Le pagine in PDF - L`Osservatore Romano
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DONNE CHIESA MONDO MENSILE DELL’OSSERVATORE ROMANO NUMERO 55 MARZO 2017 CITTÀ DEL VATICANO Donne e Riforma numero 55 marzo 2017 UNO SGUARD O STORICO Donne fra cattolici e protestanti LUCETTA SCARAFFIA A PAGINA 3 SPIRITUALITÀ Tra femminile e femminismo ELISABETH PARMENTIER IN A PAGINA 11 A PAGINA 17 NOVEMILA CARATTERI Una costruzione dal basso MARCELO FIGUEROA IL LIBRO Una ebrea, una protestante, una cattolica MARGHERITA PELAJA FO CUS La colonna portante LA SILVINA PÉREZ A PAGINA 24 IRENE RANZATO A PAGINA 26 LUÍSA MARIA ALMENDRA A PAGINA 29 ANNA FOA A PAGINA 36 BOSE A PAGINA 39 SANTA DEL MESE I superpoteri di Olivia NEL NUOVO TESTAMENTO La profetessa Anna ARTISTE Dipingere come pregare MEDITAZIONE Ci salverà solo l’amore donato A CURA DELLE SORELLE DI A PAGINA 22 L’EDITORIALE Lucas Cranach il Giovane «Predica di Martin Lutero» (particolare) D ONNE CHIESA MOND O Mensile dell’Osservatore Romano a cura di LUCETTA SCARAFFIA In redazione GIULIA GALEOTTI SILVINA PÉREZ Comitato di redazione CATHERINE AUBIN MARIELLA BALDUZZI ANNA FOA RITA MBOSHU KONGO MARGHERITA PELAJA Progetto grafico PIERO DI D OMENICANTONIO www.osservatoreromano.va [email protected] per abbonamenti: [email protected] D ONNE CHIESA MOND O 2 L’anniversario della decisione di Lutero, che cinquecento anni fa ha dato inizio alla separazione fra protestanti e cattolici, può essere affrontato da diversi punti di vista. Certamente quello che a noi interessa di più, cioè il confronto fra donne appartenenti alle diverse Chiese nate dalla riforma e donne appartenenti alla Chiesa cattolica, apre uno dei fronti più conflittuali, e quindi più interessanti: quello del sacerdozio femminile. Tutte le Chiese e le comunità ecclesiali protestanti, infatti, hanno aperto alle donne l’accesso ai vari gradi di sacerdozio o al ruolo pastorale, e discutono i propri progetti di futuro in riunioni in cui la presenza femminile non manca mai, in totale contrasto con quanto avviene nella Chiesa cattolica. Una delle prime domande che ci si deve porre è se questa differenza nasce dal diverso atteggiamento che protestanti e cattolici hanno assunto di fronte alla modernità, che ha visto i protestanti accogliere cambiamenti che per i cattolici non erano considerati accettabili (per esempio di fronte al controllo delle nascite, o al matrimonio omosessuale) oppure non sia radicato in più sostanziali e profonde svolte teologiche. La felice collaborazione che, dopo il concilio Vaticano II, si è aperta fra studiose di esegesi biblica e teologhe cattoliche e protestanti, in una comune ricerca — o in un certo senso anche riscoperta — del ruolo della donna nella tradizione cristiana, ci porta a pensare che la questione sia più profonda e i che nodi da sciogliere, sostanziali, richiedano un lavoro ecumenico. E di questo le donne sono pienamente consapevoli. Quello fra le donne è stato infatti, in questi ultimi decenni, un ecumenismo non di dichiarazioni e di commissioni, ma di sostanza: collaborazioni e confronti intellettuali, di alto livello, ma anche lavoro insieme in difesa delle donne oppresse e in pericolo. Insieme infatti protestanti e cattoliche sono impegnate per salvare dalla schiavitù le giovani cristiane e indù rapite in Pakistan, le donne violentate come prede di guerra in Africa, le immigrate che arrivano umiliate e distrutte in Europa. Con una differenza su cui riflettiamo nel nostro mensile: che le donne cattoliche impegnate in queste battaglie sono molto più numerose e organizzate, anche se il loro impegno resta invisibile. (lucetta scaraffia) UNO SGUARD O STORICO Donne fra cattolici e protestanti di LUCETTA SCARAFFIA A lungo nella tradizione cristiana si è pensato che fosse più facile irretire nell’eresia le donne piuttosto che gli uomini, e proprio per questo molti cattolici cercarono di screditare la causa protestante collegandola alla debolezza della donna. Ma veramente la Riforma attirò le donne cattoliche più degli uomini? E veramente queste ultime trovarono nelle confessioni protestanti la possibilità di partecipare più attivamente alla vita religiosa della loro comunità, e magari anche accesso a condizioni di vita migliori? Oggi, di fronte all’evidenza dell’apertura del ministero alle donne all’interno di tutte le denominazioni riformate, siamo portati a dare una risposta positiva, e quindi il mondo protestante appare come più aperto e rispettoso delle donne di quello cattolico. Ma è proprio vero? E soprattutto è sempre stato così? In un saggio famoso — Donne di città e mutamento religioso — la storica ebrea Natalie Zemon Davis cerca di rispondere a queste domande con una ricerca puntuale sulla Francia ugonotta di fine Cinquecento. Prima della Riforma, quasi tutte le donne prendevano parte, in vari modi, alle attività economiche della città, anche se la loro vita era in gran parte assorbita dal compito biologico di procreare. La loro partecipazione alla vita pubblica, però, era scarsa o nulla, e il loro 3 D ONNE CHIESA MOND O livello di alfabetismo piuttosto basso, benché in questo periodo — grazie alla diffusione delle opere a stampa — fosse in crescita l’alfabetizzazione maschile. La loro partecipazione alla vita religiosa, alla vigilia della Riforma, era meno organizzata di quella maschile: minore il numero delle confraternite femminili, e minime le tracce di una ricerca di nuovi esperimenti comunitari femminili di vita, al di là dei pochi monasteri. Il rapporto delle donne con la religione e con i santi, dunque, era generalmente di carattere privato, o affidato all’organizzazione familiare. Bisogna poi ricordare che la presenza alle funzioni — sia per le donne che per gli uomini — era saltuaria, e poco frequente anche l’adempimento del precetto pasquale. In questo quadro la Riforma è intervenuta come un elemento nuovo e dirompente, perché metteva nelle mani delle donne la Bibbia: «Sono tutte mezze teologhe» dicevano con disprezzo i predicatori francescani, che chiedevano piuttosto alle donne, con le loro prediche infiammate, lacrime di pentimento. L’umanista Erasmo fu uno dei pochi uomini del tempo che intuì il risentimento che si andava accumulando nelle donne, i cui sforzi di approfondimento dottrinale venivano scoraggiati e dileggiati dal clero. In uno dei suoi Colloqui una donna dotta che viene derisa da un abate sbotta con queste parole: «Se continuerete così come avete cominciato, anche le oche si metteranno a predicare piuttosto che sopportare il silenzio di voi pastori. La scena del mondo è ora sottosopra. O ci si ritira o ciascuno dovrà fare la sua parte». Lucas Cranach il Vecchio «Katharina von Bora» La letteratura popolare calvinista proponeva infatti una nuova immagine di buona cristiana: doveva essere semplice e pura, ma anche conoscere la Bibbia tanto da essere capace di vincere un confronto con i preti. Nella propaganda protestante dei primi decenni, infatti, la donna cristiana viene identificata dal suo rapporto con la Scrittura. «Anche nella realtà — scrive la storica — le donne protestanti andavano liberando le loro anime dal dominio dei preti e dei dottori di teologia». E cita l’esempio di Marie Becaudelle, domestica a La Rochelle, che impara dal suo padrone il vangelo così bene da riuscire a trionfare in una disputa pubblica con un francescano. Mentre la moglie di un libraio dalla prigione discute di dottrina con il vescovo di Parigi e con dottori in teologia. L’ugonotta regina di Navarra, sorella del re, canta: «Quelli che dicono che non è da donne guardare i Sacri Scritti son uomini malvagi ed empi seduttori e anticristi...». Negli stessi anni i cattolici invece predicano che alle donne, per salvarsi, bastano il lavoro domestico, cucire e tessere: «Metterebbero in paradiso anche i ragni, che sanno tessere alla perfezione» scrive l’autore di un opuscolo anticattolico. Non è prudente, scriveva d’altra D ONNE CHIESA MOND O 4 5 D ONNE CHIESA MOND O parte un noto predicatore gesuita, lasciare la Bibbia a discrezione «di ciò che frulla nel cervello di una donna». Il movimento protestante offriva quindi una prospettiva nuova, per la quale era essenziale l’alfabetizzazione, proprio come per gli uomini. Nei primi momenti di ribellione alla Chiesa le donne accolsero con entusiasmo questa possibilità: leggevano pubblicamente la Bibbia, la commentavano. La nuova liturgia, che adottava il volgare, introdusse i salmi cantati insieme da donne e uomini. Tutti laici, e uomini e donne allo stesso livello, almeno all’apparenza, e attratti, come scrive Max Weber, da una religione che faceva appello all’attività intellettuale e all’autocontrollo. Ma le donne, in cambio, furono private dei santi, delle preghiere, delle immagini, delle invocazioni. Questa perdita infatti non toccava in egual modo i due sessi: mentre questi ultimi mantenevano nella preghiera un riferimento alla loro identità sessuale — si rivolgevano al Padre e al Figlio — la perdita di Maria privò le