Edizione # 8 Agosto 2012 Italiano

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OBAMA VERSO LA FINE DEL PRIMO MANDATO
Considerevole attenzione viene posta da parte del Presidente Obama, in questi ultimi mesi del suo
primo mandato, ai Paesi dell'Eurozona e ai connessi sviluppi della crisi economico-finanziaria
europea i cui contraccolpi inevitabilmente si fanno sentire anche sul sistema finanziario degli Stati
Uniti, in un periodo in cui Obama e' impossibilitato ad agire, preso dagli impegni prioritari della
campagna elettorale del 6 novembre prossimo ( per il secondo mandato ) ed anche per la scarsa
operativita' in questo periodo finale dei membri del Congresso e di quelli della Casa Bianca; a
questo punto infatti il Presidente e' definito con l'appellativo di "lame duck" (anatra zoppa).
Il contagio
L' attenzione scaturisce dal possibile contagio tra i due sistemi - europeo e statunitense - in una
situazione politica peggiorata per gli USA, a partire dal novembre 2010, quando la maggioranza alla
Camera dei Rappresentanti e' passata dai democratici ai repubblicani; le compagnie di rating infatti,
gia' intervenute negativamente contro due dei principali istituti bancari americani (Bank of America
e Citygroup), sono pronte a fare altrettanto per altri tre istituti (JP Morgan Chase, Morgan Stanley e
Goldman Sachs) con le conseguenze che ne derivano sui prestiti (aumento dei tassi) e sulla liquidita'
delle banche (prosciugamento di tale liquidita').
In tale contesto l'Eurozona e' diventata per gli Stati Uniti l'epicentro di tutti i mali, anche se trattasi
di una vicenda globale, una "deregulation finanziaria" attraverso lo sfoltimento di vincoli
amministrativi e legali che ha:
esaltato la mobilita' dei capitali,
accresciuto il potere delle banche nei confronti della politica,
comportato "bolle speculative" nei Paesi sviluppati (Stati Uniti, Europa e Giappone),
a partire dall'affermazione della Cina, 25 anni fa, nell'economia globale, con gravi conseguenze
sociali (aumento delle disuguaglianze, impoverimento del ceto medio e indebolimento delle
democrazie) ed economiche (soprattutto l'aumento del peso del denaro, come testimoniano la
situazione degli Stati Uniti e quella dell'Italia).
La minaccia del "contagio" ha portato in primo piano il Presidente Obama nei vertici internazionali
che hanno preceduto quello europeo (specifico per la crisi finanziaria) di Bruxelles del 28-29
giugno scorso: Barack Obama, in vista di questo Vertice, ha chiesto ai Paesi europei azioni decisive
per interrompere la spirale negativa che lega i debiti delle banche a quelli "sovrani" degli Stati e una
maggiore flessibilita' per allungare il piano di rientro della Grecia, mandando cosi' un segnale
robusto ai mercati nonostante la resistenza della Germania (opposizione agli Eurobond).
Nonostante il voto pro-Europa della Grecia, non si sono registrati a Bruxelles il 29 giugno scorso
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risultati eclatanti, ma un minimo di obiettivi da completare con opportune normative per evitare
l'estendersi della recessione e ulteriori rischi per l'euro: sicuramente risultati di conforto per il
Presidente Obama!
Circolo vizioso
Merita considerazione tuttavia il primo passo per separare la crisi delle banche da quella dei debiti
sovrani, attraverso le seguenti linee guida dei due fondi salva-stati (lo scudo anti-spread):
- l'ESM ("European Stability Mechanism" che subentrera' all'ESFS-"European Financial Stability
Facility") potra' intervenire direttamente per l'emissione di titoli di stato che la Banca Centrale
Europea-BCE mentre l'ESFS potra' comprare solamente sul mercato secondario: e' cosi' che un
Paese in difficolta' potra' finanziarsi attraverso una procedura formale (memorandum d'intesa), e
non piu' alle condizioni del mercato, specie quando i tassi sono troppo alti;
- non si parla piu' della troika (FMI, Commissione Europea, BCE) ma della doika (Commissione
Europea, BCE);
- il fondo di dotazione e' di 80 mld di euro con possibilita' di finanziarsi fino a 500 mld, in parte gia'
impegnati (100 mld per la ricapitalizzazione delle banche spagnole; 100 mld per Irlanda e
Portogallo, piu' alcune richieste di Cipro e della Slovenia, rispettivamente 10 e 5 mld);
- sul mercato primario saranno possibili acquisti di titoli solo alle condizioni poste dalla
Commissione Europea;
- da considerare che l'interruzione del circolo negativo in questione sara' condizionata
dall'istituzione di un "meccanismo di vigilanza unico" che, unitamente ai fondi integrati e agli altri
provvedimenti per il settore bancario, rappresenta un elemento fondamentale per l'Unione Bancaria
Europea cui s'intende dar corso ai fini del completamento dell'Unione Monetaria Europea e
dell'Unione Economica Europea, gia' esistenti;
- l'Italia, a detta del Primo Ministro Monti, non attivera' il meccanismo di stabilita' in questione in
quanto e' da ritenere in una situazione diversa da quella di Grecia e Portogallo.
