Cittadini e vita quotidiana a Forlì-Cesena - Provincia di Forlì

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Cittadini e vita quotidiana a Forlì-Cesena - Provincia di Forlì
Rapporto di ricerca
Cittadini e vita quotidiana
a Forlì-Cesena
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Novembre 2011
Indice
Presentazione
p.
4
Premessa
p.
5
1. La vita quotidiana di individui e famiglie:
cura, relazioni, tempi
di Nicoletta Santangelo
“
7
2. Il lavoro: esperienze, orientamenti e servizi
di Claudia Dall’Agata
“
56
3. Condizione economica e capacità di risparmio
di Elena Mattioli
“
86
4. Atteggiamento verso la politica, civicness e religiosità
di Valerio Vanelli
“
107
5. Percezioni e atteggiamenti verso l’immigrazione:
tra apertura ed esclusione
di Lorenzo Latella
“
144
“
167
7. Idee di giustizia sociale, aspettative di welfare e servizi
di Ilaria Pitti
“
191
8. Metodologia, strumenti e frequenze relative
di Valerio Vanelli
222
6. Qualità della vita, sicurezza e radicamento territoriale
di Stella Volturo
“
3
Presentazione
La Provincia di Forlì-Cesena è lieta di presentare i risultati dell’indagine
realizzata grazie alla pluriennale e fruttuosa collaborazione con l’Università
di Bologna – Polo Scientifico Didattico di Forlì ed in particolare con il
gruppo di ricerca coordinato dal professore Paolo Zurla e dal dottor
Alessandro Martelli.
L’indagine è stata avviata allo scopo di valutare come stanno i cittadini nella
Provincia di Forlì-Cesena, e rappresenta un cambiamento nelle analisi sociali
realizzate fino ad oggi a livello provinciale che partivano dall’analisi dei dati
relativi all’offerta di servizi. Il punto di vista in questo caso è spostato invece
su ciò che i cittadini percepiscono.
Tale analisi è fondamentale in un momento come quello attuale.
Amministratori e classe dirigente sono chiamati infatti ad una sfida molto
importante: salvaguardare il livello di benessere raggiunto dai cittadini anche
a fronte di una forte riduzione di risorse.
I risultati che con il presente documento vengono pubblicati forniscono
elementi di conoscenza utili a tale scopo e permettono anche di fugare alcuni
pregiudizi o credenze.
Questa Amministrazione, anche grazie alla disponibilità accordata
dall’Università di Bologna – Polo Scientifico Didattico di Forlì, ribadisce
l’impegno ad approfondire i temi che in tale pubblicazione sono richiamati
anche in momenti successivi con gruppi di lavoro all’uopo costituiti, avendo
come finalità quella di mettere a disposizione dei decisori politici tutti gli
elementi utili a riflettere sui cambiamenti in atto nella popolazione
provinciale.
4
Premessa
La ricerca dal titolo “Condizioni socio-economiche, stili di vita e aspettative
di benessere. Un’indagine nella provincia di Forlì-Cesena” nasce nel 2009
dalla collaborazione tra la Provincia di Forlì-Cesena e l’Università di
Bologna - Polo Scientifico-didattico di Forlì, nell’ambito dell’Osservatorio
sul Welfare Locale provinciale.
L’indagine ha riguardato nove comuni del territorio forlivese e cesenate
(Forlì, Predappio, Santa Sofia, Portico–San Benedetto, Cesena, Sarsina,
Savignano sul Rubicone, Sogliano, Cesenatico), selezionati nel processo di
costruzione di un campione complessivo di 835 cittadini d’età compresa tra i
15 e i 74 anni, estratto dagli archivi anagrafici dei comuni coinvolti.
Obiettivo dell’indagine è stato quello di fornire un quadro della realtà sociale
e della qualità della vita dei cittadini forlivesi e cesenati, focalizzando
l’attenzione anche sui principali aspetti delle trasformazioni socioeconomiche in atto. L’indagine fornisce una descrizione particolareggiata
delle strutture familiari, delle reti di parentela e di quelle di aiuto informale,
della vita di coppia, dell’organizzazione del tempo, delle condizioni
economiche ed occupazionali, della percezione della sicurezza, degli
orientamenti valoriali, dell’atteggiamento verso i processi migratori, del
rapporto con il territorio e con i molteplici servizi dell’amministrazione
pubblica, delle forme di partecipazione sociale e politica, delle aspettative di
welfare.
Diverse sono state le fasi e le azioni in cui si è articolata la ricerca. Il lavoro
di progettazione ha preso avvio nel 2009, con la costruzione del
questionario, l’elaborazione del piano di campionamento e il coinvolgimento
dei Comuni per il reperimento dei dati. Ad aprile 2010, dopo la selezione e
la formazione degli intervistatori, è iniziata la vera e propria fase empirica
della ricerca relativa alla somministrazione dei questionari sul campo,
realizzata in totale da 65 intervistatori. Durante tutto l’arco temporale
dell’indagine l’équipe di ricerca si è occupata sia del supporto tecnico
relativo alla fase di somministrazione che della raccolta, del monitoraggio,
del controllo, della verifica e dell’inserimento dei dati. La ricerca sul campo
si è conclusa nel luglio 2011 e a questa fase è seguita quella di elaborazione
e analisi dei dati.
Come è facile intuire il report “Cittadini e vita quotidiana a Forlì-Cesena:
benessere, relazioni sociali, partecipazione” è il frutto dello sforzo e
dell’impegno di moltissimi attori, protagonisti insieme all’équipe di ricerca,
di questa indagine: la Provincia, i Comuni, gli Enti di formazione e di terzo
settore del territorio che hanno contribuito a suggerire e contattare
nominativi per la realizzazione delle interviste ed infine chi si è occupato
5
degli aspetti amministrativi e gestionali del progetto, tra cui in particolare la
Coop. Soc. Spazi Mediani (ora Dialogos) di Forlì.
Un grazie particolare va rivolto all’assessore al welfare e allo sviluppo
economico Guglielmo Russo, che sin dall’inizio ha sostenuto l’esigenza di
approfondire la conoscenza delle condizioni di vita della popolazione
forlivese-cesenate e ha seguito da vicino l’intero percorso di ricerca; a
Lorena Batani, che per la Provincia ha coordinato da un punto di vista
tecnico-amministrativo l’intero percorso di indagine ponendosi come
costante e attento interlocutore dell’équipe di ricerca; alla dirigente Nadia
Zanfini e allo staff dell’assessorato nelle figure di Luciano Bigi, Marilena
Mazzoni, Lumturi Selaj per il prezioso contributo alla riuscita di una ricerca
lunga e complessa.
Il ringraziamento si estende, con riconoscenza, a tutti gli intervistatori che
hanno portato a termine con impegno e professionalità il loro non semplice
lavoro e ai tanti cittadini che hanno partecipato dedicando un’ora del loro
tempo alle interviste e contribuendo così alla realizzazione di questa
indagine dedicata ad una migliore conoscenza del territorio, delle sue risorse
e delle aspettative che al suo interno si generano.
Hanno preso parte all’intera indagine e, in particolare, alla stesura del report
e della presente sintesi Claudia Dall’Agata, Nicola De Luigi, Lorenzo
Latella, Alessandro Martelli, Elena Mattioli, Ilaria Pitti, Nicoletta
Santangelo, Valerio Vanelli, Stella Volturo, Paolo Zurla.
6
1. La vita quotidiana di individui e famiglie: cura,
relazioni, tempi
di Nicoletta Santangelo
1.1. Premessa
Il tema al centro del capitolo è la famiglia, intesa nella duplice
accezione di istituzione sociale primaria – caratterizzata da specifiche
forme, relazioni, esigenze e modalità di gestione della quotidianità – e di
luogo di convivenza tra generi e generazioni – a partire dal quale ogni
individuo progetta, costruisce e percorre la propria traiettoria biografica.
Gli aspetti analizzati riguardano un ampio ventaglio di questioni che
vanno dalla struttura e dalla composizione dei nuclei familiari (paragrafo
1.2) alle strategie con cui ogni famiglia risponde alle necessità di cura dei
propri membri più fragili (paragrafo 1.3), dagli eventi che segnano il
passaggio di testimone da una generazione all’altra (paragrafo 1.4) agli
equilibri temporali, individuali e familiari, che consentono di tenere insieme
ruoli molteplici spesso in concorrenza tra loro (paragrafo 1.5).
Ad accomunarli, oltre al concetto di famiglia quale contesto vitale
collettivo ed elemento di sintesi ideale e materiale, vi è il fatto che si tratta
di aspetti da alcuni anni attraversati da profondi processi di innovazione e di
trasformazione, visibili tanto nella prospettiva quotidiana quanto nel
dibattito teorico. Sono cambiati e stanno cambiando le forme e i modelli di
vita familiare1; si sono modificati e complessificati tanto i bisogni delle
famiglie quanto le reti di sostegno utilizzate per farvi fronte2; si sono
spostate in avanti e rimescolate le tappe di transizione verso la vita adulta3;
si sono moltiplicati e si vanno sempre più sovrapponendo gli ambiti e i ruoli
quotidiani da combinare in una perenne corsa contro il tempo4.
1
Cfr. M. Barbagli, M. Castiglioni, G. Dalla Zuanna, Fare famiglia in Italia. Un secolo di
cambiamenti, Bologna, il Mulino, 2003; P. Di Nicola, Famiglia: sostantivo plurale, Milano,
FrancoAngeli, 2008; Istat, La vita quotidiana nel 2009, Informazioni n. 5, Roma, 2010.
2
Cfr. P.P. Donati (a cura di), Famiglia e capitale sociale nella società italiana. Ottavo
rapporto CISF sulla famiglia in Italia, Cinisello Balsamo, San Paolo, 2003; C. Saraceno,
Mutamenti della famiglia e politiche sociali in Italia, Bologna, il Mulino, 2003.
3
Cfr. M. Livi Bacci, Too few children and too much family, in «Daedalus», n. 2, 2001; C.
Buzzi, A. Cavalli, A. de Lillo (a cura di), Rapporto giovani. Sesta indagine dell’Istituto IARD
sulla condizione giovanile in Italia, il Mulino, Bologna, 2007.
4
Cfr. L. Balbo, Tempi di vita, Milano, Feltrinelli, 1991; M. Colleoni, I tempi sociali. Teorie e
strumenti di analisi, Roma, Carocci, 2004.
7
Rispetto a tali questioni, ci si propone di offrire un ritratto della vita
quotidiana degli individui e delle famiglie in provincia di Forlì-Cesena così
come emerge dalle risposte degli intervistati, con un’attenzione specifica
rivolta alle differenze percepibili tra gruppi di individui accomunati dalle
medesime caratteristiche socio-demografiche e agli eventuali divari tra
territori dalla configurazione socio-economica non del tutto omogenea.
Per ogni fronte di indagine, dunque, verranno in primo luogo fornite
alcune coordinate essenziali, utili ad inquadrarlo nel più ampio contesto
delle trasformazioni demografiche e sociali contemporanee; in seguito, dopo
aver illustrato l’andamento generale delle risposte, si procederà a presentare
alcuni approfondimenti mirati, volti a verificare come si distribuiscano tra
gli intervistati gli aspetti indagati e se si rilevino tendenze diverse in
relazione alle principali variabili socio-demografiche.
Per ciascuno degli ambiti considerati – situazione familiare, gestione
delle esigenze di cura, eventi biografici, uso del tempo – l’analisi si
concentrerà sui fattori tipicamente connessi alla produzione/riproduzione
delle disuguaglianze di opportunità per cittadini e famiglie dalle
caratteristiche diverse. Di volta in volta, infine, si segnaleranno le piste
interpretative al centro del dibattito contemporaneo ritenute utili per
comprendere l’articolazione e lo sviluppo dei processi posti sotto
osservazione a livello locale.
1.2. Una famiglia, tante famiglie: composizione ed esigenze di cura
Considerata da sempre il nucleo primario della società, luogo di
convivenza di generi e generazioni, dove uomini e donne, bambini e adulti
formano, negoziano ed esprimono la loro individualità, la famiglia è oggi
un’entità dalle molte facce e dalle molte storie. Per una volta la realtà
sembra aver camminato più veloce dell’immaginazione con cui gli studiosi
la etichettano e il passaggio dalla famiglia una, unica e indivisibile, alle
famiglie, sostantivo plurale5, a volte stenta ancora a trovare i termini adatti
per essere descritto. Famiglie unipersonali, monoparentali, estese o lunghe,
nuove forme familiari, living apart together o double income no kids, sono
solo alcune delle molteplici combinazioni con cui si sviluppano oggi le
convivenze tanto che lo stesso concetto di nucleo familiare appare sempre
più difficile da identificare6.
5
Cfr. P. Di Nicola, Famiglia: sostantivo plurale, op. cit.; R. Volpi, La fine della famiglia. La
rivoluzione di cui non ci siamo accorti, Milano, Mondadori, 2007.
6
Cfr. M. Barbagli, M. Castiglioni, G. Dalla Zuanna, Fare famiglia in Italia. Un secolo di
cambiamenti, op. cit.; A.L. Zanatta, Le nuove famiglie, Bologna, il Mulino, 2003; G.A.
8
Come illustrato nella nota metodologica (cfr. capitolo 8), il
campionamento e le successive interviste sono state effettuate avendo come
base di riferimento i singoli individui. Tuttavia, in molti dei quesiti proposti
è implicita o talvolta apertamente messa al centro della questione anche la
dimensione familiare, in considerazione del fatto che alla costruzione del
benessere personale e alla definizione del panorama di vincoli e opportunità
tra cui muoversi sulla scena sociale concorrono risorse ed esigenze che
vanno oltre il singolo individuo. In questa sede, dunque, si cercherà di
tratteggiare il quadro delle relazioni familiari in cui gli intervistati sono
inseriti e di rendere conto di alcuni aspetti relativi alle esigenze di cura e
all’organizzazione familiare messa a punto per farvi fronte.
Il primo elemento da considerare per ricostruire l’universo relazionale
degli intervistati e, di conseguenza, aver un’idea anche della struttura di
relazioni sociali esistenti all’interno del più ampio contesto provinciale, è
costituito dal ruolo che ogni individuo ricopre all’interno del proprio nucleo
familiare inteso come unità di convivenza stabile.
La maggior parte degli intervistati vive in famiglie tradizionali –
entrambi i genitori con uno o più figli – al cui interno però riveste posizioni
diverse: nel 35% dei casi si tratta di coniugi/conviventi con figli, nel 21,4%
di partner in una coppia senza figli, e nel 19,8% di figli che convivono con
entrambi i genitori. Minoritari sono i genitori soli con uno o più figli (3,1%)
e pochi di più sono coloro che vivono in nuclei familiari composti o abitano
con altre persone, esterne alla famiglia.
Al di là della distribuzione in sé, tenere conto dei ruoli ricoperti dagli
intervistati all’interno delle rispettive famiglie consente di analizzare con
maggiore accuratezza alcune delle risposte fornite rispetto ai temi al centro
dell’indagine. È evidente, infatti, come essere figli con genitori piuttosto che
genitori con figli modifichi in modo rilevante la possibilità e/o necessità di
fornire determinati aiuti ad altre persone, ribaltando completamente il punto
di vista da cui valutare priorità e disponibilità di tempo per le diverse attività
quotidiane.
Il quadro muta parzialmente se si cerca di ricostruire il panorama delle
convivenze a partire dalla composizione delle famiglie anziché soffermarsi
sulla posizione che gli intervistati ricoprono all’interno del proprio nucleo
familiare. Osservando la composizione delle famiglie, la preponderanza
delle forme di convivenza tradizionali diventa ancora più evidente,
differenziando in parte il campione dalla ripartizione delle strutture familiari
registrata dall’Istat7 (cfr. tab. 1.1). Le coppie con figli, infatti, costituiscono
Micheli (a cura di), Strategie di family formation. Cosa sta cambiando nella famiglia forte
mediterranea, Milano, FrancoAngeli, 2006.
7
Cfr. Istat, La vita quotidiana nel 2010, http://www.istat.it, 2011.
9
il 50,9% dei nuclei familiari contattati, mentre i single si rivelano la
categoria meno rappresentata, con una quota di intervistati pari a 12,8%.
Tab. 1.1. Tipo di nucleo familiare per distretto. Valori %
Tipo di nucleo familiare
Forlì
CesenaRubicone-Costa
Valle Savio
Single
14,1
9,8
14,1
Monogenitore
8,5
4,1
7,5
Coppia senza figli
23,3
22,4
16,6
Coppia con figli
49,2
52,3
52,3
Famiglia estesa
2,8
6,5
4,5
Altro
2,1
4,9
5,0
Totale
100,0
100,0
100,0
N
390
246
199
Totale
12,8
6,9
21,5
50,9
4,3
3,6
100,0
835
Anche il numero medio di componenti, pari a 2,9 (cfr. tab. 1.2), risulta
più elevato di quello rilevato tanto dall’Istat (2,3 per l’Emilia-Romagna, 2,5
per l’Italia, media 2008-20098) quanto dalla Regione per i singoli comuni e
distretti (2,37 Cesena-Valle del Savio, 2,3 Forlì, 2,51 Rubicone-Costa, 2,37
totale provinciale all’1.1.20109).
Tab. 1.2. Numero medio di componenti per tipo di nucleo familiare
Numero medio di componenti
Forlì
CesenaRubicone-Costa
Valle Savio
Single
1,0
1,0
1,0
Monogenitore
2,3
2,5
2,7
Coppia senza figli
2,0
2,0
2,0
Coppia con figli
3,6
3,5
3,7
Famiglia estesa
4,4
4,2
4,7
Altro
3,0
3,7
3,7
Totale
2,7
3,0
3,0
N
390
246
199
Totale
1,0
2,4
2,0
3,6
4,4
3,5
2,9
835
In particolare, l’analisi della distribuzione delle forme familiari nei
diversi distretti rivela una presenza maggiore di coppie con figli, famiglie
estese e altri nuclei nei distretti cesenati a cui corrisponde una media più
8
Cfr. Istat, La vita quotidiana nel 2010, op. cit.
Dati elaborati con il Programma statistico regionale on line, Indicatori delle famiglie
anagrafiche http://www.regione.emilia-romagna.it.
9
10
elevata di componenti per nucleo familiare, pari a 3, a fronte del 2,7
registrato nel Forlivese.
Tuttavia, struttura dei nuclei familiari e numerosità dei componenti
costituiscono solo indicatori piuttosto grezzi delle caratteristiche delle
famiglie; se possono offrire informazioni sulla presenza o meno di figli e di
altri familiari, non consentono però di capire fino a che punto la quotidianità
di tali nuclei si differenzi da quella di altri, né se tali aspetti possano tradursi
in criticità dal punto di vista delle esigenze economiche, di cura e/o di
assistenza.
Una prima verifica riguarda dunque il numero e l’età dei figli
conviventi. In più del 60% dei nuclei familiari raggiunti dagli intervistatori è
presente almeno un figlio convivente (compreso l’intervistato stesso) e in
circa la metà di questi (26,3% del totale) almeno un figlio minore. In
entrambi i casi, la prevalenza assoluta va ai figli unici (quasi assenti i figli di
ordine superiore al terzo), ponendo la media generale pari a 1,36 figli per
nucleo familiare.
L’approfondimento condotto sulle età dei figli minori consente di
comprendere meglio l’impegno richiesto ai genitori dal momento che i costi
temporali ed economici della cura variano nel tempo sia per tipologia sia per
entità (cfr. tab. 1.3).
Tab. 1.3. Presenza ed età dei figli conviventi. Valori assoluti e %
N
almeno un figlio tra 0-3 anni
41
almeno un figlio tra 4-6 anni
51
almeno un figlio tra 7-10 anni
46
almeno un figlio tra 11-14 anni
47
almeno un figlio tra 15-18 anni
94
Totale
%
14,7
18,3
16,5
16,8
33,7
100,0
L’analisi rivela come il 14,7% delle famiglie con figli minori ne abbia
almeno uno tra 0 e 3 anni, età comunemente definita ad alta intensità di
accudimento, mentre la maggioranza relativa abbia figli conviventi con età
comprese tra i 15 e i 18 anni (33,7%). Ciò non significa, ovviamente, che i
figli maggiori di 3 anni non richiedano cura o attenzione; la distinzione in
classi di età mira a mettere in luce le trasformazioni a cui le esigenze dei
minori vanno incontro a seconda della diversa presa in carico da parte delle
istituzioni (nido d’infanzia piuttosto che scuola dell’infanzia o primaria e
secondaria), della possibilità per i genitori di ottenere congedi e permessi di
cura (che si riducono al crescere dell’età dei figli), della necessità di
assistenza per nutrirli, lavarli, vestirli piuttosto che per studiare con loro e
seguirli nei diversi impegni legati alla scuola, agli amici, allo sport, ecc., a
11
cui prendono parte a seconda delle età. In quest’ottica si può dunque
ipotizzare che almeno la metà delle famiglie con figli minori si trovi ad
attraversare un periodo in cui il tempo e l’attenzione da dedicare loro siano
ancora piuttosto elevati, in considerazione del limitato grado di autonomia
negli spostamenti fuori casa, che tende a perdurare per tutta la scuola
primaria.
La seconda verifica rispetto alla composizione dei nuclei familiari
riguarda la presenza di persone anziane e/o non autosufficienti. Anche in
questo caso, infatti, la vita quotidiana delle famiglie può richiedere
un’elevata abilità organizzativa per districarsi tra centri diurni, assistenza
domiciliare, visite mediche, faccende domestiche, cura della persona,
richiedendo risorse economiche e temporali dedicate per funzionare in modo
efficiente.
L’analisi dell’età degli intervistati e dei loro familiari evidenzia come la
convivenza con anziani ultra65enni interessi circa un quarto dei nuclei
familiari coinvolti nell’indagine (il 26%) e nell’11,8% dei casi ce ne sia più
di uno, soprattutto in famiglie estese/altre convivenze e coppie senza figli,
mentre almeno un grande anziano, ovvero un ultra75enne, è presente nel
7,4% dei nuclei familiari (soprattutto in famiglie estese/altre convivenze e
nuclei monogenitoriali).
Per quanto riguarda la non autosufficienza, il 21,4% degli intervistati
dichiara di avere almeno un familiare non in grado di provvedere a se stesso,
del tutto o in parte, all’interno della propria rete parentale e, in un caso su
quattro, la persona non autosufficiente attualmente vive all’interno del
nucleo familiare (per lo più in famiglie estese/altre convivenze).
A partire dal quadro delineato, si è ritenuto utile provare a costruire un
indice in grado di sintetizzare il carico familiare che, teoricamente, i diversi
nuclei familiari si trovano a sostenere. Se si attribuisce un peso ipotetico (e
del tutto discrezionale) alla presenza di ciascuna delle figure precedenti
(nonché ad eventuali ulteriori minori conviventi) in considerazione
dell’impegno in termini economici e di cura che potrebbero richiedere da
parte degli altri membri della famiglia, si ottengono indicazioni sulla
presenza nel territorio di nuclei familiari che devono sostenere,
contemporaneamente, molteplici esigenze di cura e che, dunque, più
facilmente potrebbero trovarsi in affanno nel farvi fronte10.
10
L’indice di carico familiare è stato costruito attribuendo ad ogni minore presente in
famiglia un punteggio decrescente all’aumentare dell’età, secondo lo schema seguente: 6
punti tra 0 e 3 anni, 5 tra 4 e 6 anni, 4 tra 7 e 10 anni, 3 tra 11 e 14 anni, 2 tra 15 e 18 anni. A
tale punteggio sono stati aggiunti 2 punti per ogni anziano ultra75enne convivente, 3 punti
per ogni persona non autosufficiente appartenente al nucleo familiare (convivente o meno) e
ulteriori 2 punti per ogni persona non autosufficiente convivente. Il punteggio così ottenuto è
stato normalizzato e riportato su una scala 0-10, in modo tale che a partire da 0 punti,
12
Analizzando la distribuzione degli intervistati rispetto all’indice di
carico familiare, il primo dato da segnalare è come ben il 50% delle
famiglie contattate non abbia tra i propri componenti nessun soggetto
caratterizzato da situazioni di fragilità ipotizzate e dunque si attesti su un
punteggio pari a 0, corrispondente a nessun carico familiare da soddisfare.
Concentrando l’attenzione solo sugli intervistati con carichi familiari (cfr.
fig. 1.1.), il secondo dato da segnalare è come la maggioranza relativa delle
famiglie con carichi di cura (quasi il 45%) si trovi in realtà ad affrontare un
impegno abbastanza circoscritto, grazie soprattutto alla presenza di minori
che hanno già raggiunto almeno l’età scolare e/o anziani ancora in buona
salute (punteggi pari a 1).
Fig. 1.1. Distribuzione intervistati con carico familiare secondo il punteggio
sull’indice
50
45
40
35
30
25
20
15
10
5
0
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
Diversa la situazione dei restanti nuclei familiari. Se un ulteriore 42%
ha al proprio interno un solo componente che necessita di un livello elevato
di accudimento o due con esigenze meno pressanti (punteggi 2 e 3, ovvero
un bambino sotto i 3 anni, due in età scolare e/o un anziano o un non
autosufficiente convivente), decisamente più pesante appare la condizione in
corrispondenti a nessun carico familiare, l’indice aumenti man mano che il numero di persone
e le situazioni ipotizzate aumentano (nella fig. 1.1., in cui si analizza soltanto la condizione di
chi ha un carico familiare, tale aumento si rileva man mano che la curva procede verso
destra).
13
cui si trova il rimanente 13% delle famiglie con carichi familiari,
posizionate su punteggi pari o superiori a 4 attestanti la presenza
contemporanea di almeno due membri, giovani e/o anziani, che richiedono
un’attenzione pressoché costante.
L’indice consente di tracciare un’ipotetica graduatoria dei nuclei
familiari che sostengono i carichi di cura più elevati (cfr. tab. 1.4), ovvero
prima di tutto le famiglie estese (che sono tali proprio per avere all’interno
del proprio nucleo altri familiari, spesso in condizione di bisogno), le coppie
con figli (spesso a rischio di sovraccarico di cura negli anni in cui sono
presenti contemporaneamente più minori da seguire) e le convivenze tra
persone non imparentate tra loro (con tutta probabilità composte da anziani
più un assistente domiciliare-badante)11.
Tab. 1.4. Punteggio medio sull’indice di carico familiare per tipo di nucleo
familiare
Media
Dev. Std
N
Single
1,33
0,2
19
Monogenitore
2,04
1,3
22
Coppia senza figli
1,38
0,5
56
Coppia con figli
2,36
1,5
272
Famiglia estesa
2,87
1,2
32
Altro
2,20
1,1
15
Totale
2,20
1,4
416
Infine, merita di essere segnalata la presenza di alcuni single tra i
soggetti con punteggi positivi sull’indice di carico familiare che, per quanto
poco numerosi, potrebbero costituire una delle categorie più problematiche
in un futuro non troppo lontano. In questo caso, sono gli stessi intervistati ad
avere più di 75 anni o ad essere responsabili dell’assistenza di familiari non
autosufficienti residenti altrove, delineando una condizione di fragilità
potenziale che con gli anni rischia di trasformarsi in una vera e propria
vulnerabilità esistenziale, soprattutto se la vita da single non rappresenta una
scelta ma un ripiego dovuto all’assenza di congiunti in grado di prendersi
cura di loro e/o con cui condividere la cura di eventuali altri soggetti deboli.
Nel valutare il peso e la sostenibilità dei carichi di cura per individui e
famiglie occorre, infatti, spingersi oltre la fotografia dell’esistente, cercando
11
Tali situazioni di sovraccarico dal punto di vista della cura, per alcune famiglie, potrebbero
essere ulteriormente aggravate anche da difficoltà dal punto di vista economico: i punteggi
medi più elevati sull’indice del carico di cura, infatti, si ritrovano proprio nei nuclei familiari
che possono contare sul reddito medio disponibile pro-capite più basso (espresso dall’indice
di disponibilità economica per i cui dettagli si rinvia al cap. 8), inferiore ai 700 euro (2,3
contro il 2,0 di chi ha un reddito medio superiore ai 1200 euro mensili).
14
di cogliere le tendenze emergenti – anche in altri contesti – per prefigurare
tempestivamente gli scenari futuri. Alla naturale evoluzione delle biografie
familiari, che col passare degli anni porta ad un alleggerirsi delle
responsabilità genitoriali nei confronti di figli che crescono e ad un
appesantirsi di quelle filiali nei confronti di genitori che invecchiano, oggi si
intrecciano le più ampie trasformazioni demografiche in corso in Europa e
in Italia.
La provincia di Forlì-Cesena non costituisce un’eccezione in un
panorama nazionale e regionale caratterizzato dalla riduzione delle nascite e
dall’invecchiamento della popolazione. Con un tasso di fecondità totale12
pari a 1,41 nel 2009 (1,41 in Italia, 1,50 in Emilia-Romagna) e un indice di
vecchiaia13 pari a 167,6 al 1 gennaio 2010 (144,0 in Italia, 170,0 in EmiliaRomagna)14, nel volgere di qualche decennio la composizione dei nuclei
familiari è destinata a mutare in modo radicale anche nel territorio
provinciale, con conseguenze non irrilevanti sulla distribuzione e la
sostenibilità dei carichi di cura da parte delle famiglie.
Se il peso dei figli minori è destinato a ridursi con il diminuire delle
nascite, quello dei grandi anziani (ultra75enni) e degli anziani non
autosufficienti, non solo tenderà ad aumentare con l’ingresso nella terza età
della generazione del baby boom, ma graverà sulle spalle di una platea di
adulti e giovani-adulti numericamente ridotta e spesso priva di congiunti con
cui condividerlo.
In un territorio tutto sommato ancora caratterizzato da una buona tenuta
delle strutture familiari, gli effetti di una rimodulazione degli equilibri tra
generazioni e la prospettiva di un’evoluzione delle tradizionali famiglie
nucleari, fino ad oggi maggioritarie, in formazioni cosiddette a baccello15
(con i conseguenti mutamenti tanto degli impegni di cura quanto delle
risorse con cui farvi fronte) rappresentano dunque una sfida prioritaria per
tutti gli attori sociali e chiamano direttamente in causa la capacità riflessiva
delle istituzioni locali nell’individuare e intercettare i nuovi bisogni di
12
Numero medio di figli per donna in età feconda.
Rapporto percentuale tra la popolazione in età anziana (65 anni e più) e la popolazione in
età giovanile (meno di 15 anni).
14
Cfr. Istat, Noi Italia 2011, http://www.istat.it per l’andamento storico degli indici citati e il
sito http://www.regione.emilia-romagna.it, Previsioni demografiche - evoluzione 2004-2024,
per gli scenari relativi alla popolazione in Emilia-Romagna.
15
Con tale definizione si identificano quelle famiglie estese che comprendono più nuclei
familiari legati da rapporti di ascendenza/discendenza anziché collateralità che assumono così
una forma lunga – in seguito alla coabitazione e ricoabitazione tra generazioni – e stretta – in
quanto sempre più spesso caratterizzate da discendenze di figli unici. Cfr. P. Di Nicola,
Famiglia: sostantivo plurale, op. cit.; Istat, Rapporto annuale 2010, http://www.istat.it, 2011.
13
15
individui e famiglie prima che si manifestino con la criticità e l’urgenza
riscontrate in altri contesti.
1.3. Famiglia e oltre: relazioni, aiuti e reti di sostegno
Alle esigenze di cura e di attenzione appena descritte le famiglie
reagiscono tipicamente ricorrendo ad una varietà di soluzioni, unendo ed
armonizzando con regia sapiente contributi diversi, materiali e immateriali,
formali e informali. Spesso, infatti, le risorse messe a disposizione dalle
istituzioni (asili e scuole, ma anche residenze e centri diurni per anziani) non
possono coprire l’intero arco temporale in cui i membri adulti della famiglia
sono impegnati con il lavoro e in altre attività familiari e personali, cosicché
il mosaico degli aiuti tende a espandersi in altre direzioni, cercando di
allargare la rete di persone coinvolte nell’assistenza dei familiari più fragili.
Altre volte, la difficoltà di tessere e di mantenere attive le relazioni di
supporto e mutuo-aiuto non consente di poter contare su tale condivisione
informale e lascia alle famiglie come unica alternativa quella di reagire in
modo autonomo alla situazione, addossandosi direttamente le responsabilità
di cura, con conseguenti rischi di sovraccarico.
Bambini e anziani (autosufficienti e non), come si è visto,
rappresentano i due fronti su cui si giocano le capacità di tenuta familiare
dal punto di vista della cura, cosicché diventa particolarmente importante
comprendere se e su quali aiuti esterni le famiglie possano contare, ovvero
come si organizzino per far fronte alle proprie esigenze e quali siano i
soggetti più disponibili, propensi e, anche loro malgrado, coinvolti nel
prestare aiuto ad altre persone, familiari e non.
Rispetto al primo fronte, quello dei minori, l’analisi delle figure
chiamate ad occuparsene al di fuori del tempo scolastico o coperto da servizi
a pagamento mette in luce sostanzialmente tre possibili strategie: l’autoaddossamento ovvero la cura prestata in prima persona dai genitori, il
coinvolgimento della rete familiare - ovvero di nonni e/o altri parenti - e il
ricorso alla rete allargata, costituita da amici e vicini di casa.
Nella realtà quotidiana, le soluzioni prevedono in genere un mix di
queste diverse strategie ed anche i dati raccolti mostrano come in molti casi
a prendersi cura dei minori siano più soggetti. In ogni caso, nelle famiglie
dove è presente almeno un bambino o ragazzo sotto i 18 anni (cfr. tab. 1.5)
sono prima di tutto i genitori, padre e madre insieme o solo uno dei due
(83,5%), a prendersene cura, seguiti da altri familiari (51,9%) e solo in
misura residuale da appartenenti alla rete allargata (8,5%), senza differenze
degne di nota rispetto a variabili socio-demografiche quali età, titolo di
studio, reddito e tipo di nucleo familiare.
16
Tab. 1.5. Chi si occupa dei minori al di fuori dei servizi scolastici e/o a pagamento:
singoli soggetti e tipo di strategia adottata. Valori assoluti e %
% Sì
N
Solo la madre
12,9
232
Solo il padre
3,9
232
Madre e padre
81,8
236
Nonni
52,2
232
Altri parenti
18,6
231
Vicini di casa / amici
9,5
232
Auto-addossamento famiglia
Rete familiare
Rete allargata
83,5
51,9
8,5
260
260
260
Per quanto riguarda il secondo fronte di cura, quello degli anziani e dei
non autosufficienti, alle strategie di presa in carico già citate – autoaddossamento del nucleo familiare, appoggio sulla rete parentale,
estensione alla rete allargata di amici e vicini – si aggiunge la possibilità di
esternalizzazione tramite servizi pubblici o assistenza privata, utilizzata in
sostituzione o in affiancamento alle altre risorse. Anche in questo caso,
osservando i dati, si nota una sovrapposizione tra le figure che si prendono
cura di non è in grado di provvedere a sé in tutto o in parte, ma ancora una
volta è la famiglia a farsi carico nella maggior parte dei casi dell’assistenza
del proprio congiunto: nel complesso, l’86% dei parenti stretti si occupa in
prima persona del proprio familiare in difficoltà, più spesso le figlie dei figli
(cfr. tab. 1.6). Il ricorso ad altri parenti sembra essere decisamente più
ridotto di quanto non avvenga nel caso dei minori (solo il 25,6% degli
intervistati ne fa cenno), così come il coinvolgimento della rete allargata,
amicale e di vicinato, che appare del tutto trascurabile.
Un ruolo non indifferente giocano invece le risorse esterne, servizi
pubblici e assistenza privata, che insieme interessano oltre il 50% delle
famiglie con adulti e anziani fragili. Merita di essere segnalato come, anche
in questo caso, non si notino relazioni significative tra le strategie di cura
adottate e le altre variabili socio-demografiche16, quasi a suggerire una sorta
di trasversalità nel modo di far fronte all’assistenza dei propri familiari,
giovani e anziani, in cui a fare la differenza non sono tanto le caratteristiche
personali quanto la possibilità concreta di rivolgersi o meno a determinate
figure – presenza, distanza, condizioni di salute, disponibilità temporale –
circostanza legata ad una varietà tale di fattori da mettere in ombra ogni
eventuale relazione diretta.
16
In ogni caso, il numero ridotto di rispondenti in tale condizione non consente di ottenere
indicazioni sufficientemente attendibili.
17
Tab. 1.6. Chi si occupa delle persone non autosufficienti appartenenti al nucleo
familiare: singoli soggetti e tipo di strategia adottata. Valori assoluti e %
% Sì
N
Figlia/e
61,9
42
Figlio/i
29,3
41
Moglie/marito
33,3
42
Altri parenti
27,9
43
Vicini di casa / amici
2,4
42
Servizi pubblici
21,4
42
Assistenza privata
38,1
42
Auto-addossamento famiglia
Rete familiare
Rete allargata
Esternalizzazione
86,0
25,6
2,3
51,2
43
43
43
43
Una nota a parte merita il ricorso a servizi domiciliari a pagamento che,
soprattutto per quanto riguarda l’assistenza dei bambini (ma in buona parte
anche per gli anziani e i non autosufficienti), sembra costituire una
soluzione decisamente residuale tra le famiglie coinvolte nell’intervista.
L’alta quota di rispondenti che dichiara di farne un utilizzo saltuario
suggerisce come per quanto riguarda i minori sia vista come una soluzione
di emergenza, da utilizzare in appoggio ad altre ritenute più affidabili ed
economiche.
Al di là delle esigenze di cura di minori e anziani, la figura a cui le
famiglie si rivolgono più numerose è quella del collaboratore domestico,
indicato dal 13,8% dei nuclei familiari (per lo più single e, in misura minore
coppie, con e senza figli); di questi, oltre il 40% vi ricorre in modo saltuario,
mentre per i restanti la media di ore settimanali è pari a 7,4. Decisamente
residuale, come già accennato, è l’utilizzo di baby sitter: solo il 5% delle
famiglie con minori dichiara di farvi ricorso e di queste ben il 75% afferma
di farlo in modo saltuario, mentre anche per le più assidue la media oraria
settimanale resta inferiore alle 10 ore.
Del tutto diverso è invece il modello di impiego degli assistenti
domiciliari dediti alla cura di anziani o disabili. In questo caso, infatti,
sebbene ad avvalersi del loro aiuto non sia neanche il 30% delle famiglie
con persone non autosufficienti all’interno della propria rete parentale, per
la maggior parte di quanti vi fanno ricorso la figura del/la badante sembra
connotarsi come un supporto quasi continuo, raggiungendo una media oraria
settimanale superiore alle 46 ore, mentre gli utilizzatori saltuari arrivano
solo al 31,9%.
18
L’approfondimento relativo ad un’eventuale connessione tra utilizzo di
servizi domiciliari a pagamento e reddito medio disponibile mensilmente per
ciascun componente del nucleo familiare rivela come tale associazione
emerga con nettezza solo a proposito del contributo dei collaboratori
domestici (senza tuttavia influire sulla quantità di ore di servizio richieste):
ad essi ricorre ben il 25,4% delle famiglie il cui reddito medio pro-capite
supera i 1.200 euro, l’11,5% di quelle con entrate comprese tra 701 e 1.200
euro e solo il 7,5% di quelle che dispongono di cifre inferiori ai 700 euro
mensili, mentre nessuna tendenza significativa si evidenzia nel ricorso a
baby sitter e badanti.
In ogni caso, rispetto alle prassi e alle strategie combinatorie con cui le
famiglie si occupano di bambini, anziani e non autosufficienti, vale la pena
di ricordare come la geografia della cura appena delineata non assuma
affatto un carattere di necessità né di stabilità. Il modo in cui le risorse
utilizzate si integrano – tra stato, famiglia e mercato, e, all’interno della
famiglia, tra i generi e le generazioni – non dipende infatti solo da variabili
quali la presenza e la disponibilità delle stesse. Tanto la possibilità di
raggiungerle facilmente e attivarle con la necessaria continuità quanto,
soprattutto per gli anziani, le condizioni di salute dei destinatari (con ricorso
all’istituzionalizzazione in strutture sanitarie in caso di peggioramento)
rendono il quadro delineato al momento dell’intervista suscettibile di
modifiche e revisioni tanto nel breve quanto nel medio-lungo periodo.
A questo proposito, senza volersi addentrare nel dibattito sulla
vulnerabilità sociale, sembra utile richiamare l’attenzione sul concetto oggi
particolarmente attuale di normalità problematica. Sempre più spesso,
infatti, al fianco di famiglie con disagi gravi e conclamati, che riescono a
trovare una sponda e un supporto nei servizi sociali, ne esistono altre
cosiddette normali per le quali è un precario equilibrio tra risorse e bisogni a
determinare se e quando attraverseranno il confine della vulnerabilità17.
Nessuno dei rischi socialmente riconosciuti (carenza di risorse, bisogni di
cura sociali e sanitari, assenza di reti sociali, scarsità di capacità di
fronteggiamento18), se preso singolarmente, assume per questi nuclei
familiari una dimensione tale da connotarli come problematici. Tuttavia,
l’aggravarsi, il cronicizzarsi, il succedersi e/o il combinarsi di eventi critici
può far superare tale soglia, rendendo difficile da sostenere anche la
quotidianità.
Ed è proprio in prossimità di questi eventi, prima che l’attraversamento
sia compiuto, che famiglie e individui cercano di mobilitare tutte le risorse
possibili per far fronte al momento critico, per cercare di ritrovare un
17
18
Cfr. P. Di Nicola, Famiglia: sostantivo plurale, op. cit.; Istat, Rapporto annuale 2010, op. cit.
Cfr. C. Ranci, Le nuove disuguaglianze sociali in Italia, Bologna, il Mulino, 2002.
19
equilibrio (o in attesa di trovarne uno nuovo nel caso in cui la crisi o il
disagio si prolunghino nel tempo), per riorganizzarsi e ridefinire la propria
situazione. La disponibilità individuale di relazioni svolge così la funzione
di un vero e proprio capitale sociale, consentendo di attivare mix diversi di
risorse – familiari, comunitarie e associative – e tracciando nuove linee di
disuguaglianza tra famiglie più o meno dotate di tale capitale19.
Per sondare la disponibilità di risorse utili a compensare eventuali
carenze, materiali e di cura, agli intervistati è stato chiesto se, in caso di
necessità, possano contare sull’aiuto di persone non conviventi (cfr. tab.
1.7). Le figure interne alla famiglia, intesa nell’accezione allargata di rete
parentale, prevalgono di gran lunga su tutte le altre: ben l’80% delle
famiglie afferma di potersi rivolgere ai propri parenti. Al secondo posto si
trovano gli amici, indicati da oltre il 61% dei rispondenti, mentre meno
diffusa sembra l’abitudine ad appoggiarsi sulle reti di vicinato, citate dal
36% degli intervistati, e solo residuale il ricorso ad appartenenti ad
associazioni di volontariato e ad altre persone.
Tab. 1.7. Soggetti su cui la famiglia può contare in caso di necessità. Valori %
% Sì
Parenti
79,9
Amici
61,6
Vicini
36,1
Appartenenti ad associazioni di volontariato
13,0
Altre persone
2,1
Tuttavia, quando si osserva il capitale relazionale di cui una famiglia
può disporre, è importante analizzare non solo la presenza o meno delle
diverse categorie di soggetti, ma anche come tali categorie si combinino tra
loro. Tenendo conto contemporaneamente di tutte le figure citate, infatti, è
possibile verificare l’esistenza di fenomeni di polarizzazione tra famiglie in
grado di mobilitare risorse molteplici ed altre che al contrario non appaiono
inserite in alcun network di relazioni affidabili (cfr. tab. 1.8). Dalla
combinazione delle risposte emerge così come una quota non irrilevante di
famiglie, oltre l’11%, riferisca di non poter contare sull’aiuto di nessuna
persona non convivente, neppure in caso di necessità.
19
Cfr. P.P. Donati, R. Prandini, The Family in the Light of a New Relational Theory of
Primary, Secondary and Generalized Social Capital, in «International Review of Sociology»,
n. 17, 2007, pp. 209-223; P.P. Donati, L. Tronca, Il capitale sociale degli italiani. Le radici
familiari, comunitarie e associative del civismo, Milano¸ FrancoAngeli, 2008.
20
Tab. 1.8. Soggetti su cui la famiglia può contare in caso di necessità: numero di
categorie citate. Valori %
%
Nessuna
11,2
1
23,2
2
33,6
3
26,2
4 e oltre
5,8
Totale
100,0
N
831
Un approfondimento consente di identificare alcune caratteristiche
delle famiglie che ricadono in tale gruppo: al suo interno risultano sovrarappresentati i nuclei familiari con figli rispetto a quelli senza figli (13,2%
contro 8%), con un basso livello culturale (15,7% rispetto al 7,1% dei più
istruiti)20, un reddito medio disponibile procapite inferiore ai 700 euro
(15,7% contro il 9% di quanti superano i 1.200 euro). Come gli studi più
recenti sui nuovi rischi sociali ipotizzano, anche in provincia di ForlìCesena, tanto i capitali – sociale, economico e culturale – quanto le
vulnerabilità sembrano cumularsi più che distribuirsi in modo casuale tra la
popolazione, contribuendo a rafforzare le disuguaglianze21. Con lievissime
differenze tra distretti, la maggior parte dei nuclei familiari dotati di scarso o
nullo capitale relazionale si trovano proprio tra quanti forse potrebbero
trovarsi ad averne più bisogno perché meno dotati anche delle altre due
forme di capitale.
La riaggregazione delle figure citate dagli intervistati in rete familiare –
propria dell’ambito interattivo familiare e di parentela – rete comunitaria
allargata – relativa alle cerchie sociali di mondo vicino (amici, vicini di
casa, colleghi di lavoro, etc.) – e rete associativa – caratteristica degli ambiti
interattivi di terzo settore – secondo le dimensioni relazionali individuate
negli studi sul capitale sociale22, mette in luce come ben il 71,4% dei nuclei
familiari possa contare su reti di sostegno molteplici, formate da figure
appartenenti a più di un universo sociale (cfr. fig. 1.2).
Tuttavia, nella maggioranza assoluta dei casi (58,3%) le reti multiple
sono costituite da un mix tra rete familiare e rete comunitaria allargata
(amici e vicini), rivelando come il panorama delle figure che sostengono le
famiglie, anche quando si allarga oltre la parentela, rimanga in realtà per lo
20
Per i dettagli sulla costruzione dell’indice di status culturale familiare si rinvia al cap. 8.
Cfr. C. Ranci, Le nuove disuguaglianze sociali in Italia, op.cit.; C. Saraceno, L’assistenza
senza il welfare, in «il Mulino», vol. LVIII, n. 4, 2009, pp. 553-560.
22
Cfr. P.P. Donati, L. Tronca (2008), Il capitale sociale degli italiani. Le radici familiari,
comunitarie e associative del civismo, op. cit.
21
21
più circoscritto ai rapporti elettivi personali. Solo nel 9,9% dei casi, infatti,
la capacità di mobilitazione interessa tutte le possibili reti.
Fig. 1.2. Configurazione delle reti di sostegno
solo rete
associativa
1,5%
solo rete comunitaria
allargata
7,3%
reti multiple
71,4%
solo rete
familiare
19,8%
rete familiare +
comunitaria allargata
58,3%
altre combinazioni 3,2%
rete completa
9,9%
Chi accede ad una sola risorsa, infine, lo fa in prevalenza attingendo al
capitale sociale legato alle reti di parentela (19,8%) o, in misura minore, al
proprio mondo vicino (7,3%), mentre il ricorso esclusivo a persone
appartenenti al terzo settore appare del tutto residuale.
Nonostante gli studi sul capitale sociale segnalino spesso la presenza di
significative relazioni tra l’estensione della rete alle cerchie più esterne
rispetto al nucleo familiare e variabili quali il livello culturale, il reddito e la
partecipazione associativa23, nel campione in esame tali relazioni sembrano
emergere solo in misura piuttosto contenuta (tutte comprese entro i 10 punti
percentuali di distacco tra gli estremi delle distribuzioni).
Si può tuttavia segnalare come, al crescere del livello di istruzione
familiare, si noti uno spostamento dalla centratura sulla rete familiare, più
diffusa tra i meno scolarizzati (23% contro 14,6%), ad un più elevato
sostegno da parte del mix parentela più mondi vicini (57,1% contro 64,3%)
e della rete completa (7,9% contro 12,7%) tra quanti vantano un percorso
scolastico più lungo, decentramento favorito forse anche dall’apertura di
23
Cfr. P. Di Nicola, S. Stanzani, L. Tronca, Reti di prossimità e capitale sociale in Italia,
Milano, FrancoAngeli, 2008.
22
nuove opportunità di costruire relazioni significative con persone esterne
alla cerchia familiare proprio durante gli anni di studio.
Tab. 1.9. Numero di aiuti forniti gratuitamente a persone non conviventi (parenti e
non) nelle ultime 4 settimane. Valori %
Nessuna Una o due
Tre e
Totale N
azione
oltre
Sesso
Maschio
36,4
36,4
27,2
100,0 429
Femmina
26,1
30,0
43,9
100,0 406
Età
15-24 anni
25-34 anni
35-44 anni
45-54 anni
55-64 anni
65 anni e oltre
33,3
30,8
33,9
35,4
21,0
33,8
43,2
36,3
31,0
29,8
31,9
30,9
23,5
32,9
35,1
34,8
47,1
35,3
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
102
143
171
141
138
139
Distretto residenza
Forlì
Cesena-Valle Savio
Rubicone-Costa
28,2
32,5
36,2
32,3
36,2
31,7
39,5
31,3
32,1
100,0
100,0
100,0
390
246
199
Titolo di studio
Fino a licenza elementare
Licenza media o qualifica
Diploma di maturità
Laurea o post-laurea
30,9
36,8
29,8
23,6
36,1
33,7
32,4
32,7
33,0
29,5
37,8
43,6
100,0
100,0
100,0
100,0
97
288
278
165
Ruolo nel nucleo familiare
Persona sola
Figlio con genitore/i
Coniuge/convivente senza figli
Coniuge/convivente con figli
Altra condizione
29,0
30,9
26,3
33,2
39,1
31,7
40,6
30,7
33,2
27,2
39,3
28,5
43,0
33,6
33,7
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
107
165
179
292
92
Partecipazione associativa
Non associato
Monoassociato
Multiassociato
39,3
30,2
20,5
31,5
38,6
32,1
29,2
31,2
47,4
100,0
100,0
100,0
356
199
268
Per completare la ricostruzione del tessuto sociale e relazionale in cui si
muovono gli intervistati e le loro famiglie, al quadro delle strategie, dei
23
sostegni e degli aiuti a cui ricorrono o sentono di poter ricorrere deve essere
affiancato un secondo piano di analisi, costituito dalle attività che gli
intervistati svolgono gratuitamente in favore di persone (parenti e non
parenti) non conviventi (cfr. tab. 1.9).
Ad un primo sguardo generale al numero di attività di aiuto prestate
nelle quattro settimane precedenti l’intervista, il campione sembra dividersi
quasi equamente tra quanti non hanno indicato nessuna delle azioni
menzionate, né in favore di parenti né di non parenti (31,6%), quanti
riferiscono di averne compiuta una o due (33,5%) e quanti ne segnalano tre
o più (34,9%).
Se si osservano le caratteristiche individuali degli intervistati si notano
alcune differenze significative nella composizione dei tre gruppi. A non
indicare nessuna delle attività di aiuto proposte sembrano essere in primo
luogo individui di sesso maschile, entro i 24 anni o tra i 35 e i 54 anni, con
titoli di studio medio-bassi, che appartengono a nuclei familiari di tipo non
tradizionale24 e che non partecipano ad alcuna attività associativa. Al
contrario, ad aiutare maggiormente altre persone, dichiarando di aver
effettuato tre o più delle azioni indicate nel corso del mese precedente
l’intervista, sono principalmente donne, con un’età compresa tra i 55 e i 64
anni, con un titolo di studio elevato, che vivono in coppie senza figli o da
soli/e e partecipano abitualmente a più attività associative.
Il profilo dei care givers in provincia di Forlì-Cesena non sembra
dunque molto diverso da quanto mostrano indagini condotte a livello
nazionale e – oltre a confermare alcuni assunti consolidati relativi, ad
esempio, ai livelli di istruzione – mettono in luce il persistere di una
disuguaglianza di genere che identifica nelle donne, soprattutto in età tardoadulta, le fornitrici di cura per elezione25.
Se si approfondisce il tipo di aiuti forniti, distinguendo tra aiuti
strumentali – ovvero economici e/o finalizzati al compimento di attività
specifiche – e aiuti di cura – relativi ad un’ampia gamma di azioni di
sostegno non necessariamente materiali – è possibile cogliere ulteriori
dettagli (cfr. fig. 1.3). In particolare, uomini e donne si dimostrano entrambi
più attivi sul versante degli aiuti strumentali rispetto a quelli di cura e nei
confronti di parenti piuttosto che di non parenti, ma il divario di genere
risulta evidente in tutti gli ambiti. Il 50% delle intervistate e il 40,5% degli
intervistati hanno fornito almeno una delle forme di aiuto materiale citate a
familiari non conviventi, mentre ad aver prestato cure di qualche tipo sono il
24
Sono stati inseriti nella categoria “altra condizione” gli intervistati appartenenti a famiglie
estese, monogenitoriali e a convivenze di altro tipo.
25
Cfr. Istat, Parentela e reti di solidarietà, http://www.istat.it, 2006; Istat, Rapporto annuale
2010, op. cit.
24
40,4% delle femmine e il 29,4% dei maschi. Per quanto riguarda persone
esterne alla rete della parentela, almeno un aiuto strumentale è citato dal
35,9% delle donne e dal 29,6% degli uomini a fronte dei più contenuti
24,7% e 14% che dichiarano di aver svolto almeno un’azione di cura in
favore di persone esterne alla propria famiglia.
Fig. 1.3. Consistenza degli aiuti forniti dagli intervistati per sesso, tipologia di
attività e destinatari
100%
90%
80%
70%
60%
50%
40%
30%
20%
10%
0%
maschi
femmine
aiuto srumentale a parenti
maschi
femmine
aiuto strumentale ad altri
nessuna attività
una attività
maschi
femmine
aiuto di cura a parenti
maschi
femmine
aiuto di cura ad altri
due attività o più
L’analisi dell’età dei care givers rivela nuove sfumature nella geografia
degli scambi, soprattutto se si presta attenzione alle categorie di aiuti
prestati – strumentali o di cura – e ai destinatari – parenti o non parenti. Ad
offrire sostegno ai parenti dal punto di vista materiale, infatti, sono
soprattutto gli intervistati compresi tra i 55 e i 64 anni, mentre per quanto
riguarda i non-parenti la situazione appare più variegata e le fasce d’età più
coinvolte sembrano essere in prevalenza quelle centrali, tra i 25 e i 54 anni.
Parzialmente diverso è il quadro relativo agli aiuti classificati come
cura. In questo caso, la fascia d’età più attiva nei confronti dei parenti è
ancora una volta quella dei 55-64enni, ma quando si passa alle persone non
appartenenti alla rete familiare sembrano essere i giovani (15-24enni) i più
coinvolti nel contribuire alle esigenze di cura di altri.
L’analisi dettagliata del tipo di aiuti forniti contribuisce a far luce sui
risultati precedenti. Se i tardo-adulti (55-64enni e oltre) offrono ai propri
parenti in prevalenza aiuti economici e collaborazione allo svolgimento di
25
attività domestiche o di pratiche burocratiche, le fasce d’età centrali
contribuiscono al sostegno materiale di persone esterne alla propria famiglia
fornendo, in primo luogo, cibo e vestiti. Quanto alla cura, l’assistenza
prestata dai 55-64enni consiste per lo più in cura di parenti bambini ed
adulti, mentre per i giovani 15-24enni le attività svolte in favore di non
familiari consistono soprattutto in aiuti nello studio, con tutta probabilità
prestati a studenti coetanei.
I dati raccolti non permettono di identificare i singoli destinatari del
flusso di aiuti, strumentali e di cura, proveniente dai care givers tardoadulti26, ma la configurazione dei legami familiari descritta in altri studi27
induce ad ipotizzare che, anche nel caso degli intervistati, le relazioni si
dispieghino in entrambe le direzioni, raggiungendo da un lato gli ascendenti
– genitori e parenti anziani – dall’altro i discendenti – figli e nipoti28. I
legami genitori-figli, infatti, non sembrano allentarsi né tantomeno
interrompersi con l’uscita di casa e l’acquisizione dell’autonomia
economico-abitativa da parte della generazione più giovane; al contrario, il
flusso di scambi e di supporti, materiali ed affettivi, che intercorre tra i due
nuclei familiari diventa spesso addirittura più intenso e senza dubbio più
riconoscibile una volta che i figli hanno lasciato la famiglia d’origine29.
26
In proposito c’è chi segnala l’emergere di una nuova figura di carer anziano o quasi
anziano (E. Pavolini, Regioni e politiche sociali per gli anziani. Le sfide della non
autosufficienza, Roma, Carocci, 2004), più vicino ai sessanta che ai cinquanta, spesso fuori
dal mercato del lavoro – perché non vi è mai entrato (ex-casalinghe) o perché ne è
precocemente uscito (pensionamenti anticipati) – che tuttavia può trovarsi egli stesso in una
fase della vita problematica dal punto di vista delle risorse materiali ma anche fisiche a cui
attingere, ponendo nuove sfide alla sostenibilità nel tempo dei modelli di welfare che fanno
perno su un’idea familista della cura.
27
Cfr. G.B. Sgritta (a cura di), Il gioco delle generazioni: famiglie e scambi sociali nelle reti
primarie, Milano, FrancoAngeli, 2002; M. Albertini M., Il contratto generazionale tra
pubblico e privato. Equilibri e squilibri tra le generazioni in Italia, in «Pólis», vol. XXII,
2008, pp. 221-242; C. Facchini (a cura di), Conti aperti. Denaro, asimmetrie di coppie e
solidarietà tra le generazioni, Bologna, il Mulino, 2008.
28
Oltre alla nota definizione di generazione sandwich, riferita in particolare alle donne tra i
cinquanta e i sessant’anni che si prendono cura, contemporaneamente della generazione
precedente (i propri genitori) e di quella o quelle successive (figli e nipoti), recentemente è
stata proposta quella di Janus position (G.O. Hagestad, K. Herlofson, Micro and macro
perspectives on intergenerational relations and transfers in Europe, UN, New York, 2007)
per identificare la condizione di quanti si trovano a fornire cure a chi sta alle loro spalle e cure
e reddito a chi viene dopo di loro.
29
Cfr. M. Albertini, M. Kohli, C. Vogel, Intergenerational transfers of time and money in
European families: common patterns different regimes?, in «Journal of European Social
Policy», vol. 17, n. 4, 2007, pp. 319‐334; C. Saraceno, W. Keck, Can We Identify
Intergenerational Policy Regimes in Europe?, in «European Societies», vol. 12, n. 5, 2010,
pp. 675-696.
26
A questo proposito, fondamentale per il prolungarsi dei legami
intergenerazionali tipici della famiglia italiana sembra essere la distanza –
tendenzialmente minore rispetto agli altri paesi europei – che separa le
residenze di genitori e figli30. Se si tiene conto di tale distanza rispetto ai
genitori tanto degli intervistati quanto dei loro partner (cfr. fig. 1.4), si nota
come quasi il 50% dei nuovi nuclei familiari risieda a meno di un chilometro
da almeno uno degli ascendenti e, nel 25% dei casi addirittura vi conviva,
mentre non raggiunge neppure il 10% la quota di quanti vivono a più di
cinquanta chilometri di distanza o all’estero.
Fig. 1.4. Distanza della residenza dell’intervistato dai genitori, propri e/o del
partner
tutti deceduti
20,0%
almeno un genitore/
suocero convivente
25,4%
almeno un genitore/
suocero all'estero
5,1%
almeno un genitore/
suocero oltre 50 km
4,4%
almeno un genitore/
suocero entro 50 km
6,5%
almeno un genitore/
suocero entro 1 km
22,6%
almeno un genitore/suocero
nello stesso comune 16,0
L’abitudine alla prossimità residenziale tipicamente italiana sembra
dunque confermata anche in provincia di Forlì-Cesena e, sebbene non si
rintraccino relazioni certe con nessuna delle principali variabili sociodemografiche, l’analisi dei profili degli intervistati che hanno adottato le
soluzioni abitative prevalenti – ovvero la coabitazione, una distanza
30
Cfr. G.B. Sgritta (a cura di), Il gioco delle generazioni: famiglie e scambi sociali nelle reti
primarie, op. cit.; Istat, Parentela e reti di solidarietà, op. cit.; P. Di Giulio, A. Rosina,
Intergenerational family ties and the diffusion of cohabitation in Italy, in «Demographic
Research», n. 16, 2007, pp. 441-468; A. Rosina, P.P. Viazzo (a cura di), Oltre le mura
domestiche. Famiglia e legami intergenerazionali dall’Unità d’Italia ad oggi, Udine, Forum,
2008.
27
contenuta nel raggio di un chilometro e la residenza all’interno dello stesso
comune – può offrire alcuni interessanti spunti di riflessione. Il discrimine
tra i modelli di prossimità genitori-figli più diffusi sembra, infatti, passare
prima di tutto per l’età e la condizione familiare e solo in misura residuale
per variabili quali il titolo di studio o il reddito. Da un lato, la convivenza
sembra essere la soluzione migliore, scelta o subita per far fronte a necessità
economiche o di assistenza, non solo per i giovanissimi (97% dei 1524enni), ma anche per una quota non irrilevante di intervistati intorno ai 30
anni (38% dei 25-34enni). Dall’altro, chi ha già formato un proprio nucleo
familiare, soprattutto se ha figli, opta nella quasi totalità dei casi per
l’autonomia abitativa, raggiungendo un equilibrio funzionale tra separazione
e prossimità nei rapporti tra generazioni, grazie ad una distanza abbastanza
ridotta, così da rendere semplici e poco onerosi, almeno dal punto di vista
degli spostamenti, i reciproci scambi di aiuti, materiali e di cura, ma
sufficiente per evitare gli svantaggi di una convivenza continua (il 38,4%
delle famiglie con figli risiede a meno di un chilometro da uno dei
genitori/suoceri e il 23,8% abita all’interno dello stesso comune).
Ancora una volta, dunque, la famiglia si riconferma al centro delle
biografie degli intervistati, condizionando o agevolando tanto le scelte
abitative, quanto un’organizzazione della cura che continua a fare perno
essenzialmente sulle relazioni familiari. La tenuta di una rete di sostegno
incentrata per ben una famiglia su cinque esclusivamente sulla parentela e la
densità di un flusso di aiuti, materiali e non, che intercorre abitualmente tra
nuclei familiari non conviventi gravando soprattutto sulle spalle di donne
prossime alla terza età sarebbero probabilmente minori se le distanze tra le
residenze di figli e genitori fossero superiori. Non solo, dunque,
coabitazione prolungata, ricoabitazione in occasione di eventi critici
(divorzio, malattia, sfratto, disoccupazione) e prossimità residenziale
appaiono oggi fondamenti imprescindibili del sistema di welfare familiare
all’italiana31, ma con buona probabilità sia le trasformazioni demografiche
in corso sia le conseguenze della crisi economica in atto indurranno le
famiglie ad accentuare tale tendenza in futuro. Per far fronte alle nuove
vulnerabilità dei propri membri, in assenza di un adeguato riconoscimento (e
sostegno) sociale, la soluzione più razionale per l’istituzione familiare
sembra essere quella di internalizzare e redistribuire al proprio interno le
difficoltà, siano esse economiche, abitative o di cura, almeno fino a quando
le stesse famiglie avranno le risorse sufficienti per farlo.
31
Cfr. M. Albertini, Il contratto generazionale tra pubblico e privato. Equilibri e squilibri tra
le generazioni in Italia, op. cit.; C. Saraceno, W. Keck, Can We Identify Intergenerational
Policy Regimes in Europe?, op. cit.
28
1.4. Eventi biografici e transizioni: generazioni in corso
Un tema di particolare attualità quando ci si occupa di famiglia e di
rapporti tra generazioni è senza dubbio quello del superamento delle
cosiddette tappe di transizione alla vita adulta, in particolare dei modi, dei
tempi e delle sequenze con cui tali transizioni si verificano oggi rispetto a
ieri32. È ormai da diversi anni, infatti, che quelli che sembravano solo indizi
di un allentamento della standardizzazione e sincronizzazione dei passaggi
abitualmente attraversati dai giovani per entrare nel mondo adulto hanno
assunto una rilevanza tale da far dubitare persino che il concetto stesso di
soglie di transizione possa continuare ad avere cittadinanza nella società
contemporanea. Ai percorsi interrotti, alle sequenze scambiate e ai passaggi
saltati si affiancano sempre più modelli ricorsivi, le yo-yo transitions, in cui
nessuna tappa è mai raggiunta per sempre, ma piuttosto è sempre possibile
(e talvolta necessario) fare ritorno a quelle precedenti e modificare le
proprie scelte33.
Nuove rappresentazioni della giovinezza e dell’età adulta (ma anche di
quella anziana) rendono pensabili e possibili traiettorie di vita molteplici, in
cui l’età anagrafica non è più l’unico riferimento per comprendere le
biografie personali. L’idea di un ciclo di vita individuale, familiare e sociale
coordinato – e in qualche modo predefinito – viene sempre più rimpiazzata
da quella di corsi di vita plurali, costruiti a partire da incroci di eventi
diversi che per ciascuno si verificano (o anche non si verificano) in tempi
diversi34. A ciò si aggiunge la constatazione che studio, lavoro, affetti si
intersecano con un tempo storico e sociale in grado di favorire o meno,
concretamente e normativamente, il compiersi di determinati eventi,
componendo vite individuali e vite familiari dalle forme molteplici.
La presente indagine non mira certo a risolvere l’annoso dibattito
relativo al ritardo dei giovani italiani rispetto a quelli degli altri paesi
nell’uscire di casa, né di comprendere se si tratti di scelta o necessità35.
32
Cfr. G. Merico, Giovani e società, Roma, Carocci, 2004; A. Walther, Regimes of Youth
Transitions. Choice, flexibility and security in young people’s experiences across different
European contexts, in «Young», vol. 14, n. 2, 2006, pp. 119-141.
33
Cfr. O. Galland, Adolescence, Post-Adolescence, Youth: Revised Interpretations, in «Revue
française de sociologie», vol. 44, n. 5, 2003, pp. 163-188; N. De Luigi, I confini mobili della
giovinezza, Milano, FrancoAngeli, 2007.
34
Cfr. C. Saraceno, M. Naldini, Manuale di Sociologia della famiglia, Bologna, il Mulino,
2007.
35
Cfr. M. Livi Bacci, Too few children and too much family, op. cit.; L. Mencarini, M. L.
Tanturri, Una casa per diventare grandi. I giovani italiani, l’autonomia abitativa e il ruolo
della famiglia di origine, in «Pòlis», vol. XX, n. 3, 2006, pp. 405-430; G.A. Micheli, Dietro
ragionevoli scelte, Torino, Edizioni Fondazione Agnelli, 2008.
29
Nondimeno, le domande riguardanti la successione degli eventi che
identificano le tradizionali tappe di transizione alla vita adulta, grazie alla
modalità con cui sono state poste, risultano particolarmente utili per
verificare se e come la scansione temporale con cui i superamenti
avvengono sia mutata nel tempo. Pur non trattandosi di un’indagine
longitudinale, infatti, la disponibilità di informazioni comparabili, relative a
soggetti tra i 15 e i 74 anni, rende possibile osservare il verificarsi degli
eventi in un’ottica diacronica, permettendo di cogliere segnali di eventuali
cambiamenti grazie al confronto tra fasce di età diverse.
Come prevede la sequenza delle transizioni, il primo ambito esaminato
è quello dell’uscita dal circuito dell’istruzione. Se si considera l’intero
campione (escludendo coloro per cui l’evento non si è ancora verificato),
l’età media di fine studi si attesta a 18 anni; se invece si calcola l’età media
della transizione dividendo gli intervistati in quattro gruppi in base alla loro
data di nascita emergono le prime differenze: per i 15-29enni l’età media è
18,636, per i 30-49enni 19,5, per i 50-64enni 17,2 e per gli ultra65enni 15,1.
Già questi primi risultati sembrano suggerire l’idea che qualche
modifica nelle scelte e/o nelle opportunità di istruzione degli intervistati si
sia verificata nel corso degli oltre 50 anni che separano i più giovani dai più
anziani. Tuttavia, l’utilizzo dei valori medi, non consentendo per sua natura
di cogliere le differenze, restituisce un quadro d’insieme piuttosto appiattito,
in cui non è possibile distinguere quanti individui, all’interno della stessa
fascia di età, abbiano, presumibilmente, raggiunto il diploma di laurea e
quanti invece si siano fermati alla scuola dell’obbligo. L’analisi delle
deviazioni standard (che indicano le dispersioni rispetto a ciascun valore
medio), tutte piuttosto elevate (comprese tra 3,7 e 7,3 anni), conferma come
intorno alle medie calcolate siano in realtà presenti oscillazioni piuttosto
significative.
Si è così proceduto a classificare le età di fine studi (e, a seguire, le età
relative agli altri eventi sotto osservazione)37, adottando una scansione
temporale in grado di offrire maggiori indizi rispetto al raggiungimento dei
diversi traguardi scolastici, in modo da poter verificare quanti degli
intervistati appartenenti ad uno stesso gruppo di età ricadano all’interno di
36
Va tuttavia segnalato che per oltre il 50% degli intervistati appartenenti a questa classe di
età l’evento non si è ancora compiuto.
37
La suddivisione in categorie delle età delle transizioni è stata effettuata a partire dall’analisi
delle distribuzioni relative al verificarsi di ciascun evento, individuando i valori che
consentivano di creare 3 gruppi equilibrati tra quanti lo avevano già vissuto e ponendo in una
quarta categoria quanti invece non lo avevano ancora attraversato. Le cadenze emerse
dall’analisi dei percentili utilizzate per la suddivisione sono specificate di volta in volta nel
testo.
30
ciascuna categoria, ovvero se per loro l’evento si sia verificato entro i 15
anni, tra 16 e 19 anni o a 20 anni ed oltre.
Il primo dato che è possibile cogliere osservando la figura 1.5. è come,
passando dai più anziani ai più giovani, si riduca considerevolmente la quota
di individui che ha lasciato la scuola entro i 15 anni (dal 59,4% all’8%) e
come, al contrario, aumenti quella di quanti hanno proseguito gli studi
almeno fino ai 19 anni (dal 18,8% al 24,1% dei 15-29enni e al 42,3% dei 3049enni). È evidente come tale cambiamento non possa essere ricondotto
esclusivamente alla libera scelta dei singoli intervistati, ma, nell’ottica
dell’intreccio tra vite individuali e tempi storici cui si accennava in
precedenza, debba essere inquadrato nel più ampio contesto sociale: chi oggi
ha 70 anni ed è nato negli anni Quaranta si è trovato a vivere in un mondo
molto diverso da quello in cui sono cresciuti i 30-40enni di oggi che, in
proporzione quasi doppia, hanno probabilmente proseguito gli studi fino alla
laurea o anche oltre (35,3% contro il 18% dei più anziani). In ogni caso, non
si può sottovalutare come sia l’aumento dell’età di uscita dal circuito
scolastico-formativo, sia la presenza di adulti e tardo-adulti che dichiarano
di essere ancora in istruzione rappresentino un segnale di quella
pluralizzazione delle traiettorie di vita ipotizzata a livello teorico.
Fig. 1.5. Età a cui gli intervistati hanno terminato gli studi per fascia d’età
100%
90%
80%
70%
60%
50%
40%
30%
20%
10%
0%
15-29
30-49
non ancora avvenuto
entro i 15 anni
50-64
tra 16 e 19 anni
65 e oltre
a 20 anni e oltre
Il secondo passaggio esaminato è costituito dalla conquista del primo
lavoro, non necessariamente a tempo indeterminato ma con l’esplicita
31
esclusione delle attività occasionali. La cadenza indicata dalla distribuzione
delle risposte degli intervistati – entro i 16 anni, tra 17 e 20 anni, a 21 anni e
oltre – lascia presumere che si tratti di un evento che, in accordo con la
sequenza standard fine degli studi-inizio del lavoro, tende a verificarsi dopo
il precedente (cfr. fig. 1.6).
Ancora una volta ad essere particolarmente interessanti sono le
differenze che emergono dal confronto tra le diverse classi di età. Se ben il
45% dei più anziani a 16 anni poteva già dirsi inserito nel mondo del lavoro,
tra i più giovani alla stessa età solo il 10,4% è riuscito ad entrarvi ed anche
tra i 30-49enni la percentuale resta decisamente ridotta (22,3%).
Fig. 1.6. Età a cui gli intervistati hanno iniziato il primo lavoro non occasionale per
fascia d’età
100%
90%
80%
70%
60%
50%
40%
30%
20%
10%
0%
15-29
30-49
non ancora avvenuto
entro i 16 anni
50-64
tra 17 e 20 anni
65 e oltre
a 21 anni e oltre
L’innalzamento dell’età in cui si raggiunge il primo impiego non
occasionale a prima vista sembra procedere in modo graduale, ma non si può
non notare il progressivo ampliarsi della percentuale di intervistati che
dichiara di aver trovato un lavoro dopo i 20 anni, praticamente raddoppiata
passando dagli ultra65enni ai 30-49enni (da 21,4% a 42,2%). Il ritardo
nell’inizio nel primo lavoro, per quanto frutto di un’esplicita scelta per una
quota non definibile di giovani e giovani-adulti, va tuttavia osservato alla
luce di almeno due ordini di fattori, materiali e ideali. Da un lato si pone il
complesso di circostanze storiche, sociali ed economiche che differenziano
il contesto attuale da quello in cui si trovavano a vivere, alla stessa età, le
32
generazioni oggi più adulte, tra cui si possono ricordare l’innalzamento
dell’età di uscita dal circuito della formazione già segnalato e un mercato
del lavoro non certo in espansione come poteva esserlo negli anni sessanta.
Dall’altro la diffusione di nuovi valori e nuovi stili di vita ha posto le basi
per un diverso atteggiamento nei confronti del lavoro, che si è tradotta anche
in una inedita propensione ad attendere il posto giusto, sostenuta dalle
maggiori risorse economiche a disposizione delle famiglie e dalla
democratizzazione dei rapporti genitori-figli che hanno reso possibile
prolungare una convivenza vissuta come meno problematica da entrambe le
parti.
L’uscita di casa, difatti, come suggerisce anche la scansione delle età
emersa dalle risposte degli intervistati – entro i 20 anni, tra 21 e 25, a 25 e
oltre – rappresenta la tappa successiva, tradizionalmente superabile da
quanti hanno già concluso gli studi e raggiunto una sufficiente indipendenza
economica. Se per l’assoluta maggioranza dei 15-29enni di oggi
l’eventualità di lasciare la casa dei genitori rappresenta un traguardo ancora
molto lontano (solo poco più del 20% ha già compiuto tale passo), lo
slittamento nelle età della transizione riscontrato a proposito degli eventi
precedenti risulta in questo caso molto meno marcato (cfr. fig. 1.7).
Fig. 1.7. Età a cui gli intervistati hanno lasciato la casa dei genitori per vivere da
soli o convivere per fascia d’età
100%
90%
80%
70%
60%
50%
40%
30%
20%
10%
0%
15-29
30-49
non ancora avvenuto
entro i 20 anni
50-64
tra 21 e 25 anni
65 e oltre
a 26 anni e oltre
33
Oltre alla evidente diminuzione della quota di quanti si sono resi
indipendenti entro i 20 anni, passando dal 32,6% degli ultra65enni al 23,9%
dei 30-49enni, e all’aumento, al contrario, di quanti lo hanno fatto solo dopo
i 25 anni (dal 26,5% al 33,8%), per la prima volta anche nelle fasce di età
adulte di oggi è presente un 10% circa di intervistati per cui tale evento non
si è ancora verificato38.
Più o meno negli stessi anni in cui gli individui attraversano i traguardi
analizzati finora, e spesso in contemporanea con l’uscita di casa, si
verificano anche gli eventi cruciali per la formazione di un nuovo nucleo
familiare ovvero l’inizio di un unione stabile e la procreazione. La
distribuzione delle risposte degli intervistati impone tuttavia un ulteriore
avanzamento nelle scansioni temporali che marcano le età di tali transizioni
collocando, per il campione in oggetto, a 22 anni, tra i 23 e i 26 e a 27 e
oltre le soglie relative all’avvio della prima convivenza e a 24 anni, tra i 25 e
i 29 e a 30 e oltre quelle relative alla nascita del primo figlio. Osservando i
dati, si nota come, nelle due classi di età più adulte, i tempi di avvio della
vita di coppia risultino piuttosto simili e come, in entrambi i casi, circa il
70% degli intervistati si sia sposato o abbia cominciato a convivere entro i
26 anni (cfr. fig. 1.8).
Molto diversa è la situazione delle generazioni successive, resa
particolarmente evidente dalla netta discontinuità riscontrabile a partire
dalla classe dei 30-49enni. Tra questi, poco più del 40% a 26 anni viveva già
in coppia, un ulteriore 32,5% ha iniziato a 27 anni o più avanti, ma una
quota pari al 25,9% non ha ancora oltrepassato tale traguardo. Tra i più
giovani, poi, la percentuale di quanti stanno già vivendo con un partner non
raggiunge complessivamente il 14%.
La transizione – non all’età adulta ma a nuove biografie individuali e
familiari – sembra dunque essersi verificata a partire dalla generazione nata
negli anni sessanta, essere proseguita almeno fino a quella degli anni ottanta
e mostrare segni di ulteriore radicalizzazione in quella più recente. Lo
scivolamento in avanti delle età in cui gli eventi sotto osservazione si sono
verificati, che appariva graduale rispetto all’istruzione, al lavoro e anche
all’uscita di casa, sembra subire un’improvvisa accelerazione rispetto alle
convivenze e, come si vedrà, anche alla nascita del primo figlio.
38
In realtà, soprattutto per quanto riguarda gli ultra 50enni, la mancata acquisizione
dell’autonomia abitativa non necessariamente corrisponde ad un’interruzione della traiettoria
di vita tradizionale. Considerate anche le caratteristiche di parte del tessuto abitativo
provinciale, composto di unità residenziali autonome spesso ampliate negli anni proprio per
far spazio alle famiglie dei figli, il mantenimento di una residenza congiunta con i propri
genitori non implica che tali intervistati non abbiano ugualmente proseguito il proprio
percorso di vita con la creazione di un nuovo nucleo familiare.
34
D’altra parte, gli studiosi della famiglia indicano come proprio a
cavallo degli anni settanta si sia verificato un mutamento generalizzato nel
modo di intendere la famiglia, la vita di coppia, la procreazione, la sessualità
e come una crescente esigenza di realizzazione di sé e delle proprie
potenzialità abbia messo in crisi abitudini consolidate e tradizioni fino a
quel momento ritenute immutabili39.
Fig. 1.8. Età a cui gli intervistati si sono sposati o sono andati a convivere per
fascia d’età
100%
90%
80%
70%
60%
50%
40%
30%
20%
10%
0%
15-29
30-49
non ancora avvenuto
entro i 22 anni
50-64
tra 23 e 26 anni
65 e oltre
a 27 anni e oltre
L’analisi dei dati relativi alla nascita del primo figlio offre sostegno a
tale ipotesi anche per quanto riguarda la provincia di Forlì-Cesena (cfr. fig.
