministrativo centrale si irradiano sui territori nell’ottica della regolazione del fenomeno, del suo contenimento e della successiva integrazione1, sia modalità bottomup, che cercano di analizzare le pratiche e i comportamenti che, soprattutto nelle realtà territoriali più piccole, vengono messi in pratica spontaneamente dai cittadini - nel loro percorso di conoscenza e di vita quotidiana a fianco degli immigrati residenti, dalle associazioni o dai movimenti territoriali e dalle istituzioni locali. In una società che diventa sempre più complessa, ma che sembra perdere punti di riferimento e che vede lo sfaldarsi dei livelli di governo più centralizzati a causa di una crisi economica che sta iniziando ad avere forti risvolti sociali, i cittadini si rifugiano in quella che è l’organizzazione sociale più prossima, la comunità locale, finendo per vivere delle realtà che spesso non rispecchiano quelle nazionali. È fondamentale quindi individuare, analizzare e capire come si formano le modalità di rappresentazione della realtà nelle comunità locali, e come queste comunità si rapportano all’immigrazione. È necessario quindi osservare non solo come si definiscono le modalità di veicolazione del senso comune, ma anche la produzione di innumerevoli significati culturali che possono caratterizzare l’atteggiamento di una comunità non solo nei confronti del fenomeno migratorio in generale, ma anche nei confronti dei singoli immigrati2. Sul tema dell’immigrazione straniera questa indagine ha raccolto le opinioni dei residenti nella provincia di Forlì-Cesena su una varietà di argomenti, che vanno dalla conoscenza oggettiva del fenomeno migratorio 1 Cfr. G. Zincone, L. Di Gregorio., Il processo delle politiche di immigrazione in Italia: uno schema interpretativo integrato in «Stato e Mercato», n. 66, Dicembre 2002. 2 Cfr. A. Villa, Immigrazione, mass media e ricerca sociale in «Problemi dell'informazione», Vol. XXXIII, n.3, Settembre 2008. 144 dei suoi numeri, dei Paesi di provenienza degli immigrati, della conoscenza diretta - ad una serie di giudizi e di percezioni che i residenti hanno sulla presenza degli immigrati - sul loro ruolo all’interno della società che li ospita, sul godimento o meno di diritti e sull’idea di integrazione. Attraverso l’analisi dei dati raccolti sarà possibile evidenziare tendenze e caratteristiche dell’atteggiamento che i residenti delle provincia di Forlì-Cesena dichiarano di avere nei confronti del fenomeno migratorio e in particolare riguardo alla presenza degli stranieri sul territorio. Dove possibile verranno fatte comparazioni con ricerche analoghe a livello nazionale o europeo, per evidenziare eventuali specificità del territorio e per capire se e come la percezione degli italiani nei confronti dell’immigrazione sia cambiata nel corso degli ultimi anni. Il tema sarà trattato analizzando le risposte date dall’intervistato in base al sesso, alla classe di età, al titolo di studio, alle credenze e fedi politiche o religiose, e ad una serie di altre caratteristiche che possono fornirci delle chiavi di lettura sulla strutturazione di quel senso comune cui si accennava prima. Ci si interrogherà sulla elaborazione della cultura collettiva sull’immigrazione da parte delle comunità locali – che può sia favorire processi di integrazione, che possono portare al conferimento di uno status di ‘cittadinanza sociale’ per l’immigrato stesso, ovvero la creazione di legami di solidarietà che tendono a proteggere e ad integrare il non cittadino all’interno della comunità, ma anche possono generare processi di esclusione sociale, che tendono a separare nettamente le due realtà e a produrre dei meccanismi di rigetto reciproco. Si cercherà di capire come viene percepita la presenza degli stranieri sul territorio, che tipo di atteggiamenti vengono messi in atto nei confronti di tale presenza e a quali condizioni si è disposti a riconoscere diritti agli stranieri, quello che Hannah Arendt3 chiamava “diritto ad avere diritti”, soprattutto in relazione al voto amministrativo e politico e alla cittadinanza. 5.2. La conoscenza del fenomeno migratorio: dimensioni, provenienze e relazioni Quanto si conosce del fenomeno migratorio in generale e della sua dimensione a livello locale? Quali sono le percezioni e gli atteggiamenti che i residenti nella provincia di Forlì-Cesena hanno sviluppato e acquisito nei confronti degli stranieri? Dall’analisi dei dati risulta che poco più di un terzo del campione intervistato (35,1%) ha una chiara percezione di quale sia l’entità del 3 H. Arendt, Le origini del totalitarismo,Torino, Einaudi, 2004. 145 fenomeno migratorio a livello nazionale, attestandone il numero intorno ai 4 milioni, mentre il 35,7% offre una risposta sovrastimata o molto sovrastimata e il 29,2% una risposta sottostimata o molto sottostimata. Anche se a prima vista la percentuale di coloro che rispondono correttamente può sembrare poco significativa, in realtà rappresenta una graduale presa di coscienza e di informazioni su tale fenomeno, basti pensare che solo nel 2007, in una analisi condotta in sei Paesi europei, tra i quali l’Italia, quasi la totalità del campione forniva una risposta sovrastimata (72,3%) o sottostimata (8,5%) della presenza di stranieri nei rispettivi paesi, e solo il 19,2% forniva una risposta corretta4. Tale dato, che fa ben sperare nella presa di coscienza dei cittadini italiani, o almeno di quelli della provincia di Forlì-Cesena, in merito alla presenza straniera sul territorio nazionale, risulta comunque decisamente inferiore al livello di conoscenza che gli stessi residenti della provincia romagnola hanno del numero di abitanti in Italia. Il 60,8% fornisce una risposta adeguata, collocando il numero degli italiani in un fascia che va dai 55 ai 65 milioni, anche se ben il 22,4% offre una risposta sovrastimata (cfr. tab 5.1) Tali dati sembrano dimostrare come in realtà permanga, al livello di visione della società, uno sdoppiamento tra quella che è la condizione del cittadino italiano, sul quale si ha una serie di conoscenze di tipo oggettivo, e quella che è la condizione dello straniero, che sembra essere visto al di fuori della società stessa, come qualcuno o qualcosa che vive gli stessi spazi e le stesse realtà, ma che non ne fa pienamente parte, quasi che alcuni possono addirittura pensare che ci si trovi di fronte ad una loro invasione. La percezione del fenomeno migratorio come qualcosa che riguarda grandi numeri, rispetto alla sua dimensione reale, probabilmente è anche frutto di una eccessiva attenzione mediatica che spesso ha teso in passato, e tende oggi, a guardare all’immigrazione come ad un pericolo per la sicurezza sociale e per la cultura nazionale. Come dimostrato in molte ricerche5 una delle principali caratteristiche della rappresentazione sociale che i media – 4 Transatlantic Trends, Immigration 2007 , http://trends.gmfus.org/. Il centro di ricerca offre una serie di dati, continuativi nel tempo, sul fenomeno migratorio in Europa e negli Stati Uniti, con vari approfondimenti anno per anno. Nel 2007 l’approfondimento si è concentrato sulla percezione che i cittadini di sei paesi europei (Francia, Germania, Gran Bretagna, Italia, Belgio e Lussemburgo) avevano del fenomeno migratorio, su quelle che erano le paure generate dalla presenza di stranieri nelle comunità locali e sull’idea di integrazione. 5 Per maggiori approfondimenti sul rapporto tra mass media e percezione degli italiani cfr. Censis, L'immagine degli immigrati e delle minoranze etniche nei media. Rapporto finale, www.censis.it, 2002; Osservatorio di Pavia, Il tema dell'immigrazione nei telegiornali di prime time (1 gennaio-31 dicembre 2001) in «Comunicazione politica», n. 1, Milano, FrancoAngeli, 2001 e A. Dal Lago, Non persone: l'esclusione dei migranti in una società globale, Milano, Feltrinelli, 2004. 146 quotidiani, televisione e in misura diversa internet – fanno dell’immigrazione è legata all’assoluta rilevanza che assume il fatto di cronaca nella dimensione dell’informazione. Lo sbarco diventa una delle prime immagini che vengono in mente quando si parla di immigrazione e questo ingenera e facilita un senso di insicurezza dei cittadini, che avvertono una eccessiva presenza degli immigrati, spesso raffigurati come clandestini o irregolari, anche quando hanno un permesso o una carta di soggiorno6. Sembrerebbe quindi delinearsi una percezione di uno Stato piccolo, più piccolo di quello che è in realtà, che subisce una invasione o un attacco. È qui che probabilmente si sono radicate alcune delle paure e alcuni degli stereotipi che noi italiani spesso abbiamo sugli immigrati. Ad integrazione di quanto appena detto vanno i risultati che emergono dall’incrocio sulle conoscenze che si hanno sia della dimensione demografica italiana, sia di quella degli stranieri: solo il 22,5% degli intervistati dà una risposta corretta ad entrambe le domande. Tab. 5.1. Conoscenza della dimensione demografica degli immigrati e degli italiani. Valori % Conoscenza del Conoscenza del numero di immigrati numero di italiani Risposta sottostimata o molto 29,2 16,8 sottostimata Risposta corretta 35,1 60,8 Risposta sovrastimata o molto 35,7 22,4 sovrastimata Totale 100,0 100,0 N 806 800 Questo porta a dire che in realtà coloro che conoscono l'entità del fenomeno migratorio in Italia, spesso, non conoscono le reali dimensioni demografiche del nostro paese e che, viceversa, chi conosce tale dimensione non necessariamente ne conosce le sfaccettature interne e, di conseguenza, anche l'entità del fenomeno migratorio. Questo dato risulta, però, in controtendenza rispetto alla conoscenza che i residenti nella provincia di Forlì-Cesena dimostrano di avere nei confronti delle principali nazionalità degli immigrati presenti in Italia. Alla domanda sulla provenienza di questi ultimi, infatti, risponde in maniera corretta circa il 75,5% degli intervistati, che indica come prima presenza una delle quattro principali nazionalità di provenienza – il 23,4% risponde Romania, il 17,7% Marocco, il 17,4% Albania e il 16,5% Cina (cfr. tab. 5.2). È vero che le percentuali attribuite ad ogni singola nazionalità non corrispondono alla 6 Censis, Sondaggio sulle paure degli italiani, www.cemsis.it, Luglio 2000. 147 dimensione effettiva di quelle presenza sul territorio, ma sottolineano comunque la conoscenza delle principali nazionalità, e quindi una conoscenza che potrebbe essere definita di tipo ‘diretto’. Tab. 5.2. Principali nazionalità di provenienza nella percezione degli intervistati e loro effettiva presenza a livello provinciale e nazionale7. Valori % Dati Dati Report Dati Caritas/Migrantes rilevazione provinciale 2010 2010 Albania 17,4 17 11,2 Cina 16,5 7,4 4,4 Marocco 17,7 14,3 10,2 Romania 23,4 15,5 21 Emerge una chiara discrepanza tra la percezione riguardante la presenza dei cinesi sul territorio nazionale e l’effettivo numero di questi, data probabilmente dal fatto che la comunità cinese è spesso impiegata in settori di tipo commerciale, che quindi hanno una visibilità maggiore rispetto alle altre comunità, principalmente inserite invece in settori lavorativi che offrono minore visibilità (settore industriale, dei trasporti, dei servizi alla persona). Va sottolineato anche che analoga stortura di percezione è riscontrabile nei confronti della comunità rumena, ma in questo caso è maggiormente presumibile che tale visione derivi da recenti vicende di cronaca che hanno dato vita ad un ampio ed acceso dibattito proprio sulla presenza dei rumeni in Italia sulla stampa nazionale e locale. Ancora una volta, andando a verificare come si combina la conoscenza che gli intervistati hanno del numero degli immigrati presenti in Italia, con quella dei paesi di provenienza, il dato ci dice che solo il 24,5% dà una risposta corretta ad entrambe le domande, a conferma che le conoscenze che si hanno sul fenomeno non sono frutto di una analisi organica dello stesso, o di una percezione esaustiva, ma piuttosto di informazioni parziali fatte proprie. Il fatto sorprendente è che il 66% degli intervistati dichiara di conoscere direttamente almeno uno straniero. Questo si spiega con il fatto che spesso la conoscenza non è seguita da una frequentazione assidua, quindi non produce relazioni sociali stabili, a causa forse sia di una riluttanza da parte degli italiani, sia di timori da parte degli immigrati o dell'abitudine di questi a riferirsi essenzialmente ai rapporti interni alla comunità di cui fanno parte. Può anche incidere su questo complesso insieme di fattori il fatto che 7 I dati relativi alla presenza sul territorio provinciale degli stranieri si riferiscono al Report provinciale sulla presenza di cittadini immigrati nella provincia di Forlì-Cesena-2010, quelli relativi alla presenza degli immigrati sul territorio nazionale fanno riferimento alla ricerca Caritas/ Migrantes, Dossier statistico 2010, Roma, Antarem, 2010. 148 l'impronta recentemente data ai processi di integrazione è sempre più di tipo ‘assimilazionista’, e che molta produzione normativa vincola lo straniero alla conoscenza della lingua, della cultura e degli usi della società ospitante, senza al contempo chiedere a noi e alle molte istituzioni una analoga conoscenza almeno degli aspetti culturali, sociali e linguistici, ma anche di quelli più legati alla convivenza quotidiana, in relazione ai paesi e alle situazioni di provenienza degli immigrati. Come dimostra però una ricerca Ismu 20108 sull'integrazione degli stranieri in Romagna, nonostante il 57% degli immigrati intervistati avesse dichiarato di frequentare principalmente altri stranieri, è vero anche che allo stabilizzarsi della permanenza si assiste ad una vera e propria inversione di tendenza: il 51% degli stranieri presenti sul territorio da 6 anni ha infatti dichiarato di avere amicizie italiane in misura uguale o superiore a quelle straniere9. Risulta interessante a questo punto soffermarsi a capire più in profondità la composizione del campione di riferimento della presente indagine, per tentare di comprendere meglio come mai ci siano tali diversità di conoscenze sul fenomeno migratorio (cfr. tab. 5.3). Sicuramente è una discriminante l’età dell’intervistato: nella fascia tra i 15 e i 49 anni, il 74,1% dichiara di conoscere personalmente almeno uno straniero. È vero che, soprattutto tra i più giovani, la compresenza nei percorsi di scolarizzazione è ormai un fatto consolidato e stabile, che favorisce la conoscenza dell’altro, l’accettazione reciproca e l’integrazione10. Inoltre in questa fascia di età si colloca la gran parte degli stranieri presenti sul territorio provinciale e questa caratteristica porta alla possibilità di relazioni sociali più intense tra coetanei anche se di nazionalità diversa. Nella fascia di intervistati che va dai 50 anni in su, invece, si rileva un drastico ridimensionamento di chi dichiara di conoscere immigrati (46,2%), ancora più evidente per gli ultra65enni a dimostrazione di come il grado di conoscenza sia inversamente proporzionale all’età dell’intervistato. 8 P. Zurla. (a cura di), La sfida dell'integrazione. Un'indagine empirica sulla realtà migratoria in Romagna, Milano, FrancoAngeli, 2010. La ricerca si è basata sulla raccolta di 1.350 questionari somministrati ad immigrati nell'area romagnola (Forlì-Cesena, Ravenna e Rimini) dei quali 450 nella provincia di Forlì-Cesena, e si inscrive in un più ampio progetto nazionale realizzato dalla Fondazione Ismu, con lo scopo di misurare i livelli di integrazione sociale, economica, culturale e politica della popolazione immigrata. 9 A. Martelli , Le dimensioni sociali dell'integrazione, in P. Zurla., La sfida dell'integrazione. Un'indagine empirica sulla realtà migratoria in Romagna, op. cit. 10 E. Colombo, L. Domaneschi, e C. Marchetti, Una nuova generazione di italiani. L'idea di cittadinanza tra i giovani figli di immigrati, Milano, FrancoAngeli, 2009. 149 Tab. 5.3. Conoscenza o meno degli stranieri. Confronto per le principali variabili socio-demografiche Si No Totale N Sesso Maschio 64,7 35,3 100,0 428 Femmina 62,3 32,7 100,0 404 Età 15-29 anni 30-49 anni 50-64 anni 65 anni e oltre 80,4 71,1 58,8 46,8 19,6 28,9 41,2 53,2 100,0 100,0 100,0 100,0 163 336 194 139 Distretto di residenza Forlì Cesena-Valle Savio Rubicone-Costa 65,8 67,8 64,1 34,2 32,2 35,9 100,0 100,0 100,0 389 245 198 Titolo di studio Fino a licenza elementare Licenza media o qualifica Diploma Laurea o post-laurea 38,1 68,2 67,6 76,2 61,9 31,8 32,4 23,8 100,0 100,0 100,0 100,0 97 286 278 164 Disponibilità economica familiare Bassa Media Alta 61,0 66,1 73,3 39,0 33,9 26,7 100,0 100,0 100,0 267 313 210 67,9 32,1 100,0 346 65,1 34,9 100,0 175 55,8 64,4 94,9 44,2 35,6 5,10 100,0 100,0 100,0 197 320 39 71,8 28,2 100,0 266 Orientamento politico SinistraCentro-sinistra DestraCentro-destra Orientamento religioso Cattolici praticanti Cattolici non praticanti Appartenenti ad altra confessione religiosa Non religiosi Il genere non sembra invece essere discriminante: coloro che dichiarano di conoscere almeno uno straniero sono il 64,7% degli uomini e il 62,3% delle donne. 150 Anche l’appartenenza politica non è una reale discriminante nella conoscenza o meno degli stranieri, se non magari per le fasce estreme di collocazione politica. Infatti, andando a scorporare i dati di ciascun campo, si dimostra facilmente che solo coloro che si collocano all’estrema destra della scala dichiarano per il 68,2% di non conoscere immigrati (ma si tratta di numeri davvero troppo piccoli per qualsiasi ulteriore tipo di considerazione). Per quanto riguarda il fattore religioso, in area cattolica la conoscenza risulta maggiore tra coloro che si dichiarano non praticanti. Nel complesso, tra chi dichiara di non appartenere ad alcuna confessione, elevata è la conoscenza diretta di uno straniero. La conoscenza diretta di stranieri risulta più diffusa anche tra gli intervistati laureati rispetto a quanti sono in possesso della sola licenza elementare (76,2% contro 38,1%). Considerando le variabili analizzate fin qui, le conoscenze che gli intervistati mostrano della presenza straniera sul territorio italiano appare piuttosto debole mentre la conoscenza diretta si distribuisce in maniera piuttosto eterogenea. Emerge chiaramente che si possono avere conoscenze su alcuni aspetti del fenomeno ignorandone altri e che non c’è una vera discriminante che ci possa far attribuire il grado di conoscenze a fattori particolari. Probabilmente le conoscenze che si acquisiscono sul fenomeno migratorio, sia a livello nazionale, sia a livello locale, dipendono solo in minor parte dalla conoscenza diretta degli stranieri presenti sullo stesso territorio risultando, invece, maggiormente influenzati dalle informazioni acquisite attraverso canali come i quotidiani, i telegiornali o la televisione in senso più generale, o ancora da internet. Opinioni e conoscenze possono poi emergere e mutare al crescere del senso di crisi generale e al variare del clima complessivo dell'ambiente locale. 5.3. Percezioni ed atteggiamenti rispetto alla presenza straniera sul territorio: accoglienza, assimilazione ed integrazione Per meglio comprendere quali siano le percezioni e i reali atteggiamenti che gli intervistati hanno rispetto alla presenza degli stranieri sul territorio provinciale, la ricerca si è concentrata su una serie di domande relative ad alcune principali affermazioni che solitamente si fanno nei confronti dell’immigrazione. Sono stati considerati temi quali il lavoro, il ruolo svolto dalle istituzioni, il rapporto o i rapporti tra culture diverse e la possibilità o meno di riconoscere diritti civili e politici. Da una prima analisi delle risposte risulta chiaro che gli intervistati ritengono ormai consolidata e accettabile la presenza degli stranieri sul 151 territorio, e che questi non sono una minaccia per il lavoro degli italiani, oltre a non rappresentare una minaccia per la sicurezza (cfr. tab. 5.4). Tab. 5.4. Grado di accordo su alcune affermazioni relative all’immigrazione straniera in Italia Dove vivo ci sono troppi stranieri 46,7 Né d'accordo né in disaccordo 23,3 Gli stranieri portano via posti di lavoro ai disoccupati italiani 60,0 Gli stranieri vivono in condizioni difficili ed è compito nostro aiutarli come possiamo Per niente o poco d'accordo Abbastanza o molto d'accordo N. 30,0 100,0 829 18,6 21,4 100,0 823 38,1 32,9 29,0 100,0 818 Gli stranieri che vivono in Italia contribuiscono ad un arricchimento socio-culturale del nostro Paese 39,2 28,7 32,1 100,0 826 La cittadinanza italiana spetta solo a chi ha almeno un genitore italiano 64,0 14,9 21,1 100,0 826 Gli stranieri che da tempo lavorano legalmente in Italia e pagano le tasse dovrebbero poter ottenere la cittadinanza italiana 21,8 15,9 22,3 100,0 826 L'amministrazione pubblica è più attenta a dare benefici in termini di assistenza, assegnazione alloggi e sanità agli stranieri 37,0 19,7 42,3 100,0 824 Gran parte degli stranieri svolge attività illecite o criminali 53,3 25,0 21,8 100,0 828 Gli stranieri sono pericolo per nostra cultura 67,8 19,3 12,9 100,0 820 Giusto permettere ai musulmani di costruire moschee Giusto concedere diritto voto amministrativo a stranieri 54,4 21,5 24,1 100,0 826 43,50 21,50 35,00 100,0 827 49,90 22,20 27,90 100,0 825 18,10 24,00 57,90 100,0 828 Giusto concedere diritto voto politico a stranieri Compresenza a scuola di italiani e stranieri favorisce l'integrazione 152 Ben il 46,7% degli intervistati dichiara, infatti, di non essere d'accordo con l'affermazione “dove vivo ci sono troppi stranieri”, a fronte di un 23,3% che dà una risposta intermedia e un 30% che invece dichiara di essere d’accordo o totalmente d’accordo con tale affermazione. Ancora più netto è il giudizio in relazione al lavoro: il 60% dichiara infatti di ritenere che gli stranieri non entrano in conflitto con gli italiani per quanto riguarda i posti di lavoro, mostrandosi evidentemente consapevole che spesso i settori di inserimento sono differenti e che ormai, trattandosi in molti casi di una immigrazione consolidata sul territorio da tempo, possono darsi anche casi di competizione alla pari11. Inoltre solo il 21,8% degli intervistati si dichiara completamente d'accordo o d'accordo con l'affermazione “gran parte degli stranieri svolge attività illecite o criminali”, a fronte di un 53,3% che si mostra per niente d'accordo o non d'accordo. Questo ultimo dato è molto interessante se comparato con una serie di ricerche svolte sia a livello nazionale sia a livello europeo sulla percezione di insicurezza che i cittadini – italiani o europei – provano nei confronti dei flussi migratori. Solo nel 2009, ad esempio, il 50% circa degli italiani si dichiarava molto preoccupato per la sicurezza propria e dei propri cari (a fronte di un 28% che non concordava), percentuale simile anche per quanto riguardava i cittadini europei (il 45% si dichiarava d’accordo con la percezione di insicurezza, a fronte di un 37% che si dichiarava in disaccordo)12. Il discorso risulta molto diverso quando si passa a parlare della questione culturale o del ruolo che la società civile e le istituzioni devono svolgere nei confronti degli immigrati. Se da un lato, infatti, per il 67,8% degli intervistati gli stranieri non rappresentano un pericolo per la nostra cultura, e per il 57,9% la compresenza a scuola di italiani e stranieri favorisce l'integrazione, solo il 32,1% ritiene però che gli stranieri possano essere fonte di arricchimento socio-culturale, evidenziando il persistere di una cultura ‘assimilazionista’, almeno da un punto di vista culturale. Se ne ha conferma anche quando si analizzano i dati relativi all'affermazione “è giusto permettere ai musulmani di costruire moschee”, rispetto alla quale il 54,4% degli intervistati dice di esser per niente d'accordo o non d'accordo (a fronte di un 24,2% che si dichiara a favore). La differenza religiosa resta quindi uno degli elementi ancora poco accettati e sui quali è difficile dialogare, forse anche a causa del dibattito mediatico sul fondamentalismo islamico e sui suoi pericoli spesso eccessivo 11 Confartigianato, Immigrati sempre più imprenditori. Rapporto di ricerca, www.confartigianato.it , 2009. 12 Eurobarometro 72, Opinione pubblica nell'Unione Europea, Rapporto nazionale Italia, Eurobarometro Standard 72, http://ec.europa.eu, 2009 153 e non sempre fondato. Persiste, alla base, una tendenza generalizzata a sovrastimare il numero degli immigrati di religione musulmana, pari a circa un terzo degli stranieri regolarmente presenti in Italia (32%), fatto che alimenta una sorta di fobia e di non accettazione13. Queste tendenze contribuiscono a spiegare le risposte che gli intervistati danno in relazione al ruolo che la società civile e le istituzioni sono chiamate a svolgere nei confronti degli stranieri presenti sul territorio. La percezione degli intervistati è quella, infatti, di vedere queste ultime troppo sbilanciate a favore degli stranieri per quanto riguarda i benefici che questi ricevono in termini di assistenza, di assegnazione di alloggi e di cure sanitarie (il 43,3% degli intervistati si dichiara d'accordo, a fronte di un 37% contrario). Ne è conferma il fatto che il 38,1% risponde negativamente alla affermazione “gli stranieri vivono in condizioni difficili ed è compito nostro aiutarli come possiamo” a fronte di un 29% che si dichiara d'accordo o completamente d'accordo. Si potrebbe argomentare quindi che, per quanto riguarda la presenza sul territorio, e per quanto attiene al campo lavorativo, l'immigrazione in generale, e gli stranieri con i quali si instaurano rapporti godono ormai di una certa accettazione da parte degli italiani residenti. Ma questi ultimi considerano inadeguato il sistema di protezione sociale, perché debole e troppo sbilanciato a favore degli immigrati o poco attento alle esigenze degli italiani. Questo ci porta a dire che permane una visione degli stranieri come sicuramente utili per il settore economico, ma come persone che in fondo, proprio perché straniere, non dovrebbero poter godere degli stessi diritti degli italiani, e/o almeno non dovrebbero trovare un sistema istituzionale troppo sensibile. Secondo uno studio dell’UNHCR14, sembrerebbe che la relazione diretta contribuisca in maniera determinante alla formazione dell’idea che gli italiani hanno degli immigrati; per esempio, l’idea che l’immigrazione sia una opportunità per il nostro Paese prevale per il 52,4% presso coloro che hanno avuto un qualche genere di relazione con gli immigrati. Chi non è mai entrato in relazione con immigrati invece dichiara, nel 66% dei casi, che l’immigrazione è un problema. In effetti i dati relativi alla nostra indagine tendono a confermare questa visione, almeno per quanto riguarda i rapporti che possono crearsi sul lavoro o nei percorsi scolastici: il 38,8% di coloro che conoscono almeno uno straniero dichiara che possa essere un arricchimento socioculturale, mentre tale percentuale scende al 20% tra coloro che non conoscono stranieri. Rispetto ai servizi, poi, il 54,4% di coloro che dichiarano di non conoscere 13 14 Caritas-Migrantes, Immigrazione. Dossier statistico 2010, op. cit. UNHCR, Asilum Levels and Trends in Industrialized Countries, www.unhcr.com, 2011. 154 stranieri ritiene che l’amministrazione pubblica sia troppo attenta ai loro bisogni, percentuale che passa 37,4%, tra coloro che dichiarano una conoscenza diretta. Questi dati sono molto interessanti se letti alla luce delle risposte date in relazione alle affermazioni sulla cittadinanza. Il 64% degli intervistati infatti si dichiara per niente d'accordo o non d'accordo con l'affermazione “la cittadinanza italiana spetta solo a chi ha almeno un genitore italiano” e il 62,3% è invece completamente d'accordo o d'accordo con l'affermazione “gli stranieri che da tempo lavorano legalmente in Italia e pagano le tasse dovrebbero poter ottenere la cittadinanza italiana”. Questo ci porta a dire che da un lato c'è sicuramente una presa di coscienza del problema delle ‘seconde generazioni’, che ormai sono una realtà consistente sul territorio: si tratta di ragazzi e ragazze che vivono quotidianamente a stretto contatto con i figli di italiani con i quali condividono scuola, gruppi, esperienze e vita quotidiana. Dall'altro lato si denota anche un certo favore nei confronti di coloro che si sono ormai stabiliti sul territorio provinciale da diverso tempo, e che quindi vengono percepiti come facenti parte della comunità, attraverso la quale e con la quale hanno acquisito una sorta di ‘cittadinanza sociale’, cioè il diritto a partecipare alla vita quotidiana della comunità stessa. Resta però il fatto che viene mantenuta la differenza tra cittadini e non, almeno nel caso degli adulti, quindi il “diritto ad avere diritti”15, sembra realizzarsi con l’acquisizione della cittadinanza, una sorta di garanzia richiesta per evitare che si sprechino risorse per persone che poi potrebbero non rimanere sul territorio. Questa visione tralascia però il fatto che l'acquisizione della cittadinanza rappresenta allo stesso tempo un punto di approdo e un punto di partenza. L'acquisizione della cittadinanza legale viene quindi vista dai già cittadini come un passo naturale per consolidare e confermare la legittima presenza degli stranieri regolarmente soggiornanti sul territorio all'interno delle comunità, e allo stesso tempo come un riconoscimento del ruolo che la stessa comunità ha svolto nel processo di integrazione degli stranieri16. 15 H. Arendt, H., Le origini del totalitarismo, op. cit. E. Colombo, L. Domaneschi, e C. Marchetti, Una nuova generazione di italiani. L'idea di cittadinanza tra i giovani figli di immigrati, Milano, FrancoAngeli, 2009. 16 155 5.4. Atteggiamenti contrari, riconoscimento dei diritti atteggiamenti simpatetici e Una ulteriore analisi, svolta attraverso una aggregazione di dati ed una successiva elaborazione di alcuni indici17, ha consentito di analizzare gli atteggiamenti che i residenti della provincia di Forlì-Cesena hanno nei confronti degli immigrati su tre specifici aspetti: ‘atteggiamenti contrari agli stranieri’, ‘atteggiamenti simpatetici’ e ‘atteggiamenti rispetto al godimento dei diritti da parte degli stranieri’, con lo scopo di capire anche se si possono riscontrare delle tendenze o degli atteggiamenti legati a caratteristiche quali l’età, il sesso, la fede religiosa degli intervistati ed altre (cfr. tab. 5.5). Nella costruzione dell’indice denominato ‘atteggiamenti contrari agli stranieri’, è stato preso in considerazione il grado di accordo su affermazioni critiche relative alla quantità di stranieri sul territorio provinciale, alla loro presenza nel mercato del lavoro, al ruolo che le istituzioni e la pubblica amministrazione svolgono nel conferimento di benefici e dritti e alla percezione di insicurezza e di pericolo per la cultura italiana che la presenza degli immigrati genera negli intervistati. L’indice di ‘contrarietà’ medio della popolazione indagata è 3,96 ed è quindi mediamente basso18. Questo dimostra sicuramente un atteggiamento non ostile verso la presenza straniera, favorito probabilmente dal fatto che l’immigrazione sul territorio provinciale si caratterizza per essere una immigrazione ormai stabile nel tempo e nello spazio, il che favorisce l’instaurarsi di rapporti diretti e continuativi tra stranieri ed italiani, come già ricordato in precedenza19. Tale analisi sembra avere conferma quando si considera l'indice a seconda della conoscenza diretta di stranieri (3,43 tra coloro che conoscono direttamente almeno uno straniero e 4,95 fra chi dichiara di non conoscerne nessuno). Entrando più in profondità (cfr. tab. 5.5), emerge come tra i residenti nella provincia siano gli uomini ad avere un atteggiamento più ‘aperto’ nei confronti degli stranieri rispetto alle donne (3,81 vs 4,11). Tale dato potrebbe essere spiegato con le maggiori possibilità di frequentazione con gli stranieri 17 Gli indici sono stati ottenuti tramite una tecnica di analisi volta ad operare una aggregazione interna del campione in base alla connessione tra gruppi di variabili, al fine di cogliere le principali differenze, polarizzazioni e dimensioni di continuità che animano l’opinione pubblica rappresentata dal campione di riferimento. 18 La scala dell’indice va da 0 a 10, dove 0 rappresenta il massimo livello di accettazione della presenza immigrata, mentre 10 il massimo livello di contrarietà esprimibile rispetto alle variabili che compongono l’indice. 19 Cnel, Indici di integrazione degli immigrati in Italia – VII rapporto, www.cnel.it, 2010. 