Alessio Lo Bello - Comune di Termini Imerese
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Alessio Lo Bello - Comune di Termini Imerese
CONTRIBUTO ALLE DIRETTIVE DELLA VARIANTE GENERALE DEL PRG DEL COMUNE DI TERMINI IMERESE Arch. Alessio Lo Bello PREMESSA Il presente documento ha lo scopo di contribuire e stimolare un dibattito propositivo, tra tutti i cittadini interessati e i soggetti direttamente coinvolti alla stesura della variante del PRG del comune di Termini Imerese, su tematiche ampiamente sperimentate e documentate da numerosi comuni Italiani ed esteri, espressione della sensibilità contemporanea nell’ambito della pianificazione urbana e della progettazione architettonica. Esso rappresenta una sorta di breviario “non finito”, che mi ha aiutato a fare ordine su alcune letture di approfondimento che troverete allegate. Il tutto per cercare di descrivere un modello di città sostenibile, economicamente e culturalmente vivace, capace di garantire ai propri cittadini un elevata qualità della vita. LIMITI DELLA ZONIZZAZIONE Dagli Anni ’90, la tradizionale pianificazione urbana e territoriale vive in tutta Europa, ed in particolare in Italia, una profonda crisi dei suoi metodi e dei suoi paradigmi metodologici. Le molteplici cause appaiono strettamente connesse ad un complessivo e radicale cambiamento socio-economico iniziato con la fine degli Anni ’70 e la delocalizzazione dell’industria. Il piano regolatore onnicomprensivo quale strumento per interpretare e gestire i cambiamenti socio-territoriali ed economici si dimostra inadeguato per una molteplicità di ragioni, schematizzabili come segue: 1. Nuove dinamiche di sviluppo urbano Il piano regolatore è tradizionalmente inteso come lo strumento per regolare l’espansione edilizia che, fino agli Anni ’70, caratterizza lo sviluppo della città. Con la dismissione delle aree industriali urbane, la scarsità delle risorse economiche e la consapevolezza di dover rallentare il consumo del suolo la dinamica principale di sviluppo della città diviene la sua trasformazione, il recupero e la densificazione del costruito. Tali interventi necessitano di strumenti pianificatori maggiormente flessibili e di ambito delimitato all’area oggetto di trasformazione. 2. Rigidità delle tecniche pianificatorie tradizionali Il piano come strumento cogente di regolamentazione degli usi del territorio non è in grado di gestire le dinamiche di trasformazione emergenti, che spesso esulano dalla tradizionale pratica urbanistica. Ciò è dovuto in particolare alla sua principale tecnica, la zonizzazione funzionale del territorio. 3. Crescente velocità dei processi territoriali La rapidità degli attuali processi di trasformazione della città e del territorio si presenta in netto contrasto con il lungo iter di costruzione e approvazione del piano regolatore e con il suo orizzonte temporale di validità, durante il quale non è possibile ridefinire le previsioni urbanistiche senza ricorrere allo strumento della variante, il quale segue le medesime procedure burocratiche. Di conseguenza, le previsioni formulate in sede di costruzione del piano, una volta entrate in vigore, operano in un contesto oramai mutato rispetto a quello di riferimento. 4. Complessità dell’oggetto “città” La stessa concezione spaziale dell’urbano appare oggi differente rispetto alla città industriale per la quale si sviluppò lo strumento del piano regolatore. Se, da un lato, il piano deve essere più attento nella regolamentazione degli usi del territorio e nell’imposizione dei vincoli – in particolare quelli ambientali – è anche vero, dall’altro, che tale strumento non permette più un governo unitario della città. Lo sviluppo urbano ha infatti da tempo valicato i confini amministrativi – e quindi la scala e l’ambito del piano regolatore – formando città-regioni, reti di città, conurbazioni, metropoli, che necessitano di altri strumenti per essere governate. 5. Complessità e varietà dei temi del governo urbano Oggi la pianificazione è chiamata ad occuparsi di una molteplicità di temi che riguardano non più solamente lo sviluppo urbano, ma lo sviluppo locale in genere. Alla gestione delle trasformazioni urbane si associano oggi i temi della competitività economica, delle politiche sociali e della valorizzazione delle risorse ambientali, paesaggistiche, artistiche e culturali. La pianificazione tradizionale non permette la predisposizione delle politiche integrate ed interdisciplinari indispensabili per gestire in modo unitario tali ambiti per lo sviluppo della città postindustriale. Alcune città europee, come Barcellona, Lione e Torino, hanno avviato un processo di pianificazione strategica per superare una condizione di profonda crisi socio-economica, innescata dai grandi processi di globalizzazione