Occorre a questo punto procedere alla definizione della relativa normativa di applicazione degli
strumenti elaborati nel corso di successivi incontri dei Ministri competenti, come e' anche atteso
dagli osservatori USA; a tutto questo far seguire, in una logica scolastica, i non trascurabili "compiti
a casa": la revisione delle spese ( "spending review"), la riforma del mercato del lavoro
(inaccettabile per l'Italia il tasso di disoccupazione giovanile al 36%) e la disciplina fiscale.
In sintesi, gli osservatori USA prendono con il beneficio dell'inventario le decisioni del Vertice di
Bruxelles, evidenziando preoccupazioni per i seguenti aspetti:
- chiusura della Germania nei confronti degli Eurobond (per la Cancelliera Merkel
significa "messa in comune" dei debiti sovrani a danno della Germania);
Eurobond
- dubbi sulla capacita' dei Paesi dell'Eurozona di recuperare il divario di competitivita' con la
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Germania senza fare ricorso alla svalutazione!
La politica interna
Sul piano interno, sono d'interesse due provvedimenti del Presidente Obama del giugno scorso,
riguardanti rispettivamente l'immigrazione e la riforma sanitaria. Il "Dream Act" e' la sanatoria per
800 mila immigrati illegali i quali sono stati "regolarizzati" per un periodo di due anni da un decreto
che prende in considerazione l'eta' degli interessati e la permanenza degli stessi negli USA (non aver
superato il trentesimo anno; essere arrivati negli Stati Uniti prima del compimento del sedicesimo
anno), la condotta civile e militare (aver studiato e aver svolto il servizio militare) e la buona
condotta (non essere incorsi in sanzioni penali).
Hanno beneficiato della sanatoria soprattutto immigrati " latinos" il cui apporto a favore del
Presidente Obama nella difficile campagna elettorale per il prossimo novembre sara' decisivo;
peraltro i latinos sono in crescita negli Stati in bilico ai fini del risultato elettorale: Florida,
Colorado, Virginia, Nevada. Anche se la retorica rilancia il criterio "gli immigrati rubano posti di
lavoro", Obama intende lanciare un segnale forte agli elettori in quanto "non e' saggio espellere
persone di cui si ha bisogno"; e questo anche se, nel corso del suo primo mandato, le espulsioni
siano raddoppiate rispetto al precedente periodo di George W. Bush.
Il secondo provvedimento riguarda la "Riforma Sanitaria" che, con un sorprendente risultato
(cinque voti a favore, quattro contrari), ha determinato l'approvazione della legge da parte della
Corte Suprema costituita da cinque giudici "conservatori", nominati cioe' da Presidenti
"repubblicani", e quattro giudici "democratici", nominati da Presidenti "democratici". La sorpresa e'
venuta proprio dal Presidente della Corte Suprema John Roberts, nominato a suo tempo da Bush ,il
quale si e' schierato nella circostanza con la "minoranza democratica", consentendo l'approvazione
della legge.
Obama ha anche aggiunto che "nel Paese piu' ricco del mondo non e' possibile che la pre-esistenza
di una malattia oppure un sopravvenuto incidente costituisca un grave danno per una famiglia" ai
fini dell'assistenza sanitaria; questo in opposizione al principio di universalita' contenuto nel suo
impianto legislativo: e' da considerare che " giovani sani" si sottraggono alla spesa della polizza;
spesa che cosi' va a tutto carico della popolazione piu' a rischio.
La Corte Suprema ha anche bocciato le multe a carico degli stati che si rifiutano di estendere
l'assistenza medica ai poveri, il cosiddetto "Medicaid", allo scopo di rispettare l'autonomia degli
stati che stanno riducendo i contributi agli ospedali, sotto la pressione della crisi di bilancio.
Il provvedimento, in sintesi, risulta abbastanza impopolare: i piu' gli attribuiscono il rincaro delle
polizze (20% di rincaro contro l'inflazione di appena il 2%); dai sondaggi risulta che un terzo della
popolazione e' favorevole al provvedimento, un altro terzo e' contrario, il rimanente terzo ha idee
poco chiare in merito.
Obama comunque ne esce a testa alta anche se il successo alle prossime elezioni dipende da altri
fattori tanto piu' che la destra repubblicana e il "Tea Party" condividono il parere contrario dei
giudici della Corte Suprema (conservatori).
La politica estera
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In politica estera il Presidente Barack Obama crede in un'America che "non puo' risolvere tutti i
problemi del mondo", ma senza la quale "non si risolve nessun problema", mostra grande
determinazione contro Teheran per impedire la chiusura dello Stretto di Hormuz alle rotte
petrolifere, raddoppiando le navi militari e incrementando la flottiglia veloce nel Golfo.
Ed anche nei confronti del Pakistan, dopo un braccio di ferro durato sette mesi (dall'incidente di
novembre 2011 quando un raid aereo NATO provoco' la morte di 24 soldati pakistani) e' stato
raggiunto un riavvicinamento (se pure a seguito delle scuse di Hillary Clinton) tra i due Paesi e
soprattutto la ripresa del transito, attraverso il territorio pakistano, dei rifornimenti alle truppe
NATO in Afghanistan. A tale proposito la considerazione va al Segretario di Stato Clinton che,
dopo le incertezze iniziali, ha preso il "passo necessario" per affrontare le sfide dell'America che
allo stato attuale guarda maggiormente al Pacifico (in chiave anti-cinese) rispetto all'Atlantico, nella
proporzione, in termini di gravitazione, del 60 e 40% rispettivamente.