156 che i primi hanno, data anche la frequente condivisione degli stessi settori ed ambienti lavorativi20. Tab. 5.5. Indice di atteggiamento ‘contrario’ alla presenza straniera. Confronto per le principali variabili socio-demografiche Media N. Sesso Maschio Femmina 3,81 4,11 411 393 Età 15-29 anni 30-49 anni 50-64 anni 65 anni e oltre 3,75 3,81 3,93 4,62 155 332 183 134 Distretto di residenza Forlì Cesena-Valle Savio Rubicone-Costa 3,83 3,79 4,42 371 240 193 Titolo di studio Fino a licenza elementare Licenza media o qualifica Diploma Laurea o post-laurea 5,36 4,29 3,74 2,98 94 272 269 164 Disponibilità economica familiare Alta Media Bassa 4,18 4,15 3,37 254 302 208 Orientamento politico Sinistra-Centro-sin Destra-Centro destra 3,08 4,91 336 168 4,04 4,45 190 312 2,37 3,47 35 257 Orientamento religioso Cattolici praticanti Cattolici non praticanti Appartenenti ad altra confessione religiosa Non religiosi 20 Le donne sono maggiormente impiegate in settori lavorativi più isolati, come i settori relativi alla cura alla persona, il 'badantato' o il lavoro di pulizie. Questi sono settori che rendono meno facile la frequentazione con italiani, se non con i membri della famiglia per cui si lavora o per la cerchia di amici di questi ultimi. Cfr. Quaderni di statistica. Le donne in Emilia-Romagna, Controllo Strategico e Statistica della Regione Emilia-Romagna, 2011. 157 Emerge inoltre anche una chiusura che è direttamente proporzionale al crescere dell’età. Sono le fasce di popolazione più giovani, infatti, che danno risposte che dimostrano una minore chiusura (3,75 nella fascia di età tra i 15 e i 29enni vs 4,63 tra gli ultra65enni, con valori intermedi nelle fasce centrali), sicuramente grazie ai percorsi scolastici che hanno visto una compresenza di giovani italiani e stranieri, o figli di stranieri, ma anche grazie alla maggiore dimestichezza che i giovani hanno con mezzi di informazione quali internet, che favorisce lo scambio culturale e offre opportunità di scoprire e conoscere mondi che spesso sono percepiti dai più anziani come molto o troppo lontani. La maggiore intolleranza nei confronti degli stranieri si evidenzia, infatti, tra coloro che hanno una bassa scolarizzazione (5,36 per chi ha un titolo di studio fino alla licenza elementare), mentre man mano che aumenta il grado di scolarizzazione diminuisce anche l'atteggiamento di chiusura nei confronti degli immigrati e della loro presenza sul territorio (2,98 tra coloro che hanno un titolo universitario). È da evidenziare che il 67% di coloro che hanno fino ad una licenza elementare sono anziani ultra65enni, quindi bisogna tenere conto di quelli che sono gli atteggiamenti legati al fattore età, a conferma di quanto poco fa sottolineato. Interessante la lettura dei dati in base alla distribuzione sul territorio. Nei distretti di Cesena–Valle Savio e di Forlì sembra prevalere un atteggiamento più favorevole rispetto al distretto Rubicone-Costa (3,79 Cesena-Valle savio, 3,83 Forlì, 4,42 Rubicone-Costa). Tale discrepanza di atteggiamento sul territorio potrebbe essere in parte spiegata dal fatto che questo distretto ha una età media più alta rispetto agli altri due, e dal fatto anche che la disponibilità reddituale risulta essere più bassa rispetto a quella rilevata nei distretti di Forlì e di Cesena-Valle Savio.21 Inoltre, l’incidenza degli stranieri sul territorio del distretto Rubicone-Costa è sicuramente da maggior tempo piuttosto elevata rispetto alla presenza media di tutto il territorio provinciale. Rispetto alla disponibilità economica familiare22 si rivela una maggiore apertura tra la popolazione più abbiente (3,36), mentre poche differenze si registrano tra chi ha un reddito medio (4,15) o basso (4,18). 21 Sarebbe necessario un ulteriore approfondimento per ogni distretto, capace di fornire una immagine più completa della demografia del territorio, che possa fornirci ulteriori elementi per dare una risposte più completa agli atteggiamenti che caratterizzano la precedente analisi. In questa sede abbiamo verificato solo che il distretto Rubicone-Costa vede una maggiore presenza di coppie pensionate senza figli, quindi una presenza di popolazione con età mediamente più alta e con disponibilità di reddito familiare più bassa rispetto agli altri due distretti di Forlì e di Cesena-Valle Savio. 22 Per i dettagli sulla costruzione dell’indice di disponibilità economica familiare si veda il capitolo 8. 158 Molto discriminante è la collocazione politica, che vede una risposta media di 3,08 tra coloro che dichiarano di votare a sinistra, mentre una risposta media di 4,91 tra coloro che si schierano a destra, si tratta tuttavia di un’influenza minore di quella esercitata dal titolo di studio. Particolarmente interessanti risultano poi i dati relativi alla percezione che si ha degli stranieri relativamente alla appartenenza o meno dell’intervistato ad una qualche fede religiosa. Se tra coloro che si dicono appartenenti ad una fede diversa da quella cattolica, il grado di chiusura risulta minimo (2,37), spiegabile con il fatto che la maggior parte dei rispondenti è uno straniero residente sul territorio, è interessante notare come la chiusura sia minore tra coloro che si dicono non appartenenti a nessuna fede religiosa o non credenti (3,47) rispetto a coloro che si dicono cattolici praticanti (4,04) e coloro che si dicono cattolici non praticanti (4,45). Relativamente all’indice di atteggiamento ‘simpatetico’, costruito sul grado di accordo espresso in riferimento a valutazioni positive sulla presenza degli stranieri sul territorio, sull’arricchimento culturale che essi possono offrire, sulla possibilità di professare una fede diversa da quella cattolica in luoghi di culto appropriati e sulle maggiori possibilità di integrazione che la compresenza di studenti italiani e stranieri nelle scuole porta con sé, si può notare una certa apertura nel campione di riferimento (la media generale è 4,95). Tale apertura aumenta quando c’è da parte degli intervistati la conoscenza diretta con almeno un straniero (5,39 tra coloro che dichiarano di conoscere direttamente e 4,12 tra coloro che invece dichiarano di non conoscere). Si conferma quindi che la conoscenza diretta è una discriminante forte rispetto agli atteggiamenti che si assumono nei confronti degli stranieri. In questa analisi trova sostanziale conferma quanto già detto rispetto all’atteggiamento di ‘contrarietà’. Infatti, anche in questo caso le donne sembrano avere un'apertura minore (4,90) rispetto agli uomini (5,02), anche se la differenza non è eccessiva (cfr. tab. 5.6). Nell'analisi precedente si notava come gli atteggiamenti contrari aumentassero di pari passo con l’aumentare dell’età, mentre in questo caso, per quanto riguarda gli atteggiamenti simpatetici, si evidenzia un andamento maggiormente variabile. Si registra infatti un parallelismo tra le fasce più giovani e quelle più anziane (4,60 tra i 15-29enni e 4,45 tra gli ultra65enni), che dichiarano di assumere atteggiamenti meno aperti nei confronti degli stranieri presenti sul territorio provinciale, mentre risulta esserci una maggior apertura tra i 50-64enni (5,48) e tra i 30-49enni (5,03). Il parallelismo di percezione e atteggiamento tra le fasce di età più giovani e quelle più anziane può essere spiegato da fattori diversi. Nel secondo caso la minore apertura nei confronti degli stranieri è legata a fattori 159 culturali, economici e sociali, ma anche solamente di relazione diretta, come dimostrano i dati sulla conoscenza. Tab. 5.6. Indice di atteggiamenti simpatetici nei confronti degli stranieri Media N Sesso Maschio Femmina 5,02 4,90 415 393 Età 15-29 anni 30-49 anni 50-64 anni 65 anni e oltre 4,60 5,03 5,48 4,45 158 328 189 133 Distretto di residenza Forlì Cesena-Valle Savio Rubicone-Costa 4,98 5,04 4,82 371 240 197 Titolo di studio Fino a licenza elementare Licenza media o qualifica Diploma Laurea o post-laurea 3,85 4,88 5,16 5,43 94 276 269 162 Disponibilità economica familiare Alta Media Bassa 5,00 4,77 5,26 256 307 207 Orientamento politico Sinistra- Centro-sinistra Destra- Centro destra 6,00 3,96 334 170 Orientamento religioso Cattolici praticanti Cattolici non praticanti Appartenenti ad altra confessione religiosa Non religiosi 4,97 4,64 6,86 5,11 194 313 38 253 Nel caso dei giovani una spiegazione potrebbe essere rintracciata anche nel difficile momento che questi stanno vivendo in Italia a causa dell'intensificarsi della crisi, che sembra far diminuire di giorno in giorno le possibilità di inserimento lavorativo e di affermazione personale, erodendo gli spazi di aggregazione e di risoluzione dei problemi in maniera collettiva e 160 portando ad un individualismo competitivo che spinge a vedere l'altro come un concorrente; tale percezione risulta amplificata nel rapporto con l'immigrato, che da sempre è ‘l'altro’ per eccellenza. Per quanto riguarda la percezione e gli atteggiamenti che emergono in base alla distribuzione degli intervistati nei distretti del territorio provinciale si conferma una maggiore apertura da parte dei residenti nel distretto di Cesena-Valle Savio (5,04) e di Forlì (4,98) rispetto ai residenti nel distretto Rubicone-Costa (4,82), anche se con differenze non particolarmente significative. Il titolo di studio risulta essere ancora una volta un fattore fortemente discriminante, con una media di risposta che passa dal 5,43 di coloro che hanno un titolo di studio elevato, al 3,85 dei meno scolarizzati. Interessante è anche il grado di apertura dichiarato in base alla disponibilità di reddito familiare; infatti, un atteggiamento più simpatetico si riscontra tra coloro che dichiarano un reddito alto (5,26). Per quanto riguarda le differenti appartenenze politiche, si rileva una maggiore apertura nei confronti degli stranieri da parte di coloro che dichiarano di votare a sinistra-centrosinistra (5,99) rispetto a coloro che dichiarano di votare a centrodestra-destra (3,95). Sempre interessante risulta, infine, l’analisi degli atteggiamenti in relazione alla dichiarazione di appartenenza o meno ad una fede religiosa. Si conferma il dato precedentemente analizzato nell'indice di 'contrarietà’: coloro che dichiarano di professare una fede religiosa diversa da quella cattolica si mostrano maggiormente aperti nei confronti degli stranieri (6,86) rispetto ai cattolici praticanti (4,97) e ai cattolici non praticanti (4,64). Interessante è ancora una volta l’apertura che dichiarano di avere coloro che si dicono non appartenenti a nessuna fede religiosa (5,11). L’indice medio relativo al favore accordato alla possibilità di riconoscere diritti legati alla cittadinanza e al voto amministrativo o politico agli stranieri da parte dei cittadini della provincia di Forlì-Cesena è invece pari a 4,62. Seppur si tratti di un indice non basso, risulta inferiore a quello degli atteggiamenti simpatetici, a sua volta meno solido della non contrarietà, a dimostrazione del fatto che esiste uno scarto fra mancata ‘discriminazione’, apertura verso l’immigrazione e riconoscimento dei diritti civili e politici agli immigrati nel caso in cui non siano cittadini. Se da un lato, quindi, si assiste ad un atteggiamento di apertura e comprensione nei confronti degli stranieri, dei quali si iniziano sempre più a conoscere non solo le condizioni di vita quotidiana, ma anche le storie personali – come tendono a dimostrare i dati sulla conoscenza diretta – e si nota la messa in atto di buone pratiche e di atteggiamenti che si sono consolidati e che tendono a favorirne l'integrazione nella comunità di accoglienza, tanto da far intravedere la possibilità di una 'cittadinanza 161 sociale'; dall'altro lato non si può non notare come tutta una serie di diritti, compreso quello di voto amministrativo e politico, che passano necessariamente attraverso l'acquisizione della cittadinanza legale, mostrano negli intervistati un atteggiamento più cauto. Su questo stesso indice, rispetto al genere dell'intervistato (cfr. tab. 5.7), persiste una leggera differenza tra uomo (4,68) e donna (4,56), anche se in questo caso lo scarto tra le due posizioni è minimo. Tab. 5.7. Indice di atteggiamento rispetto al godimento dei diritti da parte degli stranieri Media N Sesso Maschio Femmina 4,68 4,56 414 399 Età 15-29 anni 30-49 anni 50-64 anni 65 anni e oltre 4,66 4,62 4,76 4,38 160 329 191 133 Distretto di residenza Forlì Cesena-Valle Savio Rubicone-Costa 4,51 4,93 4,45 380 242 191 Titolo di studio Fino a licenza elementare Licenza media o qualifica Diploma Laurea o post-laurea 4,16 4,73 4,76 4,56 95 273 275 164 Disponibilità economica familiare Bassa Media Alta 4,54 4,55 4,84 259 304 209 Orientamento politico Sinistra- Centro-sinistra Destra- Centro -destra 5,22 3,97 338 170 Orientamento religioso Cattolici praticanti Cattolici non praticanti Appartenenti ad altra confessione religiosa Non religiosi 4,41 4,52 5,74 4,77 192 311 37 263 162 Anche in relazione alle età persiste un atteggiamento di minore apertura da parte degli ultra65enni (4,38) rispetto alle altre fasce di età (4,66 tra i 1529enni, 4,62 tra i 30-49enni e 4,76 tra i 50-64enni), ma sembra che il riconoscimento dei diritti livelli un po' le percezioni tra i residenti nella Provincia di Forlì-Cesena, riducendo lo scarto esistente tra le risposte fornite. Rispetto al titolo di studio dell’intervistato, tra coloro che hanno un titolo di studio universitario, il valore medio è 4,55, dato molto prossimo a quello espresso dai meno scolarizzati (4,16); una maggiore propensione invece è dimostrata da coloro che hanno un titolo di studio intermedio (4,73 tra coloro che hanno una licenza media superiore e 4,75 tra coloro che hanno un diploma di maturità). Ancora una volta emerge un atteggiamento più aperto verso gli stranieri tra coloro che hanno una maggiore disponibilità economica (4,84) rispetto a coloro che si collocano su fasce di reddito più basse (4,54), così come si conferma il forte potere discriminante dell’appartenenza politica, che vede coloro che dichiarano di votare a sinistra-centrosinistra molto più favorevoli al riconoscimento della cittadinanza e al godimento dei diritti politici e civili da parte degli stranieri (5,22), rispetto a coloro che si collocano a centrodestra-destra (3,97). Per quanto riguarda la fede religiosa, risulta interessante notare come, ancora una volta, gli appartenenti ad una confessione religiosa diversa da quella cattolica risultano i più propensi al riconoscimento dei diritti di cittadinanza in termini giuridico-formali (5,74) rispetto ai cattolici non praticanti (4,52) e ai cattolici praticanti (4,40); coloro che invece si dicono non appartenenti a nessuna fede religiosa danno una risposta media di 4,77. Tali medie restano inferiori a quelle espresse in termini di atteggiamento simpatetico, a dimostrazione del fatto che se da un lato i residenti della provincia di Forlì-Cesena danno ormai per consolidata la presenza straniera sul territorio, dimostrando come nei confronti degli immigrati si sia sviluppato, in alcuni casi, un certo sentimento di empatia rispetto alle condizioni che essi vivono (soprattutto in questo periodo di crisi economica e sociale che colpisce trasversalmente tutte le categorie e le ‘classi’, allo stesso modo), dall'altro lato risultano essere meno propensi al riconoscimento di quei diritti che ad oggi contribuiscono ancora a fare la differenza tra un 'noi' e un 'loro', e che sembrano garantire maggiore sicurezza sociale e maggior voice. 163 5.5. Gli atteggiamenti degli stranieri nei confronti degli stranieri In considerazione del fatto che circa un 10% degli intervistati è nato in un Paese diverso dall'Italia, da ultimo ci è sembrato interessante andare a verificare quale fosse la percezione di questi intervistati stranieri residenti sul territorio provinciale in relazione al processo di integrazione e al percorso di acquisizione della cittadinanza. Da una prima analisi risulta evidente che il loro atteggiamento di favore verso un riconoscimento dell’importanza della presenza straniera e verso il consolidamento delle modalità e delle condizioni di permanenza del territorio è sicuramente e prevedibilmente maggiore rispetto a quello degli italiani su tutti i campi di ricerca proposti, con particolari scostamenti per quanto riguarda alcuni dei diritti che secondo la loro visione dovrebbero essere riconosciuti. Ad esempio, in relazione all’idea per cui “la cittadinanza spetta solo a chi ha almeno un genitore italiano”, che è più rigida rispetto a quella in cui il diritto è riconosciuto al di là dello ius sanguinis, gli stranieri prendono maggiormente le distanze. Un ulteriore esempio riguarda il grado di accordo sulla compresenza di italiani e stranieri a scuola come elemento che favorisce l’integrazione: gli stranieri intervistati mostrano un favore medio più elevato di quello già positivo espresso dagli italiani. Ancora una volta, quindi, la scuola viene vista come luogo nel quale poter superare le barriere culturali e favorire il processo di integrazione e di consolidamento della presenza degli immigrati sul territorio, e dei loro figli, in vista di un percorso di cittadinanza che ne veda, alla fine, riconosciuti tutti i diritti civili e politici. In relazione ai politici si evidenzia infine lo scarto maggiore tra le risposte fornite dagli immigrati e dagli italiani che sono sensibilmente meno favorevoli a garantire il diritto di voto amministrativo e politico agli immigrati. I dati evidenziano infatti che tra gli immigrati è molto diffusa l’idea che sia giusto dare la possibilità a chi risiede in un dato territorio da molto tempo di prendere parte a quelle che sono le decisioni prese per il territorio stesso. Il rapporto che sembra sussistere tra gli italiani e gli stranieri presenti sul territorio provinciale dimostra una serie di aperture e di passi avanti rispetto al passato e rispetto alle diverse posizioni alle quali si assiste in altre zone d'Italia. Sebbene si tratti di una realtà relativamente felice rispetto ad altri contesti, dove i percorsi di cittadinanza sociale sembrano essere ben avviati, restano ancora tanti passi da fare, decisioni da prendere, soprattutto per favorire lo sviluppo di senso di appartenenza tra i giovani di origine straniera nati e cresciuti in questo territorio. 164 5.6. Rilievi di sintesi I rapporti tra esseri umani sono regolati da consuetudini, abitudini, norme, scritte o non scritte, che permettono di avere delle attese rispetto alle azioni che gli individui compiono. Nel caso del rapporto tra italiani e immigrati, il gioco di relazioni subisce una battuta d'arresto, legata al fatto che spesso gli italiani conoscono poco il mondo dell'immigrazione, e gli immigrati poco quello delle società ospitanti, almeno per tutta la prima fase di immigrazione, e in alcuni casi i due mondi non arrivano mai ad incontrarsi. La presenza di queste barriere invisibili contribuisce a rallentare e, a volte, a rendere impossibile, l'instaurarsi di relazioni tra 'vecchi' italiani e 'nuovi' italiani, proprio perché all'azione di ego non corrisponde una reazione aspettata da parte di alter ma, spesso, un atteggiamento che si fatica a riconoscere perché nuovo, diverso, inatteso, e che in quanto tale viene percepito come ostile. Sotto la spinta delle ‘forze della globalizzazione’ si modificano i paesaggi familiari, mutano gli assetti relazionali, si è costretti a cambiare abitudini, e questo mette in crisi un’identità sociale che in molti casi caratterizza intere esistenze. Il grande elemento di novità che ha presentato questa indagine è l'alto livello di conoscenza diretta che gli intervistati hanno dichiarato di avere degli stranieri (come già detto in precedenza il 66% degli intervistati dichiara di conoscere personalmente almeno uno straniero)23, fatto forse inaspettato fino a qualche anno fa, ma che oggi non deve stupire per due ragioni principali: una storica, legata alle tradizioni di accoglienza del territorio romagnolo, che sono da sempre presenti nel profondo tessuto culturale della popolazione residente; e una di recente costruzione, legata alla convivenza sul territorio e proprio alla conoscenza diretta con le realtà che compongono il panorama migratorio nella provincia di Forlì-Cesena. Sicuramente persistono delle criticità nel rapporto tra i cittadini residenti nella provincia di Forlì-Cesena e gli immigrati, come dimostrato nella analisi dei dati esposta precedentemente. La minore apertura espressa dalla fascia di età più anziana in tutte le suggestioni proposte, il rapporto diretto che sussiste tra livello di scolarizzazione e quello di apertura agli immigrati, la parziale chiusura dimostrata rispetto al riconoscimento del diritto di voto amministrativo e politico in maniera un po' trasversale tra tutte le categorie considerate. 23 Sarebbe interessante approfondire la natura di tali rapporti, come iniziano, come si strutturano, attraverso quali canali e attraverso che tipo di frequentazioni, se si consolidano nel tempo e se sussistono delle caratteristiche che possano favorirli o renderli maggiormente difficili. 165 Nonostante tali aspetti, il livello di apertura dei cittadini residenti nella provincia è sicuramente avanzato, ed è frutto di politiche che si sono consolidate negli anni e di una attenzione particolare nei confronti dell'integrazione ‘dal basso’, attraverso la promozione di scambi culturali, ma soprattutto attraverso la promozione di percorsi scolastici integrati, capaci di far sviluppare pratiche di conoscenza che si sono poi consolidate nel tempo. Le seconde generazioni rappresentano, infatti, una risorsa fondamentale nel processo di integrazione. Come evidenziato, la conoscenza diretta facilita l'integrazione e la sfida che ci dobbiamo porre è quella abbattere le barriere che permangono ai processi di conoscenza e di relazione tra italiani e stranieri. In questo senso la scuola per chi la frequenta, ma anche per il coinvolgimento della famiglia, rimane uno dei luoghi principali per lo scambio di cultura e di culture, per conoscere l’altro e non percepirlo più come il diverso, ma come parte integrante della società. 166 6. Qualità della vita, sicurezza e radicamento territoriale di Stella Volturo 6.1. Premessa In questo capitolo si affronta il tema della qualità della vita in relazione al contesto locale declinata lungo quattro dimensioni. In primo luogo, l'attenzione si è focalizzata sulla questione della sicurezza, tematica molto dibattuta negli ultimi decenni in tutto il Paese, sia negli ambienti della politica che nei discorsi mass-mediatici. Essa rappresenta un aspetto rilevante della vita sociale in quanto ha una spiccata valenza ideologica ed esistenziale per le persone che si sentono insicure. In questa sede si è scelto di considerare dapprima la dimensione della percezione di sicurezza e successivamente gli effettivi episodi di vittimizzazione, quindi gli effettivi episodi di microcriminalità. In secondo luogo, è stata affrontata la sfera delle rappresentazioni degli intervistati rispetto alle problematiche che, a loro avviso, toccano maggiormente il territorio in cui vivono, quali la disoccupazione, l'inquinamento, il traffico, soltanto per citarne alcune. Il tentativo è stato quello di costruire una sorta di 'termometro delle preoccupazioni' in modo da restituire un'immagine articolata della percezione dei maggiori problemi del territorio. In terzo luogo, è stato affrontato il tema della mobilità e dell'utilizzo del territorio, a partire dal livello di fruibilità dei mezzi pubblici locali fino al grado di raggiungibilità dei principali servizi che caratterizzano la vita quotidiana degli intervistati (ad esempio scuole, farmacie, uffici comunali). Infine, si è indagata la dimensione delle rappresentazioni degli intervistati sia rispetto all'orizzonte locale (il comune e la provincia di ForlìCesena), sia rispetto al territorio ‘allargato’ (la regione Emilia-Romagna). Il tentativo è stato quello di sondare il tipo di immagine e percezione dei forlivesi-cesenati rispetto al loro territorio richiamandone gli aspetti sociali (solidarietà e inclusione sociale), storici ed economici. 6.2. I molteplici volti dell'insicurezza Il concetto di sicurezza è multidimensionale e polisemico: i significati che gli individui possono attribuire a questa sfera dell'esistenza sono molteplici e variabili. La definizione stessa di sicurezza non rimane fissa nel tempo ma cambia a seconda del periodo storico e del significato che assume 167 per le persone, rappresentando così una costruzione sociale della realtà. Indubbiamente il ‘problema sicurezza', la sua percezione e i significati ad esso attribuiti raccontano del livello di benessere non soltanto individuale ma anche collettivo di un territorio1. Nel caso specifico della provincia di Forlì-Cesena è possibile sostenere, grazie al supporto dei dati emersi dall'indagine campionaria, che l'aspetto della sicurezza nel proprio ambiente di vita costituisce un obiettivo prioritario degli intervistati (93.7%), addirittura più rilevante, anche se di poco, del poter disporre di una certa tranquillità economica (91.3%). Tale dato può essere spiegato alla luce del fatto che, nonostante la recessione economica su scala globale, l'economia locale sia ancora piuttosto dinamica rispetto ad altri territori e la 'questione' sicurezza acquisti, quindi, particolare rilievo negli orientamenti valoriali dei soggetti intervistati. Tale aspetto potrebbe, a sua volta, essere interpretato tenendo conto dell'influenza esercitata dai mass media che, soprattutto negli ultimi anni, hanno prestato centrale attenzione al tema della sicurezza nella accezione di “stato individuale e collettivo da tutelare dai rischi derivanti dalla criminalità e dalla devianza”2 . In che modo è possibile sondare una fenomeno così articolato e complesso quale è quello della sicurezza? Innanzitutto bisogna chiarire quali aspetti si vogliono indagare per mezzo dello strumento di rilevazione empirica. In questa sede si è scelto, in prima battuta, di volgere l'attenzione alla dimensione della percezione dell'insicurezza da parte dei cittadini, ossia la dimensione soggettiva del fenomeno. Seguendo la felice intuizione di una studiosa francese, Christiane Louis Guérin3, è possibile individuare due aspetti della paura per la criminalità. Il primo aspetto è legato alla preoccupazione nei confronti di un fenomeno riguardante genericamente la società (paura astratta). Il secondo aspetto fa riferimento al timore evocato da un fenomeno di microcriminalità concreto più prossimo alla propria esperienza di vita quotidiana (paura concreta). A partire da tale distinzione di sicurezza, agli intervistati è stato innanzitutto chiesto di definire la situazione delle microcriminalità in Italia in termini di pericolosità 4: la maggior parte di essi si sono rivelati molto allarmati tanto che il 61,2% ha ritenuto la situazione 'abbastanza pericolosa' e circa 1 intervistato su 5 (19,9%) 'molto pericolosa', soltanto una minoranza 1 La sicurezza è stata individuata come una delle dodici dimensioni per misurare il benessere della società italiana. Si tratta di un dibattito molto attuale, per maggiori informazioni si visiti il sito www.misuredelbenessere.it. 2 A. Naldi, “Mass media e insicurezza” pag. 117, in R. Selmini . (a cura di), La sicurezza urbana, Bologna, il Mulino, 2005. 3 C. Guérin Louis, La peur du crime: mythes et réalités, «Criminologie», vol. 16, n°1, 1983. 4 Il quesito posto agli intervistati è: “come definirebbe la situazione della microcriminalità in Italia?” le modalità di risposta previste sono quattro: 1) per nulla pericolosa; 2) poco pericolosa; 3) abbastanza pericolosa; 4) molto pericolosa. 168 l'ha definita per nulla o poco pericolosa (18,7%). Lo scenario si ribalta quando si indaga la paura definita concreta, ossia relativa al proprio contesto vitale5. Infatti la quota di intervistati che definisce 'per nulla pericolosa' la situazione della microcriminalità è dieci volte quella rilevata per la paura astratta (10,5%), più della metà degli intervistati si colloca sulla modalità di risposta 'poco pericolosa' (52,2%), soltanto un terzo circa degli intervistati sostiene che la situazione della microcriminalità sia 'abbastanza pericolosa' (32,8 %) e il restante 4,5% la reputa 'molto pericolosa'. La figura 6.1. mostra le differenze esistenti nella percezione dei due tipi di paura che possono essere spiegate con il fatto che si tenda a sovrastimare il fenomeno della microcriminalità quando lo si pensa in astratto, a partire da rappresentazioni probabilmente più influenzate dai mass che dalla concreta esperienza di vita. Infatti, quando si richiama il fenomeno nel proprio ambiente vitale, fatto di spazi fisici e sociali in cui gli individui tendono a riconoscersi, a identificarsi, si tende a ridimensionare la pericolosità attribuita alla microcriminalità. Fig. 6.1. Confronto tra paura astratta e paura concreta (valori % per “molto + abbastanza”) 90 80 70 60 50 40 30 20 10 0 Paura astratta Paura concreta È interessante, ai fini dell'analisi, indagare se e come le principali 5 In questo caso il quesito è: “come definirebbe la situazione della microcriminalità nel comune in cui vive?” Le modalità di risposta previste sono le stesse del quesito precedente. 169 caratteristiche socio-demografiche siano in relazione con la percezione di paura astratta e concreta degli intervistati (cfr. tab. 6.1). Per quanto riguarda la prima, le variabili che influenzano maggiormente la probabilità di giudicare abbastanza o molto pericolosa la situazione della microcriminalità sono il tipo di professione svolta, l'orientamento politico, la disponibilità economica familiare6 e il livello d'istruzione. Dal campione forlivese-cesenate, infatti, emerge che sono le casalinghe a percepire un più elevato livello di allarme, con una percentuale dell' 89,1% di esse che ritiene abbastanza o molto pericolosa la microcriminalità in Italia. Viceversa i meno allarmati risultano essere gli imprenditori e i dirigenti quadri (rispettivamente 73,2% e 72,9%). Molto significativa è l'influenza dell'orientamento politico: gli elettori di destra e centro-destra hanno una probabilità di circa il 10% in più degli elettori di sinistra o centro-sinistra di giudicare molto o abbastanza pericolosa la situazione della microcriminalità in Italia (86.9% e 74,9%). Chi ha maggiori risorse economiche si percepisce anche più sicuro rispetto a chi è in possesso di un capitale economico meno cospicuo: un indice di disponibilità economica basso o medio aumenta del 10% circa la probabilità di percepirsi insicuro rispetto ai più 'ricchi'. Infatti l’85% circa dei meno abbienti definisce molto o abbastanza pericolosa la situazione della microcriminalità contro il 74,2% dei più benestanti. Infine, un maggior livello d'istruzione garantisce anche una maggiore serenità in termini di percezione della paura astratta, quest'ultima, infatti, tende a diminuire all'aumentare del grado di scolarizzazione. Vi sono considerevoli differenze tra chi è in possesso al massimo della licenza elementare (88,4%), chi ha un livello d'istruzione medio (licenza media: 85%; licenza superiore: 81,6%) e chi è laureato (70,7%). Se in altre ricerche sono state riscontrate differenze di genere notevoli, con le donne che risultano più sensibili al tema dell'insicurezza rispetto agli uomini, dai dati emersi in questa indagine tali differenze sono invece più contenute (maschi: 78,5%; femmine: 84,1%). Stesso discorso vale per l'età: ci si aspetterebbe, infatti, una situazione di maggiore percezione d'insicurezza tra le fasce di età più anziane, ma le differenze, invece, sono piuttosto esigue. Dunque è plausibile concludere che il problema dell'insicurezza, declinata come paura in astratto, sia trasversale alla dimensione di genere e all'età. Procedendo con la messa in relazione delle stesse variabili sociodemografiche con la percezione d'insicurezza nel comune di residenza, quale indicatore di paura concreta, si delineano dinamiche simili a quelle sopra descritte, seppure con alcuni significativi scostamenti. 6 Per i dettagli nella costruzione dell’indice si rinvia al capitolo 8. 