donne di un’immagine femminile a cui rivolgersi. Più profondi furono dunque gli effetti di questa perdita per l’identità femminile, soprattutto in un momento critico come le doglie del parto, in cui non avevano più devozioni femminili da invocare. Proprio questo fu il motivo — secondo Zemon Davis — per cui il clero maschile ha aderito ai movimenti di riforma in misura molto maggiore delle religiose. Anche di fronte a promesse di dote e di La Riforma è intervenuta come un elemento nuovo e dirompente Metteva nelle mani delle donne la Bibbia «Sono tutte mezze teologhe» dicevano con disprezzo i predicatori francescani pensione, le suore resistettero, anche perché preferivano vivere nella loro condizione di celibato in un’organizzazione femminile separata. Nella società protestante infatti la donna poteva al massimo essere consorte di un ministro di Dio, in un matrimonio basato sul principio dell’amicizia e della solidarietà e che si supponeva fedele: nelle comunità protestanti le prostitute venivano messe al bando immediatamente. Ma le donne erano pur sempre soggette ai mariti. Nel complesso i fondatori delle nuove confessioni riformate e i pastori in genere non avevano visto con occhio positivo questo inedito protagonismo femminile: per loro, la riforma doveva limitarsi a sosti- D ONNE CHIESA MOND O 6 tuire il clero con pastori preparati e solidi, non rovesciare la società. Una donna, e qui tornava la solita citazione paolina, non poteva parlare in un’assemblea cristiana. Un pastore scrisse a Calvino: «Il nostro concistoro sarà lo zimbello dei papisti e degli anabattisti. Diranno che siamo comandati dalle donne». Le donne, che erano state incitate a disobbedire ai loro preti, furono ora domate dai pastori con una certa facilità: costrette a tornare nel silenzio, scelsero in molte di nuovo la Chiesa cattolica, dove almeno ritrovavano le loro sante, la Madonna. E dove forse, alla fine, stavano meglio. Infatti, scrive Zemon Davis, «nessuna donna calvinista dimostrò (o fu messa in grado di dimostrare) la creatività organizzativa delle grandi protagoniste della Controriforma cattolica... Inoltre nessuna donna della Riforma al di fuori delle cerchie nobiliari pubblicò tanti lavori quanti le donne cattoliche dello stesso ambiente». Jean Perrissin «Temple de Lyon nommé Paradis» (1565) L’abolizione delle sante come modelli religiosi per entrambi i sessi determinò una grave perdita affettiva e simbolica. E se di fatto, dalla fine del XVI secolo alla fine del XVIII, sia nei paesi cattolici che in quelli protestanti le donne soffrirono per gli inasprimenti del diritto matrimoniale, per la decadenza delle corporazioni femminili, per le 7 D ONNE CHIESA MOND O difficoltà che incontravano le donne istruite per conquistarsi un ruolo, la Riforma — conclude la storica — «eliminando dalla sfera religiosa qualsiasi identità e forma di organizzazione femminile a sé stanti, rendeva le donne un poco più vulnerabili all’assoggettamento in ogni campo». Vediamo tracce di questa storia ancora oggi: se le Chiese protestanti possono vantare le donne pastore, le donne sacerdote anglicane e le donne vescovo, la Chiesa cattolica si fonda sul lavoro e sulla dedizione di una grande massa di donne — le donne sono più dell’80 per cento dei religiosi, e il 60 per cento se si aggiungono a questi i sacerdoti — e questo fatto senza dubbio dà un’impronta femminile D ONNE CHIESA MOND O 8 all’apostolato quotidiano, mentre nelle società protestanti le organizzazioni femminili sono poche e di modesta entità. Questo lungo processo storico, che ha portato a una presenza e a un ruolo diversi delle donne all’interno delle diverse confessioni, ha plasmato profondamente la vita religiosa sia cattolica che protestante, ed è necessario rendersene conto. Anche per creare una nuova consapevolezza, che suggerisce di guardare alle differenze fra il cattolicesimo e le confessioni riformate con altri occhi, meno inclini a dare giudizi frettolosi di modernità agli uni e di arretratezza agli altri. E soprattutto suggerisce che le possibilità di collaborazione e di scambio di esperienze è necessaria, e molto utile per tutte. 9 D ONNE CHIESA MOND O SPIRITUALITÀ di ELISABETH PARMENTIER Tra femminile e femminismo C he cosa accadde quando le donne protestanti divennero bibliste? Scoprirono che i testi biblici che le avevano ridotte a essere il «sesso debole» o seduttrici erano letture falsate da culture antiche. Occorreva dunque, secondo quelle pioniere, «salvare la Bibbia» da simili chiusure. La ricerca biblica quindi è partita da un femminismo sociale per approdare poi a una teologia «femminile». Il contributo più importante delle donne protestanti, a partire dal secolo, fu la rilettura dei testi biblici tradizionalmente utilizzati per argomentare la sottomissione delle donne, con la prospettiva di una liberazione dagli stereotipi. Le sorelle Sarah e Angelina Grimké, quacchere americane, nel 1838 scrissero le Letters on the Equality of the Sexes invocando l’abolizione della schiavitù e i diritti delle donne. Elisabeth Cady Stanton, con un gruppo di venti donne, tra il 1895 e il 1898, pubblicò una “Bibbia della donna” (Woman’s Bible), selezionando i brani che riguardavano le donne con una valutazione molto critica. XIX Furono poco seguite, persino dalle donne bibliste, ma la ribellione esigeva che si ritornasse ai testi con attenzione, a partire da studi di teologia e di ricerca biblica. Antoinette Brown, congregazionalista, fu nel 1847 una delle prime studentesse di teologia nell’Ohio. Analizzò D ONNE CHIESA MOND O 10 11 D ONNE CHIESA MOND O Il femminismo avanzava nella società degli anni sessanta dello scorso secolo, ma non nella teologia, per lo meno in quella europea. La teologia protestante si accontentò d’interrogare gli stereotipi sessuali (Francine Dumas, L’autre semblable, 1967), l’antropologia (Kari Børresen, Subordination and Equivalence, 1968), la tradizione (France Quéré, La femme. Les grands textes des Pères de l’Ėglise, 1968), in una prospettiva “femminile”, volta a ricordare le qualità delle donne. La teologia protestante se ne sentì turbata, ma non messa in discussione. Saranno solo le bibliste femministe a pensare un vero progetto di liberazione... a partire dalla Bibbia! DAL MOND O D onne e Chiesa Il 28 gennaio si è tenuta a Roma la plenaria della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica e per la prima volta vi hanno partecipato dieci superiore maggiori. Benché le donne costituiscano quasi l’83 per cento del numero complessivo dei religiosi, fino a oggi la loro presenza era rappresentata solo dalla sottosegretaria suor Nicla Spezzati. Speriamo che questo sia un primo passo per un riconoscimento più equilibrato della presenza femminile all’interno di questo importante organismo ecclesiale. Violenza in Argentina Ogni 31 ore una donna viene uccisa in Argentina. E in una sola giornata si registrano >> 15 D ONNE CHIESA MOND O 12 Questa teologia moderata con il femminismo nella teologia infatti si evolveva verso riletture più esigenti. Le esegete femministe pretesero, come i riformatori delle origini, che la Bibbia fosse accessibile a tutti e non riservata all’élite (non più clericale ma dottorale!). Il fine era di ritrovare la potenza liberatrice dei testi biblici, a partire dai vangeli dove Gesù Cristo dà spazio alle donne. Quelle bibliste, che avevano imparato a leggere e a capire le sfumature delle lingue bibliche, aiutate dalle conoscenze dei processi culturali di produzione dei testi, scoprivano errori o falsificazioni nell’interpretazione. Molte di loro rileggevano anche con l’aiuto di prospettive psicanalitiche, letterarie o sceniche. Auspicavano vivamente una teologia non d’ufficio, ma una “teologia della cucina”, intrisa dell’esperienza e delle questioni pragmatiche delle donne portatrici di una “saggezza” diversa dalle speculazioni filosofiche e intellettuali. Fu subito evidente che non bastava riabilitare solo Eva, ma anche donne lasciate nell’ombra. le lettere paoline spiegando che gli eccessi condannati dall’apostolo al suo tempo non si potevano trasporre al XIX secolo. Quelle bibliste furono aiutate dall’esegesi storico-critica che si opponeva alle interpretazioni letterali, che imponevano loro ruoli rigidi nelle Chiese cui appartenevano. Questa esegesi non portò a una rivoluzione, ma piuttosto a una lenta fecondità. Se tra le due guerre mondiali l’inglese Margaret Brackenbury Crook, pastora unitaria, fu la prima donna ammessa in una società biblica, fu solo nel 1964 che decise di pubblicare il frutto della sua ricerca sulla situazione delle donne nel cristianesimo, dove dimostrava l’androcentrismo della teologia. Affermò però che la sua intenzione era solo documentaria. Rivisitarono i testi che servivano a giustificare il ruolo secondario della donna. L’importanza di Genesi 1, 27 — l’umanità creata «maschio e femmina», creata «a immagine di Dio» — era stata celata a vantaggio di Genesi 2, dove Eva, creata per seconda, è fatta