Nei confronti della Cina Hillary Clinton, nonostante l'ammirazione nei confronti di Pechino per gli
sviluppi del settore economico-finanziario, non nasconde la propria diffidenza per il trattamento
delle minoranze etnico-religiose, delle donne e dei "diritti civili" piu' in generale. Analogamente nei
confronti della Federazione Russa, non ha usato mezze parole contro le elezioni presidenziali
"truccate" del marzo scorso, contro la repressione liberticida, da parte del Presidente Putin, delle
pubbliche manifestazioni di dissenso e contro l'appoggio a Bashar al Assad che sta massacrando
l'opposizione al regime in Siria. Come pure, nel corso della visita a Kabul (8 luglio scorso), molto
autorevolmente la Segretario di Stato USA ha comunicato al Presidente Karzai che l'Afghanistan ha
meritato lo status di 15° Paese maggiore alleato degli Stati Uniti, non NATO.
Significativo altresi' il ritorno di un Segretario di Stato USA in Vietnam, dopo la riunificazione del
Paese il 2 luglio 1976 sotto Hanoi, la normalizzazione dei rapporti USA-Vietnam del 1995 e il
primo accordo di cooperazione militare dell'agosto 2011: lo scopo e' quello di riaprire basi militari
USA sia in Vietnam che in altri Paesi dell'ex Indocina, come l' "Airfield U-Tapao", 150 km a sud di
Bangkok (una pista di tre km), per ora "Centro di Pronto Intervento" contro lo tsunami.
A luglio scorso si e' registrata anche la prima visita ufficiale da parte degli Stati Uniti in Laos, dopo
l'ultima di Foster Dulles che risale al 1957, a conferma dell'interesse USA per i Paesi dell'ex
Indocina; il Paese fu pesantemente bombardato dagli USA per tagliare i rifornimenti dei
nordvietnamiti (Vietcong) che avanzavano, lungo la pista di Ho Chi Minh, verso Saigon; si parla di
due milioni di tonnellate di bombe e fra queste 270 mila tonnellate delle tristemente note "bombe a
grappolo", molte delle quali rimaste inesplose: ancora oggi causa di tanti lutti e mutilazioni! La
visita di Hillary Clinton, durata solo quattro ore, e' iniziata proprio da un istituto di beneficenza che
produce "protesi provvisorie" in legno di bambu' in attesa di quelle definitive, se mai ci saranno.
Il ciclo di visite di H.Clinton nell'ex Indocina si chiudera' in Cambogia dove e' in programma il
vertice dell'ASEAN - Associazione dei Paesi dell'Asia Sudorientale - con finalita' di cooperazione
politica, economica e sociale e per la realizzazione di una zona di libero scambio tra i Paesi membri
dell'AFTA – Asean Free Trade Area.
Quanto alla Siria, a seguito della Conferenza di pace di Ginevra (30 giugno scorso), promossa
dall'ex Segretario Generale Kofi Annan nella sua veste di inviato speciale dell'ONU e della Lega
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Araba, la visita di quest'ultimo a Damasco, Teheran e Bagdad, non ha avuto riscontri positivi, in
quanto:
- la proposta di coinvolgere l'Iran nella ricerca di una soluzione pacifica non e' stata accolta.
Teheran non appare in condizioni di svolgere un ruolo costruttivo;
- ne' e' stato preso in considerazione il nominativo di un esponente del regime siriano, quale
interlocutore, in vista di un eventuale "governo di transizione";
- Kofi Annan ha promosso altresi' l'invio di un "messaggio chiaro", da parte del Consiglio di
Sicurezza, alle parti in conflitto (governo di Damasco e opposizione) contenente "minaccia di serie
conseguenze, qualora non si dia corso a un cessate il fuoco" .
Non lasciano peraltro ben sperare sulla fine dell'ormai "guerra civile" in Siria, le dichiarazioni del
Ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov, in vista del summit del Consiglio di Sicurezza dell'ONU
e dell' arrivo a Mosca dell'inviato speciale Kofi Annan:
- un intervento militare "esterno" in Siria non e' realistico, dal momento che molti siriani sono
ancora a favore del regime;
- le "pretese radicali" dell'opposizione (il Consiglio Nazionale Siriano), sono inaccettabili: Lavrov
insiste su un ritiro simultaneo delle forze contrapposte.
Intanto le forze del Consiglio Nazionale si stanno avvicinando alla Capitale (e' in corso l'operazione
"Vulcano" da parte dell'opposizione armata) occupandone alcuni quartieri periferici e schierando
armi di copertura sui piani alti di alcuni edifici residenziali, dopo averne allontanato gli abitanti; nel
corso di un attentato ad opera di infiltrati, nel quartiere bunker di Rawda a Damasco il 18 luglio
scorso, sono morti il Ministro della Difesa Rajha e il suo Vice, il Generale Shawkat cognato del
Presidente Bashar al Assad.
Un nuovo "New Deal"?