170 Tab. 6.1. Paura astratta e paura concreta (valori % per 'abbastanza' + 'molto') per principali variabili socio-demografiche Paura astratta Paura concreta Sesso Maschio 78,5 35,1 Femmina 84,1 39,5 Età 15-29 anni 30-49 anni 50-64 anni 65 anni e oltre 80,2 79,2 82,5 85,4 26,5 33,9 42,0 51,1 Distretto residenza Forlì Cesena-Valle Savio Rubicone-Costa 79,5 81,7 83,9 32,8 39,7 42,9 Titolo di studio Fino alla licenza elementare Licenza media o qualifica Diploma Laurea o post-laurea 88,4 85,0 81,6 70,7 54,6 44,9 29,5 27,0 Disponibilità economica familiare Basso Medio Alto 85,4 84,2 74,2 41,4 40,0 29,7 Status occupazionale Dirigenti, quadri, funzionari Impiegati di concetto e insegnati Impiegati esecutivi e operai Imprenditori e liberi professionisti Artigiani, commercianti Pensionati Casalinghe Studenti 73,2 83,3 84,5 72,9 82,9 80,4 89,1 77,3 24,4 36,2 38,8 23,7 50,0 46,0 47,8 27,7 Orientamento politico Sinistra/Centro-sinistra Centro-destra/Destra 74,9 86,9 54,9 45,1 La condizione professionale influenza il livello di percezione dell'insicurezza nel proprio comune. Ad avere più paura sono i commercianti (50%), seguiti da casalinghe (47,8%) e pensionati (46%). Per quanto 171 riguarda il dato relativo a questi ultimi, lo si potrebbe interpretare considerando il loro stile di vita tendenzialmente meno mondano rispetto a chi è attivo sul mercato del lavoro. La loro potrebbe essere una paura verso un mondo esterno che, seppure locale, vivono poco e che percepiscono come pericoloso in termini di microcriminalità. Per i commercianti si potrebbe ipotizzare un discorso inverso: tendono ad avere una rappresentazione più grave del fenomeno nell'ambiente in cui vivono perché probabilmente sommano alle preoccupazioni comuni ad altri profili professionali anche timori legati allo specifico tipo di attività svolta, nell’immaginario ritenuta più esposta ad episodi di microcriminalità. L'orientamento politico continua ad avere un impatto rilevante anche sulla percezione di insicurezza nel proprio comune: gli elettori di destra e centro-destra che definiscono molto pericolosa la situazione della microcriminalità sono circa il doppio (45,1%) degli elettori di sinistra e centro-sinistra (29,6%). La ripetizione di questo risultato testimonia la valenza ideologica del concetto di sicurezza cui si accennava prima. Soprattutto negli ultimi anni i partiti di destra e centro-destra hanno dato molta importanza nella loro agenda politica e nei discorsi di propaganda elettorale al tema sicurezza, intercettando così quel sentimento di paura e insicurezza alimentato, a sua volta, dall'enfasi mediatica. Anche nel caso della paura concreta, al crescere del livello di ricchezza diminuisce la percezione di insicurezza. Si può dunque sostenere che una maggiore tranquillità economica è correlata negativamente alla percezione dell'insicurezza. La percezione della microcriminalità nel proprio comune, inoltre, è più accentuata, come visto in precedenza per la paura astratta, per chi è in possesso della licenza elementare (54,6%) e media (44,9%), diversamente, chi ha un titolo di studio più elevato come il diploma di maturità (29,5%) o la laurea e oltre (27%) si sente relativamente più sicuro nel proprio ambiente di vita. Diversamente da quanto affermato per la paura astratta, nel caso della percezione d'insicurezza in concreto, l'età è una variabile che aiuta a spiegare il fenomeno in questione: i più giovani si sentono più tranquilli, sono circa un quarto (26,5%) coloro che reputano abbastanza o molto pericolosa la situazione della microcriminalità nel comune in cui vivono, mentre i più anziani (65 anni e più) sono i più allarmati in quanto più della metà (51,1%) giudica abbastanza o molto pericolosa la situazione. Anche in questo caso il genere dell'intervistato non è una variabile esplicativa della maggiore propensione ad aver paura della microcriminalità nel proprio comune, le differenze tra maschi e femmine non sono rilevanti. Considerato che il quesito posto all'intervistato è relativo alla percezione della microcriminalità nel comune di residenza, è certamente 172 utile indagare come ha risposto il campione se si prendono in considerazione i tre distretti. Laddove il distretto di Forlì e Cesena-Valle Savio vivono una situazione analoga (le percentuali di intervistati che sceglie la modalità di risposta 'molto e abbastanza pericolosa' sono 32,8% per Forlì-Cesena e 39,7% per Cesena Valle-Savio), nel distretto di Rubicone-Costa si registra una maggiore paura per la microcriminalità nel proprio comune (42,9%). Ma quali e quanti sono i tipi di reato che si sono verificati nel territorio di Forlì-Cesena nell'ultimo anno? I reati presi in considerazione nell'indagine condotta sono relativi al furto d'auto, furto nella propria abitazione e di oggetti (borseggio), furto con minaccia (scippo) ed infine aggressione fisica. Le prime tre fattispecie possono essere raggruppate sotto l'etichetta di 'reati contro la proprietà senza interazione' in quanto non prevedono alcun contatto tra autore e vittima. I restanti due casi prevedono invece l'uso intenzionale o la minaccia della forza fisica e possono essere raggruppati sotto l'etichetta di 'reati violenti'7. Per ciascuno di questi reati si è voluto indagare sia l'esperienza di vittimizzazione diretta, sia la diffusione dei reati nella rete sociale dell'intervistato, detta anche vittimizzazione ‘vicaria’8. Per ciascun reato verranno riportati i principali risultati per entrambi i tipi di vittimizzazione. Come si avrà modo di osservare, la vittimizzazione 'vicaria' raggiunge valori sensibilmente più alti della vittimizzazione diretta. È, pertanto, possibile ipotizzare che essa sia sovrastimata dagli intervistati in quanto essi potrebbero aver fatto riferimento a episodi di vittimizzazione riferiti a persone che non rientrano strettamente nella loro rete sociale, è il classico ‘passa-parola’ (sentito dire), oppure a conoscenti che non vivono nel territorio forlivese-cesenate. Circa 3 intervistati ogni 100 sono stati vittime di un furto d'auto (2,8%) nell'ultimo anno. Se si prende in considerazione la rete sociale dell'intervistato, chiedendogli se qualche suo conoscente abbia subito un furto d'auto nello stesso periodo, il dato aumenta significativamente (16,6 %). Per quanto riguarda il furto nella propria abitazione, il 10% circa degli intervistati ha dichiarato di esserne stata vittima nell'ultimo anno. Come ci si può aspettare, tale percentuale aumenta di ben 27,5 punti percentuali (37,5%) quando ci si riferisce agli episodi di vittimizzazione della rete sociale dell'intervistato. Il terzo tipo di reato rilevato è quello che viene definito 'borseggio', ossia la sottrazione di oggetti (ad esempio il portafoglio) senza che la vittima 7 M Barbagli., A. Colombo., E. Savona., Sociologia della devianza, Bologna, il Mulino, 2003. S. Arsani. e G. Muratore , “Le vittime” in R. Selmini, La sicurezza urbana, Bologna, il Mulino, 2004. 8 173 se ne accorga. Nel caso della provincia di Forlì-Cesena, l'incidenza di questo tipo di reato è stimata al 15,7%. Se si estende la rilevazione alla rete sociale dell'intervistato il dato raggiunge il 23,2%. Questi due ultimi reati – furto d’auto e borseggio – presentano percentuali di vittimizzazione sensibilmente più alte rispetto ad altre indagini relative al medesimo territorio9. Ciò è probabilmente dovuto ad una tendenza a sovrastimare il fenomeno al di là del limite temporale richiamato nel quesito (12 mesi)10, ragion per cui si suggerisce di usare con cautela questa informazione. Per quanto riguarda i reati cosiddetti 'violenti', la frequenza con cui si manifestano è molto più rara rispetto ai danni contro il patrimonio: le vittime dello scippo sono l'1,6% del campione forlivese-cesenate, coloro che hanno subito un aggressione costituiscono l'1,2% degli intervistati. Anche in questi due casi la vittimizzazione 'vicaria' riferita alla rete sociale dell'intervistato registra valori più alti, ma il dato non incrementa di molto come nei casi precedenti, infatti la differenza massima tra i due tipi di vittimizzazione è del 6%. Molte ricerche hanno messo in evidenza come interagiscono le principali caratteristiche socio-demografiche con gli episodi di vittimizzazione al fine di creare un profilo delle vittime per ciascun tipo di reato11. Per quanto riguarda la presente indagine, si è proceduto con lo stesso tipo di analisi, rilevando così eventuali differenze di genere, età, luogo di residenza, classe sociale. In riferimento al furto d'auto, ne risultano maggiormente vittimizzati gli ultrasessantacinquenni (4,3%) anche se di poco rispetto alle altre classi di età, chi vive nel distretto di Rubicone-Costa (5.5% contro l'1,6% del distretto di Forlì e il 2,4% del distretto di Cesena-Valle Savio) e chi ha una disponibilità economica familiare più bassa (3,7% contro il 2,9% delle situazioni economiche intermedie e l'1,9% dei meno abbienti). Le vittime che hanno subito un furto in casa sono perlopiù 50-64enni e ultrasessantacinquenni (rispettivamente 13,6% e 11,7%); non vi sono rilevanti differenze di genere (11,8% degli uomini contro il 9,8% delle donne) e la situazione risulta piuttosto omogenea tra i tre distretti della provincia forlivese-cesenate (distretto di Forlì: 8,8%; Cesena-Valle Savio: 12,9%; Rubicone-Costa: 10,7%). 9 Cfr. ISTAT, Statistiche in breve. Reati, vittime e percezione della sicurezza. Anni 2008-2009; Regione Emilia-Romagna, Seconda indagine di vittimizzazione, 2002. 10 Il quesito è il seguente: “Pensando agli ultimi 12 mesi, è capitato a lei direttamente o ad un suo familiare, amico o parente uno dei reati che ora le elencherò nella zona in cui risiede? Ad esempio, nell’ultimo anno le è capitato che…”. 11 AA. VV., Politiche e problemi della sicurezza in Emilia-Romagna. Undicesimo Rapporto Annuale 2005, «Quaderni di Città Sicure». 174 In riferimento alle vittime del borseggio, i più vittimizzati sono i 5064enni e gli ultrasessantacinquenni (rispettivamente 19% e 18%), vi si riscontrano poi leggere differenze di genere con circa il 18% di donne e il 14% di uomini. La situazione nei tre distretti è eterogenea: Forlì e CesenaValle Savio registrano entrambi percentuali pari al 18%, mentre nel distretto di Rubicone-Costa vi è una riduzione di circa 8 punti percentuali (10,6%). Il livello di ricchezza familiare non incide sulla probabilità di essere vittime di borseggio, registrando, quindi, percentuali simili (circa 15%). Anche per quanto riguarda le vittime dello scippo, si rileva una maggiore vittimizzazione nelle classi di età dei più anziani (50-64enni: 3,1% e 65 e oltre: 2,2%). Per questo tipo di reato non si riscontrano particolari differenze di genere né territoriali. Neanche in questo caso la disponibilità economica familiare influenza la probabilità di essere vittime di scippo. Infine, per quanto riguarda le vittime di aggressione, non si registra variabilità se si procede all'analisi delle relazioni con le principali variabili indipendenti utilizzate per gli altri reati, anche perché il totale degli individui coinvolti è un numero esiguo del campione (10 individui). La relazione tra l’esperienza di restare vittime di un reato e la percezione della criminalità è, da tempo, oggetto di discussione tra chi si occupa di questi temi in quanto le evidenze empiriche mettono in evidenza andamenti contraddittori. Da un lato vi è chi sostiene che le vittime dei reati, soprattutto di natura predatoria, appartengano a classi sociali più abbienti in quanto possiedono beni in misura maggiore e hanno uno stile di vita dinamico a causa del lavoro o del modo di trascorrere il tempo libero. Tali caratteristiche contribuirebbero ad aumentare il loro rischio di restare vittime di un reato, ma allo stesso tempo danno loro elementi per sentirsi meno vulnerabili alla criminalità stessa. Vi sarebbero poi gruppi sociali molto meno dinamici sia da un punto di vista economico sia come stile di vita: costoro sarebbero più allarmati anche se meno vittimizzati12. Tale fenomeno è stato denominato in letteratura come “paradosso vittimizzazione-paura”13. Al fine di approfondire questo fenomeno è stato costruito un indice di 'familiarità' alla vittimizzazione che è stato poi messo in relazione alla percezione del rischio di cadere vittima di un reato. Si tratta di un indice additivo che somma i casi in cui un intervistato sia stato vittima di reato14. Vi è co-variazione tra l'essere stati realmente vittime di reato e percepirsi più vulnerabili? Dai risultati emersi dalla presente rilevazione emerge che 12 M. Stafford, O. Galle, Victimization Rates, Exposure To Risk, and Fear of Crime, in «Criminology», 22/2, 1984. 13 Per un dibattito su questa tematica si veda: R. Cornelli, “Paura della criminalità e allarme sociale”, in R. Selmini. (a cura di), La sicurezza urbana, Bologna, il Mulino, 2004. 14 I valori attribuiti all'indice di vittimizzazione sono: mai, una sola volta, più di una volta. 175 all'aumentare del numero degli episodi di vittimizzazione aumenta anche il rischio percepito di vittimizzazione che, coerentemente, si giudica aumentato nell'ultimo anno. Tale andamento è verificabile sia se si tiene conto dei reati subiti in prima persona che di quelli subiti dalla rete sociale dell'intervistato. Dunque, si può concludere affermando che per il campione analizzato sembra non manifestarsi il cosiddetto “paradosso vittimizzazione-paura”, ma che il sentirsi a rischio derivi dall'essere stati realmente vittima di reato. Per essere più precisi, il 50% di chi ha subito un reato, tra quelli analizzati, sostiene che il rischio di vittimizzazione sia aumentato, il dato per coloro che non sono stati vittime in prima persona ma che conoscono qualcuno che abbia subito un reato nell'ultimo anno è pari al 29%. 6.3. Le preoccupazioni sociali dei forlivesi-cesenati Questo paragrafo costituisce un tentativo di approfondire come gli intervistati interpretano il loro territorio alla luce delle principali questioni al centro del dibattito pubblico. In altre parole, si tratta di cogliere quella che viene definita “preoccupazione sociale” che racconta di come i soggetti reinterpretano i temi più frequentemente proposti nel dibattito pubblico15 e che, quindi, sono anche più probabilmente influenzabili dai mass media che spesso operano in una logica di spettacolarizzazione delle problematiche. Gli intervistati forlivesi-cesenati si sono rivelati piuttosto ottimisti quando sono stati interpellati sulla soddisfazione generale per la vita che conducono attualmente16. Essi non sono sembrati particolarmente preoccupati neanche quando sono stati chiamati ad esprimersi sulla concezione del proprio futuro17. Tuttavia, se si propongono problematiche specifiche è possibile rilevare aree particolarmente sensibili e che suscitano preoccupazione in quanto ritenute gravi o inadeguate nel proprio comune. La figura 6.2. mostra una sorta di graduatoria nelle preoccupazioni degli intervistati. Come si può notare, il primo posto è occupato dalla questione relativa al costo di una casa: il 60,9% del campione ritiene molto e abbastanza grave tale questione. Al secondo posto, a circa 10 punti 15 Regione Emilia-Romagna, Politiche e problemi della sicurezza in Emilia-Romagna. Tredicesimo Rapporto annuale 2009, «Quaderni di Città Sicure» 16 La soddisfazione generale per la propria vita è stata misurata con una scala auto-ancorante con valori da 1 a 10: il valore medio per il campione forlivese-cesenate è 7. 17 La rappresentazione del proprio futuro è stata indagata con uno specifico quesito in cui si chiedeva all'intervistato come pensava al proprio futuro, ovvero se faticasse a vederlo, se ne avesse un'idea negativa, sia positiva che negativa o del tutto positiva. Soltanto l'11% del campione fatica a vedere il proprio futuro, la maggior parte degli intervistati ha rivelato di vedere sia aspetti negativi che positivi (60%), mentre il 19,5% si è dichiarato del tutto ottimista. 176 percentuali di distanza, vi si posiziona la problematica della disoccupazione (51,3%), seguita dalla questione della droga (44,5%). Il quarto posto è occupato dalla questione della condizione della pavimentazione stradale (39%%). Livelli di preoccupazione simili sono identificati nelle questioni relative al traffico (37,1%), alla corruzione politica (36,3%) e all'inquinamento (34%). Le questioni che sono meno avvertite come problematiche riguardano l'offerta ricreativo-culturale (22,6%), la pulizia degli spazi pubblici (21,6%), l'offerta scolastica (20,7%) ed, infine, l'illuminazione stradale (20%). Fig. 6.2. Graduatoria di alcune questioni riguardanti la realtà comunale (valori % per 'molto' + 'abbastanza') Costo di un'abitazione (acquisto) Disoccupazione Droga Pavimentazione stradale Traffico Corruzione politica Inquinamento Offerta ricreativa Pulizia degli spazi pubblici Offerta scolastica Illuminazione strade 0 10 20 30 40 50 60 70 È evidente che ciascuna di queste tematiche meriterebbe approfondimenti sia di natura empirica che teorica che non è possibile soddisfare in questa sede. Le questioni sono eterogenee e spaziano tra diversi campi semantici richiamando le principali problematiche che possono avere luogo in un territorio. Nonostante l'impossibilità di approfondire ciascuno degli ambiti presentati, si è scelto di concentrarsi sulle problematiche che, dalla rilevazione campionaria, costituiscono le principali preoccupazioni degli intervistati. Come si è visto, in vetta alla classifica vi è la preoccupazione per il costo di un'abitazione. Non è semplice spiegare perché sia proprio tale questione a preoccupare maggiormente i forlivesi-cesenati intervistati. Si 177 può, però, richiamare la valenza non soltanto economica, ma anche simbolica attribuita in tutto il Paese al bene casa, in cui il 68,5% delle famiglie è proprietaria della casa in cui vive18. L'abitazione, inoltre, incorpora molteplici significati e funzioni in quanto soddisfa esigenze di riparo, costituisce la struttura all’interno della quale avviene la riproduzione domestica ed è il luogo dove si svolgono le attività familiari di cura. In definitiva, l’abitazione è un elemento costitutivo dello spazio sociale degli individui e una risorsa economica particolarmente rilevante19. Alla luce di queste riflessioni, si comprende quanto sia complessa e densa di significati la 'questione casa'. Rispetto alla provincia di ForlìCesena è possibile risalire ad alcune condizioni socio-demografiche che influenzano la probabilità di essere toccati maggiormente da questa problematica. Innanzitutto, come ci si aspetterebbe, la questione è più sentita da chi vive in affitto: 73,4% è la percentuale di chi giudica molto o abbastanza grave il 'costo di un'abitazione', rispetto a chi vive in una casa di proprietà (58,5%). Tra coloro che vivono in affitto, i più preoccupati sono quelli che pagano un canone d'affitto elevato, ossia superiore ai 600 euro mensili, infatti l'89,5 % di essi reputa molto o abbastanza grave la questione relativa al costo di una casa. Per quanto riguarda l'età, coloro che avvertono maggiormente il problema sono i 30-49enni (65,7%), la rilevazione di questo dato rimanda alla questione dei percorsi di autonomia dei giovani in cui l'accesso alla casa ne costituisce una dimensione rilevante e problematica20. Il livello d'istruzione non contribuisce a spiegare il grado di preoccupazione per la tematica in questione, in quanto le differenze tra i più scolarizzati e chi è in possesso di titoli di studio inferiori non sono significative. Sorprendentemente, neanche le risorse economiche disponibili nel nucleo familiare influenzano significativamente il grado di preoccupazione degli intervistati rispetto al tema in questione. Inoltre, se si verifica come si sviluppa la tematica all'interno dei tre distretti, è possibile rilevare un certo livello di omogeneità tra il distretto di Forlì (56,5%) e quello di Rubicone-Costa (51,3%), laddove nel distretto di Cesena-Valle Savio la percentuale di chi sostiene che la questione del costo dell'abitazione sia un problema molto o abbastanza grave è pari al 75,5%. 18 Istat, Statistiche in breve. L’abitazione delle famiglie residenti in Italia. Anno 2008, Roma. T. Poggio , Proprietà della casa, disuguaglianze sociali e vincoli del sistema abitativo, «La Rivista delle Politiche Sociali», 2005. 20 R. Torri, “Il rischio abitativo: riflessioni tra teoria e ricerca empirica, La Rivista delle Politiche Sociali, 2005. 19 178 Vi è poi la questione della disoccupazione che occupa il secondo posto nella classifica delle preoccupazioni del campione forlivese-cesenate. Seppure si tratti di un territorio con un mercato del lavoro dinamico, soprattutto se confrontato con altre realtà italiane, il problema della disoccupazione è percepito come un problema da 1 intervistato su 2. In parte ciò può essere giustificato alla luce della recessione economica iniziata nel 2008. Ma quali sono i principali fattori che influenzano la percezione di preoccupazione per la disoccupazione? Dall'analisi effettuata emerge che il genere non rappresenta una variabile influente (la percentuale di uomini si stima al 52% e quella delle donne al 50,5%). Neanche l'età sembra essere una variabile associata con il livello di preoccupazione per la disoccupazione: le percentuali tra le diverse classi di età sono molto simili oscillando, leggermente meno preoccupati appaiono i più giovani (classi di età 15-29 anni con una percentuale del 46,9% per poi essere stabili al 52% circa nelle restanti classi di età). Interessante è rilevare che all'aumentare del titolo di studio diminuisce il grado di preoccupazione per la questione relativa alla disoccupazione. Infatti, poco più del 60% di chi è in possesso al massimo della licenza elementare sostiene che la disoccupazione sia un problema molto o abbastanza grave, tale dato diminuisce al 53,7% per chi ha la licenza media o una qualifica professionale, fino a giungere al 42,7% di 'preoccupati' in possesso della laurea o di un titolo post-laurea. Si può, dunque, concludere che un più alto livello d'istruzione costituisca una risorsa non soltanto spendibile sul mercato del lavoro, ma che acquisti rilevanza anche nel percepirsi più protetti rispetto al problema della disoccupazione. Una variabile che incide sensibilmente sul giudicare molto preoccupante la situazione della disoccupazione è, senza dubbio, la disponibilità economica del nucleo familiare in cui si vive: maggiori risorse economiche, come ci si può intuitivamente aspettare, proteggono dalla preoccupazione per la disoccupazione ('soltanto' il 40,3% dei più 'ricchi' ritiene grave il problema della disoccupazione) che è maggiormente avvertita per chi è in possesso di risorse economiche più scarse (63,4% per chi ha un indice di disponibilità economica basso). Per quanto riguarda l'influenza della condizione professionale sulla preoccupazione per il problema della disoccupazione, si rileva che esso è particolarmente avvertito tra chi è impiegato esecutivo o operaio (58,9%). I meno preoccupati sono gli imprenditori (39%), gli studenti (35%) in quanto probabilmente ancora non hanno sperimentato le difficoltà del mondo del lavoro ed, infine, le casalinghe (31,8%) che, si ipotizza, non percepiscano la disoccupazione come problema molto grave in quanto non sono coinvolte attivamente nel mercato del lavoro. 179 Se si analizza la percentuale di chi ritiene molto o abbastanza la grave la situazione della disoccupazione nel proprio comune per distretto, risulta che il distretto Rubicone-Costa registra una percentuale di preoccupati più bassa pari al 40,1%, seguita da Cesena-Valle Savio con il 47,6% e dal distretto di Forlì con il 59,3%. Il terzo problema che si va a studiare in relazione alla principali variabili socio-demografiche è la questione della droga in quanto occupa il terzo posto nella graduatoria delle preoccupazioni del campione forlivesecesenate. Si tratta di una tematica che, per certi versi, rimanda alla sfera del disagio e dell'esclusione sociale. Tuttavia è da sottolineare che sotto l'etichetta di 'droga' possono essere racchiuse molteplici realtà e situazioni differenti, più o meno in connessione con situazioni di degrado. Non è quindi semplice interpretare e spiegare questo dato. È possibile, però, capire come co-variano le percentuali di preoccupazione su questa variabile e le principali variabili socio-demografiche. Il dato interessante è che laddove le differenze di genere e di disponibilità economica non sono marcatamente influenti sull'attribuzione di gravità al 'problema droga', lo sono invece la classe di età, il titolo di studio e l'occupazione. Sono infatti i più anziani, ossia i 65enni e oltre (il 63% di essi), coloro in possesso di un basso titolo di studio (63%) e i pensionati (56%) a percepire maggiore preoccupazione per il problema 'droga'. Si può quindi ipotizzare che tra i fattori che intervengono in questa relazione vi sia la dimensione della sfera mediatica e del dibattito pubblico che spesso enfatizza problemi che sono by default relativi alla devianza giovanile e che i più anziani fanno fatica a rielaborare criticamente. Se si analizza la situazione per distretto, non vi sono differenze notevoli: il distretto di Forlì appare leggermente più sensibile alla questione droga (47,6%) rispetto al distretto di Cesena-Valle Savio (43,1%) e RubiconeCosta (40,3%) in cui si registra la quota minore di intervistati preoccupati. Infine, si sottolinea che al di là delle questioni che occupano i primi posti nella scala delle preoccupazioni degli intervistati, l’aspetto forse più interessante e certamente positivo è che questioni strettamente connesse alla qualità della vita nel contesto locale – il traffico, l’inquinamento, la pulizia degli spazi pubblici, piuttosto che l’illuminazione stradale – abbiano tutto sommato scarso peso. 6.4. Utilizzo del territorio tra mobilità e accesso ai servizi In questo paragrafo si indaga come gli intervistati utilizzano il territorio in cui abitano focalizzando l’attenzione sulla mobilità e la raggiungibilità dei principali servizi pubblici. La possibilità di percorrere ampi spostamenti per viaggio, turismo, 180 lavoro o formazione è una pratica comune e un tratto distintivo del nostro tempo, facilitato anche dallo sviluppo dei mezzi di trasporto sia pubblici che privati. Se gli spostamenti di lunga percorrenza sono certamente quelli a cui più spesso si ricorre nell'immaginario collettivo quando si pensa alla questione della mobilità, è tuttavia necessario tenere presente un altro aspetto, ossia la mobilità di corto raggio, che per molti cittadini rappresenta una realtà quotidiana. Ci si muove, infatti, per ragioni legate alla sfera familiare, per svago e tempo libero, per lavoro o per altri motivi che hanno come denominatore comune il territorio in cui si vive. Muoversi all'interno di un contesto urbano o extra-urbano, ma di percorrenza limitata, si configura come una consuetudine sociale in quanto pratica che accomuna molti cittadini. Si tratta di una questione di cruciale importanza in quanto coinvolge aspetti sociali ed individuali, quali la gestione dei tempi, il modo in cui ci si rapporta con altri individui e realtà sociali, il modo di vivere la città e il territorio21. Pertanto, la mobilità è strettamente connessa alla socialità e alla qualità della vita: la facilità con cui è possibile raggiungere i principali servizi, grazie ai mezzi pubblici locali, alla loro fruibilità in termini di costi, di estensione capillare sul territorio e di qualità (ad esempio rispetto ad orari, puntualità e sicurezza) rappresenta un aspetto del cosiddetto welfare materiale22. È, dunque, importante studiare il grado di copertura dei mezzi pubblici locali, il loro utilizzo e i motivi di un eventuale non uso. Nel caso del territorio forlivese-cesenate, circa un quarto degli intervistati (24,5%) sostiene che la sua abitazione sia scarsamente servita dai mezzi pubblici locali, quattro intervistati su dieci (40,2%) dichiarano che sia servita a sufficienza e poco più di un terzo degli intervistati (35,3%) ritiene che la sua abitazione sia ben servita. Dunque, il quadro che emerge mostra una situazione complessivamente positiva, anche se non mancano alcuni aspetti problematici. Il grado di dotazione di mezzi pubblici locali riflette diversi aspetti: istituzionali, economici, sociali23. Importante è anche la domanda sociale del servizio, lo stile di vita e di consumo, la diffusione di altre forme di mobilità, le caratteristiche orografiche del territorio. Per tali ragioni è interessante analizzare la situazione della copertura del trasporto pubblico a livello distrettuale. Dai dati emerge che nel distretto di 21 L. Ceccarini . “I ‘mezzi’ secondo gli italiani. Immagini e uso del trasporto pubblico locale” in Bucci O. (a cura di), Il trasporto pubblico locale. Una prospettiva per l’Italia, Bologna, il Mulino, 2006. 22 Per welfare materiale si intende l’insieme di pratiche , dispositivi e oggetti che hanno costituito l’armatura fisica delle politiche urbane di welfare in Itale e in Europa. Si veda B. Secchi, La città europea contemporanea, «Territorio», 2002. 23 L. Ceccarini , op. cit. 181 Rubicone-Costa più di un terzo degli intervistati (34,5%) ritiene che la sua zona sia 'scarsamente servita' dai mezzi pubblici locali, mentre nei distretti di Forlì e Cesena-Valle Savio le percentuali sono sensibilmente più basse, rispettivamente 19,8% e 23,8%. Tale dato può essere interpretato alla luce del fatto che nel distretto di Rubicone-Costa non sono presenti grandi centri urbani rispetto agli altri due distretti, ragion per cui il trasporto pubblico locale è meno sviluppato. È stato chiesto poi agli intervistati con quale frequenza usino i trasporti pubblici locali: soltanto l'8% li utilizza quotidianamente, stesso valore si registra per i frequentatori settimanali; circa 15 intervistati su 100 utilizzano i mezzi pubblici 'qualche volta' e il 69,5% li usa raramente o mai24. Tale dato non solo rispecchia ciò che emerge dalle ricerche nazionali in prospettiva comparata europea sull'uso dei 'mezzi', in cui l'Italia occupa uno degli ultimi posti nella graduatoria nell'utilizzo di questo servizio25, ma segnala anche una contraddizione: ad un giudizio complessivamente positivo si associa uno scarso utilizzo. Ma chi sono gli users dei trasporti pubblici locali nella provincia di Forlì-Cesena26? Lo sono in misura leggermente maggiore le donne rispetto agli uomini: il 19 % di esse dichiara di utilizzare i trasporti pubblici locali quotidianamente o più volte a settimana contro il 12,6 % degli uomini. La classe di età influenza significativamente l'utilizzo dei 'mezzi': poco meno di un terzo dei più giovani (classe di età 15-29enni) usufruisce del trasporto pubblico locale frequentemente. Users assidui sono anche i più anziani (65 anni e oltre) con una percentuale pari al 16,5%. Tali dati possono essere interpretati richiamando un'altra questione relativa all'uso dei mezzi pubblici, ossia la disponibilità di mezzi privati alternativi. I più giovani probabilmente utilizzano maggiormente i mezzi pubblici per andare a scuola e non sono ancora in grado di guidare l'automobile. Gli anziani, invece, a causa del processo di invecchiamento, non sono più in grado di guidare adeguatamente. Oltre che genere ed età, anche le risorse economiche disponibili nel nucleo familiare influenzano il grado di utilizzo dei mezzi pubblici: due intervistati su dieci (20,1%) con bassa disponibilità economica utilizzano frequentemente i mezzi pubblici locali contro uno su dieci tra chi è in 24 Il 20% del campione dichiara di utilizzare i mezzi pubblici locali raramente, il 49,5% non li utilizza mai. 25 Per saperne di più si veda Special Eurobarometer 228/Wave 63.2, Passengers' Right, TNS Opinion & Social. (Il rapporto di ricerca è reperibile sul sito http://europa.eu.int/comm/public_opinion/index_en.htm). 26 Per rispondere a questa domanda si è proceduto con la ricodifica della variabile sull'utilizzo dei trasporti pubblici locali riducendo le modalità di risposta da tre a cinque. In tal modo le prime due modalità di risposta, “tutti i giorni” e “più volte a settimana” sono state aggregate, così come le ultime due modalità di risposta, “raramente e mai”. 182 possesso di cospicue risorse familiari (11,4%). È plausibile sostenere che utilizzare mezzi pubblici locali per spostarsi quotidianamente sul territorio risulti essere meno oneroso che sostenere i costi fissi e variabili che comporta l'utilizzo dell'automobile (ad esempio i costi assicurativi e quelli del carburante). Quali sono le principali motivazioni dello scarso utilizzo dei mezzi pubblici locali? Un primo motivo di non utilizzo è costituito dalla scomodità dei mezzi pubblici locali e dalla conseguente preferenza per i mezzi privati (53,5%). Poiché i rispondenti non sono tra gli users abitudinari, non si tratta di un giudizio esperienziale, ma piuttosto di una rappresentazione negativa dei mezzi di trasporto locale. Tra i mezzi privati alternativi si può citare non soltanto l'automobile ma anche la bicicletta che è molto usata nel territorio forlivese-cesenate. Si preferisce dunque l'autonomia della mobilità piuttosto che usufruire di un servizio pubblico che si immagina 'scomodo' probabilmente in termini di orari o di raggiungibilità di determinate aree. Il secondo motivo di non utilizzo è stato individuato da circa un quarto del campione (26%) nel fatto che i mezzi pubblici locali non sono utili perché, dovendo fare spostamenti brevi, si preferisce muoversi a piedi. Questo è possibile in territori in cui le distanze sono relativamente brevi, date le ridotte dimensioni dei comuni facenti parte della provincia di ForlìCesena. Infine, circa l'8% (7,8) di chi non utilizza i mezzi pubblici locali li ritiene non efficienti e quasi nessuno (0,1%) non li trova fruibili a causa dei costi. Quando si affronta la questione dell’utilizzo del territorio è importante considerare anche la raggiungibilità dei servizi che è parte del più ampio discorso sull'accessibilità, area di particolare criticità sia nei contesti urbani che rurali, dovuta sia alla eterogeneità dei bisogni sia alla differenziazione dei tempi e dei ritmi sociali. Come sottolineato da altri studi27, il tema dell'accessibilità e della raggiungibilità dei servizi da parte di individui o gruppi sociali pone una questione di equità e di inclusione sociale poiché chi sperimenta un accesso limitato si trova in una condizione di svantaggio. Pertanto, tale aspetto è un elemento che connota la società locale nel suo complesso e ne definisce il grado di equità sociale e la qualità della vita dei suoi membri28 . Nella provincia di Forlì-Cesena – come evidenziato dalla figura 3 – non vi sono situazioni particolarmente gravi riguardanti il grado di 27 AA.VV., “Urban mobility, accessibility and social equity”, in Mo.Ve. Association (International Forum on Sustainable Mobility in Eurpean Metropolitan Areas), 2006; N.Cass, E. Shove., J. Urry, Social exclusion, mobility and access, «The Sociological Review», 2005. 