informazione - Libera Scuola Rudolf Steiner

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informazione - Libera Scuola Rudolf Steiner
in
formazione
Periodico
di comunicazione
tra maestri, allievi,
genitori, amici.
LIBERA
ASSOCIAZIONE
PEDAGOGICA
RUDOLF
STEINER
16 09
◊
b
envenuti
in
formazione
2
In copertina:
Acquarello di Maria Luisa Vigilanti
e
ditoriale
Pasqua: l’esortazione a sviluppare
la vista spirituale
I
l famoso e proverbiale detto popolare relativo all’incombenza delle “pulizie pasquali” può essere inteso anche
come metafora della necessità di pulizie-cambiamenti anche in sfere più sottili, di intervenire per cambiare la propria pelle, sulla quale ormai scivolano,
inconsapevolmente, abitudini, comportamenti e schemi vecchi, morti e
senza più senso e legame con la realtà
presente.
La resurrezione del Cristo ci ricorda come la nostra esistenza ci richiama ad incessanti cicli di morte al passato e di rinascita alle necessità del presente.
Così si esprime R. Steiner in un passo
tratto da Pasqua, la festa dell’esortazione:“ Coloro cui sta veramente e sinceramente a cuore l’umanità non dovrebbero pronunciare queste parole pasquali: Cristo è risorto, ma dovrebbero
piuttosto dire Cristo deve e dovrà risorgere“
Ma la nostra normale
coscienza, legata alla
La resurrezione
realtà materiale, non
del Cristo ci ricorda
è sufficiente per comcome la nostra esistenza
prendere la necessità
ci richiama ad incessanti del cambiamento e
dei nuovi contenuti
cicli di morte al passato
che devono permeare
e di rinascita
pensieri, sentimenti e
alle necessità
comportamenti dell’uomo. È necessario
del presente
“
„
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allora attingere ad un’ altra conoscenza, soprasensibile, e in particolare ad una
vista che vada oltre quella dei nostri occhi fisici: ad una visione spirituale dell’esistenza.
Ancora ci viene in aiuto R.Steiner con
altri passi del brano già citato:“Se si considerasse in modo serio la Pasqua, il cui
significato poggia sulla conoscenza soprasensibile (poiché il significato della
Pasqua, la resurrezione del Cristo Gesù,
non può certamente costituire una mera conoscenza sensibile) non dovrebbe
forse essa far pensare agli uomini che
il soprasensibile deve nuovamente entrare a far parte della conoscenza dell’uomo?... Non abbiamo diritto di festeggiare la Pasqua se siamo uomini che
appartengono alla cultura del presente.
Come possiamo riacquistare tale diritto? Dobbiamo collegare il pensiero del
Cristo Gesù che giace nella tomba, del
Cristo Gesù che solleva la lapide rovesciata sul suo sepolcro, al pensiero che
l’anima umana deve sentire su di sè il
peso della lapide della conoscenza puramente esteriore e meccanicistica e
che essa deve lottare per vincere l’oppressione di tale conoscenza per potere acquistare la capacità di non avere
solamente questo credo : Non io, ma
l’animale evoluto in me, per potere avere di nuovo il diritto di dire. Non io, ma
il Cristo in me “
Primavera 2009 Numero Sedici
di Walter Abbondanza
e
ditoriale
Della conoscenza soprasensibile e dei
metodi meditativi per risvegliarla dentro di noi hanno parlato numerosi mistici durante l’intero corso della storia
dell’umanità. Nella loro infinita compassione hanno cercato di spiegare con
le parole l’inesprimibile, poiché la conoscenza soprasensibile è un’esperienza interiore, uno stato dell’essere al di
là della mente ordinaria. Tutti, in modi
differenti, hanno cercato di condividere quest’esperienza con gli altri uomiMichelangelo
da Caravaggio,
La cena in
Emmaus,
1601-02,
National
Gallery, London
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ni, utilizzando l’unico mezzo che abbiamo per comunicare: il linguaggio. E
tutti l’hanno sostanzialmente rappresentata come uno spazio nascosto dentro di noi, che si può aprire alla nostra
consapevolezza , celato nell’intervallo
che intercorre tra 2 pensieri. Ma la nostra coscienza, abituata a cogliere i fenomeni esteriori e identificata con la
forma trova difficoltà ad essere consapevole dello spazio puro. Orientata verso l’esterno, verso gli oggetti trova dif-
dire: Eccolo qui o Eccolo là, perché il
regno di Dio è già in mezzo a voi.” ( Luca, 17,20-21)
La vicinanza con la natura, l’osservazione di un fenomeno naturale come
una cascata, una foresta o un semplice
cielo azzurro è un metodo indicato da
tutti i mistici per fare più facilmente
esperienza di questo spazio interiore. Se
lo osserviamo semplicemente senza
giudizi mentali, né positivi, né negativi,
con la meraviglia che possiamo osservare negli occhi dei
bambini quando
scoprono il nuovo, si
Ma la nostra
può aprire anche
brevemente uno coscienza, abituata
spazio in quel flusso a cogliere i fenomeni
incessante di pensieesteriori e identificata
ri che è la nostra
mente. Quando ciò con la forma
accade, ci dicono i trova difficoltà
saggi di tutti i tempi, ad essere
si vive un senso di
consapevole dello
benessere, di pace
piena di vita. Il se- spazio puro.
greto consiste però
nel non cercarlo come fossimo a caccia di qualcosa, nel
non definirlo afferrandolo mentalmente. È come un cielo senza nuvole,
non ha forma, è semplice spazio, quiete. Le parole per descriverlo sono semplici indicazioni.
E, con l’augurio di poter vivere questa
meraviglia dentro di noi, da parte di tutta la redazione non resta che augurare
a tutti i lettori una buona Pasqua vissuta alla scoperta di nuovi sensi, soprasensibili.
“
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ficile essere consapevole di se. E allora,
pur se cerchiamo di rappresentarci uno
spazio interiore, lo mentalizziamo, lo trasformiamo in un oggetto e lo cerchiamo come tale. Il risultato di questo processo è che saremo consapevoli di un
pensiero mai di noi stessi.
Questa è la difficoltà da affrontare per
tutti coloro che percorrono il sentiero
spirituale, su ciò Gesù così si è espresso : “Il regno di Dio non viene in modo
che si possa osservare. Nessuno potrà
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edagogia
Ci possiamo liberare
dell’ “Ospite inquietante”?
di Barbara Cavalli
I
genitori di classe VII hanno voluto
condividere con il loro maestro di
classe, il maestro Andrea, la lettura del
testo “L’ospite inquietante” di Umberto Galimberti. Un libro sui giovani, perché i giovani, anche se non sempre lo
sanno, stanno male.
