informazione - Libera Scuola Rudolf Steiner
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in formazione Periodico di comunicazione tra maestri, allievi, genitori, amici. LIBERA ASSOCIAZIONE PEDAGOGICA RUDOLF STEINER 16 09 ◊ b envenuti in formazione 2 In copertina: Acquarello di Maria Luisa Vigilanti e ditoriale Pasqua: l’esortazione a sviluppare la vista spirituale I l famoso e proverbiale detto popolare relativo all’incombenza delle “pulizie pasquali” può essere inteso anche come metafora della necessità di pulizie-cambiamenti anche in sfere più sottili, di intervenire per cambiare la propria pelle, sulla quale ormai scivolano, inconsapevolmente, abitudini, comportamenti e schemi vecchi, morti e senza più senso e legame con la realtà presente. La resurrezione del Cristo ci ricorda come la nostra esistenza ci richiama ad incessanti cicli di morte al passato e di rinascita alle necessità del presente. Così si esprime R. Steiner in un passo tratto da Pasqua, la festa dell’esortazione:“ Coloro cui sta veramente e sinceramente a cuore l’umanità non dovrebbero pronunciare queste parole pasquali: Cristo è risorto, ma dovrebbero piuttosto dire Cristo deve e dovrà risorgere“ Ma la nostra normale coscienza, legata alla La resurrezione realtà materiale, non del Cristo ci ricorda è sufficiente per comcome la nostra esistenza prendere la necessità ci richiama ad incessanti del cambiamento e dei nuovi contenuti cicli di morte al passato che devono permeare e di rinascita pensieri, sentimenti e alle necessità comportamenti dell’uomo. È necessario del presente “ „ 3 allora attingere ad un’ altra conoscenza, soprasensibile, e in particolare ad una vista che vada oltre quella dei nostri occhi fisici: ad una visione spirituale dell’esistenza. Ancora ci viene in aiuto R.Steiner con altri passi del brano già citato:“Se si considerasse in modo serio la Pasqua, il cui significato poggia sulla conoscenza soprasensibile (poiché il significato della Pasqua, la resurrezione del Cristo Gesù, non può certamente costituire una mera conoscenza sensibile) non dovrebbe forse essa far pensare agli uomini che il soprasensibile deve nuovamente entrare a far parte della conoscenza dell’uomo?... Non abbiamo diritto di festeggiare la Pasqua se siamo uomini che appartengono alla cultura del presente. Come possiamo riacquistare tale diritto? Dobbiamo collegare il pensiero del Cristo Gesù che giace nella tomba, del Cristo Gesù che solleva la lapide rovesciata sul suo sepolcro, al pensiero che l’anima umana deve sentire su di sè il peso della lapide della conoscenza puramente esteriore e meccanicistica e che essa deve lottare per vincere l’oppressione di tale conoscenza per potere acquistare la capacità di non avere solamente questo credo : Non io, ma l’animale evoluto in me, per potere avere di nuovo il diritto di dire. Non io, ma il Cristo in me “ Primavera 2009 Numero Sedici di Walter Abbondanza e ditoriale Della conoscenza soprasensibile e dei metodi meditativi per risvegliarla dentro di noi hanno parlato numerosi mistici durante l’intero corso della storia dell’umanità. Nella loro infinita compassione hanno cercato di spiegare con le parole l’inesprimibile, poiché la conoscenza soprasensibile è un’esperienza interiore, uno stato dell’essere al di là della mente ordinaria. Tutti, in modi differenti, hanno cercato di condividere quest’esperienza con gli altri uomiMichelangelo da Caravaggio, La cena in Emmaus, 1601-02, National Gallery, London in formazione 4 ni, utilizzando l’unico mezzo che abbiamo per comunicare: il linguaggio. E tutti l’hanno sostanzialmente rappresentata come uno spazio nascosto dentro di noi, che si può aprire alla nostra consapevolezza , celato nell’intervallo che intercorre tra 2 pensieri. Ma la nostra coscienza, abituata a cogliere i fenomeni esteriori e identificata con la forma trova difficoltà ad essere consapevole dello spazio puro. Orientata verso l’esterno, verso gli oggetti trova dif- dire: Eccolo qui o Eccolo là, perché il regno di Dio è già in mezzo a voi.” ( Luca, 17,20-21) La vicinanza con la natura, l’osservazione di un fenomeno naturale come una cascata, una foresta o un semplice cielo azzurro è un metodo indicato da tutti i mistici per fare più facilmente esperienza di questo spazio interiore. Se lo osserviamo semplicemente senza giudizi mentali, né positivi, né negativi, con la meraviglia che possiamo osservare negli occhi dei bambini quando scoprono il nuovo, si Ma la nostra può aprire anche brevemente uno coscienza, abituata spazio in quel flusso a cogliere i fenomeni incessante di pensieesteriori e identificata ri che è la nostra mente. Quando ciò con la forma accade, ci dicono i trova difficoltà saggi di tutti i tempi, ad essere si vive un senso di consapevole dello benessere, di pace piena di vita. Il se- spazio puro. greto consiste però nel non cercarlo come fossimo a caccia di qualcosa, nel non definirlo afferrandolo mentalmente. È come un cielo senza nuvole, non ha forma, è semplice spazio, quiete. Le parole per descriverlo sono semplici indicazioni. E, con l’augurio di poter vivere questa meraviglia dentro di noi, da parte di tutta la redazione non resta che augurare a tutti i lettori una buona Pasqua vissuta alla scoperta di nuovi sensi, soprasensibili. “ „ 5 Primavera 2009 Numero Sedici ficile essere consapevole di se. E allora, pur se cerchiamo di rappresentarci uno spazio interiore, lo mentalizziamo, lo trasformiamo in un oggetto e lo cerchiamo come tale. Il risultato di questo processo è che saremo consapevoli di un pensiero mai di noi stessi. Questa è la difficoltà da affrontare per tutti coloro che percorrono il sentiero spirituale, su ciò Gesù così si è espresso : “Il regno di Dio non viene in modo che si possa osservare. Nessuno potrà p edagogia Ci possiamo liberare dell’ “Ospite inquietante”? di Barbara Cavalli I genitori di classe VII hanno voluto condividere con il loro maestro di classe, il maestro Andrea, la lettura del testo “L’ospite inquietante” di Umberto