28 B. Borlini, F. Memo., “Mobilità, accessibilità ed equità sociale”, Paper presentato alla Conferenza Espanet, Milano, 29 Settembre – 1 Ottobre 2011. 183 raggiungibilità dei principali servizi. Quelli più difficoltosi da raggiungere sono il pronto soccorso: il 22,8% degli intervistati lo ha ritenuto abbastanza o molto difficoltoso da raggiungere; ad esso seguono - per ordine di difficoltà nella raggiungibilità – gli uffici comunali (17,8%) e le scuole superiori (16,9%). Le percentuali si riducono significativamente per i restanti servizi. Per gli ambulatori, ad esempio, la percentuale di chi ritiene molto o abbastanza difficoltoso raggiungere i servizi è quasi la metà (8%) del servizio che lo precede (scuola superiore: 16,9%) nella graduatoria. Seguono poi supermercati e ipermercati (7,1%) che spesso si trovano nelle aree industriali non facilmente raggiungibili senza l'uso dell'automobile; quindi la scuola media (5,7%) e l'ufficio postale (5,2%). Le percentuali di chi ritiene abbastanza o molto difficoltoso raggiungere il nido o la scuola d'infanzia, la farmacia, la scuola elementare e i negozi di genere alimentare o i mercati sono piuttosto basse oscillando da un massimo del 4% (nido e scuola d'infanzia) ad un minimo del 2.5% (negozi di alimentari e mercati). Fig. 6.3. Grado di raggiungibilità di alcuni servizi nella provincia di Forlì-Cesena (valori % per ‘molto’ +’abbastanza’ difficoltoso) Pronto soccorso Uffici comunali Scuola superiore Ambulatori Supermercati Scuola media Ufficio postale Nido/Scuola dell'infanzia Farmacia Scuola elementare Negozi di generi alimentari 0 5 10 15 20 25 Rispetto ai tre servizi più difficilmente raggiungibili, dall’incrocio con i distretti di residenza risulta che il pronto soccorso è più difficilmente raggiungibile nel distretto di Forlì (28,6% contro il 19,6% e 14,1 rispettivamente di Forlì e Cesena Valle-Savio). Un quarto degli intervistati del forlivese e del cesenate (20,1% e 24,6%) ritengono difficoltoso 184 raggiungere gli uffici comunali, contro il 5% dei residenti nel distretto di Rubicone-Costa. Per la raggiungibilità delle scuole superiori, invece, si registra una situazione omogenea tra i tre distretti. 6.5. Rappresentazioni del territorio e radicamento Il territorio rappresenta una dimensione d'analisi interessante e densa di significati in termini di identità, riconoscimento, conflitti. Esso è definito da Ilvo Diamanti29 un crocevia in cui si sovrappongono diversi piani, dimensioni e relazioni, sfere della vita sociale, economica e politica che «si saldano e diventano visibili»30. Riconosciuta la complessità del concetto di territorio, l'obiettivo qui è studiare il tipo di rappresentazione degli intervistati forlivesi-cesenati rispetto al proprio territorio. Ma perché risulta importante rilevare dati di percezione rispetto al contesto locale? Si tratta di analizzare le 'basi sociali' della vita economica, sociale, politica, istituzionale di un'area geografica intercettando gli 'umori', il vissuto di chi quel territorio lo abita, lo vive. La concezione di fondo è che il territorio non rappresenti un'entità astratta e cristallizzata ma sia costruita socialmente dagli stessi attori locali, ovvero dai suoi cittadini. Nello specifico, la provincia di Forlì-Cesena viene definita come un'area emblematica della Terza Italia, caratterizzata da uno sviluppo industriale ad economia diffusa, da un ricco patrimonio di tradizioni civiche che si è saputo riprodurre nel tempo, centrato su una forte identità locale31. Tali elementi hanno conosciuto negli ultimi anni alcune importanti discontinuità, che hanno investito non soltanto la provincia di Forlì-Cesena ma in generale le aree della Terza Italia32. Nella presente indagine campionaria gli intervistati sono stati messi di fronte ad una serie di affermazioni che rimandano a immagini stereotipate sul territorio al fine di comprendere, sulla base del loro grado di adesione, quali fossero le concezioni prevalenti. Il dato più evidente che emerge – come è possibile constatare dalla tabella 6.2 – è che il territorio forlivese-cesenate non solo è considerato da circa 6 intervistati su 10 (58,0%) un territorio ‘con una propria storia e identità’, ma anche un’area ‘ancora a misura d’uomo’ (57,5%). Dunque, il 29 I. Diamanti, Bianco, rosso, verde...e azzurro. Mappe e colori dell'Italia politica, Bologna, il Mulino, 2003. 30 Ibidem, pag. 7. 31 N. De Luigi., I confini mobili della giovinezza. Esperienze, orientamenti e strategie giovanili nelle società locali, Franco Angeli, Milano, 2007. 32 F.. Ramella, Cuore rosso? Viaggio politico nell'Italia di mezzo, Roma, Donzelli, 2005. 185 territorio sembra per certi versi al riparo dalle dinamiche di spersonalizzazione delle reti sociali e di estraniamento culturale che non di rado hanno accompagnato gli impatti locali di una globalizzazione scarsamente governata. Tuttavia, se da un lato tali risultanze rivelano la buona capacità dei modelli culturali e delle reti sociali di assicurare integrazione e senso, evitando il manifestarsi di particolari fratture e tensioni anche grazie al non trascurabile grado di consenso (il 41,8% degli intervistati si dichiara molto o abbastanza d’accordo) attribuito alla capacità degli amministratori locali di assicurare servizi pubblici efficienti, dall’altro possono anche essere interpretati come un segnale di scarsa dinamicità economica e culturale, come del resto conferma il ridotto consenso attribuito all’immagine di un’area territoriale connotata da forte vitalità e innovazione (22,2%). Altro dato rilevante è che più di un terzo degli intervistati (38,9%) ritiene che il territorio di Forlì-Cesena sia un'area di benessere diffuso, che però non nasconde situazioni di disagio ed emarginazione. In stretta connessione con questo dato è il fatto che soltanto il 29,1% degli intervistati aderisce all'immagine di un'area caratterizzata da molta solidarietà sociale, segno che vi sia una fetta considerevole di forlivesi-cesenati che avvertono problematiche di inclusione e coesione sociale. Tale dato può essere letto riconducendo l'analisi alle dinamiche di erosione del legame sociale, al crescente processo di individualizzazione che penetra anche nei centri minori e in zone in cui è rintracciabile una forte spinta all'associazionismo e alla vita di comunità33. Tab. 6.2. Grado di accordo su alcune caratteristiche della realtà provinciale (valori % per ‘abbastanza’ + ‘molto’) È un'area con una propria storia e identità È un'area ancora a misura d'uomo È un'area in cui i servizi pubblici funzionano bene e sono efficienti È un'area di benessere diffuso, ma anche disagio ed emarginazione È un'area dove c'è molta solidarietà sociale È un'area troppo ancorata al proprio passato È un'area ricca di vitalità e di innovazione 58,0 57,5 41,8 38,9 29,1 27.5 22,2 Nella consapevolezza che anche un'entità territoriale come la provincia presenti aree di eterogeneità interna, è interessante analizzare come ciascun distretto si percepisca rispetto al quadro complessivo illustrato poc'anzi. Come è possibile constatare dalla tabella 6.3, vi sono considerevoli differenze tra i tre distretti, in particolare tra Forlì e Cesena-Valle Savio e tra 33 F. Ramella., op. cit. 186 questi e il distretto di Rubicone-Costa. La rappresentazione del proprio territorio come area dotata di una propria storia e identità è più vicina agli intervistati del distretto di Cesena-Valle Savio (63,9%), seguiti da Forlì (57,7%) e Rubicone-Costa (51,5%). Ma le divergenze più forti si riscontrano sulla rappresentazione del proprio territorio connotato da vitalità e innovazione. All’interno del distretto di Cesena-Valle Savio il grado di adesione raggiunge il 30%, mentre a Forlì e Rubicone-Costa si attesta su livelli decisamente inferiori (rispettivamente 18% e 19,6%). Altro elemento di maggiore differenziazione è costituito dall'idea riguardante il funzionamento dei servizi pubblici: laddove una quota apprezzabile di intervistati dei distretti di Forlì e Cesena-Valle Savio, rispettivamente 45,9% e 48,4%, aderisce all'idea del buon funzionamento dei servizi pubblici, per il distretto di Rubicone-Costa vi aderisce soltanto un quarto degli intervistati. Inoltre, nel distretto di Cesena-Valle Savio è rintracciabile una maggiore attenzione ai temi della solidarietà sociale e una spiccata sensibilità verso il disagio e l'emarginazione. Tab. 6.3.Grado di accordo su alcune caratteristiche della realtà provinciale (valori % per 'molto' + 'abbastanza') per distretto di residenza. Forlì Cesena- RubiconeTotale Valle Savio Costa È un'area con una propria storia e identità 57,7 63,9 51,5 58,0 È un'area ancora a misura d'uomo 61,3 55,7 52,0 57,5 È un’area in cui i servizi pubblici funzionano e sono efficienti 45,9 48,4 25,8 41,8 È un'area di benessere diffuso, ma anche disagio ed emarginazione 35,2 48,2 34,5 38,9 È un'area dove c'è molta solidarietà sociale 28,4 35,2 22,7 29,1 È un'area troppo ancorata al proprio passato 33,9 25,5 17,4 27,5 È un'area ricca di vitalità e di innovazione 18,0 30,0 19,6 22,2 Se l'analisi per distretto restituisce un'immagine diversificata delle rappresentazioni territoriali, a quali risultati si giungerebbe se si tenesse conto dell'età degli intervistati, del capitale culturale ed economico della famiglia di cui si fa parte, oppure del tempo trascorso nella provincia di 187 Forlì-Cesena? Rispetto alla rappresentazione del proprio territorio caratterizzato da una propria storia e una propria identità, che ha riscosso maggior successo tra gli intervistati, si riscontra una forte associazione con la variabile età: se in questo tipo di immagine vi si riconosce il 49,4% dei più giovani (classe di età 15-29 anni), tale dato incrementa di circa quindici punti percentuali per i più anziani (65%). Ciò potrebbe essere interpretato come il segnale di una sorta di cleavage generazionale che si manifesta anche per mezzo di una diversa rappresentazione del territorio, maggiormente conservatrice per i più anziani. Il capitale culturale ed economico familiare non ha peso su questo tipo di visione del territorio. Ci si aspetterebbe poi che all'aumentare degli anni vissuti sul territorio aumenti anche il sentimento di identità ma ciò non si rileva per il nostro campione. Per quanto riguarda la considerazione del territorio come area a misura d'uomo, non vi si riscontrano particolari variazioni né in riferimento alla variabile età, né per il capitale economico e culturale e neppure per gli anni di residenza. Quanto alla rappresentazione di un territorio dotato di servizi pubblici di qualità, sono i giovani ad essere più critici (40,3% si dichiara d'accordo contro il 47,6% di chi ha un'età compresa tra 50 e 64 anni) insieme a chi proviene da una famiglia con un elevato capitale culturale (soltanto il 37,1% di essi contro il 44,1% dei meno scolarizzati). Più della metà degli intervistati non nati nella provincia di Forlì-Cesena ma residenti da meno tempo (50,6%) concepiscono il territorio come dotato di servizi efficienti contro il 37,3% e 38,9% di chi vi è nato o vi è cresciuto. In riferimento alla visione di un territorio caratterizzato da vitalità e innovazione, nella quale vi si sono riconosciuti poco più di due intervistati su dieci (22,2), si riscontra una leggera maggiore adesione dei più anziani (25,7%). Analizzate le rappresentazioni del territorio oggetto dell'indagine campionaria, risulta interessante spostare il focus sulla dimensione della percezione del proprio comune rispetto al resto del Nord-Italia, al resto della provincia di Forlì-Cesena ed, infine, di quest'ultima rispetto alle altre province emiliano-romagnole. Concretamente si è chiesto agli intervistati di considerare gli aspetti sociali, economici, culturali, di sicurezza del proprio comune e di giudicare il proprio benessere in relazione al resto del Nord-Italia. Emerge che soltanto un intervistato su dieci (11,7%) sostiene che si viva peggio nel proprio comune, il resto degli intervistati si distribuisce quasi equamente tra chi sostiene che si viva allo stesso modo e meglio (rispettivamente 42,4% e 45,9%). Quando si proietta l'immagine del proprio comune nel contesto 188 dell'intera provincia forlivese-cesenate, la maggioranza degli intervistati (61,6%) sostiene che si viva allo stesso modo e circa il 30% meglio. Rispetto alla percezione di benessere nella provincia di Forlì-Cesena in relazione alle altre province emiliano-romagnole, si delinea una situazione simile alla precedente con la gran parte degli intervistati che ritiene uguale vivere nell'una o nell'altra zona indicate e poco meno di un terzo (32,1%) che ritiene migliore la vita nella propria provincia. Per sintetizzare, si riscontrano giudizi più positivi sul benessere nel proprio comune quando viene messo in relazione al resto del Nord-Italia, area più vasta e nella quale probabilmente ci si riconosce meno, mentre si è più 'benevoli' nei confronti della realtà provinciale e regionale. Alla luce di ciò si propone un approfondimento per i tre distretti al fine di verificare se, come emerso nelle analisi sulla rappresentazione del territorio, si riscontrano marcate differenze tra di essi. Per una questione di coerenza, ci si aspetterebbe che i giudizi più negativi giungano dagli intervistati del distretto Rubicone-Costa in quanto è in quest'area che è emerso un maggiore malcontento sia rispetto ai temi della sicurezza, in termini di paura concreta, sia in riferimento alla mobilità che ai servizi pubblici. Dalle analisi, però, risulta un'immagine per certi versi inaspettata: i più negativi sono gli intervistati del distretto di Forlì, seguiti da Cesena-Valle Savio e, in ultimo, dal distretto di Rubicone-Costa. Infatti, se le percentuali di chi giudica peggiore il benessere nel proprio comune o nella propria provincia sono tendenzialmente quasi sempre inferiori al 10% per i distretti di Cesena-Valle Savio e Rubicone-Costa, per il distretto di Forlì vi è un incremento di circa cinque punti percentuali raggiungendo il picco del 18,9% quando gli intervistati sono chiamati a giudicare il benessere nella propria provincia rispetto alle altre province emiliano-romagnole. Questo dato dimostra quanto possano essere complesse e apparentemente contraddittorie le dinamiche che concorrono alla formazione del sentimento di radicamento e della percezione del proprio territorio che non sempre si prestano a facili interpretazioni. 6.6. Rilievi di sintesi L'analisi fin qui condotta, mirata ad approfondire differenti dimensioni della qualità della vita nella provincia di Forlì-Cesena, ha delineato un quadro tutto sommato positivo. La realtà fotografata rivela un'immagine ben definita e in linea con altre ricerche nazionali. È il caso, ad esempio, della rilevazione delle due accezioni di insicurezza (astratta e concreta). Non mancano però scenari più complessi e immagini più sfumate. Infatti, se i cittadini del distretto di Rubicone-Costa si sentono più insicuri e sono 189 scarsamente propensi a pensare di vivere in un’area dotata di servizi pubblici di qualità, sono altresì coloro che giudicano più positivamente il benessere nel proprio comune in relazione ad altre realtà territoriali di prossimità. Inoltre, nonostante un quadro generale privo di allarmanti problematiche, occorre sottolineare aree di particolare preoccupazione per i forlivesecesenati quali il costo dell’abitazione, più sentito nel distretto di CesenaValle Savio, e il problema disoccupazione, maggiormente percepito nel distretto di Forlì, che pongono questioni centrali in termini di benessere e qualità della vita. Per quanto riguarda la questione della mobilità, non si riscontra una situazione del tutto positiva: oltre il 50% degli intervistati non utilizza mai i mezzi pubblici locali. Ad utilizzarli sono soprattutto coloro che hanno risorse economiche più scarse, segno che i servizi messi a disposizione per la mobilità rientrano a pieno titolo nel discorso sul welfare materiale, con il quale ci si riferisce alla dimensione fisica e concreta delle politiche urbane atte a soddisfare i diversificati bisogni dei cittadini. Potenziare la rete dei mezzi di trasporto pubblico locale significa, dunque, anche promuovere una maggiore inclusione sociale. Infine, si conferma la rappresentazione sociale di un territorio storicamente radicato e con un'identità propria nella quale i cittadini vi si riconoscono e che forse proprio per tale ragione definiscono 'ancora a misura d'uomo'. Tali caratteristiche hanno costituito le fondamenta di una società locale fondata sulla cooperazione e un forte senso civico permettendo uno sviluppo sociale ed economico tale da essere considerato un modello nel panorama nazionale. Tuttavia, non mancano elementi di discontinuità e zone d'ombra, come la rappresentazione di un territorio in cui emergono anche situazioni di disagio ed emarginazione e in cui la solidarietà sociale non sembra emergere come una delle caratteristiche prioritarie, a testimonianza del fatto che gli esiti di un percorso storico, politico e sociale di un territorio non sono scontati, né privi di contraddizioni. 190 7. Idee di giustizia sociale, aspettative di welfare e servizi di Ilaria Pitti 7.1. Premessa L'idea di giustizia sociale nasce nel momento in cui si riconosce che la società stessa produce disuguaglianza ed ingiustizie. La giustizia sociale attiene quindi al problema della redistribuzione del benessere e rappresenta un attributo che dovrebbero “possedere le azioni della società e il trattamento che gli individui o i gruppi subiscono dalla stessa”1: essa, basandosi sull'idea che il mercato non sia l'unica fonte di integrazione sociale2, costituisce uno strumento in grado di porre rimedio alle disuguaglianze imponendo un “modello di remunerazione basato su una valutazione dei risultati e dei bisogni dei vari individui o gruppi”3. È possibile distinguere tra due principali modelli di giustizia sociale: quello dell’uguaglianza tra le posizioni e quello delle pari opportunità4. Il primo modello mira ad una riduzione delle disuguaglianze “nel reddito, nelle condizioni di vita, nell’accesso ai servizi, nella sicurezza”5 come esito delle dinamiche sociali. Il secondo modello si concentra invece sulla riduzione delle disuguaglianze legate a determinate forme di discriminazione di cui gli individui o i gruppi sono vittime6 e mira a garantire a tutti le stesse chances di accedere, sfruttando le proprie capacità, alle varie condizioni di vita possibili7. 1 M. La Rosa., L. Morri, Etica economica e sociale. Letture e documenti, Milano, FrancoAngeli, 2005, p. 9. 2 Cfr. C. Saraceno, Prefazione, in P. Van Parijs, Y. Vandeborght, Reddito minimo universale, Milano, Università Bocconi Editore, 2006. 3 M. La Rosa, L. Morri, Etica economica e sociale. Letture e documenti, op.cit. p. 9. 4 F. Dubet, Integrazione, coesione e disuguaglianze sociali in «Stato e Mercato», n.88, aprile 2010, p. 33-58. 5 Ibidem, p. 36. 6 Si fa riferimento alle forme di discriminazione legate, ad esempio, al genere, all'età, alla condizione personale e sociale, alla nazionalità, alla fede religiosa, all’opinione politica o ad altre caratteristiche di un gruppo o di un individuo. 7 Rientrano in questo ambito anche le proposte relative all’introduzione del reddito minimo universale la cui idea di fondo è che il valore della libertà di un individuo dipenda dalle risorse di cui l'individuo stesso dispone per poter fare uso della propria libertà. In questo modello, le disuguaglianze tra i redditi e le condizioni di vita che caratterizzano le diverse classi sociali cessano di essere considerate ‘ingiuste’ in quanto vengono garantite a ciascun individuo le stesse opportunità di accedervi. Cfr. P. Van Parijs, Y. Vandeborght, Reddito minimo universale, op. cit.. 191 Il concetto di giustizia sociale si colloca quindi alla base di un ampio dibattito sul problema dell'equità8 e si collega concretamente alle politiche di redistribuzione delle ricchezze e alle opportunità di accesso ai beni e ai servizi garantiti da una data società. Indagare le idee e le pratiche di giustizia sociale di una data popolazione significa pertanto comprendere che opinioni essa ha rispetto al funzionamento attuale e ideale delle pratiche di redistribuzione e dei servizi di welfare. Le preferenze di redistribuzione sono state oggetto di numerose ricerche di stampo socio-economico, dedicate a studiare le caratteristiche personali, sociali e istituzionali che possono influire sul grado di disponibilità di un dato soggetto alla redistribuzione delle risorse9. Da queste analisi emerge che l’atteggiamento più o meno favorevole di una persona rispetto alla tassazione e alla successiva redistribuzione delle ricchezze può essere spiegato attraverso tre principali approcci rappresentati dalle tesi dell’homo oeconomicus, del public value e del social rivarly effect10. La prima di queste teorie sostiene che l’atteggiamento favorevole alla redistribuzione sia inversamente proporzionale alla posizione che l’individuo occupa nella scala dei redditi. L’approccio dell’homo oeconomicus prende in considerazione l’effetto della situazione economica del soggetto sostenendo che, per esempio, coloro che guadagnano meno della media della popolazione, sono più favorevoli verso le politiche redistributive. Ad influenzare l'atteggiamento di un soggetto verso la redistribuzione non sarebbero, tuttavia, solo le condizioni economiche attuali, ma anche le aspettative relative alle condizioni economiche future e alla mobilità sociale. La tesi del public value effect collega le preferenze individuali rispetto alla redistribuzione ai valori pubblici del soggetto. A differenza di quanto sostenuto dalla teoria dell'homo oeconomicus, secondo questa teoria non esisterebbe un legame a priori tra il reddito individuale e le preferenze di redistribuzione di una data persona in quanto queste ultime sarebbero determinate dai valori personali del soggetto. L’approccio in questione afferma, quindi, che le persone sostengono una determinata politica 8 Il riferimento è alle riflessioni di pensatori e studiosi quali Elster, Nozick, Nussbaum, Rawls e Sen. 9 Cfr. A. F.. Alesina, P. Giuliano, Preferences for redistribution, Cambridge, National Bureau of Economic Research, 2009; A. F. Alesina, E. La Ferrera, Preferences for redistribution in the land of opportunitie in «Journal of Public Economics», n. 89, 2005, p. 897-391; J. Gelissen, Popular support for institutionalised solidarity: a comparison between European welfare states in «International Journal of Social Welfare», n. 9, 2000, p.285-300 e S. Mau, B. Veghte, Justice, legitimacy and the welfare state, London, Ashgate, 2007. 10 Cfr. G. Corneo, H. P. Gruner, Individual preferences for political redistribution, Centre for Economic Policy Research, www.cepr.org, 2001. 192 redistributiva non tanto perchè questa massimizza il loro benessere, ma perchè risulta conforme alla loro idea di ciò che è giusto socialmente. La teoria del social rivalry effect si basa, infine, sull’idea che il benessere di un soggetto sia influenzato dagli standard di vita relativi dell'individuo stesso. In questo caso, il giudizio di un soggetto rispetto alla redistribuzione dipenderà dall'impatto che questa ha sulla distribuzione del benessere nell'ambiente sociale di riferimento della persona, e non solo sull'effetto che ha sul benessere individuale del soggetto11. In tal senso, il giudizio che la persona esprime su una data politica distributiva sarà influenzato dall’impatto che questa politica ha o potrebbe avere sul suo status sociale e sulla sua capacità relativa di accesso ai beni sociali12. Da questi approcci è possibile ‘estrarre’ una serie di fattori che sembrerebbero essere in grado di incidere sui diversi atteggiamenti che le persone hanno rispetto alla tassazione, alla redistribuzione, ai modelli di welfare e servizi. Prima di tutto, vi sono fattori economici personali come il reddito, la propensione al rischio e le aspettative di mobilità sociale che sono stati oggetto di numerose ricerche13. Occorre poi tenere in considerazione anche le variabili più strettamente legate ai valori e alle credenze personali come la religiosità e l’orientamento politico, ma anche l’etica lavorativa e pubblica della popolazione presa in considerazione14. 11 Cfr. W. Korpi, J. Palme, The paradox of redistribution and strategies of equality: welfare state institutions, inequality and poverty in westner countrie in «American Sociological Review», n.63, 1998, p. 661-687 e H. Cole., G. Mailath, A. Postlewaite, Social norms, savings behaviour and growth in « Journal of Political Economy», n.100, 1992, p. 1092-1125. 12 Alcune persone potrebbero essere sfavorevoli rispetto ad una politica redistributiva che, ad esempio, permetta a persone di classi sociali più povere di spostarsi in quartieri normalmente abitati dalla classe media e che produca, di conseguenza, una svalutazione del quartiere e un effetto percepito come negativo sullo status dei soggetti che vi abitano. Il social rivarly effect agirebbe in particolare sulla classe media. Appare opportuno ricordare anche la teoria del gruppo di riferimento di R. K. Merton, secondo la quale le persone valutano la propria situazione confrontandola con il gruppo sociale al quale fanno riferimento (e del quale non fanno necessariamente parte), cercando di adottarne lo stile di vita, i valori e i modelli di comportamento. 13 Cfr. T. Piketty, Social mobility and redistributive politic, in «The Quarterly Journal of Economics», n.110, 1995, p. 551-584. Corneo e Grüner hanno condotto numerose ricerche basandosi sui dati ricavati da indagini internazionali come l’International Social Survey Programme in diversi contesti statali (Russia, Usa, Germania, Norvegia e Australia) verificando l’incidenza del fattore economico sugli atteggiamenti favorevoli o meno rispetto alle politiche redistributive attuate dai vari governi. 14 Cfr. C. Fong., Social preferences, self-interest and the demand for redistribution in «Journal of Public Economics», n.82, 2001, p. 225-246 e K. Linos, M. West, Self interest, social beliefs and attitudes to redistribution in «European sociological review», n. 19, 2003, p. 393409. 193 Appaiono inoltre di fondamentale importanza anche le differenze istituzionali, economiche e culturali sia tra aree diverse di uno Stato, sia tra Stati e tra più ampie aree geo-politiche15. Occorre, infine, tenere presente che alcune caratteristiche sociodemografiche quali il genere, l’età e il livello d’istruzione sono in grado di incidere sulle idee di giustizia sociale del soggetto. Tenendo presente quanto fin qui detto e i dati a nostra disposizione, in questo capitolo cercheremo di far emergere le idee e le pratiche di giustizia sociale della popolazione forlivese-cesenate, mettendo in evidenza le relazioni tra caratteristiche personali16 degli intervistati e loro opinioni/comportamenti rispetto al pagamento delle tasse, alle forme di redistribuzione delle risorse, all’accesso ai servizi pubblici e al giudizio su di essi. 7.2. Benessere ed etica tra individuo e collettività Come emerge dalle pagine precedenti, quello della giustizia sociale è un tema molto ampio e sfaccettato che si compone di idee, atteggiamenti e pratiche. Si è scelto di procedere alla sua analisi cercando inizialmente di sondare le convinzioni degli intervistati rispetto alle vie per raggiungere il successo e il loro orientamento tra collettività e individualismo. La tabella 7.1 mostra i valori medi attribuiti dagli intervistati ad una serie di affermazioni relative a modalità e condizioni per avere successo nella vita. La popolazione forlivese-cesenate si dimostra particolarmente convinta che l'impegno personale abbia un ruolo rilevante nel determinare o meno il raggiungimento del successo così come sposa l'idea che la competizione porti le persone a lavorare meglio; allo stesso tempo non dimentica però il ruolo svolto dalla fortuna e dalle condizioni familiari di origine nel facilitare o nell'ostacolare questo percorso. Un tiepido consenso viene accordato poi all'idea che le possibilità di successo siano uguali tra uomini e donne. 15 Cfr. M. Blekesaune, J. Quadagno, Public attitudes toward Welfare State Policie in «European Sociological Review», n.19, 2003, p. 415-427 e E. F. P. Luttmer, M. Singhal, Culture, context and the taste for redistribution, RWP08-038, Harvard Kennedy School, Agosto 2008; G. Gaeta., In the mood for redistribution. An empirical analysis of individual preferences for redistribution in Italy, MPRA Paper n. 32049, Luglio 2011; M. Faravelli, How context matters: a survey based experiment on distributive justice in «Journal of Public Economics», n.91, 2007, p. 1399-1422. 16 Sulla base dei dati rilevati dal questionario saranno prese in considerazione, in particolare, le variabili relative al genere, all’età, al titolo di studio, al reddito familiare, al distretto di appartenenza e all’orientamento politico. 