John Locke Saggi sulla legge naturale

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John Locke Saggi sulla legge naturale
Filosofia
John Locke
Saggi sulla legge naturale
1660-1664
PERCHÉ LEGGERE QUESTO LIBRO
Questi sette saggi, pubblicati per la prima volta negli anni cinquanta del secolo scorso, sono
la testimonianza della riflessione specifica del grande pensatore inglese sulla legge di
natura. Questo componimento giovanile ci illumina sulla sua concezione di legge di natura,
ma ci serve anche come utile strumento per capire i suoi rapporti con la tradizione scolastica
e soprattutto con Thomas Hobbes. I Saggi sulla legge naturale, pertanto, permettono di
comprendere l’evoluzione nel pensiero politico di John Locke e lo sviluppo di una linea di
ricerca, il giusnaturalismo, che tanta importanza ha avuto nella storia delle idee.
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PUNTI CHIAVE

Una legge di natura, o regola di condotta morale, esiste

Questa legge di natura è conoscibile attraverso il lume naturale umano

Questa legge di natura non è, tuttavia, iscritta nell’animo degli uomini

La ragione può giungere alla conoscenza della legge di natura con l’esperienza

La legge di natura non si può conoscere sulla base del consenso universale

La legge di natura ha forza obbligante e carattere eterno ed universale

La legge di natura non ha come fondamento l’interesse privato
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RIASSUNTO
La premessa: la legge morale (o legge di natura) esiste
Questo Primo Saggio afferma l’esigenza primaria della specifica fase del pensiero di Locke,
l’intento centrale che lui intende mettere a tema in quel periodo: l’affermazione che la legge
di natura esiste, e questo in palese contrasto con la posizione principalmente di Hobbes.
Secondo Locke, l’esistenza della legge di natura, cioè di una regola del bene e del male, è
un fatto esperibile da tutti, partendo dalla constatazione indubitabile dell’esistenza di Dio
Creatore, che all’uomo ha conferito una sua propria legge naturale che si definisce come
bene morale, o onestà d’animo o retta ragione. La legge di natura infatti è il nome con il
quale viene designato il fondamento del bene e del male, della regola di condotta morale.
Essa esiste, come confermato dalla stessa incertezza sulla sua definizione/interpretazione e
come esperibile da tutti nell’intimo della propria coscienza.
Locke adduce altre tre prove dell’esistenza della legge di natura. Essa si inscrive nel grande
sistema stabilito da Dio per il mondo, che ha previsto una legge eterna e divina alla quale la
legge civile o positiva deve ispirarsi. In secondo luogo la legge di natura regge e connota lo
Stato, la società, il governo ed i patti, visto che la sua inosservanza o la sua mancanza
verrebbero inevitabilmente a far cadere i fondamenti del vivere civile. Infine, senza di essa
cadrebbe il senso per definire virtù e vizio, merito ed onestà, il bene ed il male, lasciando
tutto all’arbitrio umano, all’utilità, al piacere, all’impulso. Essa rappresenta quindi la norma,
il parametro del giudizio e del senso morale.
La legge morale può essere conosciuta dal lume naturale dell’uomo
Dopo aver stabilito che la legge di natura esiste per consenso unanime (anche se, come
vedremo, il consenso non è il fondamento per inferirne l’esistenza, ma solo un aspetto che
può verificarsi o meno), Locke si chiede come essa sia conoscibile dagli uomini. La soluzione
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presentata dall’Autore è il lume di natura, intendendo con detto termine la capacità
autonoma umana di conoscere. Siamo nel campo della gnoseologia, ambito nel quale la
ricerca di Locke si svilupperà fino al Saggio sull’intelletto umano ed oltre.
Scolasticamente, vengono definite tre possibili modalità di conoscenza: 1) iscrizione, vale a
dire l’apprensione attraverso un’interiorizzazione naturale dalla nascita. Questa opzione,
per quanto bella e comoda, sarà rigettata da Locke nel Terzo Saggio; 2) tradizione, vale a
dire l’apprensione attraverso il sentito dire. Fede, credenza, autorità sono tutte declinazioni