1.9): oltre il 60% degli ultra50enni a 29 anni aveva già assunto il ruolo di
genitore, ma tra gli intervistati di 30-49enni alla stessa età solo poco più del
30% si trovava nella medesima condizione, mentre tra i meno che 30enni la
quota di coloro che non hanno ancora vissuto tale esperienza supera il 90%.
39
Cfr. D. van de Kaa, Europe’s Second Demographic Transition, in «Population Bulletin,
Population Reference Bureau», n. 42, 1987; Cfr. M. Barbagli, M. Castiglioni, G. Dalla
Zuanna, Fare famiglia in Italia. Un secolo di cambiamenti, op. cit.; R. Lesthaeghe, The
unfolding story of the Second Demographic Transition, in «Population and Development
Review», n. 36, 2010, pp. 211-251.
35
Fig. 1.9. Età a cui gli intervistati hanno avuto il primo figlio per fascia d’età
100%
90%
80%
70%
60%
50%
40%
30%
20%
10%
0%
15-29
30-49
non ancora avvenuto
entro i 24 anni
50-64
tra 25 e 29 anni
65 e oltre
a 30 anni e oltre
Se il quadro appena ricostruito ritrae le cadenze con cui i diversi gruppi
di intervistati suddivisi per età hanno attraversato le diverse soglie, prima di
passare all’approfondimento di alcuni aspetti riguardanti le soluzioni
abitative adottate, sembra utile accennare, almeno brevemente, ad un altro
fronte di analisi ossia quello che valuta le transizioni in un’ottica di genere.
È evidente, infatti, come la condizione biologica e sociale dell’essere maschi
o femmine si intersechi doppiamente tanto con le biografie individuali
quanto con quelle familiari, definendo tempi di vita, diversi per uomini e
donne.
L’analisi delle scansioni temporali degli eventi alla luce, oltre che
dell’età, anche del sesso rivela almeno due tendenze interessanti, la prima
relativa all’età di uscita dal circuito dell’istruzione e la seconda alla nascita
del primo figlio, che suggeriscono come in questi anni siano state soprattutto
le donne a sperimentare le discontinuità più radicali nelle loro traiettorie di
vita.
Per quanto riguarda il termine degli studi, se un progressivo
innalzamento dell’età è ben visibile in entrambi i sessi, nell’arco dei
quarant’anni che separano la generazione delle ultra65enni da quella delle
30-49enni, si registra una vera e propria impennata nella quota di probabili
laureate, che arriva addirittura a superare quella dei coetanei maschi. Le
donne ancora impegnate negli studi dopo i 20 anni, infatti, passano dal
36
15,6% delle più anziane al 36,3% delle più giovani, mentre nello stesso
periodo gli uomini passano dal 20,3% al 34,3%.
Ancora più evidente è lo scarto tra maschi e femmine rispetto all’età in
cui si è avuto il primo figlio, soprattutto se si tiene conto del minore margine
di libertà femminile nel posticipare tale evento a causa del limite fisiologico
della maternità, molto più precoce di quello della paternità. In ogni caso,
nella generale tendenza al rinvio, è interessante notare come, passando dagli
ultra65enni ai 30-49enni, varino le quote di uomini e di donne diventati
genitori per la prima volta entro i 24 anni. Tra i maschi, si va dal 22,9% dei
più anziani al 9,9% dei 30-49enni, ma, nello stesso intervallo di tempo, le
percentuali femminili subiscono un crollo che le porta dal 62,1% delle
ultra65enni al 20,3% delle più giovani, a riprova di quanto il cambiamento
di valori, attitudini e stili di vita abbia avuto un impatto decisamente
maggiore sulla vita delle donne.
L’ultimo evento considerato nella ricostruzione delle transizioni vissute
dagli intervistati, l’acquisto della prima casa, non appartiene propriamente
alle tappe tradizionali, tuttavia risulta interessante perché condensa in sé i
due aspetti, materiale e ideale, già ricordati, fornendo indizi sulla loro
modifica nel tempo. La decisione di acquistare un’abitazione, infatti,
dipende da un lato dalla volontà di raggiungere una completa indipendenza
dalla propria famiglia di origine, dall’altro dalla possibilità di affrontarne i
costi, grazie ad una situazione economica sufficientemente stabile da
consentire la stipula di un eventuale mutuo e, in seguito, di poterlo onorare.
Così, desideri personali e contesto socio-economico si intrecciano
ancora una volta e le differenze nelle età in cui i diversi gruppi di intervistati
sono diventati proprietari della prima casa si prestano ad essere lette come
indizi di un mutamento sia negli stili di vita sia nel clima sociale, culturale e
materiale nel corso del tempo.
Uno sguardo d’insieme agli intervalli di età classificati a partire dalla
distribuzione delle risposte – entro i 26 anni, tra 27 e 32, a 33 anni e oltre –
e all’andamento della figura 1.10 rivela come l’acquisto di una casa sembri
effettivamente costituire l’ultimo passo di un percorso che può durare molti
anni. Per la prima volta, anche i due gruppi più anziani mostrano percentuali
non trascurabili di intervistati (superiori al 20%) per cui l’evento non risulta
essersi ancora verificato e circa il 28% degli ultra50enni ha raggiunto tale
traguardo solo dopo i 32 anni. Lo scarto con i 30-49enni, di cui il 50% non
ha ancora vissuto tale esperienza, può forse ancora ridursi, man mano che
essi si inoltreranno nell’età adulta, ma il divario con i 15-29enni appare
pressoché incolmabile e di molto superiore a tutti i precedenti (per la quasi
totalità degli intervistati si tratta di un evento non ancora verificatosi).
37
In considerazione di ciò, sembra possibile ipotizzare che le mutate
condizioni economiche stiano giocando un ruolo non secondario nel favorire
la comparsa di questa ulteriore discontinuità nelle traiettorie di vita degli
intervistati. Una discontinuità molto meno ideale e molto più materiale di
quella relativa alla formazione della famiglia osservata in precedenza.
Fig. 1.10. Età a cui gli intervistati hanno acquistato la prima casa di proprietà per
fascia d’età
100%
90%
80%
70%
60%
50%
40%
30%
20%
10%
0%
15-29
30-49
non ancora avvenuto
entro i 26 anni
50-64
tra 27 e 32 anni
65 e oltre
a 33 anni e oltre
L’approfondimento condotto sulle condizioni preliminari all’uscita di
casa conferma l’esistenza di una forte connessione tra indipendenza
abitativa e vita di coppia: il motivo principale per allontanarsi dai genitori e
iniziare il proprio percorso di autonomia residenziale ha origine proprio
dalla decisione di avviare una convivenza (cfr. tab. 1.10).
L’analisi delle ragioni che hanno spinto gli intervistati a lasciare la
famiglia di origine, infatti, mette in luce come, non diversamente da quanto
mostrano altre ricerche sul tema, ma anzi, con percentuali addirittura
superiori, quasi il 70% dei rispondenti, un po’ più le femmine dei maschi,
indichino nel matrimonio o nella convivenza la causa prima dell’uscita di
casa40.
40
Cfr. Istat, Le difficoltà nella transizione dei giovani allo stato adulto e le criticità nei
percorsi di vita femminili, http://www.istat.it, 2009.
38
Il desiderio di autonomia e indipendenza sembra non costituire un
motivo sufficiente per invogliarli a compiere questo passo e se per gli
uomini rappresenta comunque la seconda ragione di uscita (11,8%), per le
donne risulta ancora meno rilevante, raccogliendo solo l’8,6% dei
consensi41. Poco numerosi sono anche gli intervistati, più maschi che
femmine, che indicano il lavoro come ragione di uscita di casa, quasi una
conferma indiretta della scarsa mobilità territoriale degli italiani, ancora più
evidente tra quanti vivono in un territorio in grado di offrire sufficienti
opportunità di impiego.
Tab. 1.10. Motivi per cui si è lasciata la casa dei genitori la prima volta per sesso.
Valori %
Maschi
Femmine
Totale
Convivenza
10,5
9,5
10,0
Matrimonio
57,7
61,6
59,7
Lavoro
10,5
6,0
8,2
Studio
4,6
11,7
8,2
Esigenze autonomia indipendenza
11,8
8,6
10,2
Decesso genitori
1,0
1,6
1,3
Altro
3,9
1,0
2,4
Totale
100,0
100,0
100,0
N
305
315
620
Uscire di casa per se stessi, semplicemente per rendersi indipendenti e
iniziare un percorso autonomo, non sembra, dunque, essere ed essere stata
una priorità per gli intervistati, anche se non si possono ignorare i vincoli
economici che si frappongono al raggiungimento di una completa autonomia
abitativa, tanto per chi aspira ad acquistare una casa quanto per chi desidera
affittarla, e favoriscono piuttosto il prolungarsi delle convivenze genitorifigli42.
41
È tuttavia plausibile che la maggiore propensione femminile nel lasciare la casa genitoriale
per ragioni di studio (11,7% contro il 4,6% dei maschi), oltre alla più elevata partecipazione
femminile all’istruzione terziaria, possa in realtà celarsi un desiderio inespresso (magari anche
a se stesse), ancora non completamente legittimato dal contesto sociale, di allontanarsi dalla
famiglia di origine per sperimentare la propria autonomia in un’altra città e in un ambiente
diverso.
42
Un rapido sguardo ai dati alla luce dell’età degli intervistati consente tuttavia di cogliere
qualche debole indizio di cambiamento: ad essere usciti in seguito al matrimonio sono
soprattutto i più anziani (83,7% tra gli ultra 65enni contro il 44,1% dei 30-49enni), mentre tra
i giovani adulti la risposta relativa all’autonomia comincia a riscuotere maggiori consensi
(15,6% contro 1,6%).
39
1.5. Il tempo conteso: equilibri e squilibri tra generi e generazioni
Nelle società contemporanee, altamente differenziate e complesse,
sperimentare ruoli e identità molteplici sembra, paradossalmente, essere
diventata la norma per la maggioranza dei cittadini. La principale promessa
collettiva della post-modernità – ovvero l’opportunità, accessibile a tutti, di
conseguire la piena realizzazione di sé e delle proprie capacità espressive –
si è infatti trasformata nel corso degli anni da certezza in potenzialità, per
poi capovolgersi in un timore di perdere occasioni che induce a rincorrere
stili di vita diversi cercando di farli coesistere simultaneamente43. Per un
numero crescente di individui, ciò che ne deriva sembra essere una
concitazione e una convulsione dei tempi di vita che fa proprio del tempo
una delle risorse più scarse e desiderate al giorno d’oggi. Compresenza e
sovrapposizione di ruoli e identità, infatti, rendono sempre più complessa la
ricomposizione dei frammenti del sé all’interno di un orizzonte per sua
natura circoscritto; così, anziché liberati, i tempi di oggi diventano sempre
più obbligati44.
A ciò si aggiunge quella che può essere definita come la seconda
promessa non mantenuta dalla società post-moderna e post-industriale, la
liberazione dal lavoro, o, perlomeno, la liberazione, grazie alle nuove
tecnologie dell’informazione e della comunicazione, dai suoi aspetti più
onerosi e dai vincoli temporali di un’organizzazione lavorativa fondata su
luoghi e ritmi comuni. Non solo tale liberazione non sembra essersi
compiuta, almeno per la grande maggioranza dei lavoratori, ma anzi, mai
come nell’epoca della «fine del lavoro»45, proprio il lavoro sembra essere
diventato imprescindibile per accedere e mobilitare altre risorse: per
partecipare pienamente alla vita collettiva, acquisendo titolarità di diritti e
protezione sociale, e, paradossalmente, anche per liberare tempo, per sé, per
la famiglia, per la cura, consentendo di acquistare sul mercato beni e servizi.
Oltretutto, proprio per le forme che va sempre più assumendo, spesso
flessibili e precarie, oggi più di ieri il lavoro rischia di contribuire a
43
Cfr. C. Lasch, La cultura del narcisismo. L’individuo in fuga dal sociale in un’età di
disillusioni collettive, Milano, Bompiani, 1981; R. Sennett, L’uomo flessibile. Le conseguenze
del nuovo capitalismo sulla vita personale, Milano, Feltrinelli, 1999; K. Kumar, Le nuove
teorie del mondo contemporaneo. Dalla società post-industriale alla società post-moderna,
Torino, Einaudi, 2000.
44
Cfr. L. Balbo, Tempi di vita, op. cit.; F. Crespi, Tempo vola: L’esperienza del tempo nella
società contemporanea, Bologna, il Mulino, 2005.
45
Cfr. J. Rifkin, La fine del lavoro, Roma, Dalai Editore, 1996.
40
fagocitare, anziché a liberare, le altre risorse individuali, prima tra tutte
proprio il tempo46.
Quella che a lungo è stata tematizzata come doppia presenza femminile
tra (un) fronte lavorativo e (un) fronte familiare sembra così essere diventata
oggi una necessità di presenza plurima, quando non di vera e propria
ubiquità, che riguarda un numero crescente individui, maschi e femmine47. Il
tempo per il lavoro o per i lavori, il tempo per la famiglia e per la cura di
figli, nipoti, genitori, altri familiari, il tempo per le relazioni da tessere e
mantenere, ma anche il tempo da dedicare a se stessi, si sono trasformati in
tempi obbligati, da incastrare tra loro e all’interno di biografie individuali e
sociali sempre più complesse. Eppure, questi tempi sembrano sempre meno
riconosciuti e riconoscibili come tempi sociali48. Privi della scansione
comune dettata dall’organizzazione della società industriale che
sincronizzava, uniformandoli, tempi individuali e tempi collettivi, nelle
società contemporanee gli equilibri diventano instabili ed ogni individuo,
grazie a risorse ed abilità strategiche personali, si trova a dover ricomporre
tempi in competizione tra loro, comprimendoli o espandendoli uno a scapito
dell’altro. L’attualità delle analisi dei tempi di vita sembra dunque maggiore
oggi di quando lo sia stata negli anni settanta e se i rischi di sovraccarico e
di vulnerabilità nel fronteggiare la quotidianità sono sempre più diffusi,
resta il dubbio che ancora una volta nell’intreccio tra biografie individuali e
collettive si vadano riproducendo e perpetuando vecchie disuguaglianze49.
I dati medi relativi all’uso del tempo in provincia di Forlì-Cesena
mostrano, ovviamente, come una quota rilevante del monte ore settimanale
degli intervistati sia occupata dall’attività professionale e dal lavoro
domestico e familiare. La verifica delle stesse medie in un’ottica di genere
rivela però anche come le differenze nell’impiego del tempo tra maschi e
femmine non siano affatto scomparse. In particolare, non diversamente da
46
Cfr. J. Gershuny, Changing times: work and leisure in post-industrial society, UK, Oxford
University Press, 2000; L. Gallino, Il costo umano della flessibilità, Roma-Bari, Laterza,
2001; S. Piccone Stella (a cura di), Tra un lavoro e l’altro: vita di coppia nell’Italia
postfordista, Roma, Carocci, 2007.
47
Cfr. L. Balbo, La doppia presenza, in «Inchiesta», vol. 8, n. 32, 1978, pp. 3-6; L. Balbo,
M.P. May, G.A. Micheli, Vincoli e strategie nella vita quotidiana, Milano, FrancoAngeli,
1990; M. Piazza, Le politiche di conciliazione dei tempi, in «Inchiesta», vol. XXX, n. 127,
2000; P. Zurla (a cura di), Quando le madri lavorano. Percorsi di conciliazione in un
contesto locale, Milano, FrancoAngeli, 2006; G. Altieri (a cura di), Uomini e donne moderni.
Le differenze di genere nel lavoro e nella famiglia: nuovi modelli da sostenere, Roma,
Ediesse, 2007.
48
Cfr. L. Balbo, Tempi di vita, op. cit.; M. Colleoni, I tempi sociali. Teorie e strumenti di
analisi, op. cit.; Istat, I tempi della vita quotidiana, Argomenti n. 32, Roma, 2007.
49
Cfr. L. Balbo, La doppia presenza, op. cit.; C. Leccardi, Ricomporre il tempo: le donne, il
tempo, il lavoro, in «Sociologia del lavoro», n. 56, 1994, pp. 148-155.
41
quanto segnalano altri studi sull’uso del tempo in Italia50, risulta confermata
l’esistenza di un notevole squilibrio di genere nelle ore dedicate alle attività
casalinghe che, pur attenuandosi in alcuni casi, continua a penalizzare tutte
le donne, indipendentemente dalla loro condizione familiare e professionale.
Considerando l’intero territorio provinciale (cfr. tab. 1.11), le
intervistate dedicano ogni settimana al lavoro domestico e familiare
mediamente più del doppio delle ore riservatevi dagli intervistati maschi
(23,7 contro 11,3), mentre sul fronte dell’attività professionale i valori medi
si attestano su 35,7 ore settimanali per le donne e 42,1 per gli uomini. La
scomposizione a livello di distretti rivela alcune differenze ed assegna
all’area di Cesena-Valle Savio il primato della minore disuguaglianza nella
divisione dei compiti familiari: le donne forlivesi e del Rubicone-Costa,
infatti, risultano impegnate nelle attività casalinghe per ben 14 ore in più dei
maschi residenti negli stessi territori (rispettivamente 24,4 contro 10,9 e
23,3 contro 9,8), mentre a Cesena-Valle Savio il divario tra femmine e
maschi è solo di 10 ore settimanali (23,0 contro 13,2).
Tab. 1.11. Tempo dedicato dagli intervistati al lavoro domestico, all’attività
lavorativa e a sé stessi, per sesso e per distretto. Valori medi
Ore di lavoro
domestico - settimanali
Media Dev.St.
N
Forlì
Maschi
Femmine
Totale
Ore di lavoro per il
mercato - settimanali
Media Dev.St. N
Ore per i propri
interessi - giornaliere
Media Dev.St. N
10,9
24,4
17,9
10,3
21,7
18,4
161
172
333
42,4
35,0
39,2
12,3
12,8
13,0
138
106
244
4,6
3,2
3,9
4,4
2,6
3,7
184
168
352
Cesena-Valle savio
Maschi
13,2
Femmine
23,0
Totale
18,1
10,3
17,4
15,1
112
113
225
42,7
36,3
39,7
12,6
11,9
12,7
82
70
152
3,8
4,2
4,0
4,2
6,7
5,5
124
107
231
Rubicone-Costa
Maschi
Femmine
Totale
9,8
23,3
16,8
7,7
15,0
13,8
87
92
179
40,7
36,0
38,5
14,2
11,2
13,0
58
52
110
3,2
3,1
3,2
2,9
3,4
3,2
99
94
193
Totale provincia
Maschi
Femmine
Totale
11,3
23,7
17,8
9,79
18,96
16,40
360
377
737
42,1
35,7
39,2
12,8
12,1
12,9
278
228
506
4,0
3,5
3,7
4,0
4,4
4,2
407
369
776
50
Cfr. C. Saraceno, La conciliazione di responsabilità familiari e attività lavorative in Italia:
paradossi ed equilibri imperfetti, in «Pòlis», vol. 17, n. 2, 2003, pp. 199-228; A. Alesina, A.
Ichino, L’Italia fatta in casa, Milano, Mondadori, 2009; Istat, La divisione dei ruoli nelle
coppie. Anno 2008-2009, http://www.istat.it, 2010.
42
L’analisi delle medie relative alle ore disponibili in un giorno feriale
per i propri interessi e svaghi pare confermare l’esistenza di equilibri
temporali diversi all’interno dei tre distretti. A fronte di una media generale
di 4,0 ore per i maschi e 3,5 per le femmine, sono le donne forlivesi quelle
che sembrano soffrire maggiormente la compressione del tempo per sé in
relazione agli uomini dello stesso territorio, registrando una media di 3,2 ore
contro 4,6. Nel distretto del Rubicone-Costa, il tempo libero femminile
appare solo di poco inferiore a quello delle vicine forlivesi, ma il problema
sembra investire allo stesso modo uomini e donne che dichiarano,
rispettivamente, 3,2 e 3,1 ore. Nel distretto di Cesena-Valle Savio, invece, si
assiste addirittura ad una inversione della tendenza generale, con le donne
che possono contare quotidianamente su ben 4,2 ore contro le 3,8 degli
uomini.
Al di là delle fluttuazioni territoriali segnalate, è evidente come il fronte
più critico per il raggiungimento di un’organizzazione dei tempi di vita
equilibrata dal punto di vista del genere sia costituito dalla disuguale
ripartizione del lavoro domestico e familiare, ambito per cui l’Italia continua
a distinguersi dagli altri paesi europei a causa tanto della scarsa
partecipazione maschile quanto dell’elevato impegno femminile. Se sul
fronte professionale e del tempo per sé la distanza tra uomini e donne risulta
oggi contenuta, il forte scarto tuttora esistente sul fronte delle attività
casalinghe suggerisce come all’interno delle famiglie italiane continuino ad
esistere e ad essere operanti schemi di ripartizione dei compiti tutto
sommato tradizionali. Tali schemi, pur non attribuendo più la totalità dei
lavori domestici a donne che sempre più sono anche lavoratrici, seguitano
però a caricare sulle loro spalle le maggior parte delle faccende di casa e,
soprattutto, a delegare loro l’intera responsabilità della gestione familiare51.
Per comprendere meglio come i modelli di divisione dei ruoli di genere
siano distribuiti tra gli intervistati sembra utile proporre un approfondimento
che tenga conto oltre che del sesso anche della posizione ricoperta
all’interno del nucleo familiare in cui vivono. Rappresentazioni, aspettative
e comportamenti di genere, infatti, si costruiscono, si negoziano e si
realizzano all’interno degli ambienti sociali e proprio le interazioni con
persone del proprio e dell’altro sesso forniscono le conferme e le
disconferme in grado di promuovere l’adozione di modelli più o meno
paritari52. In tali dinamiche non può dunque essere secondaria la posizione
51
Cfr. Istat, Rapporto annuale 2010, op. cit.; C. Saraceno, La conciliazione di responsabilità
familiari e attività lavorative in Italia: paradossi ed equilibri imperfetti, op. cit.; F. Zajczyk,
La resistibile ascesa delle donne in Italia. Stereotipi di genere e costruzione di nuove
identità, Milano, il Saggiatore, 2007.
52
Cfr. C. Leccardi (a cura di), Tra i generi. Rileggendo le differenze di genere, di
generazione, di orientamento sessuale, Milano, Edizioni Guerini, 2002; F. Bimbi, Differenze
43
ricoperta dall’individuo all’interno della famiglia. La condizione di genitore,
figlio, partner in coppia, single, si intreccia con il genere di appartenenza,
rinviando a modelli diversi che prescrivono per ciascuna figura familiare,
maschile o femminile, il modo opportuno di comportarsi.
A questo proposito è interessante notare come lo schema di ripartizione
dei compiti già evidenziato, con le donne che mediamente dedicano al
lavoro domestico il doppio del tempo degli uomini, si ritrovi anche tra
quanti non vivono in coppia (cfr. tab. 1.12).
Tab. 1.12. Tempo dedicato al lavoro domestico, all’attività lavorativa e a sé stessi,
per sesso e per posizione nel nucleo familiare. Valori medi
Ore di lavoro domestico settimanali
Media
Dev.St. N
Persona sola
Maschi
Femmine
Totale
Ore di lavoro per il
mercato - settimanali
Media Dev.St.
N
Ore per i propri
interessi - giornaliere
Media Dev.St. N
9,9
20,8
15,4
6,9
19,5
15,7
48
50
98
41,4
39,5
40,5
11,5
14,3
12,9
36
34
70
4,5
3,9
4,2
3,3
2,7
3,0
51
51
102
Figlio con genitore/i
Maschi
8,2
Femmine
12,3
Totale
10,3
7,2
13,3
10,9
64
65
129
39,8
32,2
36,8
11,4
12,2
12,3
50
32
82
4,3
4,2
4,3
3,8
3,5
3,5
88
68
156
Coniuge/convivente senza figli
Maschi
14,1
10,7
Femmine
26,0
16,5
Totale
19,9
15,0
84
80
164
39,1
36,0
37,7
11,2
13,1
12,1
47
37
84
5,1
4,0
4,6
4,9
4,8
4,8
85
80
165
Coniuge/convivente con figli
Maschi
11,8
11,1
Femmine
27,9
19,3
Totale
19,9
17,6
131
133
264
43,0
35,0
39,4
11,2
10,7
11,6
120
97
217
3,0
2,4
2,7
3,6
2,1
3,0
144
126
270
Altra condizione
Maschi
Femmine
Totale
10,5
27,1
20,4
7,9
21,7
19,3
33
49
82
49,5
37,0
42,9
21,8
12,3
18,4
25
28
53
3,9
3,8
3,9
4,3
8,8
7,0
39
44
83
Totale provincia
Maschi
Femmine
Totale
11,3
23,7
17,7
9,8
19,0
16,4
360
377
737
42,1
35,7
39,2
12,8
12,1
12,9
278
228
506
4,0
3,5
3,7
4,0
4,4
4,2
407
369
776
e diseguaglianze. Prospettive per gli studi di genere in Italia, Bologna, il Mulino, 2003; E.
Ruspini, Le identità di genere, Roma, Carocci, 2003.
44
La gestione della casa e l’eventuale cura di familiari non conviventi,
infatti, sembrano richiedere ai single maschi solo 9,9 ore settimanali,
lasciando loro 4,5 a disposizione ogni giorno per i propri interessi, mentre
per le single donne l’impegno domestico arriva a 20,8 ore e le ore di tempo
libero sono solo 3,9.
D’altra parte, l’abitudine di contribuire alle faccende casalinghe in
modo sbilanciato a seconda del sesso si apprende precocemente se si
considera che le femmine dedicano ben 4 ore in più dei maschi alle attività
domestiche (12,3 contro 8,2) anche tra gli intervistati che ancora rivestono
la posizione di figlio e convivono con i genitori.
In completa sintonia con quanto rilevato in altre ricerche è poi la
modifica dei modelli organizzativi che coinvolge i partner di una coppia
quando sono presenti dei figli53. Indipendentemente dall’età dei figli, se gli
intervistati sono genitori, i loro schemi di divisione dei tempi tendono ad
aderire maggiormente ad una concezione tradizionale dei ruoli: le donne
aumentano il loro coinvolgimento nelle attività domestiche e familiari,
passando da 26 ore quando non hanno figli conviventi a quasi 28 quando
diventano madri, e riducono l’impegno professionale (da 36 a 35 ore). Gli
uomini, al contrario, diminuiscono il loro apporto alle faccende di casa,
passando da 14,1 a 11,8 ore, e prolungano il proprio orario di lavoro (da
39,1 a 43).
Benché la riduzione del contributo maschile sul fronte familiare possa
apparire compensata dal maggiore impegno sul fronte professionale, la
specificità di un contesto socio-economico in cui le casalinghe dichiarate
raggiungono appena l’11% del totale e oltre il 57% delle donne lavora
(meno di un terzo part-time), porta a chiedersi se, almeno per queste ultime,
non sia possibile attendersi un aumento del carico di lavoro domestico e
familiare più contenuto rispetto alle non occupate. Ciò che rivelano i dati è,
invece, esattamente l’opposto. Come prevedibile, la media delle ore dedicate
alle attività casalinghe è decisamente superiore tra le donne non occupate
che vivono in coppia, sia con che senza figli (rispettivamente 36,9 e 34,2),
ma l’aumento del carico di lavoro che subiscono le madri occupate con figli
è decisamente molto più consistente, portandole a raggiungere le 24,3 ore di
impegno dentro casa (a cui si aggiungono le 35,3 fuori casa), a fronte delle
15,9 ore dichiarate da quante non hanno figli.
Un ultimo approfondimento riguarda l’eventuale ruolo giocato dal
livello culturale familiare nel favorire l’adozione di modelli di genere più
paritari, aumentando l’apporto maschile e/o diminuendo quello femminile,
53
Cfr. Istat, Conciliare lavoro e famiglia: una sfida quotidiana, Argomenti n. 33, Roma,
2008; Istat, La divisione dei ruoli nelle coppie. Anno 2008-2009, op. cit.
45
evidenziato in altri studi54. A livello generale, l’effetto dell’istruzione sulle
ore di lavoro domestico e familiare svolte dalle donne appare
incontrovertibile, con una netta riduzione dei valori medi man mano che il
livello culturale sale (da 29 ore a 22 a 19), mentre, rispetto al contributo
maschile, non si riscontra alcun aumento sistematico (11 ore per gli uomini
appartenenti a nuclei familiari con livelli di istruzione bassi o elevati e 12
per quelli medi). Tuttavia, è il confronto tra uomini e donne in coppia – con
e senza figli – a far emergere i contrasti più stridenti.
Prendendo in considerazione prima di tutto i partner maschi, con e
senza figli, si nota come, parallelamente alla crescita del livello culturale, si
registri una attenuazione dello schema tradizionale secondo cui, in presenza
di figli, il già limitato contributo domestico viene ulteriormente diminuito in
cambio di un aumento dell’attività lavorativa. Da una piena adesione a tale
schema, particolarmente evidente nelle famiglie meno scolarizzate (dove gli
uomini senza figli lavorano in media 41 ore, aiutando in casa per 16 ore
settimanali, mentre quelli con figli lavorano 44 ore, aiutando per sole 8 ore),
si passa ad una prima innovazione, visibile nelle famiglie mediamente
istruite (dove gli uomini aumentano considerevolmente il loro orario di
lavoro, da 38 a 43 ore settimanali, senza però ridurre il contributo domestico
che resta pari a 13 ore), a quello che può apparire come il primo segnale di
una nuova concezione di genitorialità tra le famiglie con un livello culturale
più elevato (le ore lavorate aumentano da 40 a 42, ma aumenta anche il
contributo all’attività domestica da 11 a 13 ore).
Del tutto diverso è il modo in cui il livello culturale familiare sembra
interagire con il tempo femminile, la cui complessa articolazione è spesso
l’esito di compromessi tra priorità personali e familiari in contrasto tra loro.
Le donne con figli che vivono in nuclei familiari a bassa scolarizzazione
sembrano adottare un modello simile a quello maschile, con un
coinvolgimento nelle attività domestiche e familiari invariato (31 ore) e un
prolungamento dell’orario lavorativo (da 29 a 34 ore), probabilmente per far
fronte alle accresciute esigenze economiche. Nelle famiglie con istruzione
media, invece, il modello femminile appare complementare a quello
maschile tradizionale: quando sono presenti dei figli, la donna aumenta il
proprio impegno dentro casa (da 23 a 29 ore) e diminuisce quello fuori casa
(da 40 a 35 ore), avvicinandosi allo schema male breadwinner/female parttime carer55. Nelle famiglie con un livello di istruzione elevato, infine, le ore
54
Cfr. C. Saraceno, La conciliazione di responsabilità familiari e attività lavorative in Italia:
paradossi ed equilibri imperfetti, op. cit.; E. Ruspini (a cura di), Donne e uomini che
cambiano. Relazioni di genere, identità sessuali e mutamento sociale, Milano, Edizioni
Guerini, 2005; Istat, I tempi della vita quotidiana, op. cit.
55
Cfr. B. Pfau-Effinger, Change of Family Policies in the Sociocultural Context of European
Societies, in «Comparative Social Research», n. 18, 1999, pp. 135-159.
46
dedicate dalle donne al lavoro casalingo crescono (da 19 a 24) e si riducono
quelle per il lavoro retribuito (da 37 a 34). Si tratta di un risultato a prima
vista poco coerente con i modelli teorici che tendono a considerare le madri
lavoratrici appartenenti a tale gruppo come le più interessate a restare nel
mercato del lavoro e le meglio attrezzate, culturalmente e materialmente, per
far fronte ad eventuali difficoltà di conciliazione. Tuttavia, una riduzione
dell’orario di lavoro temporanea potrebbe rappresentare per le madri più
istruite una scelta strategica, compiuta per superare un momento critico e
resa possibile proprio dalla loro migliore posizione sul mercato del lavoro,
in grado di proteggerle dalla completa rinuncia all’impiego a cui spesso
vanno incontro le lavoratrici con bassi titoli di studio e basse qualifiche56.
Gli elementi in gioco, le combinazioni e i significati della
riorganizzazione dei tempi della coppia sono indubbiamente più complessi e
numerosi di quelli ricostruiti finora. Nondimeno le analisi condotte
confortano l’ipotesi di una connessione tra allocazione del tempo e
posizione ricoperta dagli individui, maschi e femmine, all’interno delle
rispettive famiglie, e, soprattutto, rivelano come l’essere donna, ancora oggi
e in ogni posizione, risulti associato ad una maggiore
assunzione/attribuzione di responsabilità domestiche e familiari.
Data la complessità degli equilibri in qualche modo raggiunti dagli
intervistati, è utile affiancare alle considerazioni precedenti un
approfondimento specifico teso ad indagare la soddisfazione dei singoli
individui rispetto alla quantità di tempo che possono/devono dedicare ad
alcune delle attività più comuni e la loro percezione di come tale quantità sia
eccessiva, insufficiente o adeguata.
Il quadro ricostruito a partire dalle risposte ritrae gli uomini e le donne
della provincia di Forlì-Cesena come abbastanza soddisfatti della propria
organizzazione temporale dal momento che tutte le attività indagate
raccolgono una quota di consensi superiore al 50% alla voce il giusto tempo
(cfr. tab. 1.13). L’unica eccezione è costituita dalla domanda relativa alla
possibilità di svolgere attività di volontariato e/o di tipo politico/sindacale
per cui i consensi rispetto al tempo giusto scendono al 46,7%57.
56
Istat, Rapporto annuale 2010, op. cit.
Osservando tale dato parrebbe esserci un potenziale di partecipazione sociale del tutto
inesplorato e non utilizzato: circa un intervistato su due, infatti, più le femmine dei maschi,
considera troppo poco il tempo che riesce a dedicare ad attività in cui, stando alle loro stesse
dichiarazioni (cfr. capitolo 4), risulta coinvolto solo in misura piuttosto ridotta. Va tuttavia
segnalato come rispetto a tali attività ben il 66% degli intervistati non abbia fornito alcuna
risposta, suggerendo come a sentire la mancanza di tempo siano in realtà persone già
impegnate nel volontariato o nell’attività politico/sindacale, che desidererebbero potervi
dedicare maggiori energie, mentre la maggioranza dei cittadini appaia non interessata a
svolgerle in nessun caso.
57
47
Tab. 1.13. Soddisfazione degli intervistati per il tempo dedicato alle diverse attività
per sesso. Valori %
Poco tempo Il giusto
Troppo
Totale
N
tempo
tempo
M
F
M
F
M
F
M
F
M
F
Il mio lavoro
2,1 6,3 63,2 68,6 34,7 25,1 100 100 285 239
Lavoro domestico e
familiare
Mantenere contatti con
i parenti
Mantenere contatti con
amici e conoscenti
I miei hobby e
interessi
Dormire
Svolgere attività di
volontariato o di tipo
politico/sindacale
43,8 18,9 54,9 65,0
1,3
16,1
100
100 384
391
44,3 43,5 54,0 53,7
1,7
2,8
100
100 422
398
28,6 35,0 67,1 61,2
4,3
3,8
100
100 420
397
39,4 47,1 54,1 51,1
6,5
1,8
100
100 416
378
31,6 29,9 63,9 63,7
4,5
6,4
100
100 427
402
48,9 57,0 46,7 42,3
4,4
0,7
100
100 137
142
Il dato mediamente positivo registrato non implica, tuttavia, né che la
soddisfazione sia uguale per tutti né che non esistano zone d’ombra: la
sensazione di scarsità di tempo interessa infatti quote rilevanti di intervistati,
che oscillano tra il 30% e il 50%. Oltre al già ricordato ambito associativo,
gli aspetti della vita quotidiana in cui più forte si fa sentire la mancanza di
tempo sono la gestione dei rapporti con i parenti e la possibilità di seguire i
propri hobby e interessi. Se nel primo caso le percentuali di femmine e di
maschi insoddisfatti praticamente si equivalgono ed entrambi si attestano
poco oltre il 40%, nel caso del tempo per sé emerge una maggiore
insofferenza femminile per l’impossibilità di dedicarsi alle attività
desiderate (47,1% contro 39,4%).
Opinioni maschili e femminili divergono in modo considerevole anche
a proposito del tempo dedicato al lavoro domestico. Sono, un po’ a sorpresa,
gli uomini, con un cospicuo 43,8% (al terzo posto dopo volontariato e
parenti), a rammaricarsi dell’impossibilità di contribuire come vorrebbero
alle attività casalinghe58, mentre tra le intervistate la percentuale di quante
segnalano la propria insoddisfazione per questo aspetto della vita quotidiana
si ferma al 18,9% (quota quasi controbilanciata dal 16,1% che ritiene di
dedicarvi fin troppo tempo).
Uomini e donne si trovano invece d’accordo a proposito del troppo
tempo richiesto dal lavoro, l’unico aspetto a raccogliere proporzioni
58
Va però segnalato come nella descrizione dell’item fosse esplicitamente inclusa la
manutenzione della casa, l’unica attività domestica al cui proposito tutte le ricerche sull’uso
del tempo concordano nel registrare un picco di collaborazione maschile.
48
significative di scontenti, il 34,7% dei maschi e il 25,1% delle femmine.
Quando nelle intense agende settimanali esaminate in precedenza si devono
incastrare anche tutte le altre attività quotidiane, la pressione temporale
tende ad aumentare rapidamente e con essa l’insoddisfazione. Nella
crescente competizione tra attività che richiedono tutte tempo ed attenzione,
è il tempo lavorativo, per lo più incomprimibile e vincolato, a provocare il
malcontento maggiore. Le altre attività, infatti, consentono spesso maggiori
margini di manovra, possono essere rimodulate o anche trascurate a seconda
della presenza di esigenze concorrenti; l’orario di lavoro, invece, solo in
alcuni casi può essere ridotto e, nel contesto attuale, rischia di diventare
sempre meno governabile dai singoli e sempre più condizionato, tanto nelle
diminuzioni quanto negli aumenti, dalle esigenze economiche e produttive
anziché personali.
La distinzione tra occupati e non occupati diventa così il discrimine
principale tra gli intervistati, in grado di farli propendere verso la
soddisfazione o l’insoddisfazione per il proprio equilibrio temporale e
capace di erodere la quota di individui (maggioritaria a livello generale) che
dichiaravano di riuscire a dedicare il tempo giusto ad ogni cosa (cfr. fig.
1.11).
Fig. 1.11. Intervistati, occupati e non occupati, che dichiarano di avere poco tempo
per svolgere le diverse attività
70
60
50
40
30
20
10
0
Lavoro domestico e
familiare
Mantenere contatti con Mantenere contatti con I miei hobby e interessi
i parenti
amici e conoscenti
Lavora
Dormire
Svolgere attività di
volontariato o di tipo
politico/sindacale
Non lavora
49
In particolare, se chi lavora denuncia in proporzione maggiore rispetto a
chi non lavora la propria mancanza di tempo in tutti gli ambiti osservati (con
scarti tra i 16 e i 26 punti percentuali), i divari più ampi emergono a
proposito delle relazioni con parenti (54,3% contro 27,7%) e amici (41,3%
contro 16,3%) e degli interessi e hobby personali (26,9% contro 52,9%),
proprio le attività più facilmente comprimibili in caso di necessità.
Una seconda variabile in grado di incidere sulla ripartizione tra
soddisfatti e insoddisfatti è costituita dall’età. In questo caso non emerge
alcuna tendenza univoca, né una fascia di età ugualmente in sofferenza
rispetto a tutti gli ambiti di attività; si può tuttavia identificare negli adulti in
età centrale, tra i 30 e i 49 anni, la categoria di soggetti più a rischio di
sovraccarico temporale. Sono loro infatti a riferire in proporzione maggiore
di avere poco tempo per tenere i contatti con parenti e amici, per occuparsi
dei propri hobby e perfino per dormire, mentre da un lato gli anziani
appaiono i più soddisfatti del loro equilibrio temporale, dall’altro i giovani
sembrano risentire della scarsità di tempo per lo più a proposito del lavoro
domestico, dei rapporti con i parenti e della partecipazione associativa.
Altri fattori sono ovviamente in grado di alterare a livello individuale
tanto le esigenze temporali quanto la percezione di scarsità del tempo
disponibile per soddisfarle, spesso operando in modo congiunto e/o
sovrapponendosi (ad esempio, come si è già notato, età e titolo di studio, età
e ruolo familiare ma anche sesso e ruolo familiare). Un cenno specifico va
però dedicato ad un elemento di contesto, che prescinde dalle caratteristiche
socio-demografiche dei singoli, ma consente di fotografare alcune differenze
nella valutazione dell’adeguatezza della propria organizzazione temporale: il
distretto di residenza. Uno sguardo generale all’andamento delle risposte nei
tre distretti identifica i residenti nei territori del Rubicone-Costa e di
Cesena-Valle Savio come i più soddisfatti del tempo a loro disposizione,
seguiti a qualche distanza dai forlivesi. Si tratta, è evidente, di
un’indicazione sintetica e approssimata, relativa ad una percezione più che
ad un fatto concreto, e che per essere compresa richiederebbe valutazioni
più complesse di tutti gli aspetti che caratterizzano le diverse aree di
insediamento – dal mercato del lavoro alla mobilità urbana, dalla
composizione demografica alla disponibilità di servizi, dalla conformazione
fisica del territorio alla configurazione sociale di chi lo abita – che,
evidentemente, esulano dallo scopo del presente lavoro. Tuttavia, con tutte
le cautele del caso, si possono segnalare gli ambiti in cui emergono le
maggiori disparità tra le valutazioni dei residenti nei tre distretti: gli abitanti
dell’area
Rubicone-Costa
esprimono
in percentuale maggiore
insoddisfazione per il tempo da dedicare ai propri hobby e interessi (49,2%
contro 39,2% dei Cesenati); i residenti nel Cesenate-Valle Savio, a loro
volta, si lamentano del poco tempo disponibile per mantenere i contatti con i
50
parenti (49,2% contro 35,7% del Rubicone-Costa); i forlivesi, invece,
manifestano in quota maggiore il loro disappunto per il troppo tempo
destinato al lavoro (35,7% contro 21,4% di Cesena-Valle Savio) e per la
scarsità di quello dedicato al lavoro domestico (32,2% contro 30,3% del
Rubicone-Costa), a tenere i contatti con gli amici (33,2 contro 30,0% di
Cesena-Valle Savio) e fare volontariato o attività politico-sindacale (56,5%
contro 46,4% di Rubicone-Costa).
Ancora una volta, il cuore dell’insoddisfazione sembra essere
l’eccessivo impegno richiesto dal lavoro, che finisce col sottrarre tempo ed
energie a tutti gli altri spazi vitali. Per questo motivo e per saggiare in modo
esplicito le reciproche interazioni tra ambito domestico-familiare e ambito
lavorativo, l’ultimo quesito sollecitava gli intervistati con un’occupazione a
riferire con quale frequenza fosse capitato loro, nella vita concreta di ogni
giorno, di rientrare troppo stanchi dal lavoro per occuparsi delle faccende
domestiche o familiari e/o quante volte invece i problemi familiari avessero
inciso sulla loro prestazione lavorativa (cfr. tab. 1.14).
Tab. 1.14. Frequenza con cui gli intervistati occupati si sono trovati nelle diverse
situazioni per sesso. Valori %
Mai/
Più volte Più volte al Totale
N
raramente
l’anno
mese/alla
settimana
M
F
M F
M
F
M F M F
Arrivare a casa dal lavoro
talmente stanco da non
essere in grado di svolgere
i lavori di casa
Difficoltà di fronte alle
responsabilità familiari per
l’eccessivo impegno
lavorativo
Difficoltà di
concentrazione sul lavoro
a causa di responsabilità e
problemi familiari
28,4
23,1 32,1 32,4
39,5
44,5 100 100 218 173
48,0
35,2 37,3 47,0
14,7
17,8 100 100 225 185
50,6
39,2 42,6 44,9
6,8
15,9 100 100 235 176
Osservando le risposte disaggregate per sesso emerge immediatamente
come a soffrire di più per il sovrapporsi dei due ambiti di vita siano le
donne, in sintonia con quanto sembravano suggerire già i dati
sull’organizzazione temporale analizzati in precedenza. Le percentuali di
uomini che dichiarano di non aver mai sperimentato o di essersi trovati solo
raramente nelle condizioni di disagio ipotizzate, infatti, superano sempre
quelle delle donne (dai 5 ai 13 punti di distacco) che, al contrario, mostrano
punteggi superiori a quelli maschili quando si osservano le frequenze più
51
ravvicinate, mensili e settimanali (dai 3 ai 9 punti di distacco). La
circostanza più critica appare quella della gestione dei lavori di casa: dopo
un’intensa giornata di lavoro quasi metà delle lavoratrici (44,5% a fronte del
39,5% degli uomini) prova, più volte al mese o addirittura più volte alla
settimana, una stanchezza tale da non essere in grado di svolgere le faccende
domestiche come di consueto. Al di là delle valutazioni astratte, l’equilibrio
tra lavoro per il mercato e lavoro casalingo continua ad essere piuttosto
instabile per le donne, soprattutto se si considera la frequenza con cui
sembrano verificarsi occasioni di conflitto che sfociano in una concreta
difficoltà nel far fronte ai propri impegni in uno dei due ambiti.
Tuttavia, l’analisi degli stessi dati effettuata alla luce oltre che del sesso
anche della posizione ricoperta da ciascun intervistato nel proprio nucleo
familiare rivela come, ancora una volta, sia la combinazione donna più
carichi familiari a mettere maggiormente alla prova il precario equilibrio che
tiene insieme i tempi per ogni cosa. Le donne con figli, infatti, oltre ad avere
in comune con tutte le altre donne la citata tensione a proposito delle
faccende casalinghe da svolgere al rientro dal lavoro, si ritrovano più
numerose a sperimentare tensioni anche sul fronte professionale: il 21,9%
dichiara di aver incontrato almeno più volte al mese difficoltà nel
concentrarsi sul luogo di lavoro a causa di problemi familiari da cui non
riescono a separarsi, a fronte di un ridotto 7,4% totalizzato dagli uomini
nella stessa condizione.
Più egualitario, se così si può definire, il disagio di uomini e donne in
coppia con figli nei confronti dei doveri propriamente familiari. In questo
caso la quota di lavoratori e lavoratrici che incontrano problemi più volte al
mese (o anche più spesso) nel rispondere alle proprie responsabilità
familiari a causa dell’impegno eccessivo nel lavoro è pari circa al 20% per
entrambi i sessi. La sensibilità e il coinvolgimento maschile, quando si tratta
di questioni familiari e non semplicemente domestiche, sembra dunque
avvicinarli all’esperienza femminile della conciliazione non riuscita tra
famiglia e lavoro, anche se ben il 39,1% dei lavoratori, a fronte del 27,4%
delle lavoratrici, dichiara comunque di non aver mai sperimentato momenti
critici o di averlo fatto solo raramente.
La verifica dell’andamento delle risposte in relazione al distretto di
residenza conclude l’analisi degli equilibri temporali degli intervistati
offrendo un prospettiva del tutto diversa da quella osservata attraverso le
opinioni sull’adeguatezza dei tempi dedicati alle diverse attività. Il quadro
dell’effettivo verificarsi di situazioni critiche sul fronte lavorativo o
familiare causate dall’eccessivo dispendio di tempo ed energie sull’altro
fronte ritrae, infatti, i residenti nel distretto di Forlì come gli intervistati che
sperimentano con meno frequenza le tre situazioni in esame, nonostante
52
avessero segnalato più degli altri un’insoddisfazione per i propri tempi di
vita. Al contrario, proprio i residenti a Cesena-Valle Savio, che meno di tutti
lamentavano la mancanza di tempo per le altre attività, risultano quelli che
più spesso vivono sulla propria pelle i conflitti tra i vari ambiti della
quotidianità.
Al di là delle tante variabili contestuali e individuali, impossibili da
tenere sotto controllo contemporaneamente, ciò che i dati sembrano in ogni
caso dimostrare è come percezioni astratte e situazioni concrete si trovino in
realtà su due piani diversi e come per tentare di valutare in modo obiettivo le
difficoltà quotidiane nel conciliare esigenze e tempi diversi sia necessario
prestare attenzione alle specifiche configurazioni adottate da ciascuno
nell’organizzazione delle proprie attività.
1.6. Rilievi di sintesi
La ricostruzione della quotidianità di individui e famiglie attraverso
l’analisi di aspetti come le esigenze di cura, le relazioni di aiuto, gli eventi
biografici e i tempi di vita, ha consentito di mettere a fuoco il panorama di
vincoli e opportunità connessi alla sfera familiare entro cui gli intervistati si
muovono.
Vivere in una famiglia numerosa o da soli, essere un genitore oppure un
figlio – solo per citare alcuni casi – ha evidenti ripercussioni tanto sulle
responsabilità e i doveri di cui farsi carico, quanto sui margini di autonomia
con cui prendere decisioni e gestire il proprio tempo. Altrettanto evidente è
l’intreccio con le principali variabili demografiche, quali l’età e il sesso, a
cui più volte si è fatto cenno nel corso delle analisi precedenti, mentre meno
generalizzato sembra essere l’impatto delle variabili sociali, quali il titolo di
studio, la posizione professionale e il reddito.
Un’efficace sintesi della vita quotidiana dei residenti in provincia di
Forlì-Cesena rispetto alla sfera familiare potrebbe forse essere quella di una
quotidianità pacata, tranquilla e tranquillizzante, in cui non sembrano
emergere criticità intollerabili né necessità urgenti di sostegno per far fronte
ad un sovraccarico, di cura o temporale. Con equilibri – e certamente dosi di
affanno – molto diversi, i nuclei familiari osservati sembrano, infatti,
almeno per il momento, riuscire ad organizzarsi e a gestire le proprie
esigenze e le proprie risorse attraverso una sorta di internalizzazione
allargata, che impegna in modo consistente la rete parentale ma che, non
riuscendo ad aprirsi ad altri soggetti, attinge in modo massiccio alla riserva
temporale femminile, quasi potesse essere illimitata.
53
Tuttavia, se dalla fotografia dell’esistente non emergono vulnerabilità
eclatanti, ciò non significa che non ci siano individui e nuclei familiari
fragili o a rischio e, soprattutto, che, senza un ripensamento delle basi su cui
si fonda l’equilibrio attuale, non ce ne saranno. Il quieto vivere e la calma
apparente che sembrano trasparire dal quadro appena delineato, infatti,
hanno in realtà un carattere temporaneo e portano in sé già i segnali di una
tensione futura che tanto le trasformazioni demografiche quanto il difficile
contesto economico di questo periodo rischiano di aggravare.
L’analisi delle modifiche nelle transizioni biografiche ha messo in
evidenza come indizi del più generale mutamento socio-demografico che sta
interessando l’intero Paese siano ormai visibili anche in provincia di ForlìCesena. La difficoltà di immaginare le ripercussioni concrete di tali
mutamenti sulla vita quotidiana delle famiglie italiane nei prossimi decenni
può indurre a ritenerlo poco più di un fatto di costume: un mutamento
segnalato dagli studiosi, ma che ancora non ha provocato squilibri realmente
insostenibili. E ciò appare ancora più vero a livello locale. Al di là delle
modifiche nelle cadenze delle transizioni tra classi di età diverse, illustrate
nel paragrafo 1.4., infatti, le grandi trasformazioni attese nella famiglia e
nell’organizzazione quotidiana non sembrano ancora così evidenti e la
tradizionale coppia con figli è ancora la forma di famiglia più diffusa in
provincia. Tuttavia, tali trasformazioni, benché sottotraccia, stanno
interessando tutto il territorio provinciale, con un andamento del tutto simile
a quello riscontrato a livello nazionale.
Nonostante il contributo delle donne straniere, un recupero completo
della natalità fino alla soglia di sostituzione appare ormai impensabile,
almeno per la generazione delle nate tra la metà degli anni sessanta e l’inizio
degli anni settanta che sta registrando la quota di donne senza figli tra le più
elevate in Europa (circa il 20% per la coorte nata nel 196459), riducendo così
la platea di potenziali care givers per la prossima generazione di anziani che
tende, invece, ad ampliarsi. Da un lato, dunque, la pressione sulle reti di
sostegno parentali rischia di aumentare, dall’altro sono le reti stesse a
restringersi e a invecchiare, aprendo nuovi fronti di vulnerabilità.
Altrettanto sottotraccia, ma altrettanto gravide di conseguenze,
rischiano di essere le ripercussioni della crisi economica; ancora una volta
gli effetti non sono (stati) immediatamente visibili, grazie anche alla tenuta
del tessuto produttivo locale e degli ammortizzatori sociali. Tuttavia, come
mettono in luce i dati più recenti sull’occupazione nel Paese, la situazione
sta rapidamente cambiando. Il lavoro diventa sempre più centrale per poter
avere accesso a risorse e diritti. Sempre meno tutelato, nelle sue forme e
59
Cfr. OECD, Family database, http://www.oecd.org.
54
condizioni, rischia di costringere uomini e donne ad abbassare le proprie
aspettative, ad adattarsi e ad accettare anche orari difficili da conciliare con
le proprie esigenze familiari e di cura, pur di non rinunciare a quella che per
la maggior parte dei cittadini resta la principale fonte di sostentamento.
Nonostante il quadro apparentemente tranquillo i dati presentati
invitano a mantenere un’attenzione costante su ciò che avviene e avverrà già
nei prossimi mesi, quando gli effetti a lungo termine della crisi saranno
divenuti più pervasivi ed evidenti, trasformando piccole difficoltà
quotidiane o squilibri temporanei in qualcosa di più grave e permanente.
Come si è visto, sempre più il passaggio dalla normalità alla vulnerabilità e
dalla vulnerabilità alla problematicità che si accompagna alla povertà di
risorse – economiche e relazionali – si verifica quando fragilità e fronti
critici si sovrappongono, facendo crollare gli equilibri precari su cui tante
delle esistenze cosiddette normali oggi sono costruite.
È vero, infatti, che la quota di famiglie con carichi di cura elevati è
ridotta, così come i conflitti temporali sono tutto sommato modesti, ma se si
osservano i due aspetti insieme si nota come in molti casi essi si combinino,
dando luogo a situazioni potenzialmente critiche su più fronti, soprattutto
nel caso in cui le reti di sostegno, per quanto efficienti, facciano perno
prevalentemente sulla famiglia. Tanto il carico familiare quanto la pressione
temporale percepita risultano già oggi molto più elevati tra quegli
intervistati che vivono in nuclei con familiari, giovani o anziani, che
necessitano di assistenza. Si tratta di una quota non irrilevante di intervistati
impegnati, ogni settimana, per 60 ore e oltre tra lavoro per il mercato e
lavoro familiare; intervistati e cittadini che potrebbero trovarsi ad essere le
prime vittime collaterali delle trasformazioni socio-demografiche ed
economiche in corso.
55
2. Il lavoro: esperienze, orientamenti e servizi
di Claudia Dall’Agata
2.1. Premessa
Sul fronte del lavoro diversi sono i processi e le trasformazioni che, a
livello micro e macro, hanno riguardato negli ultimi decenni le imprese e il
sistema di produzione e organizzazione da un lato e i lavoratori e le
condizioni di lavoro dall’altro.
Rispetto ai lavoratori tali mutamenti hanno dato avvio a processi di
fragilizzazione dei percorsi e delle biografie e ad un aumento della
concentrazione dell’instabilità soprattutto per certe categorie di soggetti. Le
conseguenze sono visibili a livello di progettualità – sia individuale che
collettiva – mentre si differenziano le condizioni socio-economiche
territoriali. Il tutto in un quadro in cui il sistema di welfare italiano,
soprattutto per coloro che sono più a rischio di precarietà, risulta sempre più
debole e inadeguato.
Accanto a lavoratori che si muovono al centro del sistema, stabili e più
tutelati vi sono quelli periferici che maggiormente risentono delle incertezze
e godono di meno diritti. Tuttavia, se nella società della conoscenza si assiste
ad un aumento della polarizzazione nel mercato del lavoro tra chi sta fuori e
chi sta dentro, tra occupati e disoccupati, tra “protetti” e “a rischio”, è anche
vero che i confini tra i due mondi diventano molto più labili e permeabili.
Così anche tra coloro che sono occupati si notano disomogeneità in termini
di diritti e risorse differenti, a seconda di fattori come genere, territorio di
appartenenza, dimensione di impresa, settore economico, ecc.
Tale proliferazione di posizioni dà vita a differenti concezioni del
lavoro anche assai distanti tra di loro e all’estendersi di attività esterne al
mercato del lavoro, che hanno a che fare con la cosiddetta sfera della
reciprocità e della società civile. I termini coniati per questo tipo di società
sono diversi: società dei lavori, società pluriattiva, società a termine1. Tutti
però intendono sottolineare la crisi di un modello socio-organizzativo e
lavoristico incentrato sul lavoro tipico della società fordista, le cui
caratteristiche erano, fra le altre, quelle della stabilità e della continuità.
Tale modello ha conosciuto varie declinazioni territoriali a seconda
delle differenti culture, dello sviluppo storico, delle istituzioni, del tessuto
imprenditoriale e dei diversi sistemi di regolazione affermatisi a livello
locale. In provincia di Forli-Cesena, non diversamente da quanto verificatosi
1
Cfr. R. Sennet, L’uomo flessibile, Milano, Feltrinelli, 2001.
56
in altre aree del nord-est del paese, ha prevalso uno sviluppo socioeconomico caratterizzato dalla micro-impresa o dai distretti industriali basati
sulla specializzazione flessibile anziché sulla produzione di massa.
L’economia informale ha spesso avuto un grosso peso nell’influenzare
l’andamento dell’economia e molto rilevante è stato anche il ruolo del
sistema di relazioni industriali sostenuto da istituzioni politiche locali che
hanno contribuito a rafforzare un tessuto fiduciario in grado di promuovere
tali modelli di sviluppo.
Tuttavia, è possibile individuare alcune tendenze comuni che negli
ultimi anni hanno caratterizzato i sistemi produttivi territoriali. Ci si riferisce
in particolare ai processi di globalizzazione, di terziarizzazione, di
femminilizzazione del mercato del lavoro e di flessibilizzazione della
produzione, della tecnologia, delle organizzazioni e dei rapporti di lavoro,
che, interagendo con i modelli di sviluppo socio-economico, hanno avuto
ricadute differenti nei diversi contesti locali.
Un elemento importante da segnalare nel panorama dei cambiamenti di
questi ultimi anni è la sempre più massiccia adozione di forme di lavoro non
standard, definite anche atipiche2. Nonostante un utilizzo crescente da parte
delle imprese e l’enfasi posta sull’emergere di questa tipologia di lavoro
(messa in evidenza anche dalle analisi condotte in maniera sistematica
soprattutto a partire dalla fine degli anni ‘90), il peso di tale forma di lavoro
rispetto a quello standard, rimane marginale. All’interno di questa tipologia
(che prevede anche contratti svincolati dalla categoria della dipendenza
lavorativa), quello che sembra incidere maggiormente oggi è il contratto a
tempo determinato3. E non c’è dubbio che siano le donne e i giovani le
categorie che al momento sperimentano maggiormente tale precarizzazione
del lavoro.
Se cambia il lavoro non possono non modificarsi anche i significati ad
esso attribuiti. D’altra parte, mentre viene ribadita la maggior libertà
dell’individuo nelle scelte, la sua capacità di autodeterminare il proprio
destino, in maniera più attiva rispetto al passato, il lavoro non è più l’unica
fonte di identità dei soggetti. L’individualizzazione della società e il
mutamento culturale avvenuto all’interno delle imprese e delle
organizzazioni hanno infatti condotto a un cambiamento degli orientamenti
legati al lavoro che perdono terreno a favore di valori personali, legati alla
sfera privata e della reciprocità. Il disincanto del lavoro emerge con forza
soprattutto nelle giovani generazioni tra cui cresce il peso attribuito ad altre
2
Numerosi sono stati i cambiamenti che accompagnano questo processo tra cui quelli legati al
modello capitalistico, alla struttura imprenditoriale a livello macro e micro, alla
globalizzazione, all’impatto sulla produzione e sul lavoro delle nuove tecnologie, ecc.
3
Dal 1993 al 2007 il peso del lavoro a termine nell’ambito del lavoro dipendente è cresciuto
più del 30% (Istat, Rilevazione continua sulle forze di lavoro).
57
esperienze sociali. Tali esperienze, però, non sostituiscono quella lavorativa
ma più probabilmente vanno ad affiancarsi ad essa. Così, se il lavoro perde
la sua centralità come unica esperienza ed occasione di realizzazione, non si
può non riconoscerne l’importanza nel processo di costruzione dell’identità4.
Comprendere come mutano i significati del lavoro diventa importante per
capire come le diverse esperienze lavorative e di vita delle persone si
rapportano e si influenzano reciprocamente. Il significato del lavoro e le sue
trasformazioni diventano infatti uno strumento per analizzare come
cambiano i rapporti sociali tra gli individui e quindi come varia la società in
generale.
Rispetto alla crisi attuale che nasce alla fine del 2008, ma che pare
destinata a lasciare un segno profondo sulle condizioni socio-economiche dei
paesi, sugli assetti sociali e politici, sugli atteggiamenti e i comportamenti di
consumo, c’è da chiedersi quale possa esserne l’influenza sugli aspetti legati
al lavoro e sulla tenuta di un modello sociale basato in misura crescente sulla
precarietà. Una crisi di origine soprattutto finanziaria ma che minaccia
profondamente la coesione e il legame sociale sui cui la società si fonda con
ricadute differenti nei diversi paesi in base ai modelli economici, ai sistemi
di welfare nazionali, al funzionamento del mercato del lavoro e più in
generale delle istituzioni.
Anche da un punto di vista micro le attuali difficoltà economiche hanno
un peso diverso sui singoli individui, a seconda del territorio in cui
risiedono, del genere, della classe sociale, delle risorse famigliari, dei titoli di
studio acquisiti e del livello culturale, dell’etnia, ecc... Ma ciò che più conta
è che la crisi diffusasi così rapidamente, repentinamente e globalmente, non
sembra più essere una questione congiunturale, ma avere a che fare con le
radici profonde della società. Nel prossimo futuro interessante sarà
comprendere se si tratta di un fenomeno che ha prodotto (o produrrà) una
discontinuità, una cesura rispetto al passato o se invece ha solo evidenziato
gli assetti già fragili e vulnerabili delle società contemporanee, sempre più
liquide, individualizzate e caratterizzate dall’insicurezza.
Di fronte a tali cambiamenti anche il sistema di welfare e in particolare
il sistema di protezione sociale necessitano di adeguarsi alle inedite
configurazioni, soprattutto per quanto riguarda le tutele del lavoro
temporaneo e l’inserimento lavorativo.
Già dalla fine degli anni ‘80 nell’ambito delle politiche di contrasto
della povertà, della disoccupazione e dell’esclusione sociale si è cominciato
a parlare di misure di attivazione dei cittadini. Lo scopo non è solo quello di
proteggere i soggetti in particolari momenti di difficoltà e crisi,
supportandoli con misure di tipo passivo, ma di creare le condizioni
4
Cfr. G. Gosetti, Giovani, lavoro e significati, Milano, FrancoAngeli, 2004.
58
favorevoli perché le persone siano in grado di inserirsi nel mercato del
lavoro, partecipando attivamente al proprio processo di integrazione. Da qui
l’idea di un active welfare state5 che si basa su una concezione promozionale
o abilitante delle capabilities degli individui attraverso un intervento
pubblico che ha come principale obiettivo l’empowerment dei cittadini,
raggiunto tramite una loro responsabilizzazione e un ampliamento della loro
libertà sostanziale, intesa come possibilità di negoziazione e codefinizione
del servizio. Questa nuova concezione ha delle inevitabili ricadute anche nel
modo di riformare e di organizzare i servizi pubblici per l’impiego. Servizi a
cui è richiesta maggiore flessibilità e integrazione sia a livello orizzontale –
rispetto alle politiche sociali e del lavoro – sia verticale – rispetto alle altre
istituzioni, pubbliche e private. La traduzione pratica di tale concezione non
è stata, però, né così immediata né tanto meno univoca ma, ancora una volta
ha dato avvio a modelli diversi nei diversi paesi, in relazione anche ai
rispettivi sistemi di welfare, che di fatto non sempre hanno portato benefici o
risolto problema dell’inserimento sociale e lavorativo dei soggetti6.
Nei successivi paragrafi si analizzeranno i risultati dell’indagine
condotta in provincia di Forlì-Cesena considerando le tematiche relative alla
condizione occupazionale, agli orientamenti verso il lavoro, alla ricerca di un
lavoro e ai servizi per l’impiego pubblici.
2.2. Esperienze lavorative e condizione non occupazionale
Prima di analizzare i risultati dell’indagine rispetto alle tematiche
lavorative, si intende fornire, seppur sinteticamente, un quadro delle
condizioni occupazionali a livello provinciale, regionale e nazionale in
relazione ad alcuni dei principali indicatori relativi al mercato del lavoro.
I dati Istat 2010 relativi al mercato del lavoro in Italia (cfr. tab. 2.1)
mostrano un tasso di occupazione pari al 56,9% in calo rispetto al
quadriennio 2007 - 2010. A livello territoriale sia il tasso di occupazione
regionale (67,4%) che provinciale (67,9%) risultano superiori a quello
nazionale. La provincia di Forlì-Cesena, nonostante la crisi, nel 2010, mostra
una tenuta migliore dell’occupazione, attestandosi sul livello del dato
occupazionale 2007. Il dato relativo al tasso di disoccupazione nella
5
Cfr. M. Paci, Nuovi lavori, nuovo welfare, Bologna, il Mulino, 2005.
Per una critica delle politiche di attivazione cfr., tra gli altri, M. Villa, Dalla protezione
all’attivazione. Le politiche contro l'esclusione tra frammentazione istituzionale e nuovi
bisogni, Milano, FrancoAngeli, 2007. Per un quadro sulle differenti declinazioni del concetto
di attivazione si veda R. Van Berkel, Inclusione attraverso la partecipazione? Riflessioni
sulle politiche di attivazione nell’Unione europea, in Borghi V. (a cura di), Vulnerabilità,
inclusione sociale e lavoro, Milano, FrancoAngeli, 2002.
6
59
provincia di Forlì-Cesena cresce, però, nel quadriennio, fino a raggiungere,
nel 2010, un livello superiore rispetto al dato regionale (6,2% verso 5,7%). Il
tasso di attività, invece, in crescita di 1,9 punti percentuali rispetto all’anno
2009, risulta superiore rispetto sia al livello nazionale che regionale.
Analizzando i dati in una prospettiva di genere si constata, inoltre, che i tassi
di occupazione femminili (58,5% nel 2009) sono molto più bassi di quelli
maschili (74,1%) anche in provincia di Forlì-Cesena. In generale si può
affermare come, rispetto anche ad altre province della regione, si sia ancora
distanti tanto dagli obiettivi della Strategia di Lisbona 20107, quanto,
soprattutto, da quelli previsti nelle strategie occupazionali dell’Unione
Europea per il 2020, che pongono il tasso di occupazione per la fascia 20-64
anni pari al 75%8. Obiettivo che per effetto della recessione sembra
allontanarsi ulteriormente dagli standard europei 9.
Tab. 2.1. Principali indicatori mercato del lavoro – popolazione 15 – 64 anni 2007, 2008, 2009 e 2010. Valori %
Tasso occupazione Tasso disoccupazione Tasso di attività
2007
Forlì-Cesena
67,8
3,8
70,5
Emilia-Romagna
70,3
2,9
72,4
Italia
58,7
6,1
62,5
2008
Forlì-Cesena
Emilia-Romagna
Italia
66,5
70,2
58,7
5,0
3,2
6,7
70,1
72,6
63,0
2009
Forlì-Cesena
Emilia-Romagna
Italia
66,3
68,5
57,6
5,9
4,8
7,8
70,6
72,0
62,4
67,9
67,4
56,9
6,2
5,7
8,4
72,5
71,6
62,2
2010
Forlì-Cesena
Emilia-Romagna
Italia
Fonte: Istat
7
La strategia di Lisbona prevedeva il 60% per il tasso di occupazione femminile e il 70% per
il tasso di occupazione complessivo.
8
Cfr. Ires Emilia-Romagna, Osservatorio sull’economia e il lavoro in provincia di ForlìCesena, numero 0, febbraio 2011.
9
Cfr. Ervet, Regione Emilia-Romagna, Economia regionale. Congiuntura e previsioni,
maggio 2011.
60
Nel campione di residenti nella provincia di Forlì-Cesena intervistato, è
il 61,8% dei cittadini a risultare occupato. Tra chi si dichiara non occupato si
evidenzia quasi un 50% di pensionati, seguiti da un 22% di studenti e un
15,3% di casalinghe. Disoccupati e persone in cerca di prima occupazione
raggiungono il 9,3%.
Analizzando nel campione alcune relazioni significative tra variabili si
nota che la probabilità di essere occupato aumenta con il titolo di studio:
sono i laureati, infatti, coloro che registrano una percentuale più alta di
occupati (77,6%). Differenze nella condizione occupazionale emergono
anche osservando la tipologia familiare: sono i single ad essere
maggiormente occupati (66,4%), mentre le coppie senza figli sono quelle
che risultano avere la percentuale di non occupazione maggiore (52,0%),
anche se non si tratta di disoccupati ma, nella quasi totalità dei casi, di
pensionati e casalinghe.
Per quanto riguarda la tipologia contrattuale degli occupati le due grandi
categorie in cui il campione si suddivide sono quelle dei lavoratori
dipendenti (71,3%) e dei lavoratori autonomi (24,4%). Incrociando tale dato
relativo con le classi d’età emerge che la probabilità di lavorare come
autonomo aumenta al crescere dell’età.
Come si poteva supporre considerando la variabile di genere (cfr.
tab.2.2 ) si evidenzia che il lavoro autonomo ha una maggiore probabilità di
essere svolto dalla componente maschile (30,6%). La probabilità che il
lavoro parasubordinato sia donna (6,0%) è, invece, doppia rispetto alla
probabilità che sia un uomo ad avere un contratto non standard. In questo
senso anche il campione riproduce le stesse segmentazioni occupazionali del
mercato del lavoro, mettendo in evidenza la condizione di maggiore fragilità
e debolezza da un lato e la minore propensione al rischio dall’altro, della
componente femminile della popolazione.
Tab.2.2. Tipologia di lavoro per sesso. Valori %
Maschio
Lavoro dipendente
66,4
Lavoro autonomo
30,6
Lavoro parasubordinato/senza contratto
3,0
Totale
100,0
N
271
Femmina
77,0
17,0
6,0
100,0
230
Totale
71,2
24,4
4,4
100,0
501
La letteratura socio-lavorista, come noto, individua alcune dimensioni
della flessibilità ponendo l’accento di volta in volta sugli aspetti che la
caratterizzano maggiormente. Esiste, ad esempio, quella numerica che
riguarda la possibilità delle imprese di ridurre le risorse umane a seconda
delle richieste del mercato e dei cambiamenti a livello tecnologico e
61
organizzativo interni. Una seconda flessibilità è quella di tipo funzionale che
gioca sulla professionalità e competenze dei dipendenti secondo la domanda
del mercato e riguarda l’organizzazione e il contenuto del lavoro. Vi è poi la
flessibilità retributiva che prevede variazioni dei salari e delle politiche
retributive; quella oraria o temporale che è legata agli andamenti ciclici e
stagionali della produzione; quella territoriale che prevede di stabilire
accordi locali relativi alla mobilità territoriale dei lavoratori10.
A partire dai dati raccolti, in questa sede ci si concentrerà, in
particolare, sulla flessibilità legata alla durata del contratto e
all’organizzazione dell’orario di lavoro.
Uno sguardo alla tipologia di contratto per classe d’età (cfr. tab. 2.3)
mette in evidenza che il tempo determinato riguardi soprattutto i più giovani.
A partire, infatti, dalle classi di età più giovane si riscontrano le percentuali
più elevate: se i giovani lavorano, dunque lo fanno principalmente attraverso
un contratto a termine, anche se la flessibilità legata al contratto di lavoro a
tempo determinato, si conferma una realtà anche per le classi più adulte. Non
è quindi solo una questione legata all’ingresso nel mercato del lavoro, ma
una condizione che sembra riguardare anche color che hanno alle spalle più
esperienze di lavoro. Pare dunque emergere una frammentazione delle
biografie individuali e una difficoltà di costruire percorsi professionali
continuativi e consolidati che può creare difficoltà anche nella realizzazione
dei propri progetti di vita tanto per i più giovani quanto per gli adulti.
Sicuramente la rilevanza dell’elemento generazionale segnalata in numerose
indagini11 nazionali viene confermata anche in provincia di Forlì-Cesena. I
giovani, se è possibile definire tali anche le persone che rientrano nella
classe d’età che arriva ai 39 anni, sono coloro che faticano a trovare un
impiego più stabile insieme alle donne. Considerando anche il genere, infatti,
si rileva una maggiore probabilità che il contratto a tempo determinato
riguardi le donne (31,4%) piuttosto che gli uomini (21,2%). Ancora una
volta, i dati relativi al campione indagato paiono confermare quelli di livello
regionale e nazionale.
Non è comunque detto che la scelta di un lavoro a tempo determinato
sia sempre subìta: diverse possono essere, infatti, le ragioni per cui si
predilige questo tipo di contratto (insieme come vedremo al part-time). Tra
queste la possibilità di proseguire gli studi e la formazione, alternandola a
periodi di lavoro e il desiderio di fare qualche esperienza professionale prima
10
Cfr. G. Gosetti, Giovani, lavoro e significati, op.cit.
Cfr., tra gli altri, A. Schizzerotto (a cura di), Vite ineguali, Bologna, il Mulino, 2004; C.
Buzzi, A. Cavalli, A. De Lillo, (a cura di), Rapporto giovani: sesta indagine dell'Istituto
IARD sulla condizione giovanile in Italia, Bologna, il Mulino, 2007; Censis, 44° Rapporto
annuale sulla situazione sociale del Paese, Roma, 2010; D. Checchi, Immobilità diffusa.
Perché la mobilità intergenerazionale è così bassa in Italia, Bologna, il Mulino, 2010.
11
62
di stabilizzarsi, soprattutto per la classe d’età più giovane. Come noto,
infatti, la società contemporanea si caratterizza per una flessibilità anche dei
percorsi di studio e formazione. Si parla spesso di life-long learning proprio
per sottolineare l’opportunità per le persone di riprendere percorsi per
formarsi e aggiornarsi, cercando di adeguarsi ai cambiamenti del mondo del
lavoro. Al crescere dell’età si può ipotizzare che la persistenza di un livello
abbastanza sostenuto di contratti a tempo determinato è più probabilmente
dovuta alla difficoltà di trovare qualche lavoro più stabile, alla crisi
economica oppure a una scelta legata, soprattutto per la componente
femminile, alla cura e alla conciliazione degli impegni famigliari.
Tab 2.3. Tipologia di contratto per classi d’età. Valori %
Tempo indeterminato
Tempo determinato
Totale
N
15-24
29,4
70,6
25-34
63,0
37,0
35-44
78,1
21,9
45-54
82,8
17,2
55-64
90,0
10,0
65 e
oltre
40,0
60,0
100,0
17
100,0
92
100,0
114
100,0
87
100,0
40
100,0
5
Totale
73,8
26,2
100,0
355
Il dato relativo al lavoro a termine va letto tenendo conto anche del
contesto territoriale in cui si è svolta l’indagine e al modello di sviluppo
economico che risulta caratterizzato, in parte maggiore o minore a seconda
dei distretti, da un tipo di economia ancora molto legata all’agricoltura e al
terziario. E’ chiaro che in tali settori la flessibilità non rappresenta una novità
degli ultimi anni, ma ha a che fare con il modello di organizzazione del
lavoro.
Tab. 2.4. Tipologia contrattuale per settore economico. Valori %
Industria,
Agricoltura
costruzioni
Terziario
25,0
82,6
73,1
Tempo indeterminato
75,0
17,4
26,9
Tempo determinato
100,0
100,0
100,0
Totale
16
109
223
N
Totale
73,9
26,1
100,0
348
La tabella 2.4 mostra, infatti, che la probabilità che il contratto di lavoro
sia a tempo determinato è più alta sicuramente nel terziario (26,9%) rispetto
al settore industriale che pare garantire maggiormente una stabilità attraverso
il tempo indeterminato (82,6%).
Come già sottolineato quando si parla di flessibilità si può fare
riferimento anche all’orario di lavoro.
63
Analizzando la relazione tra orario part-time, ricodificato in quattro
categorie12, e la tipologia di contratto si nota che la probabilità che l’orario
superi le 40 ore, come ci si poteva del resto aspettare, è maggiore per i
lavoratori autonomi (62,0%) rispetto a quelli dipendenti. Interessante appare
tuttavia il dato relativo a questi ultimi (18,0%) poiché lo svolgimento di
un’attività lavorativa che va oltre le ore di lavoro previste dal contratto
costituisce un segnale delle trasformazioni contemporanee del lavoro.
Sempre più spesso, infatti, anche i dipendenti lavorano avendo come
obiettivo la realizzazione di un progetto: si parla, infatti, a questo proposito
di aumento della responsabilizzazione del lavoro dipendente che fa da
contraltare all’aumento di dipendenza per i cosiddetti lavoratori non
standard. La letteratura relativa alla dimensione del tempo di lavoro nella
società della conoscenza13 è oramai concorde nell’affermare che a fronte di
situazioni di flessibilità e di lavori a tempo ridotto crescono sempre più i
ritmi e i tempi di lavoro sia di coloro che sono dipendenti che dei lavoratori
flessibili. Ciò è legato al complessificarsi del lavoro e alla sua
trasformazione “liquida” che interessa sia il contenuto del lavoro che la sua
organizzazione.
Tab. 2.5. Orario di lavoro per sesso. Valori %
Maschio
Femmina
fino a 24
5,9
13,5
da 25 a 35
8,1
21,7
da 36 a 40
51,6
43,5
Oltre 40
34,4
21,3
Totale
100,0
100,0
N
270
230
Totale
9,4
14,4
47,8
28,4
100,0
500
Analizzando gli stessi dati per sesso (cfr. tab. 2.5) emerge come siano in
maggior misura gli uomini ad avere orari di lavoro prolungati (34,4%), ma
anche come non sia da sottovalutare il consistente coinvolgimento della
componente femminile (21,3%). Orari ridotti “fino a 24 ore” e “da 25 a 35”
interessano complessivamente il 35,2% delle donne.
12
Le quattro categorie sono: fino a 24 ore, da 25 a 35 ore, da 36 a 40 ore e oltre 40 ore. Senza
andare nello specifico di alcuni contratti che prevedono il tempo pieno con livelli orari più
bassi di quelli tradizionali del settore industriale (si pensi al settore scuola, ad esempio), le
prime due classi segnalano orari ridotti di lavoro che possono variare dalle classiche 24 ore a
orari più estesi fino alle 35 ore. La terza categoria riguarda il tempo pieno in senso classico,
ovvero industriale, e l'ultima categoria rappresenta l'orario straordinario.
13
Cfr., tra gli altri, R. Sennet, L’uomo flessibile: le conseguenze del nuovo capitalismo sulla
vita personale, Milano, Feltrinelli, 1999; A. Accornero, Era il secolo del lavoro, Bologna, il
Mulino, 2000; E. Rullani, Il capitalismo personale: vite al lavoro, Torino, Einaudi, 2005.