Prendiamo le mosse da questa esigenza di approfondire anche il pensiero
contemporaneo sul disagio giovanile,
che è poi il disagio
Chi è dunque
della società in cui
tutti noi viviamo
questo “ospite
(nessuno si senta
inquietante”?
escluso!), per esaNietzsche lo ha
minare le ragioni
profonde che Gachiamato il più
limberti indica
inquietante di tutti
quale causa delle
gli ospiti:
varie espressioni
del disagio nei gioil “nichilismo”
vani: la droga, la
violenza gratuita, i
gesti estremi (omicidi e suicidi) ma anche il diffuso disinteresse per lo studio
e le problematiche sociali.
Chi è dunque questo “ospite inquietante”?
Nietzsche ha chiamato il più inquietante di tutti gli ospiti il “nichilismo” e
ne ha descritto bene l’atmosfera :
Nella pagina
“Vidi una grande tristezza invadere gli
a fronte, René
uomini. I migliori si stancarono del loMagritte,
Il principio
ro lavoro. Una dottrina apparve, una fedel piacere,
1937
de le si affiancò: tutto è vuoto, tutto è
“
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uguale, tutto fu! Abbiamo fatto il raccolto: ma perché tutti i nostri frutti si
corrompono? …tutto il nostro lavoro è
stato vano, il nostro vino è divenuto veleno, il malocchio ha disseccato i nostri
campi e i nostri cuori.Aridi siamo divenuti noi tutti.” (1)
“L’uomo moderno crede sperimentalmente ora a questo ora a quel valore,
per poi lasciarlo cadere. Il circolo dei valori superati e lasciati cadere è sempre
più vasto. Si avverte sempre di più il
vuoto e la povertà di valore…” (2)
Il nichilismo è “il più inquietante” fra tutti gli ospiti perché ciò che esso vuole è
lo spaesamento come tale, per questo
non serve a niente metterlo alla porta,
esso si aggira comunque per la casa, ciò
che occorre è accorgersi di quest’ospite e guardarlo bene in faccia.
Ma Nietzsche non sapeva che il peggio
sarebbe avvenuto quando il nichilismo
avesse incontrato l’impassibile convitato di pietra che è la tecnica, che con
la sua fredda razionalità relativizza e relega sullo sfondo tutte le immagini simboliche che l’uomo si era fatto di sé per
orientarsi nel mondo e dominarlo.
Nell’assuefazione con cui utilizziamo
strumenti e servizi che riducono lo spazio, velocizzano il tempo, leniscono il dolore, vanificano le norme su cui sono
state scalpellate tutte le morali, rischiamo di non chiederci se il nostro
modo di essere uomini non sia troppo
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edagogia
antico per abitare l’età della tecnica che
non noi, ma l’astrazione della nostra
mente ha creato, obbligandoci a entrarvi
e a prendervi parte. In questo inserimento rapido e ineluttabile portiamo
ancora in noi i tratti dell’uomo pre-tecnologico che agiva in vista di scopi inscritti in un orizzonte di senso. Oggi le
domande di senso restano inevase, perché non rientra fra le competenze della tecnica trovare risposte a simili domande. La tecnica, infatti non tende a
uno scopo, non promuove un senso, non
svela la verità: la tecnica funziona. E siccome il suo funzionamento diventa planetario, finiscono sullo sfondo, incerti
nei loro contorni, corrrosi dal nichilismo,
i concetti di individuo, identità, libertà,
salvezza, verità, senso, scopo, ma anche
quelli di natura, etica, politica, religione,
storia, di cui si era nutrita l’età pre-tecnologica e che ora nell’età della tecnica, dovranno essere riconsiderati, dismessi o rifondati dalle radici.
Il nichilismo ha portato la fine di quell’ottimismo teologico che visualizzava
il passato come male, il presente come
redenzione e il futuro come salvezza.
Successivamente, la scienza, l’utopia e
la rivoluzione hanno cercato di proseguire questa visione della storia in quell’
omologa prospettiva dove il passato appare come male, la scienza o la rivoluzione come redenzione, il progresso
scientifico come salvezza. Oggi anche
questa visione ottimistica è crollata. Come annunciava Nietzsche “Dio è morto” ma anche i suoi eredi (scienza, utopia e rivoluzione) hanno mancato la
promessa: inquinamenti di ogni tipo,
disuguaglianze sociali, nuove malattie,
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forme di intolleranza, radicamento di
egoismi, pratica abituale della guerra
hanno fatto precipitare la visione del futuro: si è passati dal futuro-promessa al
futuro- minaccia. E siccome la psiche è
sana quando è aperta al futuro (a differenza della psiche depressa tutta raccolta nel passato, e della psiche maniacale tutta concentrata nel presente),
quando il futuro chiude le sue porte o,
se le apre è per offrirsi come incertezza, precarietà, insicurezza e inquietudine, allora il terribile è già accaduto perché le iniziative si spengono, le speranze appaiono vuote, la demotivazione
cresce, l’energia vitale implode, si vive
in un’ epoca dominata da quelle che
Spinoza chiamò le “passioni tristi” dove il riferimento non è al dolore o al
pianto ma all’impotenza, alla disgregazione, alla mancanza di senso.
E allora, cosa succede ai giovani?
La mancanza di un futuro come promessa arresta il desiderio nell’assoluto
presente. Meglio star bene e gratificarsi
oggi se il domani è senza prospettiva.
Così nel giovane è sempre più difficile
quel passaggio dall’amore di sé all’amore per gli altri uomini e per il mondo. Senza questo passaggio, si corre il rischio di indurre i giovani a studiare con
mere motivazioni utilitaristiche, impostando un’educazione finalizzata alla sopravvivenza, dove è implicito che ci si
salva da soli con conseguente affievolimento dei legami emotivi, sentimentali e sociali. La mancanza di un futuro
come promessa priva genitori e insegnanti dell’autorità di indicare la strada; tra giovani e adulti si instaura allora un rapporto contrattualistico, per ef-
mozione stessa. Questa situazione può
avere quattro possibili esiti:
1) lo stordimento emotivo (es. droga)
2) il disinteresse per tutto (ignavia, atteggiamento opaco
dell’indifferenza) 3)
La causa prima
gesto violento (anche
omicida) 4) ma anche del disagio giovanile
genialità creativa, se il è da ritrovarsi
carico emotivo è cor- nel vuoto emotivo
redato da buone autodiscipline. Perché le ed esistenziale
discipline si formino nel quale
bisogna aver passato i giovani sono
molto tempo con i figli in modo tale che i immersi.
figli non si trovino
con una gran quantità di tempo da passare in solitudine con un carico emozionale eccessivo e nessuno strumento
di contenimento. L’emotività può essere
educata anzi deve essere educata se vogliamo una società migliore. La cura dell’emotività parte dal giorno della nascita, quando il neonato insieme al latte assapora l’accoglienza, l’indifferenza
o i rifiuto.