Galimberti. Un libro sui giovani, perché i giovani, anche se non sempre lo sanno, stanno male. Prendiamo le mosse da questa esigenza di approfondire anche il pensiero contemporaneo sul disagio giovanile, che è poi il disagio Chi è dunque della società in cui tutti noi viviamo questo “ospite (nessuno si senta inquietante”? escluso!), per esaNietzsche lo ha minare le ragioni profonde che Gachiamato il più limberti indica inquietante di tutti quale causa delle gli ospiti: varie espressioni del disagio nei gioil “nichilismo” vani: la droga, la violenza gratuita, i gesti estremi (omicidi e suicidi) ma anche il diffuso disinteresse per lo studio e le problematiche sociali. Chi è dunque questo “ospite inquietante”? Nietzsche ha chiamato il più inquietante di tutti gli ospiti il “nichilismo” e ne ha descritto bene l’atmosfera : Nella pagina “Vidi una grande tristezza invadere gli a fronte, René uomini. I migliori si stancarono del loMagritte, Il principio ro lavoro. Una dottrina apparve, una fedel piacere, 1937 de le si affiancò: tutto è vuoto, tutto è “ „ in formazione 6 uguale, tutto fu! Abbiamo fatto il raccolto: ma perché tutti i nostri frutti si corrompono? …tutto il nostro lavoro è stato vano, il nostro vino è divenuto veleno, il malocchio ha disseccato i nostri campi e i nostri cuori.Aridi siamo divenuti noi tutti.” (1) “L’uomo moderno crede sperimentalmente ora a questo ora a quel valore, per poi lasciarlo cadere. Il circolo dei valori superati e lasciati cadere è sempre più vasto. Si avverte sempre di più il vuoto e la povertà di valore…” (2) Il nichilismo è “il più inquietante” fra tutti gli ospiti perché ciò che esso vuole è lo spaesamento come tale, per questo non serve a niente metterlo alla porta, esso si aggira comunque per la casa, ciò che occorre è accorgersi di quest’ospite e guardarlo bene in faccia. Ma Nietzsche non sapeva che il peggio sarebbe avvenuto quando il nichilismo avesse incontrato l’impassibile convitato di pietra che è la tecnica, che con la sua fredda razionalità relativizza e relega sullo sfondo tutte le immagini simboliche che l’uomo si era fatto di sé per orientarsi nel mondo e dominarlo. Nell’assuefazione con cui utilizziamo strumenti e servizi che riducono lo spazio, velocizzano il tempo, leniscono il dolore, vanificano le norme su cui sono state scalpellate tutte le morali, rischiamo di non chiederci se il nostro modo di essere uomini non sia troppo Primavera 2009 Numero Sedici 7 p edagogia antico per abitare l’età della tecnica che non noi, ma l’astrazione della nostra mente ha creato, obbligandoci a entrarvi e a prendervi parte. In questo inserimento rapido e ineluttabile portiamo ancora in noi i tratti dell’uomo pre-tecnologico che agiva in vista di scopi inscritti in un orizzonte di senso. Oggi le domande di senso restano inevase, perché non rientra fra le competenze della tecnica trovare risposte a simili domande. La tecnica, infatti non tende a uno scopo, non promuove un senso, non svela la verità: la tecnica funziona. E siccome il suo funzionamento diventa planetario, finiscono sullo sfondo, incerti nei loro contorni, corrrosi dal nichilismo, i concetti di individuo, identità, libertà, salvezza, verità, senso, scopo, ma anche quelli di natura, etica, politica, religione, storia, di cui si era nutrita l’età pre-tecnologica e che ora nell’età della tecnica, dovranno essere riconsiderati, dismessi o rifondati dalle radici. Il nichilismo ha portato la fine di quell’ottimismo teologico che visualizzava il passato come male, il presente come redenzione e il futuro come salvezza. Successivamente, la scienza, l’utopia e la rivoluzione hanno cercato di proseguire questa visione della storia in quell’ omologa prospettiva dove il passato appare come male, la scienza o la rivoluzione come redenzione, il progresso scientifico come salvezza. Oggi anche questa visione ottimistica è crollata. Come annunciava Nietzsche “Dio è morto” ma anche i suoi eredi (scienza, utopia e rivoluzione) hanno mancato la promessa: inquinamenti di ogni tipo, disuguaglianze sociali, nuove malattie, in formazione 8 forme di intolleranza, radicamento di egoismi, pratica abituale della guerra hanno fatto precipitare la visione del futuro: si è passati dal futuro-promessa al futuro- minaccia. E siccome la psiche è sana quando è aperta al futuro (a differenza della psiche depressa tutta raccolta nel passato, e della psiche maniacale tutta concentrata nel presente), quando il futuro chiude le sue porte o, se le apre è per offrirsi come incertezza, precarietà, insicurezza e inquietudine, allora il terribile è già accaduto perché le iniziative si spengono, le speranze appaiono vuote, la demotivazione cresce, l’energia vitale implode, si vive in un’ epoca dominata da quelle che Spinoza chiamò le “passioni tristi” dove il riferimento non è al dolore o al pianto ma all’impotenza, alla disgregazione, alla mancanza di senso. E allora, cosa succede ai giovani? La mancanza di un futuro come promessa arresta il desiderio nell’assoluto presente. Meglio star bene e gratificarsi oggi se il domani è senza prospettiva. Così nel giovane è sempre più difficile quel passaggio dall’amore di sé all’amore per gli altri uomini e per il mondo. Senza questo passaggio, si corre il rischio di indurre i giovani a studiare con mere motivazioni utilitaristiche, impostando un’educazione finalizzata alla sopravvivenza, dove è implicito che ci si salva da soli con conseguente affievolimento dei legami emotivi, sentimentali e sociali. La mancanza di un futuro come promessa priva genitori e insegnanti dell’autorità di indicare la strada; tra giovani e adulti si instaura allora un rapporto contrattualistico, per ef- mozione stessa. Questa situazione può avere quattro possibili esiti: 1) lo stordimento emotivo (es. droga) 2) il disinteresse per tutto (ignavia, atteggiamento opaco dell’indifferenza) 3) La causa prima gesto violento (anche omicida) 4) ma anche del disagio giovanile genialità creativa, se il è da ritrovarsi carico emotivo è cor- nel