64
Rispetto, invece, alla tipologia familiare sono i single che svolgono
maggiormente (35,2%) un lavoro con orario oltre le 40 ore: in questo caso il
lavoro non trova vincoli di tipo familiare, o comunque ne trova sicuramente
meno, rispetto a strutture famigliari più complesse dove conciliare i vari
aspetti con l’attività lavorativa risulta più impegnativo.
Infine è il settore privato (23,4%) ad avere la probabilità più alta di
riscontrare un maggior utilizzo di lavoro straordinario.
Analizzando nello specifico l’orario ridotto si evidenzia che esso è
direttamente correlato con il settore economico terziario che come noto
raccoglie un bacino occupazionale femminile maggiore rispetto a quello
maschile. Come ci si poteva attendere, infatti, il part-time è correlato
positivamente con la componente femminile (cfr. tab. 2.6) che ne usufruisce
in maniera maggiore rispetto agli uomini, per motivi, come vedremo, legati,
nella maggior parte dei casi, prevalentemente al ruolo familiare svolto nelle
attività di cura.
Tab.2.6. Tipologia di orario per sesso. Valori %
Maschio
Part-time
6,7
Tempo pieno
93,3
Totale
100,0
N
149
Femmina
28,5
71,5
100,0
165
Totale
18,2
81,8
100,0
314
Rispetto alle motivazioni (cfr. tab. 2.7) che stanno alla base della scelta,
più o meno volontaria, di un lavoro part-time rileviamo che le principali
ragioni riguardano: la cura dei figli e la conciliazione degli impegni
famigliari, la mancanza di un lavoro a tempo pieno, seguite al terzo posto
dall’esigenza di frequentare o completare il percorso degli studi a pari merito
con il desiderio di avere più tempo per se stessi.
Sembra emergere, dunque, la figura di una donna che ancora oggi, per
scelta o, al contrario, perché sprovvista di altre opzioni, tenta di conciliare il
lavoro familiare legato alle attività di cura, educazione ed assistenza con
quello per il mercato riducendo il proprio orario di lavoro. Tradizionalmente
il sistema di welfare italiano si è appoggiato molto alla figura femminile e
ciò ha influenzato le donne tanto nella scelta del lavoro quanto in quella di
avere figli. Tuttavia, per motivi diversi che vanno dalla sostenibilità
economica di certe scelte professionali agli obiettivi di realizzazione
personale, questo modello comincia ad entrare crisi14.
14
Cfr. D. Del Boca, Italia. Partecipazione femminile al lavoro: vincoli e strategie, in «Rivista
delle politiche sociali», n. 2, aprile-giugno, 2009.
65
Il lavoro di cura, marginalizzato e anche poco riconosciuto dal punto di
vista sociale per motivi economici, culturali e storici che hanno a che fare
con un certo modello di società e di lavoro, infatti, rimane tuttora a carico
prevalentemente della donna, anche quando lavora e anche laddove, come
nelle giovani coppie si riscontrano situazioni di maggiore conciliazione dei
compiti e dei ruoli15. A confermarlo sono anche le ricerche sui “bilanci del
tempo”, che quantificano, a parità di tempo lavorativo tra i due sessi, un
carico fortemente sbilanciato a sfavore della donna che impiega un maggior
numero di ore rispetto all’uomo per il lavoro di riproduzione16.
Accanto al part-time ricercato o “scelto per necessità familiari”, c’è poi
anche chi, invece, il part-time lo subisce come unica possibilità di entrare o
restare nel mercato del lavoro, situazione segnalata dal 28,6% degli
intervistati. Sequenze non temporanee dove si alternano lavori instabili e a
termine possono portare al nascere di condizioni che favoriscono fenomeni
di disuguaglianza, intrappolamento ed esclusione che avranno conseguenze
non solo per l’immediato ma anche per il futuro delle donne in particolare e
dei giovani. E ciò soprattutto in Italia dove il sistema di protezione sociale si
presenta fortemente deficitario.
Al terzo posto le motivazioni indicate riguardano la richiesta di avere
più tempo a disposizione o per se stessi o per formarsi e/o continuare a
studiare. Da questo punto di vista appare evidente che cresce nelle persone
anche l’importanza attribuita ad attività extra-lavorative il che non fa che
confermare l’affermarsi di valori legati alla sfera privata e sociale.
Tab. 2.7. Motivazioni rispetto alla scelta del part-time. Valori %
Per prendermi cura dei figli, di bambini o persone non
autosufficienti
Non ho trovato un lavoro a tempo pieno
Studio o seguo corsi di formazione professionale
Per avere a disposizione più tempo libero
Svolgo un secondo lavoro
Altri motivi familiari (esclusa cura figli o altre persone)
Altri motivi
Totale
N
%
33,9
28,6
12,5
12,5
7,1
1,8
3,6
100,0
56
Per quanto riguarda il tema relativo ai redditi delle famiglie occorre fare
una breve premessa. Diverse sono le indagini che hanno l’obiettivo comune
15
Cfr. S. Piccone Stella (a cura di), Tra un lavoro e l'altro, Roma, Carocci, 2007.
Cfr. M.C. Bombelli, Il lavoro e la vita: alla ricerca di un nuovo punto di incontro, in
«Sviluppo & Organizzazione», n. 199, settembre/ottobre, 2003, pp. 69-73.
16
66
di rilevare il benessere o la condizione economica, approfondendo questioni
relative al reddito disponibile, al potere d’acquisto delle famiglie, alla
propensione al risparmio, ecc.17. Tale tema è diventato di grande rilevanza,
considerata la situazione socio-economica degli ultimi anni e l’evolversi
della tradizionale stratificazione sociale. La questione centrale, infatti, è
costituita dall’aumento della povertà che non colpisce più soltanto le
famiglie tradizionalmente considerate svantaggiate o deprivate, ma anche
famiglie o individui che, a causa di alcuni eventi legati al lavoro, alla salute,
alla condizioni di vita, si ritrovano più vulnerabili e a rischio di povertà18.
Rispetto al reddito - rilevato con uno specifico quesito con cui si
domandava all’intervistato di indicare l’attuale reddito netto mensile da
lavoro e/o da pensione della famiglia - si è costruito un indicatore in grado di
parametrare tale disponibilità economica familiare al numero dei componenti
della famiglia stessa. È indubbio, infatti, che al variare del numero di figli (e,
più in generale, del numero dei componenti il nucleo) il reddito familiare
complessivo possa risultare più o meno adeguato19. La variabile continua
così ottenuta è stata poi trasformata in una categoriale a tre modalità disponibilità bassa, media e alta - così da renderla più facilmente utilizzabile
ed evitando inoltre di dover utilizzare i valori cardinali che in realtà non
hanno un significato intrinseco, ma sono solo, appunto, un’astrazione
statistica per indicare del livello di benessere della famiglia.
Tab. 2.8. Indice di disponibilità familiare per tipologia familiare. Valori %
Single
Coppia senza figli Coppia con figli
Altro
Basso
22,1
27,2
35,6
47,1
Medio
28,9
43,8
40,5
39,7
Alto
49,0
29,0
23,9
13,2
Totale
100,0
100,0
100,0
100,0
N
104
169
398
121
Totale
33,9
39,5
26,6
100,0
792
17
Dalle indagini svolte su queste tematiche (es. Istat – Indagine campionaria sul Reddito e le
condizioni di vita condotta a cadenza annuale dal 2004 che fa parte dell’Indagine europea EUSILC; Indagine sui Bilanci delle famiglie della Banca d’Italia (IBFI) e altre indagini
campionarie condotte a livello locale) si rileva che non esiste una definizione univoca di
reddito e che spesso la metodologia adottata per il calcolo del reddito differisce da
un’indagine all’altra. Da qui la difficoltà di fare comparazioni.
18
Cfr., tra gli altri, A. Schizzerotto, Trasformazioni e destini delle classi medie italiane, in
Catanzaro, G. Sciortino (a cura di), La fatica di cambiare. Rapporto sulla società italiana,
Bologna, il Mulino, 2009; N. Negri, M. Filandri (a cura di), Restare di ceto medio: il
passaggio alla vita adulta nella società che cambia, Bologna, il Mulino, 2010; M. Baldini, P.
Bosi, P. Silvestri (a cura di), Le città incartate: mutamenti nel modello emiliano alle soglie
della crisi, Bologna, il Mulino, 2010.
19
Per i dettagli sulla costruzione dell’indice di disponibilità economica familiare si rinvia al
cap. 8.
67
Analizzando tale indice in relazione alla tipologia familiare (cfr. tab.
2.8) si nota come la disponibilità economica pro-capite diminuisca con
l’aumentare dei componenti del nucleo familiare. Sono i single, infatti, a
collocarsi nel 49% dei casi ad un alto livello di reddito.
Interessante rimarcare come la probabilità che la disponibilità
economica familiare sia alta (cfr. tab. 2.9) è correlata con il livello di
istruzione familiare20 più elevato (45,5%) a conferma dell’importanza e del
peso dell’investimento in capitale umano, anche dal punto di vista
economico.
Tab.2.9. Disponibilità economica familiare per status culturale familiare Valori %
Livello d’istruzione familiare
Disponibilità economica
Basso
Medio
Alto
Totale
Basso (fino a 700 euro)
46,0
28,5
21,4
33,8
Medio (tra 701 e 1200)
41,9
39,1
33,1
39,0
Alto (oltre 1200)
12,0
32,4
45,5
27,2
Totale
100,0
100,0
100,0
100,0
N
291
312
154
757
Un ultimo sguardo alla situazione territoriale (cfr. tab. 2.10) mette in
evidenza che la probabilità che vi sia un’alta disponibilità familiare è
pressoché simile nei distretti di Forlì (30,2%) e Cesena (31,4%) mentre il
distretto Rubicone-Costa (13,8%) rimane molto al di sotto del livello rilevato
negli altri due territori.
Tab. 2.10. Disponibilità economica familiare per distretto. Valori %
Forlì
Cesena-Valle Savio
Rubicone-Costa
Basso
33,2
27,7
42,8
Medio
36,6
40,9
43,4
Alto
30,2
31,4
13,8
Totale
100,0
100,0
100,0
N
361
242
189
Totale
33,9
39,5
26,6
100,0
792
Su tali differenze potrebbero influire le vocazioni economico-produttive
dei singoli distretti territoriali.
20
Per i dettagli sulla costruzione dell’indice di status culturale familiare si rinvia al cap. 8.
68
2.3. Orientamenti al lavoro nella provincia di Forlì-Cesena
La simultaneità dei cambiamenti che toccano il lavoro da diversi punti
di vista come il contenuto, l’organizzazione, le caratteristiche del prodotto
finale, ecc., riconfigurando la relazione tra vita e sfera lavorativa, spingono a
riflettere su come vadano modificandosi anche i significati e gli orientamenti
attribuiti al lavoro. Significati che nascono proprio dalla relazione tra
individuo e società, all’interno di un contesto contrassegnato da specificità di
carattere sociale, storico, culturale ed economico.
Diverse sono state le interpretazioni relative al futuro del lavoro e alle
sue trasformazioni che hanno posto l’accento su differenti aspetti. In sintesi
le teorie possono essere ricondotte a due orientamenti principali21. Il primo
sostiene la fine del lavoro o un suo forte indebolimento, dovuto
all’introduzione sempre più massiccia di tecnologia, alle trasformazioni
organizzative e al prevalere di una dimensione lavorativa legata ai servizi e
alla conoscenza e meno alla produzione industriale. Il secondo orientamento
ritiene, invece, che il lavoro non stia perdendo la sua centralità ma
semplicemente stia trasformandosi, divenendo più variabile, imprevedibile e
insicuro. Lo stesso processo di globalizzazione non farebbe altro che
confermare che il lavoro non è in diminuzione ma semmai è in aumento in
una prospettiva di economia globale.
Per quanto riguarda il primo orientamento legato alla fine del lavoro,
sono altre le dimensioni in cui l’individuo trova spazio per esprimersi,
costruendo la propria identità: la sfera del tempo libero, quella della
reciprocità, della vita pubblica e politica. Nella seconda prospettiva, invece,
il lavoro viene considerato come un legame che unisce individui e società,
anche se variano i significati ad esso attribuiti rispetto al passato. Da
un’ottica puramente strumentale si andrebbe nella direzione che privilegia la
dimensione autorealizzativa individuale e solidale. Secondo questo
approccio dunque il lavoro non perde le sue potenzialità in termini di
capacità effettiva di emancipazione dell’individuo, ma rimane alla base della
società influendo sui mutamenti delle forme del legame sociale. E in questo
senso la ridotta stabilità dei lavori e la loro frammentazione non farebbero
che aumentare anche la frammentazione sociale.
Al di là delle contrapposizioni più o meno ideologiche, ciò che pare
emergere è che l’idea del lavoro come dimensione centrale per l’individuo
nel suo percorso di costruzione di identità è andata indebolendosi e questo,
in particolar modo, per le giovani generazioni. Nel percorso di crescita, di
esperienze e di produzioni di significati del lavoro altre dimensioni
sembrano acquisire importanza. Di fronte a processi di differenziazione
21
Per un'analisi più approfondita si veda G. Gosetti, Giovani, lavoro e significati, op. cit.
69
sociale, in un quadro dominato dall’incertezza e dal rischio, si parla perciò di
pluralizzazione dei significati del lavoro. Ciò che diviene importante è
dunque la relazione che si instaura tra individui e tra individui e società. Per
tale motivo non è possibile ragionare sul senso del lavoro escludendo la
dimensione individuale o collettiva. Anche il significato del lavoro è una
costruzione sociale e occorre un approccio multidimensionale che consideri
non solo il sistema lavoro ma il sistema di relazioni che l’individuo sviluppa
quotidianamente, dentro e fuori la sfera lavorativa per comprendere le
trasformazioni legati ai significati e agli orientamenti.
Al di là dell’evoluzione del lavoro in sé esso rimane fonte di significato
e nasce dall’intreccio delle relazioni che gli individui hanno con altri
significati che possono essere precedenti l’ingresso nel mondo del lavoro. Al
centro dei processi di significazione si riconosce, perciò, il peso della sfera
esperienziale non necessariamente legata alla sfera economica.
Nel comprendere tali significati e la loro evoluzione vengono in aiuto
quelle analisi che ricorrono a letture multidimensionali lungo traiettorie che
tengono conto di vari aspetti, come ad esempio, il ruolo e l’importanza del
lavoro attribuita dal soggetto rispetto alla sua scala di valori e alle esperienze
di vita in generale, il lavoro concreto, il lavoro nelle relazioni sociali e nel
contesto sociale e le caratteristiche specifiche che il soggetto riconosce al
lavoro. Tra queste ultime si riscontrano diverse dimensioni: espressiva,
relazionale, acquisitiva, meritocratica, negoziale, spazio-temporale, della
sicurezza e sociale. Infine per comprendere i significati del lavoro molto
rilevanti sono le dimensioni correlate alla qualità del lavoro come quella
ergonomica, dell’autonomia, economica, della decisione e del controllo.
Ognuna di queste dimensioni pone l’accento su alcuni elementi legati al
lavoro ritenuti fondamentali.
Nella ricerca condotta in provincia di Forlì-Cesena alla domanda
relativa agli aspetti rilevanti del lavoro gli intervistati, occupati e non, hanno
risposto attribuendo differenti gradi di importanza alle varie dimensioni del
lavoro.
Nella tabella 2.12 sono riportati, accorpati, i giudizi più favorevoli
(punteggio max = 4 e 5), ordinando i vari items per rilevanza e calcolando
media e deviazione standard delle risposte.
In ordine d’importanza si segnalano (cfr. tab. 2.11): la sicurezza del
contratto (81%), lo stipendio (79,6%) e i rapporti con i colleghi (79,3%).
Ad un primo esame dei dati, dunque, si riscontra che nonostante l’enfasi
posta sulla flessibilità del lavoro e sulla fine del posto fisso, o forse proprio
per tali motivi, nella provincia di Forlì-Cesena le persone segnalano al primo
posto proprio la sicurezza contrattuale legata al posto di lavoro. Sicurezza
che sta ad indicare desiderio-ricerca di stabilità, continuità e conseguente
allontanamento del rischio di difficoltà economiche, di precarietà e/o
70
vulnerabilità sociale. Su questa risposta non può non pesare, oltre che la
struttura produttiva territoriale, la situazione di crisi economica che ha
colpito anche la provincia di Forlì-Cesena oltre che l’Italia e il resto
d’Europa22.
Lo stipendio viene segnalato al secondo posto. La questione economica
potrebbe essere connessa sia alla fase di crisi ma anche alla lenta e
progressiva erosione del potere d’acquisto dei salari e all’aumentato costo
della vita, che ha innalzato le difficoltà economiche nella gestione quotidiana
dell’organizzazione familiare, soprattutto per i nuclei con reddito medio e
basso.
Tab. 2.11. Importanza degli aspetti legati al lavoro. Valori % e medi
4+5
Media
Sicurezza del posto di lavoro
81,0
4,33
Stipendio
79,6
4,21
Rapporti con colleghi
79,3
4,20
Possibilità di imparare
76,5
4,14
Rapporti con superiori
73,1
4,03
Compatibilità carichi famigliari
65,0
3,86
Condizioni ambientali
63,9
3,80
Tempo libero
60,0
3,74
Orario
59,6
3,73
Carriera
48,1
3,41
Distanza abitazione
45,8
3,34
Possibilità di viaggiare
29,8
2,72
Dev. Std.
0,99
0,88
0,94
1,09
1,07
1,12
1,12
1,13
1,15
1,25
1,23
1,41
Accanto a queste due dimensioni più legate ad una questione di
sicurezza che si potrebbe definire “sociale” dell’individuo e del nucleo
familiare, al terzo posto vengono segnalati i “rapporti con i colleghi”. Tale
dimensione rientra a pieno titolo in quegli aspetti del lavoro che hanno a che
fare con il benessere del lavoratore e con il clima organizzativo.
Attinente ad un orientamento relativo alla realizzazione e al percorso di
crescita del lavoratore è l’importanza attribuita alla risposta “possibilità di
imparare”. Meno rilevanti appaiono, invece, quei fattori connessi alla
22
Anche se nella domanda relativa all'importanza attribuita al lavoro non veniva
esplicitamente chiesto di esprimere un giudizio sulla questione in termini di lavoro dipendente
o di lavoro autonomo ma si faceva riferimento, più in generale, alla sicurezza del contratto, è
interessante leggere questo dato anche con la risposta alla domanda relativa alle azioni di
ricerca (cfr. tab. 2.16), dove le azioni intraprese per avviare un’attività autonoma si collocano
nelle ultime posizioni. E’ chiaro che le due risposte si muovono lungo lo stesso asse di
orientamento, segnalando una scarsa propensione verso il lavoro autonomo.
71
conciliazione con i tempi di vita famigliari (orario, distanza dall’abitazione,
compatibilità carichi familiari) e al tempo libero.
Da segnalare che le condizioni di sicurezza legate all’ambiente di
lavoro, vengono indicate come meno importanti. Tanti potrebbero essere i
motivi: la scarsa consapevolezza dei rischi possibili da parte dei lavoratori,
condizioni buone degli ambienti di lavoro o ancora il prediligere altri aspetti
lavorativi che, in tempo di crisi, vengono anteposti a qualsiasi altra
esigenza23.
Scarsa importanza viene attribuita, infine, alla carriera e alla possibilità
di viaggiare. In sintesi, tenendo conto delle condizioni critiche legate al
contesto, la priorità sembra essere quella connessa all’avere un lavoro legato
a una prospettiva di stabilità e al guadagnare uno stipendio congruente.
I vari orientamenti hanno a che fare con i diversi significati che le
persone attribuiscono al lavoro che possono, a loro volta, dipendere da
molteplici fattori. Le modalità di elaborazione dei significati possono, infatti,
essere correlate sia alle caratteristiche personali legate a genere, età,
esperienze pregresse, ecc. che al contesto socio-economico e culturale nel
quale si è inseriti. Variabili come l’incertezza, il processo di
individualizzazione, la flessibilità, la crisi economica non possono non
andare ad incidere su questi orientamenti. Le scelte dei soggetti saranno
dunque influenzate e connesse alle opportunità e risorse a disposizione,
legate alla famiglia, alle reti sociali e al contesto socio-economico e culturale
di appartenenza24.
Se questo è il quadro generale delle risposte ai singoli item, è possibile
che gli intervistati nell’esprimere le loro opinioni facciano riferimento ad
alcune dimensioni latenti che orientano le loro valutazioni portandoli ad
attribuire valori più elevati ad alcune voci invece che ad altre. Proprio per
verificare l’esistenza di tali dimensioni sottostanti, si è deciso di condurre sui
dati un’analisi fattoriale, cercando di ricostruire alcuni indici rappresentativi
degli orientamenti espressi dagli intervistati. Osservando la tabella 2.12 si
nota come i fattori emersi dall’analisi statistica appaiano coerenti anche con
un criterio semantico che lega alcuni item tra loro in base al loro
23
D’altra parte come segnala anche l’ultimo Rapporto Annuale Inail 2010 gli infortuni del
lavoro (compresi quelli mortali) in Emilia-Romagna sono in calo. Inail, Rapporto annuale.
L’andamento infortunistico, 2010. Molte sono comunque le critiche rivolte a queste
rilevazioni, sia per la metodologia seguita (si tratta in alcuni casi di dati non definitivi ma di
stime), sia perché nell’interpretazione del fenomeno infortunistico non si tiene conto
dell’effetto della crisi e della diminuzione del lavoro sulla riduzione degli incidenti.
24
Cfr. G. Gosetti, Giovani, lavoro e significati, op. cit.
72
significato25. Il primo fattore risulta costituito dalle variabili “orario di
lavoro”, “compatibilità dei carichi di lavoro”, “possibilità di avere tempo
libero” e “distanza tra luogo di lavoro e abitazione”. Tali variabili rientrano
in una visione del lavoro che non ne fa una priorità assoluta. Il lavoro in
questo caso viene vissuto come importante al pari di altre dimensioni
ritenute rilevanti in un’ottica di conciliazione degli aspetti extra-lavorativi,
siano essi legati al lavoro di cura per la famiglia o al tempo per se stessi.
Analogamente il secondo fattore, costituito dalle variabili “possibilità di
fare carriera”, “possibilità di imparare cose nuove ed esprimere le proprie
capacità” e “possibilità di viaggiare”, pare associato ad un significato del
lavoro che ne sottolinea la dimensione espressiva, legata alla realizzazione di
se stessi, e la dimensione carrieristica, di crescita personale e professionale,
di sviluppo della propria personalità.
Un terzo fattore, infine, riunisce le variabili “rapporti con i colleghi”,
“rapporti con i superiori”, “stipendio” e “sicurezza del posto di lavoro”.
Solitamente queste variabili, nelle ricerche relative al significato del lavoro,
non rientrano in un unico atteggiamento nei confronti del lavoro. La
dimensione relazionale non collima, infatti, con quella economica e della
sicurezza. In questo caso, tuttavia, occorre tenere in considerazione il fatto
che nell’indagine svolta incidono due elementi importanti di contesto: da un
lato la crisi economica e dall’altro il modello di sviluppo economico e il
tessuto imprenditoriale del territorio.
L’evidente difficoltà delle famiglie e degli individui di questo periodo,
in misura variabile rispetto all’età e al sesso soprattutto, sicuramente
accentua una visione del lavoro in cui vengono riconosciuti come rilevanti
gli aspetti legati alla stabilità e alla retribuzione, al di là e prima di altri
aspetti di carattere più realizzativo, proprio perché risorsa scarsa. Nello
stesso tempo, però, in un contesto in cui prevalgono un’economia ancora
piuttosto tradizionale26 e una struttura imprenditoriale legata alla dimensione
micro e piccola di impresa, di fianco alle condizioni economiche possono
facilmente acquistare importanza anche dimensioni di tipo relazionale. Si
può infatti ipotizzare che l’esigenza dei soggetti di lavorare in un clima
sereno, fatto di rapporti interpersonali più umani abbia favorito
l’abbinamento tra un significato del lavoro legato più a valori materialistici
(sicurezza e stipendio) ed uno maggiormente “post-moderno”, più
pragmatico, de-ideologizzato e disincantato del lavoro, legato a buone
condizioni relazionali nell’ambiente di lavoro.
25
Le affinità tra item sono visibili nella struttura delle covariazioni emersa dall'analisi
fattoriale presentata nella tabella 2,13 che consente di distinguere i factor loadings più elevati
per ciascuno dei tre fattori.
26
Cfr. Camera di Commercio, L'innovazione nella provincia di Forlì-Cesena, 2011.
73
Tab.2.12. «Factor loadings» delle tre componenti principali27
Dimensioni del lavoro
I
II
Orario
0,702
Compatibilità con carichi familiari
0,715
Avere tempo libero
0,677
Distanza rispetto abitazione
0,778
Possibilità carriera
0,759
Possibilità imparare
0,701
Possibilità viaggiare
0,756
Stipendio
Rapporti colleghi
Rapporti superiori e capi
Sicurezza contratto lavoro
III
0,556
0,679
0,733
0,614
Tab. 2.13. Andamento dei tre indici: valori medi e deviazione standard (range 0-10)
lavoro come
lavoro come
lavoro come
conciliazione (1)
investimento (2)
strumento (3)
N Valid
801
812
790
Missing
34
23
45
Media
6,68
6,07
7,99
Dev.Std.
2,19
2,39
1,69
Seguendo le indicazioni dell’analisi fattoriale sono stati creati tre indici,
normalizzati su una scala da 0 a 10, le cui medie (cfr. tab. 2.13) indicano in
modo sintetico quali dimensioni siano state giudicate più importanti. Tra gli
indici quello che ottiene una media più alta è quello relativo agli aspetti
materialistici legati allo stipendio e alla sicurezza da un lato e agli aspetti
pragmatici del lavoro connessi alle condizioni relazioni dall’altro (7,99). Al
secondo posto rileviamo il profilo relativo al lavoro come possibilità e
opportunità di conciliare aspetti pubblici e privati della propria vita (6,68). In
terza posizione si rileva il profilo relativo alla realizzazione lavorativa, alla
dimensione carrieristica e all’accrescimento personale.
In base all’analisi svolta, ragionando sull’importanza del lavoro in
generale e sul posto ad esso assegnato dalle persone, si potrebbe ipotizzare
che il primo indicatore segnali la posizione di coloro per cui il lavoro è una
delle diverse dimensioni della vita accanto ad altre forse ritenute più centrali
come quelle famigliari e del tempo libero (lavoro come “conciliazione”). Il
secondo indicatore mostrerebbe, invece, la posizione di coloro che ritengono
il lavoro un elemento centrale, fondamentale per se stessi. Da tale
27
Scompare la dimensione condizioni ambientali di lavoro perché i loadings non raggiungono
il valore 0,4. Analisi condotta tramite estrazione in componenti principali – rotazione
Varimax. Percentuale di varianza predetta: 57,3%. Per facilitare la lettura, sono stati inseriti in
tabella soltanto i loadings > ǀ0,4ǀ
74
concezione del lavoro deriva, infatti, l’impegno ad esprimere le proprie
capacità, a voler formarsi, a volere fare carriera e la possibilità di viaggiare,
magari per allargare orizzonti professionali e competenze (lavoro come
“investimento”). Il terzo indicatore è forse quello che segnala un
atteggiamento maggiormente strumentale nei confronti del lavoro:
l’attenzione è riposta, da un lato, su aspetti molto pratici e concreti come la
stabilità e lo stipendio che riguardano le condizioni per le quali si lavora e
dall’altro ad aspetti meno materialistici ma altrettanto concreti e tangibili
come quelli legati a un buon ambiente di lavoro dal punto di vista delle
relazioni con colleghi e superiori (lavoro come “strumento”).
Si è proceduto poi all’incrocio di tali indici relativi ai significati del
lavoro con alcune variabili: sesso, età, titolo di studio, status occupazionale
(cfr. tab. 2.14). Nella tabella 2.14 si presentano le medie dei punteggi
registrati sui tre indici.
Tab. 2.14. Andamento dei tre indici: valori medi e deviazione standard
lavoro come
conciliazione
Dev.
Std.
lavoro come
investimento
Dev.
Std.
lavoro come
strumento
Dev.
Std.
Sesso
Maschio
Femmina
6,34
7,06
2,2
2,1
6,22
5,90
2,4
2,4
7,93
8,05
1,7
1,6
Età
15-29 anni
30-49 anni
50-64 anni
65 anni e oltre
6,31
6,83
6,95
6,33
1,8
2,2
2,2
2,3
6,93
6,11
6,04
5,00
1,9
2,3
2,4
2,6
8,00
8,02
8,09
7,76
1,5
1,6
1,7
2,0
Titolo di studio
Fino a lic. elementare
Lic. media o qualifica
Diploma di maturità
Laurea o post-laurea
6,15
6,94
6,77
6,44
2,2
2,2
2,1
2,1
4,45
5,92
6,26
6,93
2,3
2,5
2,3
1,8
7,77
8,02
8,07
7,98
2,2
1,7
1,6
1,4
6,91
6,52
6,49
7,10
6,28
2,0
2,4
2,3
2,3
1,8
6,04
6,28
5,42
6,10
7,24
2,4
2,5
2,6
2,3
1,8
8,26
7,22
8,12
8,03
7,68
1,4
2,1
1,9
1,8
1,4
5,60
2,04
6,42
2,34
7,74
1,5
Status occupazionale
Lavoratori dipendenti
Lavoratori autonomi
Pensionati
Casalinghe
Studenti
Disoccupati e in cerca
di prima occupazione
75
Per quanto riguarda il sesso si nota un punteggio medio più alto per le
donne, rispetto agli uomini, in relazione al lavoro inteso come una delle tante
dimensioni importanti, vissuto in un’ottica di conciliazione con altri ambiti
di vita sociale e familiare. Più elevato rimane per gli uomini il punteggio
relativo al lavoro visto come investimento relativo ad una concezione che
investe sulla dimensione della realizzazione personale e della carriera. Il
terzo indice relativo alla visione strumentale del lavoro risulta
sostanzialmente paritario per uomini e donne, con una leggerissima
prevalenza a favore della componente femminile.
Analizzando ora i significati del lavoro al variare dell’età, si nota che
l’indice legato al lavoro come conciliazione ottiene un punteggio medio più
alto nelle prime tre fasce d’età, quando in effetti i carichi famigliari risultano
più pesanti. Diminuisce, invece, nell’ultima classe d’età. La visione
maggiormente legata all’autorealizzazione sul lavoro ottiene un punteggio
inversamente proporzionale all’età: come se nelle fasi centrali della vita si
facessero sentire altre esigenze più legate alla sfera privata e/o familiare e
nelle fasi di ingresso nel mercato del lavoro le aspettative riguardo alla
propria riuscita personale sul lavoro fossero molto elevate. Tale dato sarebbe
anche confermato dall’andamento del punteggio medio del primo indice. Il
lavoro nella sua accezione materialistico-pragmatica è importante per le
prime tre fasce d’età. Dai 65 anni in su, si nota, invece, una minor
importanza probabilmente in connessione con la fine della propria carriera
lavorativa. E’ chiaro che nella fase finale sia il senso di sicurezza/benessere
legato alla stabilità e allo stipendio che alle relazioni interpersonali sul luogo
di lavoro perdono di rilevanza.
Per quanto riguarda i titoli di studio i laureati (6,93), nell’indice relativo
al lavoro come investimento, hanno un punteggio medio più alto, rispetto
agli altri livelli di istruzione: preparazione e competenze sono sicuramente
più elevate in questo gruppo e ciò spiegherebbe anche un atteggiamento
legato a maggiori aspettative nei confronti del lavoro. I laureati raggiungono
il punteggio medio più basso per quanto riguarda il lavoro come strumento
(7,98). L’idea di avere un lavoro che concili le esigenze anche extralavorative raccoglie un punteggio superiore per coloro che hanno la licenza
media o la qualifica professionale (6,94).
Dal punto di vista, infine, dello status occupazionale, sono i lavoratori
dipendenti (6,91) e le casalinghe (7,10), rispetto alle altre categorie, ad avere
un punteggio medio più alto in relazione al lavoro come conciliazione. Si
può ipotizzare che il lavoro dipendente, almeno nella sua accezione
tradizionale, sia in grado più di quello autonomo, di lasciare maggior tempo
all’individuo per rispondere a esigenze extra-lavorative. Si presume che
anche le casalinghe che non lavorano per il mercato si riconoscano in una
concezione del lavoro che evidenzia l’importanza della conciliazione.
76
L’indice 2 relativo al lavoro come investimento risulta, invece, avere un
punteggio medio più alto per i lavoratori autonomi rispetto a quelli
dipendenti. Il rischio insito nelle professioni autonome viene a coincidere in
questo caso con l’investimento riposto nel lavoro in termini di crescita
professione e di riuscita. Il lavoro come realizzazione e come dimensione
centrale della vita ottiene un punteggio medio più alto anche per gli studenti
(7,24). Le aspettative sono dunque più elevate rispetto ad altri status
occupazionali: si tratta di una posizione in cui pesano le attese per il futuro,
le speranze per un inizio lavorativo, l’impegno e la disponibilità ad assumere
un certo comportamento sul mercato del lavoro, considerate anche le
difficoltà odierne soprattutto per le giovani generazioni. Da questo punto di
vista probabilmente anche il peso dell’investimento che gli studenti stanno
facendo sul fronte del capitale umano ha una sua incidenza.
L’indice 3 risulta avere un punteggio medio elevato per i lavoratori
dipendenti (8,26). Si registra dunque un’attenzione anche da parte della
categoria di lavoratori considerata più tutelata, rispetto al lavoro precario non
standard, verso la stabilità e lo stipendio che appaiono oggi forse messi a
rischio anche dalla crisi e in generale dalla situazione di incertezza.
2.4. La ricerca di un lavoro nella provincia di Forlì-Cesena: i servizi
provinciali
Prima di analizzare le risposte relative alle differenti azioni che i
soggetti intraprendono per cercare lavoro è utile soffermarsi, seppure
brevemente, su alcune riflessioni riguardanti i servizi per l’impiego e il
processo di riforma in Italia.
Alla fine degli anni ‘90 con la riforma delle politiche per il lavoro si è
assistito ad un processo di decentramento delle competenze che ha sostituito
il vecchio modello centralizzato del collocamento. La riforma dei servizi per
l’impiego ha previsto mutamenti a livello sia organizzativo che gestionale.
Diversi sono stati i cambiamenti avvenuti, tra cui quelli relativi ai contenuti
dei servizi dei Centri per l’impiego, in termini di ampliamento e
qualificazione, per cercare di rispondere maggiormente alle richieste
dell’utenza. Utenza composta da cittadini e imprese che vengono posti al
centro dell’erogazione del servizio articolato in varie tipologie: accoglienza,
informazione, orientamento, consulenza per le imprese, gestione
amministrativa, incrocio domanda e offerta28. Ciò che si persegue con tali
riforme è senza dubbio la modernizzazione dei servizi e la loro integrazione
28
Cfr. Isfol, Le azioni sperimentali nei Centri per l’impiego. Verso una personalizzazione dei
servizi, Roma, 2010.
77
con le politiche del lavoro. Servizi a cui si richiede di essere adeguati in un
mercato del lavoro sempre più segmentato, mutevole e globalizzato.
In Europa la sfida della modernizzazione si fonda su un sistema
consolidato e collaudato di servizi locali prevalentemente di natura pubblica
e a valenza nazionale che può contare su una rete decentrata in grado di
erogare anche altre misure di welfare legate al sostegno per il lavoro, come
sussidi e ammortizzatori sociali29. In Italia alle difficoltà legate alle
trasformazioni tecnologiche e organizzative dei sistemi economici e
produttivi si aggiungono diverse problematiche. Vi sono quelle inerenti il
modello legislativo che aprono a difficoltà sul piano dell’allocazione delle
funzioni e dei rischi che il decentramento potrebbe portare sul piano delle
disuguaglianze territoriali. Quelle connesse alla transizione istituzionale e al
ruolo dell’amministrazione centrale che appare debole e non sempre
efficace. Vi sono poi le difficoltà legate al cambiamento di cultura
organizzativa e la conseguente offerta di servizi personalizzati che non
devono essere considerati come attività meramente assistenziali e/o
informative, ma funzioni più avanzate e sofisticate. Si aggiungono a queste
le novità dovute all’introduzione nell’ambito dell’intermediazione di soggetti
non pubblici, la necessità di integrazione con le politiche del lavoro attive e
passive e le difficoltà connesse all’occupabilità e alle categorie più a rischio
di vulnerabilità30. Attualmente, superata la fase di avvio della nuova
concezione dei servizi pubblici per l’impiego, si apre quella del
consolidamento e della specializzazione: i Centri per l’impiego devono
assumere un ruolo strategico a livello territoriale ed essere considerati come i
referenti istituzionali per l’integrazione tra le diverse politiche del lavoro e i
differenti soggetti che si affacciano sul mercato nell’erogazione di servizi
per il lavoro.
Sul piano empirico diverse sono le ricerche che hanno monitorato sia a
livello nazionale che locale la struttura organizzativa e dei servizi dei Centri
per l’impiego31. Rispetto a quanto analizzato dalla ricerca svolta nella
29
Cfr. Regione Emilia-Romagna, Il sistema dei servizi pubblici per l’impiego in EmiliaRomagna, 2004.
30
Cfr. Ministero del lavoro, salute e politiche sociali, Isfol, Strumenti e strategie di
governance dei sistemi locali per il lavoro, Monitoraggio Cpi, 2000–2007; Irpet, Il sistema
dei servizi per l’impiego in Toscana, 2010.
31
Numerose sono le regioni che acquisendo per via della riforma delle politiche del lavoro la
responsabilità in tale materia hanno redatto report relativi allo stato di funzionamento e di
sviluppo dei Centri per l’impiego. La stessa cosa, su spinta anche dell’Unione europea, si è
verificata a livello centrale. Tali indagini sono volte a verificare, ad esempio, il grado di
adeguatezza del sistema dei servizi per il lavoro, la sostenibilità economica ed operativa della
capacità di mettere in campo misure di politica del lavoro, la segmentazione territoriale, ecc.
Infine molte sono le indagini condotte dai singoli Centri per l’impiego provinciali rispetto ai
servizi offerti, ai progetti sperimentali e alla soddisfazione dell’utenza.
78
provincia di Forlì-Cesena appare interessante prendere in considerazione
l’indagine condotta da Isfol32 sui servizi per l’impiego che rileva alcuni
andamenti relativi all’utenza di tali servizi a livello nazionale.
Secondo tale indagine sono le donne e i giovani (15 - 29 anni) a
usufruire maggiormente dei Centri per l’impiego. Rilevante è anche la
percentuale degli ultraquarantenni nel nord del paese. Rispetto alla
condizione occupazionale è interessante notare come siano coloro che
lavorano ad utilizzare il servizio pubblico, in più del 50% dei casi, nelle
regioni del nord-est e del centro, mentre al sud prevalgono i disoccupati.
Rispetto ai canali di ricerca maggiormente efficaci per trovare lavoro33
prevalgono quelli di carattere informale ovvero le relazioni personali, in
modo particolare fra i giovani anche se fra i laureati la percentuale si abbassa
fortemente. Le inserzioni sui giornali hanno successo in pochi casi mentre le
autocandidature presso i datori di lavoro risultano maggiormente funzionali
per trovare un impiego. Anche il canale dei concorsi è andato indebolendosi
e non costituisce più una risorsa efficace per l’ingresso del mercato del
lavoro.
Per quanto riguarda la misurazione del grado di soddisfazione
dell’utenza dei Centri per l’impiego pubblici e la loro qualità non è facile
ricostruire un quadro italiano rispetto ai temi della soddisfazione a causa
della non omogeneità delle rilevazioni condotte a livello nazionale dagli
stessi Centri per l’impiego o dalle Province.
L’indagine Isfol Plus34 tenta una lettura del grado di soddisfazione
dell’utenza ponendolo in relazione al grado di implementazione dei servizi.
Ciò che emerge è che la maggior parte degli utenti esprime un giudizio
positivo sulla qualità dei servizi in corrispondenza di un’implementazione
medio-alta degli stessi. Importante è la percentuale di coloro che esprimono
giudizi almeno sufficienti sui servizi erogati a un livello solo elementare. A
incidere su tali dati vi è il contesto territoriale e lo stato di disoccupazione.
Spostandosi verso il sud e aumentando la durata della disoccupazione
decresce il livello di soddisfazione. In termini più generali, tra gli utenti
occupati e quelli non occupati non sembrano esistere differenze
32
Si tratta dell’Indagine Campionaria sul funzionamento dei centri per l’Impiego 2005 – 2006
condotta da D. Gilli, R. Landi, Monografie sul Mercato del lavoro e le politiche per
l’impiego, n. 1, 2007.
33
L’indagine Isfol Plus è inserita nel programma statistico nazionale (PSN). Si tratta di
un’indagine campionaria rappresentativa che è stata condotta a partire dal 2005 negli anni
2006, 2008, 2010 e 2011. E’ possibile trovare una descrizione dell’indagine in E. Mandrone,
D. Radicchia, “Plus”, Rubettino editore, 2006.
34
Cfr G. Baronio, M. D’Emilione, C. Gasperini, G. Linfante, F. Tantillo, (a cura di), Gli
utenti e i centri per l'impiego, in «Monografie sul Mercato del lavoro e le politiche per
l’impiego», n. 7, 2004.
79
particolarmente rilevanti. Nemmeno la tipologia contrattuale, il titolo di
studio e il genere sembrano incidere più di tanto sul livello di soddisfazione.
A partire da questa premessa di seguito l’attenzione si focalizzerà
sull’analisi dei risultati dell’indagine condotta nella provincia di ForlìCesena, relativa alla ricerca attiva del lavoro e alle modalità di utilizzo dei
servizi pubblici per l’impiego. Dall’esame dei risultati si nota che solo poco
meno dell’11% delle persone sta cercando attivamente lavoro. Di queste il
50,6% è donna. Confrontando questo dato con quello relativo a chi si
dichiara in cerca di prima occupazione (1%) o disoccupato (8,3%) notiamo
che la percentuale di chi cerca occupazione è solo leggermente superiore.
Nell’indagine provinciale si chiedeva di indicare le azioni di ricerca
svolte da chi è alla ricerca di un impiego.
Tab. 2.15. Azioni di ricerca effettuate nelle ultime quattro settimane. Valori %
Consultare offerte lavoro sui giornali
Inviare domanda di lavoro, invio cv
Chiedere il supporto alla rete parentale, amicale, sindacale
Cercare su Internet
Rivolgersi al Centro per l’impiego
Sostenere un colloquio di lavoro/selezione
Rivolgersi a strutture di intermediazioni pubbliche o private
Mettere inserzioni e rispondere ad annunci sul giornale
Inviare domanda per partecipare a un concorso
Effettuazione di un concorso
Attivarsi per cercare terreni, locali, ecc. per avvio att. autonoma
Attivare per chiedere permessi licenze, ecc. per att. autonoma
Altro
% Si
72,9
71,8
64,0
61,0
54,7
41,9
40,0
35,3
20,0
9,4
4,7
2,4
12,9
I tre principali strumenti utilizzati in provincia di Forlì-Cesena per
cercare lavoro (cfr. tab. 2.15) sono: la consultazione di offerte di lavoro sui
giornali (72,9%), l’invio di domande di lavoro e curriculum vitae a privati
(71,8%) e il ricorso all’aiuto della rete parentale, amicale, sindacale (64%).
Anche se sarebbe interessante incrociare questi risultati con alcune
variabili indipendenti come sesso, età, titolo di studio, distretto territoriale,
ecc, purtroppo la numerosità di coloro che hanno risposto a questa domanda
non permette di operare in questo senso. Le uniche considerazioni che
possiamo compiere sono dunque relative alla tipologia di azione adottata. In
generale nelle ultime 4 settimane le persone non sono entrate in contatto
direttamente con un possibile datore di lavoro o committente.
Nonostante l’esistenza di agenzie di intermediazione sia pubbliche (Cpi)
che private che offrono servizi anche innovativi, rispetto al passato, le
persone prediligono ancora o strumenti tradizionali come le offerte sui
80
giornali o le segnalazioni delle reti parentali, amicali e sindacali. Un dato
comunque interessante è che oltre la metà del campione (54,7%) dichiara di
essersi recato al Centro per l’impiego pubblico.
L’utilizzo di reti informali è una caratteristica che non riguarda solo il
territorio provinciale ma l’intero Paese. Non sempre, però, le relazioni
informali sono considerate un canale per migliorare l’incontro tra domanda e
offerta di lavoro, anche perché le persone che accedono al mercato del
lavoro tramite tale canale, in media, hanno redditi più bassi. La scelta di
abbreviare i tempi di ricerca ricorrendo alle proprie conoscenze farebbe
correre ai lavoratori il rischio di rimanere intrappolati in occupazioni meno
remunerative a causa della scarsa corrispondenza tra profilo di competenze e
requisiti richiesti dal lavoro35. Inoltre livelli informali molto diffusi, anche
per le posizioni elevate, sono un’implicita selezione che si contrappone ai
talenti e al mercato36.
Interessante notare che uno strumento come internet, con i social
network e altre tipologie di servizi di incontro domanda-offerta, viene
utilizzato in maniera significativa. Quest’ultimo dato non stupisce accanto
alla predilezione di reti amicali che si connotano oggi anche per essere
comunità virtuali soprattutto per il mondo giovanile, ma non solo.
Coloro che hanno dichiarato di essersi recati al Centro per l’impiego
affermano di essere venuti a conoscenza del servizio (40%) attraverso amici
e conoscenti, ovvero il classico passa-parola più che essere stati informati
tramite una comunicazione diffusa di tipo strutturato e/o istituzionale.
Tenendo conto della scarsa numerosità dei casi anche per la domanda
relativa alle motivazioni che spingono ad utilizzare i Centri per l’Impiego
(cfr. tab. 2.16) si può notare che le ragioni principali sono quelle relative alla
ricerca di informazioni sulle opportunità lavorative (47,6%) e alla lettura
degli annunci e offerte di lavoro (23,8%)37.
In relazione al grado di soddisfazione relativo ai Centri per l’impiego
(cfr. tab. 2.17) si nota che la maggior parte delle persone (63,3%) si
concentra nella fascia che attribuisce un punteggio che va da 5 a 7: tra queste
il 42,8% esprime un giudizio sufficiente o discreto, mentre il 20,5% si attesta
su un giudizio insufficiente. Poco meno del 15% pensa che il servizio offerto
sia buono o ottimo.
35
Cfr. Isfol, Rapporto 2008 – Sintesi, Roma, 2008.
Cfr. Isfol, Plus Partecipation Labour Unemployment Survey. Indagine nazionale
campionaria sulle caratteristiche e aspettative degli individui sul lavoro, 2006.
37
Anche in questo non è possibile effettuare ulteriori approfondimenti perché non
risulterebbero significativi.
36
81
Tab. 2.16.
Motivazioni rispetto alle azioni di ricerca svolte. Valori %
Per avere informazioni su opportunità occupazionali
Per leggere gli annunci e le offerte di lavoro-consultare
Per apprendere tecniche di ricerca lavoro
Per avere informazioni su corsi di formazione professionale
Per essere orientato nella scelta del mio percorso formativo
Per avere informazioni sulla legislazione
Per utilizzare i servizi amministrativi
Altro
Totale
N
%
47,6
23,8
9,5
7,1
4,8
2,4
2,4
2,4
100,0
42
Tab. 2.17. Grado di soddisfazione dei servizi per il lavoro (Centri per l’impiego) –
Scala da 1 a 10. Valori %
%
Per niente
8,3
2,00
3,1
3,00
3,9
4,00
6,6
5,00
20,5
6,00
21,8
7,00
21,0
8,00
10,9
9,00
2,2
Completamente
1,7
Totale
100,0
N
229
Un’ultima considerazione deriva dall’analisi della domanda 76 (cfr. tab.
2.18) che chiedeva di indicare una priorità per la distribuzione delle risorse
del Comune o della Provincia. Dalla tabella emerge che c’è una forte
richiesta degli abitanti della provincia di Forlì-Cesena per quanto riguarda
investimenti relativi ai servizi per il lavoro e l’occupazione (media 7,66)
oltre che per l’istruzione e la formazione professionale (media 7,99). Su tutti
i possibili investimenti le due voci si collocano, infatti, ai primi due posti
della classifica, il che ribadisce l’importanza e anche la carenza o la
difficoltà di reperire lavoro.
Quando si parla, infine, della natura pubblica o privatistica
dell’intervento in ambito lavorativo per l’inserimento nel mercato
occupazionale delle persone emerge che tale supporto non deve essere
delegato alla sola sfera pubblica, ma che anche il singolo cittadino deve farsi
carico della sua situazione (67,8%). Tale dato non fa che confermare gli
82
orientamenti delle politiche per il lavoro basate sull’attivazione dei soggetti e
su azioni di aumento dell’occupabilità.
Tab. 2.18. Priorità assegnata ai diversi settori nella distribuzione delle risorse del
Comune o della Provincia. Valori medi (range 0-10)38
Media
Trasporti pubblici locali
6,10
Istruzione/formazione
7,99
Servizi per anziani
7,55
Servizi per il lavoro e l’occupazione
7,66
Servizi per l’infanzia
7,81
Servizi sociali per fasce svantaggiate
7,58
Manutenzione strade e miglioramento della viabilità
7,11
Manutenzione parchi e aree verdi
6,81
Attività economiche e produttive
7,29
Educazione ambientale e civica
7,13
Centri di aggregazione per i giovani
7,02
Iniziative culturali (rassegne, concerti, ecc.)
6,98
2.5. Rilievi di sintesi
Anche a livello locale sembrano riconfermarsi le tendenze nazionali che
vedono nei giovani e nelle donne le categorie maggiormente penalizzate sul
mercato del lavoro. L’universo femminile e giovanile, dunque, sembra
includere una quota non irrilevante di soggetti potenzialmente a rischio
poiché interessati da forme di lavoro flessibile. Per i giovanissimi emerge
infatti che i contratti a tempo determinato sono praticamente l’unica risorsa
per poter accedere ad un lavoro, mentre per le donne, maggiormente
impiegate con contratti part-time, la probabilità di avere un contratto non
standard è doppia rispetto a quella degli uomini. Incide su queste situazioni il
modello di sviluppo territoriale locale fatto da micro e piccole imprese e
caratterizzato dal settore agricolo e dei servizi. La probabilità che il contratto
di lavoro sia a tempo determinato è infatti più elevata in tali settori, in cui
l’organizzazione del lavoro è da sempre maggiormente legata alla
stagionalità, mentre è l’industria che offre maggiori garanzie.
Accanto all’utilizzo di contratti a termine e di orario ridotto emerge,
però, anche l’incremento dell’orario di lavoro soprattutto per i lavoratori
38
Il quesito domandava all’intervistato di attribuire un punteggio da 1 a 10 per ognuna delle
voci presentate. L’intervistato non doveva pertanto fornire una “graduatoria”; al contrario,
poteva dare massima priorità (“10) a tutte le voci, così come, all’opposto, attribuire a tutte
minima priorità (“0”). In questa sede si presenta per ciascun item il punteggio medio delle
risposte fornite dagli intervistati.
83
maschi autonomi ma, in buona misura, anche per i lavoratori dipendenti. Si
tratta di un fenomeno che emerge in misura inedita rispetto al passato a
partire dal processo in atto che vede un aumento della responsabilizzazione e
dell’autonomia dei lavoratori subordinati e la subordinazione della parte più
vulnerabile dei lavoratori autonomi, i lavoratori non standard.
Tali dati non possono non avere che pesanti ripercussioni anche sulle
condizioni di vita e di benessere, soprattutto per le generazioni più giovani,
che si trovano nella condizione di dover iniziare a costruire una propria
indipendenza. Dal punto di vista femminile, la flessibilità può anche essere
ricercata per conciliare le diverse esigenze di cura, tuttavia se non è scelta
ma subita per mancanza di altre opportunità può avere conseguenze anche
sul piano della sostenibilità economica familiare. Soprattutto in momenti di
congiuntura economica non favorevole, in una società che si basa su un
modello familiare di tipo dual-earner e su un sistema di welfare che risulta
debole nella protezione di coloro che sono meno integrati nel mercato del
lavoro.
Dalla ricerca condotta emerge la preoccupazione per il futuro laddove ai
primi posti, tra gli aspetti del lavoro ritenuti rilevanti, vengono collocati la
stabilità del contratto e lo stipendio. Due elementi che vanno nella direzione
opposta ai cambiamenti odierni in cui si assiste a un aumento della
flessibilizzazione e della precarizzazione del lavoro e a un conseguente
contenimento o ridimensionamento dei salari. Situazione che la crisi
economica non ha fatto altro che accentuare, nel settore pubblico e privato,
soprattutto per quanto riguarda i lavoratori meno stabili.
Un aspetto interessante che emerge, e che può essere in qualche modo
collegato a tale discorso, è sicuramente quello connesso agli orientamenti nei
confronti del lavoro. Nella provincia di Forlì-Cesena si evidenzia una
concezione del lavoro non ideologica, disincantata e pragmatica legata alle
dimensioni della sicurezza economica e della stabilità contrattuale ma anche
ad aspetti di benessere del lavoratore connessi al contesto relazionale
lavorativo. Aspetti che solo apparentemente sono in contraddizione tra di
loro, ma che ben si sposano sia con il periodo di crisi che con le
caratteristiche socio-economiche del territorio di pertinenza. Ciò che il
lavoratore ricerca come prima cosa non é più soltanto, in una visione
strumentale e funzionale del lavoro, una sicurezza per se e per la propria
famiglia ma anche relazioni lavorative non conflittuali. Le motivazione alla
base di questo orientamento potrebbero essere molteplici: la struttura
produttiva in cui il lavoratore è maggiormente a stretto contatto con
l’imprenditore e con i colleghi, i mutamenti del lavoro che richiedono
cooperazione e lavoro di rete ma anche il venire meno di un identità del
lavoro collettiva favorita dalla frammentazione delle carriere e dei luoghi di
lavoro. Al secondo posto emerge l’orientamento al lavoro che considera
84
importanti aspetti come la conciliazione con i carichi famigliari, maggiore
tempo libero, orario di lavoro e distanza dall’abitazione. La concezione in
cui le persone si riconoscono di meno è quella che considera il lavoro
centrale nella propria vita in termini di impegno e crescita personale. Il
lavoro dunque come dimensione che gratifica, realizza e apre prospettive
rimane da sfondo ad altre concezioni ritenute più valide.
Per quanto riguarda, invece, i servizi per l’impiego e la ricerca attiva del
lavoro, tra coloro che effettuano azioni di ricerca (circa l’11%), poco più del
50% dei cittadini si rivolge al Centro per l’impiego. L’approccio all’utilizzo
dei servizi è piuttosto tradizionale legato ad un’esigenza informativa rispetto
alle opportunità di lavoro del mercato. I soggetti preferiscono ancora fare
ricorso alle reti amicali o parentali per cercare un lavoro piuttosto che
rivolgersi a strutture di intermediazione. Quest’ultimo dato forse non
sorprende, soprattutto in una dimensione provinciale come quella di ForlìCesena, in cui il capitale sociale appare molto sviluppato così come un tipo
di economia ancora molto tradizionale e poco innovativa, fatta di micro
imprese che si avvalgono, per lo più, di figure professionali con titoli di
studio di livello medio-basso.
Accanto alla richiesta di investire risorse pubbliche per tali servizi e per
la formazione professionale, sembra emergere la necessità che i Centri per
l’impiego rafforzino, attraverso un’azione anche di diffusione e
informazione, l’offerta di quei servizi che aiutino l’individuo ad attivarsi e
ad essere partecipe del processo di inserimento o integrazione nel mercato
del lavoro. Aumenta, perciò, la responsabilità dei Centri per l’impiego che
secondo la riforma delle politiche del lavoro devono assumere una nuova
cultura di servizio proiettata sull’utente e sulla personalizzazione ed efficacia
delle azioni. In questa prospettiva di ammodernamento sta anche la ricerca di
un ampliamento della platea dei soggetti e di un ruolo di governance del
pubblico. Tale orientamento non implica una perdita di importanza del
pubblico ma semmai un suo rafforzamento insieme ad un cambiamento
legato al ruolo e alla nuova identità.
85
3. Condizione economica e capacità di risparmio
di Elena Mattioli
3.1. Premessa
Come è noto, l’attuale congiuntura economica negativa ha avuto
pesanti conseguenze sui bilanci delle famiglie, già provati nel corso degli
ultimi venti anni dalla progressiva perdita del potere di acquisto di salari e
stipendi dei lavoratori1.
Nelle pagine seguenti si vuole quindi approfondire l’analisi
dell’impatto della crisi sulle famiglie forlivesi e cesenati2, in relazione a
quattro aspetti:
1) se e come si manifestano processi di fragilizzazione della situazione
economica delle famiglie;
2) se la capacità di risparmio delle famiglie abbia subito delle modifiche
alla luce della crisi, e, nel caso in cui ciò si sia verificato, quali famiglie
ne abbiano maggiormente risentito;
3) se e quale livello di preoccupazione esprimano le famiglie in relazione
alle conseguenze della crisi economica sul proprio nucleo familiare e
sulla conseguente attuazione di comportamenti volti al risparmio;
4) quale sia la percezione delle famiglie riguardo la propria condizione
economica, lungo un continuum che va da situazioni di estrema povertà
a situazioni di elevato benessere economico, alla luce anche delle
eventuali dinamiche di sostegno presenti all’interno della rete parentale.
I fattori che possono rendere più vulnerabili individui e famiglie sono
molteplici e di diversa nature (economica, sociale e culturale). Ciò richiede
di analizzare sia aspetti oggetti, relativi alla sfera economica, sia gli aspetti
soggettivi, ovvero quelli attinenti alla percezione individuale della propria
situazione, nella quale gioca un ruolo di centrale importanza il confronto tra
bisogni e aspettative dell’individuo e risorse a sua disposizione3.
1
Si rimanda alle analisi della Banca d’Italia presentate annualmente nell’ambito dell’Indagine
sui bilanci delle famiglie.
2
A tale proposito, si ricorda che il periodo di somministrazione dei questionari dell’indagine
oggetto del presente rapporto ha avuto luogo tra aprile 2010 e luglio 2011.
3
Sul concetto di vulnerabilità cfr., tra gli altri, N. Negri., La vulnerabilità sociale, in
«Animazione sociale», agosto/settembre, 2006; C. Ranci, Fenomenologia della vulnerabilità
sociale, in «Rassegna italiana di sociologia», n. 4, 2002.
86
Rispetto a queste quattro aree tematiche, si vuole in primo luogo
verificare lo stato di benessere economico delle famiglie del campione, e se
vi siano particolari fattori che possano favorire l’insorgere di elementi di
criticità (cfr. par. 3.2).
In secondo luogo, si cercherà di appurare se la capacità di risparmio
delle famiglie abbia subito delle modifiche nel corso dell’ultimo anno (cfr.
par. 3.3).
In terzo luogo, si vuole capire se le famiglie reagiscano alla crisi
economica con maggiore preoccupazione, e se tale livello di preoccupazione
incida o meno sui comportamenti di acquisto delle famiglie (cfr. par. 3.4).
Infine, si vuole comprendere quale percezione abbiano le famiglie del
proprio status economico, approfondendo anche il possibile ruolo svolto dal
sostegno della rete parentale nel modificare in senso positivo o negativo tale
percezione (cfr. par. 3.4).
3.2. Situazione economica delle famiglie: fragilità o solidità?
In quali condizioni versano le famiglie cesenati e forlivesi in questi
tempi senati dalla crisi economica che in Italia ha iniziato a far sentire i suoi
effetti a partire dalla fine del 2008? A partire da questa domanda l’obiettivo
è verificare l’insorgenza di particolari difficoltà nel raggiungere fine mese,
evidenziando l’eventuale presenza di fattori che possano determinare
situazioni di fragilità piuttosto che di solidità. In particolare, si vuole
comprendere se e quale influenza abbiano fattori come, ad esempio, il tipo
di nucleo familiare, la condizione abitativa (in relazione alle spese legate al
pagamento delle mensilità di affitto o delle rate del mutuo in caso di
abitazione di proprietà) e il contesto di residenza, alla luce delle diverse
caratteristiche sociali, economiche e culturali che connotano le diverse aree
territoriali.
Per quanto riguarda la situazione a fine mese delle famiglie (cfr. tab.
3.1), è possibile evidenziare che circa un quinto si trova costretta a prelevare
dai propri risparmi, oppure, in casi più gravi, deve contrarre debiti (5,3%). A
fronte di tale situazione, più della metà degli intervistati afferma che la
propria famiglia riesce a gestire il bilancio familiare mensile (55,6%). Oltre
a ciò, un quinto del campione dichiara di non avere particolari problemi di
bilancio. È possibile quindi delineare due distinti profili relativi alla
situazione economica familiare: nel primo caso, definibile in termini di
fragilità economica, rientrano quei nuclei familiari costretti a contrarre
debiti o a prelevare dai risparmi (24,1%), mentre nel secondo caso troviamo
le famiglie che riescono a far quadrare i propri bilanci familiari e non
87
presentano particolari problemi, che si caratterizzano pertanto per la propria
solidità economica e che rappresentano, nel nostro campione, la stragrande
maggioranza dei casi (75,9%).
Tab. 3.1. Situazione economica a fine mese delle famiglie intervistate. Valori %
Deve fare debiti
5,3
Non è costretta a fare debiti, ma deve prelevare dai risparmi
18,8
Riesce a fare quadrare il bilancio
55,6
Non ha problemi di bilancio
20,3
Totale
100,0
N
835
A questo punto è interessante andare a vedere quali siano le famiglie
più toccate da processi di fragilizzazione dei propri bilanci economici.
Osservando la situazione a fine mese rispetto alle risorse economiche di
cui dispone la famiglia4 (cfr. tab. 3.2) possiamo notare, com’era prevedibile,
che sono proprio i nuclei con la minore disponibilità pro-capite ad avvertire
maggiori difficoltà. La tabella evidenzia come all’aumentare della
disponibilità economica familiare, diminuiscano fortemente le probabilità di
rientrare nel profilo della fragilità: la percentuale di famiglie con
disponibilità economica elevata che presentano una condizione economica
fragile sono il 7,6%, a fronte di una percentuale pari al 41,6% per le
famiglie con scarse risorse economiche.
Tab.3.2. Situazione economica a fine mese per indice di disponibilità economica
familiare pro-capite. Valori %
Basso
Medio
Alto
Totale
Fragilità
41,6
21,8
7,6
24,7
Solidità
58,4
78,2
92,4
75,3
Totale
100,0
100,0
100,0
100,0
N
267
312
211
790
Per quanto riguarda invece la tipologia di nucleo familiare (cfr. tab.
3.3), dalla tabella si evince come a soffrire maggiormente delle difficoltà
siano le famiglie costituite da coppie con figli: all’aumentare del carico
familiare cresce quindi la probabilità di incontrare difficoltà economiche,
dovute ad un ampliamento delle necessità materiali cui il nucleo si trova a
far fronte (ad esempio, aumento dei consumi alimentari, spese legate ai
bisogni di cura e care dei propri membri, etc.). Una maggiore solidità
4
Per i dettagli nella costruzione dell’indice si rinvia al capitolo 8.
88
economica sembra invece caratterizzare la situazione dei single (81,3%) e
delle coppie senza prole (77,7%).
Tab. 3.3. Situazione economica a fine mese per tipologia di nucleo familiare. Valori %
Single
Coppia senza
Coppia con
Altro
Totale
figli
figli
Fragilità
18,7
22,3
24,8
28,7
24,1
Solidità
81,3
77,7
75,2
71,3
75,9
Totale
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
N
107
179
423
122
831
Sembra poi emergere una relazione tra situazioni di fragilità e
condizione abitativa (cfr. tab. 3.4). La tabella mette in luce come l’avere una
casa di proprietà riduca la probabilità di trovarsi in condizioni economiche
difficili: la percentuale di famiglie fragili con casa di proprietà è infatti
inferiore di circa tredici punti percentuali rispetto alle famiglie in affitto e
alle famiglie che abitano in case concesse in usufrutto/uso gratuito.
Tab. 3.4. Situazione economica a fine mese per condizione abitativa. Valori %
Affitto
Proprietà
Usufrutto/uso gratuito
Totale
Fragilità
33,9
20,1
34,6
24,1
Solidità
66,1
79,9
65,4
75,9
Totale
100,0
100,0
100,0
100,0
N
127
596
104
827
E’ possibile inoltre notare alcune differenze in base al paese di origine
dell’intervistato (cfr. tab. 3.5). Nonostante la maggior parte del campione,
sia fra intervistati di origine italiana che fra intervistati di origine straniera,
presenti una sostanziale solidità economica familiare, si delinea un maggiore
disagio per le famiglie in cui l’intervistato è di origine straniera: infatti,
mentre la percentuale degli intervistati di origine italiana con una situazione
di solidità è pari al 77,6%, tale percentuale diminuisce di 16,6 punti
percentuali fra gli intervistati di origine straniera, attestandosi al 61%.
Tab. 3.5. Situazione economica a fine mese per paese di origine dell’intervistato.
Valori %
Italiano
Straniero
Totale
Fragilità
22,4
39,0
24,1
Solidità
77,6
61,0
75,9
Totale
100,0
100,0
100,0
N
744
82
826
89
Infine, alla luce delle differenze nelle caratteristiche socio-economiche5
del territorio6, è interessante verificare se vi siano differenze nella situazione
economica delle famiglie rispetto al territorio di residenza. I dati permettono
di evidenziare una maggiore sofferenza tra le famiglie residenti nel distretto
Rubicone-Costa (29,1%), che presenta uno scarto di circa 7 punti
percentuali rispetto a quanto rilevato nei distretti di Forlì e Cesena-Valle
Savio (cfr. tab. 3.6).
Tab. 3.6. Situazione economica a fine mese per distretto. Valori %
Forlì
Cesena-Valle Savio
Rubicone-Costa
Fragilità
22,6
22,4
29,1
Solidità
77,4
77,6
70,9
Totale
100,0
100,0
100,0
N
389
246
196
Totale
24,1
75,9
100,0
831
In sintesi, quindi, le analisi effettuate permettono di riscontrare una
sostanziale tenuta dei bilanci delle famiglie forlivesi-cesenati. Tuttavia, i
dati mettono in luce come alcune fasce della popolazione, probabilmente
risentendo degli effetti della crisi economica, siano maggiormente esposte al
rischio di uno scivolamento in condizione di marginalità economica.
5
Secondo alcune ricerche effettuate negli ultimi anni, l’economia provinciale, pur
caratterizzandosi per la relativa stabilità e solidità e la presenza sul territorio di aziende leader
a livello mondiale per certi settori, è sottoposta alle sfide legate alla crescente
internazionalizzazione dei mercati, soprattutto per l’emergere di economie altamente
concorrenziali provenienti dai paesi in via di sviluppo dell’area asiatica. La presenza di aree
votate all’agricoltura e al turismo, inoltre, risente della caratterizzazione stagionale del lavoro.
Sul tema del distretto calzaturiero si veda ad esempio P. Zurla, a cura di, Il distretto
calzaturiero del Rubicone. Dallo sviluppo spontaneo allo sviluppo riflessivo, Milano, Franco
Angeli, 2004. Per quanto riguarda invece il distretto nautico cfr. N. De Luigi, A. Martelli, P.
Zurla, a cura di, Pratiche di governance tra welfare e sistemi locali di produzione. Sfide e
opportunità, Milano, Franco Angeli, 2009.
6
I distretti della Provincia di Forlì-Cesena presentano caratteristiche abbastanza eterogenee
non solo tra loro ma anche al proprio interno. Il distretto Rubicone-Costa si posiziona lungo
la costa adriatica, connotandosi prevalentemente come un territorio a forte vocazione
turistica-balneare, includendo tuttavia alcuni comuni afferenti all’area collinare (ad esempio
Sogliano); gli altri due distretti (Cesena-Valle Savio e Forlì) racchiudono al loro interno
grandi centri urbani e piccoli centri dell’area montana, con differenti connotazioni sia in
termini economici sia rispetto alle caratteristiche della popolazione residente (ci si riferisce
all’importante incidenza dei cittadini di origine straniera sulla popolazione residente nei
comuni montani, ad es. Santa Sofia).
90
3.3. Famiglie e capacità di risparmio
Dopo aver analizzato la condizione di sofferenza e fragilità economica
delle famiglie della Provincia, ora l’attenzione si focalizza sulle il presente
paragrafo prende in esame la loro capacità di risparmiare, cercando poi di
comprendere se e come la crisi abbia avuto un impatto, nel corso dell’ultimo
anno, sulle pratiche e sui comportamenti di consumo.
L’analisi si svilupperà a partire da tre principali obiettivi. In primo
luogo, si intende descrivere la capacità di risparmio delle famiglie forlivesi e
cesenati, per poi passare ad analizzarne la propensione all’utilizzo di forme
di credito al consumo7, come carte di credito, rate, carte revolving8, ecc.
Infine, si vuole comprendere se vi siano particolari elementi che possano
incidere sulla capacità di risparmio delle famiglie.
A partire dall’analisi dei dati a nostra disposizione, è possibile
segnalare come oltre la metà degli intervistati dichiari di non essere riuscita
a risparmiare nel corso dell’ultimo anno (cfr. tab. 3.7), nonostante, come si è
avuto modo di mettere in evidenza prima, la maggior parte del campione non
presenti particolari problemi di bilancio (cfr. tab. 3.1).
Tab. 3.7. Capacità di risparmio nel corso dell’ultimo anno. Valori %
Sì
No
Totale
N
43,4
56,6
100,0
835
La possibilità di riuscire a mettere da parte risorse economiche sembra
essere ancora minore per gli intervistati di origine straniera (cfr. tab. 3.8): a
fronte di una percentuale di intervistati italiani pari al 54,8%, la percentuale
degli intervistati stranieri impossibilitati a risparmiare si attesta al 70,4%.
7
Per credito al consumo si intende «il credito per l’acquisto di beni e servizi (credito
finalizzato) ovvero per soddisfare esigenze di natura personale (ad esempio: prestito
personale, cessione del quinto di stipendio) concesso ad una persona fisica (consumatore). Il
credito al consumo può assumere la forma di dilazione del pagamento del prezzo dei beni e
servizi ovvero di prestito o analoga facilitazione finanziaria». Cfr. Banca d’Italia,
http://www.bancaditalia.it/serv_pubbl/conoscere/edufin-bi/Credito (ultimo accesso: 18 settembre 2011).
8
Particolare tipo di carta di credito che consente la rateizzazione del pagamento della merce
acquistata.
91
Tab. 3.8. Capacità di risparmio nel corso dell’ultimo anno per paese di origine
degli intervistati. Valori %
Italiano
Straniero
Totale
Sì
45,2
29,6
43,7
No
54,8
70,4
56,3
Totale
100,0
100,0
100,0
N
736
81
817
Rispetto al nucleo familiare (cfr. tab. 3.9), si manifesta una certa
difficoltà di risparmio per tutte le famiglie ad eccezione dei single che, nella
maggior parte dei casi (52,3%), sono riusciti nel corso dell’ultimo anno a
mettere da parte qualcosa. I dati mostrano anche come le coppie senza figli
abbiano maggiori difficoltà rispetto a quelle con prole, con uno scarto di
circa quattro punti percentuali tra i valori presentati, rispettivamente 58,4%
e 54,3%.
Tab. 3.9. Capacità di risparmio nel corso dell’ultimo anno per tipologia di nucleo
familiare. Valori %
Single
Coppia senza figli
Coppia con figli
Altro
Totale
Sì
52,3
41,6
45,7
30,9
43,4
No
47,7
58,4
54,3
69,1
56,6
Totale
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
N
107
178
414
123
822
I dati raccolti, inoltre, evidenziano una forte associazione tra
disponibilità economica familiare e capacità di risparmio: come si può
vedere dai dati riportati nella tabella (cfr. tab. 3.10), coloro che dispongono
di un basso reddito familiare e dichiarano di non essere riusciti a risparmiare
sono quasi il 15% in più rispetto a quelli che dispongono di un reddito
familiare compreso tra i 700 e i 1200 euro, e sono più del doppio di quelli
che hanno invece un’alta disponibilità economica (34,5%).
Tab. 3.10 Capacità di risparmio nel corso dell’ultimo anno per indice di
disponibilità economica familiare. Valori %
Basso
Medio
Alto
Totale
Sì
26,4
41,3
67,3
43,3
No
73,6
58,7
32,5
56,7
Totale
100,0
100,0
100,0
100,0
N
265
312
209
786
Ciò permette di sottolineare un elemento di criticità: il fatto che siano
proprio le famiglie con la minore disponibilità economica quelle con più
92
difficoltà di risparmio potrebbe innescare di un circolo vizioso, il quale,
portando ad una maggiore erosione delle già scarse risorse economiche e
alimentando di conseguenza l’incapacità di risparmio, comporterebbe quindi
un peggioramento delle situazioni di chi è già in difficoltà.
Dalle analisi effettuate emerge inoltre una maggiore difficoltà di
risparmio per le famiglie che vivono in affitto (cfr. tab. 3.11), le quali nel
68,8% dei casi dichiarano di non essere riuscite a mettere da parte risorse
nel corso dell’anno. Si sottolinea nuovamente la presenza di una situazione
di difficoltà anche per quelle famiglie che vivono in abitazioni concesse in
usufrutto/uso gratuito (64,1%), sebbene in misura leggermente minore
rispetto a quelle in affitto.
Tab. 3.11. Capacità di risparmio nel corso dell’ultimo anno per condizione
abitativa. Valori %
Affitto
Proprietà Usufrutto/uso gratuito Totale
Sì
31,2
47,6
35,9
43,6
No
68,8
52,4
64,1
56,4
Totale
100,0
100,0
100,0
100,0
N
125
590
103
818
Si riscontrano nuovamente differenze rispetto alla dimensione
territoriale (cfr. tab. 3.12): a fronte di una sostanziale situazione di equilibrio
nei distretti di Forlì e Cesena-Valle Savio, nel distretto Rubicone-Costa ben
il 63,6% degli intervistati dichiara di non essere riuscito a risparmiare.
Tab. 3.12. Capacità di risparmio nel corso dell’ultimo anno per distretto. Valori %
Forlì
Cesena-Valle Savio
Rubicone-Costa
Totale
Sì
44,5
47,3
36,4
43,4
No
55,5
52,7
63,6
56,6
Totale
100,0
100,0
100,0
100,0
N
382
245
195
822
Rispetto all’utilizzo di forme di credito al consumo, le analisi svolte
permettono di osservare come nel campione di riferimento prevalga la
tendenza a farne uso (il 58,5%).
Non si osservano associazioni significative tra utilizzo di forme di
credito al consumo e sesso dell’intervistato - pur prevalendo leggermente i sì
fra gli intervistati di sesso maschile (il 51,6%) - né rispetto all’età (cfr. fig.
3.1), ad eccezione della fascia degli ultrasessantacinquenni, che risultano
essere i meno propensi a farne uso, e della fascia dei 30-49enni, che ne
rappresentano i maggiori fruitori.
93
Fig. 3.1. Utilizzo di forme di credito al consumo per età. Valori %
100
90
80
70
60
50
40
30
20
10
0
15-29
30-49
50-64
65 e oltre
Fig. 3.2. Utilizzo forme di credito al consumo per livello di istruzione familiare.
Valori %
100
90
80
70
60
50
40
30
20
10
0
Basso
Medio
Alto
94
I dati disponibili evidenziano inoltre una forte correlazione tra la
propensione all’utilizzo di forme di credito al consumo e il livello di
istruzione familiare: come si evince dalla figura 3.2, al crescere del livello di
istruzione aumenta anche il ricorso al credito al consumo.
Ciò vale anche rispetto alla disponibilità economica familiare: le analisi
effettuate rivelano infatti che al crescere della disponibilità economica
aumenta considerevolmente anche la propensione delle famiglie ad
utilizzare forme di credito al consumo (cfr. tab. 3.13).
Tab. 3.13. Utilizzo di forme di credito al consumo per indice di disponibilità
economica familiare. Valori %
Basso
Medio
Alto
Totale
Sì
49,6
54,8
74,5
58,3
No
50,4
45,2
25,5
41,7
Totale
100,0
100,0
100,0
100,0
N
264
312
208
784
Oltre a ciò, come si evince dalla figura 3.3, il ricorso al credito al
consumo varia in base al tipo di nucleo familiare, concentrandosi in modo
particolare nei nuclei familiari composti da coppie con figli.
Fig. 3.3. Utilizzo forme di credito al consumo per tipologia di nucleo familiare.
Valori %
100,0%
90,0%
34,6
80,0%
47,6
45,5
51,1
70,0%
60,0%
50,0%
40,0%
65,4
30,0%
52,4
54,5
48,9
20,0%
10,0%
0,0%
Single
Coppia senza figli
Coppia con figli
Sì
Altro
No
95
Si riscontrano quindi anche in Provincia di Forlì-Cesena le tendenze
relative all’uso di forme di credito al consumo evidenziate in recenti
indagini, nelle quali è possibile rintracciare diverse interpretazioni del
fenomeno. Secondo alcuni autori, si riscontra un maggiore ricorso al credito
al consumo in nuclei familiari con un livello culturale ed economico alto e
con un capo famiglia giovane, più incline quindi ad avere necessità di
liquidità per far fronte alle spese connesse alla formazione di un proprio
nucleo familiare. Secondo altri, invece, la relazione tra maggiore ricorso al
credito al consumo ed età e livello culturale ed economico della famiglia,
sarebbe legata alle previsioni di crescita dei propri guadagni futuri
(avanzamenti di carriera, raggiungimento stabilità lavorativa, etc.) 9. Infine,
vi sono interpretazioni che, dissentendo da tale lettura, ritengono più
determinante la negatività della situazione economica familiare10: in altre
parole, la maggiore propensione al credito al consumo sarebbe una
conseguenza della scarsa liquidità disponibile, che rende necessario il
ricorso a pagamenti rateali e varie forme di credito per far fronte alle
necessità del nucleo.
Come riscontrato per lo stato di benessere economico delle famiglie,
anche rispetto a questa variabile è possibile osservare alcune differenze
territoriali: a fronte di percentuali sostanzialmente omogenee nei distretti di
Forlì e Rubicone-Costa, che si assestano intorno al 57% circa, è possibile
distinguere nel distretto di Cesena-Valle Savio un utilizzo leggermente più
marcato, dove dichiarano di ricorrere al credito al consumo il 61,5% degli
intervistati (cfr. tab. 3.14).
Tab. 3.14. Utilizzo di forme di credito al consumo per distretto. Valori %
Forlì
Cesena-Valle Savio
Rubicone-Costa
Sì
57,1
61,5
57,7
No
42,9
38,5
42,3
Totale
100,0
100,0
100,0
N
385
244
196
Totale
58,5
41,5
100,0
825
Riassumendo, è possibile constatare un utilizzo diffuso di forme di
credito al consumo da parte delle famiglie forlivesi e cesenati, in modo
particolare nelle coppie con figli. Inoltre, si delinea una maggiore
9
Cfr. S. Magri, R. Pico e C. Rampazzi, Which households use consumer credit in Europe?,
Questioni di Economia e finanza, occasional papers, luglio 2011, Banca d’Italia (documento
disponibile online su http://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/econo/quest_ecofin_2/QF_100/QEF_100.pdf).