e di delocalizzazione industriale, e definire nuovi modelli di sviluppo per la città e la società nel suo complesso. In questi casi, la pianificazione strategica si è orientata verso obiettivi e strategie di riconversione e ripensamento della città, della sua vocazione economica e della sua immagine nel contesto globale, promuovendo la costruzione e, soprattutto, il mantenimento nel tempo di una rete di relazioni tra gli attori sociali. I piani strategici di ultima generazione adottano orizzonti temporali di medio-lungo periodo (l’ordine è quello dei 10-15 anni), formulando, attraverso gli strumenti della negoziazione e della concertazione, obiettivi e strategie anche ambiziosi, appoggiandosi ad una rete di attori che hanno accettato l’impegno dell’implementazione delle azioni individuate e definite in modo condiviso e concertato. Il “patto” con i soggetti che rappresentano la città, l’approccio reticolare di coinvolgimento degli attori locali, delle loro risorse e potenzialità e, infine il superamento di una logica di breve periodo per un immediato ritorno ‘politico’, sono le caratteristiche dei processi pianificatori che hanno contribuito alla rinascita di tali città. Estratto da allegato: Prof. Antonino Porrello “Dalla pianificazione tradizionale alla pianificazione strategica urbana” UNA QUESTIONE DI METODO Uno strumento logico per conferire organicità e coerenza alle scelte pianificatorie future potrà essere l’adozione del così detto metodo della “retrodizione” (backcasting method) tipico della pianificazione e della progettazione contemporanee. In linea generale la retrodizione può essere definita come metodo, o anche attitudine mentale, in contrapposizione alla previsione. Mediante la previsione si cerca di identificare quale sarà il futuro in base alla situazione e alle tendenze in atto. La retrodizione invece parte da un futuro desiderabile per stabilire quali tendenze dovrebbero essere adottate oggi per raggiungerlo. Quindi il metodo della “retrodizione”, simulando gli scenari futuri desiderati, consente di procedere a ritroso nell’analisi delle azioni necessarie a modificare lo scenario presente. In sostanza, non ci si limiterà a fare delle“previsioni” sullo sviluppo urbanistico ed edilizio della città, ma insieme alla popolazione lo si “deciderà” e, una volta deciso, si indicherà tutto ciò che dovrà essere fatto per realizzarlo. Il tutto con la massima duttilità e rapidità di aggiornamento delle decisioni prese, che lo strumento pianificatorio consente. APPROCCIO TERRITORIALISTA Da una analisi quanto più ampia possibile delle problematiche della società contemporanea risulta necessario mettere in primo piano la valorizzazione del patrimonio territoriale — nelle sue componenti ambientali, urbanistiche, culturali e sociali — come elemento fondamentale per la produzione durevole di ricchezza. Il territorio deve essere concepito come prodotto storico di processi coevolutivi di lunga durata tra insediamento umano e ambiente, tra natura e cultura, ad opera di successivi e stratificati cicli di civilizzazione. Questi processi producono un insieme di luoghi dotati di profondità temporale, di identità, di caratteri tipologici, di individualità. Il territorio, da cui l’uomo si è progressivamente liberato considerandolo un insieme di vincoli negativi (ambientali, energetici, climatici, costruttivi, localizzativi, ecc.) per il compiersi della modernizzazione, è stato trattato come puro supporto tecnico di attività e funzioni economiche che sono localizzate e organizzate secondo principi sempre più indipendenti da relazioni con il luogo, con le sue qualità ambientali e culturali: qualità che derivano appunto dalla sua costruzione storica di lunga durata. Per contrastare questo processo di deterritorializzazione occorre applicare il concetto di sostenibilità all’attivazione di sistemi di relazione virtuose tra le tre componenti del territorio: l’ambiente naturale, l’ambiente costruito e l’ambiente antropico. La produzione di alta qualità territoriale (e non solo ambientale) è la precondizione della sostenibilità, dal momento che la produzione di territorio è assunta come base della produzione della ricchezza. Il concetto di sostenibilità dello sviluppo è riferito non solo alla riproducibilità delle risorse naturali (sostenibilità ambientale), ma a sistemi complessi e interagenti di valutazioni che riguardano l’organizzazione non gerarchica dei sistemi territoriali e urbani (sostenibilità territoriale), la coerenza dei sistemi produttivi con la valorizzazione del patrimonio territoriale e con lo sviluppo dellʼimprenditorialità locale (sostenibilità economica) e la crescita di autogoverno delle società locali (sostenibilità sociale e politica). Per perseguire queste forme di sostenibilità