vuoto emotivo redato da buone autodiscipline. Perché le ed esistenziale discipline si formino nel quale bisogna aver passato i giovani sono molto tempo con i figli in modo tale che i immersi. figli non si trovino con una gran quantità di tempo da passare in solitudine con un carico emozionale eccessivo e nessuno strumento di contenimento. L’emotività può essere educata anzi deve essere educata se vogliamo una società migliore. La cura dell’emotività parte dal giorno della nascita, quando il neonato insieme al latte assapora l’accoglienza, l’indifferenza o i rifiuto. Poi si cresce e l’educazione non può essere solo quella fisica e intellettuale ma anche educazione emotiva che è poi educazionie dei sentimenti, delle emozioni, degli entusiasmi, delle paure. Per avviarci lungo questo sentiero dobbiamo renderci conto che l’emozione è essenzialmente relazione: l’educazione delle emozioni ci porta a quell’empatia che è la capacità di leggere le emozioni degli altri e farle risuonare dentro di sé. Allora la morale non è più una “pietra” fredda e pesante da scagliare contro gli altri o contro di sé ma assume “ „ 9 Primavera 2009 Numero Sedici fetto del quale genitori e insegnanti si sentono continuamente tenuti a giustificare le proprie scelte nei confronti del giovane, che accetta o meno quello che gli viene proposto in un rapporto egualitario. Ma la relazione tra giovani e adulti non è simmetrica, e trattare il giovane come un proprio pari significa non contenerlo, e soprattutto lasciarlo solo di fronte alle proprie pulsioni e all’ansia che ne deriva. Se poi nella scuola, come nella società in genere viene espulso tutto ciò che non è quantificabile, non “funziona” in senso meccanicistico,“l’emozione” dei giovani vaga senza contenuti a cui applicarsi, ciondolando pericolosamente tra istinti di rivolta, che sempre accompagnano ciò che non può esprimersi, e tentazioni d’abbandono in quelle derive di cui il mondo dell’alcol e della droga sono alcuni esempi. La causa prima del disagio giovanile è da ritrovarsi nel vuoto emotivo ed esistenziale nel quale i giovani sono immersi. L’attuale generazione giovanile presenta un’emotività più incontrollata e uno spazio di riflessione più modesto delle generazioni precedenti. Il suo fondo emotivo viene sollecitato dalla più tenera età da un volume di sensazioni e impressioni eccesivo rispetto alla capacità di contenimento. Sin dai primi anni di vita i bambini fanno troppa esperienza televisiva rispetto alla capacità di rielaborarla. I giovani si trovano ad avere un’emotività carica e sovraeccitata che li sposta dove vuole, a loro stessa insaputa, senza che un briciolo di riflessione, a cui non sono stati educati, sia in grado di raffreddare l’e- p edagogia una connotazione nuova: senza la percezione delle esigenze e della disperazione altrui non può esserci preoccupazione per gli altri, la radice dell’altruismo sta nell’empatia che si raggiunge con quell’educazione emotiva che consente a ciascuno di conseguire quegli atteggiamenti morali dei quali i nostri tempi hanno grande bisogno: l’autocontrollo e la compassione. Senza l’educazione delle emozioni c’è l’inaridimento del cuore, che è l’organo attraverso il quale si sente prima ancora di sapere cosa è bene e cosa è male. Il sentimento è forza. Quella forza che possiamo riconoscere in fondo ad ogni decisione quando, dopo aver vagliato ogni argomentazione razionale, si decide, perché in una scelta piuttosto che un'altra ci si sente a casa. Il bisogno di essere accettati e il desiderio di essere amati possono far percorrere strade che non sono nostre, l’anima si indebolisce e si ripiega su se stessa nell’inutile fatica di compiacere gli altri, alla fine l’anima si ammala, perché la malattia è la metafora della devianza dal sentimento della nostra vita. Bisogna educare i giovani ad essere se stessi: questa è la forza d’animo. Ma per essere se stessi bisogna accogliere a braccia aperte la propria ombra, quella parte oscura che non accettiamo di noi, che se qualcuno sfiora ci fa sentire punti sul vivo, ma accolta l’ombra cede la sua forza. Se ai giovani sarà data la possibilità di consolidare questa forza d’animo allora potranno andare per il mondo secondo quella che Galimberti chiama “l’etica del viandante”, abbandonandosi alla corrente della vita non da spettatori in formazione 10 ma da naviganti, in un procedere che cancellando la meta salva se stesso, l’accadimento stesso, non iscritto nelle prospettive del senso finale, porge il senso all’esistenza. Il viandante, infatti, non può vivere senza elaborare la diversità dell’esperienza, cercando il centro in quei due poli che Kant chiamava: “ il cielo stellato sopra di me” e “la legge morale” in me che per il viandante hanno sempre costituito gli estremi dell’arco in cui si esprime la sua vita in tensione. Alla luce di quanto ci fa riflettere Galimberti diventa importante ribadire il senso della nostra scuola, del nostro impegno di genitori e insegnanti. Nella pedagogia Waldorf possiamo trovare delle risposte che vanno nella direzione delle indicazioni di Galimberti e ben oltre, ma la nostra scuola non è il punto di partenza, non è possibile, esiste nella sua pienezza solo nella realtà spirituale, sarà la comprensione sempre più profonda delle indicazioni pedagogiche di Rudolf Steiner e il superamento di strumenti ormai logori e inadeguati e rendere “viva” e rispondente alle esigenze di questo nostro tempo la pedagogia steineriana. Il nostro lavoro individuale, ma ben inserito all’interno della comunità deve essere tutto volto alla costruzione di quella forza d’animo che oggi, come ci dice Galimberti, è spesso assente, solo in questo modo si può sperare di far emergere le forze del futuro dei nostri bambini e dei nostri ragazzi. 