per sottomettersi al marito come sua serva. Cosa ancor peggiore, con la «caduta» in Genesi 3 si rendeva Eva colpevole del primo peccato, e “la donna” peccatrice o seduttrice. Ebbene, constatarono che solo due piccoli brani nella Bibbia riprendevano il peccato di Eva. Uno era Siracide 25, 24 («Dalla donna ha avuto inizio il peccato, per causa sua tutti moriamo»), che non era fortunatamente un libro contenuto nelle bibbie protestanti. Ma l’altro, 1 Timoteo 2, 11-15, aveva fatto danni, pur essendo l’unico testo biblico che afferma una salvezza attraverso la maternità! Quelle esegete valorizzarono le figure di donne potenti o influenti come Miriam, Debora, Maria Maddalena, Lidia e altre, che relativizzavano la centralità di Maria madre e vergine. A pagina 12 Hugues Merle (1822-1881) «Le orfanelle» (particolare) e nella pagina 10 un ritratto di Elizabeth Cady Stanton Più difficile fu la rilettura delle lettere che avevano tanto segnato le Chiese della Riforma. Efesini 5, 21-24, Colossesi 3, 18-19, 1 Corinzi 11, 13 D ONNE CHIESA MOND O >> 12 1-16, insistendo sulla necessaria sottomissione della donna all’uomo, poiché l’uomo è la testa (il capo) della donna come Cristo è la testa (il capo) della Chiesa, non erano stati letti secondo l’intenzione dei loro autori, che era stata quella di descrivere l’amore di Cristo per la Chiesa, bensì per giustificare la messa sotto tutela della donna. A tutt’oggi, queste interpretazioni sono ancora vive nelle Chiese protestanti fondamentaliste, mentre il testo mostra bene a che punto una conversione di mentalità sia necessaria agli uomini per “amare” le loro donne. Le esegete dimostrarono che le lettere contenevano affermazioni forti, trascurate dalla tradizione, come Galati 3, 26-28: «Siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo. Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù», testo interpretato in senso spirituale dai teologi, che gli attribuivano piena validità solo per il regno di Dio! Le esegete più femministe mostrarono Dio come donna o madre: «Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se queste donne si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai» (Isaia 49, 15). Il Signore è addirittura provvisto di un seno materno e allatta (Isaia 46, 3-4, Isaia 66, 12-13). In Giobbe (38, 8-9 e 28-29) la sua attività creatrice Le esegete femministe pretesero, come i riformatori delle origini, che la Bibbia fosse accessibile a tutti Il fine era di ritrovare la potenza liberatrice dei testi a partire dai vangeli dove Gesù Cristo dà spazio alle donne fa eco a una procreazione. È con totale fiducia che il salmista si riposa in Dio «come bimbo svezzato in braccio a sua madre» (Salmi 131, 2). Mosè considera il Signore una madre (Numeri 11, 12) e ricorda al popolo: «La roccia, che ti ha generato, tu hai trascurato; hai dimenticato il Dio che ti ha procreato!» (Deuteronomio 32, 18). Dio viene paragonato anche ad animali femmine: l’aquila che veglia sui suoi piccoli (Deuteronomio 32, 11), li porta sulle sue ali (Esodo 19, 4), li protegge all’ombra delle sue ali (Salmi 17, 8; 57, 2 e 91, 4), e l’orsa che difende i propri figli (Osea 13, 8). D ONNE CHIESA MOND O 14 L’esegeta femminista Helen Schüngel-Straumann analizza Osea 11 mostrando che l’apice della pericope (v. 9) è stato spesso attenuato dalla traduzione: «Non darò sfogo all’ardore della mia ira, non tornerò a distruggere Efraim, perché sono Dio e non uomo (nel senso di maschio); sono il Santo in mezzo a te». A importargli non è fare giustizia, ma mantenere il rapporto con i suoi, e in ciò è parziale e incoerente. Per questo l’ultima possibilità che il profeta Osea intravede per il suo popolo sta nell’amore materno di Dio. Se i lati materni di Dio si trovano più frequentemente nella tradizione profetica, polemica riguardo alle dee, il messaggio è il seguente: perché avreste bisogno di una dea madre? Yahvè è addirittura più affidabile di una madre! Elisabeth Schüssler-Fiorenza (In Memory of Her, 1984), ricercò le donne nella storia cristiana, non solo quelle degli Atti degli apostoli e degli scritti di Paolo, ma anche le martiri e le responsabili di comunità. Le traduzioni del Nuovo Testamento avevano permesso alla tradizione di minimizzare le loro responsabilità, come mostra Romani 16, 1, dove Febe viene chiamata “diaconessa” o “serva” a seconda delle traduzioni, mentre il termine utilizzato per il suo ministero è “diacono”... al maschile, il che lascia supporre che avesse un vero ministero! Romani 16, 7 menziona due “apostoli”, Andronico e Giunia. Essendo questi nomi in accusativo in greco, in francese al nominativo è stata aggiunta una s (Giunias), mentre si tratta di Giunia, una donna-apostolo! Queste ricerche ovviamente interrogano le Chiese, soprattutto quando le esegete femministe fondano l’interpretazione su “l’esperienza delle donne”, che può far sì che il testo venga letto in funzione di ciò che vi si vuole trovare e che ci siano prestiti selettivi dalla Bibbia. Molte sono anche le esegete femministe che ritengono che altri scritti possano essere investiti della stessa autorità della Bibbia, soprattutto scritti di altre religioni o culture, il che riduce la Scrittura a un “prototipo”, a un modello per altre letture, e non ne fa un canone chiuso (Schüssler-Fiorenza). Ma queste scelte non sono più solo appannaggio delle donne e questi dibattiti sono condivisi anche da altri esegeti. Le esegete hanno contribuito a un vero rinnovamento della lettura biblica e a una passione per la diversificazione dei metodi. Oggi questi studi sono condotti anche da donne bibliste del sud e l’esegesi delle donne sta recando frutti largamente adottati nella ricerca esegetica degli uomini. Tale ricerca, dall’inizio del XXI secolo, non è più appannaggio dei protestanti e prosegue in una emulazione interconfessionale, anzi interreligiosa. oltre cinquanta aggressioni di natura sessuale. È una vera e propria strage: dal 2008 al 2016 sono state uccise 1900 donne. Ai femminicidi si aggiungono poi violenze di ogni genere che sfuggono ai dati ma che, se non fermate in tempo, rischiano di fare tante altre vittime. Su dieci donne uccise due avevano avuto la forza e il coraggio di denunciare le azioni di violenza di genere subite. Ma denunciare il pericolo non è stato sufficiente a garantire loro la sopravvivenza. Convegno a Bose sulla Riforma «Giustificazione. L’evangelo della grazia»: sarà dedicato a questo tema centrale della Riforma protestante l’ottavo convegno ecumenico internazionale in programma nel monastero di Bose il 26 e il 27 maggio. Ispirato dalla ricorrenza del quinto centenario della pubblicazione delle tesi di Lutero, il convegno si propone di riaffermare >> 19 15 D ONNE CHIESA MOND O IN NOVEMILA CARATTERI di MARCELO FIGUEROA Una costruzione dal basso siste un evento cardine nella vita ecclesiale protestante delle donne latinoamericane rispetto ai dibattiti teologici, all’esegesi e al contesto del momento. Sono passati trentacinque anni e l’ordinazione delle donne al ministero pastorale nella Chiesa evangelica luterana unita in Argentina e Uruguay è un tema che oggi, riflettendo a distanza, è completamente interiorizzato e accettato da tutto il sinodo». Lo sostiene la pastora Andrea Linqvist, che, insieme a quaranta delegati, tra laici e chierici, ha partecipato alla storica assemblea dove si giunse alla conclusione che «non c’era impedimento alcuno all’ordinazione di donne al ministero della parola e dei sacramenti». «Io ero delegata della congregazione La Cruz de Cristo», ricorda. «Nelle riunioni i dibattiti molto spesso poggiavano sul fatto che le sacre Scritture non menzionavano esplicitamente il tema. Dopo diverse riunioni, la commissione, di cui facevo parte insieme al pastore Lisando Orlov e molti altri, elaborò una risoluzione. Fui designata a presentarla all’assemblea, dove alla fine la proposta prevalse», ha aggiunto Linqvist. «All’inizio magari alcune comunità si mostrarono più restie ad accogliere una donna pastora. All’epoca, però, non c’erano neppure tante candidate; e pian piano quella resistenza, più al cambiamento che alle persone, scomparve». «E La questione dell’identità femminile e del ruolo della donna nella Chiesa è un tema che ha occupato, e tuttora occupa, molte scrittrici, intellettuali laici e religiosi. In un continente sempre più plurale e culturalmente diverso, in cui convivono molte etnie, religioni e stili D ONNE CHIESA MOND O 16 17 D ONNE CHIESA MOND O >> 15 di vita differenti, le visioni parziali diventano parti del tutto che si integrano, invece di escludersi. Le Chiese protestanti sono numerose, autonome e molto diverse, per cui è impossibile presentare un quadro dettagliato della situazione in ciascuna di esse, neanche se si considerano le grandi tradizioni — luterana, calvinista, metodista — nel complesso, poiché anche al loro interno sussistono differenze. Al massimo si può offrire una visione generale che inevitabilmente esclude tutte le situazioni particolari e i