Poi si cresce e l’educazione non può essere solo quella fisica e intellettuale ma
anche educazione emotiva che è poi
educazionie dei sentimenti, delle emozioni, degli entusiasmi, delle paure. Per
avviarci lungo questo sentiero dobbiamo renderci conto che l’emozione è essenzialmente relazione: l’educazione
delle emozioni ci porta a quell’empatia
che è la capacità di leggere le emozioni degli altri e farle risuonare dentro di
sé. Allora la morale non è più una “pietra” fredda e pesante da scagliare contro gli altri o contro di sé ma assume
“
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fetto del quale genitori e insegnanti si
sentono continuamente tenuti a giustificare le proprie scelte nei confronti
del giovane, che accetta o meno quello che gli viene proposto in un rapporto egualitario. Ma la relazione tra giovani e adulti non è simmetrica, e trattare il giovane come un proprio pari significa non contenerlo, e soprattutto lasciarlo solo di fronte alle proprie pulsioni
e all’ansia che ne deriva.
Se poi nella scuola, come nella società
in genere viene espulso tutto ciò che
non è quantificabile, non “funziona” in
senso meccanicistico,“l’emozione” dei
giovani vaga senza contenuti a cui applicarsi, ciondolando pericolosamente
tra istinti di rivolta, che sempre accompagnano ciò che non può esprimersi, e tentazioni d’abbandono in quelle derive di cui il mondo dell’alcol e della droga sono alcuni esempi.
La causa prima del disagio giovanile è
da ritrovarsi nel vuoto emotivo ed esistenziale nel quale i giovani sono immersi. L’attuale generazione giovanile
presenta un’emotività più incontrollata e uno spazio di riflessione più modesto delle generazioni precedenti. Il suo
fondo emotivo viene sollecitato dalla
più tenera età da un volume di sensazioni e impressioni eccesivo rispetto alla capacità di contenimento. Sin dai primi anni di vita i bambini fanno troppa
esperienza televisiva rispetto alla capacità di rielaborarla. I giovani si trovano ad avere un’emotività carica e sovraeccitata che li sposta dove vuole, a
loro stessa insaputa, senza che un briciolo di riflessione, a cui non sono stati educati, sia in grado di raffreddare l’e-
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edagogia
una connotazione nuova: senza la percezione delle esigenze e della disperazione altrui non può esserci preoccupazione per gli altri, la radice dell’altruismo sta nell’empatia che si raggiunge con quell’educazione emotiva
che consente a ciascuno di conseguire
quegli atteggiamenti morali dei quali i
nostri tempi hanno grande bisogno:
l’autocontrollo e la compassione. Senza l’educazione delle emozioni c’è l’inaridimento del cuore, che è l’organo
attraverso il quale si sente prima ancora di sapere cosa è bene e cosa è male.
Il sentimento è forza. Quella forza che
possiamo riconoscere in fondo ad ogni
decisione quando, dopo aver vagliato
ogni argomentazione razionale, si decide, perché in una scelta piuttosto che
un'altra ci si sente a casa.
Il bisogno di essere accettati e il desiderio
di essere amati possono far percorrere
strade che non sono nostre, l’anima si indebolisce e si ripiega su se stessa nell’inutile fatica di compiacere gli altri, alla
fine l’anima si ammala, perché la malattia è la metafora della devianza dal
sentimento della nostra vita. Bisogna
educare i giovani ad essere se stessi: questa è la forza d’animo. Ma per essere se
stessi bisogna accogliere a braccia aperte la propria ombra, quella parte oscura che non accettiamo di noi, che se
qualcuno sfiora ci fa sentire punti sul vivo, ma accolta l’ombra cede la sua forza. Se ai giovani sarà data la possibilità
di consolidare questa forza d’animo allora potranno andare per il mondo secondo quella che Galimberti chiama “l’etica del viandante”, abbandonandosi alla corrente della vita non da spettatori
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ma da naviganti, in un procedere che
cancellando la meta salva se stesso, l’accadimento stesso, non iscritto nelle prospettive del senso finale, porge il senso
all’esistenza. Il viandante, infatti, non può
vivere senza elaborare la diversità dell’esperienza, cercando il centro in quei
due poli che Kant chiamava: “ il cielo
stellato sopra di me” e “la legge morale” in me che per il viandante hanno
sempre costituito gli estremi dell’arco in
cui si esprime la sua vita in tensione.
Alla luce di quanto ci fa riflettere Galimberti diventa importante ribadire il
senso della nostra scuola, del nostro impegno di genitori e insegnanti. Nella pedagogia Waldorf possiamo trovare delle risposte che vanno nella direzione delle indicazioni di Galimberti e ben oltre,
ma la nostra scuola non è il punto di
partenza, non è possibile, esiste nella sua
pienezza solo nella realtà spirituale, sarà la comprensione sempre più profonda delle indicazioni pedagogiche di Rudolf Steiner e il superamento di strumenti ormai logori e inadeguati e rendere “viva” e rispondente alle esigenze
di questo nostro tempo la pedagogia
steineriana. Il nostro lavoro individuale, ma ben inserito all’interno della comunità deve essere tutto volto alla costruzione di quella forza d’animo che
oggi, come ci dice Galimberti, è spesso
assente, solo in questo modo si può sperare di far emergere le forze del futuro
dei nostri bambini e dei nostri ragazzi.
1-F. Nietzsche “Così parlo Zarathustra. Un libro per tutti e per nessuno”
2-F. Nietzsche”Frammenti postumi 18871888”
i
l racconto
Per il periodo di Pasqua
di Silvia Edmea Irene Canepa
C
ome portare incontro ai bambini un argomento così importante e centrale
per la vita, eppure così difficile da afferrare, non solo intellettualmente, come quello di morte e Resurrezione?
