2/8 settembre 2012

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2/8 settembre 2012
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NUMERO 10, 2 — 9 SETTEMBRE 2012
B l o Gl o b a l
We e k l y
RASSEGNA DI BLOGLOBAL — BLOG DI POLITICA INTERNAZIONALE
MONDO
ANGOLA - Si sono svolte lo scorso 31 agosto in Angola le elezioni generali per eleggere i membri dell’Assemblea Nazionale e il
nuovo Presidente della Repubblica. Come da pronostico, José Eduardo Dos Santos – in carica dal 1979 e leader dell'Mpla – è
stato riconfermato Capo dello Stato africano con il 74,46% dei voti favorevoli secondo i dati divulgati dalla commissione elettorale
nazionale. Alta, tuttavia, la percentuale degli astenuti (che ha sfiorato il 40%) e numerose le accuse di brogli che sono state avanzate da parte delle opposizioni, in particolare da Isaias Samakuva, sfidante di Dos Santos e leader di UNITA. Questa è la terza
consultazione elettorale dall’indipendenza dal Portogallo avvenuta nel 1975. Già nel 1992, le contestazioni post-elettorali fecero
ripiombare il Paese nella guerra civile conclusasi poi solo nel 2002. L’Angola ancora oggi può essere così considerato come
l’emblema delle contraddizioni di un intero continente: dalla fine della guerra civile, è stato il Paese africano con le migliori perfomance di crescita – dal 2004 al 2008, secondo l’Economist Intelligence Unit, il PIL di Luanda è cresciuto del 10,5% –, è
divenuto il secondo produttore di petrolio nell’Africa sub-sahariana dopo la Nigeria e ha stretto una fortissima partnership economico-commerciale con la Cina – l’interscambio nel 2010 ha raggiunto i 24,8 miliardi di dollari –; nonostante
tale ricchezza, la maggioranza della popolazione vive con meno di due dollari al giorno, l’87% della popolazione urbana vive in
condizioni disagiate e spesso senza accesso a servizi igienici ed idrici. Inoltre, la mancata ed equa ripartizione dei proventi del
petrolio, nel lungo periodo, potrebbe minare la fragile stabilità del Paese un pò come avvenuto nel 2010-2011 in Algeria.
CAUCASO - Riesplodono le tensioni tra Armenia e Azerbaijan a seguito dell’estradizione di Ramil Safarov nel suo Paese natale,
l’Azerbaijan. Nel 2006, l’ufficiale azero Safarov è stato condannato per l’uccisione (avvenuta due anni prima) del collega armeno
Gurgen Margarian, mentre i due frequentavano a Budapest un corso di inglese organizzato in un'accademia militare dalla NATO.
Lo scorso 31 agosto il governo ungherese ha concesso l'estradizione a Safarov, che ha immediatamente fatto ritorno a Baku. Il
Presidente della repubblica azera Ilham Aliyev non solo ha “perdonato” il militare, ma lo ha anche promosso di grado (maggiore
dell’esercito) e dichiarato “eroe nazionale”. Le reazioni di Jerevan sono state immediate e molto dure. Per voce del suo Presidente, Serzh Sargsyan, l’Armenia ha minacciato l’entrata in guerra contro l’Azerbaijan se non giungeranno delle pronte scuse per
l’omicidio del cittadino armeno, ma soprattutto se l’ufficiale non sconterà la sua pena detentiva. L’Armenia ha inoltre prontamente
interrotto le sue relazioni diplomatiche con l’Ungheria, rea di essersi prestata al gioco azero. Dietro all’estradizione del militare
azero si nasconderebbe un possibile scambio di favori politici: infatti, secondo alcune indiscrezioni giornalistiche ungheresi, riprese anche dalla BBC, in cambio del rimpatrio di Safarov, Baku acquisterebbe bond del tesoro ungherese per un valore tra i 2 e i 3
miliardi di euro, più che dimezzando quindi i titoli del debito sovrano magiaro da piazzare sul mercato entro il 2012. Russia, Stati
Uniti ed Unione Europea hanno prontamente condannato l’accaduto, auspicando una piena responsabilità da ambo le parti. Anche il Segretario Generale della NATO, Anders Fogh Rasmussen, ha censurato l’episodio e ha approfittato del viaggio-missione
nel Caucaso per avere chiarimenti dai rispettivi governi e per fare un punto della situazione sulle tensioni regionali. Il “caso Safarov” nasconde inimicizie secolari tra i due Paesi dovute anche all’irrisolta questione del Nagorno-Karabakh, l’enclave armena in
territorio azero contesa da circa vent’anni.