di questa modalità, ma esse, per quanto importanti, non costituiscono un modo originario
e sicuro di conoscenza della legge di natura; c) senso, vale a dire l’apprensione attraverso
l’esperienza sensibile. Ebbene, la posizione di Locke è esplicita ed inequivocabile: il senso/la
sensibilità sono il fondamento della conoscenza della legge di natura. La base di partenza di
ogni conoscenza è l’appercezione delle cose attraverso i nostri sensi.
La ragione avrà il compito successivo, l’elaborazione del dato sensibile. La ragione non è
una delle possibili modalità conoscitive, ma è la facoltà argomentativa che costruisce
l’edificio a partire dai dati fondamentali dati dai sensi. Dalla congiunzione di sensi e ragione
si giunge alla comprensione dell’esistenza di un Artefice, autore e creatore di tutte le cose.
Da questo assunto promana il successivo, ossia che esista una legge naturale universale che
governa l’umanità e che questa legge sia conoscibile dal lume naturale umano.
La legge di natura non è iscritta nell’animo degli uomini
All’interno della riflessione sulle origini della conoscenza della legge di natura, Locke si
chiede se l’anima dell’uomo sia una tabula rasa che osservazione e ragionamento
riempiranno, oppure se l’anima dell’uomo sia una tabula plena, cioè se in essa vi siano
connaturate ed iscritte le leggi di natura o i doveri.
Ebbene, per Locke la seconda ipotesi non è corretta per tutta una serie di ragioni: perché
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nessuno l’ha mai dimostrata, perché esistono opinioni divergenti, perché alcune
categorie di persone, come i bambini, gli ignoranti, i popoli primitivi, i folli e i malati di
mente, non mostrano di comprendere la legge di natura.
La legge di natura, pertanto, non è iscritta nell’animo dell’uomo. Possiamo ben vedere come
molte componenti di essa ci vengano dall’educazione, dall’abitudine, dal consenso,
dall’autorità, dalla fiducia e così via. Queste origini debbono portarci a concludere che le
proposizioni pratiche non sono innate come, per esempio, la volontà o l’intelletto. Provare
a dimostrare l’iscrizione nei cuori dei princìpi pratici e speculativi non è quindi un compito
agevole, ed è probabilmente destinato al fallimento.
L’esperienza è la via di accesso per conoscere la legge di natura
Secondo Locke possiamo però pervenire alla conoscenza della legge di natura attraverso il
cosiddetto lume naturale umano, a patto di considerarlo nella sua doppia accezione di
senso e ragione, le uniche due grandi facoltà educatrici. Senso e ragione devono
vicendevolmente prestarsi aiuto, perché senza collaborazione non è possibile la
conoscenza. Si presti bene attenzione, tuttavia, al fatto che il vero fondamento è dato
originariamente dagli oggetti di senso. Essi sono il sostegno stabile, la materia preesistente
su cui la ragione opera solo in un secondo momento conoscitivo.
Senso e ragione, pertanto, sono interrelati e le premesse a questa loro unione sono che
due: esiste un sommo legislatore cui siamo soggetti; esiste la volontà di quel potere
superiore che ci indica il da farsi. Pertanto, a livello gnoseologico, tutti hanno la possibilità
di rinvenire Dio attraverso il senso e la ragione, che sono donate universalmente.
Il consenso universale non è una modalità conoscitiva della legge naturale
Locke non è tra i pensatori che conferiscono al pronunciamento della massa un valore
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probante. Non è nel consenso universale degli uomini che possiamo ravvisare una delle
fonti per i comandamenti della ragione e dei decreti della natura. Locke divide il consenso
in positivo, cioè pattizio, e naturale, proveniente cioè dalle abitudini morali, le azioni, i
princìpi primi.
Il consenso è privo delle caratteristiche della legge di natura (ossia unanimità, universalità,
costanza nei tempi, accordo ed opinione comune e condivisa), quindi in entrambe le sue
forme non permette di conoscere la legge di natura, ossia le norme di comportamento
immutabili ed universali dell’uomo.
Il contrasto con Hobbes è evidente nella descrizione dello stato di natura, che mentre per
l’autore del Leviatano è uno stato di guerra perpetua, per Locke, invece, riveste ben altre
