Edizione # 6 Giugno 2012 Italiano
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Edizione # 6 Giugno 2012 Italiano
www.invisible-dog.com [email protected] L'IRAN E LA GUERRA SEGRETA L'Iran fa paura a molti Paesi. C'e' timore per la sua forza militare, la sua politica espansionistica nella regione, le velleita' di dotarsi di un'arma nucleare, l'importanza strategica delle sue risorse energetiche, il terrorismo. Fa paura a Israele che vede un pericolo alla sua esistenza nel nucleare iraniano. Fa paura agli U.S.A. per ragioni di egemonia geo-strategica nell'area, per gli effetti destabilizzanti della teocrazia sciita su Afghanistan, Iraq e Siria, per il controllo delle rotte e del mercato del petrolio, per il terrorismo che alimenta. Fa paura all'Arabia Saudita per l'egemonia nella regione e per l'accentuato confronto tra sciiti e sunniti . Fa paura a tutti gli emirati e sultanati del Golfo che temono la sua forza militare e il suo espansionismo. Preoccupa sicuramente la Turchia che vede in Teheran un pericoloso contagio di instabilita' e possibili ripercussioni sul problema curdo. Tutte queste paure si sono tradotte in una serie di iniziative da parte degli aventi causa , volte a danneggiare la dirigenza iraniana e le sue velleita' nucleari. Ci sono stati i ripetuti controlli della Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica (A.I.E.A.), ci sono state reiterate sanzioni contro il Paese, boicottaggi, le minacce sempre piu' pressanti da parte di Israele o gli U.S.A., ma senza apparenti risultati. Alla guerra delle minacce, alle pressioni psicologiche si e' passati, da parte dei contendenti ad un'altro tipo di guerra non convenzionale, una guerra segreta tra spie. Attori principali: la C.I.A. americana , il Mossad israeliano, la VEVAK ( Verazat Ettela'at va Amniat Keshvar) iraniana. Una guerra fatta di morti ammazzati, personaggi spariti o reclutati, attentati a infrastrutture, operazioni clandestine, atti di terrorismo fino ad arrivare alla cyber guerra. La guerra delle spie Nel 2002, sembra per mano degli israeliani tramite fuoriusciti curdi, un ingegnere esperto di sistemi missilistici, Ali Mohamoudi Mimand, viene ucciso da una esplosione nel complesso militare Shahid Hemat a sud di Teheran. Ma nel 2007 questa guerra segreta e non convenzionale diventa un fatto sistematico : il 15 gennaio 2007: Ardeshir Hosseinpour, ingegnere e responsabile del Centro di tecnologia Nucleare presso l'impianto di Isfahan muore per le esalazioni di monossido di carbonio presso la propria abitazione. La sua morte viene ritenuta "procurata". Il 7 febbraio 2007: il Generale Ali Reza Asgari, delle Guardie Rivoluzionarie, sparisce durante una sosta in Istanbul, proveniente da Damasco. Risulta aver defezionato e poi trasferito negli USA dove vive sotto nuova identita'. Invisible Dog – Periodico online Direttore Responsabile – Alessandro Righi Edito da Invisible Dog Srl Via Cassia 833, Rome, Italy Testata registrata presso il Tribunale di Roma n.198/2011 del 17/6/2011 nel Novembre 2007: una esplosione in una base missilistica iraniana a sud di Teheran uccide diverse persone. Segue poi un periodo di relativa tranquillita' fino al Giugno 2009 quando Shahram Amiri, uno scienziato nucleare, sparisce durante un pellegrinaggio a La Mecca ( riapparira' in USA il 13 luglio 2010. Dichiarera' pubblicamente di essere stato rapito e torturato dalla CIA e chiedera' all'ambasciata pakistana, che cura gli interessi diplomatici iraniani in Washington, di essere aiutato a rientrare in patria . Verra' autorizzato a farlo il 15 luglio del 2010). Ma nel 2010 ricomincia l'escalation di operazioni clandestine che procurera' altre vittime e distruzioni: 12 gennaio 2010: Massoud Ali Mohammadi, fisico, esperto di particelle elementari, insegnate presso l'Universita' Shanati Sharif di Teheran viene ucciso dallo scoppio di una bomba posizionata su una motocicletta parcheggiata accanto alla sua auto. 29 novembre 2010 : Madjed Shariari, ingegnere presso la facolta' di Ingegneria Nucleare dell'universita' di Teheran, viene ucciso per strada da una bomba collocata magneticamente sulla sua auto da una moto in corsa. Anche la moglie rimane ferita. Nello stesso giorno e con modalita' analoghe di attentato viene ferito anche Fereidoun Abbassi Davani, un altro ingegnere nucleare, e la moglie. Scampato all'attentato, Abbassi verra' nominato il 13 febbraio 2011 responsabile dell'Organizzazione per l'Energia Atomica dell'Iran. Giugno 2011: un aereo che trasportava tecnici russi e scienziati iraniani verso la centrale di Busheir si schianta al suolo. Luglio 2011: Darious Rezaeineja , scienziato nucleare, viene ucciso in Teheran a colpi di arma da fuoco sparati da una moto in corsa mentre attende l'uscita del figlio dalla scuola. Settembre 2011: viene scoperto e sventato un attentato contro l'ambasciatore saudita a Washington. Arrestato un iraniano. Novembre 2011: scoperto in Azerbaigian un complotto per uccidere diplomatici americani e/o colpire obiettivi U.S.A. pilotato da agenti iraniani. Gli attentati dovevano costituire una vendetta contro gli assassinii di scienziati iraniani. 12 novembre 2011: una esplosione presso la base Amir Al Momenin, nel villaggio di Bidganeh, uccide una ventina di militari. Si trattava di un deposito di esplosivi delle Guardie Rivoluzionarie. Nell'esplosione morira' anche il generale Hassan Teherani Moghaddam, esperto di punta del programma missilistico iraniano. Novembre 2011: in circostanze misteriose, in un hotel di Dubai, muore Ahmed Rezai, figlio del piu' noto Mohsen Rezai , gia' capo dei Pasdaran e personaggio politico di spicco. 28 novembre 2011: una esplosione danneggia l'impianto di conversione dell'uranio di Isfahan. 12 dicembre 2011: un'altra esplosione a Yazd, colpisce una fabbrica di metalli implicata nel programma nucleare e controllata dalle Guardie della Rivoluzione. 11 gennaio 2012: Mostafa Ahmadi Roshan, ingegnere nucleare e professore universitario, vice direttore della Centrale di Natanz, viene ucciso da due motociclisti che affiancano la sua auto attaccando sulla portiera una bomba magnetica. Gennaio 2012: a Baku, in Azerbaigian, due iraniani vengono arrestati. Avevano a disposizione 16 pacchi di esplosivo e 150.000 dollari ciascuno. Confesseranno di avere Invisible Dog – Periodico online Direttore Responsabile – Alessandro Righi Edito da Invisible Dog Srl Via Cassia 833, Rome, Italy Testata registrata presso il Tribunale di Roma n.198/2011 del 17/6/2011 avuto l'incarico di ammazzare l'ambasciatore israeliano, un rabbino e un uomo d'affari ebreo, in rappresaglia per la morte di Roshan. Gennaio 2012: falliti attentati in Thailandia e Bulgaria contro sedi diplomatiche e relativo personale israeliano. Implicato a Bangkok un libanese legato agli hezbollah (anche qui rappresaglia per la morte di Roshan). 