194 Tab. 7.1. Atteggiamento verso il successo A. Il successo dipende dall'impegno B. Le persone povere lo sono perché pigre C. La fortuna nella vita è importante D. Le condizioni della famiglia di origine sono determinanti E. Uomini e donne hanno le stesse possibilità di successo F. La competizione stimola le persone a lavorare meglio Media 7,99 3,26 7,64 Dev. Std. 1,9 2,3 2,2 6,96 2,3 6,05 6,78 2,8 2,3 Nel complesso, emerge una valutazione abbastanza equilibrata tra elementi ascritti (o addirittura casuali, come la fortuna) da una parte, e elementi relativi alla volontà di riuscire dall'altra. Se dunque il successo è una combinazione di impegno e circostanze, una situazione di povertà non viene affatto ricondotta dagli intervistati ad una mancanza di impegno (o ad una vera e propria pigrizia), segno che probabilmente le condizioni con cui ciascun individuo si trova a dover fare i conti nella propria biografia tendono ad avere il peso maggiore nell’opinione dei forlivesi-cesenati. L'insieme delle risposte complessivamente date dagli intervistati può essere ulteriormente compreso differenziando tali opinioni attraverso alcune variabili: genere, età, orientamento politico, disponibilità economica, titolo di studio e distretto di residenza (cfr. tab. 7.2). Si noterà come alcune di queste variabili intervengono a modificare molti o tutti gli item proposti, mentre altre esercitano una influenza selettiva andando a connotare solo parte degli item. Prendendo in considerazione, ad esempio, il genere si nota che il solco che divide gli atteggiamenti degli uomini e quelli delle donne non è in linea di massima particolarmente ampio, ma rispetto alle pari opportunità e all'idea che la competizione possa essere utile a migliorare le prestazioni lavorative, le intervistate si dimostrano un po' più scettiche degli uomini. Sembra trasparire un maggior scetticismo femminile su un'equa ripartizione di genere delle chances di successo, che si estende anche alle modalità con cui il successo può essere ottenuto, segnatamente quella proposta, cioè una modalità basata sulla competizione. Riguardo all'età, si nota per i più anziani un giudizio più netto a favore dell'idea che, da un lato, l'impegno sia necessario per il successo e, dall'altro, che siano però determinanti le condizioni della famiglia di origine. Probabilmente in ciò si riassume la 'lezione' di esperienze di vita sufficientemente lunghe, sviluppatesi in un tempo storico che ha visto mutare anche profondamente biografie e condizioni socio-economiche e in 195 cui al maggior peso di variabili ascritte è corrisposto, su un piano individuale, un più forte impegno. Tab. 7.2. Atteggiamenti verso il successo. Confronto delle medie per le principali variabili A B C D E F Sesso Uomini 7,96 3,40 7,72 6,96 6,20 6,96 Donne 8,01 3,12 7,55 6,94 5,89 6,58 Età 15-29 anni 30-49 anni 50-64 anni 65 anni e oltre 7,85 7,82 8,10 8,37 3,32 3,15 3,35 3,33 7,65 7,56 7,69 7,73 6,75 6,95 6,97 7,17 6,31 5,99 5,88 6,11 6,9 6,75 6,57 6,97 Distretto di residenza Forlì Cesena-Valle Savio Rubicone-Costa 8,09 7,59 7,81 3,23 3,24 3,34 7,81 7,54 7,42 6,99 6,89 6,95 6,00 6,14 6,02 6,89 6,77 6,56 Titolo di studio Fino a licenza elementare Licenza media o qualifica Diploma Laurea o post-laurea 8,21 7,93 7,97 7,93 3,86 3,36 3,25 2,04 8,21 7,66 7,68 7,16 7,56 7,04 6,84 6,65 6,59 6,02 6,04 5,81 6,65 6,74 6,78 6,9 Disponibilità economica familiare Bassa 7,97 Media 7,82 Alta 8,26 3,12 3,28 3,48 8,03 7,52 7,30 7,03 6,92 6,90 6,35 6,08 5,60 6,39 6,77 7,18 Orientamento politico Sinistra – Centro Sinistra Destra – Centro Destra 2,85 3,73 7,48 7,52 6,90 6,90 5,79 6,44 6,69 7,36 8,06 8,12 Appare interessante notare un parallelismo di posizioni tra gli ultra65enni e i giovani al di sotto dei 29 anni su due aspetti che appaiono connessi: pari opportunità e ruolo della competizione sul lavoro; entrambe le classi di età infatti esprimono in maniera più accentuata la convinzione che uomini e donne abbiamo le stesse possibilità di successo e che la competizione spinga a lavorare meglio. Sembra questo essere un caso in cui l'apprendimento dall'esperienza (per i primi) e l'apprendimento 196 prevalentemente formale (per i secondi) trova un punto comune, almeno sul piano dell'orientamento dichiarato. Se si articola il campione sui tre distretti di residenza si nota una certa differenziazione che in qualche caso appare vistosa: ad esempio, a Forlì è più consistente la sensazione che l'impegno sia determinante (specificamente rispetto a quanto emerge per Cesena-Valle Savio), ma vi è anche un'idea più netta del peso della fortuna. Le convinzioni circa i modi per raggiungere il successo appaiono significativamente correlate alla disponibilità economica familiare17: dove quest'ultima è più elevata si riduce la rilevanza dei fattori esterni all'individuo e vengono invece ad essere maggiormente rimarcate l'intraprendenza e le motivazioni personali. Unico elemento 'strutturale' che appare invece dotato di particolare forza è quello relativo alla dimensione di genere poiché chi ha elevate disponibilità economiche familiari è meno incline a pensare che vi siano pari opportunità di successo. La lettura delle risposte date dal campione attraverso il titolo di studio posseduto suggeriscono la presenza di un orientamento definibile come 'meritocratico-acquisitivo' in coloro che posseggono la laurea; in effetti essi testimoniano, soprattutto a diretto confronto con chi possiede al massimo la licenza elementare, una fiducia assai più evidente nell'impegno personale, mentre considerano meno rilevanti fortuna e status d'origine. Anche in questo caso, tuttavia, come già emerso in relazione alla disponibilità economica, si rileva un elemento strutturale che sembra limitare la volontà personale: si tratta delle (in)pari opportunità di genere. Da ultimo, il titolo di studio appare viaggiare in parallelo all'età nella fattispecie di bassa scolarizzazione ed età anziana; è del resto ricorrente un accoppiamento di queste due circostanze nel campione e, più in generale, nella popolazione. Allo stesso modo anche l'orientamento politico degli intervistati sembra incidere solo in riferimento ad alcuni giudizi: mentre l'opinione rispetto all'idea che la povertà sia determinata dalla pigrizia è ben differenziata tra chi si dichiara di destra e chi si colloca a sinistra, con un più ampio grado di accordo tra i primi rispetto ai secondi; quelle espresse in riferimento all'idea che il successo sia legato all'impegno, alla fortuna o alle condizioni di origine sono simili o addirittura identiche18. 17 Per i dettagli sulla costruzione dell’indice di disponibilità economica familiare si rinvia al capitolo 8. 18 É necessario precisare che solo 521 persone hanno deciso di collocarsi politicamente. Un cospicuo numero di intervistati (314) ha infatti scelto di non rispondere o ha affermato di non sapersi collocare dal punto di vista politico. Tra questi la media dei giudizi espressi in riferimento ad alcuni item, relativi a questa e a successive batterie di domande, appare significativamente più bassa di quella rilevata sia tra chi si schiera a destra, sia tra chi si 197 A conferma di alcune corrispondenze semantiche, risultano inoltre molto forti la correlazione19 tra i temi della fortuna e delle condizioni familiari da un lato, e quella tra l'importanza dell'impegno personale e l'efficacia della competizione. Se tali coppie mostrano un più elevato grado di correlazione interno è però vero che si conferma l'idea del successo come obiettivo raggiungibile mediante l'azione di più fattori, ovvero attraverso differenti vie non mutuamente esclusive e, anzi, spesso compresenti in quanto l’impegno e il senso del dovere, comunque indispensabili, non escludono l’importanza delle condizioni familiari di partenza e della fortuna. Allo stesso modo il fatto che il successo dipenda in larga parte dall’impegno non implica l’immediato collegamento tra insuccesso (come povertà) e pigrizia. Gli intervistati sono stati successivamente chiamati a posizionarsi lungo il continuum tra individuo e collettività (cfr. tab. 7.3)20. Idealmente gli item proposti potevano disporre gli orientamenti da una polarità legata al merito, al mercato, all'attivazione individuale, ad una opposta caratterizzata per una maggiore sensibilità ai vincoli collettivi, alla redistribuzione, alla rilevanza del soggetto pubblico. Sul fronte delle risposte effettivamente date emerge un esplicito disaccordo verso comportamenti di elusione o evasione fiscale21 nonché verso l'idea che ci si possa assentare dal lavoro quando non sussiste un reale problema di salute. Registra consensi anche la convinzione che la responsabilità del singoli si giochi prima nell'ambito familiare che in quello collettivo, mentre appaiono più incerte le opinioni relative all'emancipazione dei figli dalla famiglia di origine, alla questione della meritocrazia nell'assegnazione dei benefici per lo studio e all'aumento della presenza pubblica rispetto alle privatizzazioni. schiera a sinistra. Questo spiega il perché la media dei giudizi rispetto alle opinioni sui legami tra successo e impegno, fortuna o condizioni familiari di partenza sia più alta della media generale per entrambi gli orientamenti politici. Tra chi non si schiera le medie sono infatti, rispettivamente, del 7,72, del 7,56 e del 6,88. 19 Il coefficiente di correlazione tra due item permette di evidenziare eventuali relazioni tra di essi, ovvero di verificare se gli intervistati che danno risposte positive ad una delle due affermazioni, si comportano allo stesso modo anche con la seconda. 20 Dal confronto dei giudizi espressi si nota una certa tendenza a collocarsi su posizioni maggiormente intermedie rispetto alle opinioni espresse nella domanda precedente. È possibile ipotizzare che ciò sia legato non solo alle differenze esistenti tra le due sfere indagate, ma anche alle differenti modalità con cui queste sono state sondate poiché gli esempi di comportamento presi in considerazione in questa batteria di domande tendono a facilitare la presa in considerazione delle eccezioni e dei ‘però’ e, quindi, l'espressione di giudizi meno netti. 21 Se la metà del campione (50,4%) si dichiara per niente d’accordo con tali comportamenti, si dichiara tuttavia favorevole il 16.3% degli intervistati. 198 Tab. 7.3. Atteggiamenti lungo l'asse individuo-famiglia-collettività Media A. È ammissibile dichiarare al fisco meno di quanto si guadagna 2,87 B. Non è ammissibile assentarsi dal lavoro quando non si è realmente malati 7,00 C. La principale responsabilità di una persona è verso la propria famiglia e i propri figli e non verso collettività 6,40 D. A scuola, così come all'università, le borse di studio dovrebbero essere assegnate solo in base al merito 5,35 E. Prima dei 30 anni un ragazzo deve comunque andarsene di casa e cavarsela da solo 5,73 F. Bisogna ridurre le privatizzazioni ed aumentare la presenza pubblica 5,39 G. Le imprese dovrebbero essere lasciate più libere di assumere e licenziare 4,33 H. Estendere i benefici e i servizi sociali rende le persone pigre 4,02 Dev. Std. 2,5 3,3 2,9 3,1 3,1 2,6 2,7 2,6 Piuttosto compatta infine appare l'opinione – negativa- sulla possibilità di maggior libertà di assumere e licenziare. Riguardo poi alle politiche di welfare come politiche di redistribuzione, ad estendere e quasi a precisare l'orientamento emerso sulla possibile relazione tra povertà e pigrizia, i forlivesi-cesenati sostanzialmente escludono che i benefici sociali possano rendere le persone pigre. Come in precedenza, l'incrocio tra le medie dei giudizi espressi e le variabili considerate consente di cogliere peculiarità interne al campione (cfr. tab. 7.4). Una lettura di genere non mette in luce differenze particolarmente marcate, anche se si manifesta una tendenza femminile ad esprimere un maggior favore verso opzioni redistributivo-istituzionali, in cui il ruolo del soggetto pubblico appare di primaria importanza. Concentrandosi sull’età emerge innanzitutto una sorta di autocritica o, almeno, una ‘non-autoassoluzione’ da parte dei giovani i quali affermano, con maggior convinzione rispetto alle altre classi di età, la necessità di uscire di casa e di imparare a cavarsela da soli prima dei trent’anni, nonché l'opportunità di utilizzare un criterio più meritocratico nell'assegnazione dei contributi allo studio in ambito scolastico e universitario. Le tendenze appena descritte si presentano però con intensità diverse all'interno della stessa popolazione giovanile: coloro che sono più vicini alla soglia dei trent’anni (25-29enni) dimostrano infatti più cautela rispetto alla 199 necessità di emanciparsi dal nucleo familiare di origine rispetto ai giovanissimi (15-19enni). Tab. 7.4. Atteggiamenti lungo l’asse individuo-famiglia-collettività. Confronto delle medie per le principali variabili A B C D E F G H Sesso Uomini Donne 2,82 2,93 6,85 7,15 6,47 6,32 5,47 5,22 5,83 5,63 5,18 5,62 4,37 4,29 4,22 3,8 Età 15-29 anni 30-49 anni 50-64 anni 65 anni e oltre 3,46 3,04 2,41 2,41 7,19 6,76 7,34 6,88 6,14 6,27 6,2 7,28 5,54 5,3 5,17 5,48 6,17 5,51 5,76 5,7 5,77 5,21 5,23 5,63 4,23 4,52 4,07 4,36 4,02 4,06 3,89 4,09 Distretto di residenza Forlì Cesena- Valle Savio Rubicone- Costa 2,65 3,01 3,11 6,81 7,59 6,61 6,5 6,32 6,3 5,42 5,39 5,16 5,7 5,98 5,47 5,4 5,23 5,58 4,03 4,5 4,69 3,8 4,16 4,25 Titolo di studio Fino a licenza elementare Licenza media o qualifica Diploma Laurea o post-laurea 2,93 2,77 2,9 2,83 6,55 7,17 6,83 7,25 7,78 6,71 6,03 5,55 5,75 5,67 5,02 5,09 5,73 5,58 5,68 6,07 5,55 5,58 5,28 5,1 3,62 4,54 4,23 4,48 4,29 4,26 3,64 4,09 Disponibilità economica familiare Bassa 2,78 Media 2,78 Alta 3,04 6,73 6,81 7,45 6,66 6,53 5,78 5,3 5,36 5,17 5,45 5,74 5,98 5,82 5,48 4,7 3,99 4,33 4,56 3,75 4,23 4,02 Orientamento politico Sinistra – Centro Sinistra Destra – Centro Destra 7,53 6,9 5,85 6,79 5,07 5,48 5,93 5,85 5,85 4,38 3,86 5,33 3,69 4,44 2,56 3,14 Interessante è inoltre il fatto che gli stessi giovani siano i più favorevoli all’aumento della presenza pubblica e ad una responsabilità familiare non così nettamente orientata al nucleo primario e, contemporaneamente, i più indulgenti rispetto alla possibilità di non dichiarare al fisco tutto quello che si guadagna, dimostrando un atteggiamento leggermente ambiguo rispetto alla res publica. In sostanza, nei giovani compare una costellazione di riferimenti tra individuo e collettività piuttosto eterogenea e difficilmente ricomponibile alla luce di canoni e coerenze tradizionali. Sempre in relazione alle diverse fasce d’età merita attenzione il fatto che il grado di accordo rispetto alla possibilità di non dichiarare interamente i propri guadagni allo Stato diminuisce in modo direttamente proporzionale all’età. 200 Nella comparazione tra giovani ed anziani, si notano infine similitudini e nette differenze: se le loro opinioni si assomigliano in riferimento alla necessità di aumentare la centralità del soggetto pubblico e di utilizzare criteri basati sulla valutazione del merito nell'assegnazione degli aiuti allo studio, ciò non avviene relativamente alle questioni connesse al rispetto delle norme (elusione fiscale e congedo per malattia) in cui i giovani si dimostrano meno 'responsabili' e al rapporto tra individuo, famiglia e collettività che vede gli anziani sostenere maggiormente la preminenza del nucleo familiare. Relativamente al titolo di studio, si evidenzia una maggiore sensibilità rispetto all'importanza dell'attivazione individuale tra coloro che posseggono un grado di scolarizzazione molto elevato che sono, inoltre, coloro che si dimostrano più critici rispetto alla possibilità di aumentare l'intervento del soggetto pubblico. Lo spostamento verso il polo dell'individualità, tuttavia, non si declina tra i laureati nei termini di un individualismo egocentrico o di una critica rispetto alle pratiche di redistribuzione, quanto piuttosto come responsabilizzazione individuale anche rispetto alla collettività. La disponibilità economica familiare appare particolarmente discriminante. I forlivesi-cesenati meno abbienti tendono a collocarsi su posizioni più favorevoli all'ampio intervento pubblico e alle politiche di redistribuzione rispetto agli intervistati più benestanti tra i quali emerge, tuttavia, una sensibilità maggiore ai vincoli collettivi che a quelli familiari. Si nota, infine, un parallelismo tra le risposte dei forlivese-cesenati più scolarizzati e quelle di coloro che dichiarano un'elevata disponibilità economica; un titolo di studio più elevato si collega solitamente anche ad un migliore status economico. La comparazione dei giudizi rispetto alla collocazione politica mostra, infine, delle significative variazioni tra le opinioni degli intervistati che riflettono i tradizionali orientamenti di valore della destra – attenzione al soggetto, al merito individuale, al ruolo del settore privato- e della sinistra – importanza del settore pubblico, centralità della collettività rispetto all'individuo- a conferma di opinioni culturali ed ideologiche di fondo ancora marcate da coerenza interna e differenziazione esterna. In generale, le risposte date dagli intervistati confermano la presenza di una distinzione tra posizioni orientate verso il polo individuo-mercato-merito e posizioni orientate verso il polo collettività-pubblico-redistribuzione che emergono anche dalle correlazioni tra gli item. La priorità accordata agli interessi familiari si collega infatti ad una minore condanna dei comportamenti di elusione fiscale, così come al favore verso criteri di redistribuzione più meritocratici e ad una maggiore apertura verso la liberalizzazione e la libertà delle imprese di assumere e licenziare. Simmetricamente, tra coloro che affermano la necessità di aumentare 201 l’intervento pubblico si rileva anche un più vasto riconoscimento dell’importanza dei vincoli collettivi e delle politiche di sostegno al reddito, una maggiore contrarietà rispetto a politiche di privatizzazione e una più netta dura condanna dell’evasione fiscale e dell’assenza ingiustificata dal lavoro. 7.3. Idee di redistribuzione Nelle riflessioni sulla giustizia e la solidarietà sociale, le idee relative alla redistribuzione delle risorse pubbliche e alle modalità di gestione dei servizi assumono un valore centrale poiché vanno a costituire l'immagine ideale che ogni persona ha del welfare, delineandone le caratteristiche e le modalità di funzionamento. Interrogati relativamente alle proprie preferenze rispetto alla gestione pubblica, privata o mista di una serie di servizi (cfr. tab. 7.5), i forlivesicesenati hanno innanzitutto dimostrato una chiara preferenza nei confronti della gestione pubblica per quanto concerne la tutela della salute e l’istruzione. Tab.7.5 Azione pubblica o via privata nella gestione di servizi e interventi (%) Pubblico e Singoli Pubblico singoli individui individui Salute 63,4 35,4 1,2 Cosmetica e chirurgia estetica 5,1 23,4 71,5 Reperimento di una abitazione 16,3 63,8 19,9 Reperimento di un lavoro 15,3 67,8 16,9 Istruzione 60,0 37,4 2,5 Promozione culturale 29,4 60,2 10,4 Integrazione interculturale 28,8 63,2 7,9 Assistenza persone non autosufficienti 51,3 46,9 1,8 Assistenza alle persone povere 53,1 45,4 1,5 Tale preferenza trova conferma anche in quanto emerso a livello nazionale dall’indagine Gli italiani e lo stato realizzata dall’Istituto Demos e Pi nel 2010 la quale evidenzia, infatti, che “gli italiani restano fermamente convinti che lo Stato non debba demandare la gestione della sanità e dell’istruzione ai privati. La conduzione pubblica dei servizi socio-sanitari e 202 della scuola è ancora un punto di riferimento per la stragrande maggioranza dei cittadini”22. Rispetto ad altri ambiti è invece possibile evidenziare una differenziazione tra casi in cui, a fronte di orientamenti in maggioranza favorevoli a che l’intervento sia promosso da pubblico e privato insieme, si trova una distribuzione dei pareri più radicali ora sul pubblico, ora sulla via privata. Rientrano nella prima categoria la promozione culturale e l'integrazione interculturale, mentre sono ascrivibili al secondo caso i servizi connessi al reperimento del lavoro e dell'abitazione. In relazione agli interventi dedicati a fasce particolarmente svantaggiate della popolazione, segnatamente l’assistenza alle persone non autosufficienti e l’assistenza alle persone povere, tende invece a prevalere il favore nei confronti di un intervento esclusivamente pubblico, ma appare ampliamente accolta anche la possibilità che l’azione pubblica si combini con quella privata (come, seppur in modo più contenuto, emerge anche per l’istruzione)23. Tutto ciò che è, infine, legato ad esigenze cosmetiche e alla chirurgia estetica è considerato un problema da risolversi esclusivamente in forma privata per la maggioranza degli intervistati. Tra i cittadini della provincia di Forlì-Cesena si rileva quindi, in generale, un'ampia disponibilità verso la gestione congiunta dei servizi da parte del settore pubblico e di quello privato, ma emerge anche una distinzione tra servizi marcatamente pubblici (sanità e scuola), servizi prevalentemente pubblici (assistenza alle fasce svantaggiate, promozione culturale e integrazione), servizi prevalentemente rinviati all’azione privata (lavoro e abitazione) e servizi sostanzialmente di tipo privato (chirurgia ed estetica). L'apertura a forme di gestione congiunta o privata fa emergere l'idea di un welfare più centrato sull'azione del singolo e sulle sue capacità di auto-attivazione. Il soggetto pubblico resta infatti fondamentale negli ambiti ‘primari’ dell'istruzione, della sanità e dell'assistenza al disagio, ma non rappresenta l'unica via possibile per la soddisfazione di questi e di una più ampia serie di bisogni e necessità. Riferendosi nuovamente alle principali variabili che caratterizzano il campione, si segnala innanzitutto la scarsa incidenza del genere su questo tipo di preferenze. È l’età, invece, a dare risultati più significativi mostrando una forte differenziazione tra gli atteggiamenti dei più giovani e dei più anziani. A conferma dei differenti orientamenti valoriali segnalati in 22 Cfr. Demos e Pi, Gli italiani e lo stato- Rapporto 2010, www.demos.it, 2010. Dalla ricerca emerge che la propensione al privato per quanto riguarda l’istruzione e la sanità è rispettivamente del 13.9 e del 20.2%. 23 53.1% vs 45.4% per quanto riguarda l’assistenza alle persone povere e 51.3% vs 46.9 per quanto concerne l’assistenza alle persone non autosufficienti. 203 precedenza, si nota infatti che gli ultra65enni sono, in generale, la fascia della popolazione più ‘affezionata’ ad una gestione completamente pubblica dei servizi, mentre i giovani sono i più aperti a interventi che coinvolgano sia il soggetto pubblico che eventuali soggetti privati. Questi ultimi sono tuttavia coloro che domandano un maggiore attivismo del soggetto pubblico per quanto riguarda l’ambito culturale. Ancora una volta evidente è lo stretto collegamento tra età e titolo di studio, in virtù del quale si notano atteggiamenti simili sia per quanto concerne la combinazione età anziana-bassa scolarizzazione che per quanto riguarda l’abbinamento età giovane-alta scolarizzazione. Sebbene le variazioni non siano sempre molto evidenti, distinguendo le risposte a seconda del distretto di appartenenza degli intervistati si nota che l’intervento del soggetto pubblico è maggiormente richiesto, per i settori della salute e del reperimento del lavoro e dell’abitazione nella zona di Forlì, mentre a Cesena-Valle Savio viene più convintamente auspicato nei settori dell’istruzione e della cultura, ma anche negli interventi per le persone più indigenti o svantaggiate, come si ritiene anche nel distretto di RubiconeCosta, dove si rimarca la natura pubblica della tutela della salute. Da non trascurare è l’influenza dello status economico, che agisce in particolare sulle preferenze legate all’istruzione e alla salute, rispetto alle quali è possibile notare un forte scarto tra coloro che appartengono alla fascia di disponibilità economica bassa – orientati più nettamente ad un forte intervento pubblico - e coloro che invece si collocano nella fascia più alta – più aperti a vie gestionali alternative. Nella corrispondenza tra la condizione economica e il titolo di studio emerge una maggior predisposizione verso soluzioni di non esclusiva competenza pubblica tra i più abbienti così come tra i più scolarizzati. Si conferma, infine, la significatività delle preferenze politiche: prendendo ad esempio la salute, la necessità di un più forte intervento del soggetto pubblico è sostenuta dal 66,9% di chi si colloca politicamente a sinistra, mentre solo il 39,5% di chi si schiera a destra è della stessa opinione. Altre informazioni sulle caratteristiche del sistema di protezione sociale che i forlivesi-cesenati hanno in mente possono essere dedotte da una riflessione sui destinatari e i settori che le politiche sociali dovrebbero maggiormente sostenere mediante l'assegnazione di risorse pubbliche. 204 Gli intervistati sono quindi stati chiamati ad indicare la priorità con cui avrebbero assegnato delle risorse pubbliche ad una serie di categorie sociali più o meno svantaggiate pensando alla situazione italiana (cfr. tab. 7.6)24. Tra di esse è la categoria dei disabili a meritare la massima priorità nella distribuzione delle risorse pubbliche, ma urgente e necessaria appare anche l’assegnazione di risorse agli anziani, ai minori, ai giovani e ai disoccupati. Un minor grado di priorità viene riservato a chi lavora e a chi è in pensione, così come alla categoria delle donne. La redistribuzione delle risorse pubbliche a favore dei senza fissa dimora, degli immigrati e dei tossicodipendenti viene invece giudicata decisamente meno importante. Tab. 7.6. Priorità nella distribuzione delle risorse pubbliche in Italia A. Disoccupati B. Minori C. Disabili D. Anziani E. Lavoratori F. Pensionati G. Donne H. Tossicodipendenti I. Giovani L. Senza fissa dimora M. Immigrati Media 7,44 7,69 8,17 7,81 6,97 7,09 7,07 5,56 7,55 6,24 5,86 Dev. Std. 2,4 2,2 1,8 2,0 2,1 2,1 2,1 2,7 2,1 2,5 2,5 Per gli anziani e i disabili si registra un ampio consenso, dunque una minore variabilità delle risposte rispetto agli altri gruppi sociali e, in particolare, rispetto a quelli per i quali la priorità è più bassa. La maggiore o minore urgenza che viene attribuita agli interventi pubblici a favore di determinate fasce della popolazione mette in luce la presenza tra gli intervistati di una maggiore sensibilità verso situazioni di difficoltà legate al naturale corso della vita o al destino, piuttosto che a questioni socio-economiche e, in particolare, connesse a situazioni in cui si può rintracciare, almeno parzialmente, l’esito di scelte e azioni. La scarsa priorità attribuita alla necessità di farsi carico dei problemi dei tossicodipendenti, dei senza fissa dimora e degli immigrati, come messo in 24 Anche in questo caso i giudizi sono stati espressi utilizzando una scala da 1 a 10. Gli intervistati sono stati lasciati liberi di dare lo stesso giudizio a più categorie poiché non è stato chiesto loro di formare una classifica tra i soggetti destinatari delle risorse. 205 evidenza da numerose ricerche e riflessioni25, rimanda inoltre ad una sorta di inconscia distinzione tra i cosiddetti poveri 'meritevoli' e 'non meritevoli' che si riflette anche sul piano dell'orientamento alla distribuzione delle risorse. Fa eccezione la categoria dei disoccupati per la quale è però possibile ipotizzare un legame tra l'attenzione a loro attribuita e la crescente sensibilità che si registra nel campione e nella popolazione in generale rispetto al problema della disoccupazione e della mancanza di lavoro. I bisognosi non meritevoli sono coloro che, per qualche motivo, possono essere ritenuti responsabili delle loro disgrazie e che per tale ragione non meritano né la stessa compassione, né lo stesso trattamento nella redistribuzione delle ricchezze sociali riservati ai cosiddetti 'poveri buoni'26 i quali, invece, si ritrovano in una situazione di svantaggio in virtù di caratteristiche non dipendenti da loro scelte. Le preferenze di redistribuzione tra le varie categorie sociali possono essere ulteriormente specificate guardando alle variabili prese anche precedentemente in considerazione (cfr. tab. 7.7). Per quanto riguarda il genere, la componente femminile del campione assegna priorità più elevate in relazione a tutti i gruppi sociali indicati e trova pertanto conferma la maggiore predisposizione delle donne alla redistribuzione evidenziata da numerose indagini27. Le differenze di genere incidono in particolar modo proprio in riferimento alla categoria delle donne, indicata come bisognosa di risorse pubbliche in modo molto più ampio dalle stesse femmine che dagli uomini. Emerge quindi tra queste ultime l'autoriconoscimento dell'appartenenza ad una categoria socialmente svantaggiata, a conferma di quanto precedentemente detto rispetto alla sfiducia nelle pari opportunità di successo tra uomini e donne. É ipotizzabile che negli uomini un simile processo di identificazione avvenga con i lavoratori, l'unica categoria presa in considerazione in cui il divario tra i generi si assottiglia fino quasi a scomparire. Anche in riferimento all'età sembrano essere importanti gli effetti dell'identificazione. Tra coloro che appartengono alla fascia più anziana della popolazione si registra infatti una forte sensibilità nei confronti delle condizioni dei disabili, degli anziani e dei pensionati, mentre viene attribuita una bassa priorità ai giovani, i quali ricambiano dimostrando scarsa attenzione ai problemi degli anziani. Essi assegnano tuttavia un basso 25 Cfr. R. Castel, La discriminazione negativa, Milano, Feltrinelli, 2008; O. De Leonardis, Povero abile povero. Il tema della povertà e le culture della giustizia in «Filosofia e Questioni pubbliche», n. 2, 2000; C. Saraceno, M. Garcia, Esopo: Evaluation of social policies at the local urban level: income support for the able bodied, http://cordis.europa.eu, 1998. 26 O. De Leonardis, Povero abile povero, op. cit. 27 Cfr. H. Cole, G. Mailath, A. Postlewaite, Social norms, savings behaviour and growth, op.cit. e G. Corneo, H. P. Gruner, Individual preferences for political redistribution, op.cit. 206 giudizio di priorità anche ai minori, fascia d'età a cui sono particolarmente vicini o a cui addirittura appartengono, ma nella quale probabilmente non individuano una particolare vulnerabilità28. Tab.7.7. Priorità nella distribuzione di risorse tra categorie sociali. Confronto delle medie per le principali variabili A I L M 7,31 7,57 7,48 7,99 7,64 6,95 6,99 6,69 5,43 7,44 7,90 8,35 7,99 6,99 7,19 7,45 5,70 7,66 6,05 6,42 5,71 6,01 7,37 7,52 7,39 7,37 7,10 7,86 7,85 7,72 7,82 7,32 7,99 7,18 6,55 6,13 6,26 6,10 5,94 5,97 6,01 5,28 7,80 8,29 7,88 7,06 7,07 7,06 5,34 7,77 7,73 8,22 7,76 6,94 6,84 7,15 5,71 7,64 5,91 6,48 5,56 6,10 7,41 7,86 7,74 6,82 7,43 6,98 5,80 7,01 6,58 6,13 7,67 7,91 8,55 8,67 6,91 7,85 7,34 4,59 7,25 5,81 4,63 7,52 7,68 8,31 8,05 7,20 7,35 7,28 5,80 7,77 6,40 6,03 7,55 6,98 7,89 8,20 7,65 6,81 6,77 7,08 5,63 7,53 7,25 7,67 7,23 6,87 6,72 6,55 5,57 7,35 6,35 6,00 5,88 6,18 Disponibilità economica familiare Bassa 7,82 7,80 8,20 7,98 7,33 7,28 7,39 5,70 7,69 Media 7,18 7,62 8,10 7,76 6,76 7,11 6,87 5,60 7,48 Alta 7,25 7,58 8,18 7,61 6,82 6,76 6,90 5,38 7,50 6,36 6,39 5,96 6,11 5,72 5,88 8,01 8,54 8,14 6,91 7,21 7,19 6,17 7,87 6,81 6,51 7,66 7,99 7,59 6,89 6,85 6,79 4,77 7,16 5,49 4,98 Sesso Maschio Femmina Età 15-29 anni 30-49 anni 50-64 anni 65 anni e oltre Distretto di residenza Forlì 7,86 Cesena-Valle 7,22 Savio Rubicone-Costa 6,88 Titolo di studio Fino a Licenza elementare Licenza media o qualifica Diploma Laurea o postlaurea Orientamento politico Sinistra7,62 Centro-sinistra Destra7,01 Centro destra B C 7,68 8,13 8,38 8,54 D 7,10 7,69 8,25 8,34 E 6,95 6,97 7,15 6,73 F 6,62 6,88 7,41 7,67 G 7,01 7,02 7,28 6,94 H 5,46 5,63 5,88 5,07 28 Interessante appare il fatto che tra tutti i giovani sono proprio i minorenni o gli appena maggiorenni (15-19) ad attribuire meno urgenza alla destinazione di risorse a favore dei minori (6,63). 207 Gli interventi a favore dei minori sono però giudicati urgenti dagli adulti e dagli anziani (30-49enni, 50-64enni e ultra65enni) che, probabilmente, si identificano qui nella condizione di genitori o nonni. Poche variazioni si registrano rispetto alla preoccupazione nei confronti dei disoccupati, sebbene siano i 30-49enni a dimostrarsi più attenti a questo gruppo della popolazione. Interessanti risultati emergono poi dalla comparazione delle medie dei voti rispetto ai titoli di studio e alla disponibilità economica familiare. Concentrandosi sul titolo di studio e, in particolare, sulle opinioni di coloro che possiedono al massimo la licenza elementare, è possibile notare che la bassa scolarizzazione si collega, in generale, ad una maggiore richiesta di risorse per tutte le categorie sociali, ma anche ad atteggiamenti meno sensibili alle situazioni degli homeless, dei tossicodipendenti e dei senza fissa dimora. Relativamente alla disponibilità economica sembra trovare conferma l'ipotesi che il favore nei confronti delle politiche di redistribuzione sia inversamente legato allo status economico, poiché in quasi tutti i casi sono coloro che di collocano nella fascia più bassa ad attribuire giudizi più generosi. Le priorità delle categorie dei disabili, dei minori e degli anziani vengono affermate pressoché con la stessa intensità indipendentemente dalle differenze di disponibilità economica che caratterizzano il campione le quali, tuttavia, appaiono molto influenti in relazione ai problemi dei disoccupati e dei lavoratori, che sono avvertiti come più urgenti da chi si trova in condizioni economiche meno abbienti. L'orientamento politico appare nuovamente discriminante: pur assumendo un valore minimo in relazione alla tutela dei lavoratori, la distanza di atteggiamenti tra gli elettori di sinistra – più generosi nella distribuzione - e quelli di destra è presente in riferimento a tutti i gruppi sociali proposti, e si amplifica notevolmente quando si tratta di definire la priorità accordata all'aiuto ai tossicodipendenti, agli immigrati e ai senza fissa dimora29. Passando dalle categorie ai settori maggiormente bisognosi di attenzione da parte del soggetto pubblico, con un esplicito riferimento al territorio di Forlì-Cesena, si nota come gli intervistati tendano ad attribuire elevati gradi di priorità a tutti i servizi elencati (cfr. tab. 7.8). 29 In riferimento alla categoria dei lavoratori è possibile notare che i giudizi di priorità attribuiti da coloro che si collocano politicamente sia a destra che a sinistra sono più bassi rispetto alla media generale del campione. La convinzione circa l'urgenza di risorse a favore dei lavoratori è quindi più marcata fra coloro che non scelgono o non sanno collocarsi politicamente (6,99). 