caratteristiche, affermando esplicitamente che la violenza o la guerra o l’odio non sono
innati, ma generati.
Le caratteristiche della legge di natura
Sono già emerse alcune importanti posizioni lockiane che con chiarezza si pongono agli
antipodi rispetto alle riflessioni di Hobbes. Questo contrasto si arricchisce, nella parte finale
della trattazione, di ulteriori connotazioni, laddove, per esempio, viene detto che non è
possibile ricondurre la legge di natura al principio di autoconservazione dell’individuo o
all’attaccamento istintivo individuale che può definirsi, in senso lato, come “egoismo”.
Quindi ci si chiede quale sia il carattere obbligante della legge di natura e quanto essa sia
obbligante. Se non è principalmente la cura e l’interesse per la propria persona a sostanziare
la legge di natura, e se quindi l’interesse e l’utile non costituiscono il portato dell’obbligo,
esso si deve rintracciare nell’obbedienza alla volontà di un potere superiore ed originario,
che è Dio. Sempre in contrasto con l’impostazione hobbesiana, il nostro Autore rintraccia
nella consapevolezza di ciò che è giusto e nella coscienza l’origine del giudizio morale e non
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nel timore della pena.
La legge di natura obbliga tutti gli uomini direttamente, di per sé e per forza intrinseca.
Questo per tre fondamentali motivi: 1) perchè ha tutti i requisiti di legge avente forza
obbligante, cioè in quanto espressione, specchio, promanazione della volontà superiore; 2)
perché questa legge costituisce la volontà del legislatore onnipotente, a noi nota per lume
e princìpi di natura; 3) perché la legge di natura costituisce il sostrato edificativo della legge
positiva e togliendone l’obbligatorietà si inficia ipso facto la possibilità di ordinamento civile
fra gli uomini.
La legge di natura ha poi queste altre caratteristiche: l’eternità e l’universalità. Se anche la
storia e l’osservazione ci mostrano incostanza, instabilità, incertezza nell’osservanza della
legge naturale sotto il dominio degli impulsi, questo non cambia affatto il quadro della
necessità obbligante dell’osservanza eterna della legge naturale. Essa non muta al mutare
dei tempi. A vario titolo ed a varia gradazione vi possono essere aspetti verso i quali è lecito
passare da un’osservanza relativa ad una esterna, fino a giungere ad un’osservanza
dispositiva ed infine obbligatoria ed eterna. Queste ultime due condizioni, che peraltro
rendono cogente il vincolo, obbligano all’osservanza universale, sotto tutte le latitudini ed
in tutti i tempi. Sono promanazioni della natura umana e perciò non possono subire
deroghe.
Il fatto di essere uomini, dotati di natura umana, con sensibilità, raziocinio, capacità
conoscitiva ed in ultima analisi creature di Dio rende obbligatoria l’osservanza della legge
di natura, ma la rende soprattutto eterna ed universale, mai abrogabile perché posta
dall’Artefice Supremo.
L’interesse privato non è il fondamento della legge di natura
È un errore capitale, per Locke, attaccare la legge di natura appellandosi all’argomento
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secondo il quale essa non esiste visto che utilità, consuetudine, tempi, interessi
cambiano. Innanzitutto utili ed interessi non sono in contrasto con la legge di natura, ma
ricevono piuttosto da essa la loro garanzia. La legge di natura è la tutela, per esempio, della
proprietà.
La legge di natura, infatti, deve sempre concordare con l’utile e l’interesse. Senza
ancoraggio con la legge di natura come definita nei saggi precedenti non sussiste nessun
utile individuale o nessun interesse privato. Essi infatti non possono fungere da regola
universale, mentre la legge di natura sì. Gli utili individuali, infatti, possono essere in
contrasto fra loro ed essere a loro volta in contrasto con altri interessi.
Non c’è convivenza civile possibile se manca l’aggancio alla legge di natura, non c’è giustizia
se non esiste per esempio la proprietà o il diritto di proprietà giuridicamente riconosciuto.
Non c’è morale possibile o norma di vivere se non ci si appella alla forza obbligante della