20 gennaio 2012: Mohammad Esmail Kosari, professore di Fisica presso l'Universita' Shanati Sharif di Teheran, nonche' deputato del Parlamento e membro della Commissione della Sicurezza Nazionale viene ucciso sempre da una bomba posizionata sull'auto. Febbraio 2012: due attentati simultanei contro personale diplomatico israeliano in New Delhi e Tbilisi. Stessa tecnica degli attentati perpetrati contro gli scienziati iraniani: bomba attaccata sotto la macchina. In India l'attentato fallisce perche' l'ordigno viene scoperto per tempo. In Georgia invece viene ferita la moglie dell'addetto militare israeliano. E' probabilmente la rappresaglia per la morte di Kosari. Marzo 2012: la Corte suprema iraniana grazia dalla pena di morte Amir Mirza Hekmati cittadino con la doppia nazionalita' irano-americana accusato - e reo confesso - di spionaggio. Dietro questa sequenza di eventi si muovono non solo gli attori comprimari (C.I.A., Mossad, V.E.V.A.K) ma anche organizzazioni surrogate: i curdi e i Mujahedin el Khalq di Maryan Rajawi che operano da basi irakene (da una parte), gli hezbollah libanesi e le forze iraniane di Al Quds dislocate all'estero (sul fronte opposto). Poi ci sono gli oppositori, i fuoriusciti ed evidentemente, per portare a termine questi attentati sul suolo iraniano c'e' una rete di informatori ed agenti che trasmettono informazioni o che provvedono alle operazioni. Ed ancora, al fianco americano, per comuni interessi strategici, ci sono i sauditi ed i tradizionali alleati inglesi mentre Teheran puo' contare sugli sciiti del golfo, i siriani ed, all'occorrenza anche su frange terroristiche vicine ad Al Qaida. Come si e' visto questa guerra si conduce anche in altre parti del mondo dove maggiormente si accentrano le attivita' dei Servizi Informativi: Dubai (emirato con una forte presenza di sciiti e centro nevralgico di traffici mediorientali), Georgia e Azerbaigian (dove risulterebbe concentrato parte del dispositivo operativo del Mossad), Thailandia (altro centro nevralgico dello spionaggio euro-asiatico). La cyber guerra Nel Giugno 2010 pero' la guerra sotterranea acquista una dimensione tecnologica: un virus chiamato "Stuxnet" infetta e blocca il sistema informatico della Centrale di Natanz dove e' in corso il processo di arricchimento dell'uranio attraverso centrifughe a gas. Era gia' stato individuato qualche mese prima ma poi aveva subito ulteriori modifiche per renderlo piu' efficace. Stuxnet entra nel sistema informatico, attraverso l'utilizzo di una chiave USB (quindi materialmente qualcuno ha fatto questa operazione in modo conscio o inconscio in loco), si infiltra tramite il sistema operativo Microsoft Windows (dove individua delle vulnerabilita') e colpisce il software e Invisible Dog – Periodico online Direttore Responsabile – Alessandro Righi Edito da Invisible Dog Srl Via Cassia 833, Rome, Italy Testata registrata presso il Tribunale di Roma n.198/2011 del 17/6/2011 gli apparati e macchinari della Siemens (prodotti industriali fortemente utilizzati, nei processi di arricchimento da parte iraniana). Quando il virus entra nel computer tenta di entrare in tutti i programmi e va subito a cercare quelli che utilizzano software Siemens. Se non ve ne sono, rimane inerte ma marca tutti gli apparati. Quindi ha un meccanismo di "controllo logico programmato" come viene chiamato tecnicamente. Se invece individua le componenti che cerca, prima ne accerta le condizioni di funzionamento e poi inserisce il suo codice di distruzione nel sistema di controllo modificando il funzionamento del macchinario o apparato. Questa operazione viene condotta eludendo il sistema di controllo di sicurezza del macchinario a cui da' informazioni di normale funzionamento. Ed e' proprio sotto questo aspetto che Stuxnet e' un prodotto rivoluzionario: ricerca un bersaglio specifico, provvede al suo sabotaggio, nasconde la propria presenza fintanto che il danno non e' completato. Silenzioso, invisibile, devastante. Il sabotaggio prodotto da Stuxnet ha messo fuori uso circa 1000 delle 5000 centrifughe di Natanz creando - secondo stime americane - un ritardo di 18-24 mesi al programma di arricchimento dell’uranio. Altre 5 strutture nucleari iraniane (tra cui Busheir) avrebbero subito danni. Il virus risulterebbe concepito da uno studio congiunto americano-israeliano. Esisteva in atto gia' un progetto americano di cyber guerra denominato "Olimpyc Games" gia' autorizzato da Bush Jr ed ereditato da Barack Obama che non aveva ancora prodotto risultati apprezzabili. Il salto di qualita' sarebbe emerso dalla collaborazione con gli israeliani. Si tratterebbe, secondo gli esperti di un virus dalle capacita' distruttive enormi e dalla potenza mai finora raggiunta da analoghi strumenti nel passato. Sempre secondo gli esperti per elaborare un prodotto cosi' complesso erano stati impiegati almeno una trentina di tecnici per un periodo di almeno 6 mesi. Da parte israeliana, al progetto avrebbe lavorato l'unita' "8200" composta di esperti di informatica, criptoanalisi e matematica. Nonche' uomini di una neo-costituita struttura all'interno del Ministero della Difesa: la "National Cyber Defense Authority". A parte la notorieta' acquisita da Stuxnet, un altro virus e' stato recentemente infiltrato nei sistemi informatici iraniani con scopi di spionaggio. Si tratta del virus "Flame" che avrebbe la funzione, a differenza di Stuxnet, non di sabotare i sistemi colpiti ma di trasformare i computer in una fonte di spionaggio inviando al suo controllore tutta una serie di dati acquisiti nella memoria del computer stesso. Con questo sistema sarebbero stati infiltrati enti governativi e ditte private iraniane. Anche qui, benche' mai confermato dagli aventi causa si tratterebbe di una collaborazione israeloamericano. Secondo alcuni analisti gli israeliani avrebbero la capacita' di bloccare gli snodi internet in uso alla rete militare iraniana. Quindi una lotta che vede un malware (come Stuxnet) affiancato ad un spyware (come Flame). Uno per sabotare, l'altro per sorvegliare raccogliere informazioni. Le attivita' di intelligence elettronico ("elint") e di intercettazione ("sigint"). Sono gli aspetti di un'altra forma di guerra non convenzionale per carpire, attraverso l'utilizzo di tecnologie e strumenti, notizie della controparte. La stanno gia' combattendo, in silenzio, i vari attori di questa guerra sotterranea. E' una guerra fatta di intercettazioni, forme di disturbo elettronico, osservazioni dall'alto con drones o satelliti. Invisible Dog – Periodico online Direttore Responsabile – Alessandro Righi Edito da Invisible Dog Srl Via Cassia 833, Rome, Italy Testata registrata presso il Tribunale di Roma n.198/2011 del 17/6/2011 Israele sta progettando con il drone "Heron" la possibilita' di trasportare strumentazione per disturbi elettronici. Ogni attacco aereo - se questa sara' la presumibile forma di intervento armato sulle strutture nucleari iraniane - e' infatti anticipato da una attivita' di jamming (interferenze e disturbi) che mette fuori uso telecomunicazioni, telefoni, internet, rete elettrica. E' una tattica che e' stata messa sempre in opera dagli americani durante gli attacchi iniziali all'Iraq sia nel 1991 che nel 2003. Con questo sistema viene disarticolato il sistema di comando e controllo e della difesa aerea impedendo una reazione da parte del Paese colpito. Nell'attivita' elint e' anche previsto l'accecamento dei sistemi radar ed in alcuni casi anche