1-F. Nietzsche “Così parlo Zarathustra. Un libro per tutti e per nessuno” 2-F. Nietzsche”Frammenti postumi 18871888” i l racconto Per il periodo di Pasqua di Silvia Edmea Irene Canepa C ome portare incontro ai bambini un argomento così importante e centrale per la vita, eppure così difficile da afferrare, non solo intellettualmente, come quello di morte e Resurrezione? Fino al quattordicesimo anno intelletto, fisicità e sentire dei bambini non sono pronti a ricevere il racconto evangelico della Passione di Gesù Cristo. Anche se è inevitabile, nella nostra cultura, venire a contatto con immagini esperienze e riferimenti al riguardo, in famiglia è consigliabile adottare vie meno immediate e più simboliche per presentare ai bambini la morte e la Resurrezione. Herbert Hahn, allievo e collaboratore di Rudolf Steiner, docente della scuola Waldorf di Stoccarda, nel suo libro "Pedagogia e religione", propone alcune strade. Una strada possibile è quella di osservare insieme ai bambini, nel mondo della natura, fenomeni che richiamano il ciclo vitale di morte e resurrezione. Per esempio, il bellissimo ciclo di crisalide e farfalla. La brutta crisalide rimane indietro, la farfalla invece, come un essere luminoso, va per il mondo. Oppure: quando sbocciano dalla gemma, le foglie degli alberi sono di un verde delicato, poi man mano che si avvicina l'estate, si scuriscono e diventano più dure; in autunno cadono a terra secche, brune e appassite. Sono morte. Il giardiniere le riunisce in un mucchio e le lascia a decomporsi. Delle foglie non si vedrà più nulla, sono divenute terra, la migliore delle terre, nutrimento per le piante giovani che su questo terriccio crescono bene.Tra due periodi di attività vi è un periodo di quiete. L'accenno a una grande pausa suscita un importante elemento morale. Inoltre riportiamo, per avvicinare i bambini ai concetti suddetti, un bellissimo e significativo racconto. C'era una volta una grande casa d'oro, nella quale viveva un padre che aveva molti figli. Essi sedevano attorno ad una grande tavola e mangiavano tutti insieme. Il padre era buono verso ciascuno e i figli gli volevano bene. Un giorno il padre disse ad uno di essi: " La tua ora è venuta, devi metterti in viaggio". Il figlio si congeda dal padre e dai fratelli poi il padre lo conduce ad una grande scala d'oro che egli dovrà discendere. Mentre il figlio, preparandosi alla discesa, si trova già 11 Primavera 2009 Numero Sedici Racconto orientale i l racconto sul primo gradino, il padre gli dice: "Non posso darti molto, ho solo una piccola cassettina d'oro; prendila e, qualunque cosa accada, non perderla, non aprirla mai e riportala quando ritornerai". Il figlio promette e discende la scala; è una scala che conduce molto in basso e arrivato all'ultimo scalino, vorrebbe volgersi indietro ancora una volta ma non vede che una parete ripida e nera e, davanti a sè, oltre uno stretto sentiero, un gran mare ampio e ruggente che spumeggia con furia selvaggia. Egli è preso da una grande angoscia e pensa con nostalgia alla casa paterna. Guardando verso il mare vede una barchetta che si avvicina e appena è giunta presso di lui lo raccoglie. Egli comincia a remare e naviga sulle onde, ma dopo un certo tempo si scatena una burrasca e le onde scagliano la barchetta contro uno scoglio fracassandone lo scafo. I remi si spezzano e il giovane è in preda al terrore. Ma ecco che si ricorda della cassettina d'oro ricevuta dal padre prima di partire, se la preme sul cuore e salta coraggiosamente in mare. Le onde lo portano su di un'isola dove vede molti uomini riuniti che sembrano aspettarlo. E' accolto festosamente, tutti gridano: " Viva, viva il nostro re!" Le grida di giubilo non cessano ed egli non si rende conto che acclamano proprio lui. Poi, tra le acclamazioni del popolo, viene afferrato e condotto in un magnifico palazzo con un grande scalone in cima al quale c'è la sala del trono. Gli mettono un mantello di porpora sulle spalle, una corona in testa e celebrano la festa dell'incoronazione. Si apparecchia solennemente una gran tavola, si suona e si canta; arrivano molti invitati e i festeggiamenti non finiscono mai: durano un giorno e una notte, poi ancora un altro giorno e un'altra notte. Attorno a sè egli vede solo facce allegre, ma alla sua tavola siede un vecchio dal viso nobile e serio che lo guarda tristemente senza partecipare alla gioia di tutti. Il giovane re chiama il vecchio, lo conduce in un'altra sala e gli chiede:"Sai dirmi che cosa mi succede e perchè tu mi guardi con tanta serietà e tristezza?"-"Perchè penso alla fine di quest'anno" risponde il vecchio."E perchè?"- Il vecchio spiega:"Ogni anno le onde del mare portano sulla nostra spiaggia un giovane re; egli viene accolto con grande gioia e giubilo e può regnare, può raccogliere gloria, il popolo lo ama. Ma quando è giunta la sua ora, gli strappano il mantello di porpora dalle spalle e gli tolgono la corona. Lo portano in una piccola isola deserta in mezzo al mare dove non cresce niente e la barca che lo conduce là è stretta e nera ed in essa egli non può stare nè seduto nè in piedi ma solo disteso". Il giovane re si spaventa e chiede al vecchio:" Che debbo fare?" "Non te lo posso dire, risponde quello, domandalo alla notte e fa quello che essa ti dice". Il giovane re preso da un gran terrore, corre nella sala delle feste dove gli ospiti stavano ancora brindando:"SIlenzio, tecete tutti, via i musicisti, sparecchiate le tavole... basta con i festeggiamenti...". Poi si ritira nella sua stanza e prima di addormentarsi mette sotto il cuscino la cassetina d'oro che gli aveva in formazione 12 i dato suo padre. Quella notte sognò la sua casa e vide suo padre e i suoi fratelli; la voce di suo padre gli diceva:"Non dar retta ai ricchi, bada ai poveri; non badare alla gioia, bada solo al dolore". Svegliatosi il mattino seguente decise di seguire il consiglio e di visitare il suo regno. Si mise per strada, vide ricchi e cortigiani, ma chiamò a sè i poveri e i mendicanti che si nascondevano timidamente. Nel castello reale lo schernivano vedendolo circondato di mendicanti e di umili, tuttavia ogni volta che egli si avvicinava a una persona, questa non poteva mentirgli. Allora il popolo prese ad amarlo e di settimana in settimana