EUROPA - Invocato dai mercati, promesso dai vertici dell'Eurotower, il big bazooka che dovrebbe stroncare la crisi finanziaria
nell'eurozona è finalmente realtà: l'Outright Market Transactions (OMT) è frutto della perseveranza del Presidente della BCE
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Mario Draghi, che già ad agosto aveva assicurato un impegno totale del suo istituto per garantire l'irreversibilità della moneta
unica. L'OMT consisterà in un piano di acquisto, illimitato nella sua portata, di titoli di Stato con scadenza tra 1 e 3 anni dei Paesi
dell'area euro. L'acquisto avverrà sul mercato secondario, non comportando così distorsioni nella base monetaria, e la BCE si
impegna ad accettare in garanzia titoli senza un limite minimo di rating e denominati anche in valute differenti. L'istituto di Francoforte non si classificherà inolte creditore senior, e pertanto in caso di insolvenza non agirà come creditore privilegiato. É importante sottolineare come l'intervento della Banca Centrale sui titoli di un singolo Stato sia subordinato alla stipulazione di un piano
di stabilizzazione macroeconomica da stabilire con il Fondo Salva-Stati Efsf e, una volta attivo, con l'European Stability Mechanism (ESM). La BCE interviene così con i suoi migliori strumenti finanziari per scongiurare l'aggravarsi della crisi dei debiti sovrani, ormai trasferitasi nel circuito del credito all'economia reale, producendo un immediato rialzo dei listini europei nonché una
forte riduzione degli spreads in Italia e Spagna. Da Bruxelles, intanto, sembra avvicinarsi un rafforzamento del mandato dell'Eurotower: è infatti allo studio della Commissione una bozza di regolamento che dovrebbe regolamentare il passaggio alla BCE delle
funzioni di vigilanza sul sistema bancario, ora affidato al Sistema europeo delle banche centrali nazionali.
ITALIA I - Nel corso dell’incontro bilaterale tra Italia e Francia svoltosi a Roma ad inizio settimana, il Presidente del Consiglio italiano Mario Monti e il Presidente francese François Hollande hanno riaffermato la propria unità di intenti di fronte ai prossimi impegni
europei. Il capo del governo italiano ha evidenziato la sinergia e l’unità di intenti che hanno legato i due Paesi fin dall’elezione di
Hollande. L’obiettivo di entrambi, ha detto Monti, sarebbe stato da sempre quello di spingere l’Europa nella direzione della crescita. Dall’uscita di scena di Sarkozy, il legame tra Italia e Francia è andato crescendo di intensità e profondità, isolando la Germania
come avvenuto nel corso dell’ultimo Consiglio Europeo, quello di fine giugno. La solidità dell’asse Roma-Parigi, con le possibili
triangolazioni con Madrid, saranno messe alla prova nel corso dei prossimi mesi, quando dovranno essere implementati gli accordi politici raggiunti in estate, su tutti quello sullo scudo anti-spread.
ITALIA II - E’ in corso la missione diplomatica del Ministro degli Esteri italiano, Giulio Terzi di Sant'Agata, in Medio Oriente. Israele,
i Territori Occupati Palestinesi, l'Egitto e Cipro sono state le tappe appositamente scelte con l'obiettivo non solo di rinsaldare partenariati e cooperazioni, ma anche di discutere i principali temi politici internazionali: equilibri regionali, stallo del processo di pace
israelo-palistinese, minacce iraniane e crisi siriana. Proprio questi ultimi due temi sono stati il principale oggetto di discussione in
Israele con il Presidente Shimon Peres, il Premier Benyamin Netanyahu e il collega Avigdor Lieberman. Con’occasione sono state buttate le basi per un rafforzamento della cooperazione economica, culturale e tecnologica con Tel Aviv. La visita di Terzi segue quella dello scorso aprile del Presidente del Consiglio Mario Monti nello Stato ebraico. Nella giornata del 6 settembre, invece,
il titolare della Farnesina si è recato a Ramallah dove ha avuto un colloquio con il Primo Ministro Salam Fayyad e il Ministro degli
Esteri Riad Maliki (assente, invece, il Presidente dell'ANP Abu Mazen, impegnato in un viaggio all'estero) e con i quali ha discusso del rilancio del processo di pace con Israele, ormai paralizzato da mesi, e della cooperazione e dello sviluppo economico dei
Territori. Nella giornata del 7, Giulio Terzi è ritornato nuovamente al Cairo dove, dopo la visita ufficiale di luglio, ha incontrato il
neo Presidente Mohammed Mursi e il Segretario della Lega Araba Nabil al-Arabi. Al colloquio, inoltre, hanno preso parte anche i
Ministri degli Esteri di Grecia, Cipro e Malta, rispettivamente Dimitrios Avramopoulos, Erato Kozakuo-Marcoullis e Tonio Borg, con
i quali si è discusso del processo di democratizzazione dell’Egitto, del suo nuovo corso in politica estera e delle sue relazioni attuali e future con i Paesi del Mediterraneo. La missione di Terzi terminerà a Cipro, Paese che detiene la Presidenza di turno
dell'UE, con la partecipazione alla riunione informale dei Ministri degli Esteri dei 27 per parlare innanzitutto della crisi siriana.