attivita' di simulazione elettronica (fare apparire sui radar della controparte situazioni diverse dalla realta'). Sul fronte di Teheran, anche gli iraniani si stanno attrezzando con questo tipo di spionaggio ed anche sulle misure di contrasto elettronico. Un aereo senza pilota costruito nel 1993, l'Ardebil ("la rondine") che aveva funzioni di ricognizione aerea e' stato trasformato in altri prototipi piu' avanzati nelle sue varie configurazioni di drone. E' diventato "A3", poi "A-T", poi infine "Karrar" ("il bombardiere"), costruito nel 2010, con un raggio d'azione di oltre 1000 km. Gli americani, invece, stanno impiegando sui cieli iraniani un tipo di drone invisibile, l'RQ-170 che avrebbe, tra gli altri compiti anche quello di individuare e mappare, con speciali apparecchiature e sensori di bordo, i tunnel dove sono svolte le attivita' nucleari iraniane. Il settore delle intercettazioni e' strategico per conoscere cio' che fa l'avversario. Tutto quello che viene trasmesso nell'aria (telefoni cellulari, ponti radio, comunicazioni radio e satellitari) e' oggetto di interesse. E' una attivita' sistematica che ogni Paese mette in essere con i suoi Servizi di informazione. Nel caso dell'Iran che diventa obiettivo informativo prioritario, tale attivita' e' sicuramente stata incrementata. E non e' escluso che molte scoperte di siti nucleari, della loro attivita', e del movimento di scienziati sia avvenuta con l'ausilio di questi sistemi. A completamento dell'attivita' di intercettazione vi e' poi, per le comunicazioni cifrate (quelle che contengono ovviamente notizie piu' sensibili), la necessita' della decrittazione dei messaggi. Anche qui, nella penetrazione di un sistema di cifratura, si giocano i valori di una guerra. Chi sa piu' vince o almeno non perde. La guerra psicologica E' quella fatta di minacce, controminacce, dichiarazioni ufficiali di politici e militari, interviste, moniti, che vede implicati tutti i protagonisti di questo scontro. E' una guerra di nervi, molte volte mirata a condizionare il comportamento della controparte. L'Iran gioca questa guerra con particolare scaltrezza levantina sia con gli ispettori dell'A.I.E.A. che con i favori contendenti internazionali: promette disponibilita' poi magari smentisce e frena, alle minacce alterna disponibilita' dialogica, a volte si irrigidisce ed a volte concede, negozia o si alza dal tavolo. Sa che il tempo gioca a suo favore e sa anche che recitando diverse parti nella stessa commedia, sconcerta e disorienta gli avversari. E' un gioco pericoloso che comunque, per il momento, funziona. Invisible Dog – Periodico online Direttore Responsabile – Alessandro Righi Edito da Invisible Dog Srl Via Cassia 833, Rome, Italy Testata registrata presso il Tribunale di Roma n.198/2011 del 17/6/2011 E' quello che gli israeliani chiamano "azimut" e che significa ambiguita'. E' lo stesso concetto che nel mondo arabo viene invece chiamato "taqiya" cioe' dissimulazione. E' un tipo di comportamento tipico della cultura sciita, dove il rinnegare alcuni fatti o realta' (storicamente adottato per rinnegare la fede al fine di salvarsi dalle persecuzioni) e' considerato lecito nello spirito di sopravvivenza. I segnali di una guerra La guerra segreta tra l'Iran e gli altri Paesi (spionaggio, cyber guerra, guerra psicologica) puo' essere - in quota parte - sostitutiva di altre forme convenzionali di guerra ma molte volte puo' essere anche propedeutica ad una guerra vera. A parte considerazioni di convenienza politica che possono condizionare l'evolversi dei fatti, non puo' essere esclusa l'ipotesi che come e' avvenuto contro il reattore di Osiraq (Iraq) nel giugno 1981 e contro quello di Al Qibar in Siria nel settembre 2007 Israele (con l'ausilio piu' o meno diretto di altri Paesi) possa concepire una analoga operazione chirurgica contro i siti nucleari iraniani. La differenza con le analoghe operazioni, sta pero' nella difficolta' di raggiungere il risultato perche' gli obiettivi da colpire sono tanti e in maggioranza protetti in postazioni sotterranee. Occorrono bombe di profondita'. C'e' poi la difficolta' di arrivare sugli obiettivi dopo un lungo tragitto attraversando vari altri Paesi: quindi problemi di rifornimento in volo e problemi di copertura del volo per mantenere l'effetto sorpresa. Poi c'e' il problema di una eventuale rappresaglia. Quindi trovare il modo affinche' l'Iran, una volta colpito , non intenda colpire Israele o altri Paesi con il suo potenziale missilistico oppure tenti di bloccare il traffico petrolifero attraverso lo stretto di Hormuz. Esaminando quindi tutte queste "necessità" per rendere una operazione militare il piu' possibile sicura, si puo' valutare la probabilita' che l'operazione possa avvicinarsi alla sua realizzazione. Vediamo nel dettaglio: - Nelle settimane scorse il Premier Netanyahu ha disdetto le elezioni anticipate, programmate per settembre ed ha formato un governo di unita' nazionale con il partito "Kadima" di Shaul Mofaz. La nuova alleanza sposta il baricentro politico israeliano verso posizioni interventiste. Mofaz e' un ebreo di origini iraniane, gia' membro delle forze speciali, considerato un falco e quindi favorevole, come Netanyahu, all'intervento armato. Poi il 2 marzo scorso il Presidente americano ha incontrato Netanyahu a Washington ed ha promesso - su pressante richiesta della controparte - aiuti militari specifici: bombe di profondita', aerei cisterna per il rifornimento in volo, sistemi di identificazione (electronic devices) dei velivoli in volo perche' possa essere eliminato il rischio di non essere riconosciuti e abbattuti, piu' batterie antimissili "Iran Dome". Guarda caso, tutti elementi indispensabili per fare l'operazione e per controbattere le rappresaglie iraniane. - Nel frattempo i sauditi negli ultimi mesi hanno piu' che raddoppiato le riserve di greggio a disposizione passando dai 35 mil/barili a circa 80 mil/b. Accumulare riserve di greggio quando i prezzi sono alti e' un controsenso commerciale, a meno che le provviste non abbiano altre finalita'. Correlare l'iniziativa al rischio che possa essere bloccato Hormuz ha la sua logica . - Da mesi Israele e l'Iran testano missili ed ultimamente le forze aeree israeliane hanno Invisible Dog – Periodico online Direttore Responsabile – Alessandro Righi Edito da Invisible Dog Srl Via Cassia 833, Rome, Italy Testata registrata presso il Tribunale di Roma n.198/2011 del 17/6/2011 effettuato addestramenti di attacchi a terra, con altri aerei della Nato a Decimomannu, in Sardegna. Tutti questi segnali lasciano effettivamente prefigurare che le postazioni nucleari iraniane siano prossime ad essere colpite? Alcune valutazioni di merito sfuggono ad una risposta logica perche' oltre ai fatti noti, ci sono quelli non noti, quelli che vengono acquisiti con questa guerra segreta. Ed e' molte volte in questo ambito che si decidono i destini del mondo. Invisible Dog – Periodico online Direttore Responsabile – Alessandro Righi Edito da Invisible Dog Srl Via Cassia 833, Rome, Italy Testata registrata presso il Tribunale di Roma n.198/2011 del 17/6/2011 L'ODISSEA DI UN IMMIGRATO CLANDESTINO (PARTE 