egli si sentì sempre più sicuro. Un giorno rivide il vecchio: il suo viso si era schiarito, malgrado l'espressione fosse sempre seria. Quella sera quando stava per coricarsi, prese la cassettina d'oro e pregò... Si addormentò e sognò di nuovo suo padre che gli diceva:"Costruisci dodici barche, mettici degli alberelli, delle piante di grano, tutto quello che si può seminare e che può fruttificare e manda le barche verso l'isola solitaria in mezzo al mare". Il giovane si levò presto, chiamò i carpentieri e ordinò loro di costruire dodici barche; le caricò di tutto quanto gli aveva detto suo padre ed esse partirono verso l'isola solitaria. Intanto un anno era trascorso, la sua ora era giunta ed egli lo sapeva bene. Stava in ginocchio nella sala reale e aspettava. Si era tolto la corona e a un tratto sentì dei mormorii e dei passi alle sue spalle. Qualcuno entrò nella sua stanza, lui aspettava che venissero a togliergli il manto regale invece una mano si posò gentilmente sulla sua spalla. Era uno dei mendicanti che egli aveva beneficato, e che gli disse: "Alzati, o re, noi ti abbiamo voluto bene e non ti dimenticheremo mai; conserva questo manto". Egli tenne il manto e si recò sulla spiaggia. Un'aurora radiosa tingeva di porpora le onde, dal mare giunse una piccola barca nera, egli vi salì e si addormentò. La barca scivolò sulle onde lucenti finchè urtò in uno scoglio. Il re si destò, scese dalla barca... ma è questa l'isola deserta e sterile? Tutto verdeggia e gli alberi sono in fiore. Ecco davanti a lui una grande parete che si apre mostrando la scala d'oro che conduce alla casa del padre. Egli sale e in cima trova suo padre che lo accoglie a braccia aperte. "Hai riportato la cassettina d'oro?" gli chiede. "Sì, padre." "L'hai aperta?" - "No, padre, te la riporto così come tu me la consegnasti." " Allora aprila adesso." Egli la apre e vede che dentro c'è riprodotta la casa paterna con i fratelli e il padre. "E io me la sono portata dietro senza saperlo?" "Guarda ancora", gli dice il padre, e il figlio vede che all'interno del coperchio è raffigurato tutto il regno sul quale aveva governato, il castello d'oro e tutti i poveri che aveva aiutato. Allora si rallegrò molto. "Posso portare tutto questo con me?" chiese al padre. E udì la voce del padre che gli diceva:"Puoi prendere tutto con te, saranno tutti con te nella casa d'oro." 13 Primavera 2009 Numero Sedici l racconto p edagogia sociale Parlare, ascoltare, capire nei processi conoscitivi e decisionali Heinz Zimmermann - ed. Il Capitello del Sole di Silvia Edmea Irene Cànepa “Cosa è più splendido dell’oro?” chiese il re. “La luce” rispose il serpente. “Cosa è più rigenerante della luce?” chiese quegli. “Il dialogo”. da “La fiaba del serpente verde e della bella Lilia” in “Conversazioni di emigranti tedeschi” di J. W. Goethe H einz Zimmermann è nato nel 1937 a Basilea. Germanista e filologo classico, laureato con una tesi sulla “Tipologia del dialogo spontaneo”. Collaboratore scientifico al Goethe Institut in Finlandia e all’Università di Basilea. Ha insegnato per venticinque anni in una scuola Rudolf Steiner. Oggi è docente di linguistica e di pedagogia steineriana, nonché membro della direzione della Società Antroposofica Universale a Dornach. Il libro “Parlare, ascoltare, capire nei processi conoscitivi e decisionali” proviene dalla pluriennale esperienza di autogestione di una scuola steineriana e dall’osservazione di innumerevoli processi dialogici e decisionali. L’argomento del libro è il dialogo, scomposto e analizzato nelle sue parti costitutive da un lato, proposto nelle varie possibili applicazioni pratiche, dall’altro, lungo un percorso da forme semplici a forme ideali artistiche, fino alla catarsi. Con ciò si intende la rara in formazione 14 sublimazione del dialogo stesso in un incontro tra individui che si scambiano fiducia e ascolto, fanno conto su di una realtà superiore che unisce, dove trovano la verità che cercano. Ciò che qui interessa è, soprattutto, l’aspetto di base, l’educazione ai fondamenti di un dialogo. Innanzi tutto, il dialogo tra più interlocutori avviene tramite il parlare, l’ascoltare, il capire una stessa lingua. Va però tenuto conto che sul dialogo influisce di continuo il rapporto vivente tra gli interlocutori. Fattori del dialogo sono, di conseguenza, il complesso nesso relazionale tra gli interlocutori e il contesto spazio-temporale in cui esso si svolge. Tra i vari livelli di dialogo catalogati, spontaneo, informativo, conoscitivodecisionale mi soffermo sull’ultimo, al quale appartengono le riunioni di collaboratori, le discussioni, i colloqui, le trattative. In questo caso va cercato un equilibrio tra il caos di una spontaneità anarchica e, spesso, inconcludente e l’irrigidimento di una conduzione troppo organizzata razionalmente. Il dialogo ideale deve avere delle forme di controllo razionale della discussione, senza rinunciare alla fantasia creativa. Un aiuto, in questo senso, può essere, per esempio, una fase preliminare del dialogo, nella quale ognuno può esprimere liberamente e senza inibizioni quello che gli viene in mente a proposito della que- “ raggiunge il culmine. L’atteggiamento Qui si svolge la scena di fondo di un dialogo decisiva. Il quarto atto di solito ideale è la domanda consiste in una dece- nei confronti lerazione, si svolge in un luogo secondario, della verità. personaggi di second’ordine compaiono in primo piano. Il quinto atto arreca la soluzione: nella tragedia l’eroe muore, nella commedia coppie separate si ritrovano e, in ogni caso, il problema è risolto. Attraverso questa struttura del dramma, l’anima deve purificarsi con timore e pietà. Tutto questo si può ritrovare anche nella forma temporale di un dialogo modificato in modo corrispondente. Il consenso nasce dopo il terzo atto, da posizioni mutate e non significa mai una vittoria di una parte sull’altra, ma porta sempre qualcosa di nuovo rispetto alle posizioni originarie. Zimmermann sottolinea più volte l’importanza della pausa