10
cfr. B. Cavalletti, C. Lagazio e D. Vandone, Il credito al consumo in Italia: benessere
economico o fragilità finanziaria, Università degli Studi di Milano, Working paper no. 200824, 2008.
96
propensione per gli intervistati con età compresa tra i 30 e i 49 anni, con alti
livelli di istruzione familiare e un elevato benessere economico familiare.
Ciò concorda con quanto emerso dalle analisi finora effettuate, le quali
complessivamente permettono di constatare una situazione di sostanziale
solidità dei bilanci economici delle famiglie del campione, pur mettendo in
luce il profilarsi di una certa difficoltà costituita da una riduzione nella
capacità di risparmio. A tale proposito è interessante osservare se a questa
difficoltà gli intervistati e le loro famiglie reagiscano mettendo in campo
strategie di consumo orientate al contenimento delle voci di spesa, aspetto
del quale si occuperà il prossimo paragrafo.
3.4. Preoccupazione e rinunce: l’impatto della crisi sulle famiglie
Le pagine seguenti, come anticipato poco sopra, si concentreranno
sull’eventuale impatto che la crisi può avere sulla preoccupazione delle
famiglie rispetto alla loro situazione economica, cercando poi di cogliere
l’eventuale influenza del livello di preoccupazione tanto sui comportamenti
di acquisto
quanto sull’orientamento delle famiglie verso pratiche
maggiormente volte al risparmio.
Chiamati ad esprimere un giudizio su una scala da 0 a 10 circa la
preoccupazione per le conseguenze della crisi sulla situazione economica
della propria famiglia, gli intervistati del campione hanno espresso un livello
medio di preoccupazione non trascurabile, attestato al 6,82.
Dal confronto del valore medio rispetto ad alcune variabili (cfr. tab.
3.15), non si riscontrano particolari differenze rispetto al nucleo familiare se
non per alcune realtà minoritarie, come le famiglie monogenitori e quelle
estese, che sembrano manifestare una maggiore preoccupazione (si noti
infatti come la categoria “altro”, nella quale sono ricomprese famiglie
monogenitori e famiglie estese, esprima un livello medio di preoccupazione
pari a 7,30 a fronte di un valore medio che si attesta a 6,82).
Rispetto all’indice di disponibilità economica familiare emerge una
relazione inversa: le famiglie che presentano un punteggio medio di
preoccupazione maggiore sono quelle della fascia inferiore (fino a 700 euro
mensili). Si nota quindi una progressiva diminuzione del livello di
preoccupazione all’aumentare della disponibilità economica.
Lo stesso si verifica rispetto al livello di istruzione familiare: dai dati è
possibile infatti notare come al crescere del livello di istruzione diminuisca
di quasi un punto il valore medio relativo alla preoccupazione per le
conseguenze della crisi (che passa da un punteggio medio pari a 7,28 per le
97
famiglie con il livello di istruzione minore a un valore medio di 6,19 per
quelle con un alto livello).
Ancora, i dati indicano una maggiore preoccupazione per le famiglie
del distretto Rubicone-Costa, che esprimono un punteggio medio pari a 7,26
a fronte di valore medi che si attestano per Cesena-Valle Savio al 6,58 e per
il distretto di Forlì al 6.74.
Tab. 3.15. Preoccupazione per le conseguenze della crisi economica – Valore medio
e deviazione standard
Media
Dev. Std
N
Tipologia di nucleo familiare
Single
6,43
2,7
107
Coppia senza figli
6,84
2,4
179
Coppia con figli
6,77
2,4
424
Altro
7,30
2,2
124
Disponibilità economica familiare
Basso
Medio
Alto
7,68
6,69
5,95
2,1
2,4
2,4
268
313
211
Status culturale familiare
Basso
Medio
Alto
7,28
6,71
6,19
2,4
2,3
2,5
299
325
170
Distretto
Forlì
Cesena-Valle Savio
Rubicone-Costa
6,74
6,58
7,26
2,5
2,5
2,0
389
246
199
Paese di origine
Italiano
Straniero
6,69
7,91
2,4
1,9
747
82
Si evidenziano poi livelli di preoccupazione più elevati nel caso di
famiglie in cui l’intervistato è di origine straniera, che esprimono una
preoccupazione media pari a 7,91, all’incirca un punto in più rispetto alle
famiglie in cui l’intervistato è italiano. I dati mettono poi in evidenza come
siano le donne ad essere leggermente più preoccupate rispetto agli uomini
(con uno scarto di 0,19). Da sottolineare infine un livello di preoccupazione
maggiore tra i nuclei che non sono stati in grado di risparmiare nel corso
dell’ultimo anno, per i quali la preoccupazione raggiunge un valore medio
98
pari al 7,42, con uno scarto di 1,34 punti rispetto a chi è riuscito a mettere da
parte un po’ di denaro.
A questo punto ci si chiede se ad una maggiore preoccupazione rispetto
alle possibili conseguenze della crisi economica corrisponda una maggiore
propensione a modificare le proprie abitudini di consumo in un’ottica di
risparmio. Rispetto a tale questione11, non si evidenziano nel campione
oggetto d’indagine sostanziali cambiamenti.
Come si evince dalla tabella (cfr. tab. 3.16), uno dei comportamenti di
risparmio maggiormente adottati dalle famiglie riguarda la voce di spesa
relativa ai consumi energetici.
Tab. 3.16. Rinunce e comportamenti volti al risparmio – Media e deviazione
standard
Media
Dev. Std
N
Riduzione consumi energetici
3,52
1,4
819
Riduzione acquisti al di fuori da saldi e offerte
3,19
1,5
807
Riduzione spese per viaggi
2,99
1,6
703
Riduzione spese per hobby e tempo libero
2,79
1,5
745
(es. pay-tv, libri, ristorante, ecc.)
Rinuncia ad acquisti importanti già decisi (es.
2,66
1,6
701
auto, casa, arredi, ecc.)
Riduzione uscite con amici e parenti
2,45
1,5
772
Cambio dei punti vendita dove acquista
2,04
1,4
805
Rinuncia ad avvalersi di personale di sostegno
1,92
1,4
221
(colf, baby sitter, etc)12
Si registrano poi maggiori rinunce nell’acquisto di abbigliamento al di
fuori del periodo di saldi (punteggio medio pari a 3,19) e nelle spese per
viaggi e vacanze (valore medio di 2,99). Infine, sono da evidenziare due
aspetti per quanto riguarda la rinuncia ad avvalersi di personale di sostegno
(ad esempio, colf, baby sitter, etc.): se da un lato circa tre quarti degli
intervistati (il 73,4%) dichiara di non avvalersene, dall’altro lato, fra le
persone che possono contare sulla collaborazione di personale esterno,
prevale la tendenza a non rinunciarvi (il valore medio risulta essere infatti
pari a 1,92)13.
11
Agli intervistati è stato chiesto di esprimere un voto da 1 (per niente) a 5 (molto) su alcune
rinunce o comportamenti attuati al fine di risparmiare.
12
Per poter procedere all’osservazione dei valori caratteristici della variabile, è stata effettuata
una ricodifica che contasse i valori “non utilizza” come system missing, il che spiega la
presenza di un valore di N minore rispetto agli altri item.
13
Rispetto a tale aspetto, è da sottolineare come vi sia una maggiore propensione a
rinunciarvi tra i nuclei con una bassa disponibilità economica familiare: il punteggio medio
99
Per dare un’immagine sintetica in grado di riassumere in una sola
variabile la propensione del campione a mettere in pratica comportamenti
volti al risparmio nel corso dell’ultimo anno, si è proceduto alla costruzione
di un indice14.
Tab. 3.17. Indice di propensione ad attuare comportamenti di risparmio
Media
Dev. Std
N validi
4,44
2,7
576
Come si evince dai valori caratteristici (cfr. tab. 3.17), il punteggio
medio ottenuto dagli intervistati relativamente all’indice di propensione ad
attuare comportamenti di risparmio è pari a 4,44, su un campo di variazione
0-10. In altre parole, il campione oggetto di indagine sembra nel complesso
non avere modificato più di tanto i propri comportamenti, attuando
particolari strategie o rinunce per migliorare la propria capacità di risparmio.
A tale proposito, si può ipotizzare che, al tempo della rilevazione, gli
effetti della crisi non si fossero ancora dispiegati pienamente nei territori
della Provincia, oppure si può pensare che le famiglie abbiano finora
risposto attingendo risorse dai propri risparmi, cercando quindi, secondo
logiche di solidarietà familiare e intergenerazionale, di attutire l’impatto
della congiuntura economica negativa sui membri più esposti della propria
famiglia. Ciò potrebbe essere anche interpretato come indicatore di una
certa ‘resistenza’ del campione rispetto alla necessità di modificare i propri
stili di vita e di consumo, preferendo attingere dai propri risparmi piuttosto
che modificare il proprio ‘status’ socio-economico.
Non si evidenziano particolari differenze in relazione alle tipologie
familiare (cfr. tab. 3.18), anche se è possibile sottolineare una lieve maggior
resistenza al cambiamento tra i single, a fronte di una maggiore propensione
in alcuni nuclei minoritari. In relazione alla disponibilità economica delle
famiglie, il confronto dei punteggi medi evidenzia come al diminuire delle
risorse economiche a disposizione, aumenti la propensione a mettere in
pratica comportamenti volti al risparmio: il valore medio passa infatti da
per queste famiglie si attesta infatti a 2,62 rispetto a valori medi inferiori tra le famiglie con
un reddito pro-capite medio ed alto (rispettivamente 1,70 e 1,63).
14
Tale indice è costituito dalla somma dei punteggi ottenuti rispetto a ciascuna della variabili
sopra commentate relative ai comportamenti attuati per risparmiare, ad esclusione della
variabile relativa alla rinuncia ad avvalersi di personale di sostegno per due motivi: 1) da un
punto di vista statistico, la correlazione tra questo indicatore e gli altri risultava molto bassa,
2) ben il 73% degli intervistati ha dichiarato di non farne uso, il che portava all’esclusione di
un numero considerevole di casi.
100
2,94 per le famiglie di fascia alta a 6,05 per le famiglie della fascia inferiore.
Lo stesso accade in relazione al livello di istruzione familiare: a fronte di un
valore medio pari a 3,46 per le famiglie con alti livelli di istruzione, il valore
medio sale a 5,29 per le famiglie con un basso livello. Per quanto riguarda il
territorio, il distretto Rubicone-Costa presenta un valore medio di poco più
alto rispetto ai distretti di Forlì e Cesena-Valle Savio (rispettivamente 4,88,
4,40 e 4,13).
Tab. 3.18. Indice propensione ad attuare comportamenti di risparmio – media e
deviazione standard
Media
Dev. Std
N
Tipologia di nucleo familiare
Single
4,09
3,0
64
Coppia senza figli
4,42
2,8
106
Coppia con figli
4,42
2,7
321
Altro
4,79
2,8
85
Disponibilità economica familiare
Basso
Medio
Alto
6,05
4,42
2,94
2,7
2,5
2,2
162
230
159
Status culturale familiare
Basso
Medio
Alto
5,29
4,30
3,46
3,0
2,5
2,5
189
240
124
Distretto
Forlì
Cesena-Valle Savio
Rubicone-Costa
4,40
4,13
4,88
2,7
2,7
2,8
255
178
143
Paese di origine intervistato
Italiano
Straniero
4,28
6,09
2,7
2,7
522
49
Ancora, i dati permettono di osservare una maggiore propensione
all’attuazione di strategie di risparmio da parte degli stranieri: il valore
medio dell’indice passa infatti da 4,28 per gli italiani a 6,09 per gli
intervistati di origine straniera. Infine, da sottolineare una maggiore
propensione ad attuare comportamenti volti al risparmio tra le famiglie
caratterizzate da una situazione economica fragile (il valore medio si attesta
a 6,44, circa il doppio rispetto ai nuclei con una situazione economica più
101
solida) e tra coloro i quali hanno dichiarato di non essere riusciti a
risparmiare nel corso dell’anno, per i quali il valore medio si attesta al 5,56
(con uno scarto di 2,4 punti rispetto a chi vi è riuscito).
Alla luce delle osservazioni sinora emerse, è interessante a questo
punto osservare l’autopercezione degli intervistati rispetto alla condizione
economica della propria famiglia15, e cercare di capire se tale definizione sia
suscettibile di un miglioramento in considerazione dell’apporto di risorse
economiche o di cura dalla propria rete parentale.
Per quanto riguarda l’autopercezione della propria famiglia (cfr. tab.
3.19), il valore medio risulta essere pari a 5,37, dunque leggermente al di
sotto del punto medio sulla scala 0-10: le famiglie del campione tendono
quindi a percepire la propria situazione economica come non troppo
positiva, ma nemmeno eccessivamente negativa. Tale valore medio tende a
crescere leggermente (con un punteggio pari a 5,61) nel momento in cui gli
intervistati definiscono la propria famiglia comprendendo anche la rete
parentale. Tuttavia, se da un lato gli aiuti provenienti dai parenti
contribuiscono ad accrescere le risorse su cui poter contare, dall’altro lato
l’entità di tale miglioramento non permette di rilevare una differenza
sostanziale nella percezione che le famiglie hanno del proprio status
economico.
Tab. 3.19. Media e deviazione standard
Media
Autopercezione della condizione economica
della propria famiglia
Autopercezione della condizione economica della
propria famiglia, includendo il sostegno della rete
parentale
5,37
5,61
Dev.Std
1,3
1,4
N
832
824
Dal confronto dei valori medi (cfr. tab. 3.20) rispetto alla tipologia di
nucleo familiare, è possibile evidenziare la tendenza a dichiarare valori
leggermente inferiori alla media (pari a 5,37) da parte delle famiglie
costituite da single, che esprimono un punteggio medio pari a 5,19. Non si
rilevano differenze sostanziali tra i valori medi espressi dalle coppie sia con
figli che senza, presentando punteggi medi rispettivamente pari a 5,50 e
5,41. Possiamo quindi affermare che i single tendono a considerarsi
mediamente meno ricchi rispetto alle altre tipologie familiari. Tutti i nuclei,
15
Agli intervistati è stato chiesto di definire la propria famiglia su una scala da 0 a 10, dove 0
equivale a molto povera, 5 a né ricca né povera e 10 a molto ricca.
102
in ogni caso, registrano un aumento del punteggio medio qualora
considerino anche il sostegno della rete parentale; ciò avviene soprattutto
per i single (+ 0,24) e per le coppie con figli (+ 0,25).
Tab. 3.20. Autopercezione della condizione economica della propria famiglia–
media e deviazione standard
Autopercezione della
Autopercezione della
condizione economica
condizione economica della
della propria famiglia
propria famiglia includendo
sostegno rete parentale
Media Dev. Std
N
Media
Dev. Std
N
Tipologia familiare
Single
5,19
1,4
106
5,43
1,3
105
Coppia senza figli
5,41
1,2
179
5,63
1,4
177
Coppia con figli
5,50
1,3
423
5,75
1,4
419
Altro
4,98
1,5
124
5,27
1,4
123
Disponibilità economica familiare
Basso
4,78
Medio
5,40
Alto
6,04
1,5
1,1
1,1
267
313
211
5,17
5,57
6,19
1,6
1,2
1,3
265
309
209
Status culturale familiare
Basso
5,00
Medio
5,53
Alto
5,81
1,2
1,3
1,3
299
324
169
5,19
5,78
6,12
1,4
1,3
1,4
295
322
167
Distretto
Forlì
Cesena-Valle Savio
Rubicone-Costa
1,3
1,4
1,3
388
245
199
5,47
5,57
5,42
1,4
1,5
1,3
385
244
195
1,3
1,2
199
630
4,93
5,83
1,4
1,3
195
627
5,40
5,29
5,39
Situazione economica a fine mese
Fragilità
4,56
Solidità
5,62
Rispetto all’indice di disponibilità economica familiare, si rilevano
elevati scostamenti in relazione all’ammontare di risorse pro-capite che un
nucleo è in grado di assicurare ai propri membri. I valori medi presentati
dalla definizione della propria famiglia subiscono un notevole cambiamento
a seconda del livello di risorse su cui la famiglia può contare: le famiglie
con bassa disponibilità economica, infatti, presentano un valore medio pari a
103
4,78, con uno scarto di 1,26 rispetto al punteggio medio ottenuto dalle
famiglie con una disponibilità economica superiore ai 1200 euro mensili.
È interessante inoltre notare che anche in questo caso il punteggio
medio tende a salire qualora si comprenda anche il sostegno parentale,
tendendo però a diminuire in maniera inversamente proporzionale rispetto
alla fascia economica. Infatti, mentre il valore medio attribuito dalle
famiglie di bassa fascia è pari a 5,17, con un aumento di 0,39 rispetto alle
risorse del solo nucleo familiare, nelle altre fasce il contributo della rete
parentale risulta più modesto, aumentando il punteggio medio
rispettivamente di 0,17 punti nelle fasce medie e 0,15 in quelle ad alta
disponibilità economica.
Si può quindi ipotizzare che la rete parentale contribuisca a migliorare
la situazione economica soprattutto dei nuclei familiari con scarse risorse,
mentre incida meno nella percezione dello status di benessere delle famiglie
ad alta disponibilità economica.
Confrontando i valori medi riportati per livello di istruzione familiare,
troviamo che all’aumentare del livello di istruzione migliora
l’autopercezione della propria condizione economica: a fronte di un valore
medio pari a 5,00 per le famiglie con basso livello, infatti, si riscontra un
punteggio medio pari a 5,81 per le famiglie con un alto livello di istruzione.
È da sottolineare inoltre che tutti tendono a dare una definizione in termini
di maggiore ricchezza qualora si faccia riferimento anche alla rete parentale,
anche se ciò accade in misura maggiore per le famiglie della fascia
superiore, per le quali il valore medio passa da 5,81 a 6,12, con uno scarto
pari a 0,31 punti.
Non si evidenziano invece particolari differenze a livello territoriale,
mentre è possibile notarne rispetto alla situazione economica della famiglia
per quanto riguarda la capacità di mantenere il medesimo stile di vita per
tutto il mese. Le famiglie in condizione di fragilità economica, infatti,
presentano un valore medio inferiore rispetto alle famiglie più solide: il
punteggio medio passa da 4,56 nelle prime a 5,62 nelle seconde (+1,16).
Anche in questo caso si può notare un miglioramento nella definizione della
propria famiglia se si include il sostegno della rete parentale, registrando i
valori medi un incremento, rispettivamente, pari a +0,37 e + 0,21.
In sintesi possiamo quindi affermare che le famiglie della Provincia di
Forlì-Cesena, pur con alcune differenze, tendono a definirsi mediamente
come né ricche né povere. Tale definizione migliora leggermente nel
momento in cui esse ampliano la propria visuale fino a comprendere gli aiuti
provenienti dalla propria rete parentale.
104
3.5. Rilievi di sintesi
L’analisi dei dati rilevati nel corso dell’indagine effettuata sul territorio
provinciale permette quindi di evidenziare una situazione di sostanziale
solidità economica delle famiglie del campione. Vi sono tuttavia da rilevare
alcune differenze, che indicano la presenza di maggiori difficoltà nelle
famiglie costituite da coppie con figli, soprattutto nel caso in cui la
disponibilità economica familiare sia bassa. Inoltre, una maggiore
preoccupazione sembra essere avvertita dalle famiglie in cui l’intervistato è
di origine straniera.
Anche a livello territoriale si notano alcune differenze: i dati hanno
infatti messo più volte in luce una maggiore difficoltà per le famiglie
residenti nel distretto Rubicone-Costa.
In secondo luogo, l’indagine permette di rilevare una diminuzione, nel
corso dell’ultimo anno, della capacità di risparmio delle famiglie forlivesicesenati, che va di pari passo con una non trascurabile preoccupazione circa
i possibili effetti negativi della crisi economica.
Tuttavia, tale diminuzione non sembra essere seguita da cambiamenti
nei comportamenti di consumo delle famiglie, le quali non dimostrano di
reagire attuando particolari strategie di fronteggiamento della crisi in
un’ottica di maggiore risparmio (ad eccezione dei nuclei familiari con un
basso reddito pro-capite e scarsa capacità di risparmio, i quali si trovano
costretti a tagliare le proprie spese, anche se non in misura così radicale
come ci si aspetterebbe).
Per cercare di spiegare tale apparente contraddizione, si possono
avanzare alcune ipotesi. In primo luogo, si può ipotizzare che la crisi non
abbia ancora avuto conseguenze particolarmente gravi e diffuse a livello
locale. Si può altrimenti pensare che le famiglie siano riuscite sinora a
rispondere alla crisi attingendo risorse dai propri risparmi, cercando quindi,
secondo logiche di solidarietà familiare e intergenerazionale, di proteggere i
membri della famiglia più esposti alle difficoltà. Si potrebbe altresì
ipotizzare, considerando il non trascurabile livello di preoccupazione delle
famiglie, che l’attuale crisi sia vissuta con un atteggiamento di attesa vigile
rispetto a ciò che si potrà accedere in futuro, interpretando dunque la
resistenza a modificare significativamente i propri comportamenti come il
tentativo di salvaguardare e mantenere il proprio status sociale ed
economico in attesa che il periodo di crisi passi.
Da un lato dunque i dati a disposizione permettono di confermare il
fatto che le famiglie abbiano risentito degli effetti della crisi, come
dimostrato dalla effettiva diminuzione della capacità di risparmio. Dall’altro
lato, però, appare necessario approfondire maggiormente la conoscenza
105
relativa alle percezioni che le famiglie hanno della crisi e della sua durata,
alla luce della rilevanza assunta dalla dimensione soggettiva nella
costruzione delle rappresentazioni della povertà. Infine, appare opportuno
avviare riflessioni sui meccanismi motivazionali alla base dei
comportamenti attuati dalle famiglie nell’ambito delle strategie messe in
campo per fronteggiare le sfide imposte dalla crisi.
106
4. Atteggiamento verso la politica, civicness e religiosità
di Valerio Vanelli
4.1. Premessa
Con questo capitolo si procede in primo luogo all’analisi
dell’atteggiamento dei cittadini della provincia di Forlì-Cesena nei confronti
della politica e delle istituzioni. È certamente superfluo sottolineare che si
tratta di un tema assai ampio e articolato, studiato in questi decenni da una
pluralità di punti di vista e secondo una molteplicità di approcci1; del resto, è
noto che l’Italia nel suo complesso si caratterizza per una identità nazionale
debole, una insufficienza di cultura democratica e una scarsa legittimità e
credibilità delle istituzioni, dei partiti e dei politici: «un lungo resistente filo
impolitico e antipolitico corre nella storia italiana sia dopo sia prima
dell’unificazione politica»2. Ciò si è palesato nella cosiddetta crisi della
Prima Repubblica, avvenuta nei primi anni Novanta, che ha fatto venir meno
quell’equilibrio che aveva fin a quel momento caratterizzato il sistema
politico italiano3.
Anche il primo decennio del nuovo millennio risulta caratterizzato dal
persistere di questo stato di malessere e di diffidenza nei confronti della
politica e delle cosiddette istituzioni della democrazia, palesato anche dalla
1
L’ampia letteratura sul tema si può far partire dalla ricerca comparata condotta da Almond e
Verba, The civic culture (cfr. G.A. Almond, S. Verba, The Civic Culture. Political Attitudes
and Democracy in Five Nations, Boston, Little Brown, 1963, 1965), per poi ricordare, tra gli
altri, J. LaPalombara, Italy: Fragmentation, Isolation, Alienation, in L.W.Pye, S. Verba (a
cura di), Political culture and Political Development, Princeton, Princeton University Press,
1965 (pp. 282-329), G. Sani, The Political Culture of Italy: Continuità and Change, in G.A.
Almond, S. Verba, The Civic Culture Revisited, Boston, Little, Brown, 1980, pp. 273-324, il
fondamentale studio condotto da Robert Putnam e i suoi collaboratori (R. D. Putnam, Making
Democracy Work. Civic Traditions in Modern Italy, Princeton, Princeton University Press,
trad. it. La tradizione civica nelle regioni italiane, Milano, Mondadori, 1993), oltre a C.
Tullio-Altan, La nostra Italia. Arretratezza socio-culturale, clientelismo, trasformismo e
ribellismo dall’Unità a oggi, Milano, Feltrinelli, 1986 e R. Cartocci, Fra Lega e Chiesa.
L’Italia in cerca di integrazione, Bologna, Il Mullino, 1986 e Mappe del tesoro. Atlante del
capitale sociale in Italia, Bologna, il Mulino, 2007, cap. 1.
2
G. Pasquino, Il sistema politico italiano. Autorità, istituzioni, società, Bologna, Bonomia
University press, 2002, cap. 7.
3
Sul tema, cfr. R. Cartocci, L’Italia di tangentopoli e la crisi del sistema partitico, in C.
Tullio-Altan, La coscienza civile degli italiani. Valori e disvalori nella storia nazionale,
Udine, Gaspari Editore, 1997 e G. Pasquino, Il sistema politico italiano. Autorità, istituzioni,
società, op. cit., 2002, cap. 2.
107
critica nei confronti della “casta” e dei costi della politica nell’attuale
dibattito sui mass media e a livello di opinione pubblica.
Ma se questo vale per l’Italia nel suo complesso, sarà interessante
comprendere se e in che misura si rilevi anche per il livello locale, in un
territorio noto per un’elevata dotazione di capitale sociale e civicness4. E
proprio riguardo a quest’ultimo aspetto, si osserverà il territorio attraverso
un’analisi della fiducia nelle istituzioni (cfr. par. 4.4), della propensione
all’associazionismo, come forma di partecipazione della società civile e
dell’atteggiamento dei cittadini nei confronti dell’ambiente (par. 4.5), vista
la centralità che la tutela ambientale e lo sviluppo sostenibile hanno assunto
nel corso degli ultimi anni. Lo sguardo verrà infine posato sulla sfera della
religiosità (par. 4.6), che costituisce aspetti rilevante non solo in termini di
scelte spirituali, ma anche per le implicazioni che essa ha rispetto a visioni e
scelte di vita quotidiana.
4.2. L’atteggiamento nei confronti della politica e la partecipazione
politica
Per studiare l’atteggiamento dei cittadini della provincia di ForlìCesena nei confronti della politica, un buon punto di partenza è senz’altro
costituito dalla domanda Shell-Iard5, mutuata nel questionario utilizzato per
la presente indagine.
Dalla tabella 4.1 si osserva che le prime due opzioni di risposta – quelle
indicanti una maggior disponibilità e apertura verso la politica – raccolgono
oltre la metà degli intervistati: il 4,5% dichiara di considerarsi politicamente
impegnato e il 50% circa di tenersi al corrente della politica, pur senza
parteciparvi attivamente.
Si colgono poi i segni di quella disaffezione e diffidenza cui si
accennava in premessa al presente capitolo: più di un intervistato su dieci
dichiara che «bisognerebbe lasciare la politica a persone che hanno più
competenza di me», il 21,5% si dichiara semplicemente non interessato alla
4
Cfr. R. Cartocci, Fra Lega e Chiesa, op. cit., R. Cartocci, V. Vanelli, Atlante del capitale
sociale, in M. Golinelli, M. La Rosa, G. Scidà (a cura di), Il capitale sociale tra economia e
sociologia, Milano, FrancoAngeli, 2006, pp. 169-191 e, specificamente dedicato alla realtà
romagnola, R. Catanzaro (a cura di), Nodi, reti, ponti. La Romagna e il capitale sociale,
Bologna, il Mulino, 2004.
5
Cfr. C. Buzzi, A. Cavalli, A. de Lillo (a cura di), Rapporto giovani. Sesta indagine
dell’Istituto IARD sulla condizione giovanile in Italia, Bologna, il Mulino, 2007 e C. Buzzi,
A. Cavalli, A. de Lillo (a cura di), Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto IARD sulla
condizione giovanile in Italia, Bologna, il Mulino, 2002.
108
politica e quasi un 13% arriva a indicare un disgusto nei confronti della
politica (cfr. tab. 4.1)6.
Tab. 4.1. Atteggiamento verso la politica. Valori %
Mi considero politicamente impegnato
Mi tengo al corrente della politica, ma senza parteciparvi personalmente
Bisognerebbe lasciare la politica a persone che hanno più competenza di me
La politica non mi interessa
La politica mi disgusta
Totale
N
%
4,5
50,1
11,0
21,5
12,9
100,0
817
Si tratta di un segno rilevante, da non trascurare, che, anzi, merita di
essere approfondito inserendo le diverse variabili socio-demografiche, per
comprendere al meglio in quali fasce della popolazione si concentri
maggiormente questa disaffezione nei confronti della politica.
Osservando i valori percentuali di tabella 4.2, si evince una scarsa
rilevanza della variabile di genere, con uno scarto di appena due punti
percentuali fra uomini e donne (rispettivamente 11,9 e 13,9%), così come
pare non esserci una relazione fra l’atteggiamento nei confronti della
politica e il territorio di residenza.
Deve essere invece evidenziato come siano gli intervistati nati nella
provincia di Forlì-Cesena a esibire la quota più elevata di “disgustati” dalla
politica (15,3% contro il 6% circa che si registra per le altre tre categorie
previste per questa variabile).
Come ipotizzabile, invece, considerevole il peso dell’età e della
condizione occupazionale. La categoria che mostra un maggior disgusto nei
confronti della politica è quella dei giovani: rispetto al 12,9% medio
dell’intero campione, la percentuale risulta pari 15,7% per i 15-29 e a 14,2%
per i 30-49enni.
6
Poiché questa domanda è utilizzata abitualmente nelle sole survey rivolte allo studio delle
opinioni e degli atteggiamenti della popolazione giovanile, come le già citate indagini Iard,
non è possibile una comparazione fra il dato sopra esposto per la popolazione di Forlì-Cesena
e il corrispondente dato medio nazionale (un confronto, invece, limitato alle risposte fornite
dai giovani di Forlì-Cesena e l’intera popolazione giovanile nazionale sarà illustrato di
seguito).
109
Tab. 4.2. Atteggiamento verso la politica. Sentimento di “disgusto” per principali
variabili socio-demografiche. Valori %
% disgustati dalla politica
Sesso
Maschio
11,9
Femmina
13,9
Età
15-29 anni
30-49 anni
50-64 anni
65 anni e oltre
15,7
14,2
9,5
10,9
Distretto residenza
Forlì
Cesena-Valle Savio
Rubicone-Costa
13,2
13,1
11,8
Luogo di nascita
Provincia di Forlì-Cesena
Altra provincia dell’Emilia-Romagna
Altra regione italiana
Estero
15,3
6,0
5,7
6,3
Titolo di studio
Fino a licenza elementare
Licenza media o qualifica
Diploma di maturità
Laurea o post-laurea
10,4
15,0
12,5
11,1
Status occupazionale
Dirigenti, quadri, funzionari
Impiegati di concetto e insegnati
Impiegati esecutivi e operai
Imprenditori e liberi professionisti
Artigiani e commercianti
Pensionati
Casalinghe
Studenti
7,5
14,0
18,1
8,8
17,1
9,5
4,3
10,8
Va tuttavia immediatamente aggiunto che il dato è considerevolmente
inferiore rispetto a quello registrato dallo Iard: per omogeneità e
comparabilità dei dati, si devono considerare, come nel Rapporto Iard, i 1524enni e si osserva così che per Forlì-Cesena la quota di giovani disgustati
110
dalla politica è del 12,2%, mentre il dato nazionale Iard per la stessa fascia
di età mostrava, per il 20067, una percentuale del 23%, in flessione rispetto
al 26,5% registrato nel 2000 ma comunque in crescita rispetto al 20% circa
del 19968. Disaggregando ulteriormente le classi d’età, si può anzi osservare
che per la provincia di Forlì-Cesena, la quota di intervistati disgustati dalla
politica è più elevata tra i 25-34enni (14,8%) e fra i 35-44enni (15,1%).
Come in tutti gli studi in cui ci si trova a esaminare differenze di
atteggiamento o di comportamento rispetto all’età, risulta assai complicato
mantenere analiticamente distinti i tre tipi di effetti che possono spiegare le
differenze tra individui di età diversa:
l’effetto del corso di vita, in base al quale atteggiamenti e
comportamenti variano via via che la persona invecchia;
l’effetto coorte, secondo cui le persone appartenenti ad una determinata
coorte/generazione mantengono i propri comportamenti nel tempo,
indipendentemente dal ciclo di vita;
l’effetto periodo, in base al quale proprio le specificità di un
determinato momento storico possono influenzare e modificare gli
atteggiamenti e i comportamenti delle persone, giovani o anziane che
siano9.
Senza la disponibilità di dati rilevati nel tempo, è assai difficile
ipotizzare quale di questi effetti incida maggiormente sull’atteggiamento nei
confronti della politica, anche se si può notare, ad esempio, che a livello
nazionale la quota di giovani disgustati dalla politica è sensibilmente
aumentata fra i primi anni Ottanta e il Duemila10, a denotare che un qualche
effetto periodo è certamente presente e che “Tangentopoli” e la “crisi della
Prima Repubblica” hanno certamente lasciato il segno.
Si può poi certamente ipotizzare anche una interazione fra questi tipi di
effetto, con un peso della coorte, a cui si aggiunge anche un effetto ciclo di
vita, ma resta comunque difficile distinguere con una certa sicurezza tra
effetto coorte (dovuto al succedersi di generazioni con orientamenti diversi,
acquisiti in periodi diversi) ed effetto del ciclo di vita, per definizione
indifferente al succedersi dei periodi storici, in quanto dovuto ai processi di
crescita e invecchiamento individuale. I settantenni di oggi avevano venti
anni nel 1960, nel periodo del boom economico, mentre i cinquantenni di
7
C. Buzzi, A. Cavalli, A. de Lillo (a cura di), Rapporto giovani, op. cit.
C. Buzzi, A. Cavalli, A. de Lillo (a cura di), Giovani del nuovo secolo, op. cit.
9
Il tema è esemplificato efficacemente in M. Caciagli e P. Corbetta (a cura di), Le ragioni
dell’elettore. Perché ha vinto il centro-destra nelle elezioni italiane del 2001, Bologna, il
Mulino, 2002, cap. 3.
10
Cfr. C. Buzzi, A. Cavalli, A. de Lillo (a cura di), Giovani del nuovo secolo, op. cit.
8
111
oggi avevano venti anni nel periodo della contestazione e dell’attivismo
politico degli anni Sessanta-Settanta, e via dicendo.
Certamente si nota una certa relazione fra il disgusto nei confronti della
politica e lo status occupazionale, con una quota più elevata di “arrabbiati”
fra gli artigiani e i commercianti (17,1%) e, soprattutto, tra gli impiegati
esecutivi e gli operai (18,1%). Si tratta dunque di un malcontento che pare
essere trasversale rispetto alla tradizionale frattura fra lavoratori dipendenti
e autonomi e che, appunto trasversalmente, sembra interessare, forse, le
fasce mediamente più deboli di entrambe le categorie, probabilmente quelle
che hanno maggiormente risentito della crisi economico-finanziaria globale
di questi anni, lasciando pertanto intravedere un certo effetto periodo.
Minore sembra invece il ruolo esplicativo del livello di istruzione,
anche se va certamente evidenziata una quota più elevata di disgustati dalla
politica (15%) fra gli intervistati in possesso della licenza media o al
massimo della qualifica professionale (cfr. tab. 4.2).
È interessante poi osservare la distribuzione congiunta
dell’atteggiamento di disgusto nei confronti della politica con l’autocollocazione sull’asse sinistra-destra11 illustrata con la figura 4.1.
Fig. 4.1. % intervistati che provano disgusto per la politica per auto-collocazione
sull’asse sinistra-destra
20
15
10
5
0
1-Sinistra
2
3
4
5
6
7
8
9
10-Destra
11
Il quesito domandava all’intervistato di collocarsi lungo un continuum a dieci posizioni fra
loro equidistanti, in cui 1 indica l’estrema sinistra e 10 1’estrema destra.
112
La quota meno elevata di cittadini disgustati dalla politica si registra fra
gli intervistati che si collocano su posizioni di sinistra, cresce in maniera
notevole in corrispondenza delle posizioni intermedie della scala, che
possono essere fatte corrispondere a una posizione moderata e di centro, per
poi aumentare nuovamente via via che ci si sposta lungo il continuum verso
il polo di destra e di estrema destra.
Probabilmente la maggiore distanza dalla politica è percepita da coloro
che, in un sistema tendenzialmente bipolare, non riescono a riconoscersì né
nella coalizione di centro-sinistra né in quella del centro-destra, con un
conseguente disorientamento, che sfocia, appunto, in atteggiamenti
apertamente anti-politici. Non pare pertanto un caso che fra coloro che non
vogliono o non sanno collocarsi rispetto alla scala (esclusi dalla fig. 4.1), la
percentuale che si dichiara disgustata dalla politica arrivi oltre il 20%.
Al di là del complessivo e generico atteggiamento nei confronti della
politica, è interessante anche studiare gli effettivi comportamenti e le
concrete azioni di natura politica svolte dai cittadini.
Non si può non partire dal considerare la partecipazione elettorale,
quale forma visibile ed esplicita dell’interesse per la politica e del sentirsi
parte di una collettività, nonché fondamento di un sistema politico
democratico. Non si può in questa sede approfondire il tema delle
motivazioni
della
partecipazione
elettorale
e,
di
converso,
dell’astensionismo, se non ricordando che si tratta di una forma di
partecipazione non priva di ambiguità, in cui concorre una molteplicità di
dimensioni, quali motivazioni particolaristiche, specifiche posizioni
politiche ed anche l’astensionismo come forma di protesta e di rifiuto del
sistema. Chiaro infatti che in termini strettamente razionali, dal punto di
vista del singolo cittadino, recarsi alle urne è una scelta del tutto
irrazionale12, dal momento che il contributo del singolo elettore all’esito
della competizione elettorale è del tutto nullo13. Pertanto la spiegazione della
partecipazione elettorale da parte dei cittadini va cercata proprio
nell’irrazionale: quello che per il singolo cittadino è un costo – l’andare a
votare – diventa dal punto di vista soggettivo un modo per manifestare la
propria identità, sia per il militante politico o per l’elettore “ideologico” sia
per quello d’opinione14. «In termini aggregati, la quota di elettori che […]
decidono di andare a votare» si traduce senza dubbio in «un contributo alla
12
Cfr. D. Giannetti, Teoria politica positiva, Bologna, il Mulino, 2002.
Cfr. R. Cartocci, Mappe del tesoro, op. cit.
14
Si fa qui chiaro riferimento alla tipologia di Parisi e Pasquino che distingue tra elettori
d’opinione, elettori d’appartenenza e elettori di scambio. Cfr. A. Parisi, e G. Pasquino,
Relazioni partiti-elettori e tipi di voto, in A. Parisi e G. Pasquino (a cura di), Continuità e
mutamento elettorale in Italia. Le elezioni del 20 giugno 1976 e il sistema politico italiano,
Bologna, il Mulino, 1977, pp. 215-249.
13
113
legittimazione delle istituzioni, un riconoscimento e un sostegno –
consapevole o meno – del regime democratico…»15.
Per questo motivo, risulta utile osservare la percentuale del campione
che dichiara di aver votato: si tratta dell’83,8% degli intervistati per quanto
concerne le elezioni politiche e del 79,9% per le amministrative (cfr. tab.
4.3). Si ricorda che alle ultime elezioni politiche, la partecipazione media a
livello nazionale indicata dal Ministero degli Interni è stata dell’80,5%
(19,5% di astensionismo). Il dato ufficiale della provincia di Forlì-Cesena è
pari all’86,6%16, dunque più elevato di quello che emerge dalla rilevazione
campionaria realizzata e superiore a quello ufficiale nazionale, collocando la
provincia ben al di sopra della media nazionale (come già ricordato, 80,5%);
da segnalare come il dato sia leggermente superiore anche a quello medio
regionale (86,2%). Del resto, anche nella già citata indagine di Cartocci, che
utilizza fra gli indicatori di capitale sociale e civicness anche la
partecipazione elettorale (precisamente facendo riferimento alle elezioni
politiche del 2001, alle europee del 1999 e ai referendum tenutisi fra il 1999
e il 2001), la provincia di Forlì-Cesena si colloca al settimo posto, preceduta
da altre cinque province emiliano-romagnole e dalla toscana Siena17.
È tuttavia evidente che la partecipazione elettorale non si esaurisce qui;
anche considerando soltanto la partecipazione visibile18, si può considerare
la quota di intervistati che ha compiuto ciascuna delle azioni riportate in
tabella 4.3.
Si nota così che oltre un quarto dei casi (27,3%) ha firmato almeno una
petizione negli ultimi dodici mesi. Fra il 10 e il 16% dei casi hanno svolto
almeno una delle seguenti azioni: contattato un politico nazionale (10%),
indossato o mostrato un adesivo o un altro segnale distintivo di una
campagna politica, di sensibilizzazione su un tema, ecc. (12,1%), boicottato
15
R. Cartocci, Mappe del tesoro, op. cit.
Cfr. http://www.repubblica.it/speciale/2008/elezioni/camera/ province/forli_ cesena.html.
17
Cfr. R. Cartocci, Mappe del tesoro, op. cit.
18
Nella partecipazione visibile rientrano alcuni comportamenti, come quelli presentati in
tabella 4.3, cosiddetti “pubblici”, come recarsi a votare, raccogliere firme, presenziare a
manifestazioni, militare in gruppi politici e via dicendo. Si tratta di forme di impegno diretto
nella vita della comunità, di presenza del cittadino in prima persona, ancorché in ruoli minori,
nella sfera politica. Accanto a queste forme più esplicite di partecipazione ne esistono altre
meno visibili, che riguardano il grado di coinvolgimento psicologico dei singoli nelle vicende
politiche della società in cui vivono. È possibile ad esempio partecipare seguendo con
interesse le fasi e gli sviluppi delle vicende politiche, valutando positivamente o
negativamente le azioni e le dichiarazioni dei protagonisti, i dibattiti tra i gruppi o le decisioni
dei governanti, ecc. (cfr. M. Barbagli, R. Maccelli, Rapporto sulla situazione sociale a
Bologna, Bologna, il Mulino, 1985 e M. Cotta, D. della Porta, L. Morlino, (a cura di),
Scienza politica, Bologna, il Mulino, 2001).
16
114
uno o più prodotti (13,2%), partecipato a dimostrazioni pubbliche
autorizzate (15,6%).
Tab. 4.3. % di intervistati che ha realizzato le seguenti attività/azioni negli ultimi
dodici mesi
% Sì
Ha votato alle ultime elezioni politichea
83,8
Ha votato alle ultime elezioni amministrativea
79,9
Ha contattato un politico nazionale o locale
Ha partecipato attivamente alla vita di un partito politico
Ha prestato servizio civile volontario in organizzazioni o associazioni
Ha partecipato attivamente alla vita di una organizzazione sindacale
Ha indossato o mostrato un adesivo o un altro segnale distintivo di una
campagna politica, di sensibilizzazione su un tema, ecc.
Ha firmato una petizione
Ha partecipato a dimostrazioni pubbliche autorizzate
Ha boicottato uno o più prodotti
10,0
5,1
8,0
5,8
12,1
27,3
15,6
13,2
Gli altri tipi di azioni previste dal formulario sono state invece svolte da
una quota minore di intervistati: appena il 5,1% dei casi ha partecipato
attivamente alla vita di un partito e il 5,8% a quella di un sindacato.
Da ulteriori elaborazioni si è poi potuto evincere che mentre questo
ultimo tipo di attività, presso partiti politici o organizzazioni sindacali,
riguarda principalmente uomini (in percentuale doppia rispetto alle donne) e
in particolare della fascia di età compresa fra i 50 e i 64 anni, altre azioni –
come la firma di petizioni, il boicottaggio di prodotti, ecc. – sembrano
riguardare in egual misura uomini e donne e più le fasce di età giovanili (e
comunque, più in generale, quelle fino ai 50 anni).
4.3. La partecipazione associativa
La presenza di reti di associazionismo è da sempre considerata una
dimensione centrale della dotazione di capitale sociale di una collettività e
di un territorio. Infatti l’associazionismo civico, basato su reti fiduciarie,
produce un miglioramento dell’organizzazione sociale, promuovendo
iniziative e azioni decise di comune accordo, con attori che perseguono
finalità collettive pur senza la presenza di un interesse personale o di un
controllo sociale istituzionalizzato19. Come evidenziato da Cartocci, «il dono
19
Nella assai ricca letteratura sul tema, cfr., tra gli altri, R. Catanzaro (a cura di), Nodi, reti,
ponti, op. cit., R. Putnam, La tradizione civica nelle regioni italiane, op. cit., J. Coleman,
115
di sé attraverso forme di volontariato presuppone un orientamento di
subordinazione dell’interesse individuale a quello della comunità, nei cui
confronti si esperiscono forme di obbligazione morale. […] il senso di
obbligazione verso gli altri […] trova la sua più chiara manifestazione nella
donazione del proprio tempo e del proprio denaro a favore degli altri. Il
terzo settore è alimentato appunto da motivazioni altruistiche, creando reti
di relazioni disinteressate…»20.
Per studiare l’associazionismo si considerano solitamente almeno due
dimensioni: l’intensità della partecipazione e la tipologia associativa. La
prima viene abitualmente studiata in termini di numero di associazioni a cui
la persona aderisce e alla frequenza con cui si partecipa. In questo caso, si
farà riferimento esclusivamente al numero di associazioni, dal momento che
il questionario non prevedeva la rilevazione della frequenza della
partecipazione.
La seconda dimensione è poi quella della tipologia organizzativa a cui
si partecipa:
- associazioni auto-orientate (o di fruizione), in cui le attività sono
prevalentemente rivolte in modo diretto agli iscritti/affiliati e alle
loro necessità di auto-realizzazione, socializzazione, valorizzazione
fisica e/o intellettuale ed anche di utilizzo del tempo libero a
disposizione. Rientrano in questa prima categoria le associazioni
sportive, ricreative, ecc.;
- associazioni etero-orientate (o di impegno), finalizzate a
promuovere l’impegno e la partecipazione degli affiliati alla vita
sociale in senso ampio, tramite azioni collettive a carattere politico e
sindacale, manifestazioni pubbliche del pensiero, attività rivolte a
soggetti svantaggiati e a fasce deboli. Certamente sono da ricondurre
a questa categoria le associazioni di volontariato, quelle di tutela
dell’ambiente e dei diritti umani, ecc.
- associazioni religiose, in cui si ritrovano diversi aspetti delle due
precedenti categorie, che tuttavia nella fattispecie sono coniugati
Foundations of Social Theory, Cambridge, Cambridge University Press, 1990, C. Trigilia,
Capitale sociale e sviluppo locale, in «Stato e mercato» 57/1999, R. Cartocci, Mappe del
tesoro, op. cit., cap. 6, N. De Luigi, A. Martelli, P. Zurla (a cura di), Radicamento e
disincanto. Un’indagine sui giovani della provincia di Forlì-Cesena, Milano, FrancoAngeli,
2004, cap. 5.
20
R. Cartocci, Mappe del tesoro, op. cit., cap. 6. Al riguardo, cfr. anche P. Donati, I. Colozzi
(a cura di), Il privato sociale che emerge. Realtà e dilemmi, Bologna, il Mulino, 2004.
116
con specifici elementi di valorizzazione della spiritualità e di
coltivazione della sfera del sacro21.
La dimensione associativa preferita dai cittadini di Forlì-Cesena
coinvolti nell’indagine è certamente quella con finalità socializzante e di
svago, con una forte partecipazione ad associazioni auto-orientate e di
fruizione, come quelle sportive (il 19% degli intervistati aderisce ad almeno
una associazione sportiva di praticanti) o culturali e ricreative (entrambe
attestate vicino al 18%).
Il tema dell’uso del tempo è stato approfonditamente trattato nel
capitolo 1 del presente rapporto, ma si può comunque anche in questa sede
sottolineare come la gestione del tempo libero risulti essere precipuamente
orientata alla ricerca dello svago e del divertimento, anche attraverso forme
di socializzazione collettiva (cfr. tab. 4.4).
Si vuole poi precisare che anche la presenza delle sole associazioni
auto-orientate deve essere letta come rappresentativa di una comunità e di
una società vitale, con forti dotazioni di capitale sociale; se è vero, infatti,
che la partecipazione, ad esempio, a un’associazione sportiva di base, la
mera iscrizione, può essere letta in termini di semplice risposta ad una
offerta, è altrettanto vero che proprio questo fronte della proposta non deve
essere trascurato: dietro ad ogni società sportiva e associazione c’è sempre
un contributo di passione e di apertura verso l’altro. Non esisterebbero le
decine di migliaia di associazioni presenti in Italia se non vi fosse, per
ciascuna di esse, un nucleo di volenterosi che si assume l’onere di
impegnare il proprio tempo libero per organizzare, dirigere, allenare,
coordinare, coadiuvare, con mansioni anche umili ma indispensabili, per
dare vita a una rete di associazioni sul territorio che offre canali e occasioni
per svolgere attività di svago e di auto-realizzazione22.
C’è poi l’area della partecipazione etero-orientata, con il 15,8% di
intervistati che presta la propria opera in azioni di volontariato, un 6,6% che
agisce in organizzazioni politiche e il 4,8% impegnato invece in associazioni
operanti per la difesa dell’ambiente o dei diritti umani, come il Wwf,
Amnesty international, ecc.
Da ultimo, deve essere evidenziato come oltre un quinto degli
intervistati (21,4%) partecipi ad associazioni di tipo religioso e parrocchiale
(cfr. tab. 4.4).
21
Cfr. N. De Luigi, A. Martelli, P. Zurla (a cura di), Radicamento e disincanto, op. cit. e C.
Buzzi, A. Cavalli, A. de Lillo, Giovani verso il duemila. Quarto rapporto Iard sulla
condizione giovanile in Italia, Bologna, il Mulino, 1997.
22
Cfr. R. Cartocci, Capitale sociale, in M. Almagisti, D. Piana (a cura di), Le parole chiave
della politica italiana, Roma, Carocci, 2011, pp. 267-282, in particolare nota a pag. 275.
117
Tab. 4.4. Partecipazione ai diversi tipi di associazione. Valori %
Organizzazione sportiva di praticanti
Organizzazione sportiva di tifosi
Organizzazione culturale (teatrale, dibattiti, ecc.)
Organizzazione ricreativa
Organizzazione politica (partito, movimento)
Organizzazione ambientalista/diritti umani (es. WWF, ecc.)
Organizzazione studentesca
Organizzazione di volontariato (sociale, assistenziale, ecc.)
Organizzazione religiosa/parrocchiale (comprese organizzazioni di scout)
%
19,0
7,3
17,6
18,0
6,6
4,8
4,3
15,8
21,4
Se questo è in estrema sintesi il quadro della partecipazione associativa
dei cittadini intervistati, diviene ora interessante passare ad esaminare
l’intensità di questo associazionismo, ragionando, come anticipato, in
termini di numero di organizzazioni a cui ciascun intervistato aderisce e
pertanto distinguendo fra “Non associati” (chi non partecipa ad alcuna
organizzazione), “Monoassociati” (chi aderisce ad una soltanto) e
“Multiassociati” (chi aderisce ad almeno due associazioni).
Tab. 4.5. Livello di associazionismo per genere. Valori %
M
F
Non associato
43,8
42,6
Monoassociato
24,1
24,3
Multiassociato
32,1
33,1
Totale
100,0
100,0
N
424
399
Totale
43,2
24,2
32,6
100,0
823
Dalla tabella 4.5, considerando innanzitutto la colonna del totale, si
osserva come la netta maggioranza degli intervistati (43,2%) non sia
associato ad alcuna organizzazione; circa un quarto (24,2%) aderisce ad una
sola associazione mentre i cosiddetti multiassociati risultano circa un terzo
(32,6%).
Si precisa che la maggioranza assoluta (51,5%) dei multiassociati
aderisce a due associazioni e il 28% a tre, con una ristretta minoranza di casi
frequentanti un numero maggiore di organizzazioni.
È interessante proseguire la disamina, per comprendere quali siano i
profili di ciascuna di queste categorie (cfr. tab. 4.6).
Dalla tabella 4.6 si nota in primo luogo una considerevole influenza
dell’età e in particolare una maggiore partecipazione da parte dei giovani:
fra i 15-29enni, appena un terzo (33%) risulta non associato e oltre il 43%
multiassociato, mentre nelle classi più adulte i valori percentuali si
118
invertono, con circa il 45% dei casi non associati e circa il 30%
multiassociati.
Tab. 4.6. Livello di associazionismo per genere. Valori %
Non
MonoMultiassociato associato associato
Età
15-29 anni
33,1
23,8
43,1
30-49 anni
45,7
23,9
30,4
50-64 anni
45,8
23,5
30,7
65 anni e oltre
45,6
26,5
27,9
Totale
N
100,0
100,0
100,0
100,0
160
335
192
136
Distretto residenza
Forlì
Cesena-Valle Savio
Rubicone-Costa
41,3
41,6
49,4
21,1
28,4
24,8
37,6
30,0
25,8
100,0
100,0
100,0
383
243
197
Luogo di nascita
Provincia di Forlì-Cesena
Altra provincia Emilia-Romagna
Altra regione italiana
Estero
42,7
44,0
37,8
53,1
25,5
22,0
15,6
25,9
31,8
34,0
46,6
21,0
100,0
100,0
100,0
100,0
597
50
90
81
Titolo di studio
Fino a licenza elementare
Licenza media o qualifica
Diploma di maturità
Laurea o post-laurea
50,0
48,6
41,5
32,3
30,9
23,2
22,5
24,4
19,1
28,2
36,0
43,3
100,0
100,0
100,0
100,0
94
284
275
164
Status occupazionale
Dirigenti, quadri, funzionari
Impiegati di concetto e insegnati
Impiegati esecutivi e operai
Imprenditori, liberi professionisti
Artigiani, commercianti
Pensionati
Casalinghe
Studenti
39,0
45,7
48,6
30,5
46,3
45,3
55,6
27,7
22,0
21,3
23,4
30,5
24,4
24,3
17,8
24,6
39,0
33,0
28,0
39,0
29,3
30,4
26,7
47,7
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
41
94
218
59
41
148
45
65
Collocazione politica
Sinistra/Centro-sinistra
Centro-destra/Destra
35,5
42,3
24,6
23,4
39,9
34,3
100,0
100,0
341
175
119
Da ulteriori elaborazioni, rappresentate sinteticamente in figura 4.2, si è
potuto rilevare che questa maggiore partecipazione da parte delle classi più
giovani deriva dalla loro più frequente adesione ad alcuni tipi di
associazione: in primo luogo, come ovvio, quelle studentesche, con oltre il
17% dei casi fra i 15-29enni e una quota vicina all’1% per le classi di età
successive. Ed anche una maggiore adesione alle associazioni sportive, sia
di praticanti (quasi il 30% fra i 15-29enni, il 20% fra i 30-49enni, il 16%
circa fra i 50-64enni e appena il 7% per gli over-64enni), che di tifosi, cui
aderiscono circa il 15% degli intervistati di 15-29 anni, meno dell’8% dei
30-49enni e quote percentuali marginali per le classi di età meno giovani.
Fig. 4.2. Tipo di associazione per età
35
Religiose/parrocchiali
30
25
20
Volontariato
15
10
Politiche
Sportive praticanti
Culturali
5
Sportive tifosi
0
15-29
30-49
50-64
65 e oltre
Andamento opposto si registra invece per le organizzazioni di stampo
religioso, a cui aderisce meno del 17% dei cittadini di età compresa fra 15 e
29 anni, il 18,4% dei 30-49enni, quasi il 22% dei 50-64enni e il 33,8% degli
intervistati di almeno 65 anni. Anche per l’associazionismo politico il
contributo dei giovani è minoritario rispetto alle altre classi di età, mentre il
volontariato sembra tagliare trasversalmente le diverse categorie23 (cfr. fig.
4.2).
23
Per un approfondimento sul livello di associazionismo dei giovani della provincia di ForlìCesena, si rimanda a N. De Luigi, A. Martelli, P. Zurla (a cura di), Radicamento e disincanto,
op. cit., cap. 5. In questa sede non si procede a presentare i dati in chiave comparata dal
momento che la definizione operativa del quesito utilizzato per quella ricerca è differente da
quella utilizzata per la rilevazione al centro del presente rapporto di ricerca.
120
Anche rispetto alle altre variabili indipendenti presentate in tabella 4.6
si evidenziano alcuni rilievi interessanti. Si notano ad esempio minori livelli
di associazionismo per il distretto Rubicone-Costa, con oltre il 49% degli
intervistati non associati ad alcuna organizzazione a fronte di percentuali
inferiori al 42% per le altre due zone sociali.
Rispetto al luogo di nascita, si rileva una quota ben più elevata di
soggetti non associati fra i cittadini nati all’estero (53,1%): sommando i
mono e i multi-associati, per le persone nate in altri Paesi stranieri si arriva
al 47% circa, contro il 60% circa registrato per le altre categorie in cui sono
distinti in tabella 4.6 i nati in Italia.
Per quanto concerne il livello di istruzione, si osserva una relazione
lineare monotonica, con l’associazionismo che cresce all’aumentare del
titolo di studio; ciò è probabilmente legato all’età; si è infatti visto che sono
i giovani – in possesso generalmente di livelli di istruzione più elevati – a
mostrare maggiori livelli di associazionismo, rispetto alle classi più anziane,
tra le quali si concentra la maggior parte delle persone in possesso di bassi
livelli di istruzione. Ciò è confermato da ulteriori elaborazioni, con cui si è
potuto evidenziare che in realtà, a parità di età, il titolo di studio risulta
quasi ininfluente (cfr. tab. 4.6).
Anche la relazione fra partecipazione associativa e status occupazionale
risulta piuttosto debole, anche se va notata, da una parte, una maggiore
incidenza percentuale di non associati fra le casalinghe (55,6% a fronte del
già ricordato 43,2% medio) e, dall’altra, una quota decisamente inferiore di
non associati – dunque una maggiore propensione all’associazionismo – fra
gli imprenditori e i liberi professionisti (30,5%), seguiti da dirigenti e
funzionari (39%).
Da evidenziare infine una distribuzione piuttosto differenziata anche
rispetto all’autocollocazione politica sull’asse sinistra-destra24. Fra le
persone che si sono autocollocate sul polo di sinistra/centrosinistra del
continuum sono il 35,5% a risultare non associate, a fronte del 42,3% che si
24
Rispetto alla scala a dieci posizioni, si è proceduto ad una riaggregazione in base alla quale
i valori compresi tra 1 e 5 sono stati ricondotti alla categoria «Sinistra/Centro-sinistra» e i
valori 6-10 alla categoria «Centro-Destra/Destra», consapevoli di procedere a una drastica
semplificazione della realtà rispetto a un tema ben più sfaccettato e complesso che non può
essere trattato nell’economia del presente rapporto; si rimanda pertanto alla letteratura in
materia, a partire da G. Pasquino, Il sistema politico italiano, op. cit., N. Bobbio, Destra e
sinistra. Ragioni e significati di una distinzione politica, Roma, Donzelli, 2004, A. Parisi,
H.M.A. Schadeé (a cura di), Sulla soglia del cambiamento. Elettori e partiti alla fine della
prima repubblica, Bologna, il Mulino, 1995, M. Caciagli, P. Corbetta (a cura di), Le ragioni
dell’elettore. Perché ha vinto il centro-destra nelle elezioni italiane del 2001, op. cit., R.
D’Alimonte, S. Bartolini, Maggioritario finalmente? La transizione elettorale 1994-2001,
Bologna, il Mulino, 2002, G. Pasquino (a cura di), Dall’Ulivo al governo Berlusconi. Le
elezioni del 13 maggio 2001 e il sistema politico italiano, Bologna, il Mulino, 2002.
121
registra per gli auto-collocati sulla parte destra della scala. E, di converso, i
multiassociati risultano quasi il 40% tra gli elettori di sinistra/centrosinistra
e il 34,3% per quelli di destra/centrodestra. Chiude il quadro la categoria
intermedia dei monoassociati, che sono quasi un quarto per entrambi i
sottogruppi (cfr. tab. 4.6).
Se in generale, dunque, i cittadini di sinistra e di centro-sinistra
risultano maggiormente propensi all’associazionismo rispetto a quelli
appartenenti allo schieramento opposto, con la figura 4.3 è interessante
notare che essi frequentano prevalentemente – e ben più dei cittadini di
destra/centrodestra – le organizzazioni di volontariato (20,1% contro
13,1%), culturali e ricreative (circa 25% contro 20%) e di difesa
dell’ambiente e dei diritti umani (8,7% contro 1,1%).
Fig. 4.3. Tipo di associazionismo rispetto all’auto-collocazione lungo l’asse
sinistra-destra. Valori % di associati a ciascun tipo di associazione
Sportiva di praticanti
Sportiva di tifosi
Culturale
Ricreativa
Politica
Ambientalista/diritti umani
Studentesca
Volontariato
Religiosa/parrocchiale
0,0
5,0
10,0
Centrodestra/Destra
15,0
20,0
25,0
30,0
Sin/Centrosin.
All’opposto, i cittadini autocollocatisi sul polo di destra/centro-destra
risultano maggiormente propensi a frequentare le organizzazioni religiose25
e parrocchiali (25,7% contro meno del 19% degli elettori di sinistra/centrosinistra) e quelle sportive (cfr. fig. 4.3).
25
Si ricorda che al tema della religiosità è dedicato il sesto paragrafo del presente capitolo.
122
4.4. La fiducia nelle istituzioni
La riflessione sin qui condotta su partecipazione, solidarietà e
cittadinanza può essere ulteriormente arricchita ponendo l’attenzione sulla
fiducia che i cittadini ripongono nelle istituzioni e nei principali gruppi
sociali.
Come già richiamato in premessa al presente capitolo, l’Italia fin dalla
sua Unità si caratterizza per uno scarso sostegno da parte dell’opinione
pubblica alle cosiddette istituzioni della democrazia. Il deficit di legittimità
delle istituzioni e della politica è un tema studiato da numerosi decenni dalle
scienze politiche e sociali; da più parti è stato evidenziato che il sostegno
alle istituzioni viene accordato o meno dai cittadini sulla base di due
elementi: da una parte, in virtù delle performance che le stesse istituzioni
offrono alla collettività; dall’altra, in base ad un legame di tipo
affettivo/simbolico26. In un Paese come l’Italia, caratterizzato da una
perdurante inefficienza delle istituzioni, a più riprese travolte anche da
scandali di varia natura, e da un contesto in cui il senso di identificazione
simbolica è particolarmente debole, queste due dimensioni non possono che
rafforzarsi reciprocamente, producendo un basso attaccamento e una scarsa
fiducia nei confronti delle istituzioni27.
Dato questo contesto, si tratta ora di capire se e in che misura esso si
presenti anche per la provincia di Forlì-Cesena, territorio caratterizzato,
come già richiamato, da una considerevole tradizione civica e da un buon
funzionamento delle istituzioni. Il questionario ha anche cercato di ampliare
il discorso, considerando non soltanto le istituzioni ma anche diversi gruppi
sociali e attori economico-sociali, come i manager delle aziende pubbliche e
private, la televisione, ecc.
La tabella 4.7 presenta le distribuzioni di frequenza percentuali del
giudizio espresso dal campione di intervistati per ciascuna di queste
istituzioni e gruppi sociali, mostrando anche il punteggio medio28. Al fine di
26
Cfr. in particolare C. Tullio-Altan, La coscienza civile degli italiani, Udine, Gaspari, 1997
e Ethnos e civiltà, Milano, Feltrinelli, 1995, R. Cartocci, Diventare grandi in tempi di
cinismo, Bologna, il Mulino, 2002, J. March, J. Olsen, Riscoprire le istituzioni, Bologna, il
Mulino, 1993.
27
Al riguardo, la peculiarità del caso italiano è stata messa chiaramente in luce da diversi
studi comparati, a partire da G. Almond, S. Verba (a cura di), The Civic Culture, op. cit., da
E. Banfield, Le basi morali di una società arretrata, Bologna, il Mulino, II ed., 1976 e,
successivamente, da R. Inglehart, Valori e cultura politica nella società industriale avanzata,
Padova, Liviana, 1993 e R. Putnam, Making Democracy Work. Civic Traditions in Modern
Italy, op. cit.
28
Il quesito domandava agli intervistati di indicare il proprio grado di fiducia utilizzando una
scala compresa fra 1 (“Nessuna fiducia”) e 5 (“Massima fiducia”), per cui il punteggio medio
123
una più immediata lettura, la figura 4.4 presenta la quota percentuale di casi
che ha espresso un giudizio positivo, collocandosi sui punteggi 4 e 5.
Tab. 4.7. Fiducia nelle seguenti istituzioni/gruppi sociali. Valori % e punteggio
medio
1–
2
3
4
5–
Totale
N
Media
Nessuna
Massima
fiducia
fiducia
Pubblica Amm.
13,3
33,9 37,8 12,0
3,0
100
826
2,58
Insegnanti
3,0
14,9 36,1 36,3
9,7
100
826
3,35
Scuola
4,4
17,1 37,0 31,2 10,3
100
826
3,26
Banche
28,7
33,5 25,2
9,7
2,9
100
827
2,25
Polizia
5,7
15,7 34,7 30,1 13,8
100
827
3,31
Sindacati
21,0
28,5 30,8 14,5
5,2
100
814
2,54
Sacerdoti
22,7
21,1 29,5 17,7
9,0
100
821
2,69
Nato
16,9
27,3 35,1 15,6
5,1
100
800
2,65
Militari carriera
17,4
27,6 32,3 15,0
7,7
100
818
2,68
Politici
49,2
33,2 13,2
3,9
0,5
100
825
1,73
Amministratori
3,4
100
818
2,70
Comune in cui
12,8
27,0 40,3 16,5
vive
Chiesa
23,1
23,2 27,7 15,3 10,7
100
822
2,67
Università
3,8
13,7 36,7 34,6 11,2
100
809
3,35
Scienza
1,7
10,4 26,1 36,1 25,7
100
821
3,73
Carabinieri
7,3
17,3 33,8 28,0 13,6
100
825
3,23
Imprese
6,1
24,7 43,4 20,2
5,6
100
821
2,95
Manager grandi
37,9
34,8 18,5
7,3
1,5
100
815
2,00
istituti bancari
Manager
36,3
34,5 20,7
6,3
2,2
100
820
2,03
aziende pubbl.
Manager grandi
24,5
34,4 29,6
9,1
2,4
100
815
2,31
imprese private
Partiti politici
45,7
34,5 14,5
4,0
1,3
100
825
1,80
Unione europea
11,9
21,5 38,9 20,0
7,7
100
818
2,90
Giornali
16,0
30,5 38,0 12,3
3,2
100
821
2,57
Magistrati
11,5
18,1 39,0 22,8
8,6
100
823
2,99
ONU
11,2
20,1 37,4 22,9
8,4
100
812
2,97
Sist. giudiziario
15,7
28,5 33,9 16,5
5,4
100
822
2,67
Televisione
22,5
32,6 30,7 11,6
2,6
100
827
2,39
pubbl.
Televisione
27,5
31,8 30,3
8,0
2,4
100
823
2,26
private
presentato in tabella non è altro che la media aritmetica dei punteggi presenti sulla scala,
trattata in questo caso come variabile cardinale.
124
Emerge in maniera nitida una fiducia considerevole nei confronti della
scienza, unico item che raccoglie oltre la metà dei casi (61,8%) sulle
modalità di risposta del polo positivo del continuum (risposte 4 e 5 sulla
scala 1-5). Si pensi al fatto che l’item posizionato al secondo posto – gli
insegnanti – concentra appena il 46% dei casi sulle risposte 4 e 5 (cfr. fig.
4.4 e tab. 4.7). Anche guardando alle medie presentati in tabella 4.7 si nota
per la scienza un punteggio decisamente elevato, 3,73, dunque ben al di
sopra del valore intermedio (2,5) della scala 1-5.
È di rilievo notare come, dopo la scienza, seguano altre due istituzioni
del sapere: al secondo posto, come già ricordato, gli insegnanti e al terzo
l’università.
Va poi sottolineata la distanza posta dagli intervistati fra gli insegnanti
– classificati, appunto, al secondo posto con oltre il 46% di giudizi positivi –
e la scuola, al sesto posto (41,5% di risposte 4 e 5). E qui forse si ritrova
quanto si sottolineava in precedenza sul distacco dei cittadini nei confronti
delle istituzioni in quanto tali, rappresentanti di “uno Stato che non
funziona”, cui si aggiunge, per la scuola in specifico, il tema delle recenti
riforme, nonché dei “tagli” dei finanziamenti attuati in questi ultimi anni.
Nel mezzo, al quarto e quinto posto, due delle cosiddette ‘istituzioni
d’ordine’: Polizia e Carabinieri.
Dopo questo primo blocco di soggetti, tutti concentrati fra il 40 e il
45% di giudizi positivi, si passa a istituzioni che mostrano meno di un terzo
di risposte positive: i magistrati (31,3%)29, l’Onu (anche essa con la
medesima percentuale di valutazioni positive)30, l’Unione europea (27,8%),
seguite da sacerdoti (26,8%) e Chiesa (25,9%).
Interessante, ma non sorprendente per quanto sottolineato in
precedenza, notare come agli ultimi posti si collochino i soggetti politici: i
partiti vedono appena un 5,2% di casi accordare loro una elevata fiducia:
quasi la metà dei casi (45,7%) dichiara di non avere alcuna fiducia nei loro
confronti, a cui si aggiunge un ulteriore terzo (34,7%) che attribuisce
punteggio 2 sulla scala 1-5. Eloquente il punteggio medio, pari a 1,80.
Il personale politico ottiene una valutazione ancor meno positiva, con
appena il 4,4% degli intervistati collocati sui punteggi 4 e 5, oltre il 49% sul
punteggio 1 corrispondente a “Nessuna fiducia” e un altro terzo dei casi
collocati sul punteggio 2 (media: 1,73).
29
Anche in questo caso, come per scuola/insegnanti, si rileva un differenziale di fiducia fra
magistrati (31,3%) e sistema giudiziario (21,9%).
30
Il dato rilevato da Eurobarometro indica una fiducia nell’Organizzazione delle Nazioni
Unite da parte degli italiani al 41% (cfr. Eurobarometro, Eurobarometro 69. Opinione
pubblica nell’Unione europea. Primavera 2008, 2009).
125
Fig. 4.4. Fiducia nelle seguenti istituzioni/gruppi sociali. Risposte 4 e 5 (valori % in
ordine decrescente)
70
60
50
40
30
20
10
0
Anche in questo caso, non si ravvisano particolari novità rispetto alle
graduatorie emerse da varie indagini realizzate in questi decenni, a partire da
quelle condotte periodicamente dall’Eurobarometro. Per maggiori dettagli
sui risultati delle survey svolte periodicamente condotte a livello europeo, si
rimanda al relativo sito web dell’Eurobarometro31, comunque evidenziando
già in questa sede che, in generale, si conferma la maggiore fiducia
accordata alle istituzioni d’ordine32, alla Chiesa e a quelle sopranazionali,
con gli ultimi posti occupati dalle istituzioni nazionali: «mentre le istituzioni
europee sostanzialmente reggono al test della fiducia tra gli italiani,
continua invece il tracollo delle autorità nazionali. La forte disillusione nei
confronti della politica si manifesta con dati lampanti: il Parlamento italiano
in quanto istituzione riscuote la fiducia soltanto del 16% degli intervistati, e
il governo appena del 15%»33.
31
http://ec.europa.eu/public_opinion.
Anche dalla più recente indagine Itanes, realizzata in occasione delle ultime elezioni
politiche (2008), al di là della differente operazione delle domande e degli item utilizzati,
emergeva chiaramente l’elevata fiducia riposta dagli italiani nelle cosiddette istituzioni
d’ordine, che godono di un giudizio positivo da parte della maggioranza degli intervistati, al
pari del Presidente della Repubblica e distanziando assai considerevolmente i partiti e il
Parlamento. Cfr. Itanes, Il ritorno di Berlusconi. Vincitori e vinti nelle elezioni del 2008,
Bologna, il Mulino, 2008.
33
Cfr. Eurobarometro, Eurobarometro 69, op. cit.
32
126
Al terz’ultimo posto si collocano poi i manager delle grandi imprese
pubbliche, probabilmente visti come attori strettamente connessi alla classe
politica.
Da notare come, rispetto agli attori politici, si registri un giudizio
decisamente più favorevole nei confronti delle amministrazione dei comuni
in cui vivono gli intervistati, con circa un quinto dei casi (19,8%) collocati
sui punteggi 4 e 5 e una media di sintesi pari a 2,70 (cfr. tab. 4.7).
Sembra dunque di assistere ad una fuga34 dalla politica nazionale, o
verso la dimensione sovranazionale (l’Unione europea, l’Onu e, seppur più
distaccata, la Nato) o verso la dimensione locale, o comunque verso soggetti
con una scarsa caratterizzazione politica, come le istituzioni d’ordine
(Polizia, Carabinieri), o religiose, o formative/scientifiche o, infine,
appartenenti al mondo dell’impresa privata.
Da evidenziare, in chiusura di questa disamina, la scarsa fiducia di cui
risultano godere i mezzi di comunicazioni televisivi, sia pubblici (14,1% di
giudizi positivi) che, soprattutto, privati (10,4%).
4.5. L’attenzione e la sensibilità per l’ambiente
Un altro tema a cui si è deciso di dedicare attenzione con la presente
ricerca è quello ambientale, in specifico rilevando il grado di sensibilità dei
cittadini della provincia di Forlì-Cesena rispetto alle tematiche ambientali,
vista la centralità che questa dimensione a ormai assunto nel dibattito
politico35 ed economico-sociale36.
Con un primo quesito, si è domandato ai soggetti coinvolti
nell’indagine una valutazione sulla rilevanza che viene oggi attribuita al
tema dei cambiamenti climatici. Oltre il 61% degli intervistati ritiene che la
questione ambientale e del clima sia sottovalutata e che sia più grave di
quanto si dica. Quasi il 31% dei casi pensa che le sia attribuita la giusta
rilevanza e solamente l’8% ritiene invece che sia sopravvalutata.
Da elaborazioni di natura bivariata rispetto alle principali variabili
socio-demografiche già in precedenza utilizzate, emerge che la questione
ambientale è considerata sottovalutata più dalle persone con un livello di
34
Chiaro richiamo al concetto di exit della tipologia di Hirschmann Exit, Voice, Loyalty
(defezione, protesta, lealtà). Cfr. A. Hirschmann, Exit, Voice, Loyalty, Cambridge, Harvard
University Press, 1970, trad. it. Lealtà, defezione, protesta, Milano, Bompiani, 1982.
35
Basti pensare al recente dibattito a proposito dei referendum del 12-13 giugno 2011 relativi
alle “Modalità di affidamento e gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica”
(titolo del referendum) ed in particolare al tema della gestione dei servizi idrici.
36
Tra gli altri, cfr. D. Bianchi, G. Gamba (a cura di), Ambiente Italia 2007. La gestione dei
conflitti ambientali, Milano, Edizioni Ambiente, 2007.
127
istruzione superiore (e in particolare dai laureati) e dalle classi di età più
giovani, senza particolari distinzioni, invece, rispetto al genere. Interessante
è anche notare una certa divaricazione rispetto all’asse sinistra-destra, con
l’elettorato di sinistra e di centro-sinistra che più di frequente ritiene che il
tema dovrebbe essere considerato più grave di quanto oggigiorno si faccia.
Tab. 4.8. Grado di accordo con le seguenti affermazioni. % rispondenti che ha
indicato 4 o 5 (“Completamente” o “Molto d’accordo”) e punteggio
medio rispetto alla scala 1-5
%
Media
Sarei d’accordo per un aumento delle tasse se venisse
usato per prevenire danni ambientali
Comprerei cose che costano il 20% in più se questo
aiutasse a proteggere l’ambiente
I problemi ambientali non possono essere risolti
individualmente, senza una politica seria
Ciascuno nel proprio quotidiano può contribuire
significativamente alla tutela dell’ambiente
24,6
2,37
27,0
2,53
66,5
4,19
64,8
4,19
Come si evince dalla lettura della tabella 4.8, circa un quarto degli
intervistati si dichiara completamente o molto d’accordo con un aumento
delle tasse che fosse finalizzato a prevenire danni ambientali (24,6% di casi
sulle modalità 4 e 5 della scala 1-5) e con l’acquisto di beni ad un prezzo
maggiorato del 20% se questo aiutasse a proteggere l’ambiente (27%). Ma
sono gli altri due item previsti dalla domanda del questionario ad avere
registrato maggiori consensi da parte degli intervistati: circa due terzi dei
casi, infatti, si dichiara d’accordo con l’affermazione secondo cui “i
problemi ambientali non possono essere risolti individualmente, senza una
politica seria” (66,5%) e con quella in base alla quale “ciascuno nel proprio
quotidiano può contribuire significativamente alla tutela dell’ambiente”
(64,8%).
Proprio legandosi a quest’ultima affermazione, si sono voluti indagare i
comportamenti che i cittadini effettivamente compiono nel quotidiano per la
tutela dell’ambiente (cfr. tab. 4.9).
Anche in questo caso, dopo aver presentato le distribuzioni di
frequenza percentuali per ciascun item (cfr. tab. 4.9), si è inserita una
rappresentazione grafica che mostra la quota percentuale di casi che dichiara
128
di adottare il singolo comportamento “sempre o spesso”, ossia considerando
la sola prima opzione di risposta delle quattro previste37.
Si osserva così chiaramente come il comportamento adottato
maggiormente dagli intervistati sia la raccolta differenziata dei rifiuti,
realizzata da circa due intervistati su tre (65,8%). A questo proposito, si
possono ricordare i dati ufficiali pubblicato nel Rapporto di Legambiente/«Il
Sole-24 ore» Ecosistema Urbano38, che – per quanto concerne l’indicatore
relativo alla percentuale di raccolta differenziata sul totale dei rifiuti
prodotti – registra per il capoluogo di Forlì un valore del 38%39, collocando
la città al trentasettesimo posto40 (l’anno precedente, con il 31,5%, si era
collocata al trentanovesimo posto)41. Del resto, anche da ulteriori studi e
analisi è emerso come il territorio forlivese e cesenate si caratterizzi per una
certa attenzione alla qualità ambientale e per un buon funzionamento dei
servizi pubblici locali di gestione dei rifiuti e dei servizi idrici.
Uno studio condotto nel 2008 ha preso in considerazione diversi
indicatori di efficienza e qualità dell’ambiente e dei servizi relativi all’acqua
e ai rifiuti a partire da varie fonti (raccolta differenziata dei rifiuti, efficienza
della rete idrica in termini di minor dispersione, capacità di depurazione
delle acque reflue), collocando Forlì-Cesena al trentaquattresimo posto delle
103 province considerate, dunque nel primo terzo della graduatoria finale42.
Tra i comportamenti virtuosi maggiormente adottati dai cittadini
interpellati, dopo la raccolta differenziata dei rifiuti, si trova, poco
distanziato (62,7%), l’acquisto e l’utilizzo di elettrodomestici e di lampadine
a basso consumo energetico.