208 Tab.7.8. Priorità nella distribuzione di risorse tra settori in riferimento al territorio forlivese-cesenate Deviazione Media std. A. Trasporti 6,10 2,3 B. Istruzione formazione 7,99 1,9 C. Servizi anziani 7,55 2,0 D. Servizi per lavoro 7,66 2,1 E. Servizi per l'infanzia 7,81 2,0 F. Servizi sociali per fasce svantaggiate 7,58 2,0 G. Manutenzione strade e viabilità 7,11 2,9 H. Manutenzione aree verdi 6,81 2,1 I. Attività economiche e produttive 7,29 2,0 L. Educazione ambientale e civica 7,13 2,2 M. Centri per giovani 7,02 2,2 N. Iniziative culturali 6,98 2,2 I settori a cui si attribuisce prioritariamente il bisogno di un maggior intervento pubblico in termini di distribuzione di risorse sono rappresentati dai servizi per l'istruzione-formazione, per l’infanzia, per il lavoro, per le fasce svantaggiate e per gli anziani; mentre ottengono i giudizi più bassi, seppur positivi, le iniziative culturali, la manutenzione dei parchi e delle aree verdi e i trasporti. La maggiore predisposizione alla redistribuzione delle donne rispetto agli uomini viene ulteriormente confermata prendendo in considerazione l'analisi delle differenze di genere che, pur non essendo mai eccessivamente ampie, si manifestano in modo più significativo per quanto concerne i servizi alla persona; ovvero in riferimento a quegli ambiti di cura di cui le donne si sono da sempre tradizionalmente occupate e preoccupate a livello sia familiare che professionale (cfr. tab. 7.9). Relativamente all'età si registra nuovamente l'importanza dell'identificazione per cui se i più attenti alla necessità di creare centri di aggregazione giovanile e di promuovere iniziative culturali sono i 15-29enni, i più sensibili rispetto ai servizi per gli anziani sono gli ultra65enni. La lettura delle risposte date dal campione attraverso il distretto di residenza permette di notare che i forlivesi e i residenti nel distretto di Cesena-Valle Savio dimostrano maggiore attenzione nei confronti dei servizi alla persona e dell'istruzione rispetto ai residenti nella zona di RubiconeCosta. Coloro che abitano nel distretto di Cesena-Valle Savio sembrano inoltre particolarmente interessati ai servizi connessi alla tutela e al miglioramento dello spazio urbano (manutenzione delle strade, cura delle aree verdi, educazione ambientale e civica). 209 Tab.7.9. Priorità nella distribuzione di risorse tra settori. Confronto delle medie per le principali variabili. A B C D E F G H I L M N Sesso Maschio Femmina 5,99 7,89 7,32 7,52 7,55 7,35 7,07 6,66 7,24 7,07 6,89 6,91 6,21 8,10 7,79 7,81 8,07 7,82 7,15 6,97 7,34 7,19 7,15 7,05 Età 15-29 anni 30-49 anni 50-64 anni 65 anni e oltre 5,98 5,89 6,57 6,09 7,89 8,06 8,25 7,58 6,92 7,40 7,99 8,03 7,61 7,57 7,91 7,57 7,10 7,90 8,07 8,06 7,27 7,47 7,88 7,79 6,81 7,13 7,38 7,02 6,59 6,79 7,14 6,67 7,13 7,35 7,49 7,02 6,88 7,21 7,48 6,74 7,29 7,01 7,14 6,55 7,32 7,03 7,04 6,33 Distretto di residenza Forlì 6,09 8,29 7,71 8,02 7,95 7,77 7,06 6,74 7,50 7,05 6,95 7,01 Cesena-Valle 6,08 7,98 7,54 7,59 8,03 7,91 7,22 6,96 7,14 7,27 7,25 6,87 Savio Rubicone6,13 7,44 7,25 7,06 7,25 6,80 7,06 6,77 7,07 7,09 6,87 7,05 Costa Fino a Licenza elementare 6,20 7,44 8,23 7,73 7,83 7,85 7,12 6,49 6,71 6,42 6,13 5,38 Licenza media o qualifica 6,36 8,01 7,76 7,85 7,93 7,79 7,32 7,05 7,43 7,42 7,40 7,21 Diploma Laurea o postlaurea 5,97 8,02 7,34 7,63 7,75 7,52 6,95 6,72 7,36 7,08 7,09 7,10 5,80 8,23 7,18 7,38 7,68 7,21 6,93 6,70 7,25 7,10 6,75 7,26 Disponibilità economica familiare Bassa 6,05 7,91 7,52 7,80 7,75 7,78 7,02 6,75 7,18 7,02 6,98 6,80 Media 6,16 7,77 7,61 7,50 7,78 7,42 7,12 6,90 7,23 7,17 7,03 6,92 Alta 5,91 8,30 7,42 7,63 7,90 7,53 7,15 6,75 7,46 7,15 7,01 7,13 Orientamento politico Sinistra6,36 8,32 7,93 7,92 8,13 7,98 7,12 6,93 7,28 7,43 7,47 7,33 Centro-sinistra DestraCentro destra 5,77 7,82 7,14 7,19 7,66 7,16 7,09 6,79 7,36 6,91 6,54 6,53 Dinamiche interessanti si rilevano prendendo in considerazione il titolo di studio e, in particolare, le opinioni espresse dalla fascia meno scolarizzata della popolazione. Tra coloro che posseggono un titolo di studio basso si rileva una maggiore sensibilità verso i servizi alla persona (anziani, minori, lavoro e fasce svantaggiate) rispetto ai laureati che invece si dimostrano più attenti alle esigenze dei settori dell’istruzione, della cultura e del lavoro. 210 Guardando alla disponibilità economica familiare si notano effetti cumulati con la variabile dell’istruzione per alcuni dei settori indicati per cui chi dispone di poche risorse economiche, così come chi ha una bassa scolarizzazione, attribuisce poca urgenza ai servizi per i trasporti e per le attività economiche, nonché alla promozione culturale, all’educazione civica e ai centri per i giovani; mentre chi dichiara una maggiore disponibilità economica è, come i laureati, attento all’ambito formativo e ai servizi per le attività economiche e culturali. Le differenze economiche tra gli intervistati non sembrano, invece, avere effetti rilevanti sull’importanza attribuita alla tutela aree verdi e ai servizi per l’infanzia. Dal punto di vista delle preferenze politiche, in parallelo con quanto detto per le categorie sociali, si conferma infine una maggior propensione degli elettori di sinistra verso la redistribuzione delle risorse. L’unica eccezione tra i settori presi in considerazione è rappresentata ai servizi alle attività produttive ed economiche, prioritari per coloro che si collocano politicamente a destra. 7.4. Opinioni e atteggiamenti verso la tassazione Alla base dell’esistenza e del funzionamento di qualsiasi sistema di redistribuzione si collocano i meccanismi di prelievo fiscale e per questo la tematica della tassazione appare inscindibilmente collegata a quelle della giustizia sociale e delle politiche redistributive. A differenza di quanto accade per le politiche redistributive, che ottengono diversi gradi di consenso in base alle diverse modalità con cui vengono realizzate e in relazione ai settori o alle categorie sociali che coinvolgono, il prelievo fiscale genera sentimenti ed opinioni meno diversificate e nettamente più negative. Come evidenziato dalla tabella 7.10, nella assoluta maggioranza dei casi, gli abitanti della provincia di Forlì-Cesena ritengono infatti la tassazione a cui sono sottoposti eccessiva e, complessivamente, ben l'83% dei lavoratori intervistati descrive il prelievo fiscale come troppo oneroso. Tra questi prevalgono coloro che collegano tale eccessività ai servizi che di fatto utilizzano o in relazione alla loro qualità ed efficienza. I dati qui presentati sono in linea con quelli rilevati al livello nazionale dal Censis: chiedendo agli italiani di dare un giudizio sulla pressione fiscale rispetto al livello dei servizi, il 23% della popolazione ha giudicato la tassazione comunque alta indipendentemente dal livello dei servizi, il 58,1% alta se comparata alla qualità dei servizi, l’11,2% adeguata e solo il 7,7% 211 bassa30. Anche in questo caso, quindi, più dell’80% della popolazione ritiene la pressione fiscale eccessiva. Tab.7.10. Opinioni rispetto alla tassazione. Valori % Troppo in assoluto Troppo rispetto a mio reddito Troppo rispetto a servizi di cui fruisco Troppo rispetto a qualità ed efficienza dei servizi Adeguato Poco % 17,5 19,7 23 22,8 16,6 0,4 Approfondendo questi risultati attraverso le principali variabili prese qui in considerazione, è possibile notare che, per quanto concerne il genere, la maggiore problematicità della tassazione è legata, per le donne, alla qualità e all'efficienza dei servizi pubblici, mentre gli uomini si lamentano principalmente della scarsità di servizi di cui usufruiscono rispetto alle tasse versate. Distinguendo invece il campione in fasce d’età, attira l’attenzione il fatto che tra la popolazione anziana è poco diffusa l’idea di una eccessività assoluta del carico fiscale che, invece, appare presente in misura pressoché identica per i giovani e per gli adulti. Tra gli ultra65enni, inoltre, più di un quarto del campione definisce la tassazione adeguata rispetto a ciò di cui in cambio beneficia; sempre in riferimento a questa fascia della popolazione, maggior scontento emerge in relazione alla qualità dei servizi (33%). Per quanto concerne il distretto, le motivazioni addotte dagli intervistati a spiegazione della loro scontentezza rispetto alla tassazione variano tra le diverse zone: è tra i cittadini di Cesena-Valle Savio che emerge in modo più evidente la problematicità del rapporto reddito-tasse (22,4%), mentre nella zona di Rubicone-Costa la pressione fiscale è ritenuta eccessiva primariamente rispetto ai servizi di cui gli abitanti usufruiscono (31,1%) e nell’area di Forlì preoccupa innanzitutto l’inefficienza e la scarsa qualità di questi rispetto ai loro costi in termini di pressione fiscale (25,3%). L'idea che la tassazione sia eccessiva in assoluto è maggiormente diffusa tra coloro che hanno un titolo di studio particolarmente basso (41%) i quali, inoltre, si lamentano in modo più netto del rapporto tra tasse e tenore di vita (33%), a conferma dell'importanza della dinamica istruzione/reddito. Così come avviene per il titolo di studio, si nota che l'attenzione verso la qualità e l'efficienza dei servizi aumenta in modo direttamente proporzionale anche rispetto alla disponibilità economica dell'intervistato. 30 Censis, Il rapporto tra gli italiani e il fisco, www.censis.it, 2010. 212 Se, infatti, i forlivesi-cesenati che si collocano nella fascia più bassa sono i più scontenti della scarsa proporzionalità tra il reddito che guadagnano e le tasse che pagano (23,3%), coloro che dichiarano una disponibilità economica elevata sono maggiormente preoccupati per la qualità del servizio pubblico di cui beneficiano (29,5%). La collocazione politica, infine, incide fortemente rispetto al sentimento di scontento assoluto rispetto alla tassazione – che è più diffuso tra gli elettori di destra - e delinea uno scenario in cui chi si colloca a sinistra appare più critico in riferimento alla non proporzionalità rispetto al reddito e alla scarsa qualità dei servizi. Tab.7.11. Disponibilità rispetto all’ulteriore tassazione in cambio di servizi migliori Sì certamente Sì, ma solo a livello locale Sì, ma solo se si riducesse l'evasione fiscale No % 10,8 17,3 31,7 40,2 La possibilità di pagare più tasse in cambio di servizi pubblici migliori (cfr. tab. 7.11) trova quasi la metà del campione totalmente indisponibile, ma è interessante notare che una fascia abbastanza ampia della popolazione forlivese-cesenate accetterebbe un aumento dei prelievi se fosse ridotta anche l'evasione fiscale. I dati a nostra disposizione mostrano, poi, che ben il 40,7% di coloro che si dichiarano in completo disaccordo con la possibilità di dichiarare al fisco meno di ciò che si dovrebbe sarebbe disposto a pagare più tasse se venisse ridotta l’evasione fiscale. La lotta all’evasione fiscale diviene quindi strumento di legittimazione della tassazione stessa ed emerge con evidenza l'importanza di prevedere misure a contrasto di un fenomeno che, secondo l’indagine Censis già richiamata, è indicata dalla maggior parte degli italiani come il principale problema del settore pubblico del Paese31. Poco diffuso è il favore accordato alla possibilità di un aumento delle tasse a livello esclusivamente locale e ancora meno diffusa è la percentuale di chi si dichiara disponibile a versare contributi più elevati. Poche differenze si rilevano per quanto riguarda il genere, mentre più significativa è l’influenza dell’età, rispetto alla quale si rileva che sono i giovani e gli anziani – ovvero le classi d’età con una disponibilità economica relativamente più contenuta - a dimostrarsi più sfavorevoli verso l’aumento 31 Sempre secondo tale indagine, il 44,4% degli italiani individua nell’evasione fiscale il male principale del nostro sistema pubblico, ponendo in secondo piano la questione dell’eccessiva tassazione. Tra gli interventi da attuare reputati più urgenti, il 51,7% del campione segnala infatti la necessità di accrescere il numero e l’efficacia dei controlli per contrastare l’evasione. 213 dei prelievi fiscali. Leggendo, inoltre, le opinioni degli intervistati rispetto alla tassazione alla luce di quanto gli stessi avevano affermato in relazione alle caratteristiche del loro ideale modello di redistribuzione, l’atteggiamento sfavorevole dei giovani verso i prelievi fiscali può rimandare proprio ad una discrepanza tra i servizi ‘desiderati’ e quelli ‘finanziati’: le tasse perdono legittimità se servono primariamente a redistribuire ricchezza a categorie e settori che i giovani non percepiscono come prioritari. Prendendo in considerazione il distretto di appartenenza è possibile notare che i cittadini di Rubicone-Costa sono i meno favorevoli ad un eventuale aumento delle tasse (44,8% di contrari), mentre i residenti nel distretto di Cesena-Valle Savio, pur essendo per la maggior parte comunque sfavorevoli (37,3%), dimostrano un certo grado di accordo rispetto alla possibilità di un aumento delle tasse se venisse ridotta l’evasione fiscale (35,2%). Un maggior livello di scolarizzazione si riflette, invece, in una più ampia disponibilità al pagamento di nuovi contributi fiscali in cambio di servizi migliori; allo stesso modo il completo disaccordo rispetto ad un aumento delle tasse si presenta in misura largamente maggiore tra chi possiede un titolo di studio più basso. Simili andamenti si presentano poi anche in relazione alla disponibilità economica che dove risulta più consistente corrisponde ad una più ampia apertura alla tassazione. Le maggiori differenze rispetto all’orientamento politico si riscontrano, infine, in relazione alle risposte del tutto negative, che rappresentano maggiormente l’opinione degli elettori di destra, e quelle, invece, favorevoli in cambio di una riduzione dell’evasione, che trovano un più ampio consenso tra gli elettori di sinistra. Trova quindi conferma la maggiore predisposizione di questi ultimi alla redistribuzione, emersa anche in precedenza. 7.5 Utilizzo e soddisfazione rispetto ai servizi del territorio Anche l’esperienza che le persone fanno quotidianamente di un servizio contribuisce a definire la particolare idea di welfare e di giustizia di ciascun soggetto. La conoscenza e l’utilizzo di un servizio e le valutazioni in termini di qualità e utilità che ne conseguono, consentendo all’individuo di farsi un’idea rispetto allo stato attuale del welfare, costituiscono una delle basi su cui si struttura l’idea di come esso dovrebbe essere. 214 Riprendendo una delle dimensioni indagate dall’Istat nella sua indagine sulle condizioni di salute degli italiani32, sono state prese in considerazione le pratiche relative all'utilizzo dei servizi sanitari da parte degli intervistati. Relativamente al tipo di struttura scelta per l'ultima visita medica o ricovero si conferma il ruolo preminente svolto dal settore pubblico nell’ambito sanitario rilevato in relazione alle preferenze di gestione dei servizi (cfr. paragrafo 7.3), poiché i forlivesi-cesenati hanno optato in maggioranza per strutture pubbliche e solo in modo residuale si sono rivolti a strutture private. Poco più del 20% ha scelto, tuttavia, una struttura privata convenzionata con il servizio pubblico, optando quindi per una soluzione che coinvolge il settore pubblico e l’azione privata contemporaneamente (cfr. tab. 6.12)33. Tab.7.12. Struttura scelta per l'ultima visita medica o ricovero. Valori % Pubblica Privata convenzionata Privata Totale % 69,6 20,7 9,7 100,0 Tra coloro che si rivolgono a strutture pubbliche si nota, prima di tutto, una prevalenza degli uomini (72,4%) rispetto alle donne (66,7%), le quali si rivolgono più spesso di questi ultimi alle strutture private convenzionate e non. Tali differenze di genere possono trovare una spiegazione nel maggior ricorso delle donne a controlli e cure specialistiche (si pensi, ad esempio, a quelle ginecologiche) che vengono spesso effettuate presso ambulatori medici e strutture di tipo privato. La distinzione in base all’età mette in luce una forte distanza tra le pratiche di utilizzo dei servizi sanitari degli ultra65enni e quelle delle altre fasce della popolazione. Gli anziani usufruiscono in misura nettamente maggiore dei servizi sanitari pubblici (81%) e, parallelamente, utilizzano più raramente cure di tipo privato, anche se convenzionato. La preferenza per strutture pubbliche si rileva anche tra coloro che risiedono nel distretto di Rubicone-Costa (79,7%) soprattutto in comparazione alle scelte dei cittadini del distretto di Cesena, che optano più frequentemente per soluzioni alternative. Quasi la totalità di coloro che possiedono un titolo di studio pari o inferiore alla licenza elementare (90,4%) ha scelto di rivolgersi ad un 32 Istat, Condizioni di salute, fattori di rischio e ricorso ai servizi sanitari, www.istat.it, 2007. Secondo i dati Istat, nell’anno 2005, la quota di accertamenti effettuati presso strutture private era pari al 21%. 33 215 servizio pubblico per l’ultima visita o ricovero, ma è ipotizzabile che contribuiscano a questo dato anche le dinamiche età-scolarizzazione e scolarizzazione-reddito precedentemente richiamate. Non a caso la larga maggioranza (76,2%) di coloro che dichiarano una bassa disponibilità economica afferma di essersi rivolto al settore pubblico per le più recenti necessità sanitarie. L'importanza della situazione economica familiare appare ancora più evidente se si prende in considerazione la scelta di rivolgersi ad una struttura privata non convenzionata: si è rivolto a questo tipo di struttura solo il 4,5% dei forlivesi-cesenati con bassa disponibilità economica, mentre tra coloro che si collocano nella fascia alta la percentuale è di quasi quattro volte maggiore (17,7%). Relativamente, invece, all’utilizzo delle strutture sanitarie private convenzionate non si registrano variazioni tra le fasce economiche in virtù del fatto che la scelta di questo tipo di soluzione non è condizionata tanto dal reddito, quanto da motivazioni legate, ad esempio, alla maggiore ‘rapidità’ del servizio convenzionato. Tra i criteri utilizzati dagli intervistati per la scelta prevale, in linea con i dati Istat, quello della fiducia nutrita nella struttura (30,1%). Seguono le questioni economiche (24%) e quelle di vicinanza spaziale (18,3%)34. L’osservazione delle motivazioni per tipo di struttura frequentata permette però di notare che a guidare la scelta verso il servizio pubblico sono principalmente motivi di ordine economico e di fiducia, oltre alla vicinanza. Le motivazioni cambiano invece sensibilmente prendendo in considerazione le risposte di coloro che si sono rivolti ad una struttura convenzionata: i ridotti tempi di attesa, la fiducia e la scelta di uno specialista sono i motivi più indicati dagli intervistati. Anche tra coloro che hanno optato per una soluzione privata le motivazioni restano pressoché identiche, ma l’affidarsi ad uno specialista della struttura scelta diventa più determinante. Infine, per quanto concerne le strutture private convenzionate e non, sembra essere rilevante anche il consiglio ricevuto da una persona o da un medico di fiducia. Le pratiche di utilizzo dei servizi sanitari confermano, quindi, quanto già detto in relazione alle preferenze tra pubblico e privato nella loro gestione: sebbene il ruolo del soggetto pubblico resti forte, esso non rappresenta l’unica soluzione possibile, soprattutto per quelle fasce di popolazione meno vincolate dal punto di vista della disponibilità economica. 34 Relativamente all’indagine condotta dall’Istat, il secondo criterio di scelta corrisponde alla vicinanza della struttura, il terzo ai tempi di attesa e il quarto all’aspetto economico. Sebbene quindi vi siano delle variazioni, le motivazioni prevalentemente addotte non sono distanti da quelle rilevate nella provincia di Forlì-Cesena. 216 I forlivesi-cesenati sono stati invitati anche a dichiarare la loro soddisfazione rispetto ai servizi pubblici in generale e, in particolare, ai servizi sanitari, per il lavoro e di assistenza sociale offerti sul territorio in cui risiedono35. Come mostrato dalla tabella 7.13, i servizi pubblici in generale ottengono una piena sufficienza. Il giudizio più positivo è rivolto ai servizi sanitari, mentre i giudizi espressi in relazione all’assistenza sociale e ai servizi per il lavoro sono più bassi36. Tab.7.13. Soddisfazione rispetto ai servizi presenti sul territorio Media Servizi pubblici in generale 6,85 Servizi sanitari 7,00 Servizi di assistenza sociale 6,33 Servizi per il lavoro 5,57 Dev. Std. 1,6 1,6 2,0 2,1 Se prendiamo in considerazione la soddisfazione espressa rispetto ai servizi pubblici in generale, i dati a nostra disposizione mostrano una situazione leggermente più positiva rispetto a quelli del 2010 provenienti dall’indagine Gli italiani e lo stato di Demos e Pi37. La ricerca evidenzia, infatti, un calo di soddisfazione a livello nazionale rispetto a tutti i servizi pubblici, che sarebbero apprezzati solo dal 39% degli italiani. Una situazione simile emerge rispetto alla sanità prendendo in considerazione i dati relativi all’indagine Istat sulle condizioni di salute38: la soddisfazione rispetto ai servizi sanitari rilevata nel 2005 si attestava a livello nazionale ad un giudizio pari a 5,939. 35 Anche in questo caso il giudizio è stato espresso utilizzando una scala da 1 a 10. Per quanto riguarda i servizi sanitari si fa riferimento agli ospedali, agli ambulatori e alla diagnostica. I servizi di assistenza sociale comprendono i servizi di assistenza domiciliare, abitativa, integrazione al reddito, sostegno alla genitorialità e l’assistenza socio-educativa; i servizi per il lavoro si riferiscono alle attività dei Centri per l’impiego. 36 Per quanto concerne i servizi di assistenza sociale e i servizi per il lavoro hanno risposto rispettivamente solo 312 e 229 persone poiché la maggior parte degli intervistati ha affermato di non averne mai usufruito. Per una trattazione più approfondita dei servizi per il lavoro si rimanda inoltre al capitolo 2 del presente rapporto. Relativamente ai servizi per l’impiego i dati più recenti relativi alla regione Emilia-Romagna si riferiscono ad una ricerca condotta dall’ISFOL nel 2004 da cui emerge che la soddisfazione degli utenti intervistati si fermava al livello medio del 60,2, su una scala da 1 a 100. La ricerca è disponibile sul sito dell’ISFOL www.isfol.it. 37 Demos e Pi, Gli italiani e lo stato, op. cit. 38 Istat, Condizioni di salute, fattori di rischio e ricorso ai servizi sanitari, op. cit, p.51 39 Una più recente ricerca del Censis, evidenzia che nell’area del Nord-Est ben il 45,6% degli intervistati giudica la qualità degli ospedali e dei pronto soccorsi buona e il 39,7% sufficiente. 217 La lettura dei dati attraverso il genere non mette in evidenza differenze particolarmente significative: gli scarti tra i voti femminili e quelli maschili sono infatti molto limitati rispetto a tutti i servizi (cfr. tab. 7.14). Le donne tendono comunque a dimostrarsi più soddisfatte degli uomini, tranne per quanto concerne i servizi sanitari, rispetto ai quali appaiono più critiche. Tab.7.14. Soddisfazione rispetto ai servizi presenti sul territorio. Confronto delle medie per le principali variabili. Servizi in Servizi Assistenza Servizi per generale sanitari sociale il lavoro Sesso Maschio 6,79 7,06 6,19 5,48 Femmina 6,90 6,94 6,45 5,66 Età 15-29 anni 30-49 anni 50-64 anni 65 anni e oltre 6,77 6,80 6,86 7,04 6,93 6,91 7,09 7,20 6,19 6,11 6,73 6,30 5,52 5,47 5,75 5,80 Distrettodi residenza Forlì Cesena-Valle Savio Rubicone-Costa 6,93 6,73 6,82 7,18 6,98 6,70 6,14 6,57 6,31 5,07 5,83 6,06 Titolo di studio Fino a licenza elementare Licenza media o qualifica Diploma Laurea o post-laurea 6,96 6,76 6,93 6,77 7,13 7,00 6,94 7,06 6,22 6,42 6,14 6,57 5,11 5,55 5,93 5,14 Disponibilità economica familiare Bassa 6,86 Media 6,81 Alta 6,82 7,02 7,02 6,90 6,16 6,60 6,21 5,34 5,88 5,74 Orientamento politico Sinistra – Centro Sinistra Destra –Centro Destra 7,30 6,71 6,52 6,18 6,08 5,48 Cfr. Censis, Aspettative e www.salute.gov.it, 2010. 7,07 6,65 soddisfazione dei cittadini rispetto alla salute e alla sanità, 218 Anche le differenze anagrafiche non determinano variazioni notevoli, sebbene le persone anziane si dimostrino mediamente più soddisfatte rispetto alle altre fasce della popolazione e specificamente rispetto ai più giovani e ai 30-49enni. L’opinione rispetto ai servizi di assistenza sociale è invece migliore tra coloro che hanno un’età compresa tra i 50 e i 64 anni. L’analisi per distretto permette invece di notare opinioni assai differenti in relazione alle diverse zone di residenza. I cittadini del distretto di Forlì sono i più soddisfatti dei servizi in generale e dei servizi sanitari di cui beneficiano, ma anche coloro che maggiormente lamentano l’inefficienza dei servizi per il lavoro e quelli di assistenza sociale. L’attività dei Cpi è invece maggiormente apprezzata a Cesena-Valle Savio e nel distretto di RubiconeCosta. Sempre rispetto alla soddisfazione nei confronti dei servizi per il lavoro sembra incidere anche il livello di istruzione: il parallelismo tra chi ha una scolarizzazione molto bassa e chi possiede invece una laurea potrebbe trovare una spiegazione nel fatto che queste due gruppi della popolazione, corrispondendo ad una manodopera non qualificata o, all’opposto, molto qualificata, sono proprio le categorie che con minor frequenza riescono a trovare presso i Cpi offerte lavorative a loro corrispondenti e, dunque, esprimono un grado di soddisfazione più contenuto. La variabile economica non ha effetto sui giudizi espressi rispetto ai servizi in generale e a quelli sanitari, ma influenza le opinioni relative all'assistenza sociale e lo fa in modo particolare, evidenziando una similarità di soddisfazione tra la fascia bassa e quella alta. Per quanto concerne i servizi per il lavoro, sono coloro che dichiarano una minore disponibilità economica a lamentarsi maggiormente della loro qualità. Risultati significativi si ottengono inoltre comparando le medie rispetto all’orientamento politico degli intervistati. I rispondenti che politicamente si collocano a destra sono infatti più critici rispetto alla qualità di tutti i servizi pubblici, confermando un orientamento tradizionalmente più favorevole al mercato già emerso in relazione alle preferenze tra gestione pubblica e privata dei servizi. 7.6 Rilievi di sintesi L’indagine degli atteggiamenti e delle opinioni rispetto al concetto di giustizia sociale di una popolazione va a toccare un ampio spettro di tematiche che dal rapporto tra individuo e collettività arrivano alla strutturazione dei servizi di welfare. Quello della giustizia sociale è inoltre un tema che per essere compreso necessita di tenere conto di una pluralità di elementi, tra cui le caratteristiche socio-demografiche e gli orientamenti 219 valoriali della popolazione, nonché le strutture sociali e istituzionali del territorio di residenza. Cercando di sintetizzare quanto trattato è possibile affermare che i cittadini della provincia di Forlì-Cesena, rappresentati qui dal campione oggetto di indagine, si dimostrano, dal punto di vista valoriale, orientati ad una ‘soluzione mista’ per quanto riguarda l’idea del successo, il cui raggiungimento è legato all’impegno personale tanto quanto a fattori non controllabili dall’individuo. Questa particolare concezione del successo ben si sposa con l’emergere tra i forlivesi-cesenati di un’immagine di welfare in cui il soggetto pubblico concede spazio alle soluzioni private promuovendo l’auto-attivazione individuale, ma resta strategico o comunque importante in riferimento ad alcuni servizi e settori di primaria necessità (salute, istruzione, assistenza alle persone povere, assistenza ai non auto-sufficienti), che si rivolgono primariamente a quelle fasce della popolazione in cui sono le condizioni e non la mancanza di impegno a determinare la presenza di situazioni di difficoltà (disabili, anziani, minori, disoccupati). Nel rapporto tra individuo e collettività si rileva inoltre la tradizionale presenza di due poli opposti, rispettivamente spostati verso la preminenza del soggetto, del merito e dell’azione privata da un lato, e la centralità dei vincoli collettivi, delle pratiche di redistribuzione e dell’attore pubblico dall’altro. Questa polarizzazione emerge in particolar modo rispetto all’appartenenza politica, che appare una variabile fondamentale per la lettura di tutti gli atteggiamenti legati ai diversi aspetti del tema della giustizia sociale. È tuttavia interessante notare che tra i giovani – i quali rappresentano, non a caso, la fascia della popolazione meno politicizzata emerge una parziale compresenza di elementi appartenenti ai due diversi poli: in particolar modo l’attribuzione di centralità ai legami collettivi non comporta un rifiuto verso una gestione dei servizi più aperta a soluzioni private o miste, né verso l’idea che il singolo individuo debba attivarsi maggiormente. Sebbene la tendenza sia trasversale a tutta la popolazione indipendentemente dalle caratteristiche considerate, sono di nuovo i giovani a dimostrare maggior scontento rispetto alla tassazione ed è nelle fasce di età più giovani che si rileva più criticità rispetto al funzionamento dei servizi pubblici. Sembra emergere in questo gruppo una forte discrepanza tra il welfare ‘attuale’ e quello ‘desiderato’, leggibile sia nella richiesta di più interventi pubblici nei settori della cultura e a favore dei giovani, che nel rifiuto a contribuire al sostegno del sistema di protezione sociale presente attraverso ulteriori prelievi fiscali. 220 Infine, è possibile affermare che l’immagine generale che si ottiene da questa ricerca è quella di una popolazione che domanda maggior attenzione rispetto a tutti i servizi e maggiore equità nei confronti di tutte le categorie sociali. Questa richiesta non si rivolge però solo al pubblico, ma si presenta anche nell’auspicio di una maggiore responsabilità dei singoli e di un’apertura di spazi di azione anche al privato, nella consapevolezza che per fare davvero giustizia sociale sia indispensabile l’impegno di tutti. 221 8. Metodologia, strumenti di indagine e frequenze relative di Valerio Vanelli 8.1. Premessa Questo rapporto di ricerca rappresenta il risultato di un’indagine promossa nell’anno 2009 dalla Provincia di Forlì-Cesena e commissionata al Polo Scientifico-Didattico di Forlì dell’Università degli Studi di Bologna. La ricerca – che si inserisce in una più ampia traiettoria di studi e analisi condotte in questi anni dall’Osservatorio sul Welfare Locale della Provincia in collaborazione con lo stesso Polo di Forlì – si è posta l’obiettivo di rilevare le condizioni socio-economiche, gli stili di vita, le aspettative di benessere e i comportamenti, gli atteggiamenti, le idee e le percezioni dei residenti nella provincia di Forlì-Cesena in merito a una pluralità di dimensioni: il lavoro, l’andamento dell’economia, il welfare, la qualità della vita, la sicurezza, ecc., tutti temi declinati secondo le articolazioni di cui si renderà conto nei prossimi paragrafi descrivendo il questionario, le modalità di rilevazione e il campionamento. 8.2. Il campionamento Come accennato, i dati della presente ricerca sono il frutto di una rilevazione campionaria, condotta su 835 persone di età compresa fra i 15 e i 74 anni e residenti nella provincia di Forlì-Cesena. La procedura di campionamento ha previsto una stratificazione a tre livelli, realizzata a partire dai dati delle liste anagrafiche di nove comuni della provincia di Forlì-Cesena. A partire dai trenta comuni della provincia, si è infatti proceduto a selezionarne nove, sulla base di parametri di tipo tradizionale (il distretto socio-sanitario di appartenenza, le dimensioni, la collocazione territoriale interna o costiera, ecc.) ma anche sulla base di ulteriori ragionamenti, condotti anche assieme al gruppo di lavoro allargato (Polo, Provincia, distretti), così da tenere conto di una molteplicità di aspetti e della specifica realtà locale. Si è così giunti alla selezione dei seguenti nove comuni: 222 per il distretto di Cesena-Valle Savio: - Cesena, - Sarsina; per il distretto di Forlì: - Forlì, - Portico e San Benedetto, - Predappio, - Santa Sofia; per il distretto Rubicone-Costa: - Cesenatico, - Savignano sul Rubicone, - Sogliano al Rubicone. Si tratta dei tre comuni capo-distretto e di altri sei comuni, distribuiti fra gli stessi tre distretti in modo da garantire la rappresentatività degli stessi rispetto alle dimensioni della popolazione e in modo da rispettare i criteri di cui sopra: differenti dimensioni, distinzione fra comuni dell’interno e della costa, ecc. Si precisa che, complessivamente, i nove Comuni considerati raccolgono il 70% della popolazione residente nella provincia di ForlìCesena. Come evidenzia la tabella 8.1, si è deciso di utilizzare come variabili di stratificazione: il territorio (distinzione dei tre distretti), il genere e l’età. Pertanto, dopo aver suddiviso il territorio per le tre aree, all’interno di ognuna area si è realizzato un campionamento stratificato, che assicura la massima rappresentatività della popolazione in base alle variabili prescelte. Il primo passaggio è stato dunque quello di individuare quali siano, fra quelle prescelte, le variabili che mostrino una più elevata varianza interna, al fine di non produrre eccessivi bias nella popolazione campionaria. In questo specifico caso, si è osservato che la variabile del genere si mostra equidistribuita sia per età che per aree, non ponendo pertanto problemi di distorsione. L’età, articolata in quattro classi, mostra una varianza leggermente superiore a seconda dei territori, ma tramite la stratificazione proporzionale per singolo distretto si è potuto ovviare a questa problematica: se per esempio, quindi, un’area presenta una più alta incidenza della popolazione giovanile – come, nella fattispecie, il distretto Rubicone-Costa – per questa la quota relativa ai giovani sarà più elevata, riproducendo, di fatto, le caratteristiche della popolazione di riferimento e garantendo pertanto la rappresentatività di quest’ultima. 