legge di natura contro i desideri fluttuanti e mutevoli della maggioranza.
CITAZIONI RILEVANTI
La legge di natura
«Questa legge di natura può dunque essere descritta come disposizione della volontà
divina, conoscibile per mezzo del lume naturale dell’intelletto, indicante ciò che è conforme
o difforme dalla natura razionale, e per ciò stessa espressa con la formulazione di un ordine
o di un divieto … la ragione, più che istituire e prescrivere questa legge di natura, la ricerca
e la ritrova, sancita da un potere superiore, insita nell’animo nostro, senza dunque esserne
autore, bensì interprete» (p.5).
Legge di natura, società, Stato e patto
«Due sono infatti gli elementi su cui la società umana dimostra di fondarsi, cioè una forma
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di Stato ben definita, con la costituzione di un governo, ed il rispetto del patto.
Eliminati questi fondamenti ogni comunità fra gli uomini è destinata a cadere in rovina, allo
stesso modo in cui cadono questi fondamenti stessi, se si elimina la legge di natura. Quale
può risultare, in effetti, l’aspetto di una comunità politica, quale la costituzione di uno Stato
o la sicurezza dei suoi interessi, se quella parte dell’organizzazione politica, che più di ogni
altra ha il potere di far del male, può agire senza alcun freno secondo la sua volontà, se cioè
nel potere supremo è possibile l’arbitrio più assoluto?» (p. 11).
Il consenso
«Vox populi vox Dei: quanto incerta e fallace sia questa massima apportatrice di mali, con
quanto spirito di parte, con quale crudele intendimento sia stato divulgato questo proverbio
di cattivo augurio, noi lo abbiamo imparato senza dubbio da un’esperienza troppo infelice;
e, di conseguenza, se noi volessimo dare ascolto a questa voce come ad un messaggero
della legge divina, difficilmente continueremmo a credere che esiste un Dio. Che cosa c’è
infatti di tanto scellerato, di tanto atroce e contrario ad ogni diritto e giustizia, a cui non è
riuscito talvolta a convincere il consenso, o piuttosto la congiura di una moltitudine
impazzita?» «p. 45».
Legge di natura e proprietà
«la legge di natura è la miglior garanzia dell’utile privato individuale, poiché al di fuori
dell’osservanza di essa, a nessuno è possibile godere della sua proprietà e attendere ai
propri interessi … nulla quanto l’obbedienza alla legge di natura conduce all’utile generale
di ciascuno, nulla contribuisce nella stessa misura alla protezione e alla sicurezza della
proprietà umana» (p. 83).
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L’AUTORE
John Locke nacque a Wrington nel 1632 e dopo una formazione classica si iscrisse al Christ
Church College di Oxford per divenire, al termine del tradizionale cursus accademico,
Master of Arts, tutor di greco e retorica e censore di filosofia morale. Ad Oxford acquisì
anche una notevole formazione scientifica, venendo a contatto con personalità rilevanti
quali Robert Boyle. L’incontro che impronterà la sua vita fu con Lord Ashley Cooper conte
di Shaftesbury. La loro collaborazione e la vicinanza con questo importantissimo esponente
politico, fatta di incontri e di alterne vicende legate all’altalena delle fortune politiche del
suo protettore, sono state lo snodo cruciale della sua esistenza. Un’esistenza che fu
costretta all’esilio dapprima in Francia e poi in Olanda, da dove contribuì ad organizzare la
spedizione di Maria Stuart e Guglielmo d’Orange, cioè quell’evento epocale noto come
Gloriosa Rivoluzione. Attento solo ai suoi studi ed alieno ad ogni forma di onori, si ritirò nel
1691 nel castello di Oates, ospite di sir Francis Masham. Qui, circondato dalle amorevoli
cure dei padroni di casa, trascorse gli anni che lo separarono dalla morte, avvenuta nel
1704. Le sue opere maggiori sono l’Epistola sulla Tolleranza del 1679, il Saggio sull’Intelletto
umano del 1680, come pure dello stesso anno sono i due Trattati sul governo civile
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NOTA BIBLIOGRAFICA
John Locke, Saggi sulla legge naturale, Laterza, Roma-Bari, 1996, a cura di Marta Cristiani,
introduzione di Giuseppe Bedeschi, pp. XXV-93.
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