Quando si ama non scende mai la notte

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Quando si ama non scende mai la notte
LIBRO
IN ASSAGGIO
QUANDO SI AMA
NON SCENDE MAI
LA NOTTE
DI GUILLAUME MUSSO
Quando si ama non scende mai la notte
DI GUILLAUME MUSSO
1
La notte in cui tutto ebbe inizio
Dobbiamo abituarci all’idea: ai più
importanti bivi della vita, non c’è
segnaletica.
Ernest Hemingway
Dicembre 2006
È la sera di Natale nel cuore di Manhattan...
La neve cade incessante dalla mattina. Intirizzita, la «città che non dorme
mai» gira al rallentatore, nonostante l’orgia di luminarie.
Il traffico è stranamente scorrevole per un giorno di festa, ma lo strato di neve
farinosa e i grossi mucchi ai lati della strada rendono difficile ogni
spostamento.
All’angolo tra Madison Avenue e la 36a, le limousine sfilano una dopo l’altra, e
si fermano a scaricare i passeggeri davanti all’edificio in stile rinascimentale
della Morgan Library, una delle istituzioni culturali più prestigiose di New York,
che festeggia oggi il suo centenario.
La scala d’ingresso è un turbinio di