Duchamp, Re-made in Italy

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Duchamp, Re-made in Italy
01 novembre 2013 delle ore 06:09
Duchamp, Re-made in Italy
Così s’intitola la mostra alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna. Concentrata sul periodo (1964
e 1965) che il padre dell’Arte Concettuale trascorse in Italia. Il tempo giusto per chiarirsi l’antipatia
verso il Futurismo, dopo che aveva già liquidato il Cubismo. Ma Duchamp era uno che si annoiava
in fretta delle cose. Volubile, insofferente? No, semplicemente uno che guardava avanti. E che ha
insegnato molto a chi è venuto dopo. Come racconta questa mostra [di paola ugolini]
Marcel Duchamp (1887-1968) è il padre
dell’arte contemporanea, nell’accezione concettuale
che noi oggi usiamo per definirla, oltre che un
intellettuale, un art-consultant, un giocatore di
scacchi e un artista controverso e scomodo che
ha avuto dalla critica ufficiale un riconoscimento
decisamente tardivo. Come artista assume fin
dall’inizio della sua carriera una posizione
critica nei confronti del Cubismo accostandosi
apparentemente al dinamismo dei Futuristi
italiani. La sua prima opera pittorica importante
il Nudo che scende le scale del 1912, è di totale
rottura estetica perchè, non solo mette in crisi
l’eccessiva staticità del cubismo analitico di
Braque e Picasso, ma introduce un inedito
elemento cinetico che l’artista utilizza per
sottolineare il movimento ripetitivo e
meccanico compiuto dal corpo in movimento.
Ma non è la rappresentazione del movimento
che interessa Duchamp e infatti la sua ricerca
non è certo quella della rappresentazione della
velocità e della modernità ma, al contrario, la
sua pittura, di cui si stuferà di li a breve, è
l’apparentemente umoristica ma in realtà
nichilistica contestazione dell’esistenza umana.
La mostra alla Galleria nazionale d’Arte
Moderna, "Duchamp. Re-made in Italy” (a cura
di: Stefano Cecchetto, Giovanna Coltelli,
Marcella Cossu e Carla Subrizi fino al 9
febbraio), è un omaggio a questo grande
demiurgo e in particolare a quel breve periodo
che Duchamp trascorse in Italia fra il 1964 e il
1965.
Se c’è una cosa che può accomunare Duchamp
ai nostri Futuristi è il loro comune sentimento
di disprezzo nei confronti del "viaggio in Italia”
considerato non solo superfluo ma anzi
pericoloso, e infatti Duchamp visiterà gli Uffizi
per la prima volta solo alla fine della sua carriera
nel 1964. Questo omaggio che la GNAM
realizza per celebrare il maestro francese
cinquanta anni dopo il suo viaggio in Italia e
cento anni dopo la creazione del primo "readymade”: "Ruota di bicicletta” (1913) è
un’occasione anche per raccontare la storia
delle due prime esposizioni italiane, a Milano
presso la Galleria di Arturo Schwarz, dal 5
giugno al 30 settembre del 1964, e a Roma
presso gli uffici di Dino Gavina di via dei
Condotti 11, nel giugno del 1965 con
l’allestimento di Carlo Scarpa che disegnò tutte
le basi per i Ready-mades, allestimento che
tanto piacque a Duchamp al punto da fargli
affermare: «Questa è la mostra più bella che io
abbia mai avuto!».
In mostra anche l’unica opera che è stata
acquisita dalla GNAM per volontà della mitica
Palma Bucarelli nel 1970 che la acquisì da
Gaspero del Corso direttore della Galleria
l’Obelisco, un esemplare della prestigiosa
edizione limitata della Boite-en-valise del
1936-41 che è esposta in una teca al centro della
seconda sala. L’opera è un vero e proprio
"museo portatile” che racchiude le riproduzioni
miniaturizzate dell’intera produzione di
Duchamp, un’opera che da sola vale la visita
alla mostra.
Come abbiamo accennato, il maestro si era
stufato presto della pittura, in effetti Duchamp
si annoiava in fretta di tutto, eccetto il gioco
degli scacchi che appassionò lui e i suoi fratelli,
gli artisti Raymond Duchamp Villon e Jacques
Villon, per tutta la vita, ma per spiegare il suo
evolvere da "pittore” a realizzatore di puri "
dispositivi di senso” oggettuali, è bene riportare
qui le parole del maestro: «Il Futurismo era
l’impressione del mondo meccanico (….)A me
questo non interessava (….)Volevo far si che la
pittura servisse ai miei scopi e volevo
allontanarmi dal suo lato fisico. A me
interessavano le idee, non soltanto i prodotti
visivi. Volevo riportare la pittura al servizio
della mente (…..) La pittura non dovrebbe
essere solo retinica o visiva; dovrebbe avere a
che fare con la materia grigia della nostra
comprensione invece di essere puramente
visiva (….). Io ero talmente conscio
dell’aspetto retinico della pittura che volevo
trovare un altro filone da esplorare».
L’orinatoio o Fountain del 1917 o la Ruota di
bicicletta del 1913, benché probabilmente
travisati come semplici gesti iconoclasti, sono,
insieme alla Monna Lisa con i baffi
dall’irriverente titolo L.H.O.O.Q. del 1919, tra
gli oggetti più famosi dell’arte del XX secolo.
L’influenza di Duchamp sugli artisti successivi
è stata enorme, quasi ingombrante, e alla
GNAM la sala centrale delle sette in cui si snoda
l’esposizione è dedicata al rapporto diretto che
è intercorso tra il maestro francese e alcuni dei
nostri maggiori artisti contemporanei come
Luca Maria Patella, Enrico Baj, Gianfranco
Baruchello, Sergio Dangelo e Giosetta Fioroni
di cui è presente in mostra l’opera del 1968 La
spia ottica che ha delle forti analogie, ma anche
molte differenze, con l’enigmatica installazione
di Duchamp del 1969 Etant donnès: 1. La chute
d’eau, 2.Le gaz d’èclairage. Certamente il
concetto di "ready-made”, insieme al problema
del gesto dell’artista come "selettore”
dell’oggetto d’arte, sono stati il punto di
partenza per le varie forme di Arte Concettuale.
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