223 Si è poi proceduto con il calcolo del peso che ogni singolo strato ha sul totale della popolazione dell’universo di origine, per poi giungere alla corrispettiva quota campionaria, presentata nella tabella 8.1. Tab. 8.1. Ripartizione del campione per genere, età e distretto Cesena - Valle Forlì Rubicone Costa Savio M F Tot M F Tot M F Tot 15-29 24 22 46 38 35 73 20 20 40 30-49 50 49 99 81 76 157 41 37 78 50-64 30 30 60 46 50 96 21 21 42 65-74 20 21 41 28 31 59 19 20 39 Totale 124 122 246 193 192 385 101 98 199 Totale provincia M 82 171 97 68 418 F 78 162 101 71 412 Tot 159 334 198 139 830 Va inoltre precisato che se la quota campionaria, calcolata in proporzione alla popolazione di riferimento secondo le modalità sopra descritte, presentava un numero di casi inferiore a 20 (come ad esempio i maschi di 65-74 anni del distretto di Cesena-Valle Savio), si è proceduto ad alzare la quota stessa a 20 unità, considerando questa numerosità come quella minima ottimale per ciascuna quota1. Si è giunti così ad un campione pari a 830 unità. Come già ricordato, si sono realizzate in realtà 5 interviste in più, per un totale di 835, senza che ciò possa minimamente distorcere il campione e, anzi, aumentando così la numerosità dello stesso2. Per individuare il numero di casi di ciascun comune, si è partiti dai dati riportati nella tabella 8.1 relativi al numero di interviste da realizzare in ciascun distretto, per procedere poi a ripartire questo numero di interviste fra i comuni di ciascun distretto in base al peso relativo che ciascuno di essi ha in termini di popolazione 15-74 anni (dati all’1.1.2009)3. 1 In conseguenza di ciò, rispetto all’universo di partenza, nel campione si registra un peso leggermente più elevato – dunque una leggera sovra-rappresentazione – per i comuni del distretto di Rubicone-Costa, a causa del fatto che il numero di casi attribuiti a questo distretto è stato, nel suo complesso, leggermente aumentato, come effetto dell’incremento del numero di casi di alcune quote, innalzate al minimo di 20 casi quando, appunto, presentavano una numerosità inferiore. 2 Va precisato che già la numerosità inizialmente prevista di 830 casi garantiva di rispettare la rappresentatività statistica dell’universo di riferimento per un livello di confidenza del 95% (α= 0,05). 3 Così, ad esempio, se per il distretto di Cesena-Valle Savio è previsto – secondo quanto riportato in tabella 8.1. – che siano realizzate 199 interviste, al comune di Cesena, che raccoglie il 55,8% della popolazione di 15-74 anni residente nel distretto, sono attribuiti, appunto, il 55,8% di 199 casi, ossia 111 e via dicendo per gli altri otto comuni nei diversi distretti. 224 8.2.1. Selezione delle persone da intervistare Giunti alla definizione dei comuni su cui procedere alla rilevazione e al numero di casi da intervistare per ciascuna quota campionaria (comune, sesso, età), si è proceduto a richiedere la lista anagrafica della popolazione residente alle Anagrafi4 di ciascuno dei Comuni coinvolti nell’indagine5. Partendo, per ognuno dei nove comuni, dalla lista anagrafica distinta per quote campionarie (genere per fascia di età), si è proceduto all’estrazione casuale di un numero di nominativi corrispondente a quello previsto dallo stesso campionamento (i cosiddetti “nominativi ordinari” o “titolari”) e, per ciascuno di questi, di quattro nominativi di riserva (c.d. “riserve”). I nominativi ordinari rappresentavano i casi da intervistare in prima battuta, mentre quelli di riserva dovevano essere contattati soltanto in sostituzione di un nominativo ordinario che non si fosse riusciti a intervistare per cause indipendenti dalla buona volontà dell’intervistatore (mancata reperibilità della persona6, rifiuto insuperabile, impossibilità di entrare in contatto con la persona pur tentando di recarsi a casa della stessa in diverse occasioni e in ore diverse della giornata, ecc.)7. 8.3. Il questionario e la rilevazione La rilevazione è stata condotta utilizzando un questionario strutturato, predisposto dal gruppo di lavoro del Polo Scientifico-Didattico di Forlì in accordo con i referenti della Provincia di Forlì-Cesena, composto da 97 domande. Si deve aggiungere che si è proceduto a una riduzione del numero di domande, dal momento che la prima versione del questionario, sottoposta ad alcuni pre-test, era risultata eccessivamente lunga, con il conseguente rischio di un decadimento dell’attenzione e della collaborazione da parte dell’intervistato. Esso è stato pertanto ridimensionato e, dopo ulteriori testpilota condotti su diversi testimoni rappresentativi di una casistica diversificata di condizioni socio-demografiche differenti, è stato approvato 4 Si coglie l’occasione per ringraziare gli Uffici e i Servizi che hanno offerto la loro collaborazione, rendendo possibile la presente indagine. 5 Si precisa che per il comune di Cesena, gli elenchi anagrafici della popolazione residente sono stati gentilmente forniti dall’Azienda Usl di Cesena, cui va un ringraziamento per la preziosa collaborazione. 6 Si sono ad esempio registrati casi di persone che, pur presenti nelle liste anagrafiche estratte, al momento del contatto risultavano trasferite all’estero. 7 Sul punto si tornerà nei prossimi paragrafi. 225 nella sua versione definitiva, sempre in accordo con il gruppo di lavoro allargato. I quesiti, volti alla raccolta di informazioni e dati di tipo quantitativo in linea con gli obiettivi conoscitivi della ricerca, sono principalmente a risposte chiuse (a risposta unica o multipla), pur contemplando anche alcune domande aperte. Nella definizione del formulario è stata tenuta in considerazione la necessità della comparabilità con le informazioni e i dati rilevati da altre indagini di carattere nazionale ed europeo, per cui diversi quesiti sono stati mutuati da altre indagini, a partire da quelle Istat. Il questionario risulta articolato in dieci sezioni8. La prima è finalizzata alla rilevazione delle principali caratteristiche socio-demografiche dell’intervistato e del suo nucleo familiare, con un notevole grado di approfondimento. La seconda sezione considera il lavoro, guardando sia alle effettive condizioni ed esperienze lavorative della persona sia ai suoi orientamenti rispetto a questo tema. La terza sezione raccoglie informazioni e opinioni in merito alla condizione economica dell’intervistato e della famiglia, considerando il particolare momento di congiuntura sfavorevole dell’economia globale e tentando di raccogliere informazioni in merito all’impatto della crisi economico-finanziaria sulla vita quotidiana dei cittadini di Forlì-Cesena. La quarta sezione prende in considerazione un tema assai ampio e articolato: la qualità della vita e la sicurezza così come percepita dagli intervistati nel loro vivere quotidiano. Con la quinta sezione si mira a rilevare e studiare gli orientamenti valoriali dei cittadini in merito alla visione del futuro, alla fiducia verso le altre persone e verso le istituzioni. Si è poi voluta indagare a fondo, partendo dalle abituali indagini condotte dall’Istat su questo tema, l’organizzazione del tempo nella vita quotidiana degli intervistati. Con la settima sezione si è poi considerato un tema sempre più attuale e di grande rilevanza anche per i cittadini: l’immigrazione e l’interculturalità. Con la successiva sezione, sono state rilevate le opinioni, le idee e le pratiche di giustizia sociale degli intervistati, con particolare attenzione alle politiche pubbliche, al sistema fiscale attuale, agli orientamenti su giustizia e merito, ecc. 8 Si ricorda che in calce al presente capitolo sono presentate le distribuzioni di frequenza di tutte le domande del questionario. 226 Infine, con la nona sezione, si è presa in esame la partecipazione politica e quella associativa degli intervistati, per poi concludere l’intervista sulla religiosità degli stessi. Nel questionario era poi prevista una decima e ultima sezione da compilarsi a cura dell’intervistatore, per registrare il ‘clima’ dell’intervista (persone presenti, attenzione da parte dell’intervistato, ecc.), la durata della stessa, ecc. – tutti aspetti di cui si deve tenere conto per valutare l’affidabilità dei dati e delle informazioni raccolte. In fase di analisi dei dati, si è proceduto alla costruzione di una serie di indici utili all’approfondimento di aspetti e tematiche particolari. Gli indici utilizzati solo in determinati capitoli verranno descritti in quella stessa sede; vi sono, però, indici utilizzati in molti capitoli che appare utile richiamare qui. Indice di disponibilità economica familiare - Per avere un’indicazione rispetto alle risorse economiche complessive familiari, si è proceduto alla costruzione di un indice di disponibilità economica che tenesse conto sia del reddito netto mensile, sia della numerosità della famiglia. Il reddito netto mensile della famiglia è stato quindi diviso per il numero di componenti, che è stato però ponderato in modo che all’aumentare dei componenti il peso di ciascuno di loro fosse via via minore. Il dato così ottenuto rappresenta il reddito pro-capite all’interno del nucleo familiare, a prescindere dall’età e dalla condizione occupazionale dell’intervistato, da leggersi non in quanto tale, ma come stima del livello di disponibilità economica della famiglia di cui l'intervistato fa parte. La variabile continua così ottenuta è stata poi trasformata in una categoriale a 3 modalità, per renderla di più facile lettura ed utilizzo, evitando inoltre di dover utilizzare i valori cardinali, i quali non hanno in realtà un significato intrinseco in questo caso, ma sono solo indicatori del livello di benessere relativo della famiglia. Le tre modalità sono le seguenti: ‘basso’ per un valore al di sotto dei 700 euro, ‘medio’ per un valore da 701 a 1200 euro, ‘alto’ con un valore oltre i 1201 euro. Indice di status culturale familiare – Al fine di descrivere il background culturale dell’intervistato si è deciso di costruire un indice sintetico incrociando i titoli di studio delle figure adulte all’interno del nucleo familiare. La variabile continua così ottenuta è stata poi trasformata in una categoriale a 3 modalità: ‘basso’ fino a licenza media , ‘medio’ almeno un membro con diploma e ‘alto’ almeno un membro con la laurea. 227 8.4. La realizzazione delle interviste I questionari sono stati somministrati agli intervistati faccia a faccia fra l’aprile del 2010 e il luglio del 2011. Con una lettera inviata ad hoc dalla Provincia di Forlì-Cesena il potenziale intervistato è stato preventivamente avvisato della possibilità di essere contattato da appositi incaricati per l’intervista. La somministrazione è avvenuta ad opera di 65 intervistatori, selezionati principalmente fra laureati e laureandi in discipline politicosociali nei poli scientifici della Romagna e adeguatamente formati ed istruiti attraverso appositi incontri di briefing e formazione tenuti presso la facoltà di Scienze politiche Roberto Ruffilli di Forlì9. Dopo l’incontro iniziale, a ciascun intervistatore è stato consegnato l’elenco dei casi da intervistare, a partire da quelli sopra definiti ‘titolari’, eventualmente da sostituire con le relative ‘riserve’. Come ipotizzabile e come frequente in tutti i casi in cui la rilevazione preveda interviste faccia-a-faccia, che richiedono un certo impegno e una certa disponibilità di tempo da parte dell’intervistato, la quota di nominativi di riserva intervistati è piuttosto elevata, pari al 58%, mentre gli intervistati appartenenti ai cosiddetti ‘titolari’ rappresentano il 42%10. Le interviste hanno avuto una durata media di 60 minuti. In generale, sono stati mediamente necessari circa due contatti per riuscire a fissare e realizzare l’intervista11. Poiché i dati forniti dalle anagrafi comunali non indicavano, naturalmente, il numero di telefono, nella maggior parte dei casi gli intervistatori sono riusciti a entrare in contatto con la persona da intervistare recandosi direttamente al domicilio della stessa (56,5% dei casi), ma spesso hanno comunque ritenuto opportuno cercare autonomamente il numero di telefono (via elenco telefonico o ricerca web) e contattare il potenziale intervistato, per presentarsi e prendere un appuntamento (con questa 9 Con questi incontri, si sono spiegate agli intervistatori le modalità sia di contatto con i potenziali intervistati sia di conduzione dell’intervista (atteggiamento da tenere, criteri per la registrazione delle risposte, ecc.), così da garantire omogeneità nella raccolta delle informazioni ed evitare pertanto fraintendimenti e distorsioni. 10 Sul tema, cfr., tra gli altri, A. Bosio, «Grazie, no!»: il fenomeno dei non rispondenti, in «Quaderni di sociologia», n. 40, 1996, pp. 31-44, R. Mannheimer (a cura di), I sondaggi elettorali e le scienze politiche, Milano, FrancoAngeli, 1989, H. Schuman e S. Presser, Questions and Answers in Attitude Surveys, New York, Academic Press, 1981, A. Marradi, Concetti e metodi per la ricerca sociale, Firenze, Giuntina, 1980, M.C. Pitrone, Il sondaggio, Milano, FrancoAngeli, 1980. 11 Il dato medio sopra riportato si riferisce alle persone effettivamente intervistate. Al numero di contatti tentati dagli intervistatori vanno aggiunti anche quelli non andati a buon fine, dunque relativi a tutte le persone (“titolari” o “riserve”) che non si sono riuscite a intervistare. 228 modalità, si sono riuscite a realizzare il 37% circa delle interviste). Nei rimanenti casi sono state seguite altre vie, come le eventuali conoscenze personali, soprattutto nei piccoli comuni, ecc. 8.4. Controlli e qualità dei dati Al fine di garantire l’affidabilità delle informazioni e dei dati raccolti, prima di procedere alle elaborazioni e alle analisi alla base del presente rapporto di ricerca sono stati condotti controlli su più livelli e nelle diverse fasi dell’attività. In primo luogo, si è mantenuto il contatto diretto continuo con gli intervistatori per seguire l’effettiva e corretta realizzazione delle interviste. In secondo luogo, in fase di inserimento dei dati nella matrice costruita ad hoc in Spss (Statistical Package for Social Sciences), l’incaricato del data entry ha in corso d’opera verificato, per quanto possibile, la plausibilità e la congruenza delle risposte via via inserite. Questi stessi controlli sono stati poi realizzati in maniera sistematica una volta terminata la rilevazione e ottenuta la matrice dati completa, ponendo attenzione a: - plausibilità dei dati, verificando che i valori inseriti non fossero diversi da quelli previsti (c.d. wild codes / out of range); rispetto dei filtri previsti dal questionario e congruenza delle risposte, anche attraverso controlli incrociati su più variabili considerate congiuntamente; trattamento delle mancate risposte (missing values e non pertinenti)12. 8.6 Le distribuzioni di frequenza Si presentano di seguito le distribuzioni di frequenza delle risposte fornite a ciascuna domanda del questionario, seguendone l’ordine previsto dal formulario stesso. Per ogni quesito, viene indicata la numerosità (‘N’), ossia il numero di intervistati che hanno effettivamente risposto alla domanda. È su questo numero che sono calcolati i valori percentuali riportati in questa sede. In 12 Si tratta degli abituali controlli preliminari da effettuare sulla matrice dati prima di procedere alle analisi, ben descritti in P. Corbetta, Metodologia e tecniche della ricerca sociale, Bologna, il Mulino, 1999, cap. 12. 229 alcuni casi, questi valori percentuali potrebbero differire leggermente da quelli riportati nei singoli capitoli, soprattutto nel caso in cui vengano presentati risultati di analisi bivariate e altre elaborazioni, che potrebbero aver portato all’esclusione di alcuni casi dai calcoli. Informazioni socio-demografiche A. Comune di residenza (*) Forlì Portico – San Benedetto Predappio Santa Sofia Cesena Sarsina Cesenatico Savignano Sogliano Totale N % 42,4 0,4 2,4 1,4 28,3 1,2 13,3 9,0 1,6 100,0 835 Note: (*): Informazione già a disposizione dell’intervistatore di cui è stata domandata esclusivamente conferma 1. Dove è nato/a? Provincia di Forlì-Cesena Provincia di Ravenna o Rimini In un’altra provincia dell’Emilia-Romagna (Pc, Pr, Re, Mo, Bo, Fe) In una regione dell’Italia Nord-Occidentale (Val d’Aosta, Piemonte, Liguria, Lombardia) In un’altra regione dell’Italia Nord-Orientale (Friuli Venezia Giulia,Veneto,Trentino Alto Adige) In una regione dell’Italia centrale (Toscana, Umbria, Marche, Lazio) In una regione dell’Italia meridionale (Campania, Molise, Puglia, Basilicata, Calabria, Abruzzo) In una regione dell’Italia insulare (Sardegna, Sicilia) Estero (specificare Stato di nascita: _________________________ ) Totale N % 73,1 4,0 2,0 1,7 1,3 1,7 5,4 ,8 9,9 100,0 830 230 1a. Se nato all’estero, specificare Paese di nascita (% ordine decrescente) Albania Romania Marocco Cina Polonia Bielorussia Svizzera Tunisia Ucraina Argentina Burkina Faso Colombia Cuba Moldova Rep. Dominicana Russia Algeria Belgio Cile Costa d'Avorio Ecuador Filippine Francia Germania Grecia Nigeria Senegal Spagna Totale N % 16,0 16,0 9,9 6,2 4,9 3,7 3,7 3,7 3,7 2,5 2,5 2,5 2,5 2,5 2,5 2,5 1,2 1,2 1,2 1,2 1,2 1,2 1,2 1,2 1,2 1,2 1,2 1,2 100,0 81 2. Da quanto tempo risiede in questo comune? Dalla nascita Da quando ero bambino (al massimo 10 anni) Da meno tempo Totale N % 62,7 6,6 30,7 100,0 818 3.1a. Sesso dell’intervistato Maschio Femmina Totale N % 51,4 48,6 100,0 835 231 3.1b. Età dell’intervistato 15-19 20-24 25-29 30-34 35-39 40-44 45-49 50-54 55-59 60-64 65-69 70 e oltre Totale N % 5,6 6,6 7,4 9,7 11,2 9,4 10,1 6,8 8,4 8,2 8,0 8,6 100,0 834 Note: Domanda aperta, aggregata in classi in questa sede a fini di presentazione. 3.1c. Titolo di studio dell’intervistato Nessun titolo Licenza elementare Licenza media inferiore/avviamento Diploma qualifica professionale (2-3 anni) Diploma maturità Laurea triennale o diploma universitario (3 anni) Laurea vecchio ordinamento o laurea specialistica o post-lau Totale N % 1,4 10,3 25,4 9,4 33,6 4,6 15,3 100,0 828 3.1d. Status economico dell’intervistato Reddito lavoro dipend Reddito lavoro autonomo Pensione Indennità e provvidenze varie Redditi patrimoniali Non produce un proprio reddito Totale N % 46,1 14,0 20,4 0,8 0,4 18,3 100,0 826 232 4a. Ora Le leggerò alcuni eventi che possono caratterizzare la vita di una persona. Nel caso si siano già realizzati anche per Lei, può indicarmi la loro successione nel corso della sua vita? In quale anno ha terminato gli studi? % Da oltre 20 anni 58,5 Da 11-20 anni 15,0 Da 10-5 anni 9,2 Da meno di 5 anni 5,2 Non ancora realizzato 12,1 Totale 100,0 N 807 Note: Domanda aperta, aggregata in classi in questa sede a fini di presentazione. 4b. In quale anno ha trovato il suo primo lavoro (esclusi i “lavoretti” occasionali fatti da ragazzo o durante le vacanze)? % Da oltre 20 anni 55,4 Da 11-20 anni 16,4 Da 10-5 anni 10,0 Da meno di 5 anni 5,9 Non ancora realizzato 12,3 Totale 100,0 N 818 Note: Domanda aperta, aggregata in classi in questa sede a fini di presentazione. 4c. In quale anno ha lasciato la casa dei suoi genitori per andare a vivere da solo oppure con altre persone? % Da oltre 20 anni 43,4 Da 11-20 anni 16,5 Da 10-5 anni 9,9 Da meno di 5 anni 5,3 Non ancora realizzato 24,9 Totale 100,0 N 819 Note: Domanda aperta, aggregata in classi in questa sede a fini di presentazione. 4d. In quale anno si é sposato o é andato a convivere per la prima volta? Da oltre 20 anni Da 11-20 anni Da 10-5 anni Da meno di 5 anni Non ancora realizzato Totale N % 43,8 13,0 8,5 5,4 29,3 100,0 826 Note: Domanda aperta, aggregata in classi in questa sede a fini di presentazione. 233 4e. [Se ha figli] In quale anno ha avuto il primo figlio? Da oltre 20 anni Da 11-20 anni Da 10-5 anni Da meno di 5 anni Non ancora realizzato Totale N % 37,0 10,4 6,9 4,7 41,0 100,0 824 Note: Domanda aperta, aggregata in classi in questa sede a fini di presentazione. 4f. In quale anno ha acquistato la sua prima casa di proprietà? Da oltre 20 anni Da 11-20 anni Da 10-5 anni Da meno di 5 anni Non ancora realizzato Totale N % 26,5 11,4 8,4 4,9 48,8 100,0 819 Note: Domanda aperta, aggregata in classi in questa sede a fini di presentazione. 5. Per quale motivo ha lasciato la casa dei genitori la prima volta? Convivenza (unione libera) Matrimonio Lavoro Studio Per esigenze di autonomia/indipendenza Decesso del genitore Altro Totale N % 10,0 59,7 8,2 8,2 10,2 1,3 2,4 100,0 620 6. [Se sono presenti minori nel nucleo familiare] Chi si occupa di loro, al di là del tempo scuola o di servizi a pagamento? Sì No Totale N Solo la madre 13,8 86,2 100,0 581 Solo il padre 3,5 96,5 100,0 581 Madre e padre 80,7 19,3 100,0 576 Nonni 53,1 46,9 100,0 581 Altri parenti 19,4 80,6 100,0 582 Vicini di casa / amici 9,1 90,9 100,0 581 Altro (ad es. “Nessuno in particolare”) 6,7 93,3 100,0 582 234 7. Nella sua rete parentale sono presenti anziani non autosufficienti o non del tutto autosufficienti o adulti non autosufficienti? % Sì 22,4 No 77,6 Totale 100,0 N 799 8. [Se Sì] (Queste persone non auto-sufficienti) fanno parte del nucleo familiare in cui vive attualmente? % Sì 24,4 No 75,6 Totale 100,0 N 176 9. [Se Sì (riferito alla dom. 7] Chi si occupa di loro? Sì Servizi pubblici 21,4 Assistenza privata 38,1 Figlia/e 61,9 Figlio/i 29,3 Moglie / marito (del non autosufficiente) 33,3 Altri parenti 27,9 Vicini di casa /amici 2,4 Altro 8,6 No 78,6 61,9 38,1 70,7 66,7 72,1 97,6 91,4 Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 N 42 42 42 41 42 43 42 35 10. La sua famiglia si avvale del servizio a pagamento di (una risposta per ogni riga): Sì No Totale N Per quante ore a settimana? a. Collaboratore domestico 13,8 86,2 100,0 824 n. ore (media risposte): 7,4 ore/settimana % saltuariamente: 40,6% b. Baby sitter 2,0 98,0 100,0 816 n. ore(media risposte): 9,8 ore/settimana % saltuariamente: 75,0% c. Persona assistente anziano o 6,3 93,7 100,0 816 n. ore (media risposte): 46,4 ore/settimana disabile (che viva o meno nel % saltuariamente: 31,9% nucleo familiare intervistato) 11. La sua famiglia può contare, in caso di necessità, sull’aiuto di persone non conviventi? Sì No Totale N Parenti 79,9 20,1 100,0 831 Amici 61,6 38,4 100,0 831 Vicini 36,1 63,9 100,0 831 Persone appartenenti a una associazione volontariato 13,0 87,0 100,0 831 Altre persone 2,1 97,9 100,0 831 235 12. Nelle ultime 4 settimane ha fornito gratuitamente a persone (parenti e non) che non vivono con lei qualcuno dei seguenti aiuti? (possibili più risposte per riga) Non parenti Parenti (% risp. (% risp. affermative) affermative) Aiuto economico 13,5 10,5 Prestazioni sanitarie (iniezioni, medicazioni, ecc.) 9,9 7,3 Accudimento, assistenza adulti (aiuto a lavarsi, mangiare, ecc.) 9,9 4,7 Accudimento, assistenza bambini 15,1 6,2 Aiuto in attività domestiche anche non nella casa della persona 17,5 5,4 aiutata (lavare, stirare, fare la spesa, preparare i pasti, ecc.) Compagnia, accompagnamento, ospitalità 15,1 11,4 Espletamento pratiche burocratiche (andare in posta, banca, ecc.) 9,1 9,1 Aiuto nell’esecuzione di lavoro extra-domestico 9,1 5,9 Aiuto nello studio 6,7 6,9 Aiuto sotto forma di cibo, vestiario, ecc. 6,9 18,1 Altro 0,4 4,8 13. Dove abitano i genitori suoi ed eventualmente del suo partner? (se i genitori risultano separati, fare riferimento al genitore con cui si hanno maggiori relazioni) Insieme a lei In un altro appartamento dello stesso caseggiato Nello stesso comune… …entro 1 km. …nel resto del comune In un altro comune in Italia distante… …meno di 16 km. …16-50 km. …più di 50 km. All’estero Deceduti Totale N Suo/suoi genitori 23,6 6,8 Genitore/i del partner 2,9 7,4 9,4 13,9 9,6 19,9 5,1 3,3 5,7 6,1 7,9 3,9 8,5 5,9 26,1 100,0 823 34,2 100,0 544 14. La casa in cui vive è: In affitto o subaffitto Di proprietà In usufrutto/In uso gratuito Totale N % 15,3 72,1 12,6 100,0 831 236 15. [Per chi è in affitto] Quanto paga di affitto al mese lei/la sua famiglia (escluse le spese di condominio, di riscaldamento e altre spese accessorie)? % Massimo 400 Euro 23,8 401-600 Euro 60,6 Oltre 600 Euro 15,6 Totale 100,0 N 122 Note: Domanda aperta, aggregata in classi in questa sede a fini di presentazione. 16. [Per chi è in affitto] Ha intenzione di comprare casa nei prossimi due anni? Sì No Totale N % 32,2 67,8 100,0 122 Il lavoro: esperienze e orientamenti 17. Lei attualmente ha un lavoro, cioè svolge una attività lavorativa? Sì No Totale N % 61,2 38,8 100,0 835 18. [Se non occupato] In quale delle seguenti condizioni Lei si trova? Pensionato/a o ritirato/a dal lavoro Casalinga Studente Disoccupato/a Cassa integrazione guadagni, lista di mobilità Congedo lavorativo di legge In cerca di prima occupazione Inabile al lavoro Altro Totale N % 49,7 15,3 21,9 8,3 1,7 0,7 1,0 0,7 0,7 100,0 301 237 19. [Se occupato] Qual è la Sua professione? % Lavoratore dipendente Dirigente Funzionario/quadro Insegnante Impiegato di concetto Impiegato esecutivo Operaio specializzato Operaio generico Totale lavoratori dipendenti 2,6 5,6 3,6 15,5 15,1 13,8 15,0 71,2 Lavoratore autonomo Imprenditore Artigiano Titolare di esercizio commerciale Libero professionista (iscritto ad un albo) Altro autonomo (coadiuv., socio coop. Autonomo, contratto di associaz. in partecipaz.) Totale lavoratori autonomi 4,4 4,6 3,6 7,4 4,4 24,4 Collaborazione coordinata e continuativa Collaborazione occasionale Lavoro senza contratto o non regolamentato Totale N 1,4 1,0 2,0 100,0 501 20 [Se Sì] Qual è il lavoro, la professione o il mestiere che lei svolge attualmente? (es.: commercialista, professore di lettere, camionista, ecc.). Lo descriva nel modo più dettagliato possibile evitando termini generici come impiegato od operaio. Specificare (e specificare anche se trattasi di pensionato che lavora): __________________________________________________________________________ __________________________________________________________________________ 21. [Se Sì] Quanto tempo dedica mediamente alla settimana all’attività lavorativa (per le persone che svolgono un’attività lavorativa occasionale fare riferimento ad una settimana di lavoro tipo): % Meno di 20 ore/settimana 4,4 20-28 ore/settimana 9,0 29-36 ore/settimana 19,0 37-48 ore/settimana 50,2 49 e oltre ore/settimana 17,4 Totale 100,0 N 500 Note: Domanda aperta, aggregata in classi in questa sede a fini di presentazione. N. ore (media risposte): 39,75 ore/settimana 238 22. [Per chi risulta occupato dipendente] Lei ha un contratto a tempo indeterminato o a tempo determinato? % A tempo indeterminato 73,8 A tempo determinato (compresi apprendisti, ecc.) 26,2 Totale 100,0 N 355 23. [Per chi risulta occupato dipendente] Lei ha un contratto di lavoro part time? Sì No Totale N % 18,2 81,8 100,0 314 24. [Se Sì] Per quale tra questi motivi lavora part time? Non ho trovato un lavoro a tempo pieno Studio o seguo corsi di formazione professionale Per prendermi cura dei figli, di bambini e/o altre persone non autosufficienti Altri motivi familiari (esclusa cura dei figli o di altre persone) Svolgo un secondo lavoro Per avere a disposizione più tempo libero Altri motivi (ad es. motivi di salute – specificare) Totale N % 28,6 12,5 33,9 1,8 7,1 12,5 3,6 100,0 56 25. [Se lavoratore dipendente o ex lavoratore dipendente] Lei lavora/lavorava nel settore pubblico o nel settore privato? % Pubblico 22,0 Privato 78,0 Totale 100,0 N 537 239 26. [Per tutti gli occupati o ex occupati] In quale settore economico di attività lavora/lavorava? % Agricoltura, caccia, pesca 9,4 Estrazione, energia 1,2 Industria e attività manifatturiere 21,3 Costruzioni 5,6 Commercio all’ingrosso e al dettaglio 11,4 Alberghi e ristoranti 4,9 Trasporti, magazzinaggio e comunicazioni 3,3 Intermediazioni monetarie e finanziarie 4,9 Attività immobiliari, noleggio, informatica, ricerca,altre attività prof.li o imprenditoriali 3,3 Pubblica amministrazione e difesa 5,1 Istruzione 5,4 Sanità ed altri servizi sociali 8,4 Altri servizi 15,8 Totale 100,0 N 691 27. [Per tutti] Può dirmi qual è approssimativamente l’attuale reddito netto mensile da lavoro e/o da pensione della sua famiglia? % 1,3 3,2 4,0 9,6 9,1 8,0 6,1 7,8 14,9 14,0 11,2 6,2 1,9 1,8 0,4 0,1 0,4 100,0 792 Meno di 600 euro Fra i 600 e gli 800 euro Fra gli 801 e i 1000 euro Fra i 1.001 e i 1.200 euro Fra i 1.201 e i 1.400 euro Fra i 1.401 e i 1.600 euro Fra i 1.601 e i 1.800 euro Fra i 1.801 e i 2.000 euro Fra i 2.001 e i 2.500 euro Fra i 2.501 e i 3.000 euro Fra i 3.001 e i 4.000 euro Fra i 4.001 e i 5.000 euro Fra i 5.001 e i 6.000 euro Fra i 6.001 e i 7.000 euro Fra i 7.001 e i 9.000 euro Fra i 9.001 e i 10.000 euro Più di 10.000 euro Totale N 28. [Per tutti] Lei attualmente sta cercando attivamente un lavoro? Sì No Totale N % 10,8 89,2 100,0 825 240 29. [Se Sì] Nelle ultime 4 settimane ha fatto qualcuna delle seguenti azioni di ricerca di lavoro? Sì No Totale N Ha avuto contatti con un centro pubblico per l’impiego 54,7 45,3 100,0 86 per cercare lavoro Ha sostenuto un colloquio di lavoro, una selezione presso 41,9 58,1 100,0 86 privati Ha sostenuto prove scritte e/o orali concorso pubblico 9,4 90,6 100,0 85 Ha inviato domanda per partecipare a concorso pubblico 20,0 80,0 100,0 85 Ha esaminato offerte di lavoro sui giornali 72,9 27,1 100,0 85 Ha messo inserzioni sui giornali o ha risposto ad annunci 35,3 64,7 100,0 85 Ha fatto una domanda di lavoro o ha inviato/consegnato 71,8 28,2 100,0 85 un curriculum a privati Si è rivolto a parenti, amici, conoscenti, sindacati per 64,0 36,0 100,0 86 trovare lavoro Ha cercato lavoro su Internet 61,0 39,0 100,0 82 Ha avuto contatti con una agenzia interinale o con una 100,0 85 struttura di intermediazione (pubblica o privata) diversa 40,0 60,0 da un Centro pubblico per l’impiego Ha cercato terreni, locali, attrezzature per avviare una 4,7 95,3 100,0 85 attività autonoma Ha chiesto permessi, licenze, finanziamenti per avviare 2,4 97,6 100,0 85 una attività autonoma Ha svolto altre azioni di ricerca di lavoro, non comprese 12,9 87,1 100,0 85 tra quelle precedenti Altro 7,7 92,3 100,0 52 30. [Per chi alla domanda precedente ha dichiarato di essersi rivolto al CpI] Era la prima volta che si recava al Centro per l’Impiego? Sì No Totale N % 47,7 52,3 100,0 44 31. Attraverso quali canali è giunto a conoscenza del/ha deciso di recarsi al Centro per l’Impiego? % Amici e conoscenti 39,9 Famiglia 15,6 Scuola 6,7 Ente di formazione professionale Giornali/riviste/pubblicità 8,9 Sindacati 13,3 Altro 15,6 Totale 100,0 N 45 241 32. Per quale motivo si è recato al Centro per l'Impiego? Per avere informazioni su opportunità occupazionali, anche per quelle all’estero Per avere informazioni su corsi di Formazione professionale Per apprendere tecniche di ricerca lavoro (CV, ecc.) Per essere orientato nella scelta del mio percorso formativo/professionale Per avere informazioni sulla legislazione del lavoro Per leggere annunci e offerte di lavoro / consultare materiali su lavoro e formazione Per avere informazioni sui concorsi pubblici Per fare un tirocinio formativo Per utilizzare i servizi amministrativi Altro Totale N % 47,6 7,1 9,5 4,8 2,4 23,8 2,4 2,4 100,0 42 33. Quanto sono importanti i seguenti aspetti del lavoro per lei? Esprima un giudizio per ciascuno dei seguenti aspetti, utilizzando una scala da 1 (Per niente importante) a 5 (Molto importante) 1 – Per 2 3 4 5Totale N niente Molto Lo stipendio, il reddito 1,1 2,2 17,1 34,0 45,6 100,0 818 Le condizioni ambientali di lavoro 3,3 10,8 22,0 30,3 33,6 100,0 818 (rumori, ergonomia, ecc.) Rapporti con i colleghi di lavoro 1,6 3,8 15,3 32,5 46,8 100,0 818 Rapporti con i superiori, i capi 3,9 4,6 18,4 30,6 42,5 100,0 804 La possibilità di far carriera 9,3 13,3 29,3 23,3 24,8 100,0 817 La possibilità di imparare cose nuove ed 3,4 6,5 13,7 25,2 51,2 100,0 820 esprimere le proprie capacità L'orario di lavoro 4,7 9,6 26,2 27,1 32,4 100,0 816 La possibilità di viaggiare molto 26,4 21,6 22,2 12,9 16,9 100,0 815 La sicurezza del posto di lavoro (intesa 2,0 4,4 12,6 20,9 60,1 100,0 809 come dimensione contrattuale) La compatibilità con carichi familiari 3,6 9,2 22,3 27,7 37,2 100,0 808 La possibilità di avere tempo libero 4,1 9,6 26,4 27,8 32,1 100,0 812 Distanza fra il luogo di lavoro e 9,3 14,2 30,7 24,2 21,6 100,0 815 l’abitazione 242 34. [Per i soli occupati] Con che frequenza le è capitato / le capita di trovarsi nelle seguenti condizioni/situazioni? 