In conclusione tornando agli Stati Uniti, siamo al periodo del "lame duck" per il Presidente in
carica. Vi e' una evidente difficolta' ad assumere/modificare decisioni prese in quest'ultimo periodo
a causa del confronto tra i due principali concorrenti all'election day del 6 novembre prossimo che
le previsioni definiscono un "testa a testa". Le previsioni per Barack Obama non sono rosee:
- la ripresa economica ha subito un sensibile rallentamento: un ulteriore peggioramento potrebbe
portare a un punto di non ritorno per Obama;
- il Presidente in carica incontra difficolta' ad acquisire il consenso degli "elettori bianchi" specie
dei non laureati; la classe operaia (base dell'elettorato democratico) comincia a votare per i
repubblicani da quando i democratici si dimostrano piu' impegnati per la causa dei "diritti civili" (le
ultime elezioni hanno fatto registrare un calo per i democratici dal 3 al 5% dei voti): tale fattore
potrebbe essere ancor piu' determinante nella contingenza attuale ( economia in forte calo);
- molti operai "bianchi" sono disposti a credere che la politica a favore dei "neri" si attui a danno dei
"bianchi", con sottrazione di posti di lavoro e con peggioramento dei servizi sociali.
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Sul fronte opposto, c'e' chi sostiene che Mitt Romney:
- esprima l'1% del Paese ovvero i ricchi, rispetto al 99% in serie difficolta' economiche, come
dimostrano i cartelli della propaganda, nel corso delle manifestazioni del movimento "Occupy Wall
Street";
- avrebbe incrementato le proprie fortune attraverso le Compagnie private "Equity" le quali,
acquistando societa' finanziarie in difficolta' e riorganizzandole, anche con licenziamenti di
personale, le rimettono sul mercato con considerevoli profitti;
- avrebbe beneficiato dei privilegi risalenti al mandato di G.Bush ( sgravi fiscali per guadagni non
considerati reddito; aumenti di capitale tassati solamente al 15%); il reddito di Mitt Romney del
2011, 22 milioni di dollari, e' stato tassato solamente al 14%.
Con riferimento a precedenti mandati presidenziali e a ben note dottrine economiche, sembra
possibile affermare che l'elettorato statunitense, votando il 6 novembre 2012 per Obama oppure per
Romney, scegliera' un sistema economico tipo "New Deal" (come ai tempi di Franklin Delano
Roosevelt) oppure di "austerity". Si ricorre pertanto all'economista John Mainard Keynes: "e' lo
Stato che in queste contingenze rilancia la crescita con programmi di investimento pubblico e con
provvedimenti di welfare state (pensioni pubbliche; maggiori diritti per i lavoratori e misure di
sicurezza contro la poverta')".
Sussiste tuttavia una differenza tra i due periodi di tempo a confronto:
- ai tempi di F.D. Roosevelt, la minaccia proveniva dalla Unione Sovietica;
- nell'era Obama, la minaccia, sotto forma di "contagio", arriva dall'Eurozona che Romney non esita
a definire "una societa' priva di dinamismo, oppressa da tasse e assistenzialismo".
E' il caso di aggiungere che Roosevelt ricorse a partire dal 1937 ad aggiustamenti successivi del
"New Deal" che portarono ad una nuova situazione di recessione dalla quale il Presidente venne
fuori con la "seconda guerra mondiale". Obama, a differenza di Roosevelt, non sembra disporre di
alternative; potrebbe tuttavia adeguarsi alla peggiorata situazione in atto (riduzione dei membri
"democratici" del Congresso e del consenso popolare) mobilitando investimenti privati a favore
della "green economy" e portando avanti la riforma del "welfare state".
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LE OPZIONI SULLA SIRIA
Le strade che potevano essere percorse nel condizionare e/o interferire nelle vicende siriane erano
essenzialmente due :
Opzione
1 : Un intervento militare – sul modello libico – a diretto sostegno delle forze di
opposizione (sostegno diretto) ;
Opzione
2 : Un sostegno delle milizie di ribelli con forniture di armi, sostegno addestrativo e
finanziario senza interventi diretti (sostegno indiretto).
Per quanto riguarda la prima opzione, ultimamente il Segretario di Stato USA, con il velato
sostegno turco, ha rilanciato l'idea dell'imposizione di una no-fly zone sui cieli siriani. Una scelta
che implicherebbe, per essere resa operante senza eccessivi rischi, la distruzione del sistema di
comando e controllo siriano e della sua difesa contraerea. Quindi una iniziativa difficile da attuare,
pericolosa sul piano pratico e facilmente sostituibile, come nei fatti avvenuto, con un maggior
intervento della C.I.A. a favore dei ribelli.
Comunque l'ostilita' della Russia (con supporto cinese) nell'ostacolare la prima opzione ha
determinato conseguentemente una convergenza internazionale sulla seconda. La prima opzione, ad
onor del vero, non e' stata scartata solo per assecondare le mire russe a sostenere acriticamente il
regime siriano, unico alleato storico di Mosca nella regione, maggiore cliente di armamenti e
soprattutto concessore della base militare di Tartous alla flotta russa. Vi erano anche altre
perplessita' da parte delle potenze occidentali: la paura di una maggiore destabilizzazione della
regione, il problema nucleare iraniano (che sarebbe passato – anche nelle opzioni militari – de facto,
in secondo piano), il destino dei cristiani (che sotto la dittatura degli Assad hanno sempre goduto di
un trattamento privilegiato), i timori di Tel Aviv di veder insorgere in Siria una nuova dirigenza
fondamentalista (rischio piu' che concreto dal momento che i maggiori oppositori del regime sono
stati storicamente i Fratelli Musulmani), l'esperienza pregressa libica dove l'appoggio ai ribelli si e'
tramutato in caos sociale ed instabilita', la circostanza che la Siria ha un apparato militare che
avrebbe richiesto un impegno molto gravoso ed un rischio molto alto in caso di attacco.