casi eccezionali. Al di là dei numeri, una delle caratteristiche che marca la distanza tra la Chiesa cattolica e quella protestante è che quest’ultima riconosce l’esercizio da parte delle donne di tutte le funzioni e gli incarichi religiosi all’interno della Chiesa. Ciò significa che la donna può essere ordinata pastora e presiedere la riunione di pastori e pastore per l’adozione di decisioni organizzative. La maggior parte delle Chiese evangeliche permette l’attività pastorale delle donne, attribuendo loro uguali diritti e uguali funzioni. Ciò apre un intenso dibattito sul ruolo della donna come responsabile del culto e questo crea una netta differenza con la Chiesa cattolica. Tuttavia la percentuale di donne pastore nei paesi latinoamericani è molto bassa, a differenza di quanto accade in Germania o in Svizzera. Un fenomeno di attività pastorale femminile collaterale si presenta nei cosiddetti pastorati matrimoniali. In questo caso, sempre più frequente, anche se quasi soltanto nelle Chiese evangeliche non tradizionali, si dice che entrambi i coniugi condivi- La lotta della donna per aprirsi uno spazio di uguaglianza nell’universo protestante è stata costante Non solo in Europa ma anche in America latina dono il mandato ministeriale. Dato che non sempre il ruolo della donna pastora supera l’“aiuto idoneo” del pastore principale nei modelli tradizionali, non è chiaro se si tratta di un ordinamento pastorale femminile o semplicemente di un “maquillage familiare” di modelli tradizionalmente noti. Personalmente ritengo più vicina alla realtà ecclesiale la seconda ipotesi. La lotta della donna per aprirsi uno spazio di uguaglianza nell’universo protestante è stata costante, non solo in Europa, dove il protestantesimo ha una storia consolidata e incardinata socialmente, ma anche in America latina, dove la presenza protestante, meno radicata storicamente del cattolicesimo, sta crescendo in modo straordi- D ONNE CHIESA MOND O 18 nario. In poco meno di due secoli, il protestantesimo latinoamericano da un pugno di credenti socialmente insignificante si è trasformato in una fede religiosa che riunisce milioni di membri. Da credenza “strana”, o vista come straniera, è diventata un’espressione ben consolidata e specifica delle molteplici forme dell’essere latinoamericano. Tra le diverse famiglie ecclesiastiche, le Chiese pentecostali sono il ramo evangelico con la maggiore crescita in America latina, giungendo a rappresentare il 75 per cento dei protestanti latinoamericani. La popolazione attuale si avvicina ai 600 milioni, di cui il 20 per cento sarebbero evangelici, ossia circa 120 milioni. Un filo conduttore nelle donne protestanti latinoamericane è la visione, e la relazione, tra il globale e il locale, che è diventata un linguaggio comune come parte della prospettiva della globalizzazione. Un porsi esterni rispetto al globale, che ci coinvolge ma senza darci possibilità di partecipare o agire al suo interno, porta a valorizzare di più il locale, dove si rafforzano le identità e i valori specifici e si contestualizzano linguaggi e azioni. Alle donne protestanti latinoamericane il processo non è risultato semplice; in ambiti protestanti europei, le donne sono riuscite ad abbattere muri di discriminazione e a imporre una rilettura dei testi paolini con i quali è stata giustificata storicamente la loro discriminazione, escludendo la donna da qualsiasi posizione ecclesiastica e approfondendo teologicamente il principio riformato della libertà individuale, il cui postulato, non senza una certa resistenza, ha finito coll’essere accettato anche dalle donne stesse. La Chiesa metodista argentina è stata la prima in Sudamerica a scegliere una donna come vescovo. La pastora Nelly Ritchi è stata ordinata nel 2001 e ha esercitato le sue funzioni fino al 2009. «La promozione della Bibbia è un obiettivo per cui i cristiani possono lavorare in stretta unione a gloria di Dio e per il bene di tutta la famiglia umana» ha affermato nel 2007 la metodista Nelly Ritchie, vescovo, guardando negli occhi l’arcivescovo di Buenos Aires, il cardinale Jorge Mario Bergoglio, accompagnato dai suoi vescovi ausiliari, Joaquín Sucunza, Eduardo García, Oscar Ojea e Mario Poli, che avevano partecipato alla celebrazione annuale della giornata nazionale della Bibbia nella Chiesa metodista centrale argentina. «Quante volte noi cristiani — si è rammaricato il cardinale Bergoglio nel prendere la parola — perdiamo la capacità di stupirci perché sappiamo già tutto», e così «perdiamo la capacità di sentirci accarezzati dalla tenerezza della parola, che è puro dono, pura grazia». Il dialogo con i cristiani di altre confessioni è uno dei fili che lega l’importante ruolo delle donne protestanti. Ma in America latina le sfide della post-modernità hanno imposto la seguente domanda: «Come evangelizzare in un mondo di poveri?» I protestanti scopro- l’attualità dell'intuizione dei riformatori circa la giustificazione per sola fede. I lavori saranno introdotti da Enzo Bianchi. Alla giornata conclusiva interverranno il cardinale Walter Kasper e il pastore Paolo Ricca che offriranno il punto di vista cattolico e prostestante di come i cristiani possano vivere insieme l’evangelo della grazia. Duecento milioni le vittime delle mutilazioni genitali Secondo i dati dell’Unicef e del Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione, in tutto il mondo almeno 200 milioni di ragazze e donne hanno sofferto qualche forma di mutilazione genitale. Le ragazze fino ai 14 anni sono 44 milioni del totale delle vittime e la più alta incidenza in questa fascia di età si registra in Gambia, Mauritania e Indonesia, dove circa la metà delle ragazze fino a undici anni ha subito mutilazioni. Metà delle vittime >> 21 19 D ONNE CHIESA MOND O >> 19 vive in tre paesi, Egitto, Etiopia e Indonesia. La maggioranza delle bambine è stata mutilata prima di compiere cinque anni. Le piccole shaolin di Kabul Giovani studentesse dell’Instituto Evangélico Americano de Caseros (Buenos Aires) A pagina 16: Antonio Berni, «Manifestazione» (particolare) no nella povertà una sfida centrale per la fede. E il modo in cui si risponde a questa sfida si colloca al centro del messaggio di salvezza, al di là dell’appartenenza o meno alla Chiesa. La donna protestante latinoamericana porta nella Chiesa le sue storie brevi, la sua vicinanza alla vita quotidiana della gente, la sua capacità di dare un senso agli spazi limitati in cui si può muovere, agli orizzonti ridotti in cui può progettare. Le porta nella comunità, nel quartiere povero, nella famiglia in difficoltà, dando risposte rapide e una sensazione di sicurezza, nell’immagine di un Dio vicino e accessibile a tutti, nel suo D ONNE CHIESA MOND O 20 adeguarsi alle nuove condizioni del mercato, nel suo soddisfare i bisogni affettivi e spirituali delle persone in una situazione di profondo cambiamento, cercando di creare nuove identità per ricostruire il tessuto sociale. È un lavoro di fede che nasce dal povero: la frugalità, il digiuno e l’astinenza sono condizioni di oppressione in una cultura che vive nella fame. È la costruzione “dal basso” che configura un cammino femminile in comune delle Chiese in un continente che accoglie quasi la metà dei cattolici del mondo e che è il cuore del pentecostalismo mondiale. Sfidando le regole più conservatrici dell’Afghanistan, un gruppo di ragazze pratica il wushu, un’antica arte marziale cinese. Si allenano anche all’aperto, sulla neve, con i loro pigiami di raso. Ma non serve solo la giusta preparazione fisica, bisogna rafforzare la mente, i pensieri, la propria vitalità. «Nel pensiero ultraconservatore di questo paese tutte le donne danno fastidio — spiega Sima Azimi, l’insegnante, che sfidando tutti ha aperto una sua palestra — noi siamo determinate a resistere e a combattere questo modo di pensare. Nessuno qui ci aiuta, le donne si devono aiutare da sole. Per questo chiedo alle ragazze di dimostrare quello che sono in grado di fare, dobbiamo smettere di avere paura e restare in silenzio». 