37
Testo della domanda: “Quali dei seguenti comportamenti Lei/la sua famiglia adotta per la
tutela dell’ambiente?” - opzioni di risposta: “Sì, sempre o spesso”; “Sì, qualche volta o
raramente”; “No, ma penso che lo adotterò in futuro”; “No e non penso che lo adotterò in
futuro”.
38
Cfr. Legambiente, Ecosistema urbano 2010. XVI Rapporto sulla qualità ambientale dei
comuni capoluogo di provincia, Roma, Legambiente, 2010, rapporto di ricerca.
39
Si tratta di un dato di natura differente rispetto a quello derivante dall’indagine in questa
sede presentata: Legambiente fa riferimento alla quota di rifiuti prodotti destinati alla raccolta
differenziata, mentre il questionario della rilevazione in questa sede presentata chiedeva
semplicemente ai cittadini se fanno ricorso alla raccolta differenziata, evidenziando un 65,8%
di casi che risponde affermativamente (“Sempre o spesso”)
40
Cfr. sito web www.ilsole24ore.com/speciali/ecosistema2009/ecosistema2009_tipologie_
raccolta_differenziata.shtml (ultimo accesso 21 agosto 2011).
41
Cfr. Legambiente, Ecosistema urbano 2009. XV Rapporto sulla qualità ambientale dei
comuni capoluogo di provincia, Roma, Legambiente, 2009, rapporto di ricerca.
42
Cfr. R. Cartocci, V. Vanelli, Acqua, rifiuti e capitale sociale in Italia. Una geografia della
qualità dei servizi pubblici locali e del senso civico, Bologna, Misure / Materiali di ricerca
dell’Istituto Cattaneo, 2008.
129
Dalla tabella 4.9 si può inoltre notare che è del tutto marginale la quota
di cittadini che dichiara che non intende adottare questi due comportamenti
maggiormente diffusi.
Tab. 4.9. Frequenza con cui viene adottato ciascuno dei seguenti comportamenti
Sì,
Sì,
No, ma No e non Totale N
sempre qualche
lo
adotterò
o spesso
volta
adotterò in futuro
in futuro
Raccolta differenziata
65,8
21,9
8,2
4,1 100,0 826
Acquisto e utilizzo
elettrodomestici e
lampadine a basso consumo
Riduzione consumi acqua
Acquisto prodotti biologici
Riduz. acquisto prodotti usa
e getta
Utilizzo carta riciclata
Acquisto oggetti con
confezioni ridotte o
riciclabili
Maggiore uso mezzi
pubblici
Riduzione uso auto o moto
Utilizzo veicoli meno
inquinanti (es., auto
elettrica)
Utilizzo bicicletta
Utilizzo detersivi meno
inquinanti
Acquisto prodotti a Km.
zero
Utilizzo energie alternative
(es. pannelli solari)
62,7
25,8
8,1
3,4
100,0 824
47,6
12,5
36,6
39,0
10,7
21,7
5,1
26,8
100,0 828
100,0 824
26,4
32,8
21,0
19,8
100,0 815
21,5
34,0
22,4
22,1
100,0 827
22,0
30,2
24,8
23,0
100,0 817
14,9
14,1
19,7
51,3
100,0 817
20,2
24,1
17,9
37,8
100,0 814
12,1
6,3
26,2
55,4
100,0 810
38,6
35,2
11,0
15,2
100,0 824
21,5
29,4
28,9
20,2
100,0 804
25,4
25,6
25,3
23,7
100,0 814
5,4
3,7
43,2
47,7
100,0 814
Il terzo tipo di condotta più di frequente adottato risulta piuttosto
distanziato: si tratta della riduzione dei consumi dell’acqua, realizzato
“sempre o spesso” da meno della metà degli intervistati (47,6%).
Al quarto posto, distaccato di quasi altri dieci punti percentuali
(38,6%), il maggior utilizzo della bicicletta come mezzo di trasporto.
Seguono, realizzati “sempre o spesso” da circa un quarto degli intervistati, la
riduzione dell’acquisto di prodotti “usa e getta” e un maggior ricorso ai
cosiddetti “prodotti a chilometri zero”.
La graduatoria si chiude con il ricorso a fonti energetiche alternative, a
cui fa attualmente ricorso appena il 5,4% dei casi, l’utilizzo di mezzi di
130
trasporto meno inquinanti come l’auto elettrica (12,1%) e l’acquisto di
prodotti biologici (12,5%)43.
Fig. 4.5. Frequenza con cui viene adottato ciascuno dei seguenti comportamenti.
% casi che indica di adottarli “Sempre o spesso”
70
60
50
40
30
20
10
0
Dopo aver analizzato ciascuno di questi comportamenti, diviene di
rilievo procedere all’analisi della correlazione delle risposte fornite dalle
imprese per ciascuna coppia di item, al fine di comprendere quali siano le
azioni e i comportamenti fra loro convergenti. In altre parole, si vuole
comprendere se il ricorso ad un determinato comportamento (risposte
“sempre o spesso” o “qualche volta”) si accompagni anche ad altri
comportamenti o se, all’opposto, ad esso corrisponda a uno scarso ricorso ad
altri comportamenti/azioni. A tal scopo, si è calcolato, per ciascuna coppia
di item, il coefficiente di correlazione r di Pearson, che indica, di fatto,
quanto due variabili variano insieme rispetto a quanto ciascuna varia per
conto proprio44.
Senza presentare la relativa tabella, si può sottolineare che si sono
ottenuti soltanto valori positivi, a denotare che, tendenzialmente, i cittadini
che abitualmente seguono uno dei comportamenti attenti all’ambiente
43
A questo proposito, si ricorda che l’Emilia-Romagna è la prima regione nel Nord Italia per
numero di operatori biologici e la prima in Italia per mense biologiche e consumo del
biologico (cfr. sito web www.ermesagricoltura.it).
44
Cfr. A. Marradi, Linee guida per l’analisi bivariata nelle scienze sociali, Milano,
FrancoAngeli, 1997.
131
svolgono anche le altre azioni e, viceversa, che chi non ne segue uno tende a
non compiere nemmeno le altre azioni indicate in tabella 4.845. Per alcune
coppie di item la relazione risulta poi particolarmente forte, come fra
l’utilizzo dei mezzi pubblici e la riduzione dell’uso dell’auto (r = 0,54), così
come fra l’acquisto di oggetti con confezioni e imballaggi ridotti e l’utilizzo
di carta riciclata (0,54) e fra i due comportamenti maggiormente diffusi – il
conferimento differenziato dei rifiuti e l’acquisto di elettrodomestici e
lampadine a basso consumo energetico (0,48) – e altri ancora.
Tramite il coefficiente di correlazione si è così potuta appurare la
vicinanza statistico-sintattica fra questi diversi comportamenti, che da un
punto di vista del significato possono essere letti tutti come indicatori di
attenzione e sensibilità al tema ambientale che si traduce anche in
corrispondenti azioni e comportamenti quotidiani. Pertanto, così evidenziata
la relazione sintattico-statistica fra queste dimensioni e tematizzata la
parziale sovrapposizione semantica46 fra le stesse in quanto tutte afferenti al
tema della coscienza e della sensibilità ambientale, si ritiene corretto – e
certamente utile ed efficace da un punto di vista descrittivo ed esplicativo
del fenomeno qui studiato – procedere alla costruzione di un indice di
sintesi.
Per la costruzione dell’indice si è proceduto alla ricodifica di ciascuna
variabile, attribuendo, per ciascun comportamento/azione, il punteggio 2 a
chi ha risposto “sempre o spesso”, il punteggio 1 a chi ha risposto “qualche
volta” e 0 a chi ha dichiarato di non tenere quel comportamento (“No, ma
penso che lo adotterò in futuro” e “No e penso che non lo adotterò in
futuro”). Poiché si tratta di 14 variabili, l’indice così calcolato assume un
intervallo di valori compreso fra 0 (per chi ha ottenuto il punteggio di 0 su
ciascun item, ossia per chi non svolge nessuna delle azioni in questa sede
prese in considerazione) e 28 per chi ha ottenuto il punteggio di 2 si
ciascuno di essi, ossia per chi dichiara di svolgere “sempre o spesso”
ciascuna delle azioni previste). Al fine di una più immediata lettura, l’indice
così calcolato è stato poi normalizzato e traslato alla scala 0-1047, in modo
da cogliere più distintamente le differenze nelle analisi che seguiranno.
45
Si ricorda che il coefficiente di correlazione r ha un campo di variazione teorico compreso
fra +1 - in caso di perfetta correlazione positiva - e –1, in caso di perfetta correlazione
negativa (cfr. P. Corbetta, Metodologia e tecniche della ricerca sociale, Bologna, il Mulino,
1999).
46
Sulla distinzione fra legami semantici e sintattici, vedi R. Cartocci, Diventare grandi in tempi
di cinismo, Bologna, il Mulino 2002 e L. Ricolfi, Sul rapporto di indicazione:
l’interpretazione semantica e l’interpretazione sintattica, in «Sociologia e ricerca sociale», n.
39, 1992, pp. 57-79.
47
xi * =
xi − x min
*10
x max − x min
132
Dalla figura 4.6, che presenta la distribuzione di frequenza percentuale
dei casi rispetto all’indice finale 0-10 così calcolato, si evince chiaramente
come la maggior parte degli intervistati si collochi in posizione intermedia:
circa un terzo dei casi (34,6%) assume punteggi compresi fra 4 e 6 e oltre il
61% fra 3 e 7. Sono appena 17 (2,3%) i casi che ottengono punteggio 0,
ossia che risultano non seguire alcuno dei comportamenti in questa sede
presi in considerazione, mentre, all’opposto, si registrano appena 2 casi con
il punteggio massimo, ossia che dichiarano di seguire regolarmente tutti i
comportamenti considerati (cfr. fig. 4.6).
Fig. 4.6. Distribuzione di frequenza percentuale dell’indice di comportamenti ecocompatibili
8
7
6
5
4
3
2
1
0
0
5
10
Il punteggio medio risulta pari a 4,1, dunque inferiore al midrange
(valore intermedio 5 della scala 0-10) di circa un punto, a denotare un
minimo di asimmetria e dunque una maggiore concentrazione dei casi nella
prima metà (0-5) del continuum. Del resto, collocarsi sul midrange significa,
ad esempio, aver ottenuto il punteggio di 2 sulla metà degli item oppure il
punteggio di 1 su tutti i 14 item previsti.
Si prosegue ora l’analisi studiando la relazione fra questo indice di
atteggiamento e comportamento ambientalista e le principali variabili
indipendenti sin qui utilizzate (cfr. tab. 4.10). L’analisi viene condotta
semplicemente accertando se e quanto la variabilità della scala cardinale –
l’indice – sia vincolata all’articolazione in categorie delle diverse variabili
indipendenti.
133
Tab. 4.10. Punteggio medio sull’indice di comportamento eco-compatibile rispetto
ad alcune variabili indipendenti
Punteggio medio sull’indice di
comportamenti eco-compatibili
Sesso
Maschio
3,90
Femmina
4,31
Età
15-29 anni
30-49 anni
50-64 anni
65 anni e oltre
3,91
4,14
4,32
3,91
Distretto residenza
Forlì
Cesena-Valle Savio
Rubicone-Costa
4,49
4,04
3,47
Luogo di nascita
Provincia di Forlì-Cesena
Altra provincia Emilia-Romagna
Altra regione italiana
Estero
4,16
3,74
4,09
3,92
Titolo di studio
Fino a licenza elementare
Licenza media o qualifica
Diploma di maturità
Laurea o post-laurea
3,61
4,11
4,14
4,34
Status occupazionale
Dirigenti, quadri, funzionari
Impiegati di concetto e insegnati
Impiegati esecutivi e operai
Imprenditori e liberi professionisti
Artigiani, commercianti
Pensionati
Casalinghe
Studenti
4,23
4,20
4,03
4,08
4,40
3,84
4,55
3,86
Collocazione politica
Sinistra/Centro-sinistra
Centro-destra/Destra
4,60
3,75
134
Con la tabella 4.10 si procede pertanto al confronto delle medie dei
punteggi registrati sull’indice per ciascun sotto-insieme di casi compresi in
ciascuna categoria delle variabili indipendenti.
Si nota così, in primo luogo, un punteggio medio più elevato per le
donne (4,31) rispetto agli uomini (3,90). In secondo luogo, rispetto all’età, si
rileva come il punteggio sull’indice – dunque l’atteggiamento e il
comportamento maggiormente sensibile dal punto di vista ambientale –
aumenti al crescere dell’età, fino ai 64 anni, per poi diminuire nuovamente
in corrispondenza alla classe degli ultra-64enni.
Da un punto di vista territoriale, il distretto che, stando a quanto
dichiarato dagli intervistati, risulta maggiormente virtuoso da un punto di
vista della sensibilità ambientale è quello di Forlì (4,49), seguito a distanza
da quello di Cesena-Valle Savio (4,04), che a sua volta stacca quello del
Rubicone-Costa, attestato a 3,47. Si evidenzia poi che i cittadini nati nella
provincia di Forlì-Cesena sono quelli che mostrano i punteggi più elevati
(4,16).
Assai nitida risulta la relazione con il titolo di studio, con un aumento
dei comportamenti virtuosi – e dei punteggi sull’indice – al crescere del
livello di istruzione degli intervistati: si passa dal 3,61 per i casi in possesso
al massimo della licenza elementare al 4,11 di quelli con la licenza media, al
4,14 per i diplomati per chiudere con il 4,34 dei laureati.
La relazione che si individua con riferimento allo status lavorativo –
con una minore sensibilità ambientale da parte degli studenti, dei pensionati
ed altresì di operai e impiegati esecutivi – è probabilmente spiegabile in
base a quanto poc’anzi descritto in merito all’età e al livello di istruzione.
Interessante infine osservare come coloro che si considerano di
sinistra/centrosinistra assumano sull’indice punteggi assai più elevati degli
auto-collocatisi sul polo di destra/centrodestra (4,60 contro 3,75).
4.6. La religiosità
Un ultimo tema che si è deciso di esplorare nell’ambito degli
orientamenti valoriali dei cittadini di Forlì-Cesena è la religiosità. Si tratta di
un tema assai ampio, complesso e poliedrico, che si presta a rilevazioni,
letture e analisi su più livelli. Tuttavia, essendo un tema marginale rispetto
all’economia del presente progetto di ricerca, con il questionario si è
circoscritto il campo soltanto ad alcuni, centrali, aspetti.
Si è in primo luogo domandato all’intervistato se sente di appartenere
ad una qualche confessione religiosa e, nel caso, a quale, per poi rilevare la
frequenza alle funzioni religiose. Va da sé che si tratti di una drastica
135
semplificazione della realtà, escludendo dall’indagine le altre dimensioni
spirituali, di esperienza di fede, ecc. inaccessibili all’osservatore esterno.
D’altra parte, è altrettanto vero che la partecipazione ai riti è un elemento
centrale dell’esperienza religiosa48. «Nel rito si attua la connessione tra il
mondo terreno e il trascendente, nonché l’esperienza simbolica della
compartecipazione con i fratelli nella fede»49. Come sottolineato da
Guizzardi, la frequenza alla messa domenicale «costituisce il più semplice e
ricorrente momento in cui la religione cattolica è istituzionalizzata in quanto
religione e non quale istituzione avente altri contenuti”»50.
Il tema della partecipazione alle funzioni religiose sarà ripreso tra
breve; si vuole però prima considerare il senso di appartenenza ad una
confessione religiosa. Al relativo quesito hanno risposto affermativamente
oltre due intervistati su tre (68%), dichiarandosi nella quasi totalità dei casi
(93,1%) cattolici; sono poi presenti musulmani (3%, essenzialmente
cittadini provenienti da Paesi stranieri) e cristiani non cattolici, a partire dai
protestanti (anche in questo caso principalmente persone di origine non
italiana)51.
Fra coloro che hanno dichiarato di appartenere a una confessione
religiosa, il 39,7% frequenta le funzioni religiose almeno una volta alla
settimana e il 13,5% qualche volta al mese. Si tratta però di percentuali
calcolate considerando esclusivamente coloro che dichiarano di appartenere
a una confessione religiosa, dunque valori che sull’intero campione
risulterebbero in realtà meno elevati. Pare pertanto opportuno, per
proseguire nell’analisi, costruire una tipologia che consideri, appunto, le
risposte alle diverse domande sin qui presentate. Si giunge così alla
tipologia presentata in tabella 4.11.
Emerge che i cattolici praticanti sono circa un quarto (24%) del totale
degli intervistati, mentre quelli non praticanti sono il 39%. Gli atei,
agnostici, non credenti (categoria in cui si possono far ricadere tutti coloro
che dichiarano di non appartenere ad alcuna confessione religiosa) sono
circa un terzo (32,3%); completano il quadro il 4,7% di casi appartenenti ad
altre confessioni religiose (cfr. tab. 4.11).
48
Cfr., tra gli altri, G. LeBras, 1955-56 Etudes de sociologie religieuse, Paris, Presses
universitaries de France, trad. it. Studi di sociologia religiosa, Milano, Feltrinelli, 1969; J.
Cazeneuve, La sociologia del rito, Milano, Il Saggiatore, 1974; V. Turner, Dal rito al teatro,
Bologna, il Mulino, 1986; C. Geertz, Interpretazione di culture, Bologna, il Mulino, 1987.
49
R. Cartocci, Geografia dell’Italia cattolica, Bologna, il Mulino, 2011.
50
G. Guizzardi, Cattolicesimo e religiosità. Alcune tendenze in G. Brunetta, L. Longo (a cura
di), Italia cattolica, Firenze, Vallecchi, 1991, p. 293.
51
Va precisato che fra gli intervistati nati all’estero, i musulmani costituiscono quasi il 29%
dei casi, mentre i cattolici sono il 51% circa.
136
Tab. 4.11. Confessione religiosa e pratica. Distribuzione %
Cattolici praticanti
Cattolici non praticanti
Appartenenti ad altra confessione religiosa
Non appartenenti ad alcuna confessione religiosa
Totale
N
%
24,0
39,0
4,7
32,3
100,0
824
Il dato medio nazionale, rilevato dall’Istat per il 200952, mostra una
incidenza di praticanti pari al 32,5%, dunque ben più elevato del 24%
registrato per la provincia di Forlì-Cesena con la rilevazione al centro del
presente report. Questo dato provinciale risulta invece in linea con quello
rilevato dall’Istat per l’Emilia-Romagna (22,4%)53.
Si deve precisare, poi, che diversi studi hanno evidenziato che gli
indicatori di partecipazione alla messa sovrastimano la frequenza effettiva54,
per una molteplicità di fattori. In primo luogo, perché è una tipica situazione
in cui l’attendibilità della risposta può essere distorta per effetto della
cosiddetta “desiderabilità sociale” ossia «la valutazione, socialmente
condivisa, che in una certa cultura viene data ad un certo atteggiamento o
comportamento individuale»55, per cui vi sono atteggiamenti e
comportamenti giudicati negativamente dalle norme collettive di una certa
società, mentre altri ricevono valutazioni positive.
Se un atteggiamento o un comportamento «è fortemente connotato in
senso positivo o negativo in una certa cultura, una domanda che abbia
questo come oggetto può dare luogo a risposte fortemente distorte, in quanto
l’intervistato può essere riluttante a rivelare opinioni o comportamenti che
ritiene indesiderabili e può essere tentato di dare di sé la migliore immagine
52
Cfr. Istat, La vita quotidiana nel 2009. Indagine multiscopo annuale sulle famiglie «Aspetti
della vita quotidiana». Anno 2009, Roma, 2010.
53
Ibidem. Si ricorda che l’indagine Istat fornisce i dati disaggregati soltanto fino al livello
regionale.
54
Si possono ricordare, tra gli altri, P. Ignazi e E. Spencer Wellhofer, Votes and Votive
Candles: Modernization, Secularization, Vatican II, And the Decline of Religious Voting in
Italy: 1953-1992, in «Comparative Political Studies» di prossima pubblicazione, A.
Castegnaro e G. Dalla Zuanna, Studiare la pratica religiosa: differenze tra rilevazione diretta
e dichiarazione degli intervistati sulla frequenza alla messa, in «Polis», vol. 20, n. 1, 2006,
pp. 85-110, M. Pisati, La domenica andando alla messa. Un’analisi metodologica e
sostantiva di alcuni dati sulla partecipazione degli italiani alle funzioni religiose, in «Polis»,
vol. 14, n. 1, 2000, pp. 115-136, T.W. Smith, A Review of Church Attendance Measures, in
«American Sociological Review», vol. 63, n. 1, 1998, pp. 131-136.
55
P. Corbetta, La ricerca sociale: metodologia e tecniche, Bologna, il Mulino, 2003, p. 137.
137
possibile, anche se poco veritiera»56.
A ciò si aggiunge poi un’altra serie di effetti distorsivi di rilievo57,
strettamente connessi al precedente, descritti in dettaglio da Castegnaro e
Dalla Zuanna proprio con riferimento alla rilevazione della pratica
religiosa58: innanzitutto il cosiddetto ‘effetto telescopio’, in base al quale le
persone chiamate a rispondere alle domande di un questionario, guardando
al passato, tendono a dare più rilevanza ai comportamenti che ritengono più
vicini a quelli considerati giusti e a non riportare quelli ritenuti riprovevoli,
per cui gli intervistati potrebbero attribuire alla domanda relativa alla
partecipazione alla messa un diverso significato, interpretandola come
«rilevazione del livello di adesione generale alla chiesa e alla propria
religione, piuttosto che come rilevazione puntuale di un comportamento»59.
Tutto ciò per sottolineare come il peso della pratica religiosa cattolica,
che per la provincia di Forlì-Cesena risulta riguardare meno di un quarto
degli intervistati, potrebbe essere in realtà sovra-dimensionato, ad
evidenziare la forza con cui il processo di secolarizzazione ha investito
questi territori nel corso degli ultimi decenni60. Basti ricordare che nella
ricerca condotta di recente da Cartocci61 finalizzata alla rilevazione del
livello di secolarizzazione nelle province italiane sulla base di una pluralità
di indicatori, Forlì-Cesena risulta la diciannovesima provincia
maggiormente secolarizzata d’Italia.
Diviene pertanto ancor più rilevante cercare di comprendere in quali
fasce della popolazione di Forlì-Cesena sia maggiormente presente la pratica
religiosa.
Dalla tabella 4.12 si rileva innanzitutto una maggior religiosità e pratica
cattolica fra le donne: queste ultime risultano osservanti nel 30,8% dei casi,
contro il 17,7% registrato per gli uomini. I cattolici non praticanti sono circa
il 38-39% per entrambe i generi. Di converso, le donne che dichiarano di
non avere alcuna appartenenza religiosa sono il 26,3% dei casi, a fronte del
38% degli uomini.
56
Ibidem.
Questi aspetti sono illustrati con maggior dettaglio in R. Cartocci, Geografia dell’Italia
cattolica, op. cit., cap. 2.
58
A. Castegnaro e G. Dalla Zuanna, Studiare la pratica religiosa, op. cit.
59
Ibidem.
60
Sul tema, cfr. L. Ricolfi, Il processo di secolarizzazione in Italia nel dopoguerra, in
«Rassegna italiana di sociologia», vol. 29, 1988, pp. 37-87, F. Garelli, Forme di
secolarizzazione nella società contemporanea. Il caso italiano, in «Rassegna Italiana di
Sociologia», vol. 29, n. 1, 1998, pp. 89-123, R. Cartocci, Fra Lega e Chiesa, op. cit.
61
Cfr. R. Cartocci, Geografia dell’Italia cattolica, op. cit.
57
138
Tab. 4.12. Confessione religiosa e pratica per genere ed età
Cattolici
Cattolici
ApparteNon
praticanti
non
nenti a altra
appartepraticanti
confess.
nenti a
religiosa
confess.
religiosa
12,0
30,1
7,3
50,6
M 15-29
13,4
40,7
8,1
37,8
30-49
22,0
41,0
0,0
37,0
50-64
29,0
46,4
0,0
24,6
65 e oltre
17,7
39,6
4,7
38,0
Totale
F
15-29
30-49
50-64
65 e oltre
Totale
11,4
25,9
35,1
60,0
30,8
46,8
37,0
40,4
27,7
38,3
5,1
8,0
2,2
0,0
4,6
36,7
29,0
22,3
12,3
26,3
Totale
N
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
83
172
100
69
424
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
79
162
94
65
400
Dalla lettura della tabella 4.12 emerge poi un’altra evidenza:
l’incremento della pratica religiosa cattolica all’aumentare dell’età62 sia per
gli uomini che per le donne63.
Si rileva inoltre come il differenziale fra uomini e donne si ampli al
crescere dell’età. Ciò è evidente anche dalla rappresentazione grafica di
figura 4.7, che offre una maggiore disaggregazione dell’età degli intervistati.
Fino a 40 anni, per gli uomini l’incidenza dei praticanti cattolici
regolari rimane costante al 12%, mentre per le donne cresce fino dal 18%
dei 15-19enni al 23,6% delle trentenni.
Dopodichè, mentre per gli uomini si registra una crescita che tuttavia si
limita a portare al 25% i praticanti per tutta le fasce di età successive
(compresa quella dei settantenni), per le donne fra i 40 e i 60 anni la quota
di cattoliche praticanti si avvicina al 30%, per poi crescere in maniera
particolarmente marcata per le sessantenni (49,3%) e per le settantenni
(67,6%).
62
Sebbene non presentato in tabella, si può citare il dato relativo all’intero campione di
uomini e donne insieme: i cattolici praticanti sono meno del 12% fra i 15-29enni, aumentano
a quasi il 20% per gli intervistati di 30-49 anni, per poi crescere ulteriormente al 28,4% fra i
50-64enni e al 44% fra le persone di almeno 65 anni.
63
La tendenza risulta in linea con quella delineata con le indagini multiscopo Istat (al
riguardo, cfr. R. Cartocci, Geografia dell’Italia cattolica, op. cit., cap. 2.
139
Fig. 4.7. Incidenza praticanti cattolici per genere ed età
80
70
60
50
40
30
20
10
0
15-19
20-29
30-39
40-49
Uomini
50-59
60-69
70+
Donne
Da notare come nella già citata rielaborazione dei dati Istat condotta in
Geografia dell’Italia cattolica64 a livello nazionale emerge un incremento
del divario fra uomini e donne fino ai 59 anni e poi un progressivo
riavvicinamento fra i generi per le classi più anziane della popolazione, in
particolare per gli over-74enni. Stando ai dati della presente indagine,
invece, per Forlì-Cesena si rileva un incremento della pratica cattolica al
crescere dell’età, ma questa sembra riguardare in particolare le donne,
mentre gli uomini, indipendentemente dall’età, tendono a presentare in
generale una scarsa pratica cattolica.
Non è naturalmente questa la sede per approfondire ulteriormente il
tema, per cui ci si limita a richiamare il ruolo che certamente giocano gli
effetti coorte e ciclo di vita illustrati nei precedenti paragrafi, rammentando
la forte tradizione di repubblicanesimo – dalle venature anticlericali – del
territorio romagnolo65.
Da ulteriori analisi, in un primo momento, si era poi evidenziata una
relazione con il livello di istruzione, con quote più elevate di praticanti fra le
persone meno istruite. Si è tuttavia notato che si trattava di una relazione
indiretta, dal momento che il legame causale fra le due variabili è in realtà
mediato dalle dimensioni sopra considerate, il genere e, soprattutto, l’età: le
64
Ibidem.
Cfr. L. Lotti, I repubblicani in Romagna dal 1894 al 1915, Faenza, Lega, 1957, M. Ridolfi,
Il partito della Repubblica: i repubblicani in Romagna e le origini del Pri nell'Italia liberale
(1872-1895), Milano, FrancoAngeli, 1990.
65
140
persone in possesso di un basso livello di istruzione risultano maggiormente
praticanti perché in questa categoria ricade la maggior parte degli anziani –
e specificamente delle anziane – che costituiscono il sotto-insieme
maggiormente osservante. Tanto che se nell’analisi della relazione fra
pratica cattolica e titolo di studio si inserisce l’età come variabile di
controllo, si nota come il livello di istruzione eserciti una assai limitata
influenza (ad esempio, fra gli over-64enni, la quota di praticanti è pressoché
identica fra le persone in possesso della sola licenza media e fra i laureati).
Tornando poi al tema dell’associazionismo, trattato nei precedenti
paragrafi, si può sottolineare una maggiore tendenza all’associazionismo da
parte dei cattolici praticanti: se nell’intero campione si registrava (cfr. tab.
4.5) il 43% circa di non associati, il 24,2% di monoassociati e il 32,6% di
multiassociati, fra i cattolici osservanti si rileva una minor incidenza dei non
associati (29,2%), una quota leggermente più elevata di monoassociati
(26,2%) e, soprattutto, un peso decisamente maggiore dei multiassociati
(44,6%).
Si deve aggiungere che questi valori percentuali sono determinati
innanzitutto dal differente grado di adesione alle organizzazioni religiose e
parrocchiali: come facilmente ipotizzabile, vi aderiscono oltre il 60% dei
cattolici praticanti e appena il 9% del resto del campione (cfr. fig. 4.8).
Fig. 4.8. Tipo di associazionismo rispetto alla pratica religiosa cattolica. Valori %
di associati a ciascun tipo di associazione
Sportiva di praticanti
Sportiva di tifosi
Culturale
Ricreativa
Politica
Ambientalista/diritti
umani
Studentesca
Volontariato
Religiosa/parrocchiale
0,0
10,0
20,0
30,0
Resto del campione
40,0
50,0
60,0
70,0
Cattolici praticanti
141
I cattolici osservanti esibiscono una quota percentuale più elevata anche
di aderenti ad organizzazioni di volontariato (27,4% contro 12,3% per il
resto del campione), ma anche questo dato era prevedibile data la natura
cattolica di parte considerevole delle associazioni e del terzo settore che
opera nel campo del volontariato e del sociale.
Rispetto agli altri tipi di associazioni non si notano invece differenze di
rilievo fra intervistati cattolici e non, a parte un minor peso dei primi nelle
organizzazioni sportive (di pratica e di tifo), da imputare essenzialmente al
fatto che si tratta di realtà dalla forte connotazione giovanile, a fronte,
invece, dell’età più avanzata che caratterizza, come osservato, i cattolici
praticanti.
4.7. Rilievi di sintesi
Con questo capitolo si sono presi in esame opinioni, atteggiamenti e
comportamenti dei cittadini di Forlì-Cesena rispetto a diverse tematiche:
l’interesse per la politica e l’effettiva partecipazione politica,
l’associazionismo, la sensibilità ambientale, ecc. Aspetti diversi che possono
tuttavia essere ricondotti a un denominatore comune: l’interesse per la cosa
pubblica e per gli altri, il sentirsi parte di una collettività che trascende la
stretta cerchia delle reti primarie. Un senso di appartenenza che si traduce in
atti specificamente politici, come il recarsi alle urne in occasione del voto,
ma anche in gesti quotidiani, come quelli volti alla tutela dell’ambiente o il
tempo dedicato ad attività di volontariato o all’associazionismo.
Un aspetto che accomuna il territorio provinciale al resto del Paese è la
sfiducia verso la politica e i suoi rappresentanti. Si tratta, come detto, di una
tendenza nazionale, oggi più che mai evidente, perché al deficit di fiducia
istituzionale – che dall’unità d’Italia in avanti rappresenta una specificità
della nostra cultura politica – si è aggiunto, come già fu nei primi anni
Novanta con la cosiddetta crisi della Prima Repubblica, un marcato
disincanto nei confronti della classe politica e dei partiti, che raggiunge un
livello di forte distacco ed anche di riprovazione. Esemplificativo il fatto che
siano proprio i partiti e i politici i due attori che risultano godere del livello
più basso di fiducia da parte dei cittadini intervistati. All’opposto, si trovano
attori e istituzioni del sapere: la scienza, gli insegnanti, la scuola e
l’università; elevata fiducia va anche a ‘istituzioni d’ordine’ come
Carabinieri e Polizia, a loro volta seguite dai magistrati e da due istituzioni
extra-nazionali, l’Onu e l’Unione europea. Sembra così evidenziarsi una
fuga rispetto all’orizzonte politico nazionale e un conseguente orientarsi o
verso soggetti, come la scienza, che trascendono dalla politica, o verso le
142
istituzioni d’ordine - da sempre depositarie, anche a livello nazionale, di
elevati livelli di fiducia - o verso il livello sovra-nazionale).
Questo a sottolineare che il forte disinteresse e distacco nei confronti
della politica evidenziato dagli intervistati della provincia di Forlì-Cesena –
ed in particolare dai giovani – è in realtà in linea con il quadro nazionale.
Rispetto ad altri contesti italiani, però, nella provincia di Forlì-Cesena,
così come in altre province emiliano-romagnole (e in altre aree di quella che
è stata storicamente definita ‘Zona rossa’ ed anche di quella etichettata
come ‘Zona bianca), si trova un forte senso civico, una elevata dotazione di
capitale sociale, inteso, appunto, come civic-ness, che si concretizza non
tanto e non soltanto nell’elevata partecipazione elettorale, ma, innanzitutto,
in una forte partecipazione associativa. Così come in una notevole
sensibilità alle tematiche dell’ambiente e dell’eco-sostenibilità, con circa
due terzi dei cittadini intervistati che dichiarano di effettuare la raccolta
differenziata dei rifiuti e di stare attenti ad acquistare e a utilizzare
elettrodomestici e lampadine a basso consumo energetico.
Rispetto a questi tratti, l’analisi condotta ha permesso di cogliere una
certa rilevanza delle caratteristiche socio-demografiche delle persone; ad
esempio, la partecipazione associativa, così come la sensibilità ambientale,
risultano strettamente connesse al titolo di studio, crescendo all’aumentare
del livello di istruzione, variabile a sua volta legata fortemente all’età degli
individui.
Resta certamente fuori da questo denominatore comune l’ultimo tema
trattato nel capitolo, la religiosità, che – sebbene rilevata tramite l’atto
esplicito della frequenza ai riti religiosi – va indubbiamente ascritta alla
sfera personale e intima di ciascun individuo. Si tratta, naturalmente, di una
dimensione altrettanto importante, che tuttavia in questa sede può essere
letta – anche in virtù delle evidenze sopra riportate – principalmente come
variabile indipendente e interveniente rispetto agli altri comportamenti e
atteggiamenti osservati (si è visto, ad esempio, un certo rapporto fra
associazionismo e religiosità, data la matrice cattolica di una quota rilevante
delle associazioni di volontariato).
143
5. Percezioni e atteggiamenti verso l’immigrazione: tra
apertura ed esclusione
di Lorenzo Latella
5.1. Premessa
In questo capitolo si affronta l’analisi delle percezioni e degli
atteggiamenti che i cittadini della provincia di Forlì-Cesena dichiarano di
avere nei confronti dell’immigrazione e degli stranieri presenti sul territorio
provinciale.
È chiaramente un tema vasto e particolarmente articolato, che prende in
considerazione sia linee di ricerca sulle modalità top-down, cioè sui percorsi
che assumono le politiche di immigrazione, che da un livello amministrativo
centrale si irradiano sui territori nell’ottica della regolazione del fenomeno,
del suo contenimento e della successiva integrazione1, sia modalità bottomup, che cercano di analizzare le pratiche e i comportamenti che, soprattutto
nelle realtà territoriali più piccole, vengono messi in pratica spontaneamente
dai cittadini - nel loro percorso di conoscenza e di vita quotidiana a fianco
degli immigrati residenti, dalle associazioni o dai movimenti territoriali e
dalle istituzioni locali.
In una società che diventa sempre più complessa, ma che sembra
perdere punti di riferimento e che vede lo sfaldarsi dei livelli di governo più
centralizzati a causa di una crisi economica che sta iniziando ad avere forti
risvolti sociali, i cittadini si rifugiano in quella che è l’organizzazione sociale
più prossima, la comunità locale, finendo per vivere delle realtà che spesso
non rispecchiano quelle nazionali. È fondamentale quindi individuare,
analizzare e capire come si formano le modalità di rappresentazione della
realtà nelle comunità locali, e come queste comunità si rapportano
all’immigrazione. È necessario quindi osservare non solo come si
definiscono le modalità di veicolazione del senso comune, ma anche la
produzione di innumerevoli significati culturali che possono caratterizzare
l’atteggiamento di una comunità non solo nei confronti del fenomeno
migratorio in generale, ma anche nei confronti dei singoli immigrati2.
Sul tema dell’immigrazione straniera questa indagine ha raccolto le
opinioni dei residenti nella provincia di Forlì-Cesena su una varietà di
argomenti, che vanno dalla conoscenza oggettiva del fenomeno migratorio 1
Cfr. G. Zincone, L. Di Gregorio., Il processo delle politiche di immigrazione in Italia: uno
schema interpretativo integrato in «Stato e Mercato», n. 66, Dicembre 2002.
2
Cfr. A. Villa, Immigrazione, mass media e ricerca sociale in «Problemi dell'informazione»,
Vol. XXXIII, n.3, Settembre 2008.
144
dei suoi numeri, dei Paesi di provenienza degli immigrati, della conoscenza
diretta - ad una serie di giudizi e di percezioni che i residenti hanno sulla
presenza degli immigrati - sul loro ruolo all’interno della società che li
ospita, sul godimento o meno di diritti e sull’idea di integrazione. Attraverso
l’analisi dei dati raccolti sarà possibile evidenziare tendenze e caratteristiche
dell’atteggiamento che i residenti delle provincia di Forlì-Cesena dichiarano
di avere nei confronti del fenomeno migratorio e in particolare riguardo alla
presenza degli stranieri sul territorio. Dove possibile verranno fatte
comparazioni con ricerche analoghe a livello nazionale o europeo, per
evidenziare eventuali specificità del territorio e per capire se e come la
percezione degli italiani nei confronti dell’immigrazione sia cambiata nel
corso degli ultimi anni.
Il tema sarà trattato analizzando le risposte date dall’intervistato in base
al sesso, alla classe di età, al titolo di studio, alle credenze e fedi politiche o
religiose, e ad una serie di altre caratteristiche che possono fornirci delle
chiavi di lettura sulla strutturazione di quel senso comune cui si accennava
prima. Ci si interrogherà sulla elaborazione della cultura collettiva
sull’immigrazione da parte delle comunità locali – che può sia favorire
processi di integrazione, che possono portare al conferimento di uno status di
‘cittadinanza sociale’ per l’immigrato stesso, ovvero la creazione di legami
di solidarietà che tendono a proteggere e ad integrare il non cittadino
all’interno della comunità, ma anche possono generare processi di esclusione
sociale, che tendono a separare nettamente le due realtà e a produrre dei
meccanismi di rigetto reciproco.
Si cercherà di capire come viene percepita la presenza degli stranieri sul
territorio, che tipo di atteggiamenti vengono messi in atto nei confronti di
tale presenza e a quali condizioni si è disposti a riconoscere diritti agli
stranieri, quello che Hannah Arendt3 chiamava “diritto ad avere diritti”,
soprattutto in relazione al voto amministrativo e politico e alla cittadinanza.
5.2. La conoscenza del fenomeno migratorio: dimensioni, provenienze
e relazioni
Quanto si conosce del fenomeno migratorio in generale e della sua
dimensione a livello locale? Quali sono le percezioni e gli atteggiamenti che
i residenti nella provincia di Forlì-Cesena hanno sviluppato e acquisito nei
confronti degli stranieri?
Dall’analisi dei dati risulta che poco più di un terzo del campione
intervistato (35,1%) ha una chiara percezione di quale sia l’entità del
3
H. Arendt, Le origini del totalitarismo,Torino, Einaudi, 2004.
145
fenomeno migratorio a livello nazionale, attestandone il numero intorno ai 4
milioni, mentre il 35,7% offre una risposta sovrastimata o molto
sovrastimata e il 29,2% una risposta sottostimata o molto sottostimata.
Anche se a prima vista la percentuale di coloro che rispondono correttamente
può sembrare poco significativa, in realtà rappresenta una graduale presa di
coscienza e di informazioni su tale fenomeno, basti pensare che solo nel
2007, in una analisi condotta in sei Paesi europei, tra i quali l’Italia, quasi la
totalità del campione forniva una risposta sovrastimata (72,3%) o
sottostimata (8,5%) della presenza di stranieri nei rispettivi paesi, e solo il
19,2% forniva una risposta corretta4.
Tale dato, che fa ben sperare nella presa di coscienza dei cittadini
italiani, o almeno di quelli della provincia di Forlì-Cesena, in merito alla
presenza straniera sul territorio nazionale, risulta comunque decisamente
inferiore al livello di conoscenza che gli stessi residenti della provincia
romagnola hanno del numero di abitanti in Italia. Il 60,8% fornisce una
risposta adeguata, collocando il numero degli italiani in un fascia che va dai
55 ai 65 milioni, anche se ben il 22,4% offre una risposta sovrastimata (cfr.
tab 5.1)
Tali dati sembrano dimostrare come in realtà permanga, al livello di
visione della società, uno sdoppiamento tra quella che è la condizione del
cittadino italiano, sul quale si ha una serie di conoscenze di tipo oggettivo, e
quella che è la condizione dello straniero, che sembra essere visto al di fuori
della società stessa, come qualcuno o qualcosa che vive gli stessi spazi e le
stesse realtà, ma che non ne fa pienamente parte, quasi che alcuni possono
addirittura pensare che ci si trovi di fronte ad una loro invasione.
La percezione del fenomeno migratorio come qualcosa che riguarda
grandi numeri, rispetto alla sua dimensione reale, probabilmente è anche
frutto di una eccessiva attenzione mediatica che spesso ha teso in passato, e
tende oggi, a guardare all’immigrazione come ad un pericolo per la sicurezza
sociale e per la cultura nazionale. Come dimostrato in molte ricerche5 una
delle principali caratteristiche della rappresentazione sociale che i media –
4
Transatlantic Trends, Immigration 2007 , http://trends.gmfus.org/. Il centro di ricerca offre
una serie di dati, continuativi nel tempo, sul fenomeno migratorio in Europa e negli Stati
Uniti, con vari approfondimenti anno per anno. Nel 2007 l’approfondimento si è concentrato
sulla percezione che i cittadini di sei paesi europei (Francia, Germania, Gran Bretagna, Italia,
Belgio e Lussemburgo) avevano del fenomeno migratorio, su quelle che erano le paure
generate dalla presenza di stranieri nelle comunità locali e sull’idea di integrazione.
5
Per maggiori approfondimenti sul rapporto tra mass media e percezione degli italiani cfr.
Censis, L'immagine degli immigrati e delle minoranze etniche nei media. Rapporto finale,
www.censis.it, 2002; Osservatorio di Pavia, Il tema dell'immigrazione nei telegiornali di
prime time (1 gennaio-31 dicembre 2001) in «Comunicazione politica», n. 1, Milano,
FrancoAngeli, 2001 e A. Dal Lago, Non persone: l'esclusione dei migranti in una società
globale, Milano, Feltrinelli, 2004.
146
quotidiani, televisione e in misura diversa internet – fanno
dell’immigrazione è legata all’assoluta rilevanza che assume il fatto di
cronaca nella dimensione dell’informazione. Lo sbarco diventa una delle
prime immagini che vengono in mente quando si parla di immigrazione e
questo ingenera e facilita un senso di insicurezza dei cittadini, che avvertono
una eccessiva presenza degli immigrati, spesso raffigurati come clandestini o
irregolari, anche quando hanno un permesso o una carta di soggiorno6.
Sembrerebbe quindi delinearsi una percezione di uno Stato piccolo, più
piccolo di quello che è in realtà, che subisce una invasione o un attacco. È
qui che probabilmente si sono radicate alcune delle paure e alcuni degli
stereotipi che noi italiani spesso abbiamo sugli immigrati.
Ad integrazione di quanto appena detto vanno i risultati che emergono
dall’incrocio sulle conoscenze che si hanno sia della dimensione
demografica italiana, sia di quella degli stranieri: solo il 22,5% degli
intervistati dà una risposta corretta ad entrambe le domande.
Tab. 5.1. Conoscenza della dimensione demografica degli immigrati e degli italiani.
Valori %
Conoscenza del
Conoscenza del
numero di immigrati
numero di italiani
Risposta sottostimata o molto
29,2
16,8
sottostimata
Risposta corretta
35,1
60,8
Risposta sovrastimata o molto
35,7
22,4
sovrastimata
Totale
100,0
100,0
N
806
800
Questo porta a dire che in realtà coloro che conoscono l'entità del
fenomeno migratorio in Italia, spesso, non conoscono le reali dimensioni
demografiche del nostro paese e che, viceversa, chi conosce tale dimensione
non necessariamente ne conosce le sfaccettature interne e, di conseguenza,
anche l'entità del fenomeno migratorio.
Questo dato risulta, però, in controtendenza rispetto alla conoscenza che
i residenti nella provincia di Forlì-Cesena dimostrano di avere nei confronti
delle principali nazionalità degli immigrati presenti in Italia. Alla domanda
sulla provenienza di questi ultimi, infatti, risponde in maniera corretta circa
il 75,5% degli intervistati, che indica come prima presenza una delle quattro
principali nazionalità di provenienza – il 23,4% risponde Romania, il 17,7%
Marocco, il 17,4% Albania e il 16,5% Cina (cfr. tab. 5.2). È vero che le
percentuali attribuite ad ogni singola nazionalità non corrispondono alla
6
Censis, Sondaggio sulle paure degli italiani, www.cemsis.it, Luglio 2000.
147
dimensione effettiva di quelle presenza sul territorio, ma sottolineano
comunque la conoscenza delle principali nazionalità, e quindi una
conoscenza che potrebbe essere definita di tipo ‘diretto’.
Tab. 5.2. Principali nazionalità di provenienza nella percezione degli intervistati e
loro effettiva presenza a livello provinciale e nazionale7. Valori %
Dati
Dati Report
Dati Caritas/Migrantes
rilevazione
provinciale 2010
2010
Albania
17,4
17
11,2
Cina
16,5
7,4
4,4
Marocco
17,7
14,3
10,2
Romania
23,4
15,5
21
Emerge una chiara discrepanza tra la percezione riguardante la presenza
dei cinesi sul territorio nazionale e l’effettivo numero di questi, data
probabilmente dal fatto che la comunità cinese è spesso impiegata in settori
di tipo commerciale, che quindi hanno una visibilità maggiore rispetto alle
altre comunità, principalmente inserite invece in settori lavorativi che
offrono minore visibilità (settore industriale, dei trasporti, dei servizi alla
persona). Va sottolineato anche che analoga stortura di percezione è
riscontrabile nei confronti della comunità rumena, ma in questo caso è
maggiormente presumibile che tale visione derivi da recenti vicende di
cronaca che hanno dato vita ad un ampio ed acceso dibattito proprio sulla
presenza dei rumeni in Italia sulla stampa nazionale e locale.
Ancora una volta, andando a verificare come si combina la conoscenza
che gli intervistati hanno del numero degli immigrati presenti in Italia, con
quella dei paesi di provenienza, il dato ci dice che solo il 24,5% dà una
risposta corretta ad entrambe le domande, a conferma che le conoscenze che
si hanno sul fenomeno non sono frutto di una analisi organica dello stesso, o
di una percezione esaustiva, ma piuttosto di informazioni parziali fatte
proprie.
Il fatto sorprendente è che il 66% degli intervistati dichiara di conoscere
direttamente almeno uno straniero. Questo si spiega con il fatto che spesso la
conoscenza non è seguita da una frequentazione assidua, quindi non produce
relazioni sociali stabili, a causa forse sia di una riluttanza da parte degli
italiani, sia di timori da parte degli immigrati o dell'abitudine di questi a
riferirsi essenzialmente ai rapporti interni alla comunità di cui fanno parte.
Può anche incidere su questo complesso insieme di fattori il fatto che
7
I dati relativi alla presenza sul territorio provinciale degli stranieri si riferiscono al Report
provinciale sulla presenza di cittadini immigrati nella provincia di Forlì-Cesena-2010, quelli
relativi alla presenza degli immigrati sul territorio nazionale fanno riferimento alla ricerca
Caritas/ Migrantes, Dossier statistico 2010, Roma, Antarem, 2010.
148
l'impronta recentemente data ai processi di integrazione è sempre più di tipo
‘assimilazionista’, e che molta produzione normativa vincola lo straniero alla
conoscenza della lingua, della cultura e degli usi della società ospitante,
senza al contempo chiedere a noi e alle molte istituzioni una analoga
conoscenza almeno degli aspetti culturali, sociali e linguistici, ma anche di
quelli più legati alla convivenza quotidiana, in relazione ai paesi e alle
situazioni di provenienza degli immigrati.
Come dimostra però una ricerca Ismu 20108 sull'integrazione degli
stranieri in Romagna, nonostante il 57% degli immigrati intervistati avesse
dichiarato di frequentare principalmente altri stranieri, è vero anche che allo
stabilizzarsi della permanenza si assiste ad una vera e propria inversione di
tendenza: il 51% degli stranieri presenti sul territorio da 6 anni ha infatti
dichiarato di avere amicizie italiane in misura uguale o superiore a quelle
straniere9.
Risulta interessante a questo punto soffermarsi a capire più in
profondità la composizione del campione di riferimento della presente
indagine, per tentare di comprendere meglio come mai ci siano tali diversità
di conoscenze sul fenomeno migratorio (cfr. tab. 5.3).
Sicuramente è una discriminante l’età dell’intervistato: nella fascia tra i
15 e i 49 anni, il 74,1% dichiara di conoscere personalmente almeno uno
straniero. È vero che, soprattutto tra i più giovani, la compresenza nei
percorsi di scolarizzazione è ormai un fatto consolidato e stabile, che
favorisce la conoscenza dell’altro, l’accettazione reciproca e l’integrazione10.
Inoltre in questa fascia di età si colloca la gran parte degli stranieri presenti
sul territorio provinciale e questa caratteristica porta alla possibilità di
relazioni sociali più intense tra coetanei anche se di nazionalità diversa.
Nella fascia di intervistati che va dai 50 anni in su, invece, si rileva un
drastico ridimensionamento di chi dichiara di conoscere immigrati (46,2%),
ancora più evidente per gli ultra65enni a dimostrazione di come il grado di
conoscenza sia inversamente proporzionale all’età dell’intervistato.
8
P. Zurla. (a cura di), La sfida dell'integrazione. Un'indagine empirica sulla realtà migratoria
in Romagna, Milano, FrancoAngeli, 2010. La ricerca si è basata sulla raccolta di 1.350
questionari somministrati ad immigrati nell'area romagnola (Forlì-Cesena, Ravenna e Rimini)
dei quali 450 nella provincia di Forlì-Cesena, e si inscrive in un più ampio progetto nazionale
realizzato dalla Fondazione Ismu, con lo scopo di misurare i livelli di integrazione sociale,
economica, culturale e politica della popolazione immigrata.
9
A. Martelli , Le dimensioni sociali dell'integrazione, in P. Zurla., La sfida dell'integrazione.
Un'indagine empirica sulla realtà migratoria in Romagna, op. cit.
10
E. Colombo, L. Domaneschi, e C. Marchetti, Una nuova generazione di italiani. L'idea di
cittadinanza tra i giovani figli di immigrati, Milano, FrancoAngeli, 2009.
149
Tab. 5.3. Conoscenza o meno degli stranieri. Confronto per le principali variabili
socio-demografiche
Si
No
Totale
N
Sesso
Maschio
64,7
35,3
100,0
428
Femmina
62,3
32,7
100,0
404
Età
15-29 anni
30-49 anni
50-64 anni
65 anni e oltre
80,4
71,1
58,8
46,8
19,6
28,9
41,2
53,2
100,0
100,0
100,0
100,0
163
336
194
139
Distretto di residenza
Forlì
Cesena-Valle Savio
Rubicone-Costa
65,8
67,8
64,1
34,2
32,2
35,9
100,0
100,0
100,0
389
245
198
Titolo di studio
Fino a licenza elementare
Licenza media o qualifica
Diploma
Laurea o post-laurea
38,1
68,2
67,6
76,2
61,9
31,8
32,4
23,8
100,0
100,0
100,0
100,0
97
286
278
164
Disponibilità economica familiare
Bassa
Media
Alta
61,0
66,1
73,3
39,0
33,9
26,7
100,0
100,0
100,0
267
313
210
67,9
32,1
100,0
346
65,1
34,9
100,0
175
55,8
64,4
94,9
44,2
35,6
5,10
100,0
100,0
100,0
197
320
39
71,8
28,2
100,0
266
Orientamento politico
SinistraCentro-sinistra
DestraCentro-destra
Orientamento religioso
Cattolici praticanti
Cattolici non praticanti
Appartenenti ad altra
confessione religiosa
Non religiosi
Il genere non sembra invece essere discriminante: coloro che dichiarano
di conoscere almeno uno straniero sono il 64,7% degli uomini e il 62,3%
delle donne.
150
Anche l’appartenenza politica non è una reale discriminante nella
conoscenza o meno degli stranieri, se non magari per le fasce estreme di
collocazione politica. Infatti, andando a scorporare i dati di ciascun campo,
si dimostra facilmente che solo coloro che si collocano all’estrema destra
della scala dichiarano per il 68,2% di non conoscere immigrati (ma si tratta
di numeri davvero troppo piccoli per qualsiasi ulteriore tipo di
considerazione).
Per quanto riguarda il fattore religioso, in area cattolica la conoscenza
risulta maggiore tra coloro che si dichiarano non praticanti. Nel complesso,
tra chi dichiara di non appartenere ad alcuna confessione, elevata è la
conoscenza diretta di uno straniero. La conoscenza diretta di stranieri risulta
più diffusa anche tra gli intervistati laureati rispetto a quanti sono in possesso
della sola licenza elementare (76,2% contro 38,1%).
Considerando le variabili analizzate fin qui, le conoscenze che gli
intervistati mostrano della presenza straniera sul territorio italiano appare
piuttosto debole mentre la conoscenza diretta si distribuisce in maniera
piuttosto eterogenea.
Emerge chiaramente che si possono avere conoscenze su alcuni aspetti
del fenomeno ignorandone altri e che non c’è una vera discriminante che ci
possa far attribuire il grado di conoscenze a fattori particolari. Probabilmente
le conoscenze che si acquisiscono sul fenomeno migratorio, sia a livello
nazionale, sia a livello locale, dipendono solo in minor parte dalla
conoscenza diretta degli stranieri presenti sullo stesso territorio risultando,
invece, maggiormente influenzati dalle informazioni acquisite attraverso
canali come i quotidiani, i telegiornali o la televisione in senso più generale,
o ancora da internet. Opinioni e conoscenze possono poi emergere e mutare
al crescere del senso di crisi generale e al variare del clima complessivo
dell'ambiente locale.
5.3. Percezioni ed atteggiamenti rispetto alla presenza straniera sul
territorio: accoglienza, assimilazione ed integrazione
Per meglio comprendere quali siano le percezioni e i reali atteggiamenti
che gli intervistati hanno rispetto alla presenza degli stranieri sul territorio
provinciale, la ricerca si è concentrata su una serie di domande relative ad
alcune principali affermazioni che solitamente si fanno nei confronti
dell’immigrazione. Sono stati considerati temi quali il lavoro, il ruolo svolto
dalle istituzioni, il rapporto o i rapporti tra culture diverse e la possibilità o
meno di riconoscere diritti civili e politici.
Da una prima analisi delle risposte risulta chiaro che gli intervistati
ritengono ormai consolidata e accettabile la presenza degli stranieri sul
151
territorio, e che questi non sono una minaccia per il lavoro degli italiani,
oltre a non rappresentare una minaccia per la sicurezza (cfr. tab. 5.4).
Tab. 5.4. Grado di accordo su alcune affermazioni relative all’immigrazione
straniera in Italia
Dove vivo ci sono troppi stranieri
46,7
Né
d'accordo
né in
disaccordo
23,3
Gli stranieri portano via posti di
lavoro ai disoccupati italiani
60,0
Gli stranieri vivono in condizioni
difficili ed è compito nostro aiutarli
come possiamo
Per niente
o poco
d'accordo
Abbastanza
o molto
d'accordo
N.
30,0
100,0
829
18,6
21,4
100,0
823
38,1
32,9
29,0
100,0
818
Gli stranieri che vivono in Italia
contribuiscono ad un arricchimento
socio-culturale del nostro Paese
39,2
28,7
32,1
100,0
826
La cittadinanza italiana spetta solo a
chi ha almeno un genitore italiano
64,0
14,9
21,1
100,0
826
Gli stranieri che da tempo lavorano
legalmente in Italia e pagano le tasse
dovrebbero poter ottenere la
cittadinanza italiana
21,8
15,9
22,3
100,0
826
L'amministrazione pubblica è più
attenta a dare benefici in termini di
assistenza, assegnazione alloggi e
sanità agli stranieri
37,0
19,7
42,3
100,0
824
Gran parte degli stranieri svolge
attività illecite o criminali
53,3
25,0
21,8
100,0
828
Gli stranieri sono pericolo per nostra
cultura
67,8
19,3
12,9
100,0
820
Giusto permettere ai musulmani di
costruire moschee
Giusto concedere diritto voto
amministrativo a stranieri
54,4
21,5
24,1
100,0
826
43,50
21,50
35,00
100,0
827
49,90
22,20
27,90
100,0
825
18,10
24,00
57,90
100,0
828
Giusto concedere diritto voto
politico a stranieri
Compresenza a scuola di italiani e
stranieri favorisce l'integrazione
152
Ben il 46,7% degli intervistati dichiara, infatti, di non essere d'accordo
con l'affermazione “dove vivo ci sono troppi stranieri”, a fronte di un 23,3%
che dà una risposta intermedia e un 30% che invece dichiara di essere
d’accordo o totalmente d’accordo con tale affermazione. Ancora più netto è
il giudizio in relazione al lavoro: il 60% dichiara infatti di ritenere che gli
stranieri non entrano in conflitto con gli italiani per quanto riguarda i posti di
lavoro, mostrandosi evidentemente consapevole che spesso i settori di
inserimento sono differenti e che ormai, trattandosi in molti casi di una
immigrazione consolidata sul territorio da tempo, possono darsi anche casi di
competizione alla pari11.
Inoltre solo il 21,8% degli intervistati si dichiara completamente
d'accordo o d'accordo con l'affermazione “gran parte degli stranieri svolge
attività illecite o criminali”, a fronte di un 53,3% che si mostra per niente
d'accordo o non d'accordo. Questo ultimo dato è molto interessante se
comparato con una serie di ricerche svolte sia a livello nazionale sia a livello
europeo sulla percezione di insicurezza che i cittadini – italiani o europei –
provano nei confronti dei flussi migratori. Solo nel 2009, ad esempio, il 50%
circa degli italiani si dichiarava molto preoccupato per la sicurezza propria e
dei propri cari (a fronte di un 28% che non concordava), percentuale simile
anche per quanto riguardava i cittadini europei (il 45% si dichiarava
d’accordo con la percezione di insicurezza, a fronte di un 37% che si
dichiarava in disaccordo)12.
Il discorso risulta molto diverso quando si passa a parlare della
questione culturale o del ruolo che la società civile e le istituzioni devono
svolgere nei confronti degli immigrati. Se da un lato, infatti, per il 67,8%
degli intervistati gli stranieri non rappresentano un pericolo per la nostra
cultura, e per il 57,9% la compresenza a scuola di italiani e stranieri
favorisce l'integrazione, solo il 32,1% ritiene però che gli stranieri possano
essere fonte di arricchimento socio-culturale, evidenziando il persistere di
una cultura ‘assimilazionista’, almeno da un punto di vista culturale.
Se ne ha conferma anche quando si analizzano i dati relativi
all'affermazione “è giusto permettere ai musulmani di costruire moschee”,
rispetto alla quale il 54,4% degli intervistati dice di esser per niente
d'accordo o non d'accordo (a fronte di un 24,2% che si dichiara a favore).
La differenza religiosa resta quindi uno degli elementi ancora poco
accettati e sui quali è difficile dialogare, forse anche a causa del dibattito
mediatico sul fondamentalismo islamico e sui suoi pericoli spesso eccessivo
11
Confartigianato, Immigrati sempre più imprenditori. Rapporto di ricerca,
www.confartigianato.it , 2009.
12
Eurobarometro 72, Opinione pubblica nell'Unione Europea, Rapporto nazionale Italia,
Eurobarometro Standard 72, http://ec.europa.eu, 2009
153
e non sempre fondato. Persiste, alla base, una tendenza generalizzata a
sovrastimare il numero degli immigrati di religione musulmana, pari a circa
un terzo degli stranieri regolarmente presenti in Italia (32%), fatto che
alimenta una sorta di fobia e di non accettazione13.
Queste tendenze contribuiscono a spiegare le risposte che gli intervistati
danno in relazione al ruolo che la società civile e le istituzioni sono chiamate
a svolgere nei confronti degli stranieri presenti sul territorio. La percezione
degli intervistati è quella, infatti, di vedere queste ultime troppo sbilanciate a
favore degli stranieri per quanto riguarda i benefici che questi ricevono in
termini di assistenza, di assegnazione di alloggi e di cure sanitarie (il 43,3%
degli intervistati si dichiara d'accordo, a fronte di un 37% contrario). Ne è
conferma il fatto che il 38,1% risponde negativamente alla affermazione “gli
stranieri vivono in condizioni difficili ed è compito nostro aiutarli come
possiamo” a fronte di un 29% che si dichiara d'accordo o completamente
d'accordo.
Si potrebbe argomentare quindi che, per quanto riguarda la presenza sul
territorio, e per quanto attiene al campo lavorativo, l'immigrazione in
generale, e gli stranieri con i quali si instaurano rapporti godono ormai di
una certa accettazione da parte degli italiani residenti. Ma questi ultimi
considerano inadeguato il sistema di protezione sociale, perché debole e
troppo sbilanciato a favore degli immigrati o poco attento alle esigenze degli
italiani. Questo ci porta a dire che permane una visione degli stranieri come
sicuramente utili per il settore economico, ma come persone che in fondo,
proprio perché straniere, non dovrebbero poter godere degli stessi diritti
degli italiani, e/o almeno non dovrebbero trovare un sistema istituzionale
troppo sensibile.
Secondo uno studio dell’UNHCR14, sembrerebbe che la relazione
diretta contribuisca in maniera determinante alla formazione dell’idea che gli
italiani hanno degli immigrati; per esempio, l’idea che l’immigrazione sia
una opportunità per il nostro Paese prevale per il 52,4% presso coloro che
hanno avuto un qualche genere di relazione con gli immigrati. Chi non è mai
entrato in relazione con immigrati invece dichiara, nel 66% dei casi, che
l’immigrazione è un problema.
In effetti i dati relativi alla nostra indagine tendono a confermare questa
visione, almeno per quanto riguarda i rapporti che possono crearsi sul lavoro
o nei percorsi scolastici: il 38,8% di coloro che conoscono almeno uno
straniero dichiara che possa essere un arricchimento socioculturale, mentre
tale percentuale scende al 20% tra coloro che non conoscono stranieri.
Rispetto ai servizi, poi, il 54,4% di coloro che dichiarano di non conoscere
13
14
Caritas-Migrantes, Immigrazione. Dossier statistico 2010, op. cit.
UNHCR, Asilum Levels and Trends in Industrialized Countries, www.unhcr.com, 2011.
154
stranieri ritiene che l’amministrazione pubblica sia troppo attenta ai loro
bisogni, percentuale che passa 37,4%, tra coloro che dichiarano una
conoscenza diretta.
Questi dati sono molto interessanti se letti alla luce delle risposte date in
relazione alle affermazioni sulla cittadinanza. Il 64% degli intervistati infatti
si dichiara per niente d'accordo o non d'accordo con l'affermazione “la
cittadinanza italiana spetta solo a chi ha almeno un genitore italiano” e il
62,3% è invece completamente d'accordo o d'accordo con l'affermazione “gli
stranieri che da tempo lavorano legalmente in Italia e pagano le tasse
dovrebbero poter ottenere la cittadinanza italiana”.
Questo ci porta a dire che da un lato c'è sicuramente una presa di
coscienza del problema delle ‘seconde generazioni’, che ormai sono una
realtà consistente sul territorio: si tratta di ragazzi e ragazze che vivono
quotidianamente a stretto contatto con i figli di italiani con i quali
condividono scuola, gruppi, esperienze e vita quotidiana. Dall'altro lato si
denota anche un certo favore nei confronti di coloro che si sono ormai
stabiliti sul territorio provinciale da diverso tempo, e che quindi vengono
percepiti come facenti parte della comunità, attraverso la quale e con la quale
hanno acquisito una sorta di ‘cittadinanza sociale’, cioè il diritto a
partecipare alla vita quotidiana della comunità stessa.
Resta però il fatto che viene mantenuta la differenza tra cittadini e non,
almeno nel caso degli adulti, quindi il “diritto ad avere diritti”15, sembra
realizzarsi con l’acquisizione della cittadinanza, una sorta di garanzia
richiesta per evitare che si sprechino risorse per persone che poi potrebbero
non rimanere sul territorio. Questa visione tralascia però il fatto che
l'acquisizione della cittadinanza rappresenta allo stesso tempo un punto di
approdo e un punto di partenza.
L'acquisizione della cittadinanza legale viene quindi vista dai già
cittadini come un passo naturale per consolidare e confermare la legittima
presenza degli stranieri regolarmente soggiornanti sul territorio all'interno
delle comunità, e allo stesso tempo come un riconoscimento del ruolo che la
stessa comunità ha svolto nel processo di integrazione degli stranieri16.
15
H. Arendt, H., Le origini del totalitarismo, op. cit.
E. Colombo, L. Domaneschi, e C. Marchetti, Una nuova generazione di italiani. L'idea di
cittadinanza tra i giovani figli di immigrati, Milano, FrancoAngeli, 2009.
16
155
5.4.
Atteggiamenti contrari,
riconoscimento dei diritti
atteggiamenti
simpatetici
e
Una ulteriore analisi, svolta attraverso una aggregazione di dati ed una
successiva elaborazione di alcuni indici17, ha consentito di analizzare gli
atteggiamenti che i residenti della provincia di Forlì-Cesena hanno nei
confronti degli immigrati su tre specifici aspetti: ‘atteggiamenti contrari agli
stranieri’, ‘atteggiamenti simpatetici’ e ‘atteggiamenti rispetto al godimento
dei diritti da parte degli stranieri’, con lo scopo di capire anche se si possono
riscontrare delle tendenze o degli atteggiamenti legati a caratteristiche quali
l’età, il sesso, la fede religiosa degli intervistati ed altre (cfr. tab. 5.5).
Nella costruzione dell’indice denominato ‘atteggiamenti contrari agli
stranieri’, è stato preso in considerazione il grado di accordo su affermazioni
critiche relative alla quantità di stranieri sul territorio provinciale, alla loro
presenza nel mercato del lavoro, al ruolo che le istituzioni e la pubblica
amministrazione svolgono nel conferimento di benefici e dritti e alla
percezione di insicurezza e di pericolo per la cultura italiana che la presenza
degli immigrati genera negli intervistati.
L’indice di ‘contrarietà’ medio della popolazione indagata è 3,96 ed è
quindi mediamente basso18.
Questo dimostra sicuramente un atteggiamento non ostile verso la
presenza straniera, favorito probabilmente dal fatto che l’immigrazione sul
territorio provinciale si caratterizza per essere una immigrazione ormai
stabile nel tempo e nello spazio, il che favorisce l’instaurarsi di rapporti
diretti e continuativi tra stranieri ed italiani, come già ricordato in
precedenza19.
Tale analisi sembra avere conferma quando si considera l'indice a
seconda della conoscenza diretta di stranieri (3,43 tra coloro che conoscono
direttamente almeno uno straniero e 4,95 fra chi dichiara di non conoscerne
nessuno).
Entrando più in profondità (cfr. tab. 5.5), emerge come tra i residenti
nella provincia siano gli uomini ad avere un atteggiamento più ‘aperto’ nei
confronti degli stranieri rispetto alle donne (3,81 vs 4,11). Tale dato potrebbe
essere spiegato con le maggiori possibilità di frequentazione con gli stranieri
17
Gli indici sono stati ottenuti tramite una tecnica di analisi volta ad operare una
aggregazione interna del campione in base alla connessione tra gruppi di variabili, al fine di
cogliere le principali differenze, polarizzazioni e dimensioni di continuità che animano
l’opinione pubblica rappresentata dal campione di riferimento.
18
La scala dell’indice va da 0 a 10, dove 0 rappresenta il massimo livello di accettazione della
presenza immigrata, mentre 10 il massimo livello di contrarietà esprimibile rispetto alle
variabili che compongono l’indice.
19
Cnel, Indici di integrazione degli immigrati in Italia – VII rapporto, www.cnel.it, 2010.
156
che i primi hanno, data anche la frequente condivisione degli stessi settori ed
ambienti lavorativi20.
Tab. 5.5. Indice di atteggiamento ‘contrario’ alla presenza straniera. Confronto per
le principali variabili socio-demografiche
Media
N.
Sesso
Maschio
Femmina
3,81
4,11
411
393
Età
15-29 anni
30-49 anni
50-64 anni
65 anni e oltre
3,75
3,81
3,93
4,62
155
332
183
134
Distretto di residenza
Forlì
Cesena-Valle Savio
Rubicone-Costa
3,83
3,79
4,42
371
240
193
Titolo di studio
Fino a licenza elementare
Licenza media o qualifica
Diploma
Laurea o post-laurea
5,36
4,29
3,74
2,98
94
272
269
164
Disponibilità economica familiare
Alta
Media
Bassa
4,18
4,15
3,37
254
302
208
Orientamento politico
Sinistra-Centro-sin
Destra-Centro destra
3,08
4,91
336
168
4,04
4,45
190
312
2,37
3,47
35
257
Orientamento religioso
Cattolici praticanti
Cattolici non praticanti
Appartenenti ad altra
confessione religiosa
Non religiosi
20
Le donne sono maggiormente impiegate in settori lavorativi più isolati, come i settori
relativi alla cura alla persona, il 'badantato' o il lavoro di pulizie. Questi sono settori che
rendono meno facile la frequentazione con italiani, se non con i membri della famiglia per cui
si lavora o per la cerchia di amici di questi ultimi. Cfr. Quaderni di statistica. Le donne in
Emilia-Romagna, Controllo Strategico e Statistica della Regione Emilia-Romagna, 2011.
157
Emerge inoltre anche una chiusura che è direttamente proporzionale al
crescere dell’età. Sono le fasce di popolazione più giovani, infatti, che danno
risposte che dimostrano una minore chiusura (3,75 nella fascia di età tra i 15
e i 29enni vs 4,63 tra gli ultra65enni, con valori intermedi nelle fasce
centrali), sicuramente grazie ai percorsi scolastici che hanno visto una
compresenza di giovani italiani e stranieri, o figli di stranieri, ma anche
grazie alla maggiore dimestichezza che i giovani hanno con mezzi di
informazione quali internet, che favorisce lo scambio culturale e offre
opportunità di scoprire e conoscere mondi che spesso sono percepiti dai più
anziani come molto o troppo lontani. La maggiore intolleranza nei confronti
degli stranieri si evidenzia, infatti, tra coloro che hanno una bassa
scolarizzazione (5,36 per chi ha un titolo di studio fino alla licenza
elementare), mentre man mano che aumenta il grado di scolarizzazione
diminuisce anche l'atteggiamento di chiusura nei confronti degli immigrati e
della loro presenza sul territorio (2,98 tra coloro che hanno un titolo
universitario). È da evidenziare che il 67% di coloro che hanno fino ad una
licenza elementare sono anziani ultra65enni, quindi bisogna tenere conto di
quelli che sono gli atteggiamenti legati al fattore età, a conferma di quanto
poco fa sottolineato.
Interessante la lettura dei dati in base alla distribuzione sul territorio.
Nei distretti di Cesena–Valle Savio e di Forlì sembra prevalere un
atteggiamento più favorevole rispetto al distretto Rubicone-Costa (3,79
Cesena-Valle savio, 3,83 Forlì, 4,42 Rubicone-Costa). Tale discrepanza di
atteggiamento sul territorio potrebbe essere in parte spiegata dal fatto che
questo distretto ha una età media più alta rispetto agli altri due, e dal fatto
anche che la disponibilità reddituale risulta essere più bassa rispetto a quella
rilevata nei distretti di Forlì e di Cesena-Valle Savio.21 Inoltre, l’incidenza
degli stranieri sul territorio del distretto Rubicone-Costa è sicuramente da
maggior tempo piuttosto elevata rispetto alla presenza media di tutto il
territorio provinciale.
Rispetto alla disponibilità economica familiare22 si rivela una maggiore
apertura tra la popolazione più abbiente (3,36), mentre poche differenze si
registrano tra chi ha un reddito medio (4,15) o basso (4,18).
21
Sarebbe necessario un ulteriore approfondimento per ogni distretto, capace di fornire una
immagine più completa della demografia del territorio, che possa fornirci ulteriori elementi
per dare una risposte più completa agli atteggiamenti che caratterizzano la precedente analisi.
In questa sede abbiamo verificato solo che il distretto Rubicone-Costa vede una maggiore
presenza di coppie pensionate senza figli, quindi una presenza di popolazione con età
mediamente più alta e con disponibilità di reddito familiare più bassa rispetto agli altri due
distretti di Forlì e di Cesena-Valle Savio.
22
Per i dettagli sulla costruzione dell’indice di disponibilità economica familiare si veda il
capitolo 8.
158
Molto discriminante è la collocazione politica, che vede una risposta
media di 3,08 tra coloro che dichiarano di votare a sinistra, mentre una
risposta media di 4,91 tra coloro che si schierano a destra, si tratta tuttavia di
un’influenza minore di quella esercitata dal titolo di studio.
Particolarmente interessanti risultano poi i dati relativi alla percezione
che si ha degli stranieri relativamente alla appartenenza o meno
dell’intervistato ad una qualche fede religiosa. Se tra coloro che si dicono
appartenenti ad una fede diversa da quella cattolica, il grado di chiusura
risulta minimo (2,37), spiegabile con il fatto che la maggior parte dei
rispondenti è uno straniero residente sul territorio, è interessante notare come
la chiusura sia minore tra coloro che si dicono non appartenenti a nessuna
fede religiosa o non credenti (3,47) rispetto a coloro che si dicono cattolici
praticanti (4,04) e coloro che si dicono cattolici non praticanti (4,45).
Relativamente all’indice di atteggiamento ‘simpatetico’, costruito sul
grado di accordo espresso in riferimento a valutazioni positive sulla presenza
degli stranieri sul territorio, sull’arricchimento culturale che essi possono
offrire, sulla possibilità di professare una fede diversa da quella cattolica in
luoghi di culto appropriati e sulle maggiori possibilità di integrazione che la
compresenza di studenti italiani e stranieri nelle scuole porta con sé, si può
notare una certa apertura nel campione di riferimento (la media generale è
4,95).
Tale apertura aumenta quando c’è da parte degli intervistati la
conoscenza diretta con almeno un straniero (5,39 tra coloro che dichiarano di
conoscere direttamente e 4,12 tra coloro che invece dichiarano di non
conoscere). Si conferma quindi che la conoscenza diretta è una discriminante
forte rispetto agli atteggiamenti che si assumono nei confronti degli stranieri.
In questa analisi trova sostanziale conferma quanto già detto rispetto
all’atteggiamento di ‘contrarietà’. Infatti, anche in questo caso le donne
sembrano avere un'apertura minore (4,90) rispetto agli uomini (5,02), anche
se la differenza non è eccessiva (cfr. tab. 5.6).
Nell'analisi precedente si notava come gli atteggiamenti contrari
aumentassero di pari passo con l’aumentare dell’età, mentre in questo caso,
per quanto riguarda gli atteggiamenti simpatetici, si evidenzia un andamento
maggiormente variabile. Si registra infatti un parallelismo tra le fasce più
giovani e quelle più anziane (4,60 tra i 15-29enni e 4,45 tra gli ultra65enni),
che dichiarano di assumere atteggiamenti meno aperti nei confronti degli
stranieri presenti sul territorio provinciale, mentre risulta esserci una
maggior apertura tra i 50-64enni (5,48) e tra i 30-49enni (5,03).
Il parallelismo di percezione e atteggiamento tra le fasce di età più
giovani e quelle più anziane può essere spiegato da fattori diversi. Nel
secondo caso la minore apertura nei confronti degli stranieri è legata a fattori
159
culturali, economici e sociali, ma anche solamente di relazione diretta, come
dimostrano i dati sulla conoscenza.
Tab. 5.6. Indice di atteggiamenti simpatetici nei confronti degli stranieri
Media
N
Sesso
Maschio
Femmina
5,02
4,90
415
393
Età
15-29 anni
30-49 anni
50-64 anni
65 anni e oltre
4,60
5,03
5,48
4,45
158
328
189
133
Distretto di residenza
Forlì
Cesena-Valle Savio
Rubicone-Costa
4,98
5,04
4,82
371
240
197
Titolo di studio
Fino a licenza elementare
Licenza media o qualifica
Diploma
Laurea o post-laurea
3,85
4,88
5,16
5,43
94
276
269
162
Disponibilità economica familiare
Alta
Media
Bassa
5,00
4,77
5,26
256
307
207
Orientamento politico
Sinistra- Centro-sinistra
Destra- Centro destra
6,00
3,96
334
170
Orientamento religioso
Cattolici praticanti
Cattolici non praticanti
Appartenenti ad altra confessione religiosa
Non religiosi
4,97
4,64
6,86
5,11
194
313
38
253
Nel caso dei giovani una spiegazione potrebbe essere rintracciata anche
nel difficile momento che questi stanno vivendo in Italia a causa
dell'intensificarsi della crisi, che sembra far diminuire di giorno in giorno le
possibilità di inserimento lavorativo e di affermazione personale, erodendo
gli spazi di aggregazione e di risoluzione dei problemi in maniera collettiva e
160
portando ad un individualismo competitivo che spinge a vedere l'altro come
un concorrente; tale percezione risulta amplificata nel rapporto con
l'immigrato, che da sempre è ‘l'altro’ per eccellenza.
Per quanto riguarda la percezione e gli atteggiamenti che emergono in
base alla distribuzione degli intervistati nei distretti del territorio provinciale
si conferma una maggiore apertura da parte dei residenti nel distretto di
Cesena-Valle Savio (5,04) e di Forlì (4,98) rispetto ai residenti nel distretto
Rubicone-Costa (4,82), anche se con differenze non particolarmente
significative.
Il titolo di studio risulta essere ancora una volta un fattore fortemente
discriminante, con una media di risposta che passa dal 5,43 di coloro che
hanno un titolo di studio elevato, al 3,85 dei meno scolarizzati. Interessante è
anche il grado di apertura dichiarato in base alla disponibilità di reddito
familiare; infatti, un atteggiamento più simpatetico si riscontra tra coloro che
dichiarano un reddito alto (5,26).
Per quanto riguarda le differenti appartenenze politiche, si rileva una
maggiore apertura nei confronti degli stranieri da parte di coloro che
dichiarano di votare a sinistra-centrosinistra (5,99) rispetto a coloro che
dichiarano di votare a centrodestra-destra (3,95).
Sempre interessante risulta, infine, l’analisi degli atteggiamenti in
relazione alla dichiarazione di appartenenza o meno ad una fede religiosa. Si
conferma il dato precedentemente analizzato nell'indice di 'contrarietà’:
coloro che dichiarano di professare una fede religiosa diversa da quella
cattolica si mostrano maggiormente aperti nei confronti degli stranieri (6,86)
rispetto ai cattolici praticanti (4,97) e ai cattolici non praticanti (4,64).