Tutto questo ha permesso al regime siriano di sopravvivere sinora puntando sull'appoggio russo (per
bloccare eventuali interferenze straniere) e sulla forza delle sue strutture militari e di sicurezza sul
piano interno. Ma tutte le opzioni, nell'ottica delle parti in causa, possono avere vantaggi ma anche
svantaggi.
Il primo svantaggio nel perseguimento di un intervento di sostegno esterno anziche' diretto (opzione
2) - quella in pratica adottata sinora dalle potenze occidentali - e' che la Siria e' scivolata lentamente
ma inesorabilmente in una guerra civile con i conseguenti effetti collaterali: efferatezze da ambo le
parti, crescita esponenziale di vittime civili, distruzioni, vendette, esasperazione dello scontro. Non
c'e' stato spazio per negoziati e dialogo (visti anche gli sforzi inutili di Kofi Annan). Si e' nei fatti
imposto che la soluzione finale sia legata alla forza delle armi e – nella nemesi finale – chi perdera'
verra' inesorabilmente eliminato. Niente spazio futuro per una riconciliazione nazionale, niente
spazio per la pieta'. Alla fine di questo percorso emergeranno, nel futuro del Paese, quelle
componenti sociali estreme che hanno determinato la vittoria manu militari.
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Inoltre – ed e' l'aspetto piu' inquietante – la guerra civile siriana ha assunto aspetti religiosi ed etnici.
Non e' piu' solo una guerra per scalzare una dittatura, ma un conflitto per affermare o far
sopravvivere valori diversi. L'esperienza insegna che questa caratteristica rende gli scontri piu'
cruenti e rischia di travalicare - in prospettiva - al di fuori della Siria.
Se si osserva l'evoluzione della situazione siriana sotto questi punti di vista e' facile desumere che
l'obiettivo auspicato a breve termine di un rovesciamento del regime siriano va a detrimento di
quello che potra' accadere nel prossimo futuro. Altro svantaggio del sostegno indiretto e' che
verranno alla fine marginalizzati, perche' avranno un limitato peso condizionante, quei Paesi che
avranno dato appoggio ad una delle due parti in causa ma che saranno sopravanzati dai diritti di chi
la guerra l'ha effettivamente combattuta.
Altra considerazione bisogna farla sull'armamentario che possiede oggi la Siria, compresi gli
aggressivi chimici. In una guerra civile, che si combattera' nelle fasi finali in modo frammentato con
sacche di resistenza e scontri negli abitati, il controllo sulle strutture piu' delicate del Paese (depositi
di armamenti o di missili o di aggressivi chimici) non potra' piu' realizzarsi e non e' detto che chi ne
prendera' il possesso ne potra' fare un uso oculato. Questa considerazione bisogna anche farla alla
luce della presenza di mujaheddin e affiliati di Al Qaida nelle file degli insorti. Oramai e'
confermato da fatti ricorrenti che c'e' una transumanza di personaggi legati al terrorismo
internazionale che si muovono da un'area di crisi all'altra solo per affermare la loro esistenza.
Professionisti della guerra, dei sovvertimenti popolari, magari senza bandiere ideologiche di
riferimento se non quella religiosa, che si inseriscono nei contesti destabilizzati o in via di
destabilizzazione a cui danno un forte contributo.
GLI ATTORI ESTERNI
La Siria sta alla Russia come Israele sta agli Stati Uniti. Stesso supporto, stesso quoziente
strategico, stessa determinazione ad accettarne fatti e misfatti. Non c'e' spazio per una analisi
oggettiva degli eventi. Gli interessi strategici fanno premio su qualsivoglia altro tipo di
considerazioni. In questa logica e' impensabile che Mosca possa oggi concedere spazio ad una
risoluzione ONU che danneggi o osteggi il regime di Damasco. Tutt'al piu' la Russia potra' accedere
ad una uscita onorevole di Assad dal Paese, ma questo tipo di opportunita' rimane difficile da
percorrere perche', come nel caso dello Yemen (per intermediazione dell'Arabia Saudita), non c'e'
un interlocutore regionale che possa assicurare un trapasso indolore del regime.
La Turchia e' nei fatti il Paese che piu' di ogni altro e' coinvolto nelle vicende siriane. Appoggia gli
oppositori, accoglie i rifugiati, da' supporto logistico, consente l'addestramento ai guerriglieri,
fornisce armi (meglio dire: non ostacola l'arrivo di armi per i ribelli), e' fortemente dedicata
all'attivita' di intelligence in stretta collaborazione con altri Servizi occidentali. Il coinvolgimento
turco a favore dei ribelli e' esponenzialmente aumentato dopo l'abbattimento da parte della
contraerea siriana di un velivolo militare turco. La Turchia coltiva anche interessi strategici nel
mondo arabo dopo la svolta filo-islamica della politica estera di Erdogan.