1) L'Italia ha firmato nel tempo con la Libia di Gheddafi una serie di accordi sull'immigrazione clandestina a partire dall'anno 2000, peraltro, almeno per gli aspetti pratici del contrasto allo specifico fenomeno illegale, con risultati talvolta nulli, talvolta scarsi, talvolta efficaci (quest'ultimi solo dopo la firma del Trattato bilaterale di Partenariato- 30 agosto 2008 - il primo respingimento di un barcone di clandestini 6 maggio 2009 - l'inizio del pattugliamento congiunto delle coste libiche - 25 maggio 2009 . Prima e durante questi eventi ci sono stati considerevoli esborsi da parte italiana ma risultati quasi nulli). Se da parte libica il problema dell'immigrazione clandestina ha rappresentato soprattutto una occasione per mercanteggiare - se non ricattare - concessioni politiche e finanziarie non solo con l'Italia ma anche con l'Europa, l'approccio generale alla problematica - almeno da parte italiana in quanto la controparte non aveva specifiche sensibilita' culturali al riguardo - ha spesso mancato di cogliere l'aspetto sociale del fenomeno e quindi, nella sostanza , ci si e' sempre piu' indirizzati verso misure operative trascurando di contestualizzare una evidente emergenza umanitaria. In altre parole ci si e' dedicati a contrastare sul terreno il fenomeno e non a capirne l'essenza, le motivazioni e quindi creare le circostanze che potevano limitarne la portata. Per capire pero' bene tutto questo bisogna conoscere cosa muove un individuo a lasciare la propria casa e la propria famiglia , spendere i propri risparmi, rischiare la vita nel deserto e nel mare, affrontare l'imprevisto, soffrire l'emarginazione, subire lo sfruttamento, sottoporsi a umiliazioni, muoversi in Paesi ostili , in un arco temporale non quantificabile, per un sogno che molte volte si trasforma in tragedia. Prendiamo ad esempio il tragitto di un clandestino eritreo verso l'Italia e l'Europa, quando il traffico era fiorente sotto il regime di Gheddafi: Il primo contatto e' ad Asmara con agenti delle organizzazioni criminali transnazionali che operano nel settore. Il potenziale clandestino deve attraversare il confine con il Sudan in modo occulto, anche per evitare rappresaglie del regime contro le famiglie. Deve sborsare dai 500 ai 600 dollari; L'organizzazione fa muovere il clandestino lungo aree non controllate dalla polizia , il piu' delle volte a dorso di cammello e di notte; Il confine viene superato nell'area di Kassala e la prima sosta del clandestino e' nei campi profughi della zona ( Sawa ). E' una sosta generalmente breve perche' nei campi pullulano spie di Asmara e c'e' il ragionevole rischio di essere identificati ( e quindi conseguenze per la famiglia che e' rimasta in patria); Il clandestino tende quindi a trasferirsi in altri campi (Wadi Sharifa) e poi si sposta a Khartoum dove gli e' stato consegnato, fin da Asmara dei numeri di telefono di personaggi dell'organizzazione criminale che lo dovranno aiutare ad entrare in Libia. Generalmente benche' l'organizzazione criminale sia transnazionale i contatti vengono gestiti, per ogni Paese, da connazionali del clandestino . Il tragitto Kassala- Khartoum avviene generalmente in autobus . Il costo per trasferirsi dal Sudan alla Libia e' sull'ordine di 7/800 dollari. Se il clandestino ha i soldi , i tempi di permanenza a Khartoum saranno brevi altrimenti dovra' trovarsi un lavoro , ovviamente in nero per raccogliere la somma. Generalmente il clandestino contatta anche le Invisible Dog – Periodico online Direttore Responsabile – Alessandro Righi Edito da Invisible Dog Srl Via Cassia 833, Rome, Italy Testata registrata presso il Tribunale di Roma n.198/2011 del 17/6/2011 organizzazioni internazionali presenti nella capitale sudanese (soprattutto l'Alto Commissariato per Rifugiati dell'ONU ) per ottenere lo status di rifugiato. Gli serve per poter accedere ad alcuni sussidi ma soprattutto ad evitare di potere essere cacciato dal Paese. Piu' che cacciato si tratterebbe di pagare la polizia locale per non essere cacciato . Di quel documento che attesta il suo status di rifugiato se ne disfera' prima di entrare in Libia per non essere identificato ; Pagata la somma l'organizzazione criminale predispone il viaggio che il clandestino eritreo fara' insieme ad altre persone che lui non conosce, di altre nazionalita' ma accomunate nella stessa avventura; Il trasferimento da Khartoum al confine libico avviene con fuoristrada stracarichi di clandestini , uomini o donne che siano, talvolta anche minorenni. Un fuoristrada puo' portare a bordo fino a 30 persone. Talvolta , invece di arrivare direttamente al confine comune con la Libia le auto entrano in Egitto e dall'Egitto entrano in Libia lungo rotte desertiche . I fuoristrada partiti da Khartoum scaricano i clandestini al confine e rientrano in Sudan. I clandestini verranno raccolti da altri fuoristrada questa volta gestiti dalla branca libica dell'organizzazione che li portera' fino all'oasi di Kufrah. Se il clandestino non ha piu' soldi dovra' arrangiarsi per la prosecuzione del suo viaggio verso Tripoli. Entra in clandestinita' “operativa” per non essere intercettato dalla polizia libica ed eventualmente arrestato. Altrimenti , se ha ancora 3/400 dollari ricontatta elementi dell'organizzazione criminale per essere trasportato nella capitale libica. Viene nascosto in camioncini di derrate e quindi portato sul tratto costiero. Molte volte il viaggio si ferma sulla costa , a Ajdabiya , dove viene fatto credere loro di essere a Tripoli . il resto del viaggio , in questa circostanza , sara' a suo rischio e pericolo; Il clandestino che giunge a Tripoli sa gia' dove recarsi e chi contattare . Ci sono due o tre aree della periferia della capitale dove gli eritrei tendono a radunarsi. Il numero di telefono (gli e' stato dato a Khartoum) e' di un eritreo dell'organizzazione che gestira', ovviamente dietro pagamento , l'eventuale imbarco verso l'Italia. Per nascondere il clandestino , il trafficante chiedera' altri 200/250 dollari e cosi' permettera' all'interessato una protezione in luoghi sicuri , per un periodo che generalmente non supera i 15 giorni; Adesso , se ci sono altri i soldi , il trafficante potra' interessarsi al viaggio del connazionale in barca verso l'Italia. A seconda delle circostanze ambientali (se il regime vuole o no colpire il traffico illegale e quindi cambiano le condizioni di sicurezza) , del tipo di imbarcazione (piu' o meno sicura), dell'oscillazione tra domanda e offerta, dell'urgenza a voler partire, il prezzo del trasporto via mare ha un costo che parte da 1800/2000 dollari per arrivare fino a 3000/3500. Non viene garantito il successo dell'operazione, non viene garantita la sicurezza del natante ne' se il numero dei clandestini a bordo sia adeguato alla sicurezza del viaggio. Chi paga lo fa a scatola chiusa e senza garanzie. Le garanzie le prendono quelli dell'organizzazione : prima di ogni partenza prendono i soldi, radunano i clandestini in fattorie isolate e gli tolgono i telefonini per evitare di essere intercettati o individuati. Tengono questa umanita' di disperati all'oscuro di ogni dettaglio del viaggio. Poi , una notte, senza preavviso li portano sulla spiaggia per un imbarco veloce. La partenza e' cosi' assicurata. L'arrivo no. Questa descritta e' l'odissea di un immigrato clandestino eritreo fino al momento dello scoppio della guerra civile in Libia. Le cose sono solo leggermente cambiate quando la Libia, a corrente alterna ha incominciato a cooperare con l'Italia e parte del traffico si e' spostato sull'Egitto. La guerra ha interrotto - ma forse solo sospeso- questa transumanza da Asmara a Tripoli. Le organizzazioni criminali tuttora operanti nella regione hanno iniziato , almeno ad operare su altre rotte. Quella piu' funzionale - fintanto che gli israeliani non finiranno di costruire un muro sul Invisible Dog – Periodico online Direttore Responsabile – Alessandro Righi Edito da Invisible Dog Srl Via Cassia 833, Rome, Italy Testata registrata presso il Tribunale di Roma n.198/2011 del 17/6/2011 confine egiziano in Sinai , da Gaza a Eilath.Nel 2010 sono entrati in Israele ,da questa direzione , circa 13500 clandestini (non tutti eritrei) e questo sta costituendo , per lo Stato ebraico, una vera emergenza sociale. Il 2011 e' stato anche peggio dopo la caduta di Mubarak e il conseguente disordine istituzionale in Egitto. Se si chiudera' anche questa rotta e' probabile che se ne apriranno altre. L'opzione in corso riguarda adesso l'ingresso in Grecia (ma Atene ha fama di essere un Paese fortemente ostile nei riguardi dei clandestini)ed il successivo trafilamento verso l'Italia e/o i Balcani per l'Europa. L'esodo di eritrei verso l'Europa e' oggi determinato da motivazioni economiche ma anche politiche a fronte delle persecuzioni in atto del regime di Afeworki. Ma come l'Eritrea analoghe situazioni esistono in varie parti dell'Africa. Quindi il business che si alimenta sull'immigrazione clandestina e' tuttora molto florido. Queste organizzazioni transnazionali operano in ogni Paese di interesse - sia di partenza che di transito e arrivo - e godono molte volte di connivenze nelle istituzioni locali per agire indisturbate. Vedasila corruzione della polizia sudanese e/o egiziana, delle guardie di frontiera eritree, della polizia ed esercito libico dei trafficanti di confine che operano nella droga, contrabbando ed ovviamente traffico di esseri umani, dei tuareg del Niger o Mali che si muovono nel deserto, delle bande di delinquenti che taglieggiano nelle stesse aree chi vi transita. Ognuna di queste entita' - a diverso titolo ha tratto e trae beneficio economico dall'immigrazione clandestina . L'unico dato incontrovertibile riguarda la vera vittima di questa situazione : il clandestino. Nella descrizione del viaggio del clandestino eritreo vi e' , fin dall'inizio , la presenza fattiva dell'organizzazione criminale ma in molti casi, soprattutto per ragioni economiche il clandestino si muove in questo esodo biblico da solo per poi magari contattare la criminalita' organizzata solo nell'ultimo tratto (via mare o via terra) del suo viaggio. E' generalmente il caso dei somali che comunque tendono ad entrare in Sudan dall'Eritrea (via Gibuti) , dall'Etiopia o - quando stazionano gia' nei campi profughi (il piu' grande e' quello di Dadaab e/o quello di Kakuma ) dal Kenya. Il loro viaggio , in questo caso, e' tra i piu' lunghi e tra i piu' difficili .Altrimenti vengono radunati a Dhobley (in Somalia), passano il confine, si spostano tra i campi profughi di Ifo e Garissa, sostano nei quartieri a maggior presenza di connazionali in Nairobi . Poi si dirigono a Lokichogio, e da li' raggiungono la capitale del sud del Sudan, Juba C'e' da percorrere tutto il sud del Paese ( e fino a poco tempo fa c'era la guerra civile) , attraversare il Darfur, arrivare a Khartoum (la capitale sudanese e' il crocevia principale per il traffico di eritrei, etiopi e somali) o cercare di attraversare il Ciad e poi il Niger per proseguire con mezzi di fortuna verso la Libia. Altri invece , da Nairobi si spostano verso l'Uganda entrando da Malaba o Busia, arrivano a Kampala ma poi convergono anch'essi verso Khartoum. . C'e' una organizzazione che porta i clandestini dal Paese di origine a Khartoum. Qui il clandestino viene preso in consegna dall'organizzazione locale che ne cura il trasferimento in Libia. In questo Paese opera la terza organizzazione che pensa poi all'imbarco. Tutte e tre collegate e coordinate tra loro . A fattor comune la regola principe : il facilitatore e' sempre un connazionale del clandestino. C'e' poi il caso dei nigeriani, nigerini, ghanesi, burkinabe', maliani o di altri Paesi dell'area sahelosahariana, che seguono rotte diverse per arrivare alle coste del mediterraneo. Non hanno i soldi per pagare una organizzazione che li aiuti e arrivano con i propri mezzi in Mali e poi Niger. Si tratta di transumanze che seguono il ciclo delle stagioni : attraversamento del deserto tra ottobre e Invisible Dog – Periodico online Direttore Responsabile – Alessandro Righi Edito da Invisible Dog Srl Via Cassia 833, Rome, Italy Testata registrata presso il Tribunale di Roma n.198/2011 del 17/6/2011 marzo (quando le condizioni climatiche sono piu' accettabili), attraversamento del mare tra aprile e settembre (per analoghe considerazioni). Purtroppo, nonostante queste precauzioni , il deserto libico ed il Mediterraneo sono diventati per molti una tomba . Mancano dati statistici al riguardo su queste morti silenziose ma viene reputato che su 100 clandestini che intraprendono questo calvario,un 10/20% arriva a destinazione, un 5/10% muore per strada , il resto rinuncia o si ferma in un paese di transito per confrontarsi con una vita di stenti , dove alla poverta' da cui cercava di scappare , si aggiunge la discriminazione , lo sfruttamento , le estorsioni e le umiliazioni. Si tratta di un viaggio, cadenzato nel tempo , dalle risorse finanziarie che il clandestino , da Paese a Paese, da tappa a tappa riesce ad acquisire con il lavoro nero. Puo' durare anni. Un clandestino che parte dal suo Paese non si pone mai il problema dei rischi che corre per sopravvivere in un deserto o attraversare il mare con una barca fatiscente . Sa solo quello che lascia e questo e' sufficiente ad esorcizzare quello che dovra' affrontare. I clandestini senza sufficienti mezzi finanziari per pagare i cosidetti “facilitatori”(si tratta nella stragrande maggioranza di quelli provenienti dai Paesi dell'area sub-sahariana) sono alla merce' dei maggiori soprusi : maltrattamenti continui, rapine, stupri per le donne , fino ad arrivare a forme piu' o meno lunghe di schiavitu'. Affluiscono lungo la direttrice Tahoua- Agades, si muovono in zone desertiche infestate da banditi e trafficanti e si avvicinano al confine libico. Lo attraversano presso il valico di Tohumm (aut Tumi ) se entrano dal Niger . Lo attraversano tra l'oasi di Djanet e Tin Alkounse entrano dall'Algeria. Da qui si dirigono verso l'oasi di Ghat , per poi proseguire su Sebhain direzione della costa ( tragitto che i trafficanti evitano per non confrontarsi con le minacce ed i ricatti delle bande di taglieggiatori eufemisticamente affiliate ad Al Qaida nel Maghreb Islamico) . Altri invece cercano di seguire le rotte