Fino al quattordicesimo anno intelletto, fisicità e sentire dei bambini non sono pronti
a ricevere il racconto evangelico della Passione di Gesù Cristo. Anche se è inevitabile, nella nostra cultura, venire a contatto con immagini esperienze e riferimenti
al riguardo, in famiglia è consigliabile adottare vie meno immediate e più simboliche per presentare ai bambini la morte e la Resurrezione.
Herbert Hahn, allievo e collaboratore di Rudolf Steiner, docente della scuola Waldorf di Stoccarda, nel suo libro "Pedagogia e religione", propone alcune strade.
Una strada possibile è quella di osservare insieme ai bambini, nel mondo della natura,
fenomeni che richiamano il ciclo vitale di morte e resurrezione. Per esempio, il bellissimo ciclo di crisalide e farfalla. La brutta crisalide rimane indietro, la farfalla invece,
come un essere luminoso, va per il mondo.
Oppure: quando sbocciano dalla gemma, le foglie degli alberi sono di un verde delicato, poi man mano che si avvicina l'estate, si scuriscono e diventano più dure; in
autunno cadono a terra secche, brune e appassite. Sono morte. Il giardiniere le riunisce in un mucchio e le lascia a decomporsi. Delle foglie non si vedrà più nulla, sono
divenute terra, la migliore delle terre, nutrimento per le piante giovani che su questo terriccio crescono bene.Tra due periodi di attività vi è un periodo di quiete. L'accenno a una grande pausa suscita un importante elemento morale.
Inoltre riportiamo, per avvicinare i bambini ai concetti suddetti, un bellissimo e significativo racconto.
C'era una volta una grande casa d'oro, nella quale viveva un padre che aveva molti figli.
Essi sedevano attorno ad una grande tavola e mangiavano tutti insieme. Il padre era buono
verso ciascuno e i figli gli volevano bene.
Un giorno il padre disse ad uno di essi: " La tua ora è venuta, devi metterti in viaggio".
Il figlio si congeda dal padre e dai fratelli poi il padre lo conduce ad una grande scala
d'oro che egli dovrà discendere. Mentre il figlio, preparandosi alla discesa, si trova già
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Racconto orientale
i
l racconto
sul primo gradino, il padre gli dice: "Non posso darti molto, ho solo una piccola cassettina d'oro; prendila e, qualunque cosa accada, non perderla, non aprirla mai e riportala
quando ritornerai".
Il figlio promette e discende la scala; è una scala che conduce molto in basso e arrivato
all'ultimo scalino, vorrebbe volgersi indietro ancora una volta ma non vede che una parete
ripida e nera e, davanti a sè, oltre uno stretto sentiero, un gran mare ampio e ruggente
che spumeggia con furia selvaggia.
Egli è preso da una grande angoscia e pensa con nostalgia alla casa paterna. Guardando
verso il mare vede una barchetta che si avvicina e appena è giunta presso di lui lo raccoglie. Egli comincia a remare e naviga sulle onde, ma dopo un certo tempo si scatena
una burrasca e le onde scagliano la barchetta contro uno scoglio fracassandone lo scafo.
I remi si spezzano e il giovane è in preda al terrore. Ma ecco che si ricorda della cassettina d'oro ricevuta dal padre prima di partire, se la preme sul cuore e salta coraggiosamente in mare. Le onde lo portano su di un'isola dove vede molti uomini riuniti che sembrano aspettarlo. E' accolto festosamente, tutti gridano: " Viva, viva il nostro re!" Le grida
di giubilo non cessano ed egli non si rende conto che acclamano proprio lui. Poi, tra le
acclamazioni del popolo, viene afferrato e condotto in un magnifico palazzo con un grande
scalone in cima al quale c'è la sala del trono. Gli mettono un mantello di porpora sulle
spalle, una corona in testa e celebrano la festa dell'incoronazione. Si apparecchia solennemente una gran tavola, si suona e si canta; arrivano molti invitati e i festeggiamenti non
finiscono mai: durano un giorno e una notte, poi ancora un altro giorno e un'altra notte.
Attorno a sè egli vede solo facce allegre, ma alla sua tavola siede un vecchio dal viso nobile
e serio che lo guarda tristemente senza partecipare alla gioia di tutti. Il giovane re chiama
il vecchio, lo conduce in un'altra sala e gli chiede:"Sai dirmi che cosa mi succede e perchè tu mi guardi con tanta serietà e tristezza?"-"Perchè penso alla fine di quest'anno"
risponde il vecchio."E perchè?"- Il vecchio spiega:"Ogni anno le onde del mare portano
sulla nostra spiaggia un giovane re; egli viene accolto con grande gioia e giubilo e può
regnare, può raccogliere gloria, il popolo lo ama. Ma quando è giunta la sua ora, gli strappano il mantello di porpora dalle spalle e gli tolgono la corona. Lo portano in una piccola isola deserta in mezzo al mare dove non cresce niente e la barca che lo conduce là
è stretta e nera ed in essa egli non può stare nè seduto nè in piedi ma solo disteso". Il
giovane re si spaventa e chiede al vecchio:" Che debbo fare?" "Non te lo posso dire, risponde
quello, domandalo alla notte e fa quello che essa ti dice". Il giovane re preso da un gran
terrore, corre nella sala delle feste dove gli ospiti stavano ancora brindando:"SIlenzio, tecete
tutti, via i musicisti, sparecchiate le tavole... basta con i festeggiamenti...". Poi si ritira nella
sua stanza e prima di addormentarsi mette sotto il cuscino la cassetina d'oro che gli aveva
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i
dato suo padre. Quella notte sognò la sua casa e vide suo padre e i suoi fratelli; la voce
di suo padre gli diceva:"Non dar retta ai ricchi, bada ai poveri; non badare alla gioia, bada
solo al dolore". Svegliatosi il mattino seguente decise di seguire il consiglio e di visitare
il suo regno. Si mise per strada, vide ricchi e cortigiani, ma chiamò a sè i poveri e i mendicanti che si nascondevano timidamente. Nel castello reale lo schernivano vedendolo
circondato di mendicanti e di umili, tuttavia ogni volta che egli si avvicinava a una persona, questa non poteva mentirgli. Allora il popolo prese ad amarlo e di settimana in settimana egli si sentì sempre più sicuro. Un giorno rivide il vecchio: il suo viso si era schiarito, malgrado l'espressione fosse sempre seria. Quella sera quando stava per coricarsi,
prese la cassettina d'oro e pregò... Si addormentò e sognò di nuovo suo padre che gli
diceva:"Costruisci dodici barche, mettici degli alberelli, delle piante di grano, tutto quello
che si può seminare e che può fruttificare e manda le barche verso l'isola solitaria in mezzo
al mare". Il giovane si levò presto, chiamò i carpentieri e ordinò loro di costruire dodici
barche; le caricò di tutto quanto gli aveva detto suo padre ed esse partirono verso l'isola
solitaria.