1– 2– 3 – Più 4 – Più 5– Totale Mai Raravolte volte al Più volte mente l’anno mese settimana Sono arrivato a casa dal lavoro talmente stanco da 25,5 20,7 19,3 13,8 100,0 20,7 non essere in grado di svolgere i lavori di casa È stato per me difficile rispondere alle mie responsabilità in famiglia a 34,8 34,4 17,5 9,7 3,6 100,0 causa dell’eccessivo impegno sul lavoro È stato per me difficile concentrarmi sul lavoro a 37,9 36,0 17,3 6,4 2,4 100,0 causa delle responsabilità e dei problemi in famiglia Condizione economica e risparmio 35. Tenendo conto di tutti i redditi disponibili, la sua famiglia alla fine del mese… Deve fare debiti Non è costretta a fare debiti, ma deve prelevare dai risparmi Riesce a fare quadrare il bilancio Non ha problemi di bilancio Totale N % 5,3 18,8 55,6 20,3 100,0 831 36. La sua famiglia è riuscita a risparmiare negli ultimi 12 mesi? Sì No Totale N % 43,4 56,6 100,0 822 37. Utilizzate forme di credito al consumo (es. carte di credito, rate, carte revolving, ecc.)? % Sì 58,5 No 41,5 Totale 100,0 N 825 243 N 493 497 497 38. Rispetto all’anno scorso, quali delle seguenti rinunce o comportamenti la sua famiglia ha adottato in un’ottica di risparmio? 1 – Per 2 3 4 5Non Totale N niente Molto utilizza Ha adottato comportamenti 11,4 11,4 23,7 18,0 33,9 1,6 100,0 832 volti a ridurre i consumi energetici Ha ridotto gli acquisti al di 19,6 12,9 21,8 15,3 27,5 2,9 100,0 831 fuori dei periodo di saldi e delle offerte Ha rinunciato a qualche 32,4 10,6 13,3 9,9 18,5 15,3 100,0 828 acquisto importante già deciso (auto, casa, ecc.) Ha ridotto le spese per viaggi 24,4 11,0 14,6 11,3 24,0 14,7 100,0 824 e vacanze Ha ridotto le spese per hobby 27,9 13,4 17,4 13,1 18,4 9,8 100,0 826 e tempo libero (es. pay tv, libri, ristorante, teatro, ecc.) 12,8 6,9 100,0 829 Ha ridotto le uscite con amici 36,3 15,7 17,1 11,2 e parenti Ha rinunciato ad avvalersi di 17,3 1,9 2,5 1,8 3,0 73,5 100,0 830 personale di sostegno (ad es., colf o baby-sitter) 7,7 9,3 2,8 100,0 828 Ha cambiato i punti vendita 53,0 13,3 13,9 dove acquista 39. Parlando dell’attuale situazione economica, mi può indicare, su una scala da 0 a 10, quanto si sente preoccupato delle conseguenze che questa crisi potrebbe avere per lei/per la sua famiglia? % 0 – Per nulla 1,6 1 2,0 2 3,1 3 3,4 4 4,4 5 12,8 6 10,0 7 18,8 8 19,9 9 8,9 10 – Molto 15,1 Totale 100,0 N 834 244 40. Facendo riferimento alla situazione economica sua o della sua famiglia, in una scala da 0 a 10 in cui 5 equivale a “Né ricca, né povera”, come la definirebbe? % 0 – Molto povera 0,7 1 0,4 2 1,6 3 3,7 4 11,1 5 41,2 6 21,9 7 15,4 8 3,5 9 0,5 10 – Molto ricca Totale 100,0 N 832 41. Se ampliasse la visuale comprendendo il sostegno della rete parentale (nonni, genitori, fratelli), quale posizione sceglierebbe? % 0 – Molto povera 0,2 1 0,6 2 1,0 3 3,6 4 10,0 5 35,8 6 22,7 7 18,0 8 6,3 9 1,6 10 – Molto ricca 0,2 Totale 100,0 N 824 Vita quotidiana, sicurezza e qualità della vita 42. Pensi alla questione della microcriminalità (scippi, borseggi, piccoli furti, vandalismi). Lei come definirebbe la situazione in Italia rispetto a questo fenomeno? % Per nulla pericolosa 1,4 Poco pericolosa 17,3 Abbastanza pericolosa 61,4 Molto pericolosa 19,9 Totale 100,0 N 830 245 43. E come definirebbe la situazione della microcriminalità nel comune in cui vive? Per nulla pericolosa Poco pericolosa Abbastanza pericolosa Molto pericolosa Totale N % 10,5 52,2 32,8 4,5 100,0 827 44. A suo parere, negli ultimi 12 mesi, il rischio che lei corre di cadere vittima di un crimine nella zona in cui risiede è aumentato, rimasto uguale o diminuito? % Diminuito 1,6 Rimasto uguale 64,3 Aumentato 34,1 Totale 100,0 N 833 45. Pensando agli ultimi 12 mesi, è capitato a lei direttamente o ad un suo familiare, amico o parente di subire uno dei reati che ora le elencherò nella zona in cui risiede? Ad esempio, nell’ultimo anno, le è capitato che…: Sì, mi è No, ma è No, non è Non Totale capitato capitato a capitato né possiedo qualcuno a me né a un’autoche qualcuno mobile conosco che conosco le abbiano rubato l’automobile 2,8 16,6 75,4 5,2 100,0 siano entrati i ladri nella sua 10,4 37,5 52,1 100,0 abitazione qualcuno le abbia rubato delle cose (come ad es. il portafoglio) 15,7 23,2 61,1 100,0 senza che lei se ne sia accorto qualcuno l’abbia derubata (strattonandola o minacciandola 1,6 7,7 90,7 100,0 con un’arma) qualcuno l’abbia aggredita o 1,2 5,5 93,3 100,0 malmenata 246 N 832 826 832 832 833 46. Ora le leggerò un elenco di questioni presenti in alcuni comuni italiani. Per ciascuna, vorremmo sapere quanto è grave/inadeguata, a suo parere, nel suo comune? (fornire una risposta per ogni riga utilizzando la scala da 1 a 5 dove 1 = Per niente grave e 5 = Molto grave) 1- Per 2 3 4 5Totale N niente Molto grave/ina grave/ deguata inadeguata Disoccupazione 2,9 15,3 30,6 26,3 25,0 100,0 829 Droga 3,9 17,0 34,6 25,0 19,5 100,0 820 Inquinamento 6,3 27,7 32,0 19,5 14,5 100,0 830 Corruzione politica 12,1 23,0 28,6 14,3 22,0 100,0 813 Traffico 8,9 23,0 31,0 23,6 13,5 100,0 827 Grado di pulizia degli spazi 20,4 30,6 27,4 15,2 6,4 100,0 828 pubblici (strade, parchi, ecc.) Costo abitazioni (acquisto) 1,7 10,7 26,6 28,1 32,9 100,0 819 Offerta scolastico/formativa 18,3 28,6 32,5 13,4 7,2 100,0 789 Offerta ricreativo-culturale 15,6 29,4 32,4 15,0 7,6 100,0 806 Illuminazione strade 21,0 30,8 28,2 14,3 5,7 100,0 827 Condizioni pavimentazione strade 9,4 21,4 30,3 22,0 16,9 100,0 823 47. A suo avviso, l’abitazione in cui lei vive come è servita dai mezzi pubblici locali? È scarsamente servita È servita a sufficienza È ben servita Totale N % 24,5 40,2 35,3 100,0 829 48. Lei utilizza i trasporti pubblici locali? % Tutti i giorni Più volte a settimana Qualche volta Raramente Mai Totale N 7,9 7,8 14,9 20,0 49,4 100,0 835 49. [Se alla precedente domanda ha risposto ‘Qualche volta’, ‘Raramente’ o ‘Mai’] Perché? % Non li ritengo fruibili a causa dei costi 0,1 Non li ritengo efficienti 7,8 Li ritengo scomodi, preferisco i mezzi privati 53,7 Non mi servono perché devo fare spostamenti assai brevi, che posso fare a piedi 26,0 Altro 12,4 Totale 100,0 N 696 247 50. In generale, quale grado di raggiungibilità hanno i seguenti servizi per lei o la sua famiglia? (fornire una risposta per ogni riga utilizzando la scala da 1 a 5 dove 1 = Nessuna difficoltà e 5 = Massima difficoltà) 1– 2 3 4 5– Totale N Per Molto niente diffidifficolcoltoso toso Farmacia 65,7 21,6 9,0 2,4 1,3 100,0 832 Pronto soccorso 23,9 29,5 24,2 15,4 7,0 100,0 832 Ambulatori 39,1 32,2 20,6 6,4 1,7 100,0 833 Ufficio postale 49,7 27,8 17,3 4,1 1,1 100,0 832 Uffici comunali 25,8 27,3 29,1 13,2 4,6 100,0 831 Nido e scuola d’infanzia 50,7 29,3 16,0 2,4 1,6 100,0 758 Scuola elementare 53,3 29,8 13,3 2,6 1,0 100,0 769 Scuola media inferiore 41,9 31,9 20,5 4,4 1,3 100,0 767 Scuola secondaria superiore 25,4 29,4 28,3 12,8 4,1 100,0 775 Negozi di generi alimentari, mercati 61,9 26,5 9,1 2,0 0,5 100,0 831 Supermercati, ipermercati, ecc. 50,1 26,8 16,0 5,5 1,6 100,0 831 51. Quanto è d’accordo con ciascuna delle seguenti affermazioni riguardanti la provincia di Forlì-Cesena? (fornire una risposta per ogni riga utilizzando la scala da 1 a 5 dove 1 = Per niente d’accordo e 5 = Completamente d’accordo) 1- Per 2 3 4 5 – Del Totale niente tutto È un’area ricca di vitalità e innovazione 13,5 22,4 41,9 15,3 6,9 100,0 È un’area ancora a misura d’uomo 4,3 13,0 25,2 32,3 25,2 100,0 È un’area dove c’è molta solidarietà sociale 8,6 23,7 38,6 20,7 8,4 100,0 È un’area troppo ancorata al proprio passato 16,7 26,8 29,0 16,1 11,4 100,0 È un’area di benessere diffuso, ma anche di 7,3 18,9 35,0 23,7 15,1 100,0 disagio ed emarginazione È un’area con una propria storia e una 2,4 10,1 29,5 27,8 30,2 100,0 propria identità È un’area in cui i servizi pubblici 5,8 17,3 35,1 28,9 12,9 100,0 funzionano bene e sono efficienti 52. Nel complesso, secondo lei nel suo comune, considerando tutti i punti di vista (economici, sociali, di sicurezza, di coesione, di offerta culturale e per il tempo libero), si vive meglio, allo stesso modo o peggio rispetto al resto del Nord Italia? % Peggio 11,7 Allo stesso modo 42,4 Meglio 45,9 Totale 100,0 N 823 248 N 830 830 826 820 826 820 828 53. Nel complesso, secondo lei nel suo comune, considerando tutti i punti di vista (economici, sociali, di sicurezza, di coesione, di offerta culturale e per il tempo libero), si vive meglio, allo stesso modo o peggio rispetto al resto della provincia di Forlì-Cesena? % Peggio 8,6 Allo stesso modo 61,6 Meglio 29,8 Totale 100,0 N 816 54. Nel complesso, secondo lei nella provincia di Forlì-Cesena, considerando tutti i punti di vista (economici, sociali, di sicurezza, di coesione, di offerta culturale e per il tempo libero), si vive meglio, allo stesso modo o peggio rispetto alle altre province emiliano-romagnole? % Peggio 12,1 Allo stesso modo 55,8 Meglio 32,1 Totale 100,0 N 811 55. Secondo lei, il problema dell’ambiente e dei cambiamenti climatici oggi, a livello globale, viene…: % Sottovalutato: è più grave di quanto si dica 61,0 Valutato con la giusta importanza 30,9 Sopravvalutato: è meno grave di quanto si dica 8,1 Totale 100,0 N 832 56. Le problematiche ambientali hanno acquisito una considerevole centralità nella vita quotidiana. Qual è il suo grado di accordo su ciascuna delle seguenti affermazioni? (fornisca una risposta per riga utilizzando la scala che va da 1 = Per niente d’accordo a 5 = Completamente d’accordo) 1 – Per 2 3 4 5 –Completa- Totale N niente mente d’accordo d’accordo Sarei d’accordo per un aumento delle tasse se venisse usato per 41,5 18,5 15,4 10,9 13,7 100,0 826 prevenire danni ambientali Comprerei cose che costano il 20% in più se questo aiutasse a 33,4 21,1 18,5 13,4 13,6 100,0 826 proteggere l’ambiente I problemi ambientali non possono essere risolti 4,6 8,0 10,9 17,0 59,5 100,0 824 individualmente, senza una politica seria Ciascuno nel proprio quotidiano può contribuire 3,5 8,8 12,8 14,9 60,0 100,0 826 significativamente alla tutela dell’ambiente 249 57. Quali dei seguenti comportamenti Lei/la sua famiglia adotta per la tutela dell’ambiente? Sì, Sì, No, ma No e non Totale N sempre o qualche penso penso spesso volta o che lo che lo raraadotterò adotterò mente in futuro in futuro Raccolta differenziata 65,8 21,9 8,2 4,1 100,0 826 Acquisto e utilizzo elettrodomestici e lampadine 62,7 25,8 8,1 3,4 100,0 824 a basso consumo Riduzione consumi dell’acqua 47,6 36,6 10,7 5,1 100,0 828 Acquisto prodotti biologici 12,5 39,0 21,7 26,8 100,0 824 Riduzione acquisto di prodotti 26,5 32,8 21,0 19,8 100,0 815 usa e getta Utilizzo carta riciclata 21,5 34,0 22,4 22,1 100,0 827 Acquisto oggetti con 30,1 24,8 23,0 100,0 817 22,0 confezioni ridotte o riciclabili Maggiore uso dei mezzi 14,9 14,1 19,7 51,3 100,0 817 pubblici Riduzione uso auto o moto 20,1 24,1 17,9 37,8 100,0 814 Utilizzo di veicoli meno 12,1 6,3 26,2 55,4 100,0 810 inquinanti (es., auto elettrica) Utilizzo della bicicletta 38,6 35,2 11,0 15,2 100,0 824 Utilizzo detersivi meno 21,5 29,4 28,9 20,3 100,0 804 inquinanti Acquisto prodotti “a 25,4 25,6 25,3 23,7 100,0 814 chilometro zero” Utilizzo energie alternative 5,4 3,7 43,2 47,7 100,0 814 (es. pannelli solari) Vita quotidiana e orientamenti valoriali 58. Adesso le leggerò alcuni obiettivi di vita, cui le persone generalmente attribuiscono grande valore. Può indicare quanto ciascuno di questi obiettivi è importante per lei, utilizzando una scala da 1 a 5 dove 1 = Per niente importante e 5 = Molto importante? 1- Per 2 3 4 5– Totale niente Molto Vivere in un luogo sicuro 0,5 5,8 22,5 71,2 0,5 100,0 Divertirsi e godere dei piaceri della vita 1,6 8,5 25,8 28,0 36,1 100,0 Vivere in armonia con gli altri 0,0 1,5 11,0 25,5 62,0 100,0 Avere successo in campo lavorativo 4,2 8,6 25,7 31,2 30,3 100,0 Avere una certa tranquillità economica 0,0 0,2 8,5 32,2 59,1 100,0 Vivere in un luogo in cui il benessere 0,6 3,1 18,7 27,8 49,6 100,0 sia esteso al maggior numero di persone N 827 826 827 826 824 826 250 59. Nel complesso, quanto è soddisfatto della vita che conduce attualmente? 1 Per nulla 2 3 4 5 6 7 8 9 10 – Molto Totale N % 1,0 0,4 2,2 3,5 11,1 13,1 27,9 24,5 11,5 4,8 100,0 827 60. Se pensa al suo futuro…: Fatica a vederlo Ne ha un’idea piuttosto nitida e lo vede negativo Ne ha un’idea piuttosto nitida ed ha aspetti sia positivi sia negativi Ne ha un’idea piuttosto nitida e lo vede positivo Totale N % 11,4 8,9 60,2 19,5 100,0 809 61. In generale, lei ritiene che si può avere fiducia della maggior parte della gente o che non si è mai troppo attenti e prudenti nel trattare con la gente? % 1 - Si può avere fiducia della maggior parte della gente 8,3 2 14,6 3 28,6 4 22,0 5 - Bisogna essere sempre molto attenti e prudenti con la gente 26,5 Totale 100,0 N 831 251 62. Per ciascuno dei seguenti gruppi sociali / istituzioni, può indicarmi se ha fiducia e in che misura utilizzando una scala che va da 1 = Nessuna fiducia a 5 = Massima fiducia 1– 2 3 4 5– Totale N Nessuna Massima fiducia fiducia Pubbl. Amministraz. 13,3 33,9 37,8 12,0 3,0 100,0 826 Insegnanti 3,0 14,9 36,1 36,3 9,7 100,0 826 Scuola 4,4 17,1 37,0 31,2 10,3 100,0 826 Banche 28,7 33,5 25,2 9,7 2,9 100,0 827 Polizia 5,7 15,7 34,7 30,1 13,8 100,0 827 Sindacati 21,0 28,5 30,8 14,5 5,2 100,0 814 Sacerdoti 22,7 21,1 29,5 17,8 9,0 100,0 821 Nato 16,9 27,3 35,1 15,6 5,1 100,0 800 Militari carriera 17,4 27,6 32,3 15,0 7,7 100,0 818 Politici 49,2 33,2 13,2 3,9 0,5 100,0 825 Amministratori Comune in cui vive 12,8 27,0 40,3 16,5 3,3 100,0 818 Chiesa 23,1 23,2 27,7 15,3 10,6 100,0 822 Università 3,8 13,7 36,7 34,6 11,1 100,0 809 Scienza 1,8 10,4 26,1 36,1 25,7 100,0 821 Carabinieri 7,3 17,3 33,8 28,0 13,6 100,0 825 Imprese 6,1 24,7 43,4 20,2 5,6 100,0 821 Manager grandi istit. bancari 37,9 34,8 18,5 7,2 1,5 100,0 815 Manager aziende pubbl. (es. ENI) 36,3 34,5 20,7 6,3 2,1 100,0 820 Manager grandi imprese private 24,5 34,4 29,6 9,1 2,5 100,0 815 Partiti politici 45,7 34,5 14,5 4,0 1,2 100,0 825 Unione europea 11,9 21,5 38,9 20,0 7,7 100,0 818 Giornali 16,0 30,5 38,0 12,3 3,3 100,0 821 Magistrati 11,5 18,1 39,0 22,8 8,5 100,0 823 ONU 11,2 20,1 37,4 22,9 8,4 100,0 812 Sistema giudiziario 15,7 28,5 33,9 16,5 5,4 100,0 822 Televisione pubbl. 22,5 32,6 30,7 11,6 2,5 100,0 827 Televisione private 27,5 31,8 30,3 8,0 2,4 100,0 823 Vita quotidiana e organizzazione del tempo 63. Quanto tempo (in ore e minuti) dedica mediamente alla settimana a: a) Lavoro domestico e familiare (svolgere faccende di casa, fare la spesa, preparare i pasti, fare manutenzione della casa, accudire i figli, prendersi cura di altri componenti anche non co-residenti) Non svolge attività: 9,3% N. ore a settimana (media risposte): 17,70 ore/settimana b) Attività lavorativa 1. Non svolge attività: 37,3% 2. N. ore a settimana (media risposte): 39,22 ore/settimana 252 64. In una giornata feriale, quanto tempo lei ha in media a disposizione da dedicare liberamente ai suoi interessi e allo svago? Tempo a disposizione (media risposte): ore 3,75 circa 65. Le leggerò ora una serie di aspetti della vita quotidiana cui si può dedicare tempo. Potrebbe indicarmi, per ciascuno di questi, quanto tempo vi dedica utilizzando la scala “Poco tempo”, “Il giusto tempo” “Troppo tempo”? Poco Il giusto Troppo Non Totale N tempo tempo tempo applicabile 41,6 19,3 36,5 100,0 825 Il mio lavoro 2,5 Lavoro domestico e familiare (svolgere faccende di casa, fare la 56,1 8,2 6,5 100,0 829 29,2 spesa, preparare i pasti, manutenzione della casa, accudire figli, ecc.) Mantenere contatti con i parenti 43,3 53,2 2,2 1,3 100,0 831 Mantenere contatti con amici e 31,3 63,4 4,0 1,3 100,0 828 conoscenti I miei hobby e interessi 41,4 50,5 4,1 4,0 100,0 827 Dormire 30,8 63,8 5,4 0,0 100,0 829 Svolgere attività di volontariato o di 17,9 15,0 ,8 66,3 100,0 828 tipo politico/sindacale Processi migratori e intercultura 66. Conosce personalmente e frequenta (per motivi di studio, lavoro, parentela, amicizia) cittadini stranieri? % Sì 66,0 No 34,0 Totale 100,0 N 832 253 67. Quali sono a suo avviso i tre principali Paesi d’origine della popolazione immigrata straniera che vive in Italia? (Indicarli per ordine d'importanza cominciando dal gruppo più numeroso) % (ordine decrescente) Romania 23,4 Marocco 17,6 Albania 17,4 Cina 16,5 Tunisia 3,6 Polonia 3,5 Africa Nord 2,8 Africa 2,6 Senegal 2,2 Maghreb 2,0 Altre risposte 8,4 Totale 100,0 N 835 Note: Si trattava di una domanda aperta, in cui l’intervistato doveva indicare i primi tre Paesi di provenienza degli stranieri presenti in Italia in ordine di numerosità. In questa sede si presentano le risposte fornite dagli intervistati in ordine decrescente di valori percentuali (prime 10 nazionalità indicate). 68. Secondo lei, quale di queste stime sul numero di immigrati in Italia è più vicina alla realtà? % Circa 500 mila 4,5 Circa 2 milioni 24,7 Circa 4 milioni 35,1 Circa 7 milioni 25,4 Circa 12 milioni 10,3 Totale 100,0 N 806 69. Saprebbe indicare quanti abitanti ha oggi l’Italia? % Meno di 20 milioni di abitanti 21 – 30 milioni 31 – 40 milioni 41 – 54 milioni 55 - 65 milioni 66 – 80 milioni 81 –100 milioni Più di 100 milioni Totale N 1,0 1,6 2,8 11,5 60,8 16,3 5,1 1,0 100,0 800 254 70. Le sottoporrò alcune affermazioni correnti relative all’immigrazione straniera in Italia. Qual è il suo grado di accordo con ciascuna di esse? (indichi una risposta per riga utilizzando la scala che va da 1 = Per niente d’accordo a 5 = Completamente d’accordo) 1 – Per 2 3 4 5– Totale N niente Completad’accordo mente d’accordo Dove vivo ci sono troppi stranieri 22,7 24,0 23,3 12,8 17,2 100,0 829 Gli stranieri portano via posti di 36,1 23,9 18,6 9,7 11,7 100,0 823 lavoro ai disoccupati italiani Gli stranieri vivono in condizioni difficili ed è compito nostro 15,3 22,9 32,8 17,5 11,5 100,0 818 aiutarli come possiamo Gli stranieri che vivono in Italia contribuiscono a arricchimento 16,1 23,1 28,7 17,2 14,9 100,0 826 socio-culturale del nostro Paese La cittadinanza italiana spetta 13,7 100,0 826 solo a chi ha almeno un genitore 45,1 18,9 14,9 7,4 italiano Gli stranieri che da tempo lavorano legalmente in Italia e 11,6 10,2 15,9 21,9 40,4 100,0 826 pagano le tasse dovrebbero poter ottenere la cittadinanza italiana L’amministrazione pubblica è più attenta a dare benefici in termini di assistenza, assegnazione 18,9 18,1 19,7 16,7 26,6 100,0 824 alloggi e sanità agli stranieri che agli italiani Gran parte degli stranieri svolge 26,6 26,6 25,0 11,5 10,3 100,0 828 attività criminali o illecite Gli stranieri sono un pericolo per 43,5 24,3 19,3 7,0 6,0 100,0 820 la nostra cultura È giusto permettere ai musulmani di costruirsi delle moschee sul 35,6 18,8 21,5 10,9 13,2 100,0 826 territorio italiano È giusto concedere il diritto di voto amministrativo (elezioni 27,5 16,1 21,5 15,7 19,2 100,0 826 sindaco) agli stranieri È giusto concedere il diritto di voto politico (elezioni 32,9 17,0 22,2 12,4 15,5 100,0 828 Parlamento) agli stranieri La compresenza a scuola di 36,6 100,0 828 studenti italiani e studenti 6,2 12,0 24,0 21,3 stranieri favorisce l’integrazione 255 Idee e pratiche di giustizia sociale 71. Per ciascuna di queste affermazioni mi potrebbe indicare il suo grado di accordo con un punteggio da 1 a 10, dove 1 significa “Per niente d'accordo” e 10 significa “Totalmente d'accordo”. a. Il successo dipende dall’impegno % 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 Totale N 0,7 0,6 1,2 1,4 7,1 7,3 15,5 26,6 8,5 31,1 100,0 831 b. Le persone povere lo sono perché pigre 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 Totale N % 34,5 14,2 11,3 8,0 14,0 7,7 5,2 3,1 0,2 1,8 100,0 830 c. La fortuna nella vita è importante % 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 Totale N 1,3 0,8 2,4 2,2 13,3 8,2 12,9 19,6 10,3 29,0 100,0 832 256 d. Le condizioni della famiglia di origine sono determinanti % 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 Totale N 2,5 3,6 3,2 3,4 12,6 13,2 16,7 18,2 7,3 19,3 100,0 832 e. Uomini e donne hanno le stesse possibilità di successo % 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 Totale N 6,4 7,7 7,1 5,8 16,3 12,7 11,3 9,8 5,4 17,5 100,0 829 f. La competizione stimola le persone a lavorare meglio % 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 Totale N 3,4 2,2 4,1 4,6 14,1 13,1 16,8 19,0 6,4 16,3 100,0 827 257 72. Le leggerò ora alcune affermazioni. Esprima per cortesia il suo grado di accordo con ciascuna delle seguenti affermazioni, sempre utilizzando la precedente scala da 1 a 10. a. È ammissibile dichiarare al fisco meno di quanto si guadagna 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 Totale N % 51,2 10,5 7,9 4,7 9,4 3,9 4,0 4,5 1,2 2,7 100,0 822 b. Non è ammissibile assentarsi dal lavoro quando non si è realmente malati 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 Totale N % 11,3 4,4 4,8 4,6 8,0 5,3 5,9 8,8 5,9 41,0 100,0 826 c. La principale responsabilità di una persona è verso la propria famiglia e i propri figli e non verso la collettività % 1 9,0 2 5,8 3 4,4 4 4,7 5 15,3 6 7,9 7 10,2 8 15,1 9 5,9 10 21,7 Totale 100,0 N 826 258 d. A scuola, così come all’università, le borse di studio dovrebbero essere assegnate solo in base al merito, senza tenere conto del reddito familiare % 1 16,1 2 8,6 3 7,7 4 5,4 5 18,0 6 8,3 7 7,4 8 8,3 9 3,8 10 16,4 Totale 100,0 N 815 e. Prima dei 30 anni un ragazzo deve comunque andarsene di casa e cavarsela da solo % 1 15,6 2 6,8 3 5,8 4 5,0 5 12,8 6 10,7 7 10,1 8 10,7 9 3,3 10 19,2 Totale 100,0 N 822 f. Bisogna ridurre le privatizzazioni ed aumentare la presenza pubblica 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 Totale N % 11,5 7,3 6,8 4,7 23,0 11,5 12,4 11,1 3,3 8,4 100,0 811 259 g. Le imprese dovrebbero essere lasciate più libere di assumere e licenziare 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 Totale N % 21,1 10,5 10,7 7,3 19,8 9,0 8,9 5,2 1,7 5,8 100,0 812 h. Estendere i benefici e i servizi sociali rende le persone pigre 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 Totale N % 25,0 12,3 10,3 6,6 18,1 9,4 7,8 5,0 1,5 4,0 100,0 819 260 73. A suo avviso, in Italia nella tutela sociale e della salute ed in particolare per gli ambiti sotto elencati, ritiene più opportuno un forte intervento pubblico o una via privata? (una risposta per riga) È il settore Se ne devono Deve essere un Totale N pubblico a occupare sia fatto doversene il pubblico esclusivamente occupare sia i singoli privato, a individui carico di ogni persona privatamente La tutela della salute 63,4 35,4 1,2 100,0 831 La risposta a esigenze di 5,1 23,4 71,5 100,0 826 cosmetica, chirurgia estetica, ecc. Il reperimento di una abitazione 16,3 63,8 19,9 100,0 824 Il reperimento di un lavoro 15,3 67,8 16,9 100,0 824 L’istruzione 60,1 37,4 2,5 100,0 828 La promozione culturale (mostre, 29,4 60,2 10,4 100,0 819 concerti, teatro, ecc.) Il raggiungimento di una maggiore integrazione 28,8 63,3 7,9 100,0 819 interculturale L’assistenza alle persone non 51,3 46,9 1,8 100,0 826 auto-sufficienti L’assistenza alle persone povere 53,1 45,4 1,5 100,0 826 74. Quale priorità assegnerebbe a ciascuna delle seguenti categorie sociali nella distribuzione delle risorse pubbliche in Italia? (una risposta per riga utilizzando la scala da 1 = Nessuna priorità a 10 = Massima priorità) Priorità sulla scala 1-10 (media risposte) Disoccupati 7,44 Minori 7,69 Disabili 8,17 Anziani 7,81 Lavoratori 6,97 Pensionati 7,09 Donne 7,07 Tossicodipendenti 5,56 Giovani 7,55 Senza fissa dimora 6,24 Immigrati 5,86 Note: Il quesito domandava all’intervistato di attribuire un punteggio da 1 a 10 per ognuna delle voci presentate. L’intervistato non doveva pertanto fornire una “graduatoria”; al contrario, poteva dare massima priorità (“10) a tutte le voci, così come, all’opposto, attribuire a tutte minima priorità (“1“). In questa sede si presenta per ciascun item il punteggio medio delle risposte fornite dagli intervistati 261 75. Quale priorità assegnerebbe a ciascuno dei seguenti settori nella distribuzione delle risorse del suo Comune o della sua Provincia? (una risposta per riga utilizzando la scala da 1 = Nessuna priorità a 10 = Massima priorità) Priorità sulla scala 1-10 (media risposte) Trasporti pubblici locali 6,10 Istruzione/formazione 7,99 Servizi per anziani 7,55 Servizi per il lavoro e l’occupazione 7,66 Servizi per l’infanzia 7,81 Servizi sociali per fasce svantaggiate 7,58 Manutenzione strade e miglioramento della viabilità 7,11 Manutenzione parchi e aree verdi 6,81 Attività economiche e produttive 7,29 Educazione ambientale e civica 7,13 Centri di aggregazione per i giovani 7,02 Iniziative culturali (rassegne, concerti, ecc.) 6,98 Note: Il quesito domandava all’intervistato di attribuire un punteggio da 1 a 10 per ognuna delle voci presentate. L’intervistato non doveva pertanto fornire una “graduatoria”; al contrario, poteva dare massima priorità (“10) a tutte le voci, così come, all’opposto, attribuire a tutte minima priorità (“1“). In questa sede si presenta per ciascun item il punteggio medio delle risposte fornite dagli intervistati 76. [Solo per chi lavora] A suo avviso quanto da lei versato tramite tasse, imposte e contributi rispetto ai servizi di tutela della salute e della sicurezza sociale (ossia per lavoro, casa, servizi per anziani, scuola, ecc.) è: % Troppo, in assoluto 17,5 Troppo, rispetto al mio reddito/tenore di vita 19,7 Troppo, rispetto ai servizi di cui fruisco 23,0 Troppo, rispetto alla qualità e efficienza dei servizi e della pubblica amministrazione 22,8 Adeguato 16,6 Troppo poco 0,4 Totale 100,0 N 487 77. Sarebbe disposto a pagare tasse, imposte e contributi più elevate in cambio di servizi migliori? % Sì, certamente 10,8 Sì, ma solo a livello locale (tasse comunali, regionali e non nazionali) 17,3 Sì, ma solo se si riducesse anche l’evasione fiscale 31,7 No 40,2 Totale 100,0 N 805 262 78. Con riferimento all’ultima visita medica e/o ricovero suo (o di chi vive con lei), a quale struttura si è rivolto? % Pubblica 69,6 Privata convenzionata 20,7 Privata non convenzionata 9,7 Totale 100,0 N 822 79. Per quale motivo ha scelto questo tipo di struttura? (valori % in ordine decrescente) Ha più fiducia in questa struttura Per motivi economici Ha scelto la struttura più vicina Ha scelto uno specialista che lavora in questa struttura Le ò stata consigliata da un medico di fiducia o da altra persona di fiducia Provato a prenotare in un’altra struttura ma avrebbe dovuto aspettare troppo tempo Sapeva che in un’altra struttura avrebbe dovuto aspettare troppo tempo Ho scelto questa struttura perché è più accogliente, confortevole, pulita In questa struttura è possibile fissare l’ora dell’appuntamento Non esistono altre strutture nella sua zona di residenza Altro N %a 30,1 24,0 18,3 15,6 12,4 10,6 4,7 2,1 1,1 0,9 3,7 815 Note: a : Persone che hanno indicato la corrispondente motivazione su 100 che hanno risposto: la somma delle percentuali supera il valore di 100% in quanto ciascun intervistato poteva fornire più di una risposta (massimo due). 80. Mi può dire quanto è complessivamente soddisfatto – su una scala da 1 a 10 – dei servizi pubblici in generale di cui beneficia nel suo territorio di residenza? % 1 1,1 2 0,7 3 1,5 4 2,7 5 10,9 6 16,9 7 31,6 8 25,7 9 5,0 10 3,9 Totale 100,0 N 816 263 …e dei Servizi sanitari in particolare (ospedale, ambulatori, diagnostica) % 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 Totale N 0,6 1,0 1,7 3,7 8,1 17,1 27,4 27,2 6,4 6,8 100,0 813 …dei Servizi di assistenza sociale in particolare (assistenza domiciliare, abitativa, integrazione al reddito/sgravi, sostegno alla genitorialità, socio-educativa) % 1 3,8 2 1,9 3 4,2 4 3,5 5 12,8 6 22,8 7 25,0 8 15,1 9 6,4 10 4,5 Totale 100,0 N 312 …dei Servizi per il lavoro (Centri per l’impiego) in particolare % 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 Totale N 8,3 3,1 3,9 6,6 20,5 21,8 21,0 10,9 2,2 1,7 100,0 229 264 Politica e partecipazione 81. Quali di queste frasi esprime meglio il suo atteggiamento nei confronti della politica? % Mi considero politicamente impegnato 4,5 Mi tengo al corrente della politica, ma senza parteciparvi personalmente 50,1 Bisognerebbe lasciare la politica a persone che hanno più competenza di me 11,0 La politica non mi interessa 21,5 La politica mi disgusta 12,9 Totale 100,0 N 817 82. In politica di solito si parla di “sinistra”, “centro” e “ destra”. Potrebbe indicare dove Lei collocherebbe la sua posizione politica su una scala che va da 1 (Sinistra) a 10 (Destra)? % 1 – Sinistra 7,8 2 6,5 3 12,9 4 10,6 5 12,3 6 6,2 7 7,8 8 6,7 9 2,6 10 – Destra 2,0 Non sa / non vuole collocarsi 24,6 Totale 100,0 N 690 83. Lei ha votato alle ultime elezioni politiche nazionali dell’aprile 2008? E alle ultime amministrative locali? Elezioni politiche Ultime elezioni aprile 2008 amministrative svoltesi Sì 73,6 71,8 No 14,3 18,1 Non avevo i requisiti per votare 12,1 10,1 Totale 100,0 100,0 N 827 824 265 84. Ci sono diversi modi di provare a migliorare le cose o ad evitare che Negli ultimi 12 mesi, lei ha svolto alcune delle seguenti azioni? Sì Ha contattato un politico nazionale o locale 10,0 Ha partecipato attivamente alla vita di un partito politico 5,1 Ha prestato servizio civile volontario in organizzazioni o associaz. 8,0 Ha partecipato attivamente alla vita di un’organizzaz. sindacale 5,8 Ha indossato o mostrato un adesivo o un altro segnale distintivo di 12,1 una campagna politica, di sensibilizzazione su un tema, ecc. Ha firmato una petizione 27,3 Ha partecipato a dimostrazioni pubbliche autorizzate 15,6 Ha boicottato uno o più prodotti 13,2 esse peggiorino. No Totale 90,0 100,0 94,9 100,0 92,0 100,0 94,2 100,0 N 829 830 827 828 87,9 100,0 826 72,7 84,4 86,8 100,0 827 100,0 827 100,0 825 85. Negli ultimi dodici mesi ha partecipato attivamente alle attività dei seguenti tipi di organizzazioni? Sì No Totale N Organizzazione religiosa/parrocchiale (comprese organizz. scout) 21,4 78,6 100,0 830 Organizzazione sportiva di praticanti 19,0 81,0 100,0 832 Organizzazione sportiva di tifosi 7,3 92,7 100,0 831 Organizzazione culturale (teatrale, dibattiti, ecc.) 17,6 82,4 100,0 831 Organizzazione ricreativa 18,0 82,0 100,0 826 Organizzazione politica (partito, movimento) 6,6 93,4 100,0 830 Organizzazione di volontariato (sociale, assistenziale, ecc.) 15,8 84,2 100,0 830 Organizzazione studentesca 4,3 95,7 100,0 830 Organizzazione ambientalista/diritti umani (WWF, Amnesty 4,8 95,2 100,0 830 International, ecc.) 86. Con che frequenza le capita di…: Leggere quotidiani non sportivi a pagamento Leggere i quotidiani gratuiti Seguire i telegiornali nazionali Seguire i telegiornali regionali/locali Seguire i radiogiornali 1Mai 2 3 4 22,7 33,1 3,4 13,6 38,4 14,9 21,2 8,9 14,1 21,6 21,2 19,1 15,1 21,3 15,6 13,0 10,4 18,7 17,7 11,4 5– Sempre o quasi 28,2 16,2 54,0 33,3 13,0 Totale N 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 831 821 830 830 828 87. Sente di appartenere ad una qualche confessione religiosa? Sì No Totale N % 68,0 32,0 100,0 830 266 88. [Se Sì] Quale? Cattolica Protestante Altra cristiana Musulmana Ebraica Altro Totale N % 93,0 0,2 1,6 3,2 2,0 100,0 563 89. [Se Sì] A parte le occasioni particolari come i matrimoni e i funerali, quanto di frequente partecipa alle funzioni religiose? % Tutti i giorni o quasi 8,1 Una volta alla settimana 30,5 Circa una volta al mese 13,5 Solo per giornate specifiche e sacre feste (ad es., Natale) 29,1 Meno di frequente 9,4 Mai 9,4 Totale 100,0 N 556 90. Vuole aggiungere eventuali note, commenti e integrazioni rispetto a quanto trattato con il presente questionario? __________________________________________________________________________ __________________________________________________________________________ Sezione a cura dell’intervistatore 91. Eventuali persone presenti all’intervista oltre all’intervistato (possibili più risposte: indicare tutte le eventuali persone presenti) % risposte “Sì” Coniuge/convivente 19,2 Figli 12,5 Altri familiari 10,3 Altri parenti 3,5 Altri non parenti 5,5 92. L’intervistato è stato: Disponibile Insofferente Totale N % 85,0 15,0 100,0 819 267 93. Attraverso quale modalità di contatto si è potuto fissare l’appuntamento per l’intervista? % Telefonata presso l’abitazione 36,9 Contatto diretto presso l’abitazione 56,5 Altre modalità 6,6 Totale 100,0 N 835 268