necessita assumere come elemento chiave la promozione di sviluppo locale autosostenibile, dove il termine “locale” vuole mettere in evidenza la valorizzazione delle risorse territoriali e l'identità di un luogo, mentre “auto sostenibile” sta ad indicare l'importanza di una ricerca di regole insediative, economiche e politico Allegati: - Prof. Alessandro Giangrande “L’approccio Territorialista allo sviluppo sostenibile” - “Manifesto per la società dei territorialisti/e” - Prof. Alberto Magnaghi “Le ragioni di una sfida” STRATEGIE PER LA PROMOZIONE DELL’IDENTITÀ URBANA E GRANDI EVENTI - CUL TURAL PLANNING “Oggi come mai prima d’ora la promozione del territorio è diventato un argomento centrale nelle agende di istituzioni e urban manager. La globalizzazione e la conseguente compressione spaziotemporale hanno cambiato le regole alla base della competizione economica e hanno contribuito alla creazione di una nuova gerarchia sociale dei luoghi. L’interesse crescente mostrato nei confronti dei processi di costruzione dell’immagine, sia quando si parla di città sia quando più genericamente parliamo di territori, deriva dal bisogno di attrarre flussi, di persone e risorse, utili alla promozione dello sviluppo locale. Con sempre maggior frequenza l’elemento chiave alla base della costruzione di un’immagine di successo pare essere la presenza di stimoli culturali. L’enfasi sulla dimensione culturale della rigenerazione del territorio dipende in larga misura dai correnti dibattiti sulla relazione tra cultura, creatività e città: il successo della rigenerazione urbana è intrinsecamente legato alla capacità delle città di promuovere la creatività e attrarre professionisti di talento facendo perno, tra le altre cose, anche sulle risorse culturali che la contraddistinguono.” (Mazzucotelli, 2008) Risorse culturali, intento strategico della politiche nella ridefinizione dell’immagine della città, iniziative pratiche, come festival, concerti, mostre etc., insieme naturalmente ad una attenta pianificazione urbana ed a realizzazioni architettoniche di qualità sono elementi indispensabili per una crescita socio-economica del territorio. Lo studio delle trasformazioni urbane non è un oggetto nuovo per la sociologia. Le indagini classiche tendono però a fare della città il “palcoscenico” del mutamento sociale ovvero studiano l’oggetto città in qualità di luogo in cui i fenomeni sociali, e in particolare i movimenti innovatori, prendono forma e si manifestano. Oggi la città resta uno dei temi cari alla sociologia ma il modo in cui la si studia è profondamente cambiato e le indagini più recenti guardano alla città come soggetto o, per meglio dire, attore sociale. (Mela, 1996) Negli ultimi anni in Europa è, infatti, cresciuta la consapevolezza dell’importanza del ruolo giocato dalle città nel guidare l’innovazione e la crescita economica locale e similmente è andato aumentando il bisogno di sviluppare strategie di rinnovamento urbano. Numerosi sono, ad esempio, gli sforzi compiuti al fine di creare spazi urbani esteticamente attraenti e con una migliore qualità della vita allo scopo di attrarre turisti, investimenti, lavoratori e aziende. Accanto all’interesse per le aree edificate e le infrastrutture materiali, è andata crescendo l’attenzione per gli aspetti immateriali come la progettazione, la costruzione e la promozione dell’immagine del territorio metropolitano e la messa a punto di una identità di brand che lo distingua indiscutibilmente dagli altri. In altri termini le città hanno iniziato a vedere se stesse come prodotti da vendersi nel sempre più concorrenziale mercato globale e hanno accettato l’idea che l’acquisizione di un’identità di marca non solo sia utile al territorio per far leva sull’incoming di nuovi o più ingenti flussi turistici ma rappresenti soprattutto un valore aggiunto per lo sviluppo economico complessivo dell’area. (Mazzucotelli, 2008) Molte città, nei primi anni Novanta, hanno affrontato una dura crisi postindustriale che ha evidenziato la necessità di un revisione delle loro strategie di sviluppo economico, considerando la riqualificazione del loro territorio non solo come meta finale ma principalmente come strumento utile alla ri-definizione della loro effigie nell’immaginario sociale e, con l’obiettivo di migliorare la propria capacità attrattiva, hanno fatto della cultura, intesa come risorsa e non semplicemente come prodotto per il consumo, il proprio core business (Zukin, 1995). La globalizzazione e la compressione spazio-temporale hanno cambiato le regole alla base della competizione economica e hanno contribuito alla definizione di una nuova gerarchia sociale dei luoghi. La crescente consapevolezza dell’importanza occupata dalle strategie di brand nell’economia urbana è legata