Intanto un anno era trascorso, la sua ora era giunta ed egli lo sapeva bene. Stava in ginocchio nella sala reale e aspettava.
Si era tolto la corona e a un tratto sentì dei mormorii e dei passi alle sue spalle. Qualcuno entrò nella sua stanza, lui aspettava che venissero a togliergli il manto regale invece
una mano si posò gentilmente sulla sua spalla. Era uno dei mendicanti che egli aveva beneficato, e che gli disse: "Alzati, o re, noi ti abbiamo voluto bene e non ti dimenticheremo
mai; conserva questo manto". Egli tenne il manto e si recò sulla spiaggia.
Un'aurora radiosa tingeva di porpora le onde, dal mare giunse una piccola barca nera,
egli vi salì e si addormentò. La barca scivolò sulle onde lucenti finchè urtò in uno scoglio. Il re si destò, scese dalla barca... ma è questa l'isola deserta e sterile? Tutto verdeggia e gli alberi sono in fiore. Ecco davanti a lui una grande parete che si apre mostrando
la scala d'oro che conduce alla casa del padre. Egli sale e in cima trova suo padre che lo
accoglie a braccia aperte.
"Hai riportato la cassettina d'oro?" gli chiede. "Sì, padre." "L'hai aperta?" - "No, padre, te
la riporto così come tu me la consegnasti." " Allora aprila adesso." Egli la apre e vede che
dentro c'è riprodotta la casa paterna con i fratelli e il padre. "E io me la sono portata dietro senza saperlo?" "Guarda ancora", gli dice il padre, e il figlio vede che all'interno del
coperchio è raffigurato tutto il regno sul quale aveva governato, il castello d'oro e tutti i
poveri che aveva aiutato. Allora si rallegrò molto. "Posso portare tutto questo con me?"
chiese al padre. E udì la voce del padre che gli diceva:"Puoi prendere tutto con te, saranno
tutti con te nella casa d'oro."
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Primavera 2009 Numero Sedici
l racconto
p
edagogia sociale
Parlare, ascoltare, capire
nei processi conoscitivi e decisionali
Heinz Zimmermann - ed. Il Capitello del Sole
di Silvia Edmea Irene Cànepa
“Cosa è più splendido dell’oro?” chiese il re.
“La luce” rispose il serpente.
“Cosa è più rigenerante della luce?” chiese
quegli. “Il dialogo”.
da “La fiaba del serpente verde e della bella Lilia” in
“Conversazioni di emigranti tedeschi” di J. W. Goethe
H
einz Zimmermann è nato nel
1937 a Basilea. Germanista e filologo classico, laureato con una tesi
sulla “Tipologia del dialogo spontaneo”.
Collaboratore scientifico al Goethe Institut in Finlandia e all’Università di Basilea.
Ha insegnato per venticinque anni in
una scuola Rudolf Steiner. Oggi è
docente di linguistica e di pedagogia
steineriana, nonché membro della direzione della Società Antroposofica Universale a Dornach.
Il libro “Parlare, ascoltare, capire nei processi conoscitivi e decisionali” proviene
dalla pluriennale esperienza di autogestione di una scuola steineriana e dall’osservazione di innumerevoli processi
dialogici e decisionali.
L’argomento del libro è il dialogo,
scomposto e analizzato nelle sue parti
costitutive da un lato, proposto nelle
varie possibili applicazioni pratiche,
dall’altro, lungo un percorso da forme
semplici a forme ideali artistiche, fino
alla catarsi. Con ciò si intende la rara
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formazione
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sublimazione del dialogo stesso in un
incontro tra individui che si scambiano
fiducia e ascolto, fanno conto su di una
realtà superiore che unisce, dove trovano la verità che cercano.
Ciò che qui interessa è, soprattutto, l’aspetto di base, l’educazione ai fondamenti di un dialogo.
Innanzi tutto, il dialogo tra più interlocutori avviene tramite il parlare, l’ascoltare, il capire una stessa lingua.
Va però tenuto conto che sul dialogo
influisce di continuo il rapporto vivente
tra gli interlocutori.
Fattori del dialogo sono, di conseguenza,
il complesso nesso relazionale tra gli
interlocutori e il contesto spazio-temporale in cui esso si svolge.
Tra i vari livelli di dialogo catalogati,
spontaneo, informativo, conoscitivodecisionale mi soffermo sull’ultimo, al
quale appartengono le riunioni di collaboratori, le discussioni, i colloqui, le
trattative. In questo caso va cercato un
equilibrio tra il caos di una spontaneità
anarchica e, spesso, inconcludente e l’irrigidimento di una conduzione troppo
organizzata razionalmente. Il dialogo
ideale deve avere delle forme di controllo razionale della discussione, senza
rinunciare alla fantasia creativa. Un
aiuto, in questo senso, può essere, per
esempio, una fase preliminare del dialogo, nella quale ognuno può esprimere
liberamente e senza inibizioni quello che
gli viene in mente a proposito della que-
“
raggiunge il culmine.
L’atteggiamento
Qui si svolge la scena
di fondo di un dialogo
decisiva.
Il quarto atto di solito ideale è la domanda
consiste in una dece- nei confronti
lerazione, si svolge in
un luogo secondario, della verità.
personaggi di second’ordine compaiono in primo piano. Il
quinto atto arreca la soluzione: nella tragedia l’eroe muore, nella commedia
coppie separate si ritrovano e, in ogni
caso, il problema è risolto.
Attraverso questa struttura del dramma,
l’anima deve purificarsi con timore e
pietà. Tutto questo si può ritrovare
anche nella forma temporale di un dialogo modificato in modo corrispondente.
Il consenso nasce dopo il terzo atto, da
posizioni mutate e non significa mai una
vittoria di una parte sull’altra, ma porta
sempre qualcosa di nuovo rispetto alle
posizioni originarie.
Zimmermann sottolinea più volte l’importanza della pausa e della domanda.
La pausa serve ad accogliere quanto è
stato detto e a preparare nuovi impulsi
dialogici. Ogni domanda è espressione
di un dubbio, di un elemento drammatico senza il quale non sorgono né conoscenza né decisione comune.
Egli tratta successivamente delle tipologie di interlocutori, dei ruoli, con riferimento alle costellazioni di chi partecipa.