Interessante è ancora una volta l’apertura che dichiarano di avere coloro che
si dicono non appartenenti a nessuna fede religiosa (5,11).
L’indice medio relativo al favore accordato alla possibilità di
riconoscere diritti legati alla cittadinanza e al voto amministrativo o politico
agli stranieri da parte dei cittadini della provincia di Forlì-Cesena è invece
pari a 4,62. Seppur si tratti di un indice non basso, risulta inferiore a quello
degli atteggiamenti simpatetici, a sua volta meno solido della non
contrarietà, a dimostrazione del fatto che esiste uno scarto fra mancata
‘discriminazione’, apertura verso l’immigrazione e riconoscimento dei diritti
civili e politici agli immigrati nel caso in cui non siano cittadini.
Se da un lato, quindi, si assiste ad un atteggiamento di apertura e
comprensione nei confronti degli stranieri, dei quali si iniziano sempre più a
conoscere non solo le condizioni di vita quotidiana, ma anche le storie
personali – come tendono a dimostrare i dati sulla conoscenza diretta – e si
nota la messa in atto di buone pratiche e di atteggiamenti che si sono
consolidati e che tendono a favorirne l'integrazione nella comunità di
accoglienza, tanto da far intravedere la possibilità di una 'cittadinanza
161
sociale'; dall'altro lato non si può non notare come tutta una serie di diritti,
compreso quello di voto amministrativo e politico, che passano
necessariamente attraverso l'acquisizione della cittadinanza legale, mostrano
negli intervistati un atteggiamento più cauto. Su questo stesso indice, rispetto
al genere dell'intervistato (cfr. tab. 5.7), persiste una leggera differenza tra
uomo (4,68) e donna (4,56), anche se in questo caso lo scarto tra le due
posizioni è minimo.
Tab. 5.7. Indice di atteggiamento rispetto al godimento dei diritti da parte degli
stranieri
Media
N
Sesso
Maschio
Femmina
4,68
4,56
414
399
Età
15-29 anni
30-49 anni
50-64 anni
65 anni e oltre
4,66
4,62
4,76
4,38
160
329
191
133
Distretto di residenza
Forlì
Cesena-Valle Savio
Rubicone-Costa
4,51
4,93
4,45
380
242
191
Titolo di studio
Fino a licenza elementare
Licenza media o qualifica
Diploma
Laurea o post-laurea
4,16
4,73
4,76
4,56
95
273
275
164
Disponibilità economica familiare
Bassa
Media
Alta
4,54
4,55
4,84
259
304
209
Orientamento politico
Sinistra- Centro-sinistra
Destra- Centro -destra
5,22
3,97
338
170
Orientamento religioso
Cattolici praticanti
Cattolici non praticanti
Appartenenti ad altra confessione religiosa
Non religiosi
4,41
4,52
5,74
4,77
192
311
37
263
162
Anche in relazione alle età persiste un atteggiamento di minore apertura
da parte degli ultra65enni (4,38) rispetto alle altre fasce di età (4,66 tra i 1529enni, 4,62 tra i 30-49enni e 4,76 tra i 50-64enni), ma sembra che il
riconoscimento dei diritti livelli un po' le percezioni tra i residenti nella
Provincia di Forlì-Cesena, riducendo lo scarto esistente tra le risposte
fornite.
Rispetto al titolo di studio dell’intervistato, tra coloro che hanno un
titolo di studio universitario, il valore medio è 4,55, dato molto prossimo a
quello espresso dai meno scolarizzati (4,16); una maggiore propensione
invece è dimostrata da coloro che hanno un titolo di studio intermedio (4,73
tra coloro che hanno una licenza media superiore e 4,75 tra coloro che hanno
un diploma di maturità).
Ancora una volta emerge un atteggiamento più aperto verso gli stranieri
tra coloro che hanno una maggiore disponibilità economica (4,84) rispetto a
coloro che si collocano su fasce di reddito più basse (4,54), così come si
conferma il forte potere discriminante dell’appartenenza politica, che vede
coloro che dichiarano di votare a sinistra-centrosinistra molto più favorevoli
al riconoscimento della cittadinanza e al godimento dei diritti politici e civili
da parte degli stranieri (5,22), rispetto a coloro che si collocano a
centrodestra-destra (3,97).
Per quanto riguarda la fede religiosa, risulta interessante notare come,
ancora una volta, gli appartenenti ad una confessione religiosa diversa da
quella cattolica risultano i più propensi al riconoscimento dei diritti di
cittadinanza in termini giuridico-formali (5,74) rispetto ai cattolici non
praticanti (4,52) e ai cattolici praticanti (4,40); coloro che invece si dicono
non appartenenti a nessuna fede religiosa danno una risposta media di 4,77.
Tali medie restano inferiori a quelle espresse in termini di
atteggiamento simpatetico, a dimostrazione del fatto che se da un lato i
residenti della provincia di Forlì-Cesena danno ormai per consolidata la
presenza straniera sul territorio, dimostrando come nei confronti degli
immigrati si sia sviluppato, in alcuni casi, un certo sentimento di empatia
rispetto alle condizioni che essi vivono (soprattutto in questo periodo di crisi
economica e sociale che colpisce trasversalmente tutte le categorie e le
‘classi’, allo stesso modo), dall'altro lato risultano essere meno propensi al
riconoscimento di quei diritti che ad oggi contribuiscono ancora a fare la
differenza tra un 'noi' e un 'loro', e che sembrano garantire maggiore
sicurezza sociale e maggior voice.
163
5.5. Gli atteggiamenti degli stranieri nei confronti degli stranieri
In considerazione del fatto che circa un 10% degli intervistati è nato in
un Paese diverso dall'Italia, da ultimo ci è sembrato interessante andare a
verificare quale fosse la percezione di questi intervistati stranieri residenti
sul territorio provinciale in relazione al processo di integrazione e al
percorso di acquisizione della cittadinanza.
Da una prima analisi risulta evidente che il loro atteggiamento di favore
verso un riconoscimento dell’importanza della presenza straniera e verso il
consolidamento delle modalità e delle condizioni di permanenza del
territorio è sicuramente e prevedibilmente maggiore rispetto a quello degli
italiani su tutti i campi di ricerca proposti, con particolari scostamenti per
quanto riguarda alcuni dei diritti che secondo la loro visione dovrebbero
essere riconosciuti.
Ad esempio, in relazione all’idea per cui “la cittadinanza spetta solo a
chi ha almeno un genitore italiano”, che è più rigida rispetto a quella in cui il
diritto è riconosciuto al di là dello ius sanguinis, gli stranieri prendono
maggiormente le distanze. Un ulteriore esempio riguarda il grado di accordo
sulla compresenza di italiani e stranieri a scuola come elemento che
favorisce l’integrazione: gli stranieri intervistati mostrano un favore medio
più elevato di quello già positivo espresso dagli italiani. Ancora una volta,
quindi, la scuola viene vista come luogo nel quale poter superare le barriere
culturali e favorire il processo di integrazione e di consolidamento della
presenza degli immigrati sul territorio, e dei loro figli, in vista di un percorso
di cittadinanza che ne veda, alla fine, riconosciuti tutti i diritti civili e
politici. In relazione ai politici si evidenzia infine lo scarto maggiore tra le
risposte fornite dagli immigrati e dagli italiani che sono sensibilmente meno
favorevoli a garantire il diritto di voto amministrativo e politico agli
immigrati. I dati evidenziano infatti che tra gli immigrati è molto diffusa
l’idea che sia giusto dare la possibilità a chi risiede in un dato territorio da
molto tempo di prendere parte a quelle che sono le decisioni prese per il
territorio stesso.
Il rapporto che sembra sussistere tra gli italiani e gli stranieri presenti
sul territorio provinciale dimostra una serie di aperture e di passi avanti
rispetto al passato e rispetto alle diverse posizioni alle quali si assiste in altre
zone d'Italia. Sebbene si tratti di una realtà relativamente felice rispetto ad
altri contesti, dove i percorsi di cittadinanza sociale sembrano essere ben
avviati, restano ancora tanti passi da fare, decisioni da prendere, soprattutto
per favorire lo sviluppo di senso di appartenenza tra i giovani di origine
straniera nati e cresciuti in questo territorio.
164
5.6. Rilievi di sintesi
I rapporti tra esseri umani sono regolati da consuetudini, abitudini,
norme, scritte o non scritte, che permettono di avere delle attese rispetto alle
azioni che gli individui compiono.
Nel caso del rapporto tra italiani e immigrati, il gioco di relazioni
subisce una battuta d'arresto, legata al fatto che spesso gli italiani conoscono
poco il mondo dell'immigrazione, e gli immigrati poco quello delle società
ospitanti, almeno per tutta la prima fase di immigrazione, e in alcuni casi i
due mondi non arrivano mai ad incontrarsi.
La presenza di queste barriere invisibili contribuisce a rallentare e, a
volte, a rendere impossibile, l'instaurarsi di relazioni tra 'vecchi' italiani e
'nuovi' italiani, proprio perché all'azione di ego non corrisponde una reazione
aspettata da parte di alter ma, spesso, un atteggiamento che si fatica a
riconoscere perché nuovo, diverso, inatteso, e che in quanto tale viene
percepito come ostile. Sotto la spinta delle ‘forze della globalizzazione’ si
modificano i paesaggi familiari, mutano gli assetti relazionali, si è costretti a
cambiare abitudini, e questo mette in crisi un’identità sociale che in molti
casi caratterizza intere esistenze.
Il grande elemento di novità che ha presentato questa indagine è l'alto
livello di conoscenza diretta che gli intervistati hanno dichiarato di avere
degli stranieri (come già detto in precedenza il 66% degli intervistati dichiara
di conoscere personalmente almeno uno straniero)23, fatto forse inaspettato
fino a qualche anno fa, ma che oggi non deve stupire per due ragioni
principali: una storica, legata alle tradizioni di accoglienza del territorio
romagnolo, che sono da sempre presenti nel profondo tessuto culturale della
popolazione residente; e una di recente costruzione, legata alla convivenza
sul territorio e proprio alla conoscenza diretta con le realtà che compongono
il panorama migratorio nella provincia di Forlì-Cesena.
Sicuramente persistono delle criticità nel rapporto tra i cittadini
residenti nella provincia di Forlì-Cesena e gli immigrati, come dimostrato
nella analisi dei dati esposta precedentemente. La minore apertura espressa
dalla fascia di età più anziana in tutte le suggestioni proposte, il rapporto
diretto che sussiste tra livello di scolarizzazione e quello di apertura agli
immigrati, la parziale chiusura dimostrata rispetto al riconoscimento del
diritto di voto amministrativo e politico in maniera un po' trasversale tra tutte
le categorie considerate.
23
Sarebbe interessante approfondire la natura di tali rapporti, come iniziano, come si
strutturano, attraverso quali canali e attraverso che tipo di frequentazioni, se si consolidano
nel tempo e se sussistono delle caratteristiche che possano favorirli o renderli maggiormente
difficili.
165
Nonostante tali aspetti, il livello di apertura dei cittadini residenti nella
provincia è sicuramente avanzato, ed è frutto di politiche che si sono
consolidate negli anni e di una attenzione particolare nei confronti
dell'integrazione ‘dal basso’, attraverso la promozione di scambi culturali,
ma soprattutto attraverso la promozione di percorsi scolastici integrati,
capaci di far sviluppare pratiche di conoscenza che si sono poi consolidate
nel tempo.
Le seconde generazioni rappresentano, infatti, una risorsa fondamentale
nel processo di integrazione. Come evidenziato, la conoscenza diretta facilita
l'integrazione e la sfida che ci dobbiamo porre è quella abbattere le barriere
che permangono ai processi di conoscenza e di relazione tra italiani e
stranieri. In questo senso la scuola per chi la frequenta, ma anche per il
coinvolgimento della famiglia, rimane uno dei luoghi principali per lo
scambio di cultura e di culture, per conoscere l’altro e non percepirlo più
come il diverso, ma come parte integrante della società.
166
6. Qualità della vita, sicurezza e radicamento territoriale
di Stella Volturo
6.1. Premessa
In questo capitolo si affronta il tema della qualità della vita in relazione
al contesto locale declinata lungo quattro dimensioni.
In primo luogo, l'attenzione si è focalizzata sulla questione della
sicurezza, tematica molto dibattuta negli ultimi decenni in tutto il Paese, sia
negli ambienti della politica che nei discorsi mass-mediatici. Essa
rappresenta un aspetto rilevante della vita sociale in quanto ha una spiccata
valenza ideologica ed esistenziale per le persone che si sentono insicure. In
questa sede si è scelto di considerare dapprima la dimensione della
percezione di sicurezza e successivamente gli effettivi episodi di
vittimizzazione, quindi gli effettivi episodi di microcriminalità.
In secondo luogo, è stata affrontata la sfera delle rappresentazioni degli
intervistati rispetto alle problematiche che, a loro avviso, toccano
maggiormente il territorio in cui vivono, quali la disoccupazione,
l'inquinamento, il traffico, soltanto per citarne alcune. Il tentativo è stato
quello di costruire una sorta di 'termometro delle preoccupazioni' in modo da
restituire un'immagine articolata della percezione dei maggiori problemi del
territorio.
In terzo luogo, è stato affrontato il tema della mobilità e dell'utilizzo del
territorio, a partire dal livello di fruibilità dei mezzi pubblici locali fino al
grado di raggiungibilità dei principali servizi che caratterizzano la vita
quotidiana degli intervistati (ad esempio scuole, farmacie, uffici comunali).
Infine, si è indagata la dimensione delle rappresentazioni degli
intervistati sia rispetto all'orizzonte locale (il comune e la provincia di ForlìCesena), sia rispetto al territorio ‘allargato’ (la regione Emilia-Romagna). Il
tentativo è stato quello di sondare il tipo di immagine e percezione dei
forlivesi-cesenati rispetto al loro territorio richiamandone gli aspetti sociali
(solidarietà e inclusione sociale), storici ed economici.
6.2. I molteplici volti dell'insicurezza
Il concetto di sicurezza è multidimensionale e polisemico: i significati
che gli individui possono attribuire a questa sfera dell'esistenza sono
molteplici e variabili. La definizione stessa di sicurezza non rimane fissa nel
tempo ma cambia a seconda del periodo storico e del significato che assume
167
per le persone, rappresentando così una costruzione sociale della realtà.
Indubbiamente il ‘problema sicurezza', la sua percezione e i significati
ad esso attribuiti raccontano del livello di benessere non soltanto individuale
ma anche collettivo di un territorio1. Nel caso specifico della provincia di
Forlì-Cesena è possibile sostenere, grazie al supporto dei dati emersi
dall'indagine campionaria, che l'aspetto della sicurezza nel proprio ambiente
di vita costituisce un obiettivo prioritario degli intervistati (93.7%),
addirittura più rilevante, anche se di poco, del poter disporre di una certa
tranquillità economica (91.3%). Tale dato può essere spiegato alla luce del
fatto che, nonostante la recessione economica su scala globale, l'economia
locale sia ancora piuttosto dinamica rispetto ad altri territori e la 'questione'
sicurezza acquisti, quindi, particolare rilievo negli orientamenti valoriali dei
soggetti intervistati. Tale aspetto potrebbe, a sua volta, essere interpretato
tenendo conto dell'influenza esercitata dai mass media che, soprattutto negli
ultimi anni, hanno prestato centrale attenzione al tema della sicurezza nella
accezione di “stato individuale e collettivo da tutelare dai rischi derivanti
dalla criminalità e dalla devianza”2 .
In che modo è possibile sondare una fenomeno così articolato e
complesso quale è quello della sicurezza? Innanzitutto bisogna chiarire quali
aspetti si vogliono indagare per mezzo dello strumento di rilevazione
empirica. In questa sede si è scelto, in prima battuta, di volgere l'attenzione
alla dimensione della percezione dell'insicurezza da parte dei cittadini, ossia
la dimensione soggettiva del fenomeno.
Seguendo la felice intuizione di una studiosa francese, Christiane Louis
Guérin3, è possibile individuare due aspetti della paura per la criminalità. Il
primo aspetto è legato alla preoccupazione nei confronti di un fenomeno
riguardante genericamente la società (paura astratta). Il secondo aspetto fa
riferimento al timore evocato da un fenomeno di microcriminalità concreto
più prossimo alla propria esperienza di vita quotidiana (paura concreta).
A partire da tale distinzione di sicurezza, agli intervistati è stato
innanzitutto chiesto di definire la situazione delle microcriminalità in Italia
in termini di pericolosità 4: la maggior parte di essi si sono rivelati molto
allarmati tanto che il 61,2% ha ritenuto la situazione 'abbastanza pericolosa'
e circa 1 intervistato su 5 (19,9%) 'molto pericolosa', soltanto una minoranza
1
La sicurezza è stata individuata come una delle dodici dimensioni per misurare il benessere
della società italiana. Si tratta di un dibattito molto attuale, per maggiori informazioni si visiti
il sito www.misuredelbenessere.it.
2
A. Naldi, “Mass media e insicurezza” pag. 117, in R. Selmini . (a cura di), La sicurezza
urbana, Bologna, il Mulino, 2005.
3
C. Guérin Louis, La peur du crime: mythes et réalités, «Criminologie», vol. 16, n°1, 1983.
4
Il quesito posto agli intervistati è: “come definirebbe la situazione della microcriminalità in
Italia?” le modalità di risposta previste sono quattro: 1) per nulla pericolosa; 2) poco
pericolosa; 3) abbastanza pericolosa; 4) molto pericolosa.
168
l'ha definita per nulla o poco pericolosa (18,7%).
Lo scenario si ribalta quando si indaga la paura definita concreta, ossia
relativa al proprio contesto vitale5. Infatti la quota di intervistati che
definisce 'per nulla pericolosa' la situazione della microcriminalità è dieci
volte quella rilevata per la paura astratta (10,5%), più della metà degli
intervistati si colloca sulla modalità di risposta 'poco pericolosa' (52,2%),
soltanto un terzo circa degli intervistati sostiene che la situazione della
microcriminalità sia 'abbastanza pericolosa' (32,8 %) e il restante 4,5% la
reputa 'molto pericolosa'.
La figura 6.1. mostra le differenze esistenti nella percezione dei due tipi
di paura che possono essere spiegate con il fatto che si tenda a sovrastimare
il fenomeno della microcriminalità quando lo si pensa in astratto, a partire da
rappresentazioni probabilmente più influenzate dai mass che dalla concreta
esperienza di vita. Infatti, quando si richiama il fenomeno nel proprio
ambiente vitale, fatto di spazi fisici e sociali in cui gli individui tendono a
riconoscersi, a identificarsi, si tende a ridimensionare la pericolosità
attribuita alla microcriminalità.
Fig. 6.1. Confronto tra paura astratta e paura concreta (valori % per “molto +
abbastanza”)
90
80
70
60
50
40
30
20
10
0
Paura astratta
Paura concreta
È interessante, ai fini dell'analisi, indagare se e come le principali
5
In questo caso il quesito è: “come definirebbe la situazione della microcriminalità nel
comune in cui vive?” Le modalità di risposta previste sono le stesse del quesito precedente.
169
caratteristiche socio-demografiche siano in relazione con la percezione di
paura astratta e concreta degli intervistati (cfr. tab. 6.1).
Per quanto riguarda la prima, le variabili che influenzano maggiormente
la probabilità di giudicare abbastanza o molto pericolosa la situazione della
microcriminalità sono il tipo di professione svolta, l'orientamento politico, la
disponibilità economica familiare6 e il livello d'istruzione. Dal campione
forlivese-cesenate, infatti, emerge che sono le casalinghe a percepire un più
elevato livello di allarme, con una percentuale dell' 89,1% di esse che ritiene
abbastanza o molto pericolosa la microcriminalità in Italia. Viceversa i meno
allarmati risultano essere gli imprenditori e i dirigenti quadri
(rispettivamente 73,2% e 72,9%).
Molto significativa è l'influenza dell'orientamento politico: gli elettori di
destra e centro-destra hanno una probabilità di circa il 10% in più degli
elettori di sinistra o centro-sinistra di giudicare molto o abbastanza
pericolosa la situazione della microcriminalità in Italia (86.9% e 74,9%).
Chi ha maggiori risorse economiche si percepisce anche più sicuro
rispetto a chi è in possesso di un capitale economico meno cospicuo: un
indice di disponibilità economica basso o medio aumenta del 10% circa la
probabilità di percepirsi insicuro rispetto ai più 'ricchi'. Infatti l’85% circa
dei meno abbienti definisce molto o abbastanza pericolosa la situazione della
microcriminalità contro il 74,2% dei più benestanti.
Infine, un maggior livello d'istruzione garantisce anche una maggiore
serenità in termini di percezione della paura astratta, quest'ultima, infatti,
tende a diminuire all'aumentare del grado di scolarizzazione. Vi sono
considerevoli differenze tra chi è in possesso al massimo della licenza
elementare (88,4%), chi ha un livello d'istruzione medio (licenza media:
85%; licenza superiore: 81,6%) e chi è laureato (70,7%).
Se in altre ricerche sono state riscontrate differenze di genere notevoli,
con le donne che risultano più sensibili al tema dell'insicurezza rispetto agli
uomini, dai dati emersi in questa indagine tali differenze sono invece più
contenute (maschi: 78,5%; femmine: 84,1%).
Stesso discorso vale per l'età: ci si aspetterebbe, infatti, una situazione
di maggiore percezione d'insicurezza tra le fasce di età più anziane, ma le
differenze, invece, sono piuttosto esigue. Dunque è plausibile concludere che
il problema dell'insicurezza, declinata come paura in astratto, sia trasversale
alla dimensione di genere e all'età.
Procedendo con la messa in relazione delle stesse variabili sociodemografiche con la percezione d'insicurezza nel comune di residenza, quale
indicatore di paura concreta, si delineano dinamiche simili a quelle sopra
descritte, seppure con alcuni significativi scostamenti.
6
Per i dettagli nella costruzione dell’indice si rinvia al capitolo 8.
170
Tab. 6.1. Paura astratta e paura concreta (valori % per 'abbastanza' + 'molto') per
principali variabili socio-demografiche
Paura astratta
Paura concreta
Sesso
Maschio
78,5
35,1
Femmina
84,1
39,5
Età
15-29 anni
30-49 anni
50-64 anni
65 anni e oltre
80,2
79,2
82,5
85,4
26,5
33,9
42,0
51,1
Distretto residenza
Forlì
Cesena-Valle Savio
Rubicone-Costa
79,5
81,7
83,9
32,8
39,7
42,9
Titolo di studio
Fino alla licenza elementare
Licenza media o qualifica
Diploma
Laurea o post-laurea
88,4
85,0
81,6
70,7
54,6
44,9
29,5
27,0
Disponibilità economica familiare
Basso
Medio
Alto
85,4
84,2
74,2
41,4
40,0
29,7
Status occupazionale
Dirigenti, quadri, funzionari
Impiegati di concetto e insegnati
Impiegati esecutivi e operai
Imprenditori e liberi professionisti
Artigiani, commercianti
Pensionati
Casalinghe
Studenti
73,2
83,3
84,5
72,9
82,9
80,4
89,1
77,3
24,4
36,2
38,8
23,7
50,0
46,0
47,8
27,7
Orientamento politico
Sinistra/Centro-sinistra
Centro-destra/Destra
74,9
86,9
54,9
45,1
La condizione professionale influenza il livello di percezione
dell'insicurezza nel proprio comune. Ad avere più paura sono i commercianti
(50%), seguiti da casalinghe (47,8%) e pensionati (46%). Per quanto
171
riguarda il dato relativo a questi ultimi, lo si potrebbe interpretare
considerando il loro stile di vita tendenzialmente meno mondano rispetto a
chi è attivo sul mercato del lavoro. La loro potrebbe essere una paura verso
un mondo esterno che, seppure locale, vivono poco e che percepiscono come
pericoloso in termini di microcriminalità. Per i commercianti si potrebbe
ipotizzare un discorso inverso: tendono ad avere una rappresentazione più
grave del fenomeno nell'ambiente in cui vivono perché probabilmente
sommano alle preoccupazioni comuni ad altri profili professionali anche
timori legati allo specifico tipo di attività svolta, nell’immaginario ritenuta
più esposta ad episodi di microcriminalità.
L'orientamento politico continua ad avere un impatto rilevante anche
sulla percezione di insicurezza nel proprio comune: gli elettori di destra e
centro-destra che definiscono molto pericolosa la situazione della
microcriminalità sono circa il doppio (45,1%) degli elettori di sinistra e
centro-sinistra (29,6%). La ripetizione di questo risultato testimonia la
valenza ideologica del concetto di sicurezza cui si accennava prima.
Soprattutto negli ultimi anni i partiti di destra e centro-destra hanno dato
molta importanza nella loro agenda politica e nei discorsi di propaganda
elettorale al tema sicurezza, intercettando così quel sentimento di paura e
insicurezza alimentato, a sua volta, dall'enfasi mediatica.
Anche nel caso della paura concreta, al crescere del livello di ricchezza
diminuisce la percezione di insicurezza. Si può dunque sostenere che una
maggiore tranquillità economica è correlata negativamente alla percezione
dell'insicurezza.
La percezione della microcriminalità nel proprio comune, inoltre, è più
accentuata, come visto in precedenza per la paura astratta, per chi è in
possesso della licenza elementare (54,6%) e media (44,9%), diversamente,
chi ha un titolo di studio più elevato come il diploma di maturità (29,5%) o
la laurea e oltre (27%) si sente relativamente più sicuro nel proprio ambiente
di vita.
Diversamente da quanto affermato per la paura astratta, nel caso della
percezione d'insicurezza in concreto, l'età è una variabile che aiuta a spiegare
il fenomeno in questione: i più giovani si sentono più tranquilli, sono circa
un quarto (26,5%) coloro che reputano abbastanza o molto pericolosa la
situazione della microcriminalità nel comune in cui vivono, mentre i più
anziani (65 anni e più) sono i più allarmati in quanto più della metà (51,1%)
giudica abbastanza o molto pericolosa la situazione.
Anche in questo caso il genere dell'intervistato non è una variabile
esplicativa della maggiore propensione ad aver paura della microcriminalità
nel proprio comune, le differenze tra maschi e femmine non sono rilevanti.
Considerato che il quesito posto all'intervistato è relativo alla
percezione della microcriminalità nel comune di residenza, è certamente
172
utile indagare come ha risposto il campione se si prendono in considerazione
i tre distretti. Laddove il distretto di Forlì e Cesena-Valle Savio vivono una
situazione analoga (le percentuali di intervistati che sceglie la modalità di
risposta 'molto e abbastanza pericolosa' sono 32,8% per Forlì-Cesena e
39,7% per Cesena Valle-Savio), nel distretto di Rubicone-Costa si registra
una maggiore paura per la microcriminalità nel proprio comune (42,9%).
Ma quali e quanti sono i tipi di reato che si sono verificati nel territorio
di Forlì-Cesena nell'ultimo anno?
I reati presi in considerazione nell'indagine condotta sono relativi al
furto d'auto, furto nella propria abitazione e di oggetti (borseggio), furto con
minaccia (scippo) ed infine aggressione fisica.
Le prime tre fattispecie possono essere raggruppate sotto l'etichetta di
'reati contro la proprietà senza interazione' in quanto non prevedono alcun
contatto tra autore e vittima. I restanti due casi prevedono invece l'uso
intenzionale o la minaccia della forza fisica e possono essere raggruppati
sotto l'etichetta di 'reati violenti'7. Per ciascuno di questi reati si è voluto
indagare sia l'esperienza di vittimizzazione diretta, sia la diffusione dei reati
nella rete sociale dell'intervistato, detta anche vittimizzazione ‘vicaria’8.
Per ciascun reato verranno riportati i principali risultati per entrambi i
tipi di vittimizzazione. Come si avrà modo di osservare, la vittimizzazione
'vicaria' raggiunge valori sensibilmente più alti della vittimizzazione diretta.
È, pertanto, possibile ipotizzare che essa sia sovrastimata dagli intervistati in
quanto essi potrebbero aver fatto riferimento a episodi di vittimizzazione
riferiti a persone che non rientrano strettamente nella loro rete sociale, è il
classico ‘passa-parola’ (sentito dire), oppure a conoscenti che non vivono nel
territorio forlivese-cesenate.
Circa 3 intervistati ogni 100 sono stati vittime di un furto d'auto (2,8%)
nell'ultimo anno. Se si prende in considerazione la rete sociale
dell'intervistato, chiedendogli se qualche suo conoscente abbia subito un
furto d'auto nello stesso periodo, il dato aumenta significativamente (16,6
%).
Per quanto riguarda il furto nella propria abitazione, il 10% circa degli
intervistati ha dichiarato di esserne stata vittima nell'ultimo anno. Come ci si
può aspettare, tale percentuale aumenta di ben 27,5 punti percentuali
(37,5%) quando ci si riferisce agli episodi di vittimizzazione della rete
sociale dell'intervistato.
Il terzo tipo di reato rilevato è quello che viene definito 'borseggio',
ossia la sottrazione di oggetti (ad esempio il portafoglio) senza che la vittima
7
M Barbagli., A. Colombo., E. Savona., Sociologia della devianza, Bologna, il Mulino, 2003.
S. Arsani. e G. Muratore , “Le vittime” in R. Selmini, La sicurezza urbana, Bologna, il
Mulino, 2004.
8
173
se ne accorga. Nel caso della provincia di Forlì-Cesena, l'incidenza di questo
tipo di reato è stimata al 15,7%. Se si estende la rilevazione alla rete sociale
dell'intervistato il dato raggiunge il 23,2%.
Questi due ultimi reati – furto d’auto e borseggio – presentano
percentuali di vittimizzazione sensibilmente più alte rispetto ad altre indagini
relative al medesimo territorio9. Ciò è probabilmente dovuto ad una tendenza
a sovrastimare il fenomeno al di là del limite temporale richiamato nel
quesito (12 mesi)10, ragion per cui si suggerisce di usare con cautela questa
informazione.
Per quanto riguarda i reati cosiddetti 'violenti', la frequenza con cui si
manifestano è molto più rara rispetto ai danni contro il patrimonio: le vittime
dello scippo sono l'1,6% del campione forlivese-cesenate, coloro che hanno
subito un aggressione costituiscono l'1,2% degli intervistati. Anche in questi
due casi la vittimizzazione 'vicaria' riferita alla rete sociale dell'intervistato
registra valori più alti, ma il dato non incrementa di molto come nei casi
precedenti, infatti la differenza massima tra i due tipi di vittimizzazione è
del 6%.
Molte ricerche hanno messo in evidenza come interagiscono le
principali caratteristiche socio-demografiche con gli episodi di
vittimizzazione al fine di creare un profilo delle vittime per ciascun tipo di
reato11. Per quanto riguarda la presente indagine, si è proceduto con lo stesso
tipo di analisi, rilevando così eventuali differenze di genere, età, luogo di
residenza, classe sociale.
In riferimento al furto d'auto, ne risultano maggiormente vittimizzati gli
ultrasessantacinquenni (4,3%) anche se di poco rispetto alle altre classi di
età, chi vive nel distretto di Rubicone-Costa (5.5% contro l'1,6% del distretto
di Forlì e il 2,4% del distretto di Cesena-Valle Savio) e chi ha una
disponibilità economica familiare più bassa (3,7% contro il 2,9% delle
situazioni economiche intermedie e l'1,9% dei meno abbienti).
Le vittime che hanno subito un furto in casa sono perlopiù 50-64enni e
ultrasessantacinquenni (rispettivamente 13,6% e 11,7%); non vi sono
rilevanti differenze di genere (11,8% degli uomini contro il 9,8% delle
donne) e la situazione risulta piuttosto omogenea tra i tre distretti della
provincia forlivese-cesenate (distretto di Forlì: 8,8%; Cesena-Valle Savio:
12,9%; Rubicone-Costa: 10,7%).
9
Cfr. ISTAT, Statistiche in breve. Reati, vittime e percezione della sicurezza. Anni 2008-2009;
Regione Emilia-Romagna, Seconda indagine di vittimizzazione, 2002.
10
Il quesito è il seguente: “Pensando agli ultimi 12 mesi, è capitato a lei direttamente o ad un
suo familiare, amico o parente uno dei reati che ora le elencherò nella zona in cui risiede? Ad
esempio, nell’ultimo anno le è capitato che…”.
11
AA. VV., Politiche e problemi della sicurezza in Emilia-Romagna. Undicesimo Rapporto
Annuale 2005, «Quaderni di Città Sicure».
174
In riferimento alle vittime del borseggio, i più vittimizzati sono i 5064enni e gli ultrasessantacinquenni (rispettivamente 19% e 18%), vi si
riscontrano poi leggere differenze di genere con circa il 18% di donne e il
14% di uomini. La situazione nei tre distretti è eterogenea: Forlì e CesenaValle Savio registrano entrambi percentuali pari al 18%, mentre nel distretto
di Rubicone-Costa vi è una riduzione di circa 8 punti percentuali (10,6%). Il
livello di ricchezza familiare non incide sulla probabilità di essere vittime di
borseggio, registrando, quindi, percentuali simili (circa 15%).
Anche per quanto riguarda le vittime dello scippo, si rileva una
maggiore vittimizzazione nelle classi di età dei più anziani (50-64enni: 3,1%
e 65 e oltre: 2,2%). Per questo tipo di reato non si riscontrano particolari
differenze di genere né territoriali. Neanche in questo caso la disponibilità
economica familiare influenza la probabilità di essere vittime di scippo.
Infine, per quanto riguarda le vittime di aggressione, non si registra
variabilità se si procede all'analisi delle relazioni con le principali variabili
indipendenti utilizzate per gli altri reati, anche perché il totale degli individui
coinvolti è un numero esiguo del campione (10 individui).
La relazione tra l’esperienza di restare vittime di un reato e la
percezione della criminalità è, da tempo, oggetto di discussione tra chi si
occupa di questi temi in quanto le evidenze empiriche mettono in evidenza
andamenti contraddittori.
Da un lato vi è chi sostiene che le vittime dei reati, soprattutto di natura
predatoria, appartengano a classi sociali più abbienti in quanto possiedono
beni in misura maggiore e hanno uno stile di vita dinamico a causa del
lavoro o del modo di trascorrere il tempo libero. Tali caratteristiche
contribuirebbero ad aumentare il loro rischio di restare vittime di un reato,
ma allo stesso tempo danno loro elementi per sentirsi meno vulnerabili alla
criminalità stessa. Vi sarebbero poi gruppi sociali molto meno dinamici sia
da un punto di vista economico sia come stile di vita: costoro sarebbero più
allarmati anche se meno vittimizzati12. Tale fenomeno è stato denominato in
letteratura come “paradosso vittimizzazione-paura”13.
Al fine di approfondire questo fenomeno è stato costruito un indice di
'familiarità' alla vittimizzazione che è stato poi messo in relazione alla
percezione del rischio di cadere vittima di un reato. Si tratta di un indice
additivo che somma i casi in cui un intervistato sia stato vittima di reato14. Vi
è co-variazione tra l'essere stati realmente vittime di reato e percepirsi più
vulnerabili? Dai risultati emersi dalla presente rilevazione emerge che
12
M. Stafford, O. Galle, Victimization Rates, Exposure To Risk, and Fear of Crime, in
«Criminology», 22/2, 1984.
13
Per un dibattito su questa tematica si veda: R. Cornelli, “Paura della criminalità e allarme
sociale”, in R. Selmini. (a cura di), La sicurezza urbana, Bologna, il Mulino, 2004.
14
I valori attribuiti all'indice di vittimizzazione sono: mai, una sola volta, più di una volta.
175
all'aumentare del numero degli episodi di vittimizzazione aumenta anche il
rischio percepito di vittimizzazione che, coerentemente, si giudica aumentato
nell'ultimo anno. Tale andamento è verificabile sia se si tiene conto dei reati
subiti in prima persona che di quelli subiti dalla rete sociale dell'intervistato.
Dunque, si può concludere affermando che per il campione analizzato
sembra non manifestarsi il cosiddetto “paradosso vittimizzazione-paura”, ma
che il sentirsi a rischio derivi dall'essere stati realmente vittima di reato. Per
essere più precisi, il 50% di chi ha subito un reato, tra quelli analizzati,
sostiene che il rischio di vittimizzazione sia aumentato, il dato per coloro che
non sono stati vittime in prima persona ma che conoscono qualcuno che
abbia subito un reato nell'ultimo anno è pari al 29%.
6.3. Le preoccupazioni sociali dei forlivesi-cesenati
Questo paragrafo costituisce un tentativo di approfondire come gli
intervistati interpretano il loro territorio alla luce delle principali questioni al
centro del dibattito pubblico. In altre parole, si tratta di cogliere quella che
viene definita “preoccupazione sociale” che racconta di come i soggetti
reinterpretano i temi più frequentemente proposti nel dibattito pubblico15 e
che, quindi, sono anche più probabilmente influenzabili dai mass media che
spesso operano in una logica di spettacolarizzazione delle problematiche.
Gli intervistati forlivesi-cesenati si sono rivelati piuttosto ottimisti
quando sono stati interpellati sulla soddisfazione generale per la vita che
conducono attualmente16. Essi non sono sembrati particolarmente
preoccupati neanche quando sono stati chiamati ad esprimersi sulla
concezione del proprio futuro17. Tuttavia, se si propongono problematiche
specifiche è possibile rilevare aree particolarmente sensibili e che suscitano
preoccupazione in quanto ritenute gravi o inadeguate nel proprio comune.
La figura 6.2. mostra una sorta di graduatoria nelle preoccupazioni degli
intervistati. Come si può notare, il primo posto è occupato dalla questione
relativa al costo di una casa: il 60,9% del campione ritiene molto e
abbastanza grave tale questione. Al secondo posto, a circa 10 punti
15
Regione Emilia-Romagna, Politiche e problemi della sicurezza in Emilia-Romagna.
Tredicesimo Rapporto annuale 2009, «Quaderni di Città Sicure»
16
La soddisfazione generale per la propria vita è stata misurata con una scala auto-ancorante
con valori da 1 a 10: il valore medio per il campione forlivese-cesenate è 7.
17
La rappresentazione del proprio futuro è stata indagata con uno specifico quesito in cui si
chiedeva all'intervistato come pensava al proprio futuro, ovvero se faticasse a vederlo, se ne
avesse un'idea negativa, sia positiva che negativa o del tutto positiva. Soltanto l'11% del
campione fatica a vedere il proprio futuro, la maggior parte degli intervistati ha rivelato di
vedere sia aspetti negativi che positivi (60%), mentre il 19,5% si è dichiarato del tutto
ottimista.
176
percentuali di distanza, vi si posiziona la problematica della disoccupazione
(51,3%), seguita dalla questione della droga (44,5%). Il quarto posto è
occupato dalla questione della condizione della pavimentazione stradale
(39%%). Livelli di preoccupazione simili sono identificati nelle questioni
relative al traffico (37,1%), alla corruzione politica (36,3%) e
all'inquinamento (34%). Le questioni che sono meno avvertite come
problematiche riguardano l'offerta ricreativo-culturale (22,6%), la pulizia
degli spazi pubblici (21,6%), l'offerta scolastica (20,7%) ed, infine,
l'illuminazione stradale (20%).
Fig. 6.2. Graduatoria di alcune questioni riguardanti la realtà comunale (valori %
per 'molto' + 'abbastanza')
Costo di un'abitazione (acquisto)
Disoccupazione
Droga
Pavimentazione stradale
Traffico
Corruzione politica
Inquinamento
Offerta ricreativa
Pulizia degli spazi pubblici
Offerta scolastica
Illuminazione strade
0
10
20
30
40
50
60
70
È evidente che ciascuna di queste tematiche meriterebbe
approfondimenti sia di natura empirica che teorica che non è possibile
soddisfare in questa sede. Le questioni sono eterogenee e spaziano tra diversi
campi semantici richiamando le principali problematiche che possono avere
luogo in un territorio. Nonostante l'impossibilità di approfondire ciascuno
degli ambiti presentati, si è scelto di concentrarsi sulle problematiche che,
dalla rilevazione campionaria, costituiscono le principali preoccupazioni
degli intervistati.
Come si è visto, in vetta alla classifica vi è la preoccupazione per il
costo di un'abitazione. Non è semplice spiegare perché sia proprio tale
questione a preoccupare maggiormente i forlivesi-cesenati intervistati. Si
177
può, però, richiamare la valenza non soltanto economica, ma anche
simbolica attribuita in tutto il Paese al bene casa, in cui il 68,5% delle
famiglie è proprietaria della casa in cui vive18.
L'abitazione, inoltre, incorpora molteplici significati e funzioni in
quanto soddisfa esigenze di riparo, costituisce la struttura all’interno della
quale avviene la riproduzione domestica ed è il luogo dove si svolgono le
attività familiari di cura. In definitiva, l’abitazione è un elemento costitutivo
dello spazio sociale degli individui e una risorsa economica particolarmente
rilevante19.
Alla luce di queste riflessioni, si comprende quanto sia complessa e
densa di significati la 'questione casa'. Rispetto alla provincia di ForlìCesena è possibile risalire ad alcune condizioni socio-demografiche che
influenzano la probabilità di essere toccati maggiormente da questa
problematica.
Innanzitutto, come ci si aspetterebbe, la questione è più sentita da chi
vive in affitto: 73,4% è la percentuale di chi giudica molto o abbastanza
grave il 'costo di un'abitazione', rispetto a chi vive in una casa di proprietà
(58,5%).
Tra coloro che vivono in affitto, i più preoccupati sono quelli che
pagano un canone d'affitto elevato, ossia superiore ai 600 euro mensili,
infatti l'89,5 % di essi reputa molto o abbastanza grave la questione relativa
al costo di una casa.
Per quanto riguarda l'età, coloro che avvertono maggiormente il
problema sono i 30-49enni (65,7%), la rilevazione di questo dato rimanda
alla questione dei percorsi di autonomia dei giovani in cui l'accesso alla casa
ne costituisce una dimensione rilevante e problematica20.
Il livello d'istruzione non contribuisce a spiegare il grado di
preoccupazione per la tematica in questione, in quanto le differenze tra i più
scolarizzati e chi è in possesso di titoli di studio inferiori non sono
significative. Sorprendentemente, neanche le risorse economiche disponibili
nel nucleo familiare influenzano significativamente il grado di
preoccupazione degli intervistati rispetto al tema in questione.
Inoltre, se si verifica come si sviluppa la tematica all'interno dei tre
distretti, è possibile rilevare un certo livello di omogeneità tra il distretto di
Forlì (56,5%) e quello di Rubicone-Costa (51,3%), laddove nel distretto di
Cesena-Valle Savio la percentuale di chi sostiene che la questione del costo
dell'abitazione sia un problema molto o abbastanza grave è pari al 75,5%.
18
Istat, Statistiche in breve. L’abitazione delle famiglie residenti in Italia. Anno 2008, Roma.
T. Poggio , Proprietà della casa, disuguaglianze sociali e vincoli del sistema abitativo, «La
Rivista delle Politiche Sociali», 2005.
20
R. Torri, “Il rischio abitativo: riflessioni tra teoria e ricerca empirica, La Rivista delle
Politiche Sociali, 2005.
19
178
Vi è poi la questione della disoccupazione che occupa il secondo posto
nella classifica delle preoccupazioni del campione forlivese-cesenate.
Seppure si tratti di un territorio con un mercato del lavoro dinamico,
soprattutto se confrontato con altre realtà italiane, il problema della
disoccupazione è percepito come un problema da 1 intervistato su 2. In parte
ciò può essere giustificato alla luce della recessione economica iniziata nel
2008.
Ma quali sono i principali fattori che influenzano la percezione di
preoccupazione per la disoccupazione? Dall'analisi effettuata emerge che il
genere non rappresenta una variabile influente (la percentuale di uomini si
stima al 52% e quella delle donne al 50,5%). Neanche l'età sembra essere
una variabile associata con il livello di preoccupazione per la
disoccupazione: le percentuali tra le diverse classi di età sono molto simili
oscillando, leggermente meno preoccupati appaiono i più giovani (classi di
età 15-29 anni con una percentuale del 46,9% per poi essere stabili al 52%
circa nelle restanti classi di età).
Interessante è rilevare che all'aumentare del titolo di studio diminuisce
il grado di preoccupazione per la questione relativa alla disoccupazione.
Infatti, poco più del 60% di chi è in possesso al massimo della licenza
elementare sostiene che la disoccupazione sia un problema molto o
abbastanza grave, tale dato diminuisce al 53,7% per chi ha la licenza media o
una qualifica professionale, fino a giungere al 42,7% di 'preoccupati' in
possesso della laurea o di un titolo post-laurea. Si può, dunque, concludere
che un più alto livello d'istruzione costituisca una risorsa non soltanto
spendibile sul mercato del lavoro, ma che acquisti rilevanza anche nel
percepirsi più protetti rispetto al problema della disoccupazione.
Una variabile che incide sensibilmente sul giudicare molto
preoccupante la situazione della disoccupazione è, senza dubbio, la
disponibilità economica del nucleo familiare in cui si vive: maggiori risorse
economiche, come ci si può intuitivamente aspettare, proteggono dalla
preoccupazione per la disoccupazione ('soltanto' il 40,3% dei più 'ricchi'
ritiene grave il problema della disoccupazione) che è maggiormente avvertita
per chi è in possesso di risorse economiche più scarse (63,4% per chi ha un
indice di disponibilità economica basso).
Per quanto riguarda l'influenza della condizione professionale sulla
preoccupazione per il problema della disoccupazione, si rileva che esso è
particolarmente avvertito tra chi è impiegato esecutivo o operaio (58,9%). I
meno preoccupati sono gli imprenditori (39%), gli studenti (35%) in quanto
probabilmente ancora non hanno sperimentato le difficoltà del mondo del
lavoro ed, infine, le casalinghe (31,8%) che, si ipotizza, non percepiscano la
disoccupazione come problema molto grave in quanto non sono coinvolte
attivamente nel mercato del lavoro.
179
Se si analizza la percentuale di chi ritiene molto o abbastanza la grave la
situazione della disoccupazione nel proprio comune per distretto, risulta che
il distretto Rubicone-Costa registra una percentuale di preoccupati più bassa
pari al 40,1%, seguita da Cesena-Valle Savio con il 47,6% e dal distretto di
Forlì con il 59,3%.
Il terzo problema che si va a studiare in relazione alla principali
variabili socio-demografiche è la questione della droga in quanto occupa il
terzo posto nella graduatoria delle preoccupazioni del campione forlivesecesenate. Si tratta di una tematica che, per certi versi, rimanda alla sfera del
disagio e dell'esclusione sociale. Tuttavia è da sottolineare che sotto
l'etichetta di 'droga' possono essere racchiuse molteplici realtà e situazioni
differenti, più o meno in connessione con situazioni di degrado. Non è
quindi semplice interpretare e spiegare questo dato. È possibile, però, capire
come co-variano le percentuali di preoccupazione su questa variabile e le
principali variabili socio-demografiche. Il dato interessante è che laddove le
differenze di genere e di disponibilità economica non sono marcatamente
influenti sull'attribuzione di gravità al 'problema droga', lo sono invece la
classe di età, il titolo di studio e l'occupazione. Sono infatti i più anziani,
ossia i 65enni e oltre (il 63% di essi), coloro in possesso di un basso titolo di
studio (63%) e i pensionati (56%) a percepire maggiore preoccupazione per
il problema 'droga'. Si può quindi ipotizzare che tra i fattori che intervengono
in questa relazione vi sia la dimensione della sfera mediatica e del dibattito
pubblico che spesso enfatizza problemi che sono by default relativi alla
devianza giovanile e che i più anziani fanno fatica a rielaborare criticamente.
Se si analizza la situazione per distretto, non vi sono differenze notevoli: il
distretto di Forlì appare leggermente più sensibile alla questione droga
(47,6%) rispetto al distretto di Cesena-Valle Savio (43,1%) e RubiconeCosta (40,3%) in cui si registra la quota minore di intervistati preoccupati.
Infine, si sottolinea che al di là delle questioni che occupano i primi
posti nella scala delle preoccupazioni degli intervistati, l’aspetto forse più
interessante e certamente positivo è che questioni strettamente connesse alla
qualità della vita nel contesto locale – il traffico, l’inquinamento, la pulizia
degli spazi pubblici, piuttosto che l’illuminazione stradale – abbiano tutto
sommato scarso peso.
6.4. Utilizzo del territorio tra mobilità e accesso ai servizi
In questo paragrafo si indaga come gli intervistati utilizzano il territorio
in cui abitano focalizzando l’attenzione sulla mobilità e la raggiungibilità dei
principali servizi pubblici.
La possibilità di percorrere ampi spostamenti per viaggio, turismo,
180
lavoro o formazione è una pratica comune e un tratto distintivo del nostro
tempo, facilitato anche dallo sviluppo dei mezzi di trasporto sia pubblici che
privati.
Se gli spostamenti di lunga percorrenza sono certamente quelli a cui più
spesso si ricorre nell'immaginario collettivo quando si pensa alla questione
della mobilità, è tuttavia necessario tenere presente un altro aspetto, ossia la
mobilità di corto raggio, che per molti cittadini rappresenta una realtà
quotidiana. Ci si muove, infatti, per ragioni legate alla sfera familiare, per
svago e tempo libero, per lavoro o per altri motivi che hanno come
denominatore comune il territorio in cui si vive.
Muoversi all'interno di un contesto urbano o extra-urbano, ma di
percorrenza limitata, si configura come una consuetudine sociale in quanto
pratica che accomuna molti cittadini. Si tratta di una questione di cruciale
importanza in quanto coinvolge aspetti sociali ed individuali, quali la
gestione dei tempi, il modo in cui ci si rapporta con altri individui e realtà
sociali, il modo di vivere la città e il territorio21. Pertanto, la mobilità è
strettamente connessa alla socialità e alla qualità della vita: la facilità con cui
è possibile raggiungere i principali servizi, grazie ai mezzi pubblici locali,
alla loro fruibilità in termini di costi, di estensione capillare sul territorio e di
qualità (ad esempio rispetto ad orari, puntualità e sicurezza) rappresenta un
aspetto del cosiddetto welfare materiale22.
È, dunque, importante studiare il grado di copertura dei mezzi pubblici
locali, il loro utilizzo e i motivi di un eventuale non uso. Nel caso del
territorio forlivese-cesenate, circa un quarto degli intervistati (24,5%)
sostiene che la sua abitazione sia scarsamente servita dai mezzi pubblici
locali, quattro intervistati su dieci (40,2%) dichiarano che sia servita a
sufficienza e poco più di un terzo degli intervistati (35,3%) ritiene che la sua
abitazione sia ben servita. Dunque, il quadro che emerge mostra una
situazione complessivamente positiva, anche se non mancano alcuni aspetti
problematici. Il grado di dotazione di mezzi pubblici locali riflette diversi
aspetti: istituzionali, economici, sociali23. Importante è anche la domanda
sociale del servizio, lo stile di vita e di consumo, la diffusione di altre forme
di mobilità, le caratteristiche orografiche del territorio.
Per tali ragioni è interessante analizzare la situazione della copertura del
trasporto pubblico a livello distrettuale. Dai dati emerge che nel distretto di
21
L. Ceccarini . “I ‘mezzi’ secondo gli italiani. Immagini e uso del trasporto pubblico locale”
in Bucci O. (a cura di), Il trasporto pubblico locale. Una prospettiva per l’Italia, Bologna, il
Mulino, 2006.
22
Per welfare materiale si intende l’insieme di pratiche , dispositivi e oggetti che hanno
costituito l’armatura fisica delle politiche urbane di welfare in Itale e in Europa. Si veda B.
Secchi, La città europea contemporanea, «Territorio», 2002.
23
L. Ceccarini , op. cit.
181
Rubicone-Costa più di un terzo degli intervistati (34,5%) ritiene che la sua
zona sia 'scarsamente servita' dai mezzi pubblici locali, mentre nei distretti di
Forlì e Cesena-Valle Savio le percentuali sono sensibilmente più basse,
rispettivamente 19,8% e 23,8%. Tale dato può essere interpretato alla luce
del fatto che nel distretto di Rubicone-Costa non sono presenti grandi centri
urbani rispetto agli altri due distretti, ragion per cui il trasporto pubblico
locale è meno sviluppato.
È stato chiesto poi agli intervistati con quale frequenza usino i trasporti
pubblici locali: soltanto l'8% li utilizza quotidianamente, stesso valore si
registra per i frequentatori settimanali; circa 15 intervistati su 100 utilizzano
i mezzi pubblici 'qualche volta' e il 69,5% li usa raramente o mai24. Tale dato
non solo rispecchia ciò che emerge dalle ricerche nazionali in prospettiva
comparata europea sull'uso dei 'mezzi', in cui l'Italia occupa uno degli ultimi
posti nella graduatoria nell'utilizzo di questo servizio25, ma segnala anche
una contraddizione: ad un giudizio complessivamente positivo si associa uno
scarso utilizzo.
Ma chi sono gli users dei trasporti pubblici locali nella provincia di
Forlì-Cesena26? Lo sono in misura leggermente maggiore le donne rispetto
agli uomini: il 19 % di esse dichiara di utilizzare i trasporti pubblici locali
quotidianamente o più volte a settimana contro il 12,6 % degli uomini. La
classe di età influenza significativamente l'utilizzo dei 'mezzi': poco meno di
un terzo dei più giovani (classe di età 15-29enni) usufruisce del trasporto
pubblico locale frequentemente. Users assidui sono anche i più anziani (65
anni e oltre) con una percentuale pari al 16,5%. Tali dati possono essere
interpretati richiamando un'altra questione relativa all'uso dei mezzi pubblici,
ossia la disponibilità di mezzi privati alternativi. I più giovani probabilmente
utilizzano maggiormente i mezzi pubblici per andare a scuola e non sono
ancora in grado di guidare l'automobile. Gli anziani, invece, a causa del
processo di invecchiamento, non sono più in grado di guidare
adeguatamente.
Oltre che genere ed età, anche le risorse economiche disponibili nel
nucleo familiare influenzano il grado di utilizzo dei mezzi pubblici: due
intervistati su dieci (20,1%) con bassa disponibilità economica utilizzano
frequentemente i mezzi pubblici locali contro uno su dieci tra chi è in
24
Il 20% del campione dichiara di utilizzare i mezzi pubblici locali raramente, il 49,5% non li
utilizza mai.
25
Per saperne di più si veda Special Eurobarometer 228/Wave 63.2, Passengers' Right, TNS
Opinion
&
Social.
(Il
rapporto
di
ricerca
è
reperibile
sul
sito
http://europa.eu.int/comm/public_opinion/index_en.htm).
26
Per rispondere a questa domanda si è proceduto con la ricodifica della variabile sull'utilizzo
dei trasporti pubblici locali riducendo le modalità di risposta da tre a cinque. In tal modo le
prime due modalità di risposta, “tutti i giorni” e “più volte a settimana” sono state aggregate,
così come le ultime due modalità di risposta, “raramente e mai”.
182
possesso di cospicue risorse familiari (11,4%). È plausibile sostenere che
utilizzare mezzi pubblici locali per spostarsi quotidianamente sul territorio
risulti essere meno oneroso che sostenere i costi fissi e variabili che
comporta l'utilizzo dell'automobile (ad esempio i costi assicurativi e quelli
del carburante).
Quali sono le principali motivazioni dello scarso utilizzo dei mezzi
pubblici locali?
Un primo motivo di non utilizzo è costituito dalla scomodità dei mezzi
pubblici locali e dalla conseguente preferenza per i mezzi privati (53,5%).
Poiché i rispondenti non sono tra gli users abitudinari, non si tratta di un
giudizio esperienziale, ma piuttosto di una rappresentazione negativa dei
mezzi di trasporto locale. Tra i mezzi privati alternativi si può citare non
soltanto l'automobile ma anche la bicicletta che è molto usata nel territorio
forlivese-cesenate. Si preferisce dunque l'autonomia della mobilità piuttosto
che usufruire di un servizio pubblico che si immagina 'scomodo'
probabilmente in termini di orari o di raggiungibilità di determinate aree.
Il secondo motivo di non utilizzo è stato individuato da circa un quarto
del campione (26%) nel fatto che i mezzi pubblici locali non sono utili
perché, dovendo fare spostamenti brevi, si preferisce muoversi a piedi.
Questo è possibile in territori in cui le distanze sono relativamente brevi,
date le ridotte dimensioni dei comuni facenti parte della provincia di ForlìCesena. Infine, circa l'8% (7,8) di chi non utilizza i mezzi pubblici locali li
ritiene non efficienti e quasi nessuno (0,1%) non li trova fruibili a causa dei
costi.
Quando si affronta la questione dell’utilizzo del territorio è importante
considerare anche la raggiungibilità dei servizi che è parte del più ampio
discorso sull'accessibilità, area di particolare criticità sia nei contesti urbani
che rurali, dovuta sia alla eterogeneità dei bisogni sia alla differenziazione
dei tempi e dei ritmi sociali.
Come sottolineato da altri studi27, il tema dell'accessibilità e della
raggiungibilità dei servizi da parte di individui o gruppi sociali pone una
questione di equità e di inclusione sociale poiché chi sperimenta un accesso
limitato si trova in una condizione di svantaggio. Pertanto, tale aspetto è un
elemento che connota la società locale nel suo complesso e ne definisce il
grado di equità sociale e la qualità della vita dei suoi membri28 .
Nella provincia di Forlì-Cesena – come evidenziato dalla figura 3 – non
vi sono situazioni particolarmente gravi riguardanti il grado di
27
AA.VV., “Urban mobility, accessibility and social equity”, in Mo.Ve. Association
(International Forum on Sustainable Mobility in Eurpean Metropolitan Areas), 2006; N.Cass,
E. Shove., J. Urry, Social exclusion, mobility and access, «The Sociological Review», 2005.
28
B. Borlini, F. Memo., “Mobilità, accessibilità ed equità sociale”, Paper presentato alla
Conferenza Espanet, Milano, 29 Settembre – 1 Ottobre 2011.
183
raggiungibilità dei principali servizi. Quelli più difficoltosi da raggiungere
sono il pronto soccorso: il 22,8% degli intervistati lo ha ritenuto abbastanza
o molto difficoltoso da raggiungere; ad esso seguono - per ordine di
difficoltà nella raggiungibilità – gli uffici comunali (17,8%) e le scuole
superiori (16,9%).
Le percentuali si riducono significativamente per i restanti servizi. Per
gli ambulatori, ad esempio, la percentuale di chi ritiene molto o abbastanza
difficoltoso raggiungere i servizi è quasi la metà (8%) del servizio che lo
precede (scuola superiore: 16,9%) nella graduatoria. Seguono poi
supermercati e ipermercati (7,1%) che spesso si trovano nelle aree industriali
non facilmente raggiungibili senza l'uso dell'automobile; quindi la scuola
media (5,7%) e l'ufficio postale (5,2%). Le percentuali di chi ritiene
abbastanza o molto difficoltoso raggiungere il nido o la scuola d'infanzia, la
farmacia, la scuola elementare e i negozi di genere alimentare o i mercati
sono piuttosto basse oscillando da un massimo del 4% (nido e scuola
d'infanzia) ad un minimo del 2.5% (negozi di alimentari e mercati).
Fig. 6.3. Grado di raggiungibilità di alcuni servizi nella provincia di Forlì-Cesena
(valori % per ‘molto’ +’abbastanza’ difficoltoso)
Pronto soccorso
Uffici comunali
Scuola superiore
Ambulatori
Supermercati
Scuola media
Ufficio postale
Nido/Scuola dell'infanzia
Farmacia
Scuola elementare
Negozi di generi alimentari
0
5
10
15
20
25
Rispetto ai tre servizi più difficilmente raggiungibili, dall’incrocio con i
distretti di residenza risulta che il pronto soccorso è più difficilmente
raggiungibile nel distretto di Forlì (28,6% contro il 19,6% e 14,1
rispettivamente di Forlì e Cesena Valle-Savio). Un quarto degli intervistati
del forlivese e del cesenate (20,1% e 24,6%) ritengono difficoltoso
184
raggiungere gli uffici comunali, contro il 5% dei residenti nel distretto di
Rubicone-Costa. Per la raggiungibilità delle scuole superiori, invece, si
registra una situazione omogenea tra i tre distretti.
6.5. Rappresentazioni del territorio e radicamento
Il territorio rappresenta una dimensione d'analisi interessante e densa di
significati in termini di identità, riconoscimento, conflitti.
Esso è definito da Ilvo Diamanti29 un crocevia in cui si sovrappongono
diversi piani, dimensioni e relazioni, sfere della vita sociale, economica e
politica che «si saldano e diventano visibili»30.
Riconosciuta la complessità del concetto di territorio, l'obiettivo qui è
studiare il tipo di rappresentazione degli intervistati forlivesi-cesenati
rispetto al proprio territorio. Ma perché risulta importante rilevare dati di
percezione rispetto al contesto locale? Si tratta di analizzare le 'basi sociali'
della vita economica, sociale, politica, istituzionale di un'area geografica
intercettando gli 'umori', il vissuto di chi quel territorio lo abita, lo vive. La
concezione di fondo è che il territorio non rappresenti un'entità astratta e
cristallizzata ma sia costruita socialmente dagli stessi attori locali, ovvero dai
suoi cittadini.
Nello specifico, la provincia di Forlì-Cesena viene definita come
un'area emblematica della Terza Italia, caratterizzata da uno sviluppo
industriale ad economia diffusa, da un ricco patrimonio di tradizioni civiche
che si è saputo riprodurre nel tempo, centrato su una forte identità locale31.
Tali elementi hanno conosciuto negli ultimi anni alcune importanti
discontinuità, che hanno investito non soltanto la provincia di Forlì-Cesena
ma in generale le aree della Terza Italia32.
Nella presente indagine campionaria gli intervistati sono stati messi di
fronte ad una serie di affermazioni che rimandano a immagini stereotipate
sul territorio al fine di comprendere, sulla base del loro grado di adesione,
quali fossero le concezioni prevalenti.
Il dato più evidente che emerge – come è possibile constatare dalla
tabella 6.2 – è che il territorio forlivese-cesenate non solo è considerato da
circa 6 intervistati su 10 (58,0%) un territorio ‘con una propria storia e
identità’, ma anche un’area ‘ancora a misura d’uomo’ (57,5%). Dunque, il
29
I. Diamanti, Bianco, rosso, verde...e azzurro. Mappe e colori dell'Italia politica, Bologna, il
Mulino, 2003.
30
Ibidem, pag. 7.
31
N. De Luigi., I confini mobili della giovinezza. Esperienze, orientamenti e strategie
giovanili nelle società locali, Franco Angeli, Milano, 2007.
32
F.. Ramella, Cuore rosso? Viaggio politico nell'Italia di mezzo, Roma, Donzelli, 2005.
185
territorio sembra per certi versi al riparo dalle dinamiche di
spersonalizzazione delle reti sociali e di estraniamento culturale che non di
rado hanno accompagnato gli impatti locali di una globalizzazione
scarsamente governata. Tuttavia, se da un lato tali risultanze rivelano la
buona capacità dei modelli culturali e delle reti sociali di assicurare
integrazione e senso, evitando il manifestarsi di particolari fratture e tensioni
anche grazie al non trascurabile grado di consenso (il 41,8% degli intervistati
si dichiara molto o abbastanza d’accordo) attribuito alla capacità degli
amministratori locali di assicurare servizi pubblici efficienti, dall’altro
possono anche essere interpretati come un segnale di scarsa dinamicità
economica e culturale, come del resto conferma il ridotto consenso attribuito
all’immagine di un’area territoriale connotata da forte vitalità e innovazione
(22,2%).
Altro dato rilevante è che più di un terzo degli intervistati (38,9%)
ritiene che il territorio di Forlì-Cesena sia un'area di benessere diffuso, che
però non nasconde situazioni di disagio ed emarginazione. In stretta
connessione con questo dato è il fatto che soltanto il 29,1% degli intervistati
aderisce all'immagine di un'area caratterizzata da molta solidarietà sociale,
segno che vi sia una fetta considerevole di forlivesi-cesenati che avvertono
problematiche di inclusione e coesione sociale. Tale dato può essere letto
riconducendo l'analisi alle dinamiche di erosione del legame sociale, al
crescente processo di individualizzazione che penetra anche nei centri minori
e in zone in cui è rintracciabile una forte spinta all'associazionismo e alla vita
di comunità33.
Tab. 6.2. Grado di accordo su alcune caratteristiche della realtà provinciale (valori
% per ‘abbastanza’ + ‘molto’)
È un'area con una propria storia e identità
È un'area ancora a misura d'uomo
È un'area in cui i servizi pubblici funzionano bene e sono efficienti
È un'area di benessere diffuso, ma anche disagio ed emarginazione
È un'area dove c'è molta solidarietà sociale
È un'area troppo ancorata al proprio passato
È un'area ricca di vitalità e di innovazione
58,0
57,5
41,8
38,9
29,1
27.5
22,2
Nella consapevolezza che anche un'entità territoriale come la provincia
presenti aree di eterogeneità interna, è interessante analizzare come ciascun
distretto si percepisca rispetto al quadro complessivo illustrato poc'anzi.
Come è possibile constatare dalla tabella 6.3, vi sono considerevoli
differenze tra i tre distretti, in particolare tra Forlì e Cesena-Valle Savio e tra
33
F. Ramella., op. cit.
186
questi e il distretto di Rubicone-Costa. La rappresentazione del proprio
territorio come area dotata di una propria storia e identità è più vicina agli
intervistati del distretto di Cesena-Valle Savio (63,9%), seguiti da Forlì
(57,7%) e Rubicone-Costa (51,5%). Ma le divergenze più forti si riscontrano
sulla rappresentazione del proprio territorio connotato da vitalità e
innovazione. All’interno del distretto di Cesena-Valle Savio il grado di
adesione raggiunge il 30%, mentre a Forlì e Rubicone-Costa si attesta su
livelli decisamente inferiori (rispettivamente 18% e 19,6%). Altro elemento
di maggiore differenziazione è costituito dall'idea riguardante il
funzionamento dei servizi pubblici: laddove una quota apprezzabile di
intervistati dei distretti di Forlì e Cesena-Valle Savio, rispettivamente 45,9%
e 48,4%, aderisce all'idea del buon funzionamento dei servizi pubblici, per il
distretto di Rubicone-Costa vi aderisce soltanto un quarto degli intervistati.
Inoltre, nel distretto di Cesena-Valle Savio è rintracciabile una maggiore
attenzione ai temi della solidarietà sociale e una spiccata sensibilità verso il
disagio e l'emarginazione.
Tab. 6.3.Grado di accordo su alcune caratteristiche della realtà provinciale (valori
% per 'molto' + 'abbastanza') per distretto di residenza.
Forlì
Cesena- RubiconeTotale
Valle Savio
Costa
È un'area con una propria storia e
identità
57,7
63,9
51,5
58,0
È un'area ancora a misura d'uomo
61,3
55,7
52,0
57,5
È un’area in cui i servizi pubblici
funzionano e sono efficienti
45,9
48,4
25,8
41,8
È un'area di benessere diffuso, ma
anche disagio ed emarginazione
35,2
48,2
34,5
38,9
È un'area dove c'è molta solidarietà
sociale
28,4
35,2
22,7
29,1
È un'area troppo ancorata al
proprio passato
33,9
25,5
17,4
27,5
È un'area ricca di vitalità e di
innovazione
18,0
30,0
19,6
22,2
Se l'analisi per distretto restituisce un'immagine diversificata delle
rappresentazioni territoriali, a quali risultati si giungerebbe se si tenesse
conto dell'età degli intervistati, del capitale culturale ed economico della
famiglia di cui si fa parte, oppure del tempo trascorso nella provincia di
187
Forlì-Cesena?
Rispetto alla rappresentazione del proprio territorio caratterizzato da
una propria storia e una propria identità, che ha riscosso maggior successo
tra gli intervistati, si riscontra una forte associazione con la variabile età: se
in questo tipo di immagine vi si riconosce il 49,4% dei più giovani (classe di
età 15-29 anni), tale dato incrementa di circa quindici punti percentuali per i
più anziani (65%). Ciò potrebbe essere interpretato come il segnale di una
sorta di cleavage generazionale che si manifesta anche per mezzo di una
diversa rappresentazione del territorio, maggiormente conservatrice per i più
anziani. Il capitale culturale ed economico familiare non ha peso su questo
tipo di visione del territorio. Ci si aspetterebbe poi che all'aumentare degli
anni vissuti sul territorio aumenti anche il sentimento di identità ma ciò non
si rileva per il nostro campione.
Per quanto riguarda la considerazione del territorio come area a misura
d'uomo, non vi si riscontrano particolari variazioni né in riferimento alla
variabile età, né per il capitale economico e culturale e neppure per gli anni
di residenza.
Quanto alla rappresentazione di un territorio dotato di servizi pubblici
di qualità, sono i giovani ad essere più critici (40,3% si dichiara d'accordo
contro il 47,6% di chi ha un'età compresa tra 50 e 64 anni) insieme a chi
proviene da una famiglia con un elevato capitale culturale (soltanto il 37,1%
di essi contro il 44,1% dei meno scolarizzati). Più della metà degli
intervistati non nati nella provincia di Forlì-Cesena ma residenti da meno
tempo (50,6%) concepiscono il territorio come dotato di servizi efficienti
contro il 37,3% e 38,9% di chi vi è nato o vi è cresciuto.
In riferimento alla visione di un territorio caratterizzato da vitalità e
innovazione, nella quale vi si sono riconosciuti poco più di due intervistati su
dieci (22,2), si riscontra una leggera maggiore adesione dei più anziani
(25,7%).
Analizzate le rappresentazioni del territorio oggetto dell'indagine
campionaria, risulta interessante spostare il focus sulla dimensione della
percezione del proprio comune rispetto al resto del Nord-Italia, al resto della
provincia di Forlì-Cesena ed, infine, di quest'ultima rispetto alle altre
province emiliano-romagnole.
Concretamente si è chiesto agli intervistati di considerare gli aspetti
sociali, economici, culturali, di sicurezza del proprio comune e di giudicare
il proprio benessere in relazione al resto del Nord-Italia. Emerge che soltanto
un intervistato su dieci (11,7%) sostiene che si viva peggio nel proprio
comune, il resto degli intervistati si distribuisce quasi equamente tra chi
sostiene che si viva allo stesso modo e meglio (rispettivamente 42,4% e
45,9%).
Quando si proietta l'immagine del proprio comune nel contesto
188
dell'intera provincia forlivese-cesenate, la maggioranza degli intervistati
(61,6%) sostiene che si viva allo stesso modo e circa il 30% meglio.
Rispetto alla percezione di benessere nella provincia di Forlì-Cesena in
relazione alle altre province emiliano-romagnole, si delinea una situazione
simile alla precedente con la gran parte degli intervistati che ritiene uguale
vivere nell'una o nell'altra zona indicate e poco meno di un terzo (32,1%) che
ritiene migliore la vita nella propria provincia.
Per sintetizzare, si riscontrano giudizi più positivi sul benessere nel
proprio comune quando viene messo in relazione al resto del Nord-Italia,
area più vasta e nella quale probabilmente ci si riconosce meno, mentre si è
più 'benevoli' nei confronti della realtà provinciale e regionale.
Alla luce di ciò si propone un approfondimento per i tre distretti al fine
di verificare se, come emerso nelle analisi sulla rappresentazione del
territorio, si riscontrano marcate differenze tra di essi. Per una questione di
coerenza, ci si aspetterebbe che i giudizi più negativi giungano dagli
intervistati del distretto Rubicone-Costa in quanto è in quest'area che è
emerso un maggiore malcontento sia rispetto ai temi della sicurezza, in
termini di paura concreta, sia in riferimento alla mobilità che ai servizi
pubblici. Dalle analisi, però, risulta un'immagine per certi versi inaspettata: i
più negativi sono gli intervistati del distretto di Forlì, seguiti da Cesena-Valle
Savio e, in ultimo, dal distretto di Rubicone-Costa. Infatti, se le percentuali
di chi giudica peggiore il benessere nel proprio comune o nella propria
provincia sono tendenzialmente quasi sempre inferiori al 10% per i distretti
di Cesena-Valle Savio e Rubicone-Costa, per il distretto di Forlì vi è un
incremento di circa cinque punti percentuali raggiungendo il picco del 18,9%
quando gli intervistati sono chiamati a giudicare il benessere nella propria
provincia rispetto alle altre province emiliano-romagnole. Questo dato
dimostra quanto possano essere complesse e apparentemente contraddittorie
le dinamiche che concorrono alla formazione del sentimento di radicamento
e della percezione del proprio territorio che non sempre si prestano a facili
interpretazioni.
6.6. Rilievi di sintesi
L'analisi fin qui condotta, mirata ad approfondire differenti dimensioni
della qualità della vita nella provincia di Forlì-Cesena, ha delineato un
quadro tutto sommato positivo. La realtà fotografata rivela un'immagine ben
definita e in linea con altre ricerche nazionali. È il caso, ad esempio, della
rilevazione delle due accezioni di insicurezza (astratta e concreta). Non
mancano però scenari più complessi e immagini più sfumate. Infatti, se i
cittadini del distretto di Rubicone-Costa si sentono più insicuri e sono
189
scarsamente propensi a pensare di vivere in un’area dotata di servizi pubblici
di qualità, sono altresì coloro che giudicano più positivamente il benessere
nel proprio comune in relazione ad altre realtà territoriali di prossimità.
Inoltre, nonostante un quadro generale privo di allarmanti problematiche, occorre sottolineare aree di particolare preoccupazione per i forlivesecesenati quali il costo dell’abitazione, più sentito nel distretto di CesenaValle Savio, e il problema disoccupazione, maggiormente percepito nel
distretto di Forlì, che pongono questioni centrali in termini di benessere e
qualità della vita. Per quanto riguarda la questione della mobilità, non si
riscontra una situazione del tutto positiva: oltre il 50% degli intervistati non
utilizza mai i mezzi pubblici locali. Ad utilizzarli sono soprattutto coloro che
hanno risorse economiche più scarse, segno che i servizi messi a
disposizione per la mobilità rientrano a pieno titolo nel discorso sul welfare
materiale, con il quale ci si riferisce alla dimensione fisica e concreta delle
politiche urbane atte a soddisfare i diversificati bisogni dei cittadini.
Potenziare la rete dei mezzi di trasporto pubblico locale significa, dunque,
anche promuovere una maggiore inclusione sociale.
Infine, si conferma la rappresentazione sociale di un territorio storicamente radicato e con un'identità propria nella quale i cittadini vi si
riconoscono e che forse proprio per tale ragione definiscono 'ancora a misura
d'uomo'. Tali caratteristiche hanno costituito le fondamenta di una società
locale fondata sulla cooperazione e un forte senso civico permettendo uno
sviluppo sociale ed economico tale da essere considerato un modello nel
panorama nazionale. Tuttavia, non mancano elementi di discontinuità e zone
d'ombra, come la rappresentazione di un territorio in cui emergono anche
situazioni di disagio ed emarginazione e in cui la solidarietà sociale non
sembra emergere come una delle caratteristiche prioritarie, a testimonianza
del fatto che gli esiti di un percorso storico, politico e sociale di un territorio
non sono scontati, né privi di contraddizioni.
190
7. Idee di giustizia sociale, aspettative di welfare e servizi
di Ilaria Pitti
7.1. Premessa
L'idea di giustizia sociale nasce nel momento in cui si riconosce che la
società stessa produce disuguaglianza ed ingiustizie. La giustizia sociale
attiene quindi al problema della redistribuzione del benessere e rappresenta
un attributo che dovrebbero “possedere le azioni della società e il trattamento
che gli individui o i gruppi subiscono dalla stessa”1: essa, basandosi sull'idea
che il mercato non sia l'unica fonte di integrazione sociale2, costituisce uno
strumento in grado di porre rimedio alle disuguaglianze imponendo un
“modello di remunerazione basato su una valutazione dei risultati e dei
bisogni dei vari individui o gruppi”3.
È possibile distinguere tra due principali modelli di giustizia sociale:
quello dell’uguaglianza tra le posizioni e quello delle pari opportunità4. Il
primo modello mira ad una riduzione delle disuguaglianze “nel reddito, nelle
condizioni di vita, nell’accesso ai servizi, nella sicurezza”5 come esito delle
dinamiche sociali. Il secondo modello si concentra invece sulla riduzione
delle disuguaglianze legate a determinate forme di discriminazione di cui gli
individui o i gruppi sono vittime6 e mira a garantire a tutti le stesse chances
di accedere, sfruttando le proprie capacità, alle varie condizioni di vita
possibili7.
1
M. La Rosa., L. Morri, Etica economica e sociale. Letture e documenti, Milano,
FrancoAngeli, 2005, p. 9.
2
Cfr. C. Saraceno, Prefazione, in P. Van Parijs, Y. Vandeborght, Reddito minimo
universale,
Milano, Università Bocconi Editore, 2006.
3
M. La Rosa, L. Morri, Etica economica e sociale. Letture e documenti, op.cit. p. 9.
4 F. Dubet, Integrazione, coesione e disuguaglianze sociali in «Stato e Mercato», n.88, aprile
2010, p. 33-58.
5
Ibidem, p. 36.
6
Si fa riferimento alle forme di discriminazione legate, ad esempio, al genere, all'età, alla
condizione personale e sociale, alla nazionalità, alla fede religiosa, all’opinione politica o ad
altre caratteristiche di un gruppo o di un individuo.
7
Rientrano in questo ambito anche le proposte relative all’introduzione del reddito minimo
universale la cui idea di fondo è che il valore della libertà di un individuo dipenda dalle
risorse di cui l'individuo stesso dispone per poter fare uso della propria libertà. In questo
modello, le disuguaglianze tra i redditi e le condizioni di vita che caratterizzano le diverse
classi sociali cessano di essere considerate ‘ingiuste’ in quanto vengono garantite a ciascun
individuo le stesse opportunità di accedervi. Cfr. P. Van Parijs, Y. Vandeborght, Reddito
minimo universale,
op. cit..
191
Il concetto di giustizia sociale si colloca quindi alla base di un ampio
dibattito sul problema dell'equità8 e si collega concretamente alle politiche di
redistribuzione delle ricchezze e alle opportunità di accesso ai beni e ai
servizi garantiti da una data società. Indagare le idee e le pratiche di
giustizia sociale di una data popolazione significa pertanto comprendere che
opinioni essa ha rispetto al funzionamento attuale e ideale delle pratiche di
redistribuzione e dei servizi di welfare.
Le preferenze di redistribuzione sono state oggetto di numerose ricerche
di stampo socio-economico, dedicate a studiare le caratteristiche personali,
sociali e istituzionali che possono influire sul grado di disponibilità di un
dato soggetto alla redistribuzione delle risorse9.
Da queste analisi emerge che l’atteggiamento più o meno favorevole di
una persona rispetto alla tassazione e alla successiva redistribuzione delle
ricchezze può essere spiegato attraverso tre principali approcci rappresentati
dalle tesi dell’homo oeconomicus, del public value e del social rivarly
effect10.
La prima di queste teorie sostiene che l’atteggiamento favorevole alla
redistribuzione sia inversamente proporzionale alla posizione che l’individuo
occupa nella scala dei redditi. L’approccio dell’homo oeconomicus prende in
considerazione l’effetto della situazione economica del soggetto sostenendo
che, per esempio, coloro che guadagnano meno della media della
popolazione, sono più favorevoli verso le politiche redistributive. Ad
influenzare l'atteggiamento di un soggetto verso la redistribuzione non
sarebbero, tuttavia, solo le condizioni economiche attuali, ma anche le
aspettative relative alle condizioni economiche future e alla mobilità sociale.