utilizzate dai trafficanti ( Kufrah, al Qatrum se Libia; Jebel Awainat se Egitto); Ma da Agades possono optareper un percorso alternativo- anche questo ad alto rischio per la diffusione del banditismo - che li porti a Nouadhibou, sulle coste della Mauritania per poi tentare lo sbarco nelle Canarie . Come ultima alternativa c'e' poi la rotta che dalla Mauritania porta al Marocco per raggiungere la foresta di Bel Yunes ( e tentare l'ingresso clandestino a Ceuta ) o quella di Mariwari ( e tentare l'ingresso nell'enclave di Melilla). Altrimenti , soprattutto per chi ha piu' soldi c'e' anche un'ultima possibilita' : l'imbarco clandestino su traghetti o barche da pesca che operano tra le due sponde del mediterraneo per raggiungere la Spagna. Ultima tipologia di clandestini sono poi quelli di origine nordafricana : i tunisini , gli algerini e gli egiziani (si escludono i marocchini che tendono ad entrare in Europa direttamente dal loro paese attraverso la Spagna e i libici che , stante il livello alto di benessere della loro societa' a fronte di una densita' anagrafica limitata , non sono presenti nello specifico traffico come attori principali se non come soggetti attivi dell'attivita' illegale). Gli algerini talvolta tentano direttamente di organizzare viaggi via mare partendo dalle coste di Annaba. In questo caso l'obiettivo da raggiungere non e' Lampedusa ma la Sardegna. Molte altre volte , quando il traffico era fiorente , preferivano raggiungere la Libia. Per quanto riguarda i tunisini e gli egiziani, l'opzione Libia e' sempre stata prevalente. I tunisini entrano in Libia da Ras al Jadir seguendo le piste dei contrabbandieri. Altrettanto fanno gli egiziani da Umm Saad. A differenza dei clandestini provenienti dall'area sub-sahariana , queste comunita' nordafricane arrivano a Tripoli senza problemi in quanto facilitati dalle comuni radici arabe, da regolamentazioni Invisible Dog – Periodico online Direttore Responsabile – Alessandro Righi Edito da Invisible Dog Srl Via Cassia 833, Rome, Italy Testata registrata presso il Tribunale di Roma n.198/2011 del 17/6/2011 regionali piu' permissive operanti a loro favore e da uno specifico timore riverenziale che le autorita' libiche hanno sempre avuto verso Paesi confinari peraltro demograficamente e militarmente piu' importanti. Le ultime statistiche , prima del tracollo del regime di Gheddafi indicavano una presenza di clandestini nel Paese sull'ordine di 2 milioni (su una popolazione complessiva di 6 milioni di autoctoni) di cui quasi oltre un milione di egiziani. Comunque anche il nordafricano aspirante clandestino verso l'Europa per un imbarco doveva contattare e pagare un facilitatore. La grossa differenza tra il clandestino nordafricano e quello sub-sahariano , una volta arrivati in Libia e' il trattamento che viene riservato a quest'ultimo in caso di arresto. Ai tempi di Gheddafi operavano 25 strutture come centri di detenzione e identificazione dei clandestini. I piu' noti : Misurata, Zawiya, Janzur, Kufrah, Sabratha, Ganfuda, Al Fellah, Ajdabiya , Khoms , Jawazat , Garabulli, Zleitan , Zuwarah, Sorman, Hun , Twisha, Benkheshir , Gurji, Bani Walid .Tutti erano sotto la sorveglianza della polizia , tutti (salvo Misurata) erano senza strutture sanitarie all'interno. Alcuni di essi molto grossi ( Misurata e Kufrah con circa 800/1000 detenuti) , altri meno capienti come stazioni o caserme di polizia. Quello di Twishaserviva come punto di partenza per il rimpatrio forzato via aereo. In Misurata venivano raccolti soprattutto gli eritrei. Nella generalita' dei casi erano strutture sovraffollate . Nel 2009 i clandestini detenuti erano circa 18/20.000. Generalmente gli uomini erano separati dalle donne ed i figli minori erano mantenuti nelle celle della madre Non esisteva una regolamentazione sulla durata dei termini di detenzione. Ne' si veniva portati davanti a un giudice che ne comminasse la pena. La polizia arrestava, la polizia liberava in arbitrio assoluto. Si usciva dal carcere se si corrompeva una guardia carceraria o un poliziotto (ed in tal caso il detenuto liberato era subito sostituito numericamente e con gli stessi dati anagrafici da un altro clandestino catturato), se l'individuo veniva “prestato” per lavori in nero a committenti libici, se le condizioni di salute erano talmente precarie da costituire problema nella gestione della detenzione . Abusi, maltrattamenti ,stupri , pestaggi erano merce quotidiana soprattutto in quelle strutture lontane da Tripoli e quindi fuori da ogni possibile risonanza internazionale. Nessun funzionario di organismi internazionali - tra quei pochi che avevano limitato accesso ai centri di detenzione ( U.N.H.C.R., O.I.M., C.I.R.. International Organization for Peace and Development ) poteva liberamente documentare eventuali abusi se non con la certezza di essere espulsi il giorno dopo. Quindi assenza di controlli e/o omerta' assoluta anche a livello internazionale. In teoria il centro di identificazione doveva servire ad identificare la nazionalita' del detenuto e programmarne il rimpatrio. Nella realta' le espulsioni avvenivano, soprattutto in presenza di picchi di sovraffollamento, su decisione unilaterale libica e non in virtu' di accordi bilaterali tra Stati. Anche le modalita' di espulsione variavano da nazionalita' a nazionalita' : Voli charter per ghanesi , nigeriani e marocchini; Traduzione forzata di clandestini verso i confini comuni per algerini, tunisini e egiziani (per quest'ultimi si sono verificati nel tempo anche casi di decesso per disidratazione e soffocamento perche' stipati dentro container e lasciati ore sotto il sole; Somali e eritrei radunati a Kufrah e poi devoluti al lavoro nero locale ( essendo cittadini di paesi che non contemplavano il rimpatrio. Nel caso eritreo , alcuni tentativi di rimpatrio forzato avevano scatenato rivolte nei carceri e proteste internazionali); I clandestini appartenenti ai Paesi del sahel (Niger , Mali, Burkina Faso) venivano invece Invisible Dog – Periodico online Direttore Responsabile – Alessandro Righi Edito da Invisible Dog Srl Via Cassia 833, Rome, Italy Testata registrata presso il Tribunale di Roma n.198/2011 del 17/6/2011 estradati forzatamente nel deserto , minacciati di ritorsione nel caso fossero tornati indietro e li' abbandonati. Questa tipologia di sorte e' stata applicata indiscriminatamente anche a quei clandestini - di cui le autorita' italiane non hanno mai voluto accertare la nazionalita' ne conoscerne a posteriori il destinoche dal maggio 2009 , intercettati in mare , sono stati di volta in volta restituiti alle autorita' libiche . Sui rimpatri forzati poi sono fioriti anche commerci collaterali da parte di personaggi vari . Un ambasciatore somalo a Tripoli, designato ai tempi di Abdullahi Yusuf negoziava il riscatto dei propri connazionali , in collusione con i direttori dei carceri, facendosi mandare soldi dai familiari in Somalia e quindi provvedere a liberare il familiare (tariffa : 800/1000 $). Il console nigeriano , dietro compenso , certificava ( e quindi ne determinava l'espulsione) o non certificava la nazionalita' di un proprio connazionale secondo un