Il dialogo come ricerca artistica di
unione con lo spirituale si sublima infine
per mezzo delle due citazioni letterarie,
tratte dalle “Conversazioni di immigranti
tedeschi” di Goethe e dal Parsifal.
Consigliabili le esercitazioni pratiche dell’ultimo capitolo, da compiere sia da soli
che in situazioni di dialogo, tratte da
indicazioni di Rudolf Steiner.
„
15
Primavera 2009 Numero Sedici
stione convenuta, prima di incanalarsi
nei binari pre-costituiti, come l’ordine
del giorno e la scansione oraria.
In senso ideale, la dialettica è volta non
ad affermare le proprie convinzioni, ma
sempre e solo al servizio della ricerca
della verità.
L’atteggiamento di fondo di un dialogo
ideale è la domanda nei confronti della
verità. Ciò presuppone che i partecipanti
entrino totalmente nel processo del
pensiero e aiutino a far sì che una realtà
nascosta possa manifestarsi alla conoscenza. Questa situazione implica che
ogni partecipante faccia leva sulla propria predisposizione interiore a collegarsi
alla sfera artistica.
Il dialogo come arte richiede molti passi
d’esercizio. Si colloca, tra le arti, vicino
a quelle cosiddette “temporali”, musica,
poesia, danza, recitazione. Si tratta di
un’azione nel Tempo, che Zimmermann
analizza come tempo configurato.A differenza, però, di musica, recitazione,
danza la condizione artistica nel dialogo
viene attuata senza ascoltatori esterni,
solo nell’interagire di più persone. Il
gioco si attua tra i mezzi espressivi sensibili della parola, gli impulsi formativi
e la mediazione della fantasia artistica.
Il dialogo così formulato si pone pertanto come una scuola preparatoria per
un’arte sociale.
Tra le diverse immagini a cui l’autore
paragona il dialogo (acqua che scorre,
sinfonia, Messa) scelgo la comparazione
con il dramma.
Un dramma classicamente inteso consiste di 5 atti. Il primo atto presenta l’esposizione di personaggi, luoghi, fatti.
Senza il primo atto, vengono a mancare
i presupposti, si stenta a capire la
vicenda. Nel secondo c’è un’accelerazione: le parti opposte si scontrano, l’azione si acuisce e nel terzo atto l’azione
a
rte
Conversazione intorno a Duchamp
Intervista a Tommaso De Angelis
di Walter Abbondanza
Walter: nella precedente intervista
abbiamo analizzato il percorso artistico di Beuys . Ci eravamo proposti
di continuare, indagando convergenze e diversità della sua visione
rispetto a quella di altri due grandi
artisti come Duchamp e Klein.
Tommaso: Certo. Ma non è un compito
semplice. Si tratta di tre figure tra le più
grandi dell'arte moderna. Con un paragone un pò azzardato, rappresentano
per l'arte moderna quello che per il
Rinascimento è stata la triade Raffaello,
Leonardo, Michelangelo. Proprio per
questo considererei Duchamp e Klein in
due momenti distinti.
Nella pagina
a fronte,
Marcel
Duchamp,
L.H.O.O.Q.
(1919)
in
formazione
Hai ragione. Potremmo cominciare
con un artista e rimandare l'analisi del
secondo ad una intervista successiva.
Che ne diresti di cominciare da
Duchamp ?
Va bene, anche temporalmente,
Duchamp nasce infatti nel 1887, circa
40 anni prima di Klein, anche se morirà
nel 1968, 6 anni dopo Klein. Vorrei
subito evidenziare qualcosa che accomuna Beuys e Duchamp: entrambi,
prima di tutto, hanno cercato di trasformare la propria vita in un’ opera d’
arte. Duchamp nasce come pittore e già
a 15 anni dipinge, dimostra grande
talento realizzando opere caratterizzate
da diversi stili pittorici: impressionista,futurista, cubista, dada, surrealista.
Nel 1912 a 25 anni realizza il suo ultimo
quadro “Nudo che scende le scale” di
ispirazione cubo- futurista. Dopodichè,
16
smette di essere un pittore anche se
non cesserà mai di essere un ‘artista, in
modo originale, a volte provocatorio,
come vedremo. In un’ intervista rilasciata al regista belga Jean Antoine, 2
anni prima di morire, alla domanda
“cosa ha fatto nella sua vita” Duchamp
risponde:“ mi sono servito della pittura,
mi sono servito dell’arte, per stabilire un
modus vivendi, una specie di metodo
per capire la vita, cercare cioè per il
momento di fare della mia stessa vita
un’opera d’arte, invece di passarla a
creare quadri e sculture. Ora penso si
possa usare il proprio modo di respirare,
di agire, di reagire agli altri…Si può trattarli come un quadro, un quadro
vivente o un’immagine cinematografica,
se vuole. Sono le mie conclusioni di
adesso, che non ho né voluto né organizzato quando avevo venti o quindici
anni, ma mi rendo conto ora, dopo
molto tempo,che in fondo è a questo
che ho mirato.”
Ma esistono differenze tra l’essere
artista di Beuys e quello di Duchamp
e nel progetto di trasformare le
rispettive vite in opere d’arte ?
Certamente. Anche se comincerei con
una somiglianza: entrambi non hanno
fatto della componente estetica la parte
principale del proprio percorso artistico.
Ma Beuys, come abbiamo visto nella
scorsa intervista, ha privilegiato l’azione
nel sociale, la performance dimostrativa,
un livello elevato di comunicazione per
provocare nello spettatore un’azione
Primavera 2009 Numero Sedici
17
a
rte
Man Ray
(a sinistra)
e Marcel
Duchamp.
in
formazione
partecipativa. Beuys agisce con la
parola, lavora sul rinnovamento culturale,economico, sociale e politico.
Duchamp privilegia il silenzio, assurge
spesso ad una posizione di distacco aristocratico verso l’esterno. E’ una figura
ieratica, non commenta mai le sue
opere, non risponde mai alle critiche
espresse su di esse. La sua è una specie
di poetica del silenzio, che ricorda le vie
spirituali di stampo orientale, caratterizzate dalla non azione. Per Duchamp
un’opera d’arte è prima di tutto un’idea
che diviene manifesta attraverso una
tecnica. E’ un platonico,per lui l’opera è
la traccia che l’idea-spirito lascia nella
materia. Tanto è vero che, a un certo
punto Beuys dichiara pubblicamente e
provocatoriamente che il silenzio di
Duchamp è sopravvalutato, sottoli-
18
neando la sua visione aristocratica, sembra volergli dire: quello che fai è solo per
te stesso. E questo perché Beuys agisce
con un concetto allargato dell'arte, perché il suo percorso è caratterizzato dalla
scultura sociale, perché il suo motto è
“ogni uomo è un’artista” intentendo
che all’interno di ognuno giace addormentata una fonte creativa che deve
solo essere risvegliata.
