Da Cronos a Mercurio
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Da Cronos a Mercurio
Da Cronos a Mercurio Anna Piantanida Relazione tenuta alla GAM, Galleria d’Arte Moderna di Torino, il 5/12/2008 Il lavoro intende prendere in considerazione due atteggiamenti paterni antitetici che possiamo ritrovare nell‟immaginario di ogni uomo. Il primo atteggiamento è rappresentato dall‟opera di Francisco Goya “Saturno” del 1821 mentre “L‟educazione di Eros” del Correggio, datato intorno al 1523, ci porterà a riflettere sul secondo. Il pittore spagnolo Francisco Goya (1746-1828) compose il “Saturno” nella parte finale della sua lunga vita, quando la realizzò era malato, gravato dalla sordità e dalla solitudine per la recente perdita della moglie e ancora scosso per le drammatiche vicende dell‟invasione napoleonica della Spagna, invasione che lui aveva rielaborato attraverso le celebri incisioni “Disastri della guerra” (1808-1814). In questo momento Goya, provato nel fisico e nello spirito, si ritira in una casa di campagna chiamata impietosamente “Quinta del sordo” con allusione alla sua infermità e in questo ritiro crea quattordici pitture denominate “pitture nere” perché vi predominano colori scuri. Esse sono ispirate a temi biblici, mitologici o a superstizioni popolari. Saturno, una delle “pitture nere”, rievoca con terribile violenza realistica l‟antico mito del Tempo divoratore di tutte le creature che sono suoi figli. Se da un lato la drammaticità di quest‟opera può essere collegata alla sofferenza personale dell‟artista e all‟opprimente momento storico vissuto dalla Spagna, possiamo dall‟altro chiederci quanto il mito di Saturno abbia radici nelle emozioni e nelle fantasie più profonde dell‟uomo. Nell‟opera di Goya come del resto nell‟inquietante “Saturno” di Rubens del 1636 compare un padre che famelicamente fa‟ fuori il proprio figlio. Se tralasciamo l‟ipotesi che il “ Saturno” di Goya possa leggersi come la rappresentazione di un‟identificazione proiettiva, di un vedere cioè nel padre orco la propria incontrollabile e fantasmatica oralità di figlio, ci troviamo di fronte ad una specifica aggressività del genitore verso la propria prole. Se cioè non poniamo l‟ attenzione all‟avidità ed alla distruttività provenienti dal figlio o meglio, se non poniamo unicamente l‟attenzione a queste componenti, dobbiamo prendere in considerazione avidità e distruttività di provenienza genitoriale, cosa tutt„altro che scontata. Come infatti osserva Emanuele Bonasia nel suo articolo “La guerra, la morte e il figlicidio”: “l‟enfatizzazione in Freud e nella Klein dell‟aggressività del bambino ha consentito di oscurare quella dei genitori nei confronti dei figli, in altre parole rimanendo al livello edipico, il complesso di Edipo e il parricidio connesso hanno oscurato il complesso di Laio e il figlicidio”. Non è da dimenticare infatti che le tragiche vicende vissute da Edipo hanno come base di partenza ben due tentativi da parte di Laio di uccidere il figlio destinato a succedergli. Da questa prospettiva allora Cronos rappresenta la brutalità istintuale priva di contenitore e di osservanza delle leggi spazio-temporali; è un padre che uccide i propri figli per non sottostare alle naturali fasi dell‟esistenza che lo porterebbero a vedere con angoscia la propria fine, Via i figli rivali cui è riservata la proiezione nel futuro, via il termine della propria vita, con Cronos trionfano narcisismo e onnipotenza in una dimensione chiaramente preedipica e schizoparanoidea. Nel suo libro intitolato appunto “Il figlicidio” Raskovskj affronta a fondo queste tendenze aggressive presenti nei genitori ed afferma che esiste un impulso figlicida primario. Certo è spontaneo alzare difese rispetto queste osservazioni proclamando l‟oblatività affettuosa del proprio essere genitori e provando difficoltà nel mettere insieme dentro di sé la tenerezza di cui c‟è consapevolezza con la collera distruttrice che ha le sue radici in profondità spesso non accessibili alla consapevolezza stessa. Ma come spiegare i frequenti sacrifici di bambini presenti in molte religioni antiche o in fasi di cambiamenti importanti a livello socio culturale come sottolineato dallo stesso Raskovskj? Come spiegare i casi di violenza totale o parziale sui figli che vengono sovente alla ribalta? E le guerre con le loro tremende carneficine di giovani non possono essere lette, anche, come un tentativo più o meno consapevole di liberarsi dei figli rivali in un vero rovesciamento di prospettive rispetto al parricidio originario ipotizzato da Freud? Rovesciamento di prospettive già messo in luce da Erodoto quando dice: “In pace i figli seppelliscono i padri mentre in guerra sono i padri a seppellire i figli”. Rispetto al “Cronos” di Goja, “L‟educazione di Eros” del Correggio datato fra il 1523 e il 1525 è di tutt‟ altro impatto emotivo presentandoci