Sotto questo aspetto la crisi siriana fornisce anche una specifica opportunita'. L'Islam moderato
turco e' adesso strumentale ad un rafforzamento del ruolo di Ankara in Medio Oriente. Con gli
eventi siriani la Turchia si erge a difesa degli interessi sunniti a scapito degli Alawiti e dei loro piu'
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vicini parenti teologici, cioe' gli sciiti. Accanto ai guadagli politici, Ankara si deve anche
confrontare con dei rischi: l'instabilita' siriana che puo' tracimare nel proprio Paese, una possibile
recrudescenza del problema curdo che possa trovare sostegno nella diaspora che vive in Siria e che
e' schierata con Bashar Assad.
Ma per Ankara c'e' un altro pericolo incombente ed e' l'ostilita' dell'Iran che appoggia la Siria come
unico ed insostituibile alleato nella regione. Teheran e' legata da un accordo militare con Damasco e
perdendo il supporto siriano rimarrebbe isolata. Perderebbe anche la contiguita' territoriale con gli
Hezbollah libanesi, braccio armato del radicalismo iraniano contro Israele. Ed e' un lusso che
Teheran non puo' permettersi visto il pericolo incombente di un possibile attacco israeliano alle
strutture nucleari del Paese. Quindi l'Iran fara' di tutto per impedire la caduta di Assad anche
ricorrendo a quelle forme di destabilizzazione che gli sono congeniali: terrorismo proprio e
surrogato, fomentazione delle componenti sciite della penisola araba , i curdi.
Poi c'e' un altro attore – per adesso silente – di quello che avviene a Damasco, ed e' Israele. Per Tel
Aviv Bashar Assad e' il male minore rispetto al pericolo che all'attuale regime alawita si sostituisca
domani un regime fondamentalista. Un Israele circondato da regimi integralisti islamici accomunati
dall'odio contro lo Stato ebraico e' un pericolo non auspicato. Ed un eventuale guadagno che
potrebbe derivare nell'interrompere quel legame diretto tra Hezbollah e Teheran potrebbe anche
trasformarsi in un presunto guadagno in quanto un regime fondamentalista a Damasco potrebbe
anche valutare positivamente un supporto ad una componente sciita libanese in chiave antiisraeliana. Per Tel Aviv c'e' anche il pericolo di ordine sociale: la componente drusa siriana che
potrebbe ricongiungersi a quella israeliana. Tra le due comunita', a cavallo del Golan, ci sono forti
legami. Un incremento dei drusi israeliani per transumanza di quelli siriani non e' visto con favore
da Israele che comunque basa la sua coesione nazionale su parametri teocratici. Inoltre, la comunita'
drusa siriana e' stata sinora molto vicina al regime di Assad e potrebbe portare sul territorio
israeliano atteggiamenti ostili verso Tel Aviv che sinora non sono molto emersi nei confratelli
israeliani.
Gli Stati Uniti e le potenze occidentali sono fortemente favorevoli, per ovvi motivi pratici, piu' che
ideologici o etici, ad un ricambio politico a Damasco. A fronte di guadagni geo-strategici
immediati, si sottovalutano i rischi che un ricambio traumatico in Siria possa procurare agli interi
assetti della regione. Quando si crea un vuoto di potere politico e/o militare che sia, gli equilibri si
rompono, se ne creano altri ma solo attraverso un processo lungo di instabilita'. E' gia' avvenuto con
l'annientamento della potenza militare di Saddam Hussein. E non e' detto che alla fine di questo
processo il risultato possa essere favorevole agli interessi occidentali e/o alle mire neo-ottomane di
Ankara e/o alle velleita' wahabite di Ryad.
E' una considerazione fatta alla luce del fatto che nel Medio Oriente e nel Golfo non esistono
democrazie ma solo altri regimi autoritari che prevalentemente basano il potere sulla forza e non sul
consenso. Un rovesciamento dei rapporti di forza tra sciiti e sunniti non e' un evento che possa
trasformarsi automaticamente in una maggiore stabilita' regionale. Anzi e' vero il contrario quando
questi rapporti di forza non riguardano solo lo strumento militare o le egemonie politiche ma anche
le dispute teologiche. Una maggiore affermazione del sunnismo di marca wahabita nel mondo
islamico, come potrebbe derivare da un maggior peso saudita nella regione, significa maggior
integralismo religioso, meno diritti civili, meno liberta' sociali, meno liberta' religiose per chi
dissente. Basta non dimenticare che Osama Bin Laden, Zahawiri, Hassan al Banna, Sayyed al Qubt,
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Testata registrata presso il Tribunale di Roma n.198/2011 del 17/6/2011
hanno alimentato le loro idee e comportamenti sull'ideologia wahabita. Ed in ultima analisi rimane
da valutare se un regime autoritario religioso possa essere meglio di un regime autoritario laico
come il Baath siriano.
LO STATO DELLE COSE
La storia insegna che quando un regime raggiunge un punto di non ritorno nelle proprie efferatezze,
quando l'opinione pubblica mondiale gli diventa in maggioranza ostile, e' destinato a essere
cacciato. E la storia si ripetera' anche con Bahir Assad. Rimane sono il dubbio tecnico che lui ed il
suo entourage possano andarsene o essere eliminati.