RUSSIA - Si riuniranno in queste ore i Capi di Stato e di Governo del forum di Cooperazione Economica Asia-Pacifico (APEC), che
riunisce 21 tra le principali economie della regione, tra le quali Stati Uniti d’America, Cina, Giappone, Corea del Sud, Russia, Messico e Indonesia. Oltre che per discutere di questioni generali relative alla situazione economica globale e più specifica della macroregione, l’incontro che per la prima volta si svolge sul territorio della Federazione Russa darà visibilità al ruolo strategico giocato dal Paese. Il rieletto presidente russo Vladimir Putin ha infatti dichiarato in una recente intervista al Wall Street Journal,
l’importanza dell’organizzazione e del dialogo con i 20 partner macroregionali per la realizzazione dei propri progetti di ricollocazione geopolitica del Paese, che intende realizzare attraverso significativi investimenti infrastrutturali nelle province russe più orientali per il trasporto di merci e prodotti energetici ai partner del Pacifico.
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USA I - Mentre il Vice Presidente degli USA, Joe Biden, era impegnato a Baghdad a discutere dei futuri sviluppi della sicurezza in
Iraq e nell’area del Golfo, il Segretario di Stato Hillary Clinton, ancora fresca del tour africano di agosto, è sbarcata in Asia per
dare un’ultima impronta prima delle elezioni di novembre alla politica estera statunitense nella regione dell’Asia-Pacifico, perno
delle attuali e prossime strategie internazionali di Washington. Una missione diplomatica di 11 giorni iniziata nelle Isole Cook e in
Indonesia e finita in queste ore a Vladivostok (Russia Orientale) all'annuale incontro dei leader del Forum per la cooperazione
economica dell'Asia-Pacifico (APEC), passando per il Brunei e Timor Est - Paese dove per la prima volta si è recato in visita un
Segretario di Stato americano - con lo scopo di rafforzare le dimensioni economico-commerciale e politica con i Paesi membri
dell'Associazione delle Nazioni dell'Asia Sud-Orientale (ASEAN), che costituiscono allo stesso tempo una delle gambe portanti
della politica estera cinese. Nonostante l’ex first lady, infatti, nella due-giorni a Pechino abbia dichiarato che gli Stati Uniti non
vogliono contrapporsi a nessuno, essa stessa ha lasciato intendere piuttosto chiaramente che Washington non rinuncerà tanto
facilmente a difendere i propri interessi strategici. A contribuire a raffreddare l’incontro è stato anche l’improvviso forfait - di cui
non è dato ancora sapere il motivo - del Vice Presidente Xi Jinping, supposto erede di Hu Jintao nel prossimo congresso di ottobre del PCC. Proprio con quest’ultimo, insieme al Premier Wen Jiabao e al Ministro degli Esteri Yang Jiechi, la Clinton ha discusso di alcune delle questioni più calde del momento: crisi siriana, nucleare iraniano e nordcoreano e tensioni nel Mar Cinese Meridionale. Con riferimento proprio a queste ultime, e dunque alle controversie territoriali che coinvolgono le Isole Spratly, Paracel e
Senkaku - al di sotto delle quali è stimato ci siano enormi giacimenti di gas, oltre a costituire una delle rotte commerciali più importanti del mondo -, la Clinton ha auspicato l’applicazione di una codice di condotta comune stilato su base multilaterale, al quale la
Cina ha controbattuto criticando i tentativi di ingerenza statunitensi, che mettono in pericolo la pace e la stabilità regionale. Poco
soddisfacenti anche le discussioni sulla guerra civile in Siria: nonostante le feroci critiche sulla brutalità del regime di Assad e sulla pericolosità di questo sugli interi equilibri regionali mediorientali, Yang non ha abbandonato la linea di condotta degli ultimi mesi
e ha ribadito che Pechino non sostiene nessun individuo o partito in particolare, sostenendo al contrario pienamente la mediazione del nuovo inviato dell'ONU Lakhdar Brahimi. Una stagione diplomatica, insomma, non irta di difficoltà e sfide, ma che è lecito
supporre non sfocerà - almeno per il momento - in crisi acute. Anzi, proprio i prossimi passaggi nelle vite politiche di entrambi i
Paesi, la chiara percezione di essere essi stessi l’asse su cui si giocheranno gli equilibri (anche economico-finanziari) di questo
secolo e il timore dettato dalla costante crescita militare regionale, condurranno i due Paesi a perseverare il più possibile sulla
strada del dialogo.