21 D ONNE CHIESA MOND O Maria Sibylla Merian in un’incisione realizzata sulla base di un disegno del figlio IL LIBRO Una ebrea una protestante una cattolica di MARGHERITA PELAJA È marito muore. La vedova non si perde d’animo ma prosegue e sviluppa gli affari del marito viaggiando in tutta Europa finché si stabilisce con un nuovo marito a Metz, dove morirà a 78 anni. Viaggia, commercia, e intanto scrive. In trent’anni scrive sette libri in cui racconta la propria vita, la famiglia, le nascite, le morti, la forza necessaria ad affrontarle, i peccati in cui cade: in una parola, «discute con Dio». gnamento alle «giovani selvagge» sono — scrive Marie — «una tale fonte di piacere che ho peccato, semmai, per averli troppo amati». In apparenza accomunate solo dal secolo in cui vivono, il Seicento, le tre donne si muovono in contesti diversi e lontani: Glikl sposa a 14 anni un ricco commerciante e mette al mondo 14 figli, di cui otto sono ancora piccoli quando il Anche Marie de l’Incarnation scrive: quaderni su quaderni in cui spiega perché, rimasta vedova, abbandona il figlio undicenne per entrare nel convento delle orsoline; descrive il proprio amore per Dio e «la condotta che Dio ha tenuto nei suoi confronti», descrive visioni mistiche e apparizioni diaboliche; racconta di come abbandona la Francia per farsi missionaria in Canada, per obbedire agli ordini del direttore spirituale ma anche per rispondere ai richiami di uno spirito «che non poteva essere rinchiuso». Il viaggio, l’incontro con gli uroni e gli algonchini e l’apprendimento della loro lingua, l’inse- E anche Maria Sibylla Merian scrive e viaggia. Dipinge pure, non per passione religiosa ma per passione scientifica. Non abbandona i figli per questo: abbandona il marito, un pittore di Francoforte, per unirsi ai labadisti, una comunità di protestanti che aveva messo radici nella provincia olandese della Frisia, in un’esperienza di rinuncia e distacco da ogni bene e preoccupazione terrena. Dopo qualche anno però, forse insofferente delle gerarchie della comunità o della separazione dal mondo, Maria Sibylla parte di nuovo, sempre insieme alle figlie, e si stabilisce ad Amsterdam. Non basta ancora: un libro di storia diverso dagli altri Donne ai margini: comincia con un Prologo teatrale, in cui l’autrice cerca di rispondere alle rimostranze immaginarie delle donne di cui ha scritto la biografia. Glikl bas Yehudah Leib, commerciante ebrea di Amburgo, Marie de l’Incarnation, mistica orsolina fondatrice della prima scuola per amerindie, Maria Sibylla Merian, pittrice e naturalista tedesca protestante, indignate chiedono all’autrice perché abbia deciso di affiancare le loro vite in modo così arbitrario. Risponde Natalie Zemon Davis: «Vi ho messo insieme perché volevo imparare dalle vostre somiglianze e differenze». D ONNE CHIESA MOND O 22 la passione che arde in lei è lo studio degli insetti, su cui ha già scritto volumi illustrati conosciuti in tutta Europa, e nel Nuovo Mondo ci sono insetti e piante che chiedono ancora di essere analizzati. Nel 1699 parte con la figlia più piccola per il Suriname, dove africani e amerindi la aiuteranno nella ricerca e nello studio e dove redigerà la sua opera più importante, le Metamorfosi degli insetti del Suriname. Poi tornerà ad Amsterdam, dove morirà nel 1717. Vite diverse dunque, ma con molti punti di contatto: spirito di iniziativa, propensione al viaggio e all’avventura, passione per la scrittura, una spiritualità profonda e una religiosità che la portano a conoscere e a esprimere le parti più nascoste della propria interiorità. 23 D ONNE CHIESA MOND O In che cosa consiste la collaborazione fra le donne protestanti e cattoliche nella sua Chiesa? FO CUS al singolare, come realtà esclusivamente locale, ma va ormai affrontata e vissuta al plurale». La colonna portante Intervista alla pastora Nora Wolf di SILVINA PÉREZ «N D ONNE CHIESA MOND O 24 on mi sono mai sentita sola, isolata, come donna pastora qui in Basilea. Sin dall’inizio del mio ministero mi sento accompagnata e sostenuta dalle donne della comunità. Alcune appartengono alle diverse Chiese protestanti, altre invece sono cattoliche. Le chiamo le mie sorelle amiche, perché oltre alla fede in Dio ci lega anche una bella amicizia. Loro sono per me una vera fonte di empowerment femminile». A parlare è la pastora protestante tedesca Nora Wolf, che ha compiuto da poco 50 anni. Ministro di culto, laureata in teologia protestante, negli ultimi otto anni ha svolto il suo servizio nella Chiesa evangelica valdese di Basilea. «Per me, la mia parrocchia è il mondo e quanto più possibile cerco di essere presente nel mezzo dei problemi della società: la nostra Chiesa è da anni una specie di “laboratorio” della società svizzera che, a mio avviso, non è più immaginabile Come si struttura la presenza femminile nella Chiesa valdese svizzera? Oggi più del 30 per cento del corpo pastorale è femminile. Nella Chiesa valdese esistono le donne pastore dal 1967. Quindi sono le donne la colonna portante senza la quale sarebbe impossibile andare avanti. Confesso che comunque ancora oggi mi capita molte volte di sentire: «Certo, tu devi pensare anche alla famiglia...». Oppure quello che io chiamo il complimento che profuma di pregiudizio: «Certo, tu come donna, facendo la pastora, hai una marcia in più rispetto ai tuoi colleghi maschi», riferendosi alla mia capacità di essere empatica e comprensiva... Mi sono trasferita circa otto anni fa dal centro di Berlino, dove si trova il Tempio valdese, in un piccolo quartiere di Basilea, per continuare il mio ministero presso la Chiesa evangelica metodista (le Chiese metodiste sono in unione con quelle valdesi), in una comunità composta da persone provenienti da ben 19 paesi diversi. Qui, sono le donne quelle che costruiscono giorno dopo giorno una pacifica convivenza tra persone diverse tra loro, una diversità riconciliata, come si direbbe usando un linguaggio più teologico. Io non mi sento diversa da altre donne di questa città, sono una di quelle che cerca di vivere la propria vita in modo più coerente possibile, che sogna una vita bella per i propri figli, ma anche per i figli e le figlie di altri meno fortunati... Sì, mi sento fortunata, perché ho la mia famiglia vicino, ho un lavoro per il quale ricevo riconoscimento, ho una casa, amici e amiche, fratelli e sorelle e un luogo di culto in cui esprimere la mia spiritualità e fede! Non vorrei sembrare retorica ma è proprio nella costruzione quotidiana di un mondo diverso, un mondo al di là della segregazione, del razzismo e della paura. Nel nostro piccolo cerchiamo di fare quello che ha fatto Papa Francesco nell’isola greca di Lesbo, l’ecumenismo dei fatti e della «solidarietà cristiana». La nostra presenza pastorale si è fatta continuativa e capace di permeare il tessuto sociale della città, con studi biblici e conferenze ecumeniche sempre assai frequentate e apprezzate ma il lavoro concreto con le donne cattoliche è senz’altro il nostro gesto ecumenico più potente. Noi partiamo dalle persone e poi camminiamo insieme. Nella teologia cattolica, la Madonna è la figura femminile più importante; e in quella protestante evangelica? Credo che il protestantesimo abbia recuperato recentemente il lato più “femminile” di Dio, proprio grazie alla riscoperta di sue immagini bibliche, come per esempio la madre che consola. Maria, la madre di Gesù, nelle Chiese protestanti è considerata semplicemente una sorella nella fede e non è venerata come nel cattolicesimo. Io mi sento particolarmente legata al momento in cui Maria vive l’attesa della nascita di Gesù. Non sa bene come affrontare questo evento, va da Elisabetta, sua cugina e sorella nella fede e riceve, in questo incontro, la forza per portare avanti il progetto di Dio di un mondo nuovo. Maria e Elisabetta sono due donne che prima di noi hanno creduto, sperato e lottato, hanno pregato l’una per l’altra e si sono incoraggiate a vicenda per non perdere la speranza che questo mondo diventi più giusto e offra la possibilità di vivere in modo dignitoso a tutti e tutte. È proprio nella collaborazione fra donne che a noi protestanti Maria in quanto sorella ci indica una strada per potere collaborare insieme ad altre donne cristiane. 25 D ONNE CHIESA MOND O LA SANTA DEL MESE I superpoteri di Olivia di IRENE RANZATO livia nacque a Palermo nel 448 da nobili genitori cristiani. Era una ragazzina bellissima. Dotata di forza, velocità, capacità sensoriali e resistenza sovraumane, era caratterizzata da una totale mancanza di paura e da una profonda fede nel Signore. Per queste sue doti, questa figlia di notabili della città venne utilizzata senza troppi scrupoli dalle alte sfere del governo di Palermo come arma contro i vandali di Genserico, che nel 454 conquistavano la Sicilia e occupavano Palermo, portando il martirio tra i cristiani. Fin da piccola e con il beneplacito dei genitori, Olivia veniva spedita in missione e mentre le sue amichette passavano dai giochi alla ricerca di marito, lei era impegnata nella ricerca di armi sempre più sofisticate e si esercitava ogni giorno in gare di velocità con i palermitani più prestanti. Chiunque immaginerebbe che il suo servizio alla comunità portasse a Olivia onori e rispetto: non è così. Essere una donna anticonformista, pensare poco a conquistarsi i favori dell’altro sesso a O D ONNE CHIESA MOND O 26 La copertina del libro di Jacqueline Carey dedicato alla giovane santa a sinistra la statua nella cattedrale di Palermo quei tempi e in quel mondo di uomini non pagava. Olivia parlava con gli animali (era portata per le lingue) e aveva una predilezione per i lupi, ed era quindi, comprensibilmente, additata come “diversa” dal resto della comunità. La stessa famiglia quasi si vergognava di lei, invece di andarne fiera, e quando la sentivano commutare di codice, a seconda se parlasse con i membri della sua famiglia o con le galline del cortile, abbassavano