Non e' pero' chiaro, nel caso siriano, quanto tempo ci vorra' perche' questo avvenga. Assad ha
ancora al suo fianco esercito e servizi di sicurezza mentre l'opposizione, politica e armata, e' debole
e divisa. Russia e Cina impediscono sinora qualsiasi intervento militare esterno e questo garantisce
agli alawiti e alle altre minoranze che appoggiano il regime il mantenimento degli attuali rapporti di
forza. Piu' la guerra civile va avanti, piu' le rispettive posizioni si radicalizzano, piu' il regime puo'
contare sullo zoccolo duro di un sostegno della propria componente religiosa e militare.
La mancanza di alternative mette le parti in causa di fronte a scelte irreversibili. Al fianco del
regime stanno anche le fazioni piu' radicali della galassia palestinese, gli hezbollah libanesi, i curdi,
i drusi, i cristiani Il tutto durera' fino a quando non ci saranno defezioni di rilievo nell'establishment
che sostiene Assad e fintanto che le diserzioni non assumeranno maggiore rilevanza numerica. I
generali che lo hanno sinora abbandonato non sono personaggi significativi per identificare un
crollo del regime.
Quando nel giugno del 2000 Hafez Assad mori' ed il potere fu passato al figlio Bashar, l'evento fu
valutato dai mass media internazionali come un sicuro miglioramento del regime dispotico siriano.
Un giovane medico, con studi in occidente, messo per forza nella catena del potere dal padre dopo
la morte imprevista del fratello Basel, poco incline al mondo militare, fu visto come un segnale di
timida democrazia in un Paese sino allora governato in modo sanguinario. I fatti hanno dimostrato il
contrario. L'ereditarieta' del potere si trasmette anche alle modalita' per mantenerlo.
Il problema siriano esula, sotto molti aspetti, dal cliche' della decantata primavera araba. Vi sono in
gioco soprattutto interessi e rapporti esterni, cioe' fattori esogeni, che hanno finito per prevalere
nello strumentalizzare un eventuale rivendicazione sociale contro un regime autoritario. In Siria non
e' in predicato solo un ipotetico anelito di liberta' o democrazia di un popolo oppresso, ma qualcosa
di piu' grande, di piu' complesso come gli interessi strategici delle super potenze, le mire
egemoniche di Paesi della regione, le dispute teologiche, i rapporti di forza, la radicalizzazione
dello scontro contro Israele, la questione palestinese, le rivendicazioni curde, l'affermazione del
terrorismo jihadista, il ruolo dell'Iran nella stabilita' della penisola arabica, il controllo delle risorse
petrolifere. Tutti elementi che potrebbero allungare l'agonia del regime di Assad, ma nel contempo
innescare altre aree di crisi, altre instabilita', altre sofferenze sociali .
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L'ODISSEA DI UN IMMIGRATO CLANDESTINO (PARTE 2)
Il girone dell'inferno del clandestino si e' sviluppato per anni su questi parametri e circostanza
descritte. Sfruttato, arrestato, liberato, arrestato nuovamente ,depredato, lavoro nero, espulso e cosi'
via. A cui aggiungere il disprezzo per il povero, un palese razzismo che si trasforma facilmente in
schiavismo, la donna che diventa solo oggetto. Soggetti attivi di questa situazione : la polizia ,
l'esercito ( il controllo del territorio confinario era responsabilita' delle FF.AA. , poi subentrava una
fascia di 15/20 km. gestita comunemente da polizia ed esercito, il resto del territorio di sola
competenza della polizia), le guardie carcerarie, la guardia costiera, i servizi di sicurezza.
La violazione dei diritti umani non ha mai costituito per la Libia di Gheddafi motivo di imbarazzo
o di ravvedimento. Talvolta solo un leggero fastidio per questioni di immagine internazionale.
Nessuno , a livello internazionale, ha voluto vedere o sollevare il problema. Con la Libia di
Gheddafi ci si e' confrontati solo sugli affari e sul mercato degli idrocarburi.
Una situazione di collusione de facto che ha impedito al nostro Paese di esercitare - almeno dopo
l'inizio dei respingimenti - una qualsivoglia forma di pressione sulle autorita' libiche che potesse
alleviare in qualche modo le sofferenze dei rimpatriati. Una Italia a conoscenza completa di questo
stato di cose (il Ministero dell'Interno aveva/ha dei rappresentanti fissi a Tripoli) ma piu' interessata
a minimizzare che ad enfatizzare. Si e' volutamente equivocato tra il termine di clandestino e quello
di rifugiato (anche per il semplice fatto che la Libia di Gheddafi non ha mai accettato il termine di
rifugiato - ed in tal senso non ha mai ufficializzato l'operato dell'U.N.H.C.R., - per che a tale
termine veniva aggiunto l'aggettivazione di “politico”).
Bisogna pur dire che , sicuramente , una enorme presenza di clandestini sul proprio territorio ha
costituito talvolta problema di sicurezzasociale per le autorita' di Tripoli . Fintanto che i clandestini
transitavano per la Libia ma si imbarcavano per l'Italia, il problema demografico aveva un impatto
minore. Con la politica dei respingimenti si e' creato in Libia un ammassamento di clandestini non
piu' in grado di abbandonare il Paese.