all’avvento di una nuova fase economica, caratterizzata da processi di innovazione permanente che richiedono più alti livelli di formazione, esigono competenze flessibili e presuppongono un massiccio ricorso al «capitale immateriale» (Florida, 2002). A differenza di quanto era accaduto nel primo periodo della rivoluzione industriale, in cui la crescita economica poggiava sull’accumulazione di «capitale materiale» come le macchine, nell’economia della conoscenza la competizione economica non dipende più massivamente dalla conquista di risorse materiali. Gli oggetti per i quali le città, o più in generale i territori, entrano in competizione hanno a che vedere con il bisogno che le città hanno di attrarre investimenti e venture capital di livello internazionale, di fidelizzare le aziende del territorio affinché non se ne vadano altrove, di intercettare personale altamente qualificato, nuove classi di cittadini, turisti e visitatori e di promuovere beni e servizi prodotti localmente. In altre parole la competizione tra territori si basa sulla messa in campo di asset intangibili come la capacità di attirare e trattenere professionisti talentuosi e creativi, di mettere a disposizione luoghi di interazione che favoriscano il confronto e l’innovazione, di promuovere una percezione positiva della città a livello locale, nazionale e internazionale, di procurare attrezzature e servizi e di catturare l’attenzione di futuri visitatori. (Mazzucotelli, 2008) L’economia della conoscenza, sostituendo l’economia fordista che dominava il panorama cittadino fino all’inizio degli anni Settanta, porta alla ribalta l’idea di «una nuova città scintillante e desiderosa di piacere [che] sorge dentro e al posto di quella moderno-industriale dominata dalla fabbrica e dalla sua razionalità pervasiva» (Amendola, 2003: IX). Le città contemporanee, riprendendo un concetto caro al sociologo inglese John Urry, diventano oggetto di «consumo visuale» (Urry 1995), ovvero di fruizione estetica, e i valori positivi che l’immagine della città porta con sé fanno della città stessa un marchio per i prodotti e le attività che hanno luogo sul suo territorio. In tale contesto progettare trasformazioni dello spazio urbano significa investire nella produzione di luoghi che si prestano al consumo visuale ovvero incentivare la fruizione estetica della città. (Mazzucotelli, 2008) Allegati: - Prof.ssa Silvia Mazzucotelli “Strategie per la promozione dell’identità urbana e grandi eventi” - Prof. Antonino Porrello “L ’arte difficile del cultural planning” TURISMO SOSTENIBILE: MODELLO DI SVILUPPO ECONOMICO SOSTENIBILE E NUOVA IDENTITÀ URBANA Si ritiene utile riportare integralmente un articolo del 27 settembre 2012, pubblicato dal Sole 24 Ore, dell’ex Ministro per gli Affari regionali, il Turismo e lo Sport, Piero Gnudi: “La Giornata Mondiale del Turismo che si celebra oggi su iniziativa della World Turism Organization dell'Onu ha come tema "Turismo ed energia sostenibile". In tutto il mondo si svolgeranno incontri sulle opportunità derivanti di uno dei principali settori dell'economia che, per usare le parole del Segretario Generale dell'Onu Ban Ki-moon, ha la possibilità di continuare a espandersi in maniera compatibile con l'ambiente. Il turismo ha un grandissimo potenziale dal punto di vista culturale, politico ed economico. I viaggiatori internazionali nel 1980 erano 277 milioni e quest'anno supereranno il miliardo. Secondo le stime dell'agenzia dell'Onu il settore continuerà a crescere mediamente del 3,3% l'anno fino al 2030, con un'aggiunta di oltre 40 milioni di nuovi turisti ogni 12 mesi e un totale di 1,8 miliardi di viaggiatori internazionali tra meno di 20 anni, molti dei quali provenienti dalle economie emergenti: Cina, Brasile, India e Russia in primis. Crescita culturale, integrazione tra i popoli e sviluppo economico rappresentano alcune opportunità che vanno considerate attentamente nel nuovo mondo multi-polare. E in effetti in molti si stanno muovendo. Al termine dell'ultimo G20 di Los Cabos, i rappresentanti delle principali economie mondiali hanno riconosciuto per la prima volta «l'importanza del turismo come veicolo di sviluppo occupazionale, progresso economico e crescita globale». L'Onu vede il turismo come uno strumento per combattere la povertà e ha lanciato alcuni programmi in questa prospettiva. Sul piano competitivo molti Paesi hanno elaborato strategie esplicite e stanziato investimenti per cogliere le opportunità del nuovo turismo internazionale. Anche negli Usa, tradizionalmente concentrati su altri settori e piuttosto restrittivi per quanto riguarda gli ingressi di stranieri, il presidente in persona ha lanciato un programma ambizioso con l'obiettivo di raggiungere i 100 milioni di visitatori dall'estero