e della domanda. La pausa serve ad accogliere quanto è stato detto e a preparare nuovi impulsi dialogici. Ogni domanda è espressione di un dubbio, di un elemento drammatico senza il quale non sorgono né conoscenza né decisione comune. Egli tratta successivamente delle tipologie di interlocutori, dei ruoli, con riferimento alle costellazioni di chi partecipa. Il dialogo come ricerca artistica di unione con lo spirituale si sublima infine per mezzo delle due citazioni letterarie, tratte dalle “Conversazioni di immigranti tedeschi” di Goethe e dal Parsifal. Consigliabili le esercitazioni pratiche dell’ultimo capitolo, da compiere sia da soli che in situazioni di dialogo, tratte da indicazioni di Rudolf Steiner. „ 15 Primavera 2009 Numero Sedici stione convenuta, prima di incanalarsi nei binari pre-costituiti, come l’ordine del giorno e la scansione oraria. In senso ideale, la dialettica è volta non ad affermare le proprie convinzioni, ma sempre e solo al servizio della ricerca della verità. L’atteggiamento di fondo di un dialogo ideale è la domanda nei confronti della verità. Ciò presuppone che i partecipanti entrino totalmente nel processo del pensiero e aiutino a far sì che una realtà nascosta possa manifestarsi alla conoscenza. Questa situazione implica che ogni partecipante faccia leva sulla propria predisposizione interiore a collegarsi alla sfera artistica. Il dialogo come arte richiede molti passi d’esercizio. Si colloca, tra le arti, vicino a quelle cosiddette “temporali”, musica, poesia, danza, recitazione. Si tratta di un’azione nel Tempo, che Zimmermann analizza come tempo configurato.A differenza, però, di musica, recitazione, danza la condizione artistica nel dialogo viene attuata senza ascoltatori esterni, solo nell’interagire di più persone. Il gioco si attua tra i mezzi espressivi sensibili della parola, gli impulsi formativi e la mediazione della fantasia artistica. Il dialogo così formulato si pone pertanto come una scuola preparatoria per un’arte sociale. Tra le diverse immagini a cui l’autore paragona il dialogo (acqua che scorre, sinfonia, Messa) scelgo la comparazione con il dramma. Un dramma classicamente inteso consiste di 5 atti. Il primo atto presenta l’esposizione di personaggi, luoghi, fatti. Senza il primo atto, vengono a mancare i presupposti, si stenta a capire la vicenda. Nel secondo c’è un’accelerazione: le parti opposte si scontrano, l’azione si acuisce e nel terzo atto l’azione a rte Conversazione intorno a Duchamp Intervista a Tommaso De Angelis di Walter Abbondanza Walter: nella precedente intervista abbiamo analizzato il percorso artistico di Beuys . Ci eravamo proposti di continuare, indagando convergenze e diversità della sua visione rispetto a quella di altri due grandi artisti come Duchamp e Klein. Tommaso: Certo. Ma non è un compito semplice. Si tratta di tre figure tra le più grandi dell'arte moderna. Con un paragone un pò azzardato, rappresentano per l'arte moderna quello che per il Rinascimento è stata la triade Raffaello, Leonardo, Michelangelo. Proprio per questo considererei Duchamp e Klein in due momenti distinti. Nella pagina a fronte, Marcel Duchamp, L.H.O.O.Q. (1919) in formazione Hai ragione. Potremmo cominciare con un artista e rimandare l'analisi del secondo ad una intervista successiva. Che ne diresti di cominciare da Duchamp ? Va bene, anche temporalmente, Duchamp nasce infatti nel 1887, circa 40 anni prima di Klein, anche se morirà nel 1968, 6 anni dopo Klein. Vorrei subito evidenziare qualcosa che accomuna Beuys e Duchamp: entrambi, prima di tutto, hanno cercato di trasformare la propria vita in un’ opera d’ arte. Duchamp nasce come pittore e già a 15 anni dipinge, dimostra grande talento realizzando opere caratterizzate da diversi stili pittorici: impressionista,futurista, cubista, dada, surrealista. Nel 1912 a 25 anni realizza il suo ultimo quadro “Nudo che scende le scale” di ispirazione cubo- futurista. Dopodichè, 16 smette di essere un pittore anche se non cesserà mai di essere un ‘artista, in modo originale, a volte provocatorio, come vedremo. In un’ intervista rilasciata al regista belga Jean Antoine, 2 anni prima di morire, alla domanda “cosa ha fatto nella sua vita” Duchamp risponde:“ mi sono servito della pittura, mi sono servito dell’arte, per stabilire un modus vivendi, una specie di metodo per capire la vita, cercare cioè per il momento di fare della mia stessa vita un’opera d’arte, invece di passarla a creare quadri e sculture. Ora penso si possa usare il proprio modo di respirare, di agire, di reagire agli altri…Si può trattarli come un quadro, un quadro vivente o un’immagine cinematografica, se vuole. Sono le mie conclusioni di adesso, che non ho né voluto né organizzato quando avevo venti o quindici anni, ma mi rendo conto ora, dopo molto tempo,che in fondo è a questo che ho mirato.” Ma esistono differenze tra l’essere artista di Beuys e quello di Duchamp e nel progetto di trasformare le rispettive vite in opere d’arte ? Certamente. Anche se comincerei con una somiglianza: entrambi non hanno fatto della componente estetica la parte principale del proprio percorso artistico. Ma Beuys, come abbiamo visto nella scorsa intervista, ha privilegiato l’azione nel sociale, la performance dimostrativa, un livello elevato di comunicazione per provocare nello spettatore un’azione Primavera 2009 Numero Sedici 17 a rte Man Ray (a sinistra) e Marcel Duchamp. in formazione partecipativa. Beuys agisce con la parola, lavora sul rinnovamento culturale,economico, sociale e politico. Duchamp privilegia il silenzio, assurge spesso ad una posizione di distacco aristocratico verso l’esterno. E’ una figura ieratica, non commenta mai le sue opere, non risponde mai alle critiche espresse su di esse. La sua è una specie di poetica del silenzio, che ricorda le vie spirituali di stampo orientale, caratterizzate dalla non azione. Per Duchamp un’opera d’arte è prima di tutto un’idea che diviene manifesta attraverso una tecnica. E’ un platonico,per lui