La tesi del public value effect collega le preferenze individuali rispetto
alla redistribuzione ai valori pubblici del soggetto. A differenza di quanto
sostenuto dalla teoria dell'homo oeconomicus, secondo questa teoria non
esisterebbe un legame a priori tra il reddito individuale e le preferenze di
redistribuzione di una data persona in quanto queste ultime sarebbero
determinate dai valori personali del soggetto. L’approccio in questione
afferma, quindi, che le persone sostengono una determinata politica
8
Il riferimento è alle riflessioni di pensatori e studiosi quali Elster, Nozick, Nussbaum, Rawls
e Sen.
9
Cfr. A. F.. Alesina, P. Giuliano, Preferences for redistribution, Cambridge, National Bureau
of Economic Research, 2009; A. F. Alesina, E. La Ferrera, Preferences for redistribution in
the land of opportunitie in «Journal of Public Economics», n. 89, 2005, p. 897-391; J.
Gelissen, Popular support for institutionalised solidarity: a comparison between European
welfare states in «International Journal of Social Welfare», n. 9, 2000, p.285-300 e S. Mau,
B. Veghte, Justice, legitimacy and the welfare state, London, Ashgate, 2007.
10
Cfr. G. Corneo, H. P. Gruner, Individual preferences for political redistribution, Centre for
Economic Policy Research, www.cepr.org, 2001.
192
redistributiva non tanto perchè questa massimizza il loro benessere, ma
perchè risulta conforme alla loro idea di ciò che è giusto socialmente.
La teoria del social rivalry effect si basa, infine, sull’idea che il
benessere di un soggetto sia influenzato dagli standard di vita relativi
dell'individuo stesso. In questo caso, il giudizio di un soggetto rispetto alla
redistribuzione dipenderà dall'impatto che questa ha sulla distribuzione del
benessere nell'ambiente sociale di riferimento della persona, e non solo
sull'effetto che ha sul benessere individuale del soggetto11. In tal senso, il
giudizio che la persona esprime su una data politica distributiva sarà
influenzato dall’impatto che questa politica ha o potrebbe avere sul suo
status sociale e sulla sua capacità relativa di accesso ai beni sociali12.
Da questi approcci è possibile ‘estrarre’ una serie di fattori che
sembrerebbero essere in grado di incidere sui diversi atteggiamenti che le
persone hanno rispetto alla tassazione, alla redistribuzione, ai modelli di
welfare e servizi.
Prima di tutto, vi sono fattori economici personali come il reddito, la
propensione al rischio e le aspettative di mobilità sociale che sono stati
oggetto di numerose ricerche13.
Occorre poi tenere in considerazione anche le variabili più strettamente
legate ai valori e alle credenze personali come la religiosità e l’orientamento
politico, ma anche l’etica lavorativa e pubblica della popolazione presa in
considerazione14.
11
Cfr. W. Korpi, J. Palme, The paradox of redistribution and strategies of equality: welfare
state institutions, inequality and poverty in westner countrie in «American Sociological
Review», n.63, 1998, p. 661-687 e H. Cole., G. Mailath, A. Postlewaite, Social norms, savings
behaviour and growth in « Journal of Political Economy», n.100, 1992, p. 1092-1125.
12
Alcune persone potrebbero essere sfavorevoli rispetto ad una politica redistributiva che, ad
esempio, permetta a persone di classi sociali più povere di spostarsi in quartieri normalmente
abitati dalla classe media e che produca, di conseguenza, una svalutazione del quartiere e un
effetto percepito come negativo sullo status dei soggetti che vi abitano. Il social rivarly effect
agirebbe in particolare sulla classe media. Appare opportuno ricordare anche la teoria del
gruppo di riferimento di R. K. Merton, secondo la quale le persone valutano la propria
situazione confrontandola con il gruppo sociale al quale fanno riferimento (e del quale non
fanno necessariamente parte), cercando di adottarne lo stile di vita, i valori e i modelli di
comportamento.
13
Cfr. T. Piketty, Social mobility and redistributive politic, in «The Quarterly Journal of
Economics», n.110, 1995, p. 551-584. Corneo e Grüner hanno condotto numerose ricerche
basandosi sui dati ricavati da indagini internazionali come l’International Social Survey
Programme in diversi contesti statali (Russia, Usa, Germania, Norvegia e Australia)
verificando l’incidenza del fattore economico sugli atteggiamenti favorevoli o meno rispetto
alle politiche redistributive attuate dai vari governi.
14
Cfr. C. Fong., Social preferences, self-interest and the demand for redistribution in «Journal
of Public Economics», n.82, 2001, p. 225-246 e K. Linos, M. West, Self interest, social
beliefs and attitudes to redistribution in «European sociological review», n. 19, 2003, p. 393409.
193
Appaiono inoltre di fondamentale importanza anche le differenze
istituzionali, economiche e culturali sia tra aree diverse di uno Stato, sia tra
Stati e tra più ampie aree geo-politiche15.
Occorre, infine, tenere presente che alcune caratteristiche sociodemografiche quali il genere, l’età e il livello d’istruzione sono in grado di
incidere sulle idee di giustizia sociale del soggetto.
Tenendo presente quanto fin qui detto e i dati a nostra disposizione, in
questo capitolo cercheremo di far emergere le idee e le pratiche di giustizia
sociale della popolazione forlivese-cesenate, mettendo in evidenza le
relazioni tra caratteristiche personali16 degli intervistati e loro
opinioni/comportamenti rispetto al pagamento delle tasse, alle forme di
redistribuzione delle risorse, all’accesso ai servizi pubblici e al giudizio su di
essi.
7.2. Benessere ed etica tra individuo e collettività
Come emerge dalle pagine precedenti, quello della giustizia sociale è un
tema molto ampio e sfaccettato che si compone di idee, atteggiamenti e
pratiche. Si è scelto di procedere alla sua analisi cercando inizialmente di
sondare le convinzioni degli intervistati rispetto alle vie per raggiungere il
successo e il loro orientamento tra collettività e individualismo.
La tabella 7.1 mostra i valori medi attribuiti dagli intervistati ad una
serie di affermazioni relative a modalità e condizioni per avere successo
nella vita.
La popolazione forlivese-cesenate si dimostra particolarmente convinta
che l'impegno personale abbia un ruolo rilevante nel determinare o meno il
raggiungimento del successo così come sposa l'idea che la competizione
porti le persone a lavorare meglio; allo stesso tempo non dimentica però il
ruolo svolto dalla fortuna e dalle condizioni familiari di origine nel facilitare
o nell'ostacolare questo percorso. Un tiepido consenso viene accordato poi
all'idea che le possibilità di successo siano uguali tra uomini e donne.
15
Cfr. M. Blekesaune, J. Quadagno, Public attitudes toward Welfare State Policie in
«European Sociological Review», n.19, 2003, p. 415-427 e E. F. P. Luttmer, M. Singhal,
Culture, context and the taste for redistribution, RWP08-038, Harvard Kennedy School,
Agosto 2008; G. Gaeta., In the mood for redistribution. An empirical analysis of individual
preferences for redistribution in Italy, MPRA Paper n. 32049, Luglio 2011; M. Faravelli, How
context matters: a survey based experiment on distributive justice in «Journal of Public
Economics», n.91, 2007, p. 1399-1422.
16
Sulla base dei dati rilevati dal questionario saranno prese in considerazione, in particolare,
le variabili relative al genere, all’età, al titolo di studio, al reddito familiare, al distretto di
appartenenza e all’orientamento politico.
194
Tab. 7.1. Atteggiamento verso il successo
A. Il successo dipende dall'impegno
B. Le persone povere lo sono perché pigre
C. La fortuna nella vita è importante
D. Le condizioni della famiglia di origine sono
determinanti
E. Uomini e donne hanno le stesse possibilità di
successo
F. La competizione stimola le persone a lavorare meglio
Media
7,99
3,26
7,64
Dev. Std.
1,9
2,3
2,2
6,96
2,3
6,05
6,78
2,8
2,3
Nel complesso, emerge una valutazione abbastanza equilibrata tra
elementi ascritti (o addirittura casuali, come la fortuna) da una parte, e
elementi relativi alla volontà di riuscire dall'altra. Se dunque il successo è
una combinazione di impegno e circostanze, una situazione di povertà non
viene affatto ricondotta dagli intervistati ad una mancanza di impegno (o ad
una vera e propria pigrizia), segno che probabilmente le condizioni con cui
ciascun individuo si trova a dover fare i conti nella propria biografia tendono
ad avere il peso maggiore nell’opinione dei forlivesi-cesenati.
L'insieme delle risposte complessivamente date dagli intervistati può
essere ulteriormente compreso differenziando tali opinioni attraverso alcune
variabili: genere, età, orientamento politico, disponibilità economica, titolo
di studio e distretto di residenza (cfr. tab. 7.2).
Si noterà come alcune di queste variabili intervengono a modificare
molti o tutti gli item proposti, mentre altre esercitano una influenza selettiva
andando a connotare solo parte degli item.
Prendendo in considerazione, ad esempio, il genere si nota che il solco
che divide gli atteggiamenti degli uomini e quelli delle donne non è in linea
di massima particolarmente ampio, ma rispetto alle pari opportunità e all'idea
che la competizione possa essere utile a migliorare le prestazioni lavorative,
le intervistate si dimostrano un po' più scettiche degli uomini. Sembra
trasparire un maggior scetticismo femminile su un'equa ripartizione di
genere delle chances di successo, che si estende anche alle modalità con cui
il successo può essere ottenuto, segnatamente quella proposta, cioè una
modalità basata sulla competizione.
Riguardo all'età, si nota per i più anziani un giudizio più netto a favore
dell'idea che, da un lato, l'impegno sia necessario per il successo e, dall'altro,
che siano però determinanti le condizioni della famiglia di origine.
Probabilmente in ciò si riassume la 'lezione' di esperienze di vita
sufficientemente lunghe, sviluppatesi in un tempo storico che ha visto
mutare anche profondamente biografie e condizioni socio-economiche e in
195
cui al maggior peso di variabili ascritte è corrisposto, su un piano
individuale, un più forte impegno.
Tab. 7.2. Atteggiamenti verso il successo. Confronto delle medie per le principali
variabili
A
B
C
D
E
F
Sesso
Uomini
7,96
3,40
7,72
6,96
6,20
6,96
Donne
8,01
3,12
7,55
6,94
5,89
6,58
Età
15-29 anni
30-49 anni
50-64 anni
65 anni e oltre
7,85
7,82
8,10
8,37
3,32
3,15
3,35
3,33
7,65
7,56
7,69
7,73
6,75
6,95
6,97
7,17
6,31
5,99
5,88
6,11
6,9
6,75
6,57
6,97
Distretto di residenza
Forlì
Cesena-Valle Savio
Rubicone-Costa
8,09
7,59
7,81
3,23
3,24
3,34
7,81
7,54
7,42
6,99
6,89
6,95
6,00
6,14
6,02
6,89
6,77
6,56
Titolo di studio
Fino a licenza elementare
Licenza media o qualifica
Diploma
Laurea o post-laurea
8,21
7,93
7,97
7,93
3,86
3,36
3,25
2,04
8,21
7,66
7,68
7,16
7,56
7,04
6,84
6,65
6,59
6,02
6,04
5,81
6,65
6,74
6,78
6,9
Disponibilità economica familiare
Bassa
7,97
Media
7,82
Alta
8,26
3,12
3,28
3,48
8,03
7,52
7,30
7,03
6,92
6,90
6,35
6,08
5,60
6,39
6,77
7,18
Orientamento politico
Sinistra – Centro Sinistra
Destra – Centro Destra
2,85
3,73
7,48
7,52
6,90
6,90
5,79
6,44
6,69
7,36
8,06
8,12
Appare interessante notare un parallelismo di posizioni tra gli
ultra65enni e i giovani al di sotto dei 29 anni su due aspetti che appaiono
connessi: pari opportunità e ruolo della competizione sul lavoro; entrambe le
classi di età infatti esprimono in maniera più accentuata la convinzione che
uomini e donne abbiamo le stesse possibilità di successo e che la
competizione spinga a lavorare meglio. Sembra questo essere un caso in cui
l'apprendimento dall'esperienza (per i primi) e l'apprendimento
196
prevalentemente formale (per i secondi) trova un punto comune, almeno sul
piano dell'orientamento dichiarato.
Se si articola il campione sui tre distretti di residenza si nota una certa
differenziazione che in qualche caso appare vistosa: ad esempio, a Forlì è più
consistente la sensazione che l'impegno sia determinante (specificamente
rispetto a quanto emerge per Cesena-Valle Savio), ma vi è anche un'idea più
netta del peso della fortuna.
Le convinzioni circa i modi per raggiungere il successo appaiono
significativamente correlate alla disponibilità economica familiare17: dove
quest'ultima è più elevata si riduce la rilevanza dei fattori esterni
all'individuo e vengono invece ad essere maggiormente rimarcate
l'intraprendenza e le motivazioni personali. Unico elemento 'strutturale' che
appare invece dotato di particolare forza è quello relativo alla dimensione di
genere poiché chi ha elevate disponibilità economiche familiari è meno
incline a pensare che vi siano pari opportunità di successo.
La lettura delle risposte date dal campione attraverso il titolo di studio
posseduto suggeriscono la presenza di un orientamento definibile come
'meritocratico-acquisitivo' in coloro che posseggono la laurea; in effetti essi
testimoniano, soprattutto a diretto confronto con chi possiede al massimo la
licenza elementare, una fiducia assai più evidente nell'impegno personale,
mentre considerano meno rilevanti fortuna e status d'origine.
Anche in questo caso, tuttavia, come già emerso in relazione alla
disponibilità economica, si rileva un elemento strutturale che sembra limitare
la volontà personale: si tratta delle (in)pari opportunità di genere.
Da ultimo, il titolo di studio appare viaggiare in parallelo all'età nella
fattispecie di bassa scolarizzazione ed età anziana; è del resto ricorrente un
accoppiamento di queste due circostanze nel campione e, più in generale,
nella popolazione.
Allo stesso modo anche l'orientamento politico degli intervistati sembra
incidere solo in riferimento ad alcuni giudizi: mentre l'opinione rispetto
all'idea che la povertà sia determinata dalla pigrizia è ben differenziata tra
chi si dichiara di destra e chi si colloca a sinistra, con un più ampio grado di
accordo tra i primi rispetto ai secondi; quelle espresse in riferimento all'idea
che il successo sia legato all'impegno, alla fortuna o alle condizioni di
origine sono simili o addirittura identiche18.
17
Per i dettagli sulla costruzione dell’indice di disponibilità economica familiare si rinvia al
capitolo 8.
18
É necessario precisare che solo 521 persone hanno deciso di collocarsi politicamente. Un
cospicuo numero di intervistati (314) ha infatti scelto di non rispondere o ha affermato di non
sapersi collocare dal punto di vista politico. Tra questi la media dei giudizi espressi in
riferimento ad alcuni item, relativi a questa e a successive batterie di domande, appare
significativamente più bassa di quella rilevata sia tra chi si schiera a destra, sia tra chi si
197
A conferma di alcune corrispondenze semantiche, risultano inoltre
molto forti la correlazione19 tra i temi della fortuna e delle condizioni
familiari da un lato, e quella tra l'importanza dell'impegno personale e
l'efficacia della competizione. Se tali coppie mostrano un più elevato grado
di correlazione interno è però vero che si conferma l'idea del successo come
obiettivo raggiungibile mediante l'azione di più fattori, ovvero attraverso
differenti vie non mutuamente esclusive e, anzi, spesso compresenti in
quanto l’impegno e il senso del dovere, comunque indispensabili, non
escludono l’importanza delle condizioni familiari di partenza e della fortuna.
Allo stesso modo il fatto che il successo dipenda in larga parte dall’impegno
non implica l’immediato collegamento tra insuccesso (come povertà) e
pigrizia.
Gli intervistati sono stati successivamente chiamati a posizionarsi lungo
il continuum tra individuo e collettività (cfr. tab. 7.3)20. Idealmente gli item
proposti potevano disporre gli orientamenti da una polarità legata al merito,
al mercato, all'attivazione individuale, ad una opposta caratterizzata per una
maggiore sensibilità ai vincoli collettivi, alla redistribuzione, alla rilevanza
del soggetto pubblico.
Sul fronte delle risposte effettivamente date emerge un esplicito
disaccordo verso comportamenti di elusione o evasione fiscale21 nonché
verso l'idea che ci si possa assentare dal lavoro quando non sussiste un reale
problema di salute.
Registra consensi anche la convinzione che la responsabilità del singoli
si giochi prima nell'ambito familiare che in quello collettivo, mentre
appaiono più incerte le opinioni relative all'emancipazione dei figli dalla
famiglia di origine, alla questione della meritocrazia nell'assegnazione dei
benefici per lo studio e all'aumento della presenza pubblica rispetto alle
privatizzazioni.
schiera a sinistra. Questo spiega il perché la media dei giudizi rispetto alle opinioni sui legami
tra successo e impegno, fortuna o condizioni familiari di partenza sia più alta della media
generale per entrambi gli orientamenti politici. Tra chi non si schiera le medie sono infatti,
rispettivamente, del 7,72, del 7,56 e del 6,88.
19
Il coefficiente di correlazione tra due item permette di evidenziare eventuali relazioni tra di
essi, ovvero di verificare se gli intervistati che danno risposte positive ad una delle due
affermazioni, si comportano allo stesso modo anche con la seconda.
20
Dal confronto dei giudizi espressi si nota una certa tendenza a collocarsi su posizioni
maggiormente intermedie rispetto alle opinioni espresse nella domanda precedente. È
possibile ipotizzare che ciò sia legato non solo alle differenze esistenti tra le due sfere
indagate, ma anche alle differenti modalità con cui queste sono state sondate poiché gli
esempi di comportamento presi in considerazione in questa batteria di domande tendono a
facilitare la presa in considerazione delle eccezioni e dei ‘però’ e, quindi, l'espressione di
giudizi meno netti.
21
Se la metà del campione (50,4%) si dichiara per niente d’accordo con tali comportamenti, si
dichiara tuttavia favorevole il 16.3% degli intervistati.
198
Tab. 7.3. Atteggiamenti lungo l'asse individuo-famiglia-collettività
Media
A. È ammissibile dichiarare al fisco meno di quanto si
guadagna
2,87
B. Non è ammissibile assentarsi dal lavoro quando non si
è realmente malati
7,00
C. La principale responsabilità di una persona è verso la
propria famiglia e i propri figli e non verso collettività
6,40
D. A scuola, così come all'università, le borse di studio
dovrebbero essere assegnate solo in base al merito
5,35
E. Prima dei 30 anni un ragazzo deve comunque
andarsene di casa e cavarsela da solo
5,73
F. Bisogna ridurre le privatizzazioni ed aumentare la
presenza pubblica
5,39
G. Le imprese dovrebbero essere lasciate più libere di
assumere e licenziare
4,33
H. Estendere i benefici e i servizi sociali rende le persone
pigre
4,02
Dev. Std.
2,5
3,3
2,9
3,1
3,1
2,6
2,7
2,6
Piuttosto compatta infine appare l'opinione – negativa- sulla possibilità
di maggior libertà di assumere e licenziare.
Riguardo poi alle politiche di welfare come politiche di redistribuzione,
ad estendere e quasi a precisare l'orientamento emerso sulla possibile
relazione tra povertà e pigrizia, i forlivesi-cesenati sostanzialmente
escludono che i benefici sociali possano rendere le persone pigre.
Come in precedenza, l'incrocio tra le medie dei giudizi espressi e le
variabili considerate consente di cogliere peculiarità interne al campione (cfr.
tab. 7.4).
Una lettura di genere non mette in luce differenze particolarmente
marcate, anche se si manifesta una tendenza femminile ad esprimere un
maggior favore verso opzioni redistributivo-istituzionali, in cui il ruolo del
soggetto pubblico appare di primaria importanza.
Concentrandosi sull’età emerge innanzitutto una sorta di autocritica o,
almeno, una ‘non-autoassoluzione’ da parte dei giovani i quali affermano,
con maggior convinzione rispetto alle altre classi di età, la necessità di uscire
di casa e di imparare a cavarsela da soli prima dei trent’anni, nonché
l'opportunità di utilizzare un criterio più meritocratico nell'assegnazione dei
contributi allo studio in ambito scolastico e universitario.
Le tendenze appena descritte si presentano però con intensità diverse
all'interno della stessa popolazione giovanile: coloro che sono più vicini alla
soglia dei trent’anni (25-29enni) dimostrano infatti più cautela rispetto alla
199
necessità di emanciparsi dal nucleo familiare di origine rispetto ai
giovanissimi (15-19enni).
Tab. 7.4. Atteggiamenti lungo l’asse individuo-famiglia-collettività. Confronto delle
medie per le principali variabili
A
B
C
D
E
F
G
H
Sesso
Uomini
Donne
2,82
2,93
6,85
7,15
6,47
6,32
5,47
5,22
5,83
5,63
5,18
5,62
4,37
4,29
4,22
3,8
Età
15-29 anni
30-49 anni
50-64 anni
65 anni e oltre
3,46
3,04
2,41
2,41
7,19
6,76
7,34
6,88
6,14
6,27
6,2
7,28
5,54
5,3
5,17
5,48
6,17
5,51
5,76
5,7
5,77
5,21
5,23
5,63
4,23
4,52
4,07
4,36
4,02
4,06
3,89
4,09
Distretto di residenza
Forlì
Cesena- Valle Savio
Rubicone- Costa
2,65
3,01
3,11
6,81
7,59
6,61
6,5
6,32
6,3
5,42
5,39
5,16
5,7
5,98
5,47
5,4
5,23
5,58
4,03
4,5
4,69
3,8
4,16
4,25
Titolo di studio
Fino a licenza elementare
Licenza media o qualifica
Diploma
Laurea o post-laurea
2,93
2,77
2,9
2,83
6,55
7,17
6,83
7,25
7,78
6,71
6,03
5,55
5,75
5,67
5,02
5,09
5,73
5,58
5,68
6,07
5,55
5,58
5,28
5,1
3,62
4,54
4,23
4,48
4,29
4,26
3,64
4,09
Disponibilità economica familiare
Bassa
2,78
Media
2,78
Alta
3,04
6,73
6,81
7,45
6,66
6,53
5,78
5,3
5,36
5,17
5,45
5,74
5,98
5,82
5,48
4,7
3,99
4,33
4,56
3,75
4,23
4,02
Orientamento politico
Sinistra – Centro Sinistra
Destra – Centro Destra
7,53
6,9
5,85
6,79
5,07
5,48
5,93
5,85
5,85
4,38
3,86
5,33
3,69
4,44
2,56
3,14
Interessante è inoltre il fatto che gli stessi giovani siano i più favorevoli
all’aumento della presenza pubblica e ad una responsabilità familiare non
così nettamente orientata al nucleo primario e, contemporaneamente, i più
indulgenti rispetto alla possibilità di non dichiarare al fisco tutto quello che
si guadagna, dimostrando un atteggiamento leggermente ambiguo rispetto
alla res publica. In sostanza, nei giovani compare una costellazione di
riferimenti tra individuo e collettività piuttosto eterogenea e difficilmente
ricomponibile alla luce di canoni e coerenze tradizionali. Sempre in
relazione alle diverse fasce d’età merita attenzione il fatto che il grado di
accordo rispetto alla possibilità di non dichiarare interamente i propri
guadagni allo Stato diminuisce in modo direttamente proporzionale all’età.
200
Nella comparazione tra giovani ed anziani, si notano infine similitudini
e nette differenze: se le loro opinioni si assomigliano in riferimento alla
necessità di aumentare la centralità del soggetto pubblico e di utilizzare
criteri basati sulla valutazione del merito nell'assegnazione degli aiuti allo
studio, ciò non avviene relativamente alle questioni connesse al rispetto delle
norme (elusione fiscale e congedo per malattia) in cui i giovani si
dimostrano meno 'responsabili' e al rapporto tra individuo, famiglia e
collettività che vede gli anziani sostenere maggiormente la preminenza del
nucleo familiare.
Relativamente al titolo di studio, si evidenzia una maggiore sensibilità
rispetto all'importanza dell'attivazione individuale tra coloro che posseggono
un grado di scolarizzazione molto elevato che sono, inoltre, coloro che si
dimostrano più critici rispetto alla possibilità di aumentare l'intervento del
soggetto pubblico. Lo spostamento verso il polo dell'individualità, tuttavia,
non si declina tra i laureati nei termini di un individualismo egocentrico o di
una critica rispetto alle pratiche di redistribuzione, quanto piuttosto come
responsabilizzazione individuale anche rispetto alla collettività.
La disponibilità economica familiare appare particolarmente
discriminante. I forlivesi-cesenati meno abbienti tendono a collocarsi su
posizioni più favorevoli all'ampio intervento pubblico e alle politiche di
redistribuzione rispetto agli intervistati più benestanti tra i quali emerge,
tuttavia, una sensibilità maggiore ai vincoli collettivi che a quelli familiari.
Si nota, infine, un parallelismo tra le risposte dei forlivese-cesenati più
scolarizzati e quelle di coloro che dichiarano un'elevata disponibilità
economica; un titolo di studio più elevato si collega solitamente anche ad un
migliore status economico.
La comparazione dei giudizi rispetto alla collocazione politica mostra,
infine, delle significative variazioni tra le opinioni degli intervistati che
riflettono i tradizionali orientamenti di valore della destra – attenzione al
soggetto, al merito individuale, al ruolo del settore privato- e della sinistra –
importanza del settore pubblico, centralità della collettività rispetto
all'individuo- a conferma di opinioni culturali ed ideologiche di fondo ancora
marcate da coerenza interna e differenziazione esterna.
In generale, le risposte date dagli intervistati confermano la presenza di
una distinzione tra posizioni orientate verso il polo individuo-mercato-merito
e posizioni orientate verso il polo collettività-pubblico-redistribuzione che
emergono anche dalle correlazioni tra gli item. La priorità accordata agli
interessi familiari si collega infatti ad una minore condanna dei
comportamenti di elusione fiscale, così come al favore verso criteri di
redistribuzione più meritocratici e ad una maggiore apertura verso la
liberalizzazione e la libertà delle imprese di assumere e licenziare.
Simmetricamente, tra coloro che affermano la necessità di aumentare
201
l’intervento pubblico si rileva anche un più vasto riconoscimento
dell’importanza dei vincoli collettivi e delle politiche di sostegno al reddito,
una maggiore contrarietà rispetto a politiche di privatizzazione e una più
netta dura condanna dell’evasione fiscale e dell’assenza ingiustificata dal
lavoro.
7.3. Idee di redistribuzione
Nelle riflessioni sulla giustizia e la solidarietà sociale, le idee relative
alla redistribuzione delle risorse pubbliche e alle modalità di gestione dei
servizi assumono un valore centrale poiché vanno a costituire l'immagine
ideale che ogni persona ha del welfare, delineandone le caratteristiche e le
modalità di funzionamento.
Interrogati relativamente alle proprie preferenze rispetto alla gestione
pubblica, privata o mista di una serie di servizi (cfr. tab. 7.5), i forlivesicesenati hanno innanzitutto dimostrato una chiara preferenza nei confronti
della gestione pubblica per quanto concerne la tutela della salute e
l’istruzione.
Tab.7.5 Azione pubblica o via privata nella gestione di servizi e interventi (%)
Pubblico e
Singoli
Pubblico singoli individui
individui
Salute
63,4
35,4
1,2
Cosmetica e chirurgia
estetica
5,1
23,4
71,5
Reperimento di una
abitazione
16,3
63,8
19,9
Reperimento di un lavoro
15,3
67,8
16,9
Istruzione
60,0
37,4
2,5
Promozione culturale
29,4
60,2
10,4
Integrazione interculturale
28,8
63,2
7,9
Assistenza persone non
autosufficienti
51,3
46,9
1,8
Assistenza alle persone povere
53,1
45,4
1,5
Tale preferenza trova conferma anche in quanto emerso a livello
nazionale dall’indagine Gli italiani e lo stato realizzata dall’Istituto Demos
e Pi nel 2010 la quale evidenzia, infatti, che “gli italiani restano fermamente
convinti che lo Stato non debba demandare la gestione della sanità e
dell’istruzione ai privati. La conduzione pubblica dei servizi socio-sanitari e
202
della scuola è ancora un punto di riferimento per la stragrande maggioranza
dei cittadini”22.
Rispetto ad altri ambiti è invece possibile evidenziare una
differenziazione tra casi in cui, a fronte di orientamenti in maggioranza
favorevoli a che l’intervento sia promosso da pubblico e privato insieme, si
trova una distribuzione dei pareri più radicali ora sul pubblico, ora sulla via
privata. Rientrano nella prima categoria la promozione culturale e
l'integrazione interculturale, mentre sono ascrivibili al secondo caso i servizi
connessi al reperimento del lavoro e dell'abitazione.
In relazione agli interventi dedicati a fasce particolarmente svantaggiate
della popolazione, segnatamente l’assistenza alle persone non autosufficienti e l’assistenza alle persone povere, tende invece a prevalere il
favore nei confronti di un intervento esclusivamente pubblico, ma appare
ampliamente accolta anche la possibilità che l’azione pubblica si combini
con quella privata (come, seppur in modo più contenuto, emerge anche per
l’istruzione)23.
Tutto ciò che è, infine, legato ad esigenze cosmetiche e alla chirurgia
estetica è considerato un problema da risolversi esclusivamente in forma
privata per la maggioranza degli intervistati.
Tra i cittadini della provincia di Forlì-Cesena si rileva quindi, in
generale, un'ampia disponibilità verso la gestione congiunta dei servizi da
parte del settore pubblico e di quello privato, ma emerge anche una
distinzione tra servizi marcatamente pubblici (sanità e scuola), servizi
prevalentemente pubblici (assistenza alle fasce svantaggiate, promozione
culturale e integrazione), servizi prevalentemente rinviati all’azione privata
(lavoro e abitazione) e servizi sostanzialmente di tipo privato (chirurgia ed
estetica). L'apertura a forme di gestione congiunta o privata fa emergere
l'idea di un welfare più centrato sull'azione del singolo e sulle sue capacità di
auto-attivazione. Il soggetto pubblico resta infatti fondamentale negli ambiti
‘primari’ dell'istruzione, della sanità e dell'assistenza al disagio, ma non
rappresenta l'unica via possibile per la soddisfazione di questi e di una più
ampia serie di bisogni e necessità.
Riferendosi nuovamente alle principali variabili che caratterizzano il
campione, si segnala innanzitutto la scarsa incidenza del genere su questo
tipo di preferenze. È l’età, invece, a dare risultati più significativi mostrando
una forte differenziazione tra gli atteggiamenti dei più giovani e dei più
anziani. A conferma dei differenti orientamenti valoriali segnalati in
22
Cfr. Demos e Pi, Gli italiani e lo stato- Rapporto 2010, www.demos.it, 2010. Dalla ricerca
emerge che la propensione al privato per quanto riguarda l’istruzione e la sanità è
rispettivamente del 13.9 e del 20.2%.
23
53.1% vs 45.4% per quanto riguarda l’assistenza alle persone povere e 51.3% vs 46.9 per
quanto concerne l’assistenza alle persone non autosufficienti.
203
precedenza, si nota infatti che gli ultra65enni sono, in generale, la fascia
della popolazione più ‘affezionata’ ad una gestione completamente pubblica
dei servizi, mentre i giovani sono i più aperti a interventi che coinvolgano sia
il soggetto pubblico che eventuali soggetti privati. Questi ultimi sono tuttavia
coloro che domandano un maggiore attivismo del soggetto pubblico per
quanto riguarda l’ambito culturale.
Ancora una volta evidente è lo stretto collegamento tra età e titolo di
studio, in virtù del quale si notano atteggiamenti simili sia per quanto
concerne la combinazione età anziana-bassa scolarizzazione che per quanto
riguarda l’abbinamento età giovane-alta scolarizzazione.
Sebbene le variazioni non siano sempre molto evidenti, distinguendo le
risposte a seconda del distretto di appartenenza degli intervistati si nota che
l’intervento del soggetto pubblico è maggiormente richiesto, per i settori
della salute e del reperimento del lavoro e dell’abitazione nella zona di Forlì,
mentre a Cesena-Valle Savio viene più convintamente auspicato nei settori
dell’istruzione e della cultura, ma anche negli interventi per le persone più
indigenti o svantaggiate, come si ritiene anche nel distretto di RubiconeCosta, dove si rimarca la natura pubblica della tutela della salute.
Da non trascurare è l’influenza dello status economico, che agisce in
particolare sulle preferenze legate all’istruzione e alla salute, rispetto alle
quali è possibile notare un forte scarto tra coloro che appartengono alla
fascia di disponibilità economica bassa – orientati più nettamente ad un forte
intervento pubblico - e coloro che invece si collocano nella fascia più alta –
più aperti a vie gestionali alternative. Nella corrispondenza tra la condizione
economica e il titolo di studio emerge una maggior predisposizione verso
soluzioni di non esclusiva competenza pubblica tra i più abbienti così come
tra i più scolarizzati.
Si conferma, infine, la significatività delle preferenze politiche:
prendendo ad esempio la salute, la necessità di un più forte intervento del
soggetto pubblico è sostenuta dal 66,9% di chi si colloca politicamente a
sinistra, mentre solo il 39,5% di chi si schiera a destra è della stessa
opinione.
Altre informazioni sulle caratteristiche del sistema di protezione sociale
che i forlivesi-cesenati hanno in mente possono essere dedotte da una
riflessione sui destinatari e i settori che le politiche sociali dovrebbero
maggiormente sostenere mediante l'assegnazione di risorse pubbliche.
204
Gli intervistati sono quindi stati chiamati ad indicare la priorità con cui
avrebbero assegnato delle risorse pubbliche ad una serie di categorie sociali
più o meno svantaggiate pensando alla situazione italiana (cfr. tab. 7.6)24.
Tra di esse è la categoria dei disabili a meritare la massima priorità nella
distribuzione delle risorse pubbliche, ma urgente e necessaria appare anche
l’assegnazione di risorse agli anziani, ai minori, ai giovani e ai disoccupati.
Un minor grado di priorità viene riservato a chi lavora e a chi è in
pensione, così come alla categoria delle donne. La redistribuzione delle
risorse pubbliche a favore dei senza fissa dimora, degli immigrati e dei
tossicodipendenti viene invece giudicata decisamente meno importante.
Tab. 7.6. Priorità nella distribuzione delle risorse pubbliche in Italia
A. Disoccupati
B. Minori
C. Disabili
D. Anziani
E. Lavoratori
F. Pensionati
G. Donne
H. Tossicodipendenti
I. Giovani
L. Senza fissa dimora
M. Immigrati
Media
7,44
7,69
8,17
7,81
6,97
7,09
7,07
5,56
7,55
6,24
5,86
Dev. Std.
2,4
2,2
1,8
2,0
2,1
2,1
2,1
2,7
2,1
2,5
2,5
Per gli anziani e i disabili si registra un ampio consenso, dunque una
minore variabilità delle risposte rispetto agli altri gruppi sociali e, in
particolare, rispetto a quelli per i quali la priorità è più bassa.
La maggiore o minore urgenza che viene attribuita agli interventi
pubblici a favore di determinate fasce della popolazione mette in luce la
presenza tra gli intervistati di una maggiore sensibilità verso situazioni di
difficoltà legate al naturale corso della vita o al destino, piuttosto che a
questioni socio-economiche e, in particolare, connesse a situazioni in cui si
può rintracciare, almeno parzialmente, l’esito di scelte e azioni.
La scarsa priorità attribuita alla necessità di farsi carico dei problemi dei
tossicodipendenti, dei senza fissa dimora e degli immigrati, come messo in
24
Anche in questo caso i giudizi sono stati espressi utilizzando una scala da 1 a 10. Gli
intervistati sono stati lasciati liberi di dare lo stesso giudizio a più categorie poiché non è stato
chiesto loro di formare una classifica tra i soggetti destinatari delle risorse.
205
evidenza da numerose ricerche e riflessioni25, rimanda inoltre ad una sorta di
inconscia distinzione tra i cosiddetti poveri 'meritevoli' e 'non meritevoli' che
si riflette anche sul piano dell'orientamento alla distribuzione delle risorse.
Fa eccezione la categoria dei disoccupati per la quale è però possibile
ipotizzare un legame tra l'attenzione a loro attribuita e la crescente sensibilità
che si registra nel campione e nella popolazione in generale rispetto al
problema della disoccupazione e della mancanza di lavoro. I bisognosi non
meritevoli sono coloro che, per qualche motivo, possono essere ritenuti
responsabili delle loro disgrazie e che per tale ragione non meritano né la
stessa compassione, né lo stesso trattamento nella redistribuzione delle
ricchezze sociali riservati ai cosiddetti 'poveri buoni'26 i quali, invece, si
ritrovano in una situazione di svantaggio in virtù di caratteristiche non
dipendenti da loro scelte.
Le preferenze di redistribuzione tra le varie categorie sociali possono
essere ulteriormente specificate guardando alle variabili prese anche
precedentemente in considerazione (cfr. tab. 7.7).
Per quanto riguarda il genere, la componente femminile del campione
assegna priorità più elevate in relazione a tutti i gruppi sociali indicati e trova
pertanto conferma la maggiore predisposizione delle donne alla
redistribuzione evidenziata da numerose indagini27. Le differenze di genere
incidono in particolar modo proprio in riferimento alla categoria delle donne,
indicata come bisognosa di risorse pubbliche in modo molto più ampio dalle
stesse femmine che dagli uomini. Emerge quindi tra queste ultime l'autoriconoscimento dell'appartenenza ad una categoria socialmente svantaggiata,
a conferma di quanto precedentemente detto rispetto alla sfiducia nelle pari
opportunità di successo tra uomini e donne. É ipotizzabile che negli uomini
un simile processo di identificazione avvenga con i lavoratori, l'unica
categoria presa in considerazione in cui il divario tra i generi si assottiglia
fino quasi a scomparire.
Anche in riferimento all'età sembrano essere importanti gli effetti
dell'identificazione. Tra coloro che appartengono alla fascia più anziana della
popolazione si registra infatti una forte sensibilità nei confronti delle
condizioni dei disabili, degli anziani e dei pensionati, mentre viene attribuita
una bassa priorità ai giovani, i quali ricambiano dimostrando scarsa
attenzione ai problemi degli anziani. Essi assegnano tuttavia un basso
25
Cfr. R. Castel, La discriminazione negativa, Milano, Feltrinelli, 2008; O. De Leonardis,
Povero abile povero. Il tema della povertà e le culture della giustizia in «Filosofia e Questioni
pubbliche», n. 2, 2000; C. Saraceno, M. Garcia, Esopo: Evaluation of social policies at the
local urban level: income support for the able bodied, http://cordis.europa.eu, 1998.
26
O. De Leonardis, Povero abile povero, op. cit.
27
Cfr. H. Cole, G. Mailath, A. Postlewaite, Social norms, savings behaviour and growth,
op.cit. e G. Corneo, H. P. Gruner, Individual preferences for political redistribution, op.cit.
206
giudizio di priorità anche ai minori, fascia d'età a cui sono particolarmente
vicini o a cui addirittura appartengono, ma nella quale probabilmente non
individuano una particolare vulnerabilità28.
Tab.7.7. Priorità nella distribuzione di risorse tra categorie sociali. Confronto delle
medie per le principali variabili
A
I
L
M
7,31
7,57
7,48 7,99 7,64 6,95 6,99 6,69 5,43 7,44
7,90 8,35 7,99 6,99 7,19 7,45 5,70 7,66
6,05
6,42
5,71
6,01
7,37
7,52
7,39
7,37
7,10
7,86
7,85
7,72
7,82
7,32
7,99
7,18
6,55
6,13
6,26
6,10
5,94
5,97
6,01
5,28
7,80 8,29 7,88 7,06 7,07 7,06 5,34 7,77
7,73 8,22 7,76 6,94 6,84 7,15 5,71 7,64
5,91
6,48
5,56
6,10
7,41 7,86 7,74 6,82 7,43 6,98 5,80 7,01
6,58
6,13
7,67
7,91 8,55 8,67 6,91 7,85 7,34 4,59 7,25
5,81
4,63
7,52
7,68 8,31 8,05 7,20 7,35 7,28 5,80 7,77
6,40
6,03
7,55
6,98
7,89 8,20 7,65 6,81 6,77 7,08 5,63 7,53
7,25 7,67 7,23 6,87 6,72 6,55 5,57 7,35
6,35
6,00
5,88
6,18
Disponibilità economica familiare
Bassa
7,82 7,80 8,20 7,98 7,33 7,28 7,39 5,70 7,69
Media
7,18 7,62 8,10 7,76 6,76 7,11 6,87 5,60 7,48
Alta
7,25 7,58 8,18 7,61 6,82 6,76 6,90 5,38 7,50
6,36
6,39
5,96
6,11
5,72
5,88
8,01 8,54 8,14 6,91 7,21 7,19 6,17 7,87
6,81
6,51
7,66 7,99 7,59 6,89 6,85 6,79 4,77 7,16
5,49
4,98
Sesso
Maschio
Femmina
Età
15-29 anni
30-49 anni
50-64 anni
65 anni e oltre
Distretto di residenza
Forlì
7,86
Cesena-Valle
7,22
Savio
Rubicone-Costa
6,88
Titolo di studio
Fino a Licenza
elementare
Licenza media o
qualifica
Diploma
Laurea o postlaurea
Orientamento politico
Sinistra7,62
Centro-sinistra
Destra7,01
Centro destra
B
C
7,68
8,13
8,38
8,54
D
7,10
7,69
8,25
8,34
E
6,95
6,97
7,15
6,73
F
6,62
6,88
7,41
7,67
G
7,01
7,02
7,28
6,94
H
5,46
5,63
5,88
5,07
28
Interessante appare il fatto che tra tutti i giovani sono proprio i minorenni o gli appena
maggiorenni (15-19) ad attribuire meno urgenza alla destinazione di risorse a favore dei minori (6,63).
207
Gli interventi a favore dei minori sono però giudicati urgenti dagli
adulti e dagli anziani (30-49enni, 50-64enni e ultra65enni) che,
probabilmente, si identificano qui nella condizione di genitori o nonni.
Poche variazioni si registrano rispetto alla preoccupazione nei confronti dei
disoccupati, sebbene siano i 30-49enni a dimostrarsi più attenti a questo
gruppo della popolazione.
Interessanti risultati emergono poi dalla comparazione delle medie dei
voti rispetto ai titoli di studio e alla disponibilità economica familiare.
Concentrandosi sul titolo di studio e, in particolare, sulle opinioni di coloro
che possiedono al massimo la licenza elementare, è possibile notare che la
bassa scolarizzazione si collega, in generale, ad una maggiore richiesta di
risorse per tutte le categorie sociali, ma anche ad atteggiamenti meno
sensibili alle situazioni degli homeless, dei tossicodipendenti e dei senza
fissa dimora.
Relativamente alla disponibilità economica sembra trovare conferma
l'ipotesi che il favore nei confronti delle politiche di redistribuzione sia
inversamente legato allo status economico, poiché in quasi tutti i casi sono
coloro che di collocano nella fascia più bassa ad attribuire giudizi più
generosi. Le priorità delle categorie dei disabili, dei minori e degli anziani
vengono affermate pressoché con la stessa intensità indipendentemente dalle
differenze di disponibilità economica che caratterizzano il campione le quali,
tuttavia, appaiono molto influenti in relazione ai problemi dei disoccupati e
dei lavoratori, che sono avvertiti come più urgenti da chi si trova in
condizioni economiche meno abbienti.
L'orientamento politico appare nuovamente discriminante: pur
assumendo un valore minimo in relazione alla tutela dei lavoratori, la
distanza di atteggiamenti tra gli elettori di sinistra – più generosi nella
distribuzione - e quelli di destra è presente in riferimento a tutti i gruppi
sociali proposti, e si amplifica notevolmente quando si tratta di definire la
priorità accordata all'aiuto ai tossicodipendenti, agli immigrati e ai senza
fissa dimora29.
Passando dalle categorie ai settori maggiormente bisognosi di
attenzione da parte del soggetto pubblico, con un esplicito riferimento al
territorio di Forlì-Cesena, si nota come gli intervistati tendano ad attribuire
elevati gradi di priorità a tutti i servizi elencati (cfr. tab. 7.8).
29
In riferimento alla categoria dei lavoratori è possibile notare che i giudizi di priorità
attribuiti da coloro che si collocano politicamente sia a destra che a sinistra sono più bassi
rispetto alla media generale del campione. La convinzione circa l'urgenza di risorse a favore
dei lavoratori è quindi più marcata fra coloro che non scelgono o non sanno collocarsi
politicamente (6,99).
208
Tab.7.8. Priorità nella distribuzione di risorse tra settori in riferimento al territorio
forlivese-cesenate
Deviazione
Media
std.
A. Trasporti
6,10
2,3
B. Istruzione formazione
7,99
1,9
C. Servizi anziani
7,55
2,0
D. Servizi per lavoro
7,66
2,1
E. Servizi per l'infanzia
7,81
2,0
F. Servizi sociali per fasce svantaggiate
7,58
2,0
G. Manutenzione strade e viabilità
7,11
2,9
H. Manutenzione aree verdi
6,81
2,1
I. Attività economiche e produttive
7,29
2,0
L. Educazione ambientale e civica
7,13
2,2
M. Centri per giovani
7,02
2,2
N. Iniziative culturali
6,98
2,2
I settori a cui si attribuisce prioritariamente il bisogno di un maggior
intervento pubblico in termini di distribuzione di risorse sono rappresentati
dai servizi per l'istruzione-formazione, per l’infanzia, per il lavoro, per le
fasce svantaggiate e per gli anziani; mentre ottengono i giudizi più bassi,
seppur positivi, le iniziative culturali, la manutenzione dei parchi e delle aree
verdi e i trasporti.
La maggiore predisposizione alla redistribuzione delle donne rispetto
agli uomini viene ulteriormente confermata prendendo in considerazione
l'analisi delle differenze di genere che, pur non essendo mai eccessivamente
ampie, si manifestano in modo più significativo per quanto concerne i servizi
alla persona; ovvero in riferimento a quegli ambiti di cura di cui le donne si
sono da sempre tradizionalmente occupate e preoccupate a livello sia
familiare che professionale (cfr. tab. 7.9).
Relativamente all'età si registra nuovamente l'importanza
dell'identificazione per cui se i più attenti alla necessità di creare centri di
aggregazione giovanile e di promuovere iniziative culturali sono i 15-29enni,
i più sensibili rispetto ai servizi per gli anziani sono gli ultra65enni.
La lettura delle risposte date dal campione attraverso il distretto di
residenza permette di notare che i forlivesi e i residenti nel distretto di
Cesena-Valle Savio dimostrano maggiore attenzione nei confronti dei servizi
alla persona e dell'istruzione rispetto ai residenti nella zona di RubiconeCosta. Coloro che abitano nel distretto di Cesena-Valle Savio sembrano
inoltre particolarmente interessati ai servizi connessi alla tutela e al
miglioramento dello spazio urbano (manutenzione delle strade, cura delle
aree verdi, educazione ambientale e civica).
209
Tab.7.9. Priorità nella distribuzione di risorse tra settori. Confronto delle medie per
le principali variabili.
A
B
C
D
E
F
G
H
I
L
M
N
Sesso
Maschio
Femmina
5,99 7,89 7,32 7,52 7,55 7,35 7,07 6,66 7,24 7,07 6,89 6,91
6,21 8,10 7,79 7,81 8,07 7,82 7,15 6,97 7,34 7,19 7,15 7,05
Età
15-29 anni
30-49 anni
50-64 anni
65 anni e oltre
5,98
5,89
6,57
6,09
7,89
8,06
8,25
7,58
6,92
7,40
7,99
8,03
7,61
7,57
7,91
7,57
7,10
7,90
8,07
8,06
7,27
7,47
7,88
7,79
6,81
7,13
7,38
7,02
6,59
6,79
7,14
6,67
7,13
7,35
7,49
7,02
6,88
7,21
7,48
6,74
7,29
7,01
7,14
6,55
7,32
7,03
7,04
6,33
Distretto di residenza
Forlì
6,09 8,29 7,71 8,02 7,95 7,77 7,06 6,74 7,50 7,05 6,95 7,01
Cesena-Valle
6,08 7,98 7,54 7,59 8,03 7,91 7,22 6,96 7,14 7,27 7,25 6,87
Savio
Rubicone6,13 7,44 7,25 7,06 7,25 6,80 7,06 6,77 7,07 7,09 6,87 7,05
Costa
Fino a Licenza
elementare
6,20 7,44 8,23 7,73 7,83 7,85 7,12 6,49 6,71 6,42 6,13 5,38
Licenza media
o qualifica
6,36 8,01 7,76 7,85 7,93 7,79 7,32 7,05 7,43 7,42 7,40 7,21
Diploma
Laurea o postlaurea
5,97 8,02 7,34 7,63 7,75 7,52 6,95 6,72 7,36 7,08 7,09 7,10
5,80 8,23 7,18 7,38 7,68 7,21 6,93 6,70 7,25 7,10 6,75 7,26
Disponibilità economica familiare
Bassa
6,05 7,91 7,52 7,80 7,75 7,78 7,02 6,75 7,18 7,02 6,98 6,80
Media
6,16 7,77 7,61 7,50 7,78 7,42 7,12 6,90 7,23 7,17 7,03 6,92
Alta
5,91 8,30 7,42 7,63 7,90 7,53 7,15 6,75 7,46 7,15 7,01 7,13
Orientamento politico
Sinistra6,36 8,32 7,93 7,92 8,13 7,98 7,12 6,93 7,28 7,43 7,47 7,33
Centro-sinistra
DestraCentro destra
5,77 7,82 7,14 7,19 7,66 7,16 7,09 6,79 7,36 6,91 6,54 6,53
Dinamiche interessanti si rilevano prendendo in considerazione il titolo
di studio e, in particolare, le opinioni espresse dalla fascia meno scolarizzata
della popolazione. Tra coloro che posseggono un titolo di studio basso si
rileva una maggiore sensibilità verso i servizi alla persona (anziani, minori,
lavoro e fasce svantaggiate) rispetto ai laureati che invece si dimostrano più
attenti alle esigenze dei settori dell’istruzione, della cultura e del lavoro.
210
Guardando alla disponibilità economica familiare si notano effetti
cumulati con la variabile dell’istruzione per alcuni dei settori indicati per cui
chi dispone di poche risorse economiche, così come chi ha una bassa
scolarizzazione, attribuisce poca urgenza ai servizi per i trasporti e per le
attività economiche, nonché alla promozione culturale, all’educazione civica
e ai centri per i giovani; mentre chi dichiara una maggiore disponibilità
economica è, come i laureati, attento all’ambito formativo e ai servizi per le
attività economiche e culturali. Le differenze economiche tra gli intervistati
non sembrano, invece, avere effetti rilevanti sull’importanza attribuita alla
tutela aree verdi e ai servizi per l’infanzia.
Dal punto di vista delle preferenze politiche, in parallelo con quanto
detto per le categorie sociali, si conferma infine una maggior propensione
degli elettori di sinistra verso la redistribuzione delle risorse. L’unica
eccezione tra i settori presi in considerazione è rappresentata ai servizi alle
attività produttive ed economiche, prioritari per coloro che si collocano
politicamente a destra.
7.4. Opinioni e atteggiamenti verso la tassazione
Alla base dell’esistenza e del funzionamento di qualsiasi sistema di
redistribuzione si collocano i meccanismi di prelievo fiscale e per questo la
tematica della tassazione appare inscindibilmente collegata a quelle della
giustizia sociale e delle politiche redistributive.
A differenza di quanto accade per le politiche redistributive, che
ottengono diversi gradi di consenso in base alle diverse modalità con cui
vengono realizzate e in relazione ai settori o alle categorie sociali che
coinvolgono, il prelievo fiscale genera sentimenti ed opinioni meno
diversificate e nettamente più negative.
Come evidenziato dalla tabella 7.10, nella assoluta maggioranza dei
casi, gli abitanti della provincia di Forlì-Cesena ritengono infatti la
tassazione a cui sono sottoposti eccessiva e, complessivamente, ben l'83%
dei lavoratori intervistati descrive il prelievo fiscale come troppo oneroso.
Tra questi prevalgono coloro che collegano tale eccessività ai servizi che di
fatto utilizzano o in relazione alla loro qualità ed efficienza.
I dati qui presentati sono in linea con quelli rilevati al livello nazionale
dal Censis: chiedendo agli italiani di dare un giudizio sulla pressione fiscale
rispetto al livello dei servizi, il 23% della popolazione ha giudicato la
tassazione comunque alta indipendentemente dal livello dei servizi, il 58,1%
alta se comparata alla qualità dei servizi, l’11,2% adeguata e solo il 7,7%
211
bassa30. Anche in questo caso, quindi, più dell’80% della popolazione ritiene
la pressione fiscale eccessiva.
Tab.7.10. Opinioni rispetto alla tassazione. Valori %
Troppo in assoluto
Troppo rispetto a mio reddito
Troppo rispetto a servizi di cui fruisco
Troppo rispetto a qualità ed efficienza dei servizi
Adeguato
Poco
%
17,5
19,7
23
22,8
16,6
0,4
Approfondendo questi risultati attraverso le principali variabili prese
qui in considerazione, è possibile notare che, per quanto concerne il genere,
la maggiore problematicità della tassazione è legata, per le donne, alla
qualità e all'efficienza dei servizi pubblici, mentre gli uomini si lamentano
principalmente della scarsità di servizi di cui usufruiscono rispetto alle tasse
versate.
Distinguendo invece il campione in fasce d’età, attira l’attenzione il
fatto che tra la popolazione anziana è poco diffusa l’idea di una eccessività
assoluta del carico fiscale che, invece, appare presente in misura pressoché
identica per i giovani e per gli adulti. Tra gli ultra65enni, inoltre, più di un
quarto del campione definisce la tassazione adeguata rispetto a ciò di cui in
cambio beneficia; sempre in riferimento a questa fascia della popolazione,
maggior scontento emerge in relazione alla qualità dei servizi (33%).
Per quanto concerne il distretto, le motivazioni addotte dagli intervistati
a spiegazione della loro scontentezza rispetto alla tassazione variano tra le
diverse zone: è tra i cittadini di Cesena-Valle Savio che emerge in modo più
evidente la problematicità del rapporto reddito-tasse (22,4%), mentre nella
zona di Rubicone-Costa la pressione fiscale è ritenuta eccessiva
primariamente rispetto ai servizi di cui gli abitanti usufruiscono (31,1%) e
nell’area di Forlì preoccupa innanzitutto l’inefficienza e la scarsa qualità di
questi rispetto ai loro costi in termini di pressione fiscale (25,3%).
L'idea che la tassazione sia eccessiva in assoluto è maggiormente
diffusa tra coloro che hanno un titolo di studio particolarmente basso (41%) i
quali, inoltre, si lamentano in modo più netto del rapporto tra tasse e tenore
di vita (33%), a conferma dell'importanza della dinamica istruzione/reddito.
Così come avviene per il titolo di studio, si nota che l'attenzione verso
la qualità e l'efficienza dei servizi aumenta in modo direttamente
proporzionale anche rispetto alla disponibilità economica dell'intervistato.
30
Censis, Il rapporto tra gli italiani e il fisco, www.censis.it, 2010.
212
Se, infatti, i forlivesi-cesenati che si collocano nella fascia più bassa
sono i più scontenti della scarsa proporzionalità tra il reddito che
guadagnano e le tasse che pagano (23,3%), coloro che dichiarano una
disponibilità economica elevata sono maggiormente preoccupati per la
qualità del servizio pubblico di cui beneficiano (29,5%).
La collocazione politica, infine, incide fortemente rispetto al sentimento
di scontento assoluto rispetto alla tassazione – che è più diffuso tra gli
elettori di destra - e delinea uno scenario in cui chi si colloca a sinistra
appare più critico in riferimento alla non proporzionalità rispetto al reddito e
alla scarsa qualità dei servizi.
Tab.7.11. Disponibilità rispetto all’ulteriore tassazione in cambio di servizi migliori
Sì certamente
Sì, ma solo a livello locale
Sì, ma solo se si riducesse l'evasione fiscale
No
%
10,8
17,3
31,7
40,2
La possibilità di pagare più tasse in cambio di servizi pubblici migliori
(cfr. tab. 7.11) trova quasi la metà del campione totalmente indisponibile, ma
è interessante notare che una fascia abbastanza ampia della popolazione
forlivese-cesenate accetterebbe un aumento dei prelievi se fosse ridotta
anche l'evasione fiscale. I dati a nostra disposizione mostrano, poi, che ben il
40,7% di coloro che si dichiarano in completo disaccordo con la possibilità
di dichiarare al fisco meno di ciò che si dovrebbe sarebbe disposto a pagare
più tasse se venisse ridotta l’evasione fiscale. La lotta all’evasione fiscale
diviene quindi strumento di legittimazione della tassazione stessa ed emerge
con evidenza l'importanza di prevedere misure a contrasto di un fenomeno
che, secondo l’indagine Censis già richiamata, è indicata dalla maggior parte
degli italiani come il principale problema del settore pubblico del Paese31.
Poco diffuso è il favore accordato alla possibilità di un aumento delle
tasse a livello esclusivamente locale e ancora meno diffusa è la percentuale
di chi si dichiara disponibile a versare contributi più elevati.
Poche differenze si rilevano per quanto riguarda il genere, mentre più
significativa è l’influenza dell’età, rispetto alla quale si rileva che sono i
giovani e gli anziani – ovvero le classi d’età con una disponibilità economica
relativamente più contenuta - a dimostrarsi più sfavorevoli verso l’aumento
31
Sempre secondo tale indagine, il 44,4% degli italiani individua nell’evasione fiscale il male
principale del nostro sistema pubblico, ponendo in secondo piano la questione dell’eccessiva
tassazione. Tra gli interventi da attuare reputati più urgenti, il 51,7% del campione segnala
infatti la necessità di accrescere il numero e l’efficacia dei controlli per contrastare l’evasione.
213
dei prelievi fiscali. Leggendo, inoltre, le opinioni degli intervistati rispetto
alla tassazione alla luce di quanto gli stessi avevano affermato in relazione
alle caratteristiche del loro ideale modello di redistribuzione, l’atteggiamento
sfavorevole dei giovani verso i prelievi fiscali può rimandare proprio ad una
discrepanza tra i servizi ‘desiderati’ e quelli ‘finanziati’: le tasse perdono
legittimità se servono primariamente a redistribuire ricchezza a categorie e
settori che i giovani non percepiscono come prioritari.
Prendendo in considerazione il distretto di appartenenza è possibile
notare che i cittadini di Rubicone-Costa sono i meno favorevoli ad un
eventuale aumento delle tasse (44,8% di contrari), mentre i residenti nel
distretto di Cesena-Valle Savio, pur essendo per la maggior parte comunque
sfavorevoli (37,3%), dimostrano un certo grado di accordo rispetto alla
possibilità di un aumento delle tasse se venisse ridotta l’evasione fiscale
(35,2%).
Un maggior livello di scolarizzazione si riflette, invece, in una più
ampia disponibilità al pagamento di nuovi contributi fiscali in cambio di
servizi migliori; allo stesso modo il completo disaccordo rispetto ad un
aumento delle tasse si presenta in misura largamente maggiore tra chi
possiede un titolo di studio più basso. Simili andamenti si presentano poi
anche in relazione alla disponibilità economica che dove risulta più
consistente corrisponde ad una più ampia apertura alla tassazione.
Le maggiori differenze rispetto all’orientamento politico si riscontrano,
infine, in relazione alle risposte del tutto negative, che rappresentano
maggiormente l’opinione degli elettori di destra, e quelle, invece, favorevoli
in cambio di una riduzione dell’evasione, che trovano un più ampio
consenso tra gli elettori di sinistra. Trova quindi conferma la maggiore
predisposizione di questi ultimi alla redistribuzione, emersa anche in
precedenza.
7.5 Utilizzo e soddisfazione rispetto ai servizi del territorio
Anche l’esperienza che le persone fanno quotidianamente di un servizio
contribuisce a definire la particolare idea di welfare e di giustizia di ciascun
soggetto. La conoscenza e l’utilizzo di un servizio e le valutazioni in termini
di qualità e utilità che ne conseguono, consentendo all’individuo di farsi
un’idea rispetto allo stato attuale del welfare, costituiscono una delle basi su
cui si struttura l’idea di come esso dovrebbe essere.
214
Riprendendo una delle dimensioni indagate dall’Istat nella sua indagine
sulle condizioni di salute degli italiani32, sono state prese in considerazione
le pratiche relative all'utilizzo dei servizi sanitari da parte degli intervistati.
Relativamente al tipo di struttura scelta per l'ultima visita medica o
ricovero si conferma il ruolo preminente svolto dal settore pubblico
nell’ambito sanitario rilevato in relazione alle preferenze di gestione dei
servizi (cfr. paragrafo 7.3), poiché i forlivesi-cesenati hanno optato in
maggioranza per strutture pubbliche e solo in modo residuale si sono rivolti
a strutture private. Poco più del 20% ha scelto, tuttavia, una struttura privata
convenzionata con il servizio pubblico, optando quindi per una soluzione che
coinvolge il settore pubblico e l’azione privata contemporaneamente (cfr.
tab. 6.12)33.
Tab.7.12. Struttura scelta per l'ultima visita medica o ricovero. Valori %
Pubblica
Privata convenzionata
Privata
Totale
%
69,6
20,7
9,7
100,0
Tra coloro che si rivolgono a strutture pubbliche si nota, prima di tutto,
una prevalenza degli uomini (72,4%) rispetto alle donne (66,7%), le quali si
rivolgono più spesso di questi ultimi alle strutture private convenzionate e
non. Tali differenze di genere possono trovare una spiegazione nel maggior
ricorso delle donne a controlli e cure specialistiche (si pensi, ad esempio, a
quelle ginecologiche) che vengono spesso effettuate presso ambulatori
medici e strutture di tipo privato.
La distinzione in base all’età mette in luce una forte distanza tra le
pratiche di utilizzo dei servizi sanitari degli ultra65enni e quelle delle altre
fasce della popolazione. Gli anziani usufruiscono in misura nettamente
maggiore dei servizi sanitari pubblici (81%) e, parallelamente, utilizzano più
raramente cure di tipo privato, anche se convenzionato.
La preferenza per strutture pubbliche si rileva anche tra coloro che
risiedono nel distretto di Rubicone-Costa (79,7%) soprattutto in
comparazione alle scelte dei cittadini del distretto di Cesena, che optano più
frequentemente per soluzioni alternative.
Quasi la totalità di coloro che possiedono un titolo di studio pari o
inferiore alla licenza elementare (90,4%) ha scelto di rivolgersi ad un
32
Istat, Condizioni di salute, fattori di rischio e ricorso ai servizi sanitari, www.istat.it, 2007.
Secondo i dati Istat, nell’anno 2005, la quota di accertamenti effettuati presso strutture private era pari al 21%.
33
215
servizio pubblico per l’ultima visita o ricovero, ma è ipotizzabile che
contribuiscano a questo dato anche le dinamiche età-scolarizzazione e
scolarizzazione-reddito precedentemente richiamate.
Non a caso la larga maggioranza (76,2%) di coloro che dichiarano una
bassa disponibilità economica afferma di essersi rivolto al settore pubblico
per le più recenti necessità sanitarie. L'importanza della situazione
economica familiare appare ancora più evidente se si prende in
considerazione la scelta di rivolgersi ad una struttura privata non
convenzionata: si è rivolto a questo tipo di struttura solo il 4,5% dei
forlivesi-cesenati con bassa disponibilità economica, mentre tra coloro che si
collocano nella fascia alta la percentuale è di quasi quattro volte maggiore
(17,7%).
Relativamente, invece, all’utilizzo delle strutture sanitarie private
convenzionate non si registrano variazioni tra le fasce economiche in virtù
del fatto che la scelta di questo tipo di soluzione non è condizionata tanto dal
reddito, quanto da motivazioni legate, ad esempio, alla maggiore ‘rapidità’
del servizio convenzionato.
Tra i criteri utilizzati dagli intervistati per la scelta prevale, in linea con i
dati Istat, quello della fiducia nutrita nella struttura (30,1%). Seguono le
questioni economiche (24%) e quelle di vicinanza spaziale (18,3%)34.
L’osservazione delle motivazioni per tipo di struttura frequentata
permette però di notare che a guidare la scelta verso il servizio pubblico sono
principalmente motivi di ordine economico e di fiducia, oltre alla vicinanza.
Le motivazioni cambiano invece sensibilmente prendendo in
considerazione le risposte di coloro che si sono rivolti ad una struttura
convenzionata: i ridotti tempi di attesa, la fiducia e la scelta di uno
specialista sono i motivi più indicati dagli intervistati. Anche tra coloro che
hanno optato per una soluzione privata le motivazioni restano pressoché
identiche, ma l’affidarsi ad uno specialista della struttura scelta diventa più
determinante. Infine, per quanto concerne le strutture private convenzionate
e non, sembra essere rilevante anche il consiglio ricevuto da una persona o
da un medico di fiducia.
Le pratiche di utilizzo dei servizi sanitari confermano, quindi, quanto
già detto in relazione alle preferenze tra pubblico e privato nella loro
gestione: sebbene il ruolo del soggetto pubblico resti forte, esso non
rappresenta l’unica soluzione possibile, soprattutto per quelle fasce di
popolazione meno vincolate dal punto di vista della disponibilità economica.
34
Relativamente all’indagine condotta dall’Istat, il secondo criterio di scelta corrisponde alla
vicinanza della struttura, il terzo ai tempi di attesa e il quarto all’aspetto economico. Sebbene
quindi vi siano delle variazioni, le motivazioni prevalentemente addotte non sono distanti da
quelle rilevate nella provincia di Forlì-Cesena.
216
I forlivesi-cesenati sono stati invitati anche a dichiarare la loro
soddisfazione rispetto ai servizi pubblici in generale e, in particolare, ai
servizi sanitari, per il lavoro e di assistenza sociale offerti sul territorio in cui
risiedono35.
Come mostrato dalla tabella 7.13, i servizi pubblici in generale
ottengono una piena sufficienza. Il giudizio più positivo è rivolto ai servizi
sanitari, mentre i giudizi espressi in relazione all’assistenza sociale e ai
servizi per il lavoro sono più bassi36.
Tab.7.13. Soddisfazione rispetto ai servizi presenti sul territorio
Media
Servizi pubblici in generale
6,85
Servizi sanitari
7,00
Servizi di assistenza sociale
6,33
Servizi per il lavoro
5,57
Dev. Std.
1,6
1,6
2,0
2,1
Se prendiamo in considerazione la soddisfazione espressa rispetto ai
servizi pubblici in generale, i dati a nostra disposizione mostrano una
situazione leggermente più positiva rispetto a quelli del 2010 provenienti
dall’indagine Gli italiani e lo stato di Demos e Pi37. La ricerca evidenzia,
infatti, un calo di soddisfazione a livello nazionale rispetto a tutti i servizi
pubblici, che sarebbero apprezzati solo dal 39% degli italiani.
Una situazione simile emerge rispetto alla sanità prendendo in
considerazione i dati relativi all’indagine Istat sulle condizioni di salute38: la
soddisfazione rispetto ai servizi sanitari rilevata nel 2005 si attestava a
livello nazionale ad un giudizio pari a 5,939.
35
Anche in questo caso il giudizio è stato espresso utilizzando una scala da 1 a 10. Per quanto
riguarda i servizi sanitari si fa riferimento agli ospedali, agli ambulatori e alla diagnostica. I
servizi di assistenza sociale comprendono i servizi di assistenza domiciliare, abitativa,
integrazione al reddito, sostegno alla genitorialità e l’assistenza socio-educativa; i servizi per
il lavoro si riferiscono alle attività dei Centri per l’impiego.
36
Per quanto concerne i servizi di assistenza sociale e i servizi per il lavoro hanno risposto
rispettivamente solo 312 e 229 persone poiché la maggior parte degli intervistati ha affermato
di non averne mai usufruito. Per una trattazione più approfondita dei servizi per il lavoro si
rimanda inoltre al capitolo 2 del presente rapporto. Relativamente ai servizi per l’impiego i
dati più recenti relativi alla regione Emilia-Romagna si riferiscono ad una ricerca condotta
dall’ISFOL nel 2004 da cui emerge che la soddisfazione degli utenti intervistati si fermava al
livello medio del 60,2, su una scala da 1 a 100. La ricerca è disponibile sul sito dell’ISFOL
www.isfol.it.
37
Demos e Pi, Gli italiani e lo stato, op. cit.
38
Istat, Condizioni di salute, fattori di rischio e ricorso ai servizi sanitari, op. cit, p.51
39
Una più recente ricerca del Censis, evidenzia che nell’area del Nord-Est ben il 45,6% degli
intervistati giudica la qualità degli ospedali e dei pronto soccorsi buona e il 39,7% sufficiente.
217
La lettura dei dati attraverso il genere non mette in evidenza differenze
particolarmente significative: gli scarti tra i voti femminili e quelli maschili
sono infatti molto limitati rispetto a tutti i servizi (cfr. tab. 7.14). Le donne
tendono comunque a dimostrarsi più soddisfatte degli uomini, tranne per
quanto concerne i servizi sanitari, rispetto ai quali appaiono più critiche.
Tab.7.14. Soddisfazione rispetto ai servizi presenti sul territorio. Confronto delle
medie per le principali variabili.
Servizi in
Servizi
Assistenza Servizi per
generale
sanitari
sociale
il lavoro
Sesso
Maschio
6,79
7,06
6,19
5,48
Femmina
6,90
6,94
6,45
5,66
Età
15-29 anni
30-49 anni
50-64 anni
65 anni e oltre
6,77
6,80
6,86
7,04
6,93
6,91
7,09
7,20
6,19
6,11
6,73
6,30
5,52
5,47
5,75
5,80
Distrettodi residenza
Forlì
Cesena-Valle Savio
Rubicone-Costa
6,93
6,73
6,82
7,18
6,98
6,70
6,14
6,57
6,31
5,07
5,83
6,06
Titolo di studio
Fino a licenza elementare
Licenza media o qualifica
Diploma
Laurea o post-laurea
6,96
6,76
6,93
6,77
7,13
7,00
6,94
7,06
6,22
6,42
6,14
6,57
5,11
5,55
5,93
5,14
Disponibilità economica familiare
Bassa
6,86
Media
6,81
Alta
6,82
7,02
7,02
6,90
6,16
6,60
6,21
5,34
5,88
5,74
Orientamento politico
Sinistra – Centro Sinistra
Destra –Centro Destra
7,30
6,71
6,52
6,18
6,08
5,48
Cfr. Censis, Aspettative e
www.salute.gov.it, 2010.
7,07
6,65
soddisfazione dei cittadini rispetto alla salute e alla sanità,
218
Anche le differenze anagrafiche non determinano variazioni notevoli,
sebbene le persone anziane si dimostrino mediamente più soddisfatte rispetto
alle altre fasce della popolazione e specificamente rispetto ai più giovani e ai
30-49enni. L’opinione rispetto ai servizi di assistenza sociale è invece
migliore tra coloro che hanno un’età compresa tra i 50 e i 64 anni.
L’analisi per distretto permette invece di notare opinioni assai differenti
in relazione alle diverse zone di residenza. I cittadini del distretto di Forlì
sono i più soddisfatti dei servizi in generale e dei servizi sanitari di cui
beneficiano, ma anche coloro che maggiormente lamentano l’inefficienza dei
servizi per il lavoro e quelli di assistenza sociale. L’attività dei Cpi è invece
maggiormente apprezzata a Cesena-Valle Savio e nel distretto di RubiconeCosta.
Sempre rispetto alla soddisfazione nei confronti dei servizi per il lavoro
sembra incidere anche il livello di istruzione: il parallelismo tra chi ha una
scolarizzazione molto bassa e chi possiede invece una laurea potrebbe
trovare una spiegazione nel fatto che queste due gruppi della popolazione,
corrispondendo ad una manodopera non qualificata o, all’opposto, molto
qualificata, sono proprio le categorie che con minor frequenza riescono a
trovare presso i Cpi offerte lavorative a loro corrispondenti e, dunque,
esprimono un grado di soddisfazione più contenuto.
La variabile economica non ha effetto sui giudizi espressi rispetto ai
servizi in generale e a quelli sanitari, ma influenza le opinioni relative
all'assistenza sociale e lo fa in modo particolare, evidenziando una similarità
di soddisfazione tra la fascia bassa e quella alta. Per quanto concerne i
servizi per il lavoro, sono coloro che dichiarano una minore disponibilità
economica a lamentarsi maggiormente della loro qualità.
Risultati significativi si ottengono inoltre comparando le medie rispetto
all’orientamento politico degli intervistati. I rispondenti che politicamente si
collocano a destra sono infatti più critici rispetto alla qualità di tutti i servizi
pubblici, confermando un orientamento tradizionalmente più favorevole al
mercato già emerso in relazione alle preferenze tra gestione pubblica e
privata dei servizi.
7.6 Rilievi di sintesi
L’indagine degli atteggiamenti e delle opinioni rispetto al concetto di
giustizia sociale di una popolazione va a toccare un ampio spettro di
tematiche che dal rapporto tra individuo e collettività arrivano alla
strutturazione dei servizi di welfare. Quello della giustizia sociale è inoltre
un tema che per essere compreso necessita di tenere conto di una pluralità di
elementi, tra cui le caratteristiche socio-demografiche e gli orientamenti
219
valoriali della popolazione, nonché le strutture sociali e istituzionali del
territorio di residenza.
Cercando di sintetizzare quanto trattato è possibile affermare che i
cittadini della provincia di Forlì-Cesena, rappresentati qui dal campione
oggetto di indagine, si dimostrano, dal punto di vista valoriale, orientati ad
una ‘soluzione mista’ per quanto riguarda l’idea del successo, il cui
raggiungimento è legato all’impegno personale tanto quanto a fattori non
controllabili dall’individuo.
Questa particolare concezione del successo ben si sposa con l’emergere
tra i forlivesi-cesenati di un’immagine di welfare in cui il soggetto pubblico
concede spazio alle soluzioni private promuovendo l’auto-attivazione
individuale, ma resta strategico o comunque importante in riferimento ad
alcuni servizi e settori di primaria necessità (salute, istruzione, assistenza alle
persone povere, assistenza ai non auto-sufficienti), che si rivolgono
primariamente a quelle fasce della popolazione in cui sono le condizioni e
non la mancanza di impegno a determinare la presenza di situazioni di
difficoltà (disabili, anziani, minori, disoccupati).
Nel rapporto tra individuo e collettività si rileva inoltre la tradizionale
presenza di due poli opposti, rispettivamente spostati verso la preminenza
del soggetto, del merito e dell’azione privata da un lato, e la centralità dei
vincoli collettivi, delle pratiche di redistribuzione e dell’attore pubblico
dall’altro.
Questa polarizzazione emerge in particolar modo rispetto
all’appartenenza politica, che appare una variabile fondamentale per la
lettura di tutti gli atteggiamenti legati ai diversi aspetti del tema della
giustizia sociale. È tuttavia interessante notare che tra i giovani – i quali
rappresentano, non a caso, la fascia della popolazione meno politicizzata emerge una parziale compresenza di elementi appartenenti ai due diversi
poli: in particolar modo l’attribuzione di centralità ai legami collettivi non
comporta un rifiuto verso una gestione dei servizi più aperta a soluzioni
private o miste, né verso l’idea che il singolo individuo debba attivarsi
maggiormente.
Sebbene la tendenza sia trasversale a tutta la popolazione
indipendentemente dalle caratteristiche considerate, sono di nuovo i giovani
a dimostrare maggior scontento rispetto alla tassazione ed è nelle fasce di età
più giovani che si rileva più criticità rispetto al funzionamento dei servizi
pubblici. Sembra emergere in questo gruppo una forte discrepanza tra il
welfare ‘attuale’ e quello ‘desiderato’, leggibile sia nella richiesta di più
interventi pubblici nei settori della cultura e a favore dei giovani, che nel
rifiuto a contribuire al sostegno del sistema di protezione sociale presente
attraverso ulteriori prelievi fiscali.
220
Infine, è possibile affermare che l’immagine generale che si ottiene da
questa ricerca è quella di una popolazione che domanda maggior attenzione
rispetto a tutti i servizi e maggiore equità nei confronti di tutte le categorie
sociali. Questa richiesta non si rivolge però solo al pubblico, ma si presenta
anche nell’auspicio di una maggiore responsabilità dei singoli e di
un’apertura di spazi di azione anche al privato, nella consapevolezza che per
fare davvero giustizia sociale sia indispensabile l’impegno di tutti.
221
8. Metodologia, strumenti di indagine e frequenze
relative
di Valerio Vanelli
8.1.
Premessa
Questo rapporto di ricerca rappresenta il risultato di un’indagine
promossa nell’anno 2009 dalla Provincia di Forlì-Cesena e commissionata al
Polo Scientifico-Didattico di Forlì dell’Università degli Studi di Bologna.
La ricerca – che si inserisce in una più ampia traiettoria di studi e
analisi condotte in questi anni dall’Osservatorio sul Welfare Locale della
Provincia in collaborazione con lo stesso Polo di Forlì – si è posta
l’obiettivo di rilevare le condizioni socio-economiche, gli stili di vita, le
aspettative di benessere e i comportamenti, gli atteggiamenti, le idee e le
percezioni dei residenti nella provincia di Forlì-Cesena in merito a una
pluralità di dimensioni: il lavoro, l’andamento dell’economia, il welfare, la
qualità della vita, la sicurezza, ecc., tutti temi declinati secondo le
articolazioni di cui si renderà conto nei prossimi paragrafi descrivendo il
questionario, le modalità di rilevazione e il campionamento.
8.2.
Il campionamento
Come accennato, i dati della presente ricerca sono il frutto di una
rilevazione campionaria, condotta su 835 persone di età compresa fra i 15 e i
74 anni e residenti nella provincia di Forlì-Cesena.
La procedura di campionamento ha previsto una stratificazione a tre
livelli, realizzata a partire dai dati delle liste anagrafiche di nove comuni
della provincia di Forlì-Cesena. A partire dai trenta comuni della provincia,
si è infatti proceduto a selezionarne nove, sulla base di parametri di tipo
tradizionale (il distretto socio-sanitario di appartenenza, le dimensioni, la
collocazione territoriale interna o costiera, ecc.) ma anche sulla base di
ulteriori ragionamenti, condotti anche assieme al gruppo di lavoro allargato
(Polo, Provincia, distretti), così da tenere conto di una molteplicità di aspetti
e della specifica realtà locale.
Si è così giunti alla selezione dei seguenti nove comuni:
222
per il distretto di Cesena-Valle Savio:
- Cesena,
- Sarsina;
per il distretto di Forlì:
- Forlì,
- Portico e San Benedetto,
- Predappio,
- Santa Sofia;
per il distretto Rubicone-Costa:
- Cesenatico,
- Savignano sul Rubicone,
- Sogliano al Rubicone.
Si tratta dei tre comuni capo-distretto e di altri sei comuni, distribuiti
fra gli stessi tre distretti in modo da garantire la rappresentatività degli stessi
rispetto alle dimensioni della popolazione e in modo da rispettare i criteri di
cui sopra: differenti dimensioni, distinzione fra comuni dell’interno e della
costa, ecc.