lo sguardo e facevano finta di non conoscerla. Per questo, era priva del sostegno della famiglia e la sua lotta contro i vandali si svolgeva in solitario. Nonostante i grandi successi iniziali (tornò un giorno con tre scalpi di vandali appesi alla cintura dorata), Olivia purtroppo fu catturata. Indomita, lungi dal perdersi d’animo, sosteneva e incoraggiava i compagni cristiani prigionieri dei vandali. Resistette a tutte le avances, sia dei vandali, sia dei compagni di fede, e passava le giornate in preghiera. La famiglia la considerava ormai perduta e non cercò di riscattarla. Ingrati. Genserico, lui sì, fu toccato dalla sua forza d’animo e invece di martirizzarla decise di liberarla, confidando che non sarebbe stato difficile tenere sotto controllo una ragazzina, allora soltanto tredicenne. Uscita di prigione, e vissuto il lutto della morte della madre, che la sconvolse profondamente nonostante avesse ricevuto poco affetto anche da lei, Olivia si unì a una comunità di orfani non integrati, una sorta di scalcinata banda di bambini perduti che, vessati continuamente sia dai palermitani sia dai vandali, trovavano solo nella fede un sostegno alla loro vita disgraziata. L’arrivo di Olivia nella loro piccola comunità cambiò le loro vite: i bambini perduti, nella maggioranza bambine, formarono un gruppo di vigilanti stretto intorno alla loro nuova leader, che cominciarono a chiamare “santa”. Il gruppo usciva sempre tutto unito per pattugliare la città. Anche la vita di Olivia cambiò. Non era più una giustiziera solitaria ma era al centro di un gruppo di bimbi adoranti che non chiedevano di meglio che di lavorare con lei. Ancora una volta, la città dimostrava poca gratitudine nei confronti di Olivia e della sua banda, ma era comunque ipocritamente felice che i vandali fossero tenuti a bada da questo gruppo di coraggiosi outsider. Genserico, ormai spazientito dalle gesta della ragazzina ribelle, dopo molti tentativi senza successo, riuscì a farla catturare di nuovo dai suoi uomini. Ancora 27 D ONNE CHIESA MOND O intenerito, forse attratto da questa ragazzetta, ma in fondo un gentleman, decise di spedirla a Tunisi: sapeva che Amira, governatore di quella città, uomo dal polso durissimo, avrebbe potuto piegarla e convertirla al paganesimo. In ogni caso, era importante privare i bambini perduti della loro guida. A Tunisi, Olivia, sebbene di nuovo sola, si sentiva ormai non soltanto superpotente ma, per un fenomeno che gli psichiatri oggi chiamerebbero inflazione dell’ego, sentiva anche che forse l’appellativo di santa assegnatole dai bambini perduti non era un’esagerazione. Iniziò lei a convertire i pagani al cristianesimo, con costernazione di Amira, e a operare miracoli, benché gli studiosi non trovino accordo sul numero che Olivia riuscì a compierne: secondo una studiosa americana, la professoressa Isabel Archer dell’università del Wisconsin, furono almeno trentasei, contando la resurrezione del cane morto di Amira; secondo il gruppo di ricerca guidato dal dottor John Knightley, PhD, di Irene Ranzato Irene Ranzato, PhD in Translation Studies, è ricercatrice di lingua e traduzione inglese all’università La Sapienza di Roma. I suoi interessi si rivolgono alla traduzione audiovisiva e alla traduzione intersemiotica. Ha dedicato alla traduzione dei riferimenti culturali nei dialoghi televisivi la sua più recente monografia: Translating Culture Specific References on Television: The Case of Dubbing (Routledge 2016). D ONNE CHIESA MOND O 28 Oxford, i miracoli non furono più di dodici. In ogni caso, Amira, quantunque ben contento di riabbracciare il cane, la spedì in un luogo deserto pieno di leoni, serpenti e draghi perché potessero divorarla o almeno, se questo non fosse stato possibile, perché morisse di fame. Sappiamo ormai che la vita di Olivia era segnata dall’ingratitudine di coloro che avrebbero dovuto ringraziarla. Colpisce comunque l’ingenuità di Amira, che non aveva l’intelligenza di Genserico. Olivia infatti visse piuttosto bene durante il suo soggiorno nel deserto, cibandosi della ricca fauna di, appunto, leoni, serpenti e draghi. Esasperato, Amira inviò un esercito a riprenderla. Poiché l’immersione nell’olio bollente non le recò alcun danno, decise di farla decapitare nel 463. Aveva quindici anni. La sua testa gli fu portata in un cesto tra manghi e banane durante un banchetto. Amira se ne compiacque ma era troppo ubriaco per rendersi bene conto e la testa rimase dimenticata in un angolo fino al giorno dopo, quando vi trovarono il cagnolino addormentato accanto. Questo triste epilogo non deve addolorarci, perché la santità opera il bene ancora di più dopo la morte. Il culto della santa è vivissimo sia a Tunisi sia in Sicilia e la santa conforta e rinvigorisce la fede di tutti coloro che si sentono poco apprezzati nel luogo dove sono nati e dalle persone che in teoria dovrebbero sostenerli. Se trovate dei reietti che vi amano, ci dice la santa, unitevi a loro, quella è la vostra famiglia. Il suo corpo non si trova e, a Tunisi lo sanno bene, è meglio così. Si sa però per certo, perché così si tramanda nel diario di uno dei bambini perduti, che riposa in un pozzo profondo di acqua fresca. La storia di Olivia intreccia episodi della vita della santa a particolari di finzione e a dettagli ispirati alla fiaba fantasy Santa Olivia di Jacqueline Carey. NEL NUOVO TESTAMENTO La profetessa Anna di LUÍSA MARIA ALMENDRA 29 D ONNE CHIESA MOND O a menzione della profetessa Anna nel vangelo dell’infanzia di Luca risulta effettivamente sorprendente. I motivi sono piuttosto diversi: non ci sono precedenti biblici per questa persona e il suo ruolo, tale come l’autore lo descrive, non presenta i tratti caratteristici dei profeti: la vocazione, gli oracoli di giudizio, i messaggi di consolazione, le azioni simboliche, le visioni... Chi è allora la profetessa Anna? E perché l’autore la nomina in questo modo? Era davvero una profetessa? Anna appare, nel vangelo secondo Luca, insieme al vecchio Simeone che accoglie Gesù nella presentazione al Tempio (cfr. 2, 22-38). Si tratta del momento della circoncisione, un rituale comune tra gli ebrei, che viene realizzato all’ottavo giorno su ogni bambino maschio, secondo la prescrizione della Legge. Maria e Giuseppe portarono quindi il bambino a Gerusalemme «per offrirlo al Signore» (2, 22). In questa espressione, l’evangelista introduce il lettore nel cuore del rituale della circoncisione il cui senso profondo consiste infatti nell’appartenenza al Signore. Così è scritto nella Legge: «Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore» (Luca 2, 23; cfr. Esodo 13, 2.12.15). L Insieme a Maria e a Giuseppe ci sono nel Tempio due figure luminose: il giusto Simeone e la profetessa Anna; un uomo giusto e una donna profetessa, dunque due figure diverse unite da un compito — Anna ha fatto del Tempio casa sua Lì rimane notte e giorno lodando, digiunando e pregando continuamente il riconoscimento — straordinariamente significativo. Infatti la loro lode emerge dal profondo della loro fede e della loro speranza. Ambedue, Simeone e Anna, molto anziani, sono abitati dallo Spirito santo. Ed è proprio questo Spirito che ispira la loro lode, fatta di canto e profezia, che nessuno, fino a quel momento della narrazione evangelica, era stato capace di proclamare. I due anziani però reagiscono in modo diverso nella presentazione del bambino, ognuno secondo il proprio ruolo. Simeone è l’uomo dell’attesa (cfr. Luca 2, 25). Nel Tempio vegliava e attendeva il compimento della promessa messianica (cfr. 2, 26) annunciata dagli antichi profeti (cfr. Isaia 40, 1; 52, 9). Il suo cuore D ONNE CHIESA MOND O 30 31 D ONNE CHIESA MOND O La profetessa Anna condivide pienamente questo sguardo che nasce dalla profondità, e tuttavia l’autore la presenta come una figura molto singolare: una donna profetessa, vedova anziana, figlia di Fanuel della tribù di Aser e che vive nel Tempio della città santa. Queste referenze non sono casuali. Fanuel richiama il nome Penuel (“volto di Dio”), che Giacobbe dà al luogo in cui avviene la sua lotta interiore nella notte con l’angelo (cfr. Genesi 32, 31). La tribù di Aser invece richiama un’ascendenza di prestigio, cioè il figlio della matriarca Lia (cfr. Genesi 30, 13). Anna è, dunque, una donna con importanti riferimenti biblici, strettamente collegata alla storia di Israele. Quello che sorprende di più è che, diversamente da Simeone, l’autore non le fa dire niente, semplicemente la descrive. Anna non irrompe come Simeone in un canto di lode, dove sono richiamate e celebrate le speranze messianiche d’Israele. Dobbiamo vederla e immaginarla lì, al Tempio, insieme a Simeone, Maria e Giuseppe, attraverso la presentazione velata dell’evangelista. Ambrogio da Fossano detto il Bergognone (1453–1523) gioisce, perché è capace di comprendere che Gesù è la salvezza promessa da Dio. In altre parole, la promessa divina si è realizzata in quel bambino offerto al Signore. Immerso nello