Possiamo analizzare come Duchamp
si esprime come artista dopo il 1912
quando abbandona la pittura?
Prima di parlare dei suoi celebri “ready
mades” e delle sue “macchine celibi
(improduttive)”non può passare sotto
silenzio che Duchamp in realtà non
smette mai di essere pittore, pur nel suo
modo originale di intendere la pittura.
Sempre nell'travestita con J.Antoine alla
domanda “nel giorno in cui ha rinunciato alla pittura, ha creduto che la pittura fosse morta ?” risponde: “ Intanto
non vi ho rinunciato, se mi venisse un’idea domani la realizzerei, ho semplicemente smesso perché per il momento
non avevo niente da dire…..ma non ho
fatto voto di non dipingere.” Infatti, per
anni lavora su 2 idee che saranno le sue
grandi opere. Da una parte, tra il 1915
e il 1923 sul “grande vetro” e, dall’altra,
tra il 1946 e il 1966, su “etant donnès”(dati)”. Due opere originali, il titolo
della prima mi permette di parlare di
altre componenti importanti della sua
visione artistica: l'altissima e il gioco. Il
grande vetro richiama la grande opera
alchemico, la trasformazione del
metallo vile in oro, ovvero la capacità di
trasformare la propria esistenza in
opera d’arte. Del resto egli usa e
riprende spesso il linguaggio alchemico.
Come, ad esempio, l’anagramma nasco-
E ritornando ai ready-mades?
È forse la parte più intrigante e controversa del suo essere artista. Alcuni tra i
più famosi ready mades (bello e fattobello e pronto) sono la celebre “fontana-orinatoio “, l’ampolla “aria di
Parigi”, “L.H.O.O.Q”. - riproduzione
della Gioconda con baffi, la” ruota di
bicicletta”. Sono oggetti comuni che
l’artista decontestualizza sia nell’uso che
nel nome ed eleva di rango nella loro
artisticità. Con i ready mades Duchamp
esprime un atto di rivolta cosciente
verso l’estetismo imperante, denuncia
la perdita di valore dell’ arte “retinica”,
dichiara la fine dell’innamoramento
verso il pigmento. Contemporaneamente, è un modo provocatorio di
dichiarare il primato dell’idea sulla sua
realizzazione, con i ready mades non è
necessario che l’artista si sporchi le mani
con la materia, è un riappropriarsi della
paternità dell’opera d’arte. E’ una
dichiarazione che l’arte è gioco, un mettere provocatoriamente al centro un
oggetto comune. Paradossalmente,
alcuni interpretarono questo cambiamento di prospettiva, da un piano estetico svuotato di contenuto e significato
ad uno prettamente concettuale, come
una nuova forma estetica (e i nipotini
attuali di Duchamp continuano a farlo
anche oggi) . Come scrive lo stesso
Duchamp nei primi anni ’60 ad un
amico: “ Quando ho scoperto i ready
mades speravo di scoraggiare il carnevale dell’estetismo. Ma i neo dadaisti
utilizzano i ready mades per scoprirvi un
valore estetico. Ho gettato loro il portabottiglie e l’orinatorio in faccia come
provocazione ed ecco che costoro ne
ammirano la bellezza estetica.”
Possiamo parlare ora delle macchine
celibi (improduttive) ?
Prima vorrei riportare testualmente la
dichiarazione di Duchamp fatta alla
conferenza di Hofstra, in Germania, sul
ruolo dell’artista nella società perché ci
permetterà di capire
meglio il significato
delle macchine celibi:“
Egli usa
L’artista gioca nella
società moderna un e riprende spesso
ruolo molto più il linguaggio
importante di quello
di un artigino o di un alchemico.
buffone. Egli si trova Come, ad esempio,
confrontato con un
l’anagramma nascosto
mondo fondato sul
materialismo brutale nella fotografia
dove tutto è valutato
realizzata
in funzione del benessere materiale e dove da Man Ray, dove
la religione, dopo aver Duchamp, vestito
perduto molto terreno, non è più la da donna appare
grande dispensatrice come Rose Selavy,
di valori spirituali.
Oggi l’artista è un che “in chiaro”
curioso serbatoio di vuol significare
valori para-spirituali in
opposizione assoluta “eros è la vita”.
con il funzionalismo
quotidiano in ragione del quale la
scienza riceve l’omaggio di una cieca
ammirazione. Dico cieca, poiché non
“
„
19
Primavera 2009 Numero Sedici
sto nella fotografia realizzata da Man
Ray, dove Duchamp, vestito da donna
(richiamo all'ambiguo dell'appartenuta
esteriore) appare come Rose Selavy, che
“in chiaro” vuol significare “eros è la
vita”. E la dimensione del gioco pervade
il suo essere artista e anche la sua esistenza in senso lato. Comunque, il gioco
come piacere in se è vissuto da
Duchamp sino in fondo, tanto da condurlo a divenire negli scacchi un maestro di livello internazionale.
a
rte
credo nell’importanza suprema di queste soluzioni scientifiche che non toccano neanche i problemi personali dell’essere umano…..Credo che oggi più
che mai l’artista abbia questa missione
parareligiosa da compiere: mantenere
accesa la fiamma di una visione interiore di cui l’opera d’arte sembra essere,
per il profano, la traduzione più fedele
” E qui troviamo una comunanza di
visione con Beuys che, come abbiamo
ricordato nell'travestita precedente, nel
discorso “Ringraziamento a W.Lehmbruk”, tenuto a Duisburg nel 1986, nove
giorni prima di morire, alludendo a
quando vide per caso una fotografia di
un’opera dello scultore che non conosceva ne fu tanto colpito da: “…mi
balenò in testa un’idea o meglio ancora,
un’ intuizione: la scultura, con la scultura
c’è da fare qualcosa. Tutto è scultura
sembrava gridarmi quella figura. Fu
allora che io vidi una fiaccola, una
fiamma, e udii una voce che mi diceva:
proteggi la fiamma.”
Quindi la serie delle macchine celibi
è una metafora dell’inadeguatezza del
progresso scientifico per sviluppare il
benessere complessivo, materiale,
animico, spirituale, del genere
umano?