proprio tariffario (da tenere conto al riguardo che i clandestini, proprio per evitare l'espulsione sono senza documenti di identificazione e tendono a dichiarare false generalita' e nazionalita'. Talvolta parlano lingue che non sono conosciute da coloro che li interrogano. Il risultato era una registrazione dei detenuti approssimata ). In alcuni casi gli abusi ai clandestini sono stati perpetrati anche dai trafficanti che ne dovevano favorire l'espatrio : i clandestini venivano portati sulla spiaggia ed improvvisamente compariva la polizia ad arrestarli. Guadagno doppio per il trafficante che non aveva bisogno nemmeno di reperire o pagare un natante. Quei clandestini reperiti sul mercato nero per lavori di fatica molte volte non venivano pagati dal committente libico che minacciava , al termine della prestazione lavorativa ,di farli arrestare. Comunque , su questa manovalanza a basso prezzo ( o costo zero) si sono costituite in Libia anche realta' economiche parallele. (fine della prima parte – continua nella prossima edizione) Invisible Dog – Periodico online Direttore Responsabile – Alessandro Righi Edito da Invisible Dog Srl Via Cassia 833, Rome, Italy Testata registrata presso il Tribunale di Roma n.198/2011 del 17/6/2011 L'AFGHANISTAN e l' "offensiva di primavera" Gli attacchi simultanei da parte dei Talebani del 15 aprile scorso alle infrastrutture civili e militari di Kabul e di alcune province limitrofe hanno posto alcuni interrogativi sulla complessa situazione afghana e sui possibili sviluppi: i Talebani, movimento di opposizione al governo del Presidente Karzai, si esprimono in termini di sconfitta delle forze di sicurezza afghane e di inizio del ritiro delle forze NATO di supporto; il regime di Karzai rileva l'inefficienza dell'apparato informativo ISAF; a seguito dell'avvenimento in esame, l'Australia starebbe valutando la possibilita' di anticipare il ritiro del proprio contingente, rispetto al previsto 2014: una decisione, qualora concretizzata, di considerevole impatto psicologico nei confronti degli altri contingenti della missione ISAF ("International Security Assistence Force"); non vanno trascurate le incidenze delle scadenze internazionali: il vertice NATO di Chicago (maggio 2012); le elezioni presidenziali USA del prossimo novembre. Peraltro, alcuni osservatori del teatro afghano parlano di "offensive d'estate" (e non di primavera), nel senso che i Talebani continueranno a far parlare di se' nei mesi prossimi. L'"offensiva di primavera" I "Talebani", movimento a base tribale (vari clan dell'etnia Pashtun) formatosi negli anni '90' dopo la cacciata dal Paese degli occupanti sovietici per la conquista del potere a Kabul nel periodo successivo al regime fondamentalista del Mullah Omar (1996-2001), hanno organizzato le proprie basi operative nella "aree tribali di confine", nel Pakistan, da dove muovono per azioni terroristiche in territorio afghano. Sono costituiti in "reti"; le piu' note: quelle del Mullah Omar, di Gulbudin Hekmatiar, di Ismail Khan e di Abdul Aki. La "guida spirituale" del movimento dei Talebani (Talebano sta per "studente del Corano) e' il Mullah Omar Ahmed, nato a Nodeh (nei pressi di Kandahar) nel 1959, fondatore ed emiro dell' "Emirato Islamico dell'Afghanistan" dal 27 Settembre 1996 al 13 Novembre 2001, basato sulla "legge coranica" (Sharia) e su quanto ne consegue: burqa e nessuna frequenza di scuole per le donne, barba per gli uomini; in sintesi, eliminazione dal Paese di tutto quanto possa essere o apparire "occidentale" e pene severe per i trasgressori, fino alla lapidazione e alla pubblica esecuzione. Dal 2001, a seguito dell'intervento USA in Afghanistan (fine dell'Emirato), il Mullah Omar mantiene la propria clandestinita' (con conseguenti "taglie" da parte degli Stati Uniti: da 10 milioni di dollari per sole informazioni a 25 milioni di dollari per la cattura). Ricorrono spesso notizie sulla morte e/o sulla cattura del Mullah Omar, poi smentite! Di particolare interesse l'apertura di Washington a colloqui diretti con esponenti "moderati" Talebani a Doha (Qatar) il 28 gennaio scorso: si tratta di colloqui di riconciliazione incentrati sul rilascio di prigionieri Talebani detenuti a Guantanamo e sulla possibile apertura di un Ufficio Politico dei Talebani a Doha. Invisible Dog – Periodico online Direttore Responsabile – Alessandro Righi Edito da Invisible Dog Srl Via Cassia 833, Rome, Italy Testata registrata presso il Tribunale di Roma n.198/2011 del 17/6/2011 Nella giornata del 15 aprile i Talebani avrebbero sorpreso le forze governative con attacchi simultanei, ben organizzati nei giorni precedenti: tre di questi nella Capitale (il Parlamento, il quartiere della ambasciate di Germania, del Regni Unito e del Giappone, le basi NATO - Q.G. della missione ISAF e l'Aeroporto) e altri tre nelle province limitrofe di Nangahar (l'Aeroporto di Jalalabad), di Lowgar (base USA di Pul-e-Alam) e di Paktia (Centro di Addestramento della Polizia di Gardez). Le tre province indicate confinano con il Pakistan occidentale, attraverso le aree tribali pakistane, denominate FATA (Federally Administreted Tribal Areas ), in particolare del Waziristan del Nord e della "Provincia del North-West Frontier" (NWFP) pakistana. Si tratta di aree che sfuggono al controllo del governo di Islamabad per la loro impenetrabilita' e per la difficile percorribilita'; peraltro, non fruiscono di sussidi amministrativi del Governo in quanto considerate "legate al terrorismo". I Talebani afghani, come gia' detto, utilizzano le FATA per lanciare offensive contro le forze governative afgane e quella della coalizione ISAF; come pure dalle FATA partono offensive contro il Governo pakistano da parte di movimenti di opposizione, come il TTP (Terik-el Taliban in Pakistan); in sintesi, si tratta del "doppio versante" delle FATA. Nella circostanza in esame, le FATA sarebbero state "basi" per le ricognizioni preliminari e per l'accantonamento di materiali e di armamenti per gli attacchi. Nella fase condotta e' risultato significativo il coordinamento tra i gruppi operativi Talebani, attraverso l'occupazione di postazioni dominanti nei confronti dei vari obiettivi (il piano piu' alto dell'hotel "Kabul Star", nel quartiere delle Ambasciate, e quello di un altro albergo in costruzione, nei pressi dell'area "Parlamento-Ambasciata di Russia"); significativo altresì l'impiego di personale "shahid" (kamikaze, piu' comunemente detto) che si e' fatto esplodere in corrispondenza della difesa vicina e dei muri di cinta dei vari obiettivi. Dopo alcune ore di scontri per l'occupazione di postazioni e per la neutralizzazione delle difese vicine, l'attacco agli obiettivi (circa 17 ore, secondo i mass media) ha fatto registrare 36 morti da parte dei Talebani, 11 morti tra le forze afghane (Esercito e forze di sicurezza), 5 morti tra i civili. Come gia' nei precedenti attacchi del settembre 2011 e del 24 marzo scorso, e' stato ben coordinato il ripiegamento (solamente due i Talebani catturati) e il ritorno alla normalita' delle aree investite. Alcune considerazioni L'offensiva da parte dei Talebani all'inizio di primavera costituisce un