USA II - Dalla tarda serata di giovedì, Barack Obama è ufficialmente il candidato democratico per la corsa alla rielezione alla Casa
Bianca. Il Presidente uscente ha infatti accettato la nomination da parte della convention dei Democrats, tenutasi a Charlotte in
North Carolina. Il discorso di investitura ha delineato tappe ben precise per ambire all'ambizioso progetto di ricostruzione della
middle-class americana. Dall'uccisione di Osama Bin Laden all'approvazione di Obamacare, Barack Obama ha fatto leva sui suoi
progetti per lanciare un progetto che ambisce "a non lasciare indietro i settori più deboli della società". Ha attaccato la presunta
incompetenza di Romney in politica estera, rivendicato i passi avanti nell'accesso ai principali servizi sociali e, infine, presentato in
cinque punti il suo piano per ricostruire il sogno americano: riduzione del deficit per almeno 4 trilioni di dollari, un milione di posti
di lavoro in più nel settore manifatturiero, investimenti nell'istruzione e nelle energia grazie ai risparmi nella difesa, riduzione della
dipendenza energetica tramite la diminuzione delle importazioni di petrolio. Ferme restando le difficoltà di giustificare un quadro
economico lontano da una solida ripresa, il Presidente sembra aver prevalso nel confronto a distanza con Romney. Preziosi sono
stati il prestigioso endorsement dell'ex Presidente Bill Clinton, nonché le brillanti performance della moglie Michelle e del sindaco
di San Antonio Julian Castro. La prima ha offerto l'immagine di un quadro familiare compatto pur dai caratteri innovativi ed ironici,
il secondo ha fatto breccia nel pubblico grazie ad un discorso carismatico e chiaramente improntato a legittimare le aspirazioni
degli immigrati e dei latinos al sogno americano.
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ANALISI
PAUL RYAN, L’UOMO NUOVO DEL SOGNO AMERICANO
di Davide Piacenza - 3 settembre 2012
L’11 agosto scorso Mitt Romney ha scelto il secondo componente del “ticket” repubblicano che correrà per la Casa Bianca, tentando, il prossimo 6 novembre, di impedire la rielezione del Presidente Barack Obama: si tratta di Paul Ryan, 42enne deputato
del Wisconsin a capo dell’organismo parlamentare che controlla le leggi sulla spesa statale, l’House Budget Committee. Proprio
in virtù di tale ruolo, negli ultimi due anni di lavoro al Congresso Ryan si era distinto per aver promosso e difeso la proposta di
spesa repubblicana, The Path to Prosperity (ma spesso indicata, specialmente sui media, semplicemente con Ryan’s
plan o Ryan’s proposal). In queste bozze di riforma si potevano riscontrare in maniera definita alcuni dei cardini del Tea party, a
cui il giovane politico è indissolubilmente legato: tagli corposi alla spesa pubblica (del 12.5% per quanto riguarda l’anno fiscale
2012, precisamente), sensibile diminuzione della pressione fiscale (con eliminazione sia delle imposte sui profitti generati
all’estero che di sussidi e deduzioni), abolizione della riforma della sanità del 2010, stimolo dell’imprenditoria e della finanza.
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LA PARTITA DECISIVA PER IL POTERE A TEHRAN
di Alberto Gasparetto - 5 settembre 2012
Quando manca ormai poco più di un semestre alle elezioni presidenziali, il sistema politico della Repubblica Islamica vede sempre più marcata la polarizzazione fra le due principali forze di regime, quella facente capo alla Guida della Rivoluzione Ali Khamenei e quella stretta attorno al Presidente Mahmoud Ahmadinejad. La tornata elettorale per rinnovare i 290 deputati
del Majlis (Parlamento) della scorsa primavera ha confermato la vis preponderante della fazione principalista di Khamenei, che
ormai controlla tutte le istituzioni fondamentali del Paese. Un dominio che non sta più solo sulla carta (la Costituzione emendata
nel 1989 assegna già alla Guida le prerogative più estese), ma che è potere di fatto. La Repubblica Islamica è un singolarissimo
animale politico che vede al suo interno la convivenza di istituzioni che fanno appello a due differenti tipi di legittimità: [continua a
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LE VIGNETTE DI BLOGLOBAL
di Luigi Porceddu
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