entro il 2021. E in Italia? In Italia il turismo resta la Cenerentola dell'economia. Forti delle nostre risorse artistiche, naturali e culturali, il settore non è mai stato posto al centro dell'agenda dei policy maker, non siamo stati in grado di sviluppare un progetto che riesca a valorizzare questa ricchezza, soprattutto sul mercato internazionale. Il settore resta uno dei più importanti in termini di valore aggiunto (40 miliardi) e di posti di lavoro (quasi 2,2 milioni), ma negli ultimi 10 anni abbiamo perso quote di mercato rispetto ai nostri competitor diretti, passando dal 6,1% al 4,5%, mentre la Spagna è passata dal 6,8% al 6% e la Francia dal 6,8% a 5,5%. Anche in termini di ricavi, nel 1995 eravamo a 28,7 miliardi di dollari, mentre Spagna e Francia erano rispettivamente a 25,7 e 25,3, mentre oggi la Spagna è al primo posto con 52,5 miliardi contro Francia a 46,6 e Italia a 38,8 (dati Unwto 2010). Le ricerche che abbiamo svolto in questi mesi sia tra i turisti, sia tra i tour operator confermano come l'Italia sia ancora top of mind e turisti di tutto il mondo vorrebbero venire o tornare in Italia. Tuttavia, alcuni problemi legati alla ricettività del nostro Paese rendono più competitivi altri paesi. Le cause della perdita di competitività sono tante: strutture alberghiere non sempre conformi alle odierne esigenze del mercato, carenza di infrastrutture, inadeguata formazione professionale. Io credo però che la causa principale risieda nel fatto che il turismo non è mai stato considerato un'importante leva di sviluppo e di crescita occupazionale. Per di piu' la governance del settore rende difficile ogni intervento, anche se negli ultimi mesi abbiamo trovato un nuovo spazio di collaborazione tra Governo e Regioni, che si presenta molto promettente per le cose che potranno essere fatte già nel prossimo futuro. Abbiamo sviluppato per la prima volta in Italia un Piano strategico nazionale del turismo che presto sarà presentato al Governo, nel quale sono analizzati in profondità i problemi e individuate numerose proposte per risolverli. Questa è un'opportunità che il Paese non può perdere, soprattutto oggi, sia perché considerando gli attuali tassi di crescita non è difficile arrivare in pochi anni a generare alcune centinaia di migliaia di nuovi posti di lavoro e contribuire in modo significativo alla crescita del Pil, sia perché attraverso il turismo potremmo concorrere alla costruzione e consolidamento di relazioni con altri paesi, ma - soprattutto - perché questa è l'ultima chiamata per il Sud. Le regioni del Meridione per vari motivi non sono riuscite a valorizzare le proprie risorse turistiche, mentre hanno un potenziale elevatissimo che potrebbe realmente trasformare l'economia e anche la società. Uno sforzo per far crescere il turismo al Sud porterebbe ricchezza, posti di lavoro, maggior coesione e miglioramento della società in generale. I risultati di una forzata industrializzazione del Mezzogiorno sono sotto gli occhi di tutti. Centinaia di miliardi di euro sono stati spesi per costruire "cattedrali nel deserto" o per mantenere in vita aziende contro ogni logica di mercato, realtà che anche oggi non hanno risolto i loro problemi (il caso Sulcis è solo l'ultimo di una serie). Se le ingenti somme spese in questi anni fossero state investite - anche in una porzione minima - per favorire lo sviluppo di un turismo moderno e adeguato alla domanda internazionale, si sarebbe creata ricchezza e non seminata miseria. Oggi abbiamo l'imperativo morale di affrontare questo tema con gli strumenti della politica industriale, senza alibi e senza pensare che alcune cose non si riescano a fare. Abbiamo l'obbligo di credere che con uno sforzo serio e con la collaborazione di tutti (Stato, Regioni, Enti Locali, Associazioni, Operatori finanziari, Imprese, Università), sia possibile valorizzare meglio le ricchezze dell'Italia che tutto il mondo ci invidia. Abbiamo l'opportunità di fare tutto quanto possibile e di restituire la speranza di un futuro migliore alle generazioni che seguiranno.” La nostra città, sino ad oggi, non è stata in grado di intercettare i flussi turistici dell’isola nonostante la sua felice posizione geografica e alcune rilevanti peculiarità paesaggistiche, termali, archeologiche e architettonico-monumentali, accumulando così un ritardo culturale e di sviluppo economico-sociale, rispetto alle tante floride cittadine turistiche dell’isola, che sono riuscite a sviluppare per tempo delle economie parallele se non alternative a quelle industriali. A seguito della crisi della Fiat e di tutto l’indotto, che ha trascinato la città in una profonda depressione economica che ad oggi non ha ancora mostrato tutti i suoi effetti, Termini Imerese non può più tardare ad avviare delle attente riflessioni sulla propria macro e micro economia urbana, su quali possano essere le alternative strategiche per indirizzare i futuri investimenti e le azioni politiche. Si dovrà quanto prima rigenerare una identità urbana svilita e penalizza, dalla degradata ed ormai poco produttiva zona industriale a discapito delle non poche potenzialità attrattive che in nostro territorio presenta. La Sicilia è al primo posto tra le regioni del Mezzogiorno e al 7° posto nella graduatoria nazionale per incidenza del turismo straniero con il 37,3% arrivi e il 39,1% presenze turistiche, decisamente superiore al dato meridionale (rispettivamente 27,5% arrivi e 27,8% presenze) e per numerosità di posti letto in strutture alberghiere a 3,4 e 5 stelle. L’Isola è la seconda regione nel Mezzogiorno, dopo la Campania per numero di arrivi, oltre 4,1 milioni, e di presenze, circa 14 milioni (peso su Mezzogiorno rispettivamente del 23,5% e del 18,5%). Il Pil turistico regionale è di 2,6 mld di euro ed ogni presenza turistica aggiuntiva (sia esso un nuovo arrivo o un prolungamento di presenza) genera 49 euro di Pil aggiuntivo, valore più elevato rispetto al dato del Mezzogiorno (41 euro). La “svolta” turistica, se programmata e supportata dall’operato dell’attuale e future amministrazioni, potrebbe essere una reale alternativa che nell’arco di 10 anni sarebbe in grado di risollevare le sorti della città. Il fenomeno turistico, comunque, nonostante sia un ottimo fattore di sviluppo, rischia di divenire causa di degrado ambientale e di appiattimento culturale delle località coinvolte. E' necessario quindi controllare e pianificare l'incremento turistico in maniera sostenibile per prevenire ed evitare gli effetti negativi sulle risorse naturali e culturali locali. I 14 punti della Carta di Lanzarote sanciscono l’indiscutibile necessità di promuovere un turismo che sia occasione di sviluppo equo per le località e le popolazioni residenti, di qualità per i visitatori e di salvaguardia delle risorse culturali e naturali. A tal fine, gli strumenti consigliati sono un'attenta pianificazione, premessa di una gestione globale efficace, lo scambio di esperienze e di informazioni e la diffusione di nuovi modelli di comportamento. Allegati: - Piero Gnudi, “Il turismo, leva dello sviluppo” in Il Sole 24 Ore - Carta per un turismo sostenibile - Conferenza mondiale sul turismo sostenibile, Lanzarote 27/28 aprile 1995 - Rapporto del Gruppo per la Sostenibilità del Turismo, “Azione per un Turismo Europeo piú Sostenibile” - Intesa San Paolo, “Il Ruolo del Turismo nello Sviluppo Economico della Regione Sicilia” - Prof. Maria Prezioso “Progettare lo sviluppo turistico. Percorso di planning economico-territoriale in sostenibilità” CONSUMO DEL SUOLO Per le sue molteplici funzioni vitali, il suolo e una risorsa importante da tutelare, perché limitata e di fatto non rinnovabile. Una cattiva gestione del territorio si traduce in costi ingenti per la qualità dell’ambiente, la sicurezza e la salute dei cittadini, viceversa la sua valorizzazione rappresenta una risorsa, anche economica, che è strategica per lo sviluppo sostenibile. Ne deriva che il primo e fondamentale obiettivo della attuale pianificazione urbanistica dovrebbe essere la promozione ed il perseguimento di uno sviluppo sostenibile e durevole, finalizzato a soddisfare le necessità di crescita e benessere dei cittadini, senza pregiudizio per la qualità della vita delle generazioni future e nel rispetto delle risorse naturali. Per contro, una delle minacce maggiori allo sviluppo “responsabile”, e l’eccessiva cementificazione per usi residenziali, industriali e per infrastrutture, che ha dei costi prima di tutto ambientali, ma anche economici, rappresentati, da un lato, dagli oneri per l’urbanizzazione primaria e secondaria e, dall’altro, dagli indennizzi per l’acquisizione pubblica di aree private. L’antidoto a tutto questo non può essere solo il risparmio del suolo, fine a se stesso, ma e un uso più attento e razionale del medesimo, intendendolo come “corpo” al quale deve essere preservata e amplificata l’“anima”, cioè l’identità e la vitalità culturale ed economica. Termini non è soltanto un luogo “fisico” in cui abitare, ma e anche un ambiente “culturale, relazionale ed economico” in cui vivere e con il quale ogni cittadino possa entrare in simbiosi. Cosi inteso, il risparmio del suolo non si contrappone all’auspicata ripresa del settore edilizio, che dovrebbe prediligere interventi di rigenerazione urbana, il recupero e la riqualificazione energetica degli edifici esistenti, l’utilizzo di fonti energetiche innovative e sostenibili, la riorganizzazione degli spazi già urbanizzati e inutilizzati, la conservazione e la valorizzazione dei centri storici nonché la bonifica delle aree industriali dismesse. Allegato: - Livio de Santoli, Angelo Consoli “Manifesto Territoriozero” RECUPERO CENTRO STORICO Il recupero edilizio permette di risparmiare l'uso del suolo per nuova edificazione, con tutti i vantaggi ambientali che questo può comportare assieme al risparmio energetico messo in atto con un recupero ecoefficiente. La valorizzazione di un bene, anche attraverso un adatto, studiato e calibrato cambio di destinazione d'uso, permette di innescare circoli virtuosi che possono giovare all'economia e la socialità di un intero territorio. Il crescente mercato del turismo sostenibile, può essere la spinta propulsiva per recuperare edifici e paesaggi del nostro paese, evitando il fenomeno dell'abbandono e conservandone la memoria storica. (Samuele Briatore, 2011) Allegato: - Samuele Briatore, Valorizzazione dei borghi storici minori Strategie di intervento RIQUALIFICAZIONE DEL WATERFRONT: OPPORTUNITÀ DI SVILUPPO ECONOMICO E NUOVA IDENTITÀ URBANA Altro elemento strategico ed irrisolto dello sviluppo urbano è il porto. Per una città costiera il mare rappresenta una ricchezza dal punto di vista naturalistico e un’opportunità a livello economico. Il luogo privilegiato verso cui rappresentare se stessa e in relazione al quale fissare la propria identità e sviluppo. Tante città nel mondo hanno già vissuto un rapido e sostenibile sviluppo proprio convertendo le zone portuali degradate in luoghi urbani vitali. Termini Imerese non può che seguire i numerosi esempi di riorganizzazione e uso compatibile delle aree portuali per arricchire la propria economia territoriale, oggi ancor più necessario a causa della crisi dello stabilimento Fiat e di tutto il suo indotto. La città ha l’opportunità di avviare una nuova fase di sviluppo economico e urbano legato al terziario, fondamentale per il suo rinnovamento, pur continuando ad essere sede di importanti industrie, di un buon artigianato e di una valente produzione agricola, proponendosi ancor più come importante centro turistico, produttivo e commerciale. Grazie alla sua posizione strategica-baricentrica può diventare un nevralgico punto di snodo del turismo croceristico e diportistico del Mediterraneo, ideale per raggiungere le isole Eolie, le maggiori città e l’entroterra siciliano. Partendo dai dati e dalle analisi del “Piano Regolatore Portuale”, che focalizza l’attenzione sulla fondamentale ed innegabile funzione che il porto ha di volano per l’economia della città e del suo territorio, è necessario un progetto unitario che miri ad un rilancio economico, sociale e ambientale, non solo delle aree proprie del porto e della stessa Autorità Portuale, ma di tutta la città. Occorre, quindi, perseguire due obbiettivi principali: - conferire un carattere di continuità e di identità del lungomare con l’intera città; - promuovere uno sviluppo economico valorizzando sia le potenzialità attrattive del porto in ambito turistico-culturale e ricreativo-balneare che l’importanza strategica come porto commerciale e diportistico della Sicilia occidentale. Per quanto delineato, l'integrazione città - porto dovrà costituire il tema fondamentale degli interventi strategici dei prossimi anni definendo un polo di servizi turistici, culturali, ricreativi, commerciali e sociali messi in rete nel contesto città-territorio delle Madonie seguendo le linee guida del Piano Strategico Territoriale. Allegati: - Maurizio Carta “I waterfront da criticità ad alimentatore di qualità urbana. Strategie generali di ricerca” - Elena Ridolfi, Miriam Valdelvira “Evoluzione e Prospettive per il Waterfront di Barcellona” - Teresa Vincenti “Realtà urbane a confronto. Il caso del waterfront di Porto: un percorso valutativo ex post “ - Oriana Giovinazzi “Citta’ portuali e waterfront urbani: costruire scenari di trasformazione in contesti di conflitto” - Diego Bevilaqua , Centro di Sviluppo Politico e Sociale (CSPS) “Breve analisi comparativa sulla rigenerazione delle realtà portuali: il waterfront a Civitavecchia” COMMISSIONE PER LA QUALITÀ ARCHITETTONICA E PAESAGGISTICA La nostra Città, con la storia delle sue peculiarità urbane, architettoniche, ambientali e paesaggistiche, ha nella cultura del suo territorio la risorsa più preziosa di cui dispone e che occorre saper con lungimiranza tutelare e valorizzare, per assicurare una prospettiva di speranza e di progresso per la comunità. Dopo le speculazioni degli anni ’70, che hanno sfigurato il centro storico con la realizzazione di numerosi “palazzoni” fuori scala, e per salvare quel che resta dei preziosi quartieri storici della nostra città garantendone uno sviluppo architettonico ed urbano di qualità, sarebbe opportuno istituire con la modifica del regolamento edilizio la “Commissione per la qualità architettonica e paesaggistica” seguendo l’esempio di numerose città italiane ed estere (per tutte il Comune di Bologna, con il suo RE del 2003, in attuazione della Lr. n.31/2002). A tale scopo si fa riferimento ai seguenti principi ed orientamenti: 1) della Costituzione (art. 9: “La Repubblica.. tutela il paesaggio e il patrimonio artistico della Nazione”); 2) della CEE (Dirett. 85/384 del 10.6.1985: “la creazione architettonica, la qualità edilizia, il loro inserimento armonico nell’ambiente circostante e il rispetto del paesaggio e dell’assetto del territorio urbano, nonché del patrimonio collettivo e privato rivestono interesse pubblico”); 3) del Consiglio UE del 12.1. 2001 («Una architettura di qualità, migliorando il quadro di vita ed il rapporto dei cittadini con il loro ambiente, sia urbano che rurale, può contribuire efficacemente alla coesione sociale nonché alla creazione di posti di lavoro.. e allo sviluppo economico regionale… Pertanto il Consiglio incoraggia gli Stati membri ad intensificare gli sforzi per una migliore conoscenza e promozione dell’architettura e della progettazione urbanistica…. nonché per una maggiore sensibilizzazione e formazione dei committenti e dei cittadini alla cultura architettonica, urbana e paesaggistica»); 4) del Codice dei Beni Culturali (artt. 131-132 D.Lgs. n. 42/2004: vengono indicati i compiti delle PP.AA. nella tutela e valorizzazione del paesaggio). Allegati: - Risoluzione Del Consiglio 13982/00 del 12 gennaio 2001 sulla qualità architettonica dell'ambiente urbano e rurale - Comune di Bologna, Commissione per la Qualità Architettonica e il Paesaggio, Dichiarazione d’indirizzi REGOLAMENTO EDILIZIO SOSTENIBILE Per orientare le trasformazioni territoriali verso modelli costruttivi rispettosi dei limiti di sostenibilità degli ecosistemi ambientali molti comuni si sono dotati di un regolamento edilizio sostenibile che integra il classico regolamento edilizio. Obbiettivo generale di questo regolamento è orientare le trasformazioni territoriali verso modelli costruttivi rispettosi dei limiti di sostenibilità degli ecosistemi ambientali, ovvero elevare gli standard di qualità e di confort degli edifici residenziali e terziari attraverso una progettazione che considera l’organismo edilizio in tutte le sue componenti: ecologica, biologica e sociale. Per favorire l’introduzione di tecniche costruttive sostenibili negli edifici con funzioni residenziali e/o terziarie si prevedono incentivi di natura economica, volumetrica e pubblicitaria da attribuire secondo i criteri definiti nel regolamento edilizio sostenibile. Allegati: - ASEV, regolamento per l’edilizia bio-eco sostenibile - Comune di Pisa, Regolamento edilizio norme per l’edilizia sostenibile - Comune di Aci Bonaccorsi, regolamento di bioarchitettura SMART CITY La logica della città smart trova fondamento nella visione delle città ideali che ha la sua massima espressione nel Rinascimento italiano, connubio di bellezza, organizzazione sociale, governo illuminato. L’appellativo smart, nell’arco di un decennio, ha identificato la città digitale, poi la città socialmente inclusiva, fino alla città che assicura una migliore qualità di vita. Smart city uguale città sostenibile: è questo l’unico fattore comune alle principali definizioni ad oggi proposte. Vanno proliferando le iniziative tese a diffondere il concetto di smart city, in ambito internazionale e – con qualche ritardo – anche in ambito italiano. Nella pratica, non si ravvisano città smart “a tutto tondo” (fatta eccezione per i progetti greenfield); piuttosto, applicazioni del concetto ad ambiti specifici e limitati. Tecnologie, progetti, politiche vanno messi al servizio di un’idea forte e comune di futuro per il Paese, le cui radici affondino nell’eredità del passato. La città smart è un modello urbano capace di garantire un'elevata qualità della vita e una crescita personale e sociale delle persone e delle imprese, ottimizzando risorse e spazi per la sostenibilità. Stiamo vivendo un’epoca di trasformazione clamorosa da cui emergono nuovi bisogni strategici. Le smart city devono essere in grado di offrire risposte efficaci a tali bisogni. Sistemi urbani più intelligenti non sono un’opzione: diventano una necessità inderogabile. Lo sviluppo e il successo delle città sono da sempre inestricabilmente legati all’innovazione tecnologica. Il legame è destinato ad accrescersi in futuro: sarà sempre più necessario non solo connettere spazi fisici e infrastrutture digitali, ma anche connettere le tecnologie le une con le altre; da questa connessione potranno nascere nuovi usi per strumenti già disponibili. Allegati: - Vademecum Per La Città Intelligente - Il paradigma Smart City - Cassa Depositi e prestiti, “Smart City Progetti di sviluppo e strumenti di finanziamento”