l’opera è la traccia che l’idea-spirito lascia nella materia. Tanto è vero che, a un certo punto Beuys dichiara pubblicamente e provocatoriamente che il silenzio di Duchamp è sopravvalutato, sottoli- 18 neando la sua visione aristocratica, sembra volergli dire: quello che fai è solo per te stesso. E questo perché Beuys agisce con un concetto allargato dell'arte, perché il suo percorso è caratterizzato dalla scultura sociale, perché il suo motto è “ogni uomo è un’artista” intentendo che all’interno di ognuno giace addormentata una fonte creativa che deve solo essere risvegliata. Possiamo analizzare come Duchamp si esprime come artista dopo il 1912 quando abbandona la pittura? Prima di parlare dei suoi celebri “ready mades” e delle sue “macchine celibi (improduttive)”non può passare sotto silenzio che Duchamp in realtà non smette mai di essere pittore, pur nel suo modo originale di intendere la pittura. Sempre nell'travestita con J.Antoine alla domanda “nel giorno in cui ha rinunciato alla pittura, ha creduto che la pittura fosse morta ?” risponde: “ Intanto non vi ho rinunciato, se mi venisse un’idea domani la realizzerei, ho semplicemente smesso perché per il momento non avevo niente da dire…..ma non ho fatto voto di non dipingere.” Infatti, per anni lavora su 2 idee che saranno le sue grandi opere. Da una parte, tra il 1915 e il 1923 sul “grande vetro” e, dall’altra, tra il 1946 e il 1966, su “etant donnès”(dati)”. Due opere originali, il titolo della prima mi permette di parlare di altre componenti importanti della sua visione artistica: l'altissima e il gioco. Il grande vetro richiama la grande opera alchemico, la trasformazione del metallo vile in oro, ovvero la capacità di trasformare la propria esistenza in opera d’arte. Del resto egli usa e riprende spesso il linguaggio alchemico. Come, ad esempio, l’anagramma nasco- E ritornando ai ready-mades? È forse la parte più intrigante e controversa del suo essere artista. Alcuni tra i più famosi ready mades (bello e fattobello e pronto) sono la celebre “fontana-orinatoio “, l’ampolla “aria di Parigi”, “L.H.O.O.Q”. - riproduzione della Gioconda con baffi, la” ruota di bicicletta”. Sono oggetti comuni che l’artista decontestualizza sia nell’uso che nel nome ed eleva di rango nella loro artisticità. Con i ready mades Duchamp esprime un atto di rivolta cosciente verso l’estetismo imperante, denuncia la perdita di valore dell’ arte “retinica”, dichiara la fine dell’innamoramento verso il pigmento. Contemporaneamente, è un modo provocatorio di dichiarare il primato dell’idea sulla sua realizzazione, con i ready mades non è necessario che l’artista si sporchi le mani con la materia, è un riappropriarsi della paternità dell’opera d’arte. E’ una dichiarazione che l’arte è gioco, un mettere provocatoriamente al centro un oggetto comune. Paradossalmente, alcuni interpretarono questo cambiamento di prospettiva, da un piano estetico svuotato di contenuto e significato ad uno prettamente concettuale, come una nuova forma estetica (e i nipotini attuali di Duchamp continuano a farlo anche oggi) . Come scrive lo stesso Duchamp nei primi anni ’60 ad un amico: “ Quando ho scoperto i ready mades speravo di scoraggiare il carnevale dell’estetismo. Ma i neo dadaisti utilizzano i ready mades per scoprirvi un valore estetico. Ho gettato loro il portabottiglie e l’orinatorio in faccia come provocazione ed ecco che costoro ne ammirano la bellezza estetica.” Possiamo parlare ora delle macchine celibi (improduttive) ? Prima vorrei riportare testualmente la dichiarazione di Duchamp fatta alla conferenza di Hofstra, in Germania, sul ruolo dell’artista nella società perché ci permetterà di capire meglio il significato delle macchine celibi:“ Egli usa L’artista gioca nella società moderna un e riprende spesso ruolo molto più il linguaggio importante di quello di un artigino o di un alchemico. buffone. Egli si trova Come, ad esempio, confrontato con un l’anagramma nascosto mondo fondato sul materialismo brutale nella fotografia dove tutto è valutato realizzata in funzione del benessere materiale e dove da Man Ray, dove la religione, dopo aver Duchamp, vestito perduto molto terreno, non è più la da donna appare grande dispensatrice come Rose Selavy, di valori spirituali. Oggi l’artista è un che “in chiaro” curioso serbatoio di vuol significare valori para-spirituali in opposizione assoluta “eros è la vita”. con il funzionalismo quotidiano in ragione del quale la scienza riceve l’omaggio di una cieca ammirazione. Dico cieca, poiché non “ „ 19 Primavera 2009 Numero Sedici sto nella fotografia realizzata da Man Ray, dove Duchamp, vestito da donna (richiamo all'ambiguo dell'appartenuta esteriore) appare come Rose Selavy, che “in chiaro” vuol significare “eros è la vita”. E la dimensione del gioco pervade il suo essere artista e anche la sua esistenza in senso lato. Comunque, il gioco come piacere in se è vissuto da Duchamp sino in fondo, tanto da condurlo a divenire negli scacchi un maestro di livello internazionale. a rte credo nell’importanza suprema di queste soluzioni scientifiche che non toccano neanche i problemi personali dell’essere umano…..Credo che oggi più che mai l’artista abbia questa missione parareligiosa da compiere: mantenere accesa la fiamma di una visione interiore di cui l’opera d’arte sembra essere, per il profano, la traduzione più fedele ” E qui troviamo una comunanza di visione con Beuys che, come abbiamo ricordato nell'travestita precedente, nel discorso “Ringraziamento a W.Lehmbruk”, tenuto a Duisburg nel 1986, nove giorni prima di morire, alludendo a quando vide per caso una fotografia di un’opera dello scultore che non conosceva ne fu tanto colpito da: “…mi balenò in testa un’idea o meglio ancora, un’ intuizione: la scultura, con la scultura c’è da fare qualcosa. Tutto è scultura sembrava gridarmi quella figura. Fu allora che io vidi una fiaccola, una fiamma, e udii una voce che mi diceva: proteggi la fiamma.” Quindi la serie delle macchine celibi è una metafora