Spirito, Simeone è capace di vedere e capire il significato profondo di quello che sta vivendo: «I miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli: luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele» (Luca 2, 30). L’evangelista Luca ci offre la chiave per comprendere i fatti narrati: il riconoscimento di Gesù come realizzazione della promessa messianica dipende dalla comunione con lo Spirito santo, per mezzo del quale ci è donata la capacità di vedere in profondità (cfr. Isaia 52, 10). D ONNE CHIESA MOND O 32 È da notare un particolare: Anna «non si allontanava mai del Tempio» (Luca 2, 37). Cosa vuole dirci Luca con questa immagine: una vedova che faceva del Tempio la sua casa? A nostro parere, è un modo per dire che Anna ha trascorso la sua lunga vita (aveva ottantaquattro anni) in preghiera e quindi in comunione con Dio. Non è lì per caso, è lì perché aveva eletto quel posto — l’abitazione di Dio — come sua dimora abituale: il Tempio era il centro della sua vita. A questo punto, l’evangelista aggiunge una ulteriore informazione: Anna serviva Dio «notte e giorno con digiuni e preghiere» (Luca 2, 37). È un’affermazione impressionante, l’anziana vedova era “sempre” impiegata nello stesso servizio, cioè aveva una dedicazione di sé piena e totale. L’affermazione colpisce ancora di più quando ci si rende conto che niente di simile è stato mai detto, prima o dopo, di un’altra donna, neppure di Maria o Elisabetta. Ambedue appaiono in un’ambiente familiare. Non si distaccano dalla loro attività quotidiana, pur rimanendo concentrate sulla propria interiorità e capaci di aprirsi alla sorpresa di Dio. Anna invece ha fatto del Tempio casa sua. Lì rimane notte e giorno, lodando, digiunando e pregando continuamente. Possiamo intuire che per Anna questa lode continua è diventata il senso della sua vita, la ragione d’essere della sua esistenza. Pur essendo una donna fragile, in quanto anziana e vedova, essa sperimenta in carne propria la gioia autentica e inesauribile che solo il Signore può donare. L’autrice Luísa Maria Almendra insegna presso la facoltà di teologia, dell’Università cattolica portoghese, dottorato in teologia biblica, nell’area Scritti sapienziali. Tiene corsi e seminari sull’Antico e il Nuovo Testamento e insegna lingue bibliche. È membro della Society for the Study of Biblical and Semitic Rhetoric, dell’Association Catholique Française pour l’étude de la Bible e della Society of Biblical Literature. È responsabile del corso di teologia della facoltà e dei rapporti internazionali della stessa facoltà. 33 D ONNE CHIESA MOND O Non sappiamo perché l’evangelista la chiami profetessa. La comprensione che abbiamo dei profeti è piuttosto collegata all’ascolto interiore, all’annuncio della salvezza e alla denunzia dei misfatti; insomma, al parlare esplicitamente in nome di Dio. Questo, Anna non lo fa. Il lettore rimane stupito davanti al silenzio di Anna, non riesce a capire che una profetessa non profetizzi. E subito gli viene in mente Culda, la profetessa che, oltre a confermare l’autenticità del rotolo trovato nel tempio durante il regno di Giosia, annunciò la caduta del regno del Sud (cfr. 2 Re 22). Allora, come mai non ascoltiamo la voce di Anna? Perché tace davanti al salvatore del mondo? Orbene, le risposte a queste domande si devono cercare nel modo di raccontare di Luca. Egli presenta la profezia in modo diverso da come la presentano gli autori dei libri profetici. Per Luca la profezia si svolge, non nella piazza pubblica o nella corte dei monarchi, ma nella presenza e nel rapporto intimo di Dio, diventando così una totalità di vita, come nel caso della nostra profetessa. Anna risponde perfettamente a questo “nuovo tipo” di profezia. Proprio in questo consiste la dimensione profetica di molti cristiani, dei primi e di tutti tempi. Detto diversamente, la profezia è una decisione libera di essere e di rimanere in un rapporto personale e intimo con Dio; un rapporto di amore da dove emerge la testimonianza eloquente di fede e di lode. Forse l’autore ha capito che alla testi- Anna continua la lunga tradizione delle donne profetesse nell’Antico Testamento La sua presenza va interpretata nel contesto della profezia in Israele monianza di Simeone mancava quella di Anna; alla parola profetica di Simeone che annuncia a Maria il drammatico destino di suo figlio e di lei come madre (cfr. Luca 2, 34-35), mancava la testimonianza di fede di Anna, maturata nell’incommensurabile interiorità di una vita. Anna è la prima di un lungo elenco di profeti e profetesse che svolgeranno un ruolo fondamentale nell’annunzio di Gesù Cristo, pur rimanendo fino a oggi ignorati e sconosciuti da molti cristiani. Come Elisabetta e Maria, Anna è una donna che comunica una verità che non si confonde con le altre: il riconoscimento di Gesù come dono di salvezza ha bisogno di un cuore capace di attendere nel silenzio e nell’interiorità notte e giorno. Il ruolo di Anna non ha la D ONNE CHIESA MOND O 34 novità di quello di Elisabetta o la grandezza di quello di Maria, però in lei si anticipano i tratti più rilevanti dei discepoli e delle discepole di Gesù. Come profetessa, Anna continua la lunga tradizione delle donne profetesse nell’Antico Testamento la cui presenza, benché molto discreta, è attestata in diversi scritti biblici e va interpretata all’interno del contesto generale della profezia in Israele. Pensiamo a Miriam, la sorella di Mosè e di Aronne (cfr. Esodo 15, 20), una figura molto ammirata nella letteratura rabbinica; a Deborah, profetessa e giudice, che annunciò a Barak la vittoria di Israele per volontà di Dio (cfr. Giudici 4, 4.9); a Culda, di cui abbiamo parlato prima (cfr. 2 Re 22, 14); o perfino alla moglie di Isaia, detta la profetessa (cfr. Isaia 8, 3). La nostra protagonista, però, nel fare del Tempio casa sua, oltrepassa la soglia dell’Antico Testamento, anticipando il ruolo delle donne profetesse dei primi tempi della Chiesa (cfr. Atti degli apostoli 2, 17; 21, 9; 1 Corinzi 11, 5). La sua benedizione consiste in lodare Dio e parlare del bambino «a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme» (Luca 2, 38). Infatti, Giuseppe e Maria, nel loro desiderio di obbedire alla Legge riguardo alla circoncisione del bambino e alla purificazione della madre, ricevono la benedizione di Dio tramite Simeone e Anna. Tuttavia, quello che viene sottolineato è il loro atteggiamento di attesa e di lode. Maria e Giuseppe rimangono all’ombra. Sembra che Luca voglia avvertire i suoi lettori che sta per iniziare un tempo nuovo, un tempo in cui la lode e l’annunzio prendono il sopravvento. Il racconto biblico è permeato, da un lato, dalla bellezza del rituale ebraico e, dall’altro, dalla fede di Maria e Giuseppe attraverso le parole di Simeone e la presenza della profetessa Anna. Le parole del vecchio Simeone costituiscono il centro del racconto, nonostante emergano in un contesto segnato da elementi teologici carichi di significato: ubbidienza alla Legge, celebrazione di una nascita, adorazione nel Tempio e riconoscimento che la promessa di Dio si è realizzata. La celebrazione nel Tempio non rappresenta un’intrusione nella loro vita, ma la realizzazione della loro fede. Maria e Giuseppe vivevano in un contesto di alleanza e volevano introdurre loro figlio nello stesso ambiente. Simeone e Anna, sensibili alla presenza di Dio negli eventi del passato d’Israele, rispondono all’ubbidienza di Giuseppe e Maria con parole di benedizione. Questa loro benedizione ha dato alla celebrazione della presentazione del bambino un significato che altrimenti non avrebbe mai avuto. Immaginiamo che Maria e Giuseppe abbiano sempre ricordato questa benedizione, segno di un Dio che è in mezzo a noi, ma questo rimane mistero indicibile. Gesù è un Dio che è venuto nella storia per darci la gioia, ma rimane in attesa della nostra intimità e speranza. 