Si precisa che, complessivamente, i nove Comuni considerati
raccolgono il 70% della popolazione residente nella provincia di ForlìCesena.
Come evidenzia la tabella 8.1, si è deciso di utilizzare come variabili di
stratificazione: il territorio (distinzione dei tre distretti), il genere e l’età.
Pertanto, dopo aver suddiviso il territorio per le tre aree, all’interno di
ognuna area si è realizzato un campionamento stratificato, che assicura la
massima rappresentatività della popolazione in base alle variabili prescelte.
Il primo passaggio è stato dunque quello di individuare quali siano, fra
quelle prescelte, le variabili che mostrino una più elevata varianza interna, al
fine di non produrre eccessivi bias nella popolazione campionaria. In questo
specifico caso, si è osservato che la variabile del genere si mostra equidistribuita sia per età che per aree, non ponendo pertanto problemi di
distorsione. L’età, articolata in quattro classi, mostra una varianza
leggermente superiore a seconda dei territori, ma tramite la stratificazione
proporzionale per singolo distretto si è potuto
ovviare a questa
problematica: se per esempio, quindi, un’area presenta una più alta
incidenza della popolazione giovanile – come, nella fattispecie, il distretto
Rubicone-Costa – per questa la quota relativa ai giovani sarà più elevata,
riproducendo, di fatto, le caratteristiche della popolazione di riferimento e
garantendo pertanto la rappresentatività di quest’ultima.
223
Si è poi proceduto con il calcolo del peso che ogni singolo strato ha sul
totale della popolazione dell’universo di origine, per poi giungere alla
corrispettiva quota campionaria, presentata nella tabella 8.1.
Tab. 8.1. Ripartizione del campione per genere, età e distretto
Cesena - Valle
Forlì
Rubicone Costa
Savio
M
F
Tot M
F
Tot M
F
Tot
15-29
24
22
46
38
35
73
20
20
40
30-49
50
49
99
81
76 157
41
37
78
50-64
30
30
60
46
50
96
21
21
42
65-74
20
21
41
28
31
59
19
20
39
Totale 124 122 246 193 192 385 101
98 199
Totale provincia
M
82
171
97
68
418
F
78
162
101
71
412
Tot
159
334
198
139
830
Va inoltre precisato che se la quota campionaria, calcolata in proporzione
alla popolazione di riferimento secondo le modalità sopra descritte,
presentava un numero di casi inferiore a 20 (come ad esempio i maschi di
65-74 anni del distretto di Cesena-Valle Savio), si è proceduto ad alzare la
quota stessa a 20 unità, considerando questa numerosità come quella minima
ottimale per ciascuna quota1.
Si è giunti così ad un campione pari a 830 unità. Come già ricordato, si
sono realizzate in realtà 5 interviste in più, per un totale di 835, senza che
ciò possa minimamente distorcere il campione e, anzi, aumentando così la
numerosità dello stesso2.
Per individuare il numero di casi di ciascun comune, si è partiti dai dati
riportati nella tabella 8.1 relativi al numero di interviste da realizzare in
ciascun distretto, per procedere poi a ripartire questo numero di interviste
fra i comuni di ciascun distretto in base al peso relativo che ciascuno di essi
ha in termini di popolazione 15-74 anni (dati all’1.1.2009)3.
1
In conseguenza di ciò, rispetto all’universo di partenza, nel campione si registra un peso
leggermente più elevato – dunque una leggera sovra-rappresentazione – per i comuni del
distretto di Rubicone-Costa, a causa del fatto che il numero di casi attribuiti a questo distretto
è stato, nel suo complesso, leggermente aumentato, come effetto dell’incremento del numero
di casi di alcune quote, innalzate al minimo di 20 casi quando, appunto, presentavano una
numerosità inferiore.
2
Va precisato che già la numerosità inizialmente prevista di 830 casi garantiva di rispettare la
rappresentatività statistica dell’universo di riferimento per un livello di confidenza del 95%
(α= 0,05).
3
Così, ad esempio, se per il distretto di Cesena-Valle Savio è previsto – secondo quanto
riportato in tabella 8.1. – che siano realizzate 199 interviste, al comune di Cesena, che
raccoglie il 55,8% della popolazione di 15-74 anni residente nel distretto, sono attribuiti,
appunto, il 55,8% di 199 casi, ossia 111 e via dicendo per gli altri otto comuni nei diversi
distretti.
224
8.2.1. Selezione delle persone da intervistare
Giunti alla definizione dei comuni su cui procedere alla rilevazione e al
numero di casi da intervistare per ciascuna quota campionaria (comune,
sesso, età), si è proceduto a richiedere la lista anagrafica della popolazione
residente alle Anagrafi4 di ciascuno dei Comuni coinvolti nell’indagine5.
Partendo, per ognuno dei nove comuni, dalla lista anagrafica distinta
per quote campionarie (genere per fascia di età), si è proceduto
all’estrazione casuale di un numero di nominativi corrispondente a quello
previsto dallo stesso campionamento (i cosiddetti “nominativi ordinari” o
“titolari”) e, per ciascuno di questi, di quattro nominativi di riserva (c.d.
“riserve”). I nominativi ordinari rappresentavano i casi da intervistare in
prima battuta, mentre quelli di riserva dovevano essere contattati soltanto in
sostituzione di un nominativo ordinario che non si fosse riusciti a
intervistare per cause indipendenti dalla buona volontà dell’intervistatore
(mancata reperibilità della persona6, rifiuto insuperabile, impossibilità di
entrare in contatto con la persona pur tentando di recarsi a casa della stessa
in diverse occasioni e in ore diverse della giornata, ecc.)7.
8.3. Il questionario e la rilevazione
La rilevazione è stata condotta utilizzando un questionario strutturato,
predisposto dal gruppo di lavoro del Polo Scientifico-Didattico di Forlì in
accordo con i referenti della Provincia di Forlì-Cesena, composto da 97
domande. Si deve aggiungere che si è proceduto a una riduzione del numero
di domande, dal momento che la prima versione del questionario, sottoposta
ad alcuni pre-test, era risultata eccessivamente lunga, con il conseguente
rischio di un decadimento dell’attenzione e della collaborazione da parte
dell’intervistato. Esso è stato pertanto ridimensionato e, dopo ulteriori testpilota condotti su diversi testimoni rappresentativi di una casistica
diversificata di condizioni socio-demografiche differenti, è stato approvato
4
Si coglie l’occasione per ringraziare gli Uffici e i Servizi che hanno offerto la loro
collaborazione, rendendo possibile la presente indagine.
5
Si precisa che per il comune di Cesena, gli elenchi anagrafici della popolazione residente
sono stati gentilmente forniti dall’Azienda Usl di Cesena, cui va un ringraziamento per la
preziosa collaborazione.
6
Si sono ad esempio registrati casi di persone che, pur presenti nelle liste anagrafiche estratte,
al momento del contatto risultavano trasferite all’estero.
7
Sul punto si tornerà nei prossimi paragrafi.
225
nella sua versione definitiva, sempre in accordo con il gruppo di lavoro
allargato.
I quesiti, volti alla raccolta di informazioni e dati di tipo quantitativo in
linea con gli obiettivi conoscitivi della ricerca, sono principalmente a
risposte chiuse (a risposta unica o multipla), pur contemplando anche alcune
domande aperte.
Nella definizione del formulario è stata tenuta in considerazione la
necessità della comparabilità con le informazioni e i dati rilevati da altre
indagini di carattere nazionale ed europeo, per cui diversi quesiti sono stati
mutuati da altre indagini, a partire da quelle Istat.
Il questionario risulta articolato in dieci sezioni8. La prima è finalizzata
alla rilevazione delle principali caratteristiche socio-demografiche
dell’intervistato e del suo nucleo familiare, con un notevole grado di
approfondimento.
La seconda sezione considera il lavoro, guardando sia alle effettive
condizioni ed esperienze lavorative della persona sia ai suoi orientamenti
rispetto a questo tema.
La terza sezione raccoglie informazioni e opinioni in merito alla
condizione economica dell’intervistato e della famiglia, considerando il
particolare momento di congiuntura sfavorevole dell’economia globale e
tentando di raccogliere informazioni in merito all’impatto della crisi
economico-finanziaria sulla vita quotidiana dei cittadini di Forlì-Cesena.
La quarta sezione prende in considerazione un tema assai ampio e
articolato: la qualità della vita e la sicurezza così come percepita dagli
intervistati nel loro vivere quotidiano.
Con la quinta sezione si mira a rilevare e studiare gli orientamenti
valoriali dei cittadini in merito alla visione del futuro, alla fiducia verso le
altre persone e verso le istituzioni.
Si è poi voluta indagare a fondo, partendo dalle abituali indagini
condotte dall’Istat su questo tema, l’organizzazione del tempo nella vita
quotidiana degli intervistati.
Con la settima sezione si è poi considerato un tema sempre più attuale e
di grande rilevanza anche per i cittadini: l’immigrazione e l’interculturalità.
Con la successiva sezione, sono state rilevate le opinioni, le idee e le
pratiche di giustizia sociale degli intervistati, con particolare attenzione alle
politiche pubbliche, al sistema fiscale attuale, agli orientamenti su giustizia e
merito, ecc.
8
Si ricorda che in calce al presente capitolo sono presentate le distribuzioni di frequenza di
tutte le domande del questionario.
226
Infine, con la nona sezione, si è presa in esame la partecipazione
politica e quella associativa degli intervistati, per poi concludere l’intervista
sulla religiosità degli stessi.
Nel questionario era poi prevista una decima e ultima sezione da
compilarsi a cura dell’intervistatore, per registrare il ‘clima’ dell’intervista
(persone presenti, attenzione da parte dell’intervistato, ecc.), la durata della
stessa, ecc. – tutti aspetti di cui si deve tenere conto per valutare
l’affidabilità dei dati e delle informazioni raccolte.
In fase di analisi dei dati, si è proceduto alla costruzione di una serie di
indici utili all’approfondimento di aspetti e tematiche particolari. Gli indici
utilizzati solo in determinati capitoli verranno descritti in quella stessa sede;
vi sono, però, indici utilizzati in molti capitoli che appare utile richiamare
qui.
Indice di disponibilità economica familiare - Per avere un’indicazione
rispetto alle risorse economiche complessive familiari, si è proceduto alla
costruzione di un indice di disponibilità economica che tenesse conto sia del
reddito netto mensile, sia della numerosità della famiglia. Il reddito netto
mensile della famiglia è stato quindi diviso per il numero di componenti, che
è stato però ponderato in modo che all’aumentare dei componenti il peso di
ciascuno di loro fosse via via minore. Il dato così ottenuto rappresenta il
reddito pro-capite all’interno del nucleo familiare, a prescindere dall’età e
dalla condizione occupazionale dell’intervistato, da leggersi non in quanto
tale, ma come stima del livello di disponibilità economica della famiglia di
cui l'intervistato fa parte. La variabile continua così ottenuta è stata poi
trasformata in una categoriale a 3 modalità, per renderla di più facile lettura
ed utilizzo, evitando inoltre di dover utilizzare i valori cardinali, i quali non
hanno in realtà un significato intrinseco in questo caso, ma sono solo
indicatori del livello di benessere relativo della famiglia. Le tre modalità
sono le seguenti: ‘basso’ per un valore al di sotto dei 700 euro, ‘medio’ per
un valore da 701 a 1200 euro, ‘alto’ con un valore oltre i 1201 euro.
Indice di status culturale familiare – Al fine di descrivere il
background culturale dell’intervistato si è deciso di costruire un indice
sintetico incrociando i titoli di studio delle figure adulte all’interno del
nucleo familiare. La variabile continua così ottenuta è stata poi trasformata
in una categoriale a 3 modalità: ‘basso’ fino a licenza media , ‘medio’
almeno un membro con diploma e ‘alto’ almeno un membro con la laurea.
227
8.4.
La realizzazione delle interviste
I questionari sono stati somministrati agli intervistati faccia a faccia fra
l’aprile del 2010 e il luglio del 2011. Con una lettera inviata ad hoc dalla
Provincia di Forlì-Cesena il potenziale intervistato è stato preventivamente
avvisato della possibilità di essere contattato da appositi incaricati per
l’intervista.
La somministrazione è avvenuta ad opera di 65 intervistatori,
selezionati principalmente fra laureati e laureandi in discipline politicosociali nei poli scientifici della Romagna e adeguatamente formati ed istruiti
attraverso appositi incontri di briefing e formazione tenuti presso la facoltà
di Scienze politiche Roberto Ruffilli di Forlì9.
Dopo l’incontro iniziale, a ciascun intervistatore è stato consegnato
l’elenco dei casi da intervistare, a partire da quelli sopra definiti ‘titolari’,
eventualmente da sostituire con le relative ‘riserve’.
Come ipotizzabile e come frequente in tutti i casi in cui la rilevazione
preveda interviste faccia-a-faccia, che richiedono un certo impegno e una
certa disponibilità di tempo da parte dell’intervistato, la quota di nominativi
di riserva intervistati è piuttosto elevata, pari al 58%, mentre gli intervistati
appartenenti ai cosiddetti ‘titolari’ rappresentano il 42%10.
Le interviste hanno avuto una durata media di 60 minuti. In generale,
sono stati mediamente necessari circa due contatti per riuscire a fissare e
realizzare l’intervista11.
Poiché i dati forniti dalle anagrafi comunali non indicavano,
naturalmente, il numero di telefono, nella maggior parte dei casi gli
intervistatori sono riusciti a entrare in contatto con la persona da intervistare
recandosi direttamente al domicilio della stessa (56,5% dei casi), ma spesso
hanno comunque ritenuto opportuno cercare autonomamente il numero di
telefono (via elenco telefonico o ricerca web) e contattare il potenziale
intervistato, per presentarsi e prendere un appuntamento (con questa
9
Con questi incontri, si sono spiegate agli intervistatori le modalità sia di contatto con i
potenziali intervistati sia di conduzione dell’intervista (atteggiamento da tenere, criteri per la
registrazione delle risposte, ecc.), così da garantire omogeneità nella raccolta delle
informazioni ed evitare pertanto fraintendimenti e distorsioni.
10
Sul tema, cfr., tra gli altri, A. Bosio, «Grazie, no!»: il fenomeno dei non rispondenti, in
«Quaderni di sociologia», n. 40, 1996, pp. 31-44, R. Mannheimer (a cura di), I sondaggi
elettorali e le scienze politiche, Milano, FrancoAngeli, 1989, H. Schuman e S. Presser,
Questions and Answers in Attitude Surveys, New York, Academic Press, 1981, A. Marradi,
Concetti e metodi per la ricerca sociale, Firenze, Giuntina, 1980, M.C. Pitrone, Il sondaggio,
Milano, FrancoAngeli, 1980.
11
Il dato medio sopra riportato si riferisce alle persone effettivamente intervistate. Al numero
di contatti tentati dagli intervistatori vanno aggiunti anche quelli non andati a buon fine,
dunque relativi a tutte le persone (“titolari” o “riserve”) che non si sono riuscite a intervistare.
228
modalità, si sono riuscite a realizzare il 37% circa delle interviste). Nei
rimanenti casi sono state seguite altre vie, come le eventuali conoscenze
personali, soprattutto nei piccoli comuni, ecc.
8.4.
Controlli e qualità dei dati
Al fine di garantire l’affidabilità delle informazioni e dei dati raccolti,
prima di procedere alle elaborazioni e alle analisi alla base del presente
rapporto di ricerca sono stati condotti controlli su più livelli e nelle diverse
fasi dell’attività.
In primo luogo, si è mantenuto il contatto diretto continuo con gli
intervistatori per seguire l’effettiva e corretta realizzazione delle interviste.
In secondo luogo, in fase di inserimento dei dati nella matrice costruita
ad hoc in Spss (Statistical Package for Social Sciences), l’incaricato del
data entry ha in corso d’opera verificato, per quanto possibile, la plausibilità
e la congruenza delle risposte via via inserite.
Questi stessi controlli sono stati poi realizzati in maniera sistematica
una volta terminata la rilevazione e ottenuta la matrice dati completa,
ponendo attenzione a:
-
plausibilità dei dati, verificando che i valori inseriti non fossero
diversi da quelli previsti (c.d. wild codes / out of range);
rispetto dei filtri previsti dal questionario e congruenza delle
risposte, anche attraverso controlli incrociati su più variabili
considerate congiuntamente;
trattamento delle mancate risposte (missing values e non
pertinenti)12.
8.6 Le distribuzioni di frequenza
Si presentano di seguito le distribuzioni di frequenza delle risposte
fornite a ciascuna domanda del questionario, seguendone l’ordine previsto
dal formulario stesso.
Per ogni quesito, viene indicata la numerosità (‘N’), ossia il numero di
intervistati che hanno effettivamente risposto alla domanda. È su questo
numero che sono calcolati i valori percentuali riportati in questa sede. In
12
Si tratta degli abituali controlli preliminari da effettuare sulla matrice dati prima di
procedere alle analisi, ben descritti in P. Corbetta, Metodologia e tecniche della ricerca
sociale, Bologna, il Mulino, 1999, cap. 12.
229
alcuni casi, questi valori percentuali potrebbero differire leggermente da
quelli riportati nei singoli capitoli, soprattutto nel caso in cui vengano
presentati risultati di analisi bivariate e altre elaborazioni, che potrebbero
aver portato all’esclusione di alcuni casi dai calcoli.
Informazioni socio-demografiche
A. Comune di residenza (*)
Forlì
Portico – San Benedetto
Predappio
Santa Sofia
Cesena
Sarsina
Cesenatico
Savignano
Sogliano
Totale
N
%
42,4
0,4
2,4
1,4
28,3
1,2
13,3
9,0
1,6
100,0
835
Note:
(*): Informazione già a disposizione dell’intervistatore di cui è stata domandata esclusivamente conferma
1. Dove è nato/a?
Provincia di Forlì-Cesena
Provincia di Ravenna o Rimini
In un’altra provincia dell’Emilia-Romagna (Pc, Pr, Re, Mo, Bo, Fe)
In una regione dell’Italia Nord-Occidentale (Val d’Aosta, Piemonte, Liguria,
Lombardia)
In un’altra regione dell’Italia Nord-Orientale (Friuli Venezia
Giulia,Veneto,Trentino Alto Adige)
In una regione dell’Italia centrale (Toscana, Umbria, Marche, Lazio)
In una regione dell’Italia meridionale (Campania, Molise, Puglia, Basilicata,
Calabria, Abruzzo)
In una regione dell’Italia insulare (Sardegna, Sicilia)
Estero (specificare Stato di nascita: _________________________ )
Totale
N
%
73,1
4,0
2,0
1,7
1,3
1,7
5,4
,8
9,9
100,0
830
230
1a. Se nato all’estero, specificare Paese di nascita (% ordine decrescente)
Albania
Romania
Marocco
Cina
Polonia
Bielorussia
Svizzera
Tunisia
Ucraina
Argentina
Burkina Faso
Colombia
Cuba
Moldova
Rep. Dominicana
Russia
Algeria
Belgio
Cile
Costa d'Avorio
Ecuador
Filippine
Francia
Germania
Grecia
Nigeria
Senegal
Spagna
Totale
N
%
16,0
16,0
9,9
6,2
4,9
3,7
3,7
3,7
3,7
2,5
2,5
2,5
2,5
2,5
2,5
2,5
1,2
1,2
1,2
1,2
1,2
1,2
1,2
1,2
1,2
1,2
1,2
1,2
100,0
81
2. Da quanto tempo risiede in questo comune?
Dalla nascita
Da quando ero bambino (al massimo 10 anni)
Da meno tempo
Totale
N
%
62,7
6,6
30,7
100,0
818
3.1a. Sesso dell’intervistato
Maschio
Femmina
Totale
N
%
51,4
48,6
100,0
835
231
3.1b. Età dell’intervistato
15-19
20-24
25-29
30-34
35-39
40-44
45-49
50-54
55-59
60-64
65-69
70 e oltre
Totale
N
%
5,6
6,6
7,4
9,7
11,2
9,4
10,1
6,8
8,4
8,2
8,0
8,6
100,0
834
Note:
Domanda aperta, aggregata in classi in questa sede a fini di presentazione.
3.1c. Titolo di studio dell’intervistato
Nessun titolo
Licenza elementare
Licenza media inferiore/avviamento
Diploma qualifica professionale (2-3 anni)
Diploma maturità
Laurea triennale o diploma universitario (3 anni)
Laurea vecchio ordinamento o laurea specialistica o post-lau
Totale
N
%
1,4
10,3
25,4
9,4
33,6
4,6
15,3
100,0
828
3.1d. Status economico dell’intervistato
Reddito lavoro dipend
Reddito lavoro autonomo
Pensione
Indennità e provvidenze varie
Redditi patrimoniali
Non produce un proprio reddito
Totale
N
%
46,1
14,0
20,4
0,8
0,4
18,3
100,0
826
232
4a. Ora Le leggerò alcuni eventi che possono caratterizzare la vita di una persona. Nel caso
si siano già realizzati anche per Lei, può indicarmi la loro successione nel corso della sua
vita? In quale anno ha terminato gli studi?
%
Da oltre 20 anni
58,5
Da 11-20 anni
15,0
Da 10-5 anni
9,2
Da meno di 5 anni
5,2
Non ancora realizzato
12,1
Totale
100,0
N
807
Note:
Domanda aperta, aggregata in classi in questa sede a fini di presentazione.
4b. In quale anno ha trovato il suo primo lavoro (esclusi i “lavoretti” occasionali fatti da
ragazzo o durante le vacanze)?
%
Da oltre 20 anni
55,4
Da 11-20 anni
16,4
Da 10-5 anni
10,0
Da meno di 5 anni
5,9
Non ancora realizzato
12,3
Totale
100,0
N
818
Note:
Domanda aperta, aggregata in classi in questa sede a fini di presentazione.
4c. In quale anno ha lasciato la casa dei suoi genitori per andare a vivere da solo oppure
con altre persone?
%
Da oltre 20 anni
43,4
Da 11-20 anni
16,5
Da 10-5 anni
9,9
Da meno di 5 anni
5,3
Non ancora realizzato
24,9
Totale
100,0
N
819
Note:
Domanda aperta, aggregata in classi in questa sede a fini di presentazione.
4d. In quale anno si é sposato o é andato a convivere per la prima volta?
Da oltre 20 anni
Da 11-20 anni
Da 10-5 anni
Da meno di 5 anni
Non ancora realizzato
Totale
N
%
43,8
13,0
8,5
5,4
29,3
100,0
826
Note:
Domanda aperta, aggregata in classi in questa sede a fini di presentazione.
233
4e. [Se ha figli] In quale anno ha avuto il primo figlio?
Da oltre 20 anni
Da 11-20 anni
Da 10-5 anni
Da meno di 5 anni
Non ancora realizzato
Totale
N
%
37,0
10,4
6,9
4,7
41,0
100,0
824
Note:
Domanda aperta, aggregata in classi in questa sede a fini di presentazione.
4f. In quale anno ha acquistato la sua prima casa di proprietà?
Da oltre 20 anni
Da 11-20 anni
Da 10-5 anni
Da meno di 5 anni
Non ancora realizzato
Totale
N
%
26,5
11,4
8,4
4,9
48,8
100,0
819
Note:
Domanda aperta, aggregata in classi in questa sede a fini di presentazione.
5. Per quale motivo ha lasciato la casa dei genitori la prima volta?
Convivenza (unione libera)
Matrimonio
Lavoro
Studio
Per esigenze di autonomia/indipendenza
Decesso del genitore
Altro
Totale
N
%
10,0
59,7
8,2
8,2
10,2
1,3
2,4
100,0
620
6. [Se sono presenti minori nel nucleo familiare] Chi si occupa di loro, al di là del tempo
scuola o di servizi a pagamento?
Sì
No
Totale
N
Solo la madre
13,8
86,2
100,0
581
Solo il padre
3,5
96,5
100,0
581
Madre e padre
80,7
19,3
100,0
576
Nonni
53,1
46,9
100,0
581
Altri parenti
19,4
80,6
100,0
582
Vicini di casa / amici
9,1
90,9
100,0
581
Altro (ad es. “Nessuno in particolare”)
6,7
93,3
100,0
582
234
7. Nella sua rete parentale sono presenti anziani non autosufficienti o non del tutto
autosufficienti o adulti non autosufficienti?
%
Sì
22,4
No
77,6
Totale
100,0
N
799
8. [Se Sì] (Queste persone non auto-sufficienti) fanno parte del nucleo familiare in cui vive
attualmente?
%
Sì
24,4
No
75,6
Totale
100,0
N
176
9. [Se Sì (riferito alla dom. 7] Chi si occupa di loro?
Sì
Servizi pubblici
21,4
Assistenza privata
38,1
Figlia/e
61,9
Figlio/i
29,3
Moglie / marito (del non autosufficiente)
33,3
Altri parenti
27,9
Vicini di casa /amici
2,4
Altro
8,6
No
78,6
61,9
38,1
70,7
66,7
72,1
97,6
91,4
Totale
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
N
42
42
42
41
42
43
42
35
10. La sua famiglia si avvale del servizio a pagamento di (una risposta per ogni riga):
Sì
No
Totale
N
Per quante ore a settimana?
a. Collaboratore domestico
13,8 86,2
100,0 824 n. ore (media risposte): 7,4 ore/settimana
% saltuariamente: 40,6%
b. Baby sitter
2,0 98,0
100,0 816 n. ore(media risposte): 9,8 ore/settimana
% saltuariamente: 75,0%
c. Persona assistente anziano o
6,3 93,7
100,0 816 n. ore (media risposte): 46,4 ore/settimana
disabile (che viva o meno nel
% saltuariamente: 31,9%
nucleo familiare intervistato)
11. La sua famiglia può contare, in caso di necessità, sull’aiuto di persone non conviventi?
Sì
No
Totale
N
Parenti
79,9
20,1
100,0
831
Amici
61,6
38,4
100,0
831
Vicini
36,1
63,9
100,0
831
Persone appartenenti a una associazione volontariato
13,0
87,0
100,0
831
Altre persone
2,1
97,9
100,0
831
235
12. Nelle ultime 4 settimane ha fornito gratuitamente a persone (parenti e non) che non
vivono con lei qualcuno dei seguenti aiuti? (possibili più risposte per riga)
Non parenti
Parenti
(% risp.
(% risp.
affermative) affermative)
Aiuto economico
13,5
10,5
Prestazioni sanitarie (iniezioni, medicazioni, ecc.)
9,9
7,3
Accudimento, assistenza adulti (aiuto a lavarsi, mangiare, ecc.)
9,9
4,7
Accudimento, assistenza bambini
15,1
6,2
Aiuto in attività domestiche anche non nella casa della persona
17,5
5,4
aiutata (lavare, stirare, fare la spesa, preparare i pasti, ecc.)
Compagnia, accompagnamento, ospitalità
15,1
11,4
Espletamento pratiche burocratiche (andare in posta, banca, ecc.)
9,1
9,1
Aiuto nell’esecuzione di lavoro extra-domestico
9,1
5,9
Aiuto nello studio
6,7
6,9
Aiuto sotto forma di cibo, vestiario, ecc.
6,9
18,1
Altro
0,4
4,8
13. Dove abitano i genitori suoi ed eventualmente del suo partner?
(se i genitori risultano separati, fare riferimento al genitore con cui si hanno maggiori relazioni)
Insieme a lei
In un altro appartamento dello stesso caseggiato
Nello stesso comune…
…entro 1 km.
…nel resto del comune
In un altro comune in Italia distante…
…meno di 16 km.
…16-50 km.
…più di 50 km.
All’estero
Deceduti
Totale
N
Suo/suoi genitori
23,6
6,8
Genitore/i del partner
2,9
7,4
9,4
13,9
9,6
19,9
5,1
3,3
5,7
6,1
7,9
3,9
8,5
5,9
26,1
100,0
823
34,2
100,0
544
14. La casa in cui vive è:
In affitto o subaffitto
Di proprietà
In usufrutto/In uso gratuito
Totale
N
%
15,3
72,1
12,6
100,0
831
236
15. [Per chi è in affitto] Quanto paga di affitto al mese lei/la sua famiglia (escluse le spese di
condominio, di riscaldamento e altre spese accessorie)?
%
Massimo 400 Euro
23,8
401-600 Euro
60,6
Oltre 600 Euro
15,6
Totale
100,0
N
122
Note:
Domanda aperta, aggregata in classi in questa sede a fini di presentazione.
16. [Per chi è in affitto] Ha intenzione di comprare casa nei prossimi due anni?
Sì
No
Totale
N
%
32,2
67,8
100,0
122
Il lavoro: esperienze e orientamenti
17. Lei attualmente ha un lavoro, cioè svolge una attività lavorativa?
Sì
No
Totale
N
%
61,2
38,8
100,0
835
18. [Se non occupato] In quale delle seguenti condizioni Lei si trova?
Pensionato/a o ritirato/a dal lavoro
Casalinga
Studente
Disoccupato/a
Cassa integrazione guadagni, lista di mobilità
Congedo lavorativo di legge
In cerca di prima occupazione
Inabile al lavoro
Altro
Totale
N
%
49,7
15,3
21,9
8,3
1,7
0,7
1,0
0,7
0,7
100,0
301
237
19. [Se occupato] Qual è la Sua professione?
%
Lavoratore dipendente
Dirigente
Funzionario/quadro
Insegnante
Impiegato di concetto
Impiegato esecutivo
Operaio specializzato
Operaio generico
Totale lavoratori dipendenti
2,6
5,6
3,6
15,5
15,1
13,8
15,0
71,2
Lavoratore autonomo
Imprenditore
Artigiano
Titolare di esercizio commerciale
Libero professionista (iscritto ad un albo)
Altro autonomo (coadiuv., socio coop. Autonomo, contratto di associaz. in partecipaz.)
Totale lavoratori autonomi
4,4
4,6
3,6
7,4
4,4
24,4
Collaborazione coordinata e continuativa
Collaborazione occasionale
Lavoro senza contratto o non regolamentato
Totale
N
1,4
1,0
2,0
100,0
501
20
[Se Sì] Qual è il lavoro, la professione o il mestiere che lei svolge attualmente? (es.:
commercialista, professore di lettere, camionista, ecc.). Lo descriva nel modo più
dettagliato possibile evitando termini generici come impiegato od operaio.
Specificare (e specificare anche se trattasi di pensionato che lavora):
__________________________________________________________________________
__________________________________________________________________________
21. [Se Sì] Quanto tempo dedica mediamente alla settimana all’attività lavorativa (per le
persone che svolgono un’attività lavorativa occasionale fare riferimento ad una settimana di
lavoro tipo):
%
Meno di 20 ore/settimana
4,4
20-28 ore/settimana
9,0
29-36 ore/settimana
19,0
37-48 ore/settimana
50,2
49 e oltre ore/settimana
17,4
Totale
100,0
N
500
Note:
Domanda aperta, aggregata in classi in questa sede a fini di presentazione.
N. ore (media risposte): 39,75 ore/settimana
238
22. [Per chi risulta occupato dipendente] Lei ha un contratto a tempo indeterminato o a
tempo determinato?
%
A tempo indeterminato
73,8
A tempo determinato (compresi apprendisti, ecc.)
26,2
Totale
100,0
N
355
23. [Per chi risulta occupato dipendente] Lei ha un contratto di lavoro part time?
Sì
No
Totale
N
%
18,2
81,8
100,0
314
24. [Se Sì] Per quale tra questi motivi lavora part time?
Non ho trovato un lavoro a tempo pieno
Studio o seguo corsi di formazione professionale
Per prendermi cura dei figli, di bambini e/o altre persone non autosufficienti
Altri motivi familiari (esclusa cura dei figli o di altre persone)
Svolgo un secondo lavoro
Per avere a disposizione più tempo libero
Altri motivi (ad es. motivi di salute – specificare)
Totale
N
%
28,6
12,5
33,9
1,8
7,1
12,5
3,6
100,0
56
25. [Se lavoratore dipendente o ex lavoratore dipendente] Lei lavora/lavorava nel settore
pubblico o nel settore privato?
%
Pubblico
22,0
Privato
78,0
Totale
100,0
N
537
239
26. [Per tutti gli occupati o ex occupati] In quale settore economico di attività
lavora/lavorava?
%
Agricoltura, caccia, pesca
9,4
Estrazione, energia
1,2
Industria e attività manifatturiere
21,3
Costruzioni
5,6
Commercio all’ingrosso e al dettaglio
11,4
Alberghi e ristoranti
4,9
Trasporti, magazzinaggio e comunicazioni
3,3
Intermediazioni monetarie e finanziarie
4,9
Attività immobiliari, noleggio, informatica, ricerca,altre attività prof.li o imprenditoriali
3,3
Pubblica amministrazione e difesa
5,1
Istruzione
5,4
Sanità ed altri servizi sociali
8,4
Altri servizi
15,8
Totale
100,0
N
691
27. [Per tutti] Può dirmi qual è approssimativamente l’attuale reddito netto mensile da
lavoro e/o da pensione della sua famiglia?
%
1,3
3,2
4,0
9,6
9,1
8,0
6,1
7,8
14,9
14,0
11,2
6,2
1,9
1,8
0,4
0,1
0,4
100,0
792
Meno di 600 euro
Fra i 600 e gli 800 euro
Fra gli 801 e i 1000 euro
Fra i 1.001 e i 1.200 euro
Fra i 1.201 e i 1.400 euro
Fra i 1.401 e i 1.600 euro
Fra i 1.601 e i 1.800 euro
Fra i 1.801 e i 2.000 euro
Fra i 2.001 e i 2.500 euro
Fra i 2.501 e i 3.000 euro
Fra i 3.001 e i 4.000 euro
Fra i 4.001 e i 5.000 euro
Fra i 5.001 e i 6.000 euro
Fra i 6.001 e i 7.000 euro
Fra i 7.001 e i 9.000 euro
Fra i 9.001 e i 10.000 euro
Più di 10.000 euro
Totale
N
28. [Per tutti] Lei attualmente sta cercando attivamente un lavoro?
Sì
No
Totale
N
%
10,8
89,2
100,0
825
240
29. [Se Sì] Nelle ultime 4 settimane ha fatto qualcuna delle seguenti azioni di ricerca di
lavoro?
Sì
No
Totale N
Ha avuto contatti con un centro pubblico per l’impiego
54,7 45,3 100,0 86
per cercare lavoro
Ha sostenuto un colloquio di lavoro, una selezione presso 41,9 58,1 100,0 86
privati
Ha sostenuto prove scritte e/o orali concorso pubblico
9,4
90,6 100,0 85
Ha inviato domanda per partecipare a concorso pubblico
20,0 80,0 100,0 85
Ha esaminato offerte di lavoro sui giornali
72,9 27,1 100,0 85
Ha messo inserzioni sui giornali o ha risposto ad annunci 35,3 64,7 100,0 85
Ha fatto una domanda di lavoro o ha inviato/consegnato
71,8 28,2 100,0 85
un curriculum a privati
Si è rivolto a parenti, amici, conoscenti, sindacati per
64,0 36,0 100,0 86
trovare lavoro
Ha cercato lavoro su Internet
61,0 39,0 100,0 82
Ha avuto contatti con una agenzia interinale o con una
100,0 85
struttura di intermediazione (pubblica o privata) diversa
40,0 60,0
da un Centro pubblico per l’impiego
Ha cercato terreni, locali, attrezzature per avviare una
4,7
95,3 100,0 85
attività autonoma
Ha chiesto permessi, licenze, finanziamenti per avviare
2,4
97,6 100,0 85
una attività autonoma
Ha svolto altre azioni di ricerca di lavoro, non comprese
12,9 87,1 100,0 85
tra quelle precedenti
Altro
7,7
92,3 100,0 52
30. [Per chi alla domanda precedente ha dichiarato di essersi rivolto al CpI]
Era la prima volta che si recava al Centro per l’Impiego?
Sì
No
Totale
N
%
47,7
52,3
100,0
44
31. Attraverso quali canali è giunto a conoscenza del/ha deciso di recarsi al Centro per
l’Impiego?
%
Amici e conoscenti
39,9
Famiglia
15,6
Scuola
6,7
Ente di formazione professionale
Giornali/riviste/pubblicità
8,9
Sindacati
13,3
Altro
15,6
Totale
100,0
N
45
241
32. Per quale motivo si è recato al Centro per l'Impiego?
Per avere informazioni su opportunità occupazionali, anche per quelle all’estero
Per avere informazioni su corsi di Formazione professionale
Per apprendere tecniche di ricerca lavoro (CV, ecc.)
Per essere orientato nella scelta del mio percorso formativo/professionale
Per avere informazioni sulla legislazione del lavoro
Per leggere annunci e offerte di lavoro / consultare materiali su lavoro e formazione
Per avere informazioni sui concorsi pubblici
Per fare un tirocinio formativo
Per utilizzare i servizi amministrativi
Altro
Totale
N
%
47,6
7,1
9,5
4,8
2,4
23,8
2,4
2,4
100,0
42
33. Quanto sono importanti i seguenti aspetti del lavoro per lei? Esprima un giudizio per
ciascuno dei seguenti aspetti, utilizzando una scala da 1 (Per niente importante) a 5 (Molto
importante)
1 – Per
2
3
4
5Totale N
niente
Molto
Lo stipendio, il reddito
1,1 2,2 17,1 34,0
45,6 100,0 818
Le condizioni ambientali di lavoro
3,3 10,8 22,0 30,3
33,6 100,0 818
(rumori, ergonomia, ecc.)
Rapporti con i colleghi di lavoro
1,6 3,8 15,3 32,5
46,8 100,0 818
Rapporti con i superiori, i capi
3,9 4,6 18,4 30,6
42,5 100,0 804
La possibilità di far carriera
9,3 13,3 29,3 23,3
24,8 100,0 817
La possibilità di imparare cose nuove ed
3,4 6,5 13,7 25,2
51,2 100,0 820
esprimere le proprie capacità
L'orario di lavoro
4,7 9,6 26,2 27,1
32,4 100,0 816
La possibilità di viaggiare molto
26,4 21,6 22,2 12,9
16,9 100,0 815
La sicurezza del posto di lavoro (intesa
2,0 4,4 12,6 20,9
60,1 100,0 809
come dimensione contrattuale)
La compatibilità con carichi familiari
3,6 9,2 22,3 27,7
37,2 100,0 808
La possibilità di avere tempo libero
4,1 9,6 26,4 27,8
32,1 100,0 812
Distanza fra il luogo di lavoro e
9,3 14,2 30,7 24,2
21,6 100,0 815
l’abitazione
242
34. [Per i soli occupati] Con che frequenza le è capitato / le capita di trovarsi nelle seguenti
condizioni/situazioni?
1–
2–
3 – Più 4 – Più
5–
Totale
Mai
Raravolte
volte al Più volte
mente
l’anno
mese
settimana
Sono arrivato a casa dal
lavoro talmente stanco da
25,5
20,7
19,3
13,8
100,0
20,7
non essere in grado di
svolgere i lavori di casa
È stato per me difficile
rispondere
alle
mie
responsabilità in famiglia a
34,8
34,4
17,5
9,7
3,6
100,0
causa
dell’eccessivo
impegno sul lavoro
È stato per me difficile
concentrarmi sul lavoro a
37,9
36,0
17,3
6,4
2,4
100,0
causa delle responsabilità e
dei problemi in famiglia
Condizione economica e risparmio
35. Tenendo conto di tutti i redditi disponibili, la sua famiglia alla fine del mese…
Deve fare debiti
Non è costretta a fare debiti, ma deve prelevare dai risparmi
Riesce a fare quadrare il bilancio
Non ha problemi di bilancio
Totale
N
%
5,3
18,8
55,6
20,3
100,0
831
36. La sua famiglia è riuscita a risparmiare negli ultimi 12 mesi?
Sì
No
Totale
N
%
43,4
56,6
100,0
822
37. Utilizzate forme di credito al consumo (es. carte di credito, rate, carte revolving, ecc.)?
%
Sì
58,5
No
41,5
Totale
100,0
N
825
243
N
493
497
497
38. Rispetto all’anno scorso, quali delle seguenti rinunce o comportamenti la sua famiglia ha
adottato in un’ottica di risparmio?
1 – Per
2
3
4
5Non
Totale N
niente
Molto utilizza
Ha adottato comportamenti
11,4 11,4 23,7 18,0
33,9
1,6 100,0 832
volti a ridurre i consumi
energetici
Ha ridotto gli acquisti al di
19,6 12,9 21,8 15,3
27,5
2,9 100,0 831
fuori dei periodo di saldi e
delle offerte
Ha rinunciato a qualche
32,4 10,6 13,3
9,9
18,5
15,3 100,0 828
acquisto importante già
deciso (auto, casa, ecc.)
Ha ridotto le spese per viaggi
24,4 11,0 14,6 11,3
24,0
14,7 100,0 824
e vacanze
Ha ridotto le spese per hobby
27,9 13,4 17,4 13,1
18,4
9,8 100,0 826
e tempo libero (es. pay tv,
libri, ristorante, teatro, ecc.)
12,8
6,9 100,0 829
Ha ridotto le uscite con amici
36,3 15,7 17,1 11,2
e parenti
Ha rinunciato ad avvalersi di
17,3
1,9
2,5
1,8
3,0
73,5 100,0 830
personale di sostegno (ad es.,
colf o baby-sitter)
7,7
9,3
2,8 100,0 828
Ha cambiato i punti vendita
53,0 13,3 13,9
dove acquista
39. Parlando dell’attuale situazione economica, mi può indicare, su una scala da 0 a 10,
quanto si sente preoccupato delle conseguenze che questa crisi potrebbe avere per lei/per la
sua famiglia?
%
0 – Per nulla
1,6
1
2,0
2
3,1
3
3,4
4
4,4
5
12,8
6
10,0
7
18,8
8
19,9
9
8,9
10 – Molto
15,1
Totale
100,0
N
834
244
40. Facendo riferimento alla situazione economica sua o della sua famiglia, in una scala da
0 a 10 in cui 5 equivale a “Né ricca, né povera”, come la definirebbe?
%
0 – Molto povera
0,7
1
0,4
2
1,6
3
3,7
4
11,1
5
41,2
6
21,9
7
15,4
8
3,5
9
0,5
10 – Molto ricca
Totale
100,0
N
832
41. Se ampliasse la visuale comprendendo il sostegno della rete parentale (nonni, genitori,
fratelli), quale posizione sceglierebbe?
%
0 – Molto povera
0,2
1
0,6
2
1,0
3
3,6
4
10,0
5
35,8
6
22,7
7
18,0
8
6,3
9
1,6
10 – Molto ricca
0,2
Totale
100,0
N
824
Vita quotidiana, sicurezza e qualità della vita
42. Pensi alla questione della microcriminalità (scippi, borseggi, piccoli furti, vandalismi).
Lei come definirebbe la situazione in Italia rispetto a questo fenomeno?
%
Per nulla pericolosa
1,4
Poco pericolosa
17,3
Abbastanza pericolosa
61,4
Molto pericolosa
19,9
Totale
100,0
N
830
245
43. E come definirebbe la situazione della microcriminalità nel comune in cui vive?
Per nulla pericolosa
Poco pericolosa
Abbastanza pericolosa
Molto pericolosa
Totale
N
%
10,5
52,2
32,8
4,5
100,0
827
44. A suo parere, negli ultimi 12 mesi, il rischio che lei corre di cadere vittima di un crimine
nella zona in cui risiede è aumentato, rimasto uguale o diminuito?
%
Diminuito
1,6
Rimasto uguale
64,3
Aumentato
34,1
Totale
100,0
N
833
45. Pensando agli ultimi 12 mesi, è capitato a lei direttamente o ad un suo familiare, amico o
parente di subire uno dei reati che ora le elencherò nella zona in cui risiede? Ad esempio,
nell’ultimo anno, le è capitato che…:
Sì, mi è
No, ma è No, non è
Non
Totale
capitato capitato a capitato né possiedo
qualcuno
a me né a
un’autoche
qualcuno
mobile
conosco
che
conosco
le abbiano rubato l’automobile
2,8
16,6
75,4
5,2
100,0
siano entrati i ladri nella sua
10,4
37,5
52,1
100,0
abitazione
qualcuno le abbia rubato delle
cose (come ad es. il portafoglio)
15,7
23,2
61,1
100,0
senza che lei se ne sia accorto
qualcuno l’abbia derubata
(strattonandola o minacciandola
1,6
7,7
90,7
100,0
con un’arma)
qualcuno l’abbia aggredita o
1,2
5,5
93,3
100,0
malmenata
246
N
832
826
832
832
833
46. Ora le leggerò un elenco di questioni presenti in alcuni comuni italiani. Per ciascuna,
vorremmo sapere quanto è grave/inadeguata, a suo parere, nel suo comune? (fornire una
risposta per ogni riga utilizzando la scala da 1 a 5 dove 1 = Per niente grave e 5 = Molto
grave)
1- Per
2
3
4
5Totale
N
niente
Molto
grave/ina
grave/
deguata
inadeguata
Disoccupazione
2,9
15,3
30,6
26,3
25,0
100,0 829
Droga
3,9
17,0
34,6
25,0
19,5
100,0 820
Inquinamento
6,3
27,7
32,0
19,5
14,5
100,0 830
Corruzione politica
12,1
23,0
28,6
14,3
22,0
100,0 813
Traffico
8,9
23,0
31,0
23,6
13,5
100,0 827
Grado di pulizia degli spazi
20,4
30,6
27,4
15,2
6,4
100,0 828
pubblici (strade, parchi, ecc.)
Costo abitazioni (acquisto)
1,7
10,7
26,6
28,1
32,9
100,0 819
Offerta scolastico/formativa
18,3
28,6
32,5
13,4
7,2
100,0 789
Offerta ricreativo-culturale
15,6
29,4
32,4
15,0
7,6
100,0 806
Illuminazione strade
21,0
30,8
28,2
14,3
5,7
100,0 827
Condizioni pavimentazione strade
9,4
21,4
30,3
22,0
16,9
100,0 823
47. A suo avviso, l’abitazione in cui lei vive come è servita dai mezzi pubblici locali?
È scarsamente servita
È servita a sufficienza
È ben servita
Totale
N
%
24,5
40,2
35,3
100,0
829
48. Lei utilizza i trasporti pubblici locali?
%
Tutti i giorni
Più volte a settimana
Qualche volta
Raramente
Mai
Totale
N
7,9
7,8
14,9
20,0
49,4
100,0
835
49. [Se alla precedente domanda ha risposto ‘Qualche volta’, ‘Raramente’ o ‘Mai’] Perché?
%
Non li ritengo fruibili a causa dei costi
0,1
Non li ritengo efficienti
7,8
Li ritengo scomodi, preferisco i mezzi privati
53,7
Non mi servono perché devo fare spostamenti assai brevi, che posso fare a piedi
26,0
Altro
12,4
Totale
100,0
N
696
247
50. In generale, quale grado di raggiungibilità hanno i seguenti servizi per lei o la sua
famiglia? (fornire una risposta per ogni riga utilizzando la scala da 1 a 5 dove 1 = Nessuna
difficoltà e 5 = Massima difficoltà)
1–
2
3
4
5–
Totale
N
Per
Molto
niente
diffidifficolcoltoso
toso
Farmacia
65,7 21,6
9,0
2,4
1,3 100,0 832
Pronto soccorso
23,9 29,5 24,2 15,4
7,0 100,0 832
Ambulatori
39,1 32,2 20,6
6,4
1,7 100,0 833
Ufficio postale
49,7 27,8 17,3
4,1
1,1 100,0 832
Uffici comunali
25,8 27,3 29,1 13,2
4,6 100,0 831
Nido e scuola d’infanzia
50,7 29,3 16,0
2,4
1,6 100,0 758
Scuola elementare
53,3 29,8 13,3
2,6
1,0 100,0 769
Scuola media inferiore
41,9 31,9 20,5
4,4
1,3 100,0 767
Scuola secondaria superiore
25,4 29,4 28,3 12,8
4,1 100,0 775
Negozi di generi alimentari, mercati
61,9 26,5
9,1
2,0
0,5 100,0 831
Supermercati, ipermercati, ecc.
50,1 26,8 16,0
5,5
1,6 100,0 831
51. Quanto è d’accordo con ciascuna delle seguenti affermazioni riguardanti la provincia di
Forlì-Cesena? (fornire una risposta per ogni riga utilizzando la scala da 1 a 5 dove 1 = Per
niente d’accordo e 5 = Completamente d’accordo)
1- Per
2
3
4
5 – Del Totale
niente
tutto
È un’area ricca di vitalità e innovazione
13,5 22,4 41,9 15,3
6,9
100,0
È un’area ancora a misura d’uomo
4,3 13,0 25,2 32,3
25,2
100,0
È un’area dove c’è molta solidarietà sociale
8,6 23,7 38,6 20,7
8,4
100,0
È un’area troppo ancorata al proprio passato
16,7 26,8 29,0 16,1
11,4
100,0
È un’area di benessere diffuso, ma anche di
7,3 18,9 35,0 23,7
15,1
100,0
disagio ed emarginazione
È un’area con una propria storia e una
2,4 10,1 29,5 27,8
30,2
100,0
propria identità
È un’area in cui i servizi pubblici
5,8 17,3 35,1 28,9
12,9
100,0
funzionano bene e sono efficienti
52. Nel complesso, secondo lei nel suo comune, considerando tutti i punti di vista (economici,
sociali, di sicurezza, di coesione, di offerta culturale e per il tempo libero), si vive meglio,
allo stesso modo o peggio rispetto al resto del Nord Italia?
%
Peggio
11,7
Allo stesso modo
42,4
Meglio
45,9
Totale
100,0
N
823
248
N
830
830
826
820
826
820
828
53. Nel complesso, secondo lei nel suo comune, considerando tutti i punti di vista (economici,
sociali, di sicurezza, di coesione, di offerta culturale e per il tempo libero), si vive meglio,
allo stesso modo o peggio rispetto al resto della provincia di Forlì-Cesena?
%
Peggio
8,6
Allo stesso modo
61,6
Meglio
29,8
Totale
100,0
N
816
54. Nel complesso, secondo lei nella provincia di Forlì-Cesena, considerando tutti i punti di
vista (economici, sociali, di sicurezza, di coesione, di offerta culturale e per il tempo libero),
si vive meglio, allo stesso modo o peggio rispetto alle altre province emiliano-romagnole?
%
Peggio
12,1
Allo stesso modo
55,8
Meglio
32,1
Totale
100,0
N
811
55. Secondo lei, il problema dell’ambiente e dei cambiamenti climatici oggi, a livello
globale, viene…:
%
Sottovalutato: è più grave di quanto si dica
61,0
Valutato con la giusta importanza
30,9
Sopravvalutato: è meno grave di quanto si dica
8,1
Totale
100,0
N
832
56. Le problematiche ambientali hanno acquisito una considerevole centralità nella vita
quotidiana. Qual è il suo grado di accordo su ciascuna delle seguenti affermazioni? (fornisca
una risposta per riga utilizzando la scala che va da 1 = Per niente d’accordo a 5 =
Completamente d’accordo)
1 – Per
2
3
4 5 –Completa- Totale
N
niente
mente
d’accordo
d’accordo
Sarei d’accordo per un aumento
delle tasse se venisse usato per
41,5 18,5 15,4 10,9
13,7 100,0 826
prevenire danni ambientali
Comprerei cose che costano il
20% in più se questo aiutasse a
33,4 21,1 18,5 13,4
13,6 100,0 826
proteggere l’ambiente
I problemi ambientali non
possono essere risolti
4,6 8,0 10,9 17,0
59,5 100,0 824
individualmente, senza una
politica seria
Ciascuno nel proprio quotidiano
può contribuire
3,5 8,8 12,8 14,9
60,0 100,0 826
significativamente alla tutela
dell’ambiente
249
57. Quali dei seguenti comportamenti Lei/la sua famiglia adotta per la tutela dell’ambiente?
Sì,
Sì,
No, ma No e non Totale
N
sempre o qualche
penso
penso
spesso
volta o
che lo
che lo
raraadotterò adotterò
mente
in futuro in futuro
Raccolta differenziata
65,8
21,9
8,2
4,1
100,0 826
Acquisto e utilizzo
elettrodomestici e lampadine
62,7
25,8
8,1
3,4
100,0 824
a basso consumo
Riduzione consumi dell’acqua
47,6
36,6
10,7
5,1
100,0 828
Acquisto prodotti biologici
12,5
39,0
21,7
26,8
100,0 824
Riduzione acquisto di prodotti
26,5
32,8
21,0
19,8
100,0 815
usa e getta
Utilizzo carta riciclata
21,5
34,0
22,4
22,1
100,0 827
Acquisto oggetti con
30,1
24,8
23,0
100,0 817
22,0
confezioni ridotte o riciclabili
Maggiore uso dei mezzi
14,9
14,1
19,7
51,3
100,0 817
pubblici
Riduzione uso auto o moto
20,1
24,1
17,9
37,8
100,0 814
Utilizzo di veicoli meno
12,1
6,3
26,2
55,4
100,0 810
inquinanti (es., auto elettrica)
Utilizzo della bicicletta
38,6
35,2
11,0
15,2
100,0 824
Utilizzo detersivi meno
21,5
29,4
28,9
20,3
100,0 804
inquinanti
Acquisto prodotti “a
25,4
25,6
25,3
23,7
100,0 814
chilometro zero”
Utilizzo energie alternative
5,4
3,7
43,2
47,7
100,0 814
(es. pannelli solari)
Vita quotidiana e orientamenti valoriali
58. Adesso le leggerò alcuni obiettivi di vita, cui le persone generalmente attribuiscono
grande valore. Può indicare quanto ciascuno di questi obiettivi è importante per lei,
utilizzando una scala da 1 a 5 dove 1 = Per niente importante e 5 = Molto importante?
1- Per
2
3
4
5–
Totale
niente
Molto
Vivere in un luogo sicuro
0,5 5,8 22,5 71,2
0,5 100,0
Divertirsi e godere dei piaceri della vita
1,6 8,5 25,8 28,0
36,1 100,0
Vivere in armonia con gli altri
0,0 1,5 11,0 25,5
62,0 100,0
Avere successo in campo lavorativo
4,2 8,6 25,7 31,2
30,3 100,0
Avere una certa tranquillità economica
0,0 0,2 8,5 32,2
59,1 100,0
Vivere in un luogo in cui il benessere
0,6 3,1 18,7 27,8
49,6 100,0
sia esteso al maggior numero di persone
N
827
826
827
826
824
826
250
59. Nel complesso, quanto è soddisfatto della vita che conduce attualmente?
1 Per nulla
2
3
4
5
6
7
8
9
10 – Molto
Totale
N
%
1,0
0,4
2,2
3,5
11,1
13,1
27,9
24,5
11,5
4,8
100,0
827
60. Se pensa al suo futuro…:
Fatica a vederlo
Ne ha un’idea piuttosto nitida e lo vede negativo
Ne ha un’idea piuttosto nitida ed ha aspetti sia positivi sia negativi
Ne ha un’idea piuttosto nitida e lo vede positivo
Totale
N
%
11,4
8,9
60,2
19,5
100,0
809
61. In generale, lei ritiene che si può avere fiducia della maggior parte della gente o che non
si è mai troppo attenti e prudenti nel trattare con la gente?
%
1 - Si può avere fiducia della maggior parte della gente
8,3
2
14,6
3
28,6
4
22,0
5 - Bisogna essere sempre molto attenti e prudenti con la gente
26,5
Totale
100,0
N
831
251
62. Per ciascuno dei seguenti gruppi sociali / istituzioni, può indicarmi se ha fiducia e in che
misura utilizzando una scala che va da 1 = Nessuna fiducia a 5 = Massima fiducia
1–
2
3
4
5–
Totale
N
Nessuna
Massima
fiducia
fiducia
Pubbl. Amministraz.
13,3 33,9 37,8 12,0
3,0
100,0
826
Insegnanti
3,0 14,9 36,1 36,3
9,7
100,0
826
Scuola
4,4 17,1 37,0 31,2
10,3
100,0
826
Banche
28,7 33,5 25,2 9,7
2,9
100,0
827
Polizia
5,7 15,7 34,7 30,1
13,8
100,0
827
Sindacati
21,0 28,5 30,8 14,5
5,2
100,0
814
Sacerdoti
22,7 21,1 29,5 17,8
9,0
100,0
821
Nato
16,9 27,3 35,1 15,6
5,1
100,0
800
Militari carriera
17,4 27,6 32,3 15,0
7,7
100,0
818
Politici
49,2 33,2 13,2 3,9
0,5
100,0
825
Amministratori Comune in cui vive
12,8 27,0 40,3 16,5
3,3
100,0
818
Chiesa
23,1 23,2 27,7 15,3
10,6
100,0
822
Università
3,8 13,7 36,7 34,6
11,1
100,0
809
Scienza
1,8 10,4 26,1 36,1
25,7
100,0
821
Carabinieri
7,3 17,3 33,8 28,0
13,6
100,0
825
Imprese
6,1 24,7 43,4 20,2
5,6
100,0
821
Manager grandi istit. bancari
37,9 34,8 18,5 7,2
1,5
100,0
815
Manager aziende pubbl. (es. ENI)
36,3 34,5 20,7 6,3
2,1
100,0
820
Manager grandi imprese private
24,5 34,4 29,6 9,1
2,5
100,0
815
Partiti politici
45,7 34,5 14,5 4,0
1,2
100,0
825
Unione europea
11,9 21,5 38,9 20,0
7,7
100,0
818
Giornali
16,0 30,5 38,0 12,3
3,3
100,0
821
Magistrati
11,5 18,1 39,0 22,8
8,5
100,0
823
ONU
11,2 20,1 37,4 22,9
8,4
100,0
812
Sistema giudiziario
15,7 28,5 33,9 16,5
5,4
100,0
822
Televisione pubbl.
22,5 32,6 30,7 11,6
2,5
100,0
827
Televisione private
27,5 31,8 30,3 8,0
2,4
100,0
823
Vita quotidiana e organizzazione del tempo
63. Quanto tempo (in ore e minuti) dedica mediamente alla settimana a:
a) Lavoro domestico e familiare (svolgere faccende di casa, fare la spesa, preparare i pasti,
fare manutenzione della casa, accudire i figli, prendersi cura di altri componenti anche non
co-residenti)
Non svolge attività: 9,3%
N. ore a settimana (media risposte): 17,70 ore/settimana
b) Attività lavorativa
1. Non svolge attività: 37,3%
2. N. ore a settimana (media risposte): 39,22 ore/settimana
252
64. In una giornata feriale, quanto tempo lei ha in media a disposizione da dedicare
liberamente ai suoi interessi e allo svago?
Tempo a disposizione (media risposte): ore 3,75 circa
65. Le leggerò ora una serie di aspetti della vita quotidiana cui si può dedicare tempo.
Potrebbe indicarmi, per ciascuno di questi, quanto tempo vi dedica utilizzando la scala
“Poco tempo”, “Il giusto tempo” “Troppo tempo”?
Poco
Il giusto Troppo
Non
Totale
N
tempo
tempo
tempo applicabile
41,6
19,3
36,5
100,0 825
Il mio lavoro
2,5
Lavoro domestico e familiare
(svolgere faccende di casa, fare la
56,1
8,2
6,5
100,0 829
29,2
spesa, preparare i pasti, manutenzione
della casa, accudire figli, ecc.)
Mantenere contatti con i parenti
43,3
53,2
2,2
1,3
100,0 831
Mantenere contatti con amici e
31,3
63,4
4,0
1,3
100,0 828
conoscenti
I miei hobby e interessi
41,4
50,5
4,1
4,0
100,0 827
Dormire
30,8
63,8
5,4
0,0
100,0 829
Svolgere attività di volontariato o di
17,9
15,0
,8
66,3
100,0 828
tipo politico/sindacale
Processi migratori e intercultura
66. Conosce personalmente e frequenta (per motivi di studio, lavoro, parentela, amicizia)
cittadini stranieri?
%
Sì
66,0
No
34,0
Totale
100,0
N
832
253
67. Quali sono a suo avviso i tre principali Paesi d’origine della popolazione immigrata
straniera che vive in Italia? (Indicarli per ordine d'importanza cominciando dal gruppo più
numeroso)
% (ordine decrescente)
Romania
23,4
Marocco
17,6
Albania
17,4
Cina
16,5
Tunisia
3,6
Polonia
3,5
Africa Nord
2,8
Africa
2,6
Senegal
2,2
Maghreb
2,0
Altre risposte
8,4
Totale
100,0
N
835
Note:
Si trattava di una domanda aperta, in cui l’intervistato doveva indicare i primi tre Paesi di provenienza degli stranieri
presenti in Italia in ordine di numerosità. In questa sede si presentano le risposte fornite dagli intervistati in ordine
decrescente di valori percentuali (prime 10 nazionalità indicate).
68. Secondo lei, quale di queste stime sul numero di immigrati in Italia è più vicina alla
realtà?
%
Circa 500 mila
4,5
Circa 2 milioni
24,7
Circa 4 milioni
35,1
Circa 7 milioni
25,4
Circa 12 milioni
10,3
Totale
100,0
N
806
69. Saprebbe indicare quanti abitanti ha oggi l’Italia?
%
Meno di 20 milioni di abitanti
21 – 30 milioni
31 – 40 milioni
41 – 54 milioni
55 - 65 milioni
66 – 80 milioni
81 –100 milioni
Più di 100 milioni
Totale
N
1,0
1,6
2,8
11,5
60,8
16,3
5,1
1,0
100,0
800
254
70. Le sottoporrò alcune affermazioni correnti relative all’immigrazione straniera in Italia.
Qual è il suo grado di accordo con ciascuna di esse? (indichi una risposta per riga
utilizzando la scala che va da 1 = Per niente d’accordo a 5 = Completamente d’accordo)
1 – Per
2
3
4
5–
Totale
N
niente
Completad’accordo
mente
d’accordo
Dove vivo ci sono troppi stranieri
22,7 24,0 23,3 12,8
17,2
100,0 829
Gli stranieri portano via posti di
36,1 23,9 18,6 9,7
11,7
100,0 823
lavoro ai disoccupati italiani
Gli stranieri vivono in condizioni
difficili ed è compito nostro
15,3 22,9 32,8 17,5
11,5
100,0 818
aiutarli come possiamo
Gli stranieri che vivono in Italia
contribuiscono a arricchimento
16,1 23,1 28,7 17,2
14,9
100,0 826
socio-culturale del nostro Paese
La cittadinanza italiana spetta
13,7
100,0 826
solo a chi ha almeno un genitore
45,1 18,9 14,9 7,4
italiano
Gli stranieri che da tempo
lavorano legalmente in Italia e
11,6 10,2 15,9 21,9
40,4
100,0 826
pagano le tasse dovrebbero poter
ottenere la cittadinanza italiana
L’amministrazione pubblica è più
attenta a dare benefici in termini
di
assistenza,
assegnazione
18,9 18,1 19,7 16,7
26,6
100,0 824
alloggi e sanità agli stranieri che
agli italiani
Gran parte degli stranieri svolge
26,6 26,6 25,0 11,5
10,3
100,0 828
attività criminali o illecite
Gli stranieri sono un pericolo per
43,5 24,3 19,3 7,0
6,0
100,0 820
la nostra cultura
È giusto permettere ai musulmani
di costruirsi delle moschee sul
35,6 18,8 21,5 10,9
13,2
100,0 826
territorio italiano
È giusto concedere il diritto di
voto amministrativo (elezioni
27,5 16,1 21,5 15,7
19,2
100,0 826
sindaco) agli stranieri
È giusto concedere il diritto di
voto
politico
(elezioni
32,9 17,0 22,2 12,4
15,5
100,0 828
Parlamento) agli stranieri
La compresenza a scuola di
36,6
100,0 828
studenti italiani e studenti
6,2 12,0 24,0 21,3
stranieri favorisce l’integrazione
255
Idee e pratiche di giustizia sociale
71. Per ciascuna di queste affermazioni mi potrebbe indicare il suo grado di accordo con un
punteggio da 1 a 10, dove 1 significa “Per niente d'accordo” e 10 significa “Totalmente
d'accordo”.
a. Il successo dipende dall’impegno
%
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
Totale
N
0,7
0,6
1,2
1,4
7,1
7,3
15,5
26,6
8,5
31,1
100,0
831
b. Le persone povere lo sono perché pigre
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
Totale
N
%
34,5
14,2
11,3
8,0
14,0
7,7
5,2
3,1
0,2
1,8
100,0
830
c. La fortuna nella vita è importante
%
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
Totale
N
1,3
0,8
2,4
2,2
13,3
8,2
12,9
19,6
10,3
29,0
100,0
832
256
d. Le condizioni della famiglia di origine sono determinanti
%
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
Totale
N
2,5
3,6
3,2
3,4
12,6
13,2
16,7
18,2
7,3
19,3
100,0
832
e. Uomini e donne hanno le stesse possibilità di successo
%
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
Totale
N
6,4
7,7
7,1
5,8
16,3
12,7
11,3
9,8
5,4
17,5
100,0
829
f. La competizione stimola le persone a lavorare meglio
%
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
Totale
N
3,4
2,2
4,1
4,6
14,1
13,1
16,8
19,0
6,4
16,3
100,0
827
257
72. Le leggerò ora alcune affermazioni. Esprima per cortesia il suo grado di accordo con
ciascuna delle seguenti affermazioni, sempre utilizzando la precedente scala da 1 a 10.
a. È ammissibile dichiarare al fisco meno di quanto si guadagna
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
Totale
N
%
51,2
10,5
7,9
4,7
9,4
3,9
4,0
4,5
1,2
2,7
100,0
822
b. Non è ammissibile assentarsi dal lavoro quando non si è realmente malati
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
Totale
N
%
11,3
4,4
4,8
4,6
8,0
5,3
5,9
8,8
5,9
41,0
100,0
826
c. La principale responsabilità di una persona è verso la propria famiglia e i propri figli e
non verso la collettività
%
1
9,0
2
5,8
3
4,4
4
4,7
5
15,3
6
7,9
7
10,2
8
15,1
9
5,9
10
21,7
Totale
100,0
N
826
258
d. A scuola, così come all’università, le borse di studio dovrebbero essere assegnate solo in
base al merito, senza tenere conto del reddito familiare
%
1
16,1
2
8,6
3
7,7
4
5,4
5
18,0
6
8,3
7
7,4
8
8,3
9
3,8
10
16,4
Totale
100,0
N
815
e. Prima dei 30 anni un ragazzo deve comunque andarsene di casa e cavarsela da solo
%
1
15,6
2
6,8
3
5,8
4
5,0
5
12,8
6
10,7
7
10,1
8
10,7
9
3,3
10
19,2
Totale
100,0
N
822
f. Bisogna ridurre le privatizzazioni ed aumentare la presenza pubblica
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
Totale
N
%
11,5
7,3
6,8
4,7
23,0
11,5
12,4
11,1
3,3
8,4
100,0
811
259
g. Le imprese dovrebbero essere lasciate più libere di assumere e licenziare
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
Totale
N
%
21,1
10,5
10,7
7,3
19,8
9,0
8,9
5,2
1,7
5,8
100,0
812
h. Estendere i benefici e i servizi sociali rende le persone pigre
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
Totale
N
%
25,0
12,3
10,3
6,6
18,1
9,4
7,8
5,0
1,5
4,0
100,0
819
260
73. A suo avviso, in Italia nella tutela sociale e della salute ed in particolare per gli ambiti
sotto elencati, ritiene più opportuno un forte intervento pubblico o una via privata? (una
risposta per riga)
È il settore Se ne devono Deve essere un Totale
N
pubblico a occupare sia
fatto
doversene
il pubblico esclusivamente
occupare
sia i singoli
privato, a
individui
carico di ogni
persona
privatamente
La tutela della salute
63,4
35,4
1,2
100,0 831
La risposta a esigenze di
5,1
23,4
71,5
100,0 826
cosmetica, chirurgia estetica, ecc.
Il reperimento di una abitazione
16,3
63,8
19,9
100,0 824
Il reperimento di un lavoro
15,3
67,8
16,9
100,0 824
L’istruzione
60,1
37,4
2,5
100,0 828
La promozione culturale (mostre,
29,4
60,2
10,4
100,0 819
concerti, teatro, ecc.)
Il
raggiungimento
di
una
maggiore
integrazione
28,8
63,3
7,9
100,0 819
interculturale
L’assistenza alle persone non
51,3
46,9
1,8
100,0 826
auto-sufficienti
L’assistenza alle persone povere
53,1
45,4
1,5
100,0 826
74. Quale priorità assegnerebbe a ciascuna delle seguenti categorie sociali nella
distribuzione delle risorse pubbliche in Italia? (una risposta per riga utilizzando la scala da
1 = Nessuna priorità a 10 = Massima priorità)
Priorità sulla scala 1-10
(media risposte)
Disoccupati
7,44
Minori
7,69
Disabili
8,17
Anziani
7,81
Lavoratori
6,97
Pensionati
7,09
Donne
7,07
Tossicodipendenti
5,56
Giovani
7,55
Senza fissa dimora
6,24
Immigrati
5,86
Note:
Il quesito domandava all’intervistato di attribuire un punteggio da 1 a 10 per ognuna delle voci presentate. L’intervistato
non doveva pertanto fornire una “graduatoria”; al contrario, poteva dare massima priorità (“10) a tutte le voci, così come,
all’opposto, attribuire a tutte minima priorità (“1“). In questa sede si presenta per ciascun item il punteggio medio delle
risposte fornite dagli intervistati
261
75. Quale priorità assegnerebbe a ciascuno dei seguenti settori nella distribuzione delle
risorse del suo Comune o della sua Provincia? (una risposta per riga utilizzando la scala da
1 = Nessuna priorità a 10 = Massima priorità)
Priorità sulla scala 1-10
(media risposte)
Trasporti pubblici locali
6,10
Istruzione/formazione
7,99
Servizi per anziani
7,55
Servizi per il lavoro e l’occupazione
7,66
Servizi per l’infanzia
7,81
Servizi sociali per fasce svantaggiate
7,58
Manutenzione strade e miglioramento della viabilità
7,11
Manutenzione parchi e aree verdi
6,81
Attività economiche e produttive
7,29
Educazione ambientale e civica
7,13
Centri di aggregazione per i giovani
7,02
Iniziative culturali (rassegne, concerti, ecc.)
6,98
Note:
Il quesito domandava all’intervistato di attribuire un punteggio da 1 a 10 per ognuna delle voci presentate. L’intervistato
non doveva pertanto fornire una “graduatoria”; al contrario, poteva dare massima priorità (“10) a tutte le voci, così come,
all’opposto, attribuire a tutte minima priorità (“1“). In questa sede si presenta per ciascun item il punteggio medio delle
risposte fornite dagli intervistati
76. [Solo per chi lavora] A suo avviso quanto da lei versato tramite tasse, imposte e
contributi rispetto ai servizi di tutela della salute e della sicurezza sociale (ossia per lavoro,
casa, servizi per anziani, scuola, ecc.) è:
%
Troppo, in assoluto
17,5
Troppo, rispetto al mio reddito/tenore di vita
19,7
Troppo, rispetto ai servizi di cui fruisco
23,0
Troppo, rispetto alla qualità e efficienza dei servizi e della pubblica amministrazione
22,8
Adeguato
16,6
Troppo poco
0,4
Totale
100,0
N
487
77. Sarebbe disposto a pagare tasse, imposte e contributi più elevate in cambio di servizi
migliori?
%
Sì, certamente
10,8
Sì, ma solo a livello locale (tasse comunali, regionali e non nazionali)
17,3
Sì, ma solo se si riducesse anche l’evasione fiscale
31,7
No
40,2
Totale
100,0
N
805
262
78. Con riferimento all’ultima visita medica e/o ricovero suo (o di chi vive con lei), a quale
struttura si è rivolto?
%
Pubblica
69,6
Privata convenzionata
20,7
Privata non convenzionata
9,7
Totale
100,0
N
822
79. Per quale motivo ha scelto questo tipo di struttura? (valori % in ordine decrescente)
Ha più fiducia in questa struttura
Per motivi economici
Ha scelto la struttura più vicina
Ha scelto uno specialista che lavora in questa struttura
Le ò stata consigliata da un medico di fiducia o da altra persona di fiducia
Provato a prenotare in un’altra struttura ma avrebbe dovuto aspettare troppo tempo
Sapeva che in un’altra struttura avrebbe dovuto aspettare troppo tempo
Ho scelto questa struttura perché è più accogliente, confortevole, pulita
In questa struttura è possibile fissare l’ora dell’appuntamento
Non esistono altre strutture nella sua zona di residenza
Altro
N
%a
30,1
24,0
18,3
15,6
12,4
10,6
4,7
2,1
1,1
0,9
3,7
815
Note:
a
: Persone che hanno indicato la corrispondente motivazione su 100 che hanno risposto: la somma delle percentuali supera
il valore di 100% in quanto ciascun intervistato poteva fornire più di una risposta (massimo due).
80. Mi può dire quanto è complessivamente soddisfatto – su una scala da 1 a 10 – dei servizi
pubblici in generale di cui beneficia nel suo territorio di residenza?
%
1
1,1
2
0,7
3
1,5
4
2,7
5
10,9
6
16,9
7
31,6
8
25,7
9
5,0
10
3,9
Totale
100,0
N
816
263
…e dei Servizi sanitari in particolare (ospedale, ambulatori, diagnostica)
%
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
Totale
N
0,6
1,0
1,7
3,7
8,1
17,1
27,4
27,2
6,4
6,8
100,0
813
…dei Servizi di assistenza sociale in particolare (assistenza domiciliare, abitativa,
integrazione al reddito/sgravi, sostegno alla genitorialità, socio-educativa)
%
1
3,8
2
1,9
3
4,2
4
3,5
5
12,8
6
22,8
7
25,0
8
15,1
9
6,4
10
4,5
Totale
100,0
N
312
…dei Servizi per il lavoro (Centri per l’impiego) in particolare
%
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
Totale
N
8,3
3,1
3,9
6,6
20,5
21,8
21,0
10,9
2,2
1,7
100,0
229
264
Politica e partecipazione
81. Quali di queste frasi esprime meglio il suo atteggiamento nei confronti della politica?
%
Mi considero politicamente impegnato
4,5
Mi tengo al corrente della politica, ma senza parteciparvi personalmente
50,1
Bisognerebbe lasciare la politica a persone che hanno più competenza di me
11,0
La politica non mi interessa
21,5
La politica mi disgusta
12,9
Totale
100,0
N
817
82. In politica di solito si parla di “sinistra”, “centro” e “ destra”. Potrebbe indicare dove
Lei collocherebbe la sua posizione politica su una scala che va da 1 (Sinistra) a 10 (Destra)?
%
1 – Sinistra
7,8
2
6,5
3
12,9
4
10,6
5
12,3
6
6,2
7
7,8
8
6,7
9
2,6
10 – Destra
2,0
Non sa / non vuole collocarsi
24,6
Totale
100,0
N
690
83. Lei ha votato alle ultime elezioni politiche nazionali dell’aprile 2008? E alle ultime
amministrative locali?
Elezioni politiche
Ultime elezioni
aprile 2008
amministrative svoltesi
Sì
73,6
71,8
No
14,3
18,1
Non avevo i requisiti per votare
12,1
10,1
Totale
100,0
100,0
N
827
824
265
84. Ci sono diversi modi di provare a migliorare le cose o ad evitare che
Negli ultimi 12 mesi, lei ha svolto alcune delle seguenti azioni?
Sì
Ha contattato un politico nazionale o locale
10,0
Ha partecipato attivamente alla vita di un partito politico
5,1
Ha prestato servizio civile volontario in organizzazioni o associaz.
8,0
Ha partecipato attivamente alla vita di un’organizzaz. sindacale
5,8
Ha indossato o mostrato un adesivo o un altro segnale distintivo di
12,1
una campagna politica, di sensibilizzazione su un tema, ecc.
Ha firmato una petizione
27,3
Ha partecipato a dimostrazioni pubbliche autorizzate
15,6
Ha boicottato uno o più prodotti
13,2
esse peggiorino.
No Totale
90,0 100,0
94,9 100,0
92,0 100,0
94,2 100,0
N
829
830
827
828
87,9
100,0 826
72,7
84,4
86,8
100,0 827
100,0 827
100,0 825
85. Negli ultimi dodici mesi ha partecipato attivamente alle attività dei seguenti tipi di
organizzazioni?
Sì
No
Totale
N
Organizzazione religiosa/parrocchiale (comprese organizz. scout) 21,4
78,6 100,0
830
Organizzazione sportiva di praticanti
19,0
81,0 100,0
832
Organizzazione sportiva di tifosi
7,3
92,7 100,0
831
Organizzazione culturale (teatrale, dibattiti, ecc.)
17,6
82,4 100,0
831
Organizzazione ricreativa
18,0
82,0 100,0
826
Organizzazione politica (partito, movimento)
6,6
93,4 100,0
830
Organizzazione di volontariato (sociale, assistenziale, ecc.)
15,8
84,2 100,0
830
Organizzazione studentesca
4,3
95,7 100,0
830
Organizzazione ambientalista/diritti umani (WWF, Amnesty
4,8
95,2 100,0
830
International, ecc.)
86. Con che frequenza le capita di…:
Leggere quotidiani non sportivi a pagamento
Leggere i quotidiani gratuiti
Seguire i telegiornali nazionali
Seguire i telegiornali regionali/locali
Seguire i radiogiornali
1Mai
2
3
4
22,7
33,1
3,4
13,6
38,4
14,9
21,2
8,9
14,1
21,6
21,2
19,1
15,1
21,3
15,6
13,0
10,4
18,7
17,7
11,4
5–
Sempre
o quasi
28,2
16,2
54,0
33,3
13,0
Totale
N
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
831
821
830
830
828
87. Sente di appartenere ad una qualche confessione religiosa?
Sì
No
Totale
N
%
68,0
32,0
100,0
830
266
88. [Se Sì] Quale?
Cattolica
Protestante
Altra cristiana
Musulmana
Ebraica
Altro
Totale
N
%
93,0
0,2
1,6
3,2
2,0
100,0
563
89. [Se Sì] A parte le occasioni particolari come i matrimoni e i funerali, quanto di frequente
partecipa alle funzioni religiose?
%
Tutti i giorni o quasi
8,1
Una volta alla settimana
30,5
Circa una volta al mese
13,5
Solo per giornate specifiche e sacre feste (ad es., Natale)
29,1
Meno di frequente
9,4
Mai
9,4
Totale
100,0
N
556
90. Vuole aggiungere eventuali note, commenti e integrazioni rispetto a quanto trattato con il
presente questionario?
__________________________________________________________________________
__________________________________________________________________________
Sezione a cura dell’intervistatore
91. Eventuali persone presenti all’intervista oltre all’intervistato (possibili più risposte:
indicare tutte le eventuali persone presenti)
% risposte “Sì”
Coniuge/convivente
19,2
Figli
12,5
Altri familiari
10,3
Altri parenti
3,5
Altri non parenti
5,5
92. L’intervistato è stato:
Disponibile
Insofferente
Totale
N
%
85,0
15,0
100,0
819
267
93. Attraverso quale modalità di contatto si è potuto fissare l’appuntamento per l’intervista?
%
Telefonata presso l’abitazione
36,9
Contatto diretto presso l’abitazione
56,5
Altre modalità
6,6
Totale
100,0
N
835
268