Il regime di Gheddafi ha inteso affrontare questa emergenza esacerbando la repressione e cosi'
cercando di spingere i clandestini a lasciare il Paese ovvero a invogliare altri a non arrivare.
Ma adesso le situazioni sono cambiate .
L'ultimo atto di questo dramma dei clandestini si e' verificato a cavallo della guerra civile in cui
molti clandestini africani sono stati confusi come mercenari al soldo del regime e quindi
perseguitati o uccisi. Quindi , oggettivamente, di clandestini , in Libia , al momento ce ne sono
molti meno.
Quindi non e' chiaro se nella nuova Libia, il traffico di clandestini in transito verso l'Europa, avra'
ancora sviluppo . Molto dipendera' dalle autorita' di quel Paese.
GLI ULTIMI SVILUPPI
Recentemente il ministro dell'Interno italiano del governo tecnico e' tornato a Tripoli e senza
clamore mediatico, ha firmato ulteriori accordi nel campo dell'immigrazione clandestina, peraltro
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tenuti riservati nel contenuto.
Ufficialmente e' stato divulgato dal Viminale che gli accordi riguardano la formazione delle forze di
Polizia, il controllo delle coste, il rafforzamento della sorveglianza delle frontiere libiche, il rientro
volontario dei migranti nei Paesi d'origine. A niente sono valse le richieste di Amnesty International
di conoscere nel dettaglio il contenuto di questi accordi.
Comunque - ed e' questo il fatto piu' significativo e purtroppo piu' preoccupante - e' che c'e' una
sostanziale continuita' nella politica dell'immigrazione clandestina negli ultimi governi italiani: si
combatte il fenomeno per interposta persona , ci si focalizza sui mezzi di contrasto, non ci si cura
piu' di tanto di quegli aspetti e comportamenti umanitari che tuttora latitano anche nella nuova
dirigenza libica.
Per quanto accertato (ma non reso noto) , l'Italia si e' offerta di rimettere in funzione 5 delle
motovedette a suo tempo offerte alla Libia. Per la sesta motovedetta, affondata a seguito di
bombardamento aereo da parte delle forze internazionali, sempre l'Italia valutera' la possibilita' del
recupero del natante o della sua sostituzione. Quindi il tutto postula che si continuera' come in
passato al pattugliamento congiunto ed al respingimento dei clandestini.
Inoltre il Ministero dell'Interno italiano distacchera' in futuro tre suoi funzionari nei porti di Tripoli,
Misurata e Benghazi.
L'accenno al cosiddetto rientro “volontario” dei migranti nei paesi di origine significa che viene
nuovamente riproposta la discutibile iniziativa che anche in passato vedeva la O.I.M.
(Organizzazione Internazionale per le Migrazioni) curare , con modesti risultati ( ma abbondanti
finanziamenti del Viminale) la possibilita' di convincere i clandestini internati nei centri libici a
tornarsene a casa dietro piccole profferte finanziarie (comunque a convincere il clandestino non
erano allora le profferte finanziarie ma gli abusi e vessazioni libiche). Evidentemente si intende
continuare da parte italiana su questo cliche' di intervento che serve da un lato ad assecondare le
istanze libiche ( le autorita' di quel Paese non vogliono tenersi i clandestini sul proprio territorio,
una volta che vengono respinti dall'Italia)ma soprattutto a cercare di autoassolversi sul piano morale
( e' vero che l'Italia respinge un clandestino ma nel contempo gli offre anche i soldi per tornarsene a
casa). Di tutto quello che avviene al clandestino tra il respingimento e l'internamento , ancora una
volta si stendera' un velo di silenzio. Ne' l'O.I.M. , come in passato , sara' testimone di eventuali
soprusi o abusi avendo come finanziatore un ente governativo italiano che non ha interesse politico
affinche' questi aspetti emergano.
La formazione delle forze di Polizia era una iniziativa ricorrente anche del governo precedente e
serviva soprattutto ad accattivarsi i quadri operativi della controparte libica.
Analogamente il discorso del controllo delle frontiere libiche ripropone un vecchio cavallo di
battaglia italo libico in cui Gheddafi richiedeva un sistema radar per i suoi confini meridionali con
la scusa di voler intercettare l'immigrazione clandestina ( ovviamente i radar non sono idonei per
monitorare movimenti puntiformi ma questo e' un aspetto su cui l'Italia sorvolava e quindi
assecondava le velleita' militari del dittatore ) e dall'altra parte si era ben contenti di affidare una
allettante commessa ad una societa' di Finmeccanica ( quindi da parte italiana 350 milioni di euro di
buoni motivi di cui una parte finanziati dall'Europa).
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Ma se non cambiano le regole , non cambiano gli accordi, se il governo italiano e' sempre propenso
ad attuare la stesso approccio sull'immigrazione clandestina, e' cambiato qualcosa da parte libica ?
La risposta la danno le continue denunce di violazioni dei diritti umani che circondano l'attuale
dirigenza libica. Nel trapasso dalla dittatura di Gheddafi all'attuale dirigenza , sotto questo aspetto,
purtroppo, nulla e' cambiato. E se questa affermazione e' valida, qualora la Libia rimanga come un
opzione territoriale per la transumanza dei clandestini verso l'Italia , la vittima predestinata di
questo stato di cose sara' sempre il povero ed indifeso clandestino.
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