rituale previsto, dopo le condizioni proibitive per le operazioni dell' "inverno afgano"; viene effettuata anche per riaffermare la propria presenza sul teatro afghano ed eventualmente "alzare la posta" dei colloqui in atto, come quelli di Doha. Questa volta l'offensiva e' stata preceduta da avvenimenti che hanno inciso sul comune sentire della popolazione locale, anche se strumentalizzati da qualche capo tribu'; ci si riferisce : al rogo delle copie del Corano nell'Aeroporto di Kabul (base USA di Bagram); alla profanazione di un militante afgano deceduto ("urine" sul cadavere da parte di soldati USA); Invisible Dog – Periodico online Direttore Responsabile – Alessandro Righi Edito da Invisible Dog Srl Via Cassia 833, Rome, Italy Testata registrata presso il Tribunale di Roma n.198/2011 del 17/6/2011 alla strage a Kandahar dell'11 marzo scorso ad opera di un Sergente USA (16 morti, compresi donne e bambini). Ne e' scaturita la presa di posizione del Presidente Karzai contro i militari ISAF, invitati a non uscire dagli avamposti, definiti FOB (Forward Advanced Base), e soprattutto l'interruzione dei colloqui di riconciliazione di Doha, con l'invito, da parte dei Talebani, di considerare tali colloqui un "avvenimento tra afgani". L'insorgenza ha impegnato le sole forze ISAF dell'Afghanistan orientale; sono state risparmiate le province occidentali (Herat, in particolare), in quanto il controllo di queste ultime e' piu' fattivo e capillare; soprattutto sono lontane dalle possibili rotte di scampo. Un contributo considerevole all'offensiva di primavera e' stato dato ai Talebani dalla "rete Haqqani" di etnia Pashtun, originari della provincia afghana di Paktia, con basi nel Waziristan del Nord, area tribale delle FATA. Il leader della "rete Haqqani" e' Sirajuddin Haqqani, figlio del piu' noto Jalaludin Haqqani, leggendario combattente contro i sovietici "occupanti"; Sirajuddin mantiene buone relazioni con i "Servizi" pakistani e con la "rete al-Qaeda" del defunto Osama bin Laden. L'etnia Pashtun costituisce il 42% della popolazione afghana; e' dislocata nella parte centromeridionale del Paese, costituita da sottogruppi, clan ormai storici, molto radicati nelle proprie aree di origine, talvolta in lotta tra loro (Ghilzai, Durrani, Popalzai - clan del Presidente Karzai - , Haqqani ecc.) anche per il sostegno o per l'opposizione, a seconda dei casi, al Governo di Kabul. I Pashtun sono tradizionalmente legati all'antica Capitale dell'Afghanistan, Kandahar, piu' che a Kabul. Il resto della popolazione e' costituito da "minoranze etniche" dei Paesi confinanti: tagichi (27%), hazari (9%), uzbechi (9%), turkmeni (3%), altri (10%, vi sono compresi i baluci, originari del confinante Pakistan). Importante considerare che sul piano interno la fiducia della popolazione nei confronti del governo Karzai va riducendosi in quanto espressione di corruzione e di accaparramento di aiuti economici che lasciano alla popolazione "poche briciole". I Talebani, quali oppositori del Governo di Kabul, appaiono sempre piu' come "salvatori della popolazione": dispongono di risorse economiche (se pure derivanti dal traffico di droga), danno lavoro e pagano per i servizi loro resi. Peraltro, le fazioni minoritarie piu' "moderniste" cominciano ad "aprire" ai diritti delle donne (partecipazione all'insegnamento; frequenza di alcune scuole riservate fino ad ora all'altro sesso). Sul piano internazionale, con il fallimento della strategia occidentale (importazione nel Paese della democrazia, avulsa dall'aggiornamento delle istituzioni e dall'individuazione, a tal fine, di fazioni piu' moderate con le quali colloquiare), la "chiave di volta" potrebbe passare per l'Islam attraverso il coinvolgimento dei Paesi vicini (come gia' avviato da Washington) ovvero dell'Iran sciita e del Pakistan sunnita; ma sussistono difficolta', in quanto: l'Iran, diversamente da quanto ha potuto attuare nei confronti dell'Iraq e della Siria, ha carte piu' complicate da giocare in Afghanistan; e poi c'e' il programma nucleare; il Pakistan trova vantaggio nella strategia fin qui usata, quella del "doppio gioco e doppio comando", con l'intervento, a seconda dei casi, dei "Servizi di intelligence" o dell'Esercito. Invisible Dog – Periodico online Direttore Responsabile – Alessandro Righi Edito da Invisible Dog Srl Via Cassia 833, Rome, Italy Testata registrata presso il Tribunale di Roma n.198/2011 del 17/6/2011 Quali alternative al ritiro della missione ISAF? Dopo 11 anni di impegno in Afghanistan da parte dell'Occidente, con un considerevole numero di perdite ed un costo elevato (miliardi di dollari), merita attenta valutazione l'annuncio del contingente australiano, specie in vista delle prossime scadenze internazionali: il vertice NATO di maggio a Chicago; la probabile ripresa dei colloqui per l'Afghanistan, in Qatar; le elezioni presidenziali negli Stati Uniti di novembre (per il secondo mandato di Obama). Sta di fatto che si avanzano dubbi sui futuri risultati della missione ISAF: vale la pena di ricordare che dopo l'attacco alle "torri gemelle" dell'11 settembre 2001, il mandato prevedeva la reazione contro l'organizzatore dell'attacco e contro il "regime oppressore" del Paese che lo ospitava, istituendovi la democrazia, allo scopo di evitare analoghe situazioni per il futuro. A questo punto, Osama bin Laden e' stato eliminato, ma l'avvento della democrazia in Afghanistan e' ancora lontano: e' il caso di chiedersi se il Paese sia in condizioni di "fare da solo", ai fini del ritiro della missione ISAF. Nonostante l'accettabile reazione della forze governative afgane contro l'offensiva di primavera dei Talebani del 15 aprile, si individua le necessita' di completare, prima dell'abbandono del Paese, l'addestramento e la formazione dell'ANA (Esercito Nazionale Afghano) e l'ordinamento dell'ANP (Polizia Nazionale Afghana): portare cioe' il totale degli effettivi dagli attuali 300 mila a 350 mila, incrementando soprattutto le forze di polizia dalle 130 mila unita' attuali a 180 mila (e' previsto inoltre, a partire dal 2015, un finanziamento di 4,1 miliardi di dollari l'anno, per il mantenimento dell'operativita' delle forze di sicurezza afghane). Si tratta altresì di organizzare l' "exit strategy" con visione comune, coordinata in ambito ISAF, evitando pericolose iniziative individuali dei Paesi partecipanti, con ripercussioni negative di "effetto domino", date le comuni difficolta' economiche dei governi interessati. e' il caso di considerare anche gli orientamenti del contingente USA: ritiro di 22 mila militari nella prossima estate e disimpegno nel 2014. L'abbandono dell'Afghanistan al momento potrebbe portare al "gia' visto" del 1989 (ritiro dei sovietici), con sviluppi di situazione drammatici sul piano interno, molto prossimi a "guerra civile per il potere" tra opposte fazioni; mantenere il contributo operativo ed economico di ISAF fino al conseguimento dell'idoneita' e dell'autonomia operativa da parte delle forze afgane e comunque, nel rispetto di una decisione coordinata, eviterebbe ripensamenti e interventi successivi. 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