un‟idilliaca scena a tre e introducendo la metafora del ruolo paterno attento alle esigenze infantili di crescita. Il pittore emiliano Antonio Allegri detto Il Correggio (1489-1534), di cui si hanno notizie biografiche scarse e spesso incerte, compose su commissione, pare, dei Gonzaga duchi di Mantova, una celebre serie di quadri a soggetto mitologico. Questi lavori comprendono “L‟educazione di Eros,” Venere e Cupido con Satiro”ed infine “ I quattro amori di Giove”, lavori che aumentarono la fama già consolidata dell‟artista. Nell‟”Educazione di Eros” vediamo Eros fra la madre Afrodite ed Ermes (Mercurio per i romani) che secondo la mitologia classica non è il vero padre ma che qui è sicuramente colto in un atteggiamento paterno affettuoso. Ermes, una divinità complessa e dalle svariate sfaccettature, dio dei viaggi, delle relazioni pacifiche sociali, dei commerci, è ritratto nella sua valenza di dio della conoscenza.. In Ermes e nel suo culto troviamo infatti collegamenti con il dio egiziano Tot considerato principio creatore d‟ogni cultura, civiltà, scienza ed arte. Eros volta le spalle alla bellissima madre Afrodite che pure tende a coprirsi con il braccio destro, non a caso alcuni studiosi dell‟arte hanno qui parlato di “Venus pudica” a differenza di altre rappresentazioni in cui la dea della bellezza, dell‟amore, della fecondità è colta in tutta la sua carica erotica. Per parte sua sembra Eros rinunciare alle accattivanti seduzioni per il corpo materno, agli istinti più antichi, alle fantasie incestuose mentre inizia con impegno il suo processo di alfabetizzazione in un dialogo venato di tenerezza, da maschio a maschio, con Ermes. Il processo d‟identificazione sembra rimarcato dai colori giallo ed azzurro delle ali del bambino, colori che ritroviamo nell‟abbigliamento dell‟adulto. L‟insegnamento della lettura da una parte ed il suo apprendimento dall‟altra permettono una condivisione della cultura, condivisione depurata dagli originari conflitti contrassegnati dal “mors tua, vita mea”. L‟insegnamento della lettura da parte di Ermes ci apre alla rappresentazione del simbolico quanto Cronos ci mette di fronte all‟acting out immediato delle pulsioni più antiche. Vien da pensare ad Ermes come ad un padre che aiuta il proprio figlio a trasferire nel mondo dei simboli anche quanto di oscuro, preedipico , competitivo in termini assoluti, c‟è nel loro rapporto. Nel ”Educazione di Eros”la contrapposizione “mors tua,vita mea”, già descritta da Fornari, è ben riassorbita; l‟intenzione dell‟artista è quella di porre in primo piano la corrente amorosa fra adulto e bambino, corrente amorosa di condivisione di una cultura che va a costituire qualche cosa che è altro da sé, qualche cosa che accomuna padri e figli e che si proietta di generazione in generazione nel futuro. Qui nessuno divora o fantastica di divorare nessuno, prevale la dimensione del “vita mea, vita tua” con una precisa divisione dei ruoli e con il rispetto dei salti generazionali. L‟accostamento di due opere così diverse fra di loro non intende a sua volta favorire una contrapposizione. Da una parte cioè thanathos e dall‟altra eros, da una parte meccanismi di tipo schizoparanoideo e dall‟altra un atteggiamento inseribile nella posizione depressiva, da una parte impulsi primordiali agiti e dall‟altra possibilità di superarli attraverso la simbolizzazione. Quanto rappresenta Cronos e quanto rappresenta Ermes si possono vedere come due atteggiamenti paterni all‟interno di un continuum di crescita ed un allargamento di coscienza non può non tener conto di entrambi. Concludendo, sembra proprio che per arrivare ad una situazione conviviale come quella rappresentata da Raffaello nelle “ Nozze di Amore e Psiche” del 1517 alla Villa Farnesina di Roma, situazione conviviale in cui ognuno ha un suo spazio e in cui padri e madri partecipano alla festa dei figli cresciuti, si debba fare un percorso personale. Si devono cioè attraversare rivalità, invidie, collere furibonde per arrivare poi ad esprimere una piena e sincera affettuosità. Rimangono aperte suggestioni ed interrogativi. Possono esserci una vera tenerezza ed un vero rispetto verso i figli se, come genitori, non si è consapevoli anche delle sotterranee aggressività verso di loro? Acting out molto drammatici alla ribalta della cronaca non ci fanno pensare che la negazione della distruttività genitoriale sia molto dannosa ed esploda poi in modo improvviso e inconsulto? E ancora , riprendendo il pensiero di Raskovskj, l‟assunzione della distruttività paterna non potrebbe mettere in discussione il meccanismo perverso della guerra? Bibliografia Bonasia Emanuele, La guerra, la morte e il figlicidio. Scaricabile da: www.psychomedia.it/pm/grpind/social/bonasia.htm Fornari Franco, Genitalità e cultura, 4a ed, Feltrinelli, 1983 Raskovsky A. (1973). Il figlicidio. Astrolabio-Ubaldini, Roma, 1974