dell’inadeguatezza del progresso scientifico per sviluppare il benessere complessivo, materiale, animico, spirituale, del genere umano? Si, per Duchamp l’uomo moderno è simile a una macchina, ha comportamenti automatici, reagisce soltanto, poi- ché ha disimparato ad agire in modo originale, a rispondere creativamente alle situazioni, alle sfide della vita che mutano in continuazione. E l’assurdità delle macchine celibi di Duchamp, l’ impossibilità del loro meccanismo ad essere produttivo vuole evidenziare il limite del progresso scientifico, la sterilità del materialismo che è una sua naturale conseguenza. Compito dell’artista in questo contesto è mantenere accesa la fiamma della visione interiore. Alla fine della nostra conversazione vorrei sottolineare sinteticamente alcuni rimandi che fanno comprendere l’ispirazione rosacrociana e l’uso del linguaggio alchemico nelle opere di Duchamp, Beuys e Klein. I baffi e il pizzetto fatti a matita da Duchamp su una riproduzione della Gioconda sottolineano l’elemento androgeno tanto caro agli alchimisti. In tutti e tre gli artisti è presente la tematica della trasformazione della propria parte materiale in oro. L’uso della rosa, simbolo rosacrociano, è utilizzato da tutti e tre gli artisti nelle proprie opere: Beuys si fa fotografare con in mano una rosa per la rivoluzione, intesa come evoluzione dell’essere, Duchamp si fa fotografare vestito da donna come Rose Selavy e l’ultimo lavoro di Klein è una lastra d’oro su cui poggiano delle rose bianche. TOMMASO DE ANGELIS • Diplomato in pittura all’Accademia di Belle Arti di Brera (Milano), è stato allievo a Dornach di Beppe Assenza, ha approfondito lo studio e la conoscenza dell’opera e del pensiero di Beuys che considera il più grande artista del XX secolo. Negli anni ‘90 con altri artisti ha fondato a Milano “Campo Blu”, spazio espositivo per diffondere l’arte contemporanea in Italia. Attualmente insegna cromatologia all’Accademia di Belle Arti di Brescia, dove è anche responsabile del Master di Arte Terapia. Esercita inoltre Arte Terapia presso l’Associazione “Camminiamo Insieme” e tiene un laboratorio di pittura con persone disabili presso la Cooperativa “Punto d’Incontro”. in formazione 20 u na gita a... Parco Ittico Questo mese vogliamo consigliarvi una gradevole gita a circa 20 km da Milano, adatta anche ai più piccini: il Parco Ittico. Si tratta di un’area di circa 130.000 mq di terreno, attraversata da canali dove vivono varie specie di pesci d’acqua dolce. Il parco offre l'opportunità di osservare vari ambienti naturali a pochi metri l'uno dall'altro. Sono state create infatti zone ad acque lente, altre ad acque veloci, altre ancora con pesci di grandi dimensioni. Attraverso vetrate sotterranee, si possono osservare pesci come gli storioni, le carpe koi, il luccio, il pesce gatto, ecc. All’interno del parco ci sono anche diverse aree attrezzate con tavoli da pic-nic, un bar e tanti giochi come altalene, scivoli, ponti tibetani e funi per i bambini. Per raggiungere il Parco Ittico Paradiso, che è ubicato nel Comune di Zelo Buon Persico (frazione Villa Pompeiana), a soli 20 km da Milano, è consigliabile imboccare la Statale Paullese per girare al bivio di Zelo Buon Persico o percorrere la via Emilia fino a Melegnano e quindi seguire le indicazioni per Mulazzano. Il costo del biglietto per gli adulti è di 10 euro, per i bambini dai 4 ai 13 anni 8 euro. Il parco è aperto dal 1° marzo al 30 settembre dalle 9.00 alle 17.30. Per informazioni: Telefonare al numero 02/9065714. Vi consigliamo di visitare il sito www.parcoittico.it 21 Primavera 2009 Numero Sedici Con questa rubrica vorremmo condividere con le famiglie qualche idea per una gita in giornata fuori porta, respirare un po’ di aria buona e distrarsi con i bambini. Se avete una meta carina da consigliare, saremo lieti di pubblicarla. l a redazione segnala... Letture Per adulti David Grossman, Con gli occhi del nemico, Mondadori 12 euro Cosa può fare uno scrittore israeliano per aiutare il proprio paese a ritrovare la pace? Creare storie e personaggi in grado di far entrare i lettori nella pelle di un altro. Anche se l’altro è un nemico. Quando abbiamo conosciuto l’altro dall’interno ci sarà impossibile rinnegarlo del tutto. Così il personaggio inventato diventa persona vera e intimamente e familiare: un dono della letteratura che è capace di accendere una nuova speranza nel tragico labirinto del conflitto tra israeliani e palestinesi. Per adulti David Grossman, Che tu sia per me il coltello, Mondadori 8,80 euro In un gruppo di persone, un uomo vede una donna sconosciuta, colpito da quella che egli interpreta come un’impercettibile e ostinata difesa, le scrive una lettera, proponendole un rapporto profondo, aperto e libero da qualsiasi vincolo. Yair e Miriam scoprono l’importanza dell’immaginazione nei rapporti umani e la sensualità che si nasconde nelle parole… a ognuno di noi quanta strada e quanto coraggio occorrano per arrivare a toccare con pienezza l’anima di un altro essere umano. Dai 9 anni Mario Rigoni Stern, Il libro degli animali, Einaudi 10 euro Mario Rigoni Stern è nato e vissuto in montagna, ha raccontato le sue storie osservando gli animali comuni che vivono vicino a noi. Le sue sono storie di vita vissuta non solo dagli uomini ma anche dagli animali, racconti di guerra o del suo paese che ci parlano con straordinaria profondità di sentimento del cane Marte, dell’asina Giorgia, del merlo Marco… Libera Scuola Rudolf Steiner - Via Tommaso Pini 1 - 20134 Milano www.liberascuola-rudolfsteiner.it • e-mail: [email protected] In Formazione è realizzato grazie al lavoro totalmente volontario dei maestri e dei genitori che vi partecipano. Il costo per la stampa e la confezione è stato donato da Rotomail Italia SpA. Hanno partecipato alla realizzazione di questo numero: Walter Abbondanza, Matilde Barberis, Silvia Canepa, Barbara Cavalli, Riccardo Gatti, Livia Negri. Chiusura in redazione: marzo 2009 in formazione 22 LIBERA SCUOLA RUDOLF STEINER