Si, per Duchamp l’uomo moderno è
simile a una macchina, ha comportamenti automatici, reagisce soltanto, poi-
ché ha disimparato ad agire in modo
originale, a rispondere creativamente
alle situazioni, alle sfide della vita che
mutano in continuazione. E l’assurdità
delle macchine celibi di Duchamp, l’
impossibilità del loro meccanismo ad
essere produttivo vuole evidenziare il
limite del progresso scientifico, la sterilità del materialismo che è una sua
naturale conseguenza. Compito dell’artista in questo contesto è mantenere
accesa la fiamma della visione interiore.
Alla fine della nostra conversazione
vorrei sottolineare sinteticamente
alcuni rimandi che fanno comprendere
l’ispirazione rosacrociana e l’uso del linguaggio alchemico nelle opere di
Duchamp, Beuys e Klein. I baffi e il pizzetto fatti a matita da Duchamp su
una riproduzione della Gioconda sottolineano l’elemento androgeno tanto
caro agli alchimisti. In tutti e tre gli artisti è presente la tematica della trasformazione della propria parte materiale in oro. L’uso della rosa, simbolo
rosacrociano, è utilizzato da tutti e tre
gli artisti nelle proprie opere: Beuys si
fa fotografare con in mano una rosa
per la rivoluzione, intesa come evoluzione dell’essere, Duchamp si fa fotografare vestito da donna come Rose
Selavy e l’ultimo lavoro di Klein è una
lastra d’oro su cui poggiano delle rose
bianche.
TOMMASO DE ANGELIS • Diplomato in pittura all’Accademia di Belle Arti di Brera
(Milano), è stato allievo a Dornach di Beppe Assenza, ha approfondito lo studio e
la conoscenza dell’opera e del pensiero di Beuys che considera il più grande artista del XX secolo.
Negli anni ‘90 con altri artisti ha fondato a Milano “Campo Blu”, spazio espositivo
per diffondere l’arte contemporanea in Italia.
Attualmente insegna cromatologia all’Accademia di Belle Arti di Brescia, dove è
anche responsabile del Master di Arte Terapia. Esercita inoltre Arte Terapia presso
l’Associazione “Camminiamo Insieme” e tiene un laboratorio di pittura con persone disabili presso la Cooperativa “Punto d’Incontro”.
in
formazione
20
u
na gita a...
Parco Ittico
Questo mese vogliamo consigliarvi una gradevole gita a circa 20 km da Milano, adatta
anche ai più piccini: il Parco Ittico.
Si tratta di un’area di circa 130.000 mq di terreno, attraversata da canali dove vivono varie
specie di pesci d’acqua dolce.
Il parco offre l'opportunità di osservare vari
ambienti naturali a pochi metri l'uno dall'altro.
Sono state create infatti zone ad acque lente,
altre ad acque veloci, altre ancora con pesci
di grandi dimensioni.
Attraverso vetrate sotterranee, si possono
osservare pesci come gli storioni, le carpe koi,
il luccio, il pesce gatto, ecc.
All’interno del parco ci sono anche diverse
aree attrezzate con tavoli da pic-nic, un bar
e tanti giochi come altalene, scivoli, ponti
tibetani e funi per i bambini.
Per raggiungere il Parco Ittico Paradiso, che
è ubicato nel Comune di Zelo Buon Persico
(frazione Villa Pompeiana), a soli 20 km da
Milano, è consigliabile imboccare la Statale
Paullese per girare al bivio di Zelo Buon Persico o percorrere la via Emilia fino a Melegnano e quindi seguire le indicazioni per
Mulazzano.
Il costo del biglietto per gli adulti è di 10 euro,
per i bambini dai 4 ai 13 anni 8 euro.
Il parco è aperto dal 1° marzo al 30 settembre dalle 9.00 alle 17.30.
Per informazioni:
Telefonare al numero 02/9065714.
Vi consigliamo di visitare il sito
www.parcoittico.it
21
Primavera 2009 Numero Sedici
Con questa rubrica vorremmo condividere con le famiglie qualche idea per una
gita in giornata fuori porta, respirare un
po’ di aria buona e distrarsi con i bambini.
Se avete una meta carina da consigliare,
saremo lieti di pubblicarla.
l
a redazione segnala...
Letture
Per adulti
David Grossman, Con gli occhi del nemico, Mondadori 12 euro
Cosa può fare uno scrittore israeliano per aiutare il proprio paese a ritrovare
la pace? Creare storie e personaggi in grado di far entrare i lettori nella pelle
di un altro. Anche se l’altro è un nemico. Quando abbiamo conosciuto l’altro dall’interno ci sarà impossibile rinnegarlo del tutto. Così il personaggio
inventato diventa persona vera e intimamente e familiare: un dono della letteratura che è capace di accendere una nuova speranza nel tragico labirinto
del conflitto tra israeliani e palestinesi.
Per adulti
David Grossman, Che tu sia per me il coltello, Mondadori 8,80
euro
In un gruppo di persone, un uomo vede una donna sconosciuta, colpito da
quella che egli interpreta come un’impercettibile e ostinata difesa, le scrive
una lettera, proponendole un rapporto profondo, aperto e libero da qualsiasi vincolo. Yair e Miriam scoprono l’importanza dell’immaginazione nei
rapporti umani e la sensualità che si nasconde nelle parole… a ognuno di
noi quanta strada e quanto coraggio occorrano per arrivare a toccare con pienezza l’anima di un altro essere umano.
Dai 9 anni
Mario Rigoni Stern, Il libro degli animali, Einaudi 10 euro
Mario Rigoni Stern è nato e vissuto in montagna, ha raccontato le sue storie
osservando gli animali comuni che vivono vicino a noi. Le sue sono storie di
vita vissuta non solo dagli uomini ma anche dagli animali, racconti di guerra
o del suo paese che ci parlano con straordinaria profondità di sentimento del
cane Marte, dell’asina Giorgia, del merlo Marco…
Libera Scuola Rudolf Steiner - Via Tommaso Pini 1 - 20134 Milano
www.liberascuola-rudolfsteiner.it • e-mail: [email protected]
In Formazione è realizzato grazie al lavoro totalmente volontario dei maestri e dei genitori
che vi partecipano. Il costo per la stampa e la confezione è stato donato da Rotomail Italia SpA.
Hanno partecipato alla realizzazione di questo numero:
Walter Abbondanza, Matilde Barberis, Silvia Canepa,
Barbara Cavalli, Riccardo Gatti, Livia Negri.
Chiusura in redazione: marzo 2009
in
formazione
22
LIBERA
SCUOLA
RUDOLF
STEINER