35 D ONNE CHIESA MOND O ARTISTE Dipingere come pregare di ANNA FOA a donna in preghiera ha il capo coperto da un velo leggerissimo, le mani raccolte sul candelabro a nove braccia, un’hannukkiah. Ha appena acceso le candele e sta mormorando la benedizione, tutta avvolta tra le mani a coppa e il capo velato. È un quadro, uno dei primi da lei dipinti, di Antonietta Raphael Mafai, che raffigura sua madre. In un altro quadro, del 1931, dipinto a Londra, vediamo uno Yom Kippur in sinagoga. È fitto di teste di ebrei in preghiera, e sullo sfondo una figurina «molto mistica», come lei stessa racconta in una lettera al marito Mario Mafai, quasi la tela godesse di una sua autonomia e si dipingesse da sé. Sono quadri carichi di silenzio, di raccoglimento, di preghiera. Quadri densi di misticismo, potremmo definirli. Eppure, Antonietta era lungi dall’essere una mistica o anche soltanto una donna religiosa. Già la pittura era di per sé una trasgressione per una ebrea, come lo era per Chagall, di cui Antonietta era stata definita dal critico Roberto Longhi «una sorellina di latte». Ma la pittrice aveva avuto una vita intensa e turbinosa, carica degli stessi colori che usava nelle sue tele straordinarie. L D ONNE CHIESA MOND O 36 Era nata a Ekaterinoslav, una città dell’Ucraina russa situata a nord del Mar Nero, nel 1895. Era figlia di un rabbino e da parte di madre discendeva da un’importante famiglia rabbinica di Vilnius, di origini sefardite. Sua madre, Kaia, era una donna forte. Nel 1905, dopo la morte del marito, si trasferì a Londra dove già vivevano i suoi figli maggiori, portando con sé la piccola Antonietta. Dallo shtetl russo a Londra il salto non fu da poco. Antonietta, che aveva dieci anni al momento dell’arrivo a Londra, scelse di studiare musica, diplomandosi in violino e pianoforte. Aveva davanti a sé una promettente carriera, che però fu troncata da un blocco nervoso che le impediva di esibirsi in pubblico. Cambiò modalità artistica e iniziò a frequentare il mondo culturale londinese, diventando amica di pittori e scultori, ed entrando perfino a far parte di una piccola compagnia teatrale. Nel 1922, la morte della madre la spinse ad abbandonare Londra. Voleva girare il mondo, prima la Francia, poi Roma, dove però si fermerà. Qui conobbe un giovane pittore romano, più giovane di lei di sette anni, Mario Mafai. Fu l’inizio di una storia di amore, passione e rotture che segnerà per sempre la vita di entrambi. Nascono tre figlie, la prima Myriam poi Simona e poi Giulia. In un bel libro di memorie di Giulia ritroviamo la vita turbinosa ma anche severa della famiglia, con Antonietta che ne rappresentava il motore, Mario sempre un po’ defilato anche se legatissimo alle figlie, e le ragazze strette da un rapporto intensissimo a quella madre tanto fuori dal comune, che le dipinge in mille forme e che era tuttavia anche capace di abbandonarle un poco. «Per anni ho creduto che fosse unica, diversa da tutte le madri, da tutte le donne che 37 D ONNE CHIESA MOND O avessi incontrato», scrive di lei Giulia nel suo libro La ragazza con il violino. Mario si afferma, Antonietta anche, sia pure in maniera meno “canonica”. Formano, insieme con Scipione, quella che è stata definita come la scuola romana di via Cavour. Ma presto Antonietta, per non far concorrenza a Mario ma forse anche per differenziarsi maggiormente, si volge verso la scultura. Vanno a Parigi, poi Antonietta va da sola a Londra e vi resta per alcuni anni. Vi ritrova gli amici di un tempo, studia scultura, riprende possesso di se stessa. Quando ritorna, impianta un suo studio a piazza Indipendenza. Come scultrice ha bisogno di spazio, le sue sculture sono grandi, devono respirare. Sono gli anni della Fuga da Sodoma, del Narciso. Resta anomala nel panorama artistico italiano, e «Fiori» (1966) nella pagina precedente: «Autoritratto col violino» (1928) D ONNE CHIESA MOND O 38 troverà la sua affermazione solo negli anni cinquanta, quando diventerà un’artista nota e affermata. Le leggi razziali vedono l’intera famiglia rifugiarsi a Genova: Antonietta è ebrea, le figlie sono miste e non battezzate. Ma dopo il 25 luglio tornano a Roma, credendo che tutto sia finito. Durante i mesi dell’occupazione sono a Roma, più o meno nascosti, protetti dalla loro incoscienza più che dalle misure di sicurezza prese. Tutti sapevano che erano là, la loro casa era sempre affollata di amici e partigiani. Sopravvivono, e la vita riprende, tutta dedicata all’arte, in quella straordinaria Roma del dopoguerra percorsa da fermenti culturali vivacissimi, povera e vitale. Mario muore nel 1965, Antonietta gli sopravvive di dieci anni, continuando a scolpire, viaggiando, manifestando fino alla fine la sua incredibile vitalità. Va in Sicilia, da sola, e viene scambiata per una matta fuggita dal manicomio. Va in Cina, e sviene dall’emozione vedendo l’alba nascere sulla Grande Muraglia. Era una pittrice diversa dalle altre pittrici italiane, anche da quelle ebree. La forza del mondo ebraico dell’Europa orientale, quello appunto reso immortale dalla pittura di Chagall, erompeva nei suoi dipinti. La ragazza con il violino, il violino appunto, lo strumento che gli ebrei preferiscono, secondo la vecchia barzelletta: «Perché? Hai mai provato a fuggire portando un pianoforte sulle spalle?». E poi, l’afflato mistico, che ci ricorda i chassidim con i loro riccioli, gli abiti scuri dei rabbini dell’Est. Nulla nella sua vita ci parla di un’Antonietta religiosa secondo le norme dell’ebraismo, ma tutto nella sua pittura e nella sua arte ci parlano di un’ebrea pienamente e totalmente tale, che non va forse in sinagoga a Kippur per pregarvi ma che vi va per osservare pregare gli altri e dissezionarne l’anima. Era anche questo, per la discendente di dinastie di rabbini, un modo per legarsi alla sua lunga storia. Per pregare, sia pure, come in tutto quello che faceva, in modo diverso dagli altri. MEDITAZIONE a cura delle sorelle di Bose Ci salverà solo l’amore donato Q MATTEO 25, 31-47 uesta è l’ultima predicazione di Gesù prima della sua Passione, ci parla dell’amore per il prossimo come di un tutt’uno con l’amore per il Signore. A chi vuole seguirlo per vivere con lui Gesù dice, con una sorta di parabola, dove incontrarlo nel lungo tempo della storia in attesa del suo ritorno. Jan Provoost, «Giudizio finale» (1505) nella pagina successiva: Kandinsky (1912, particolare) Quando il Figlio dell’uomo verrà, giudicherà ognuno sull’amore prestato al prossimo bisognoso. Non saremo giudicati su null’altro. Non sulla fede, non sulla speranza, tanto meno sull’appartenenza religiosa, ma solo sull’unico e molteplice frutto cui è ordinata tutta la Rivelazione: sull’amore, sul nostro farci prossimi a chi è nel bisogno. E il bisogno che affligge la povertà, così come l’amore che lo soccorre, è narrato in modo preciso e concreto, e viene ripetuto nel testo con 39 D ONNE CHIESA MOND O la storia e oltre, tra il corpo umiliato delle persone povere e quello del Signore, tra il suo volto e il loro volto. Sono loro le membra del suo corpo. Ed è con queste parole profetiche che Gesù rende per sempre i poveri e gli ultimi la presenza più preziosa e la più esigente per discepoli e discepole, magistero quotidiano per aver parte con lui in questo mondo e in quello futuro. La risposta verso chi è in condizioni di debolezza diventa il criterio per discernere in noi stessi e nella Chiesa e nel mondo ogni progetto e gesto di empietà, perché l’empietà, che è idolatria, ha sempre, come cuore e frutto, l’indifferenza e l’odio per le persone deboli, povere, straniere, sempre giudicate irrilevanti. insistenza martellante, a indicare che agli occhi di Dio è questa la cosa seria della storia e del mondo: la fame delle persone affamate, la sete delle assetate, la multiforme povertà e umiliazione delle persone straniere, il freddo e la vergogna e l’isolamento di quelle nude, carcerate, malate, abbandonate. In tutta la Scrittura questa miseria dolorosa è il grido incessante che il Signore ode salire dalla terra, come udì il grido muto del sangue di Abele, il grido da Sodoma dove l’ospitalità veniva tradita e gli stranieri usati, il grido della sete di Ismaele, della disperazione di Agar, il grido dall’Egitto, dove Israele era schiacciato dalla schiavitù. E poiché questo grido d’angoscia non ha smesso mai di salire al cielo, il Signore ci ha visitati venendo in mezzo a noi umano e povero nell’uomo Gesù, esposto al patire come noi. E il Figlio dell’uomo è annunciato nell’atto di rivelare chi lo ha amato, perché è l’incarnazione del Dio compassionevole e il Servo del Signore che patisce e porta su di sé come suo proprio strazio e tribolazione e piaga il dolore di tutti gli esseri umani sofferenti, fino a identificarsi con loro. Oggi ci è rivelata la piena coincidenza, nel- D ONNE CHIESA MOND O 40 Le Scritture ci attestano che il diritto del Signore nostro Dio coincide col diritto del nostro prossimo nel bisogno, perché è il Signore stesso che attende nella persona dei poveri il nostro soccorso, la condivisione di ciò che siamo e abbiamo. Così chi umilia e ignora una persona povera, umilia e ignora il Signore. Il Signore dà la propria voce e il proprio volto ai poveri di tutta la storia, e svela la beatitudine di chi lo ha soccorso e l’infelicità di chi non lo ha soccorso. Fa molta impressione che qui neppure siano nominate le violenze e le angherie che noi umani sappiamo infliggere alle persone più deboli di noi e che la Bibbia ben conosce. Qui basta l’omissione di soccorso per essere rivelati malvagi e del tutto estranei al Signore. In quel giorno nessuno dirà la povertà che ha patito, il suo bisogno tormentoso: perché di tutto questo dolore si farà voce il Signore rivelandolo come suo dolore, come il dolore di Dio. Ma ognuno sarà riconosciuto sull’attenzione e la risposta, offerta o negata, al dolore del suo prossimo, alla fame, alla sete, alla nudità e alla vergogna, all’isolamento e all’umiliazione, all’afflizione patite dal suo prossimo. Ancora una volta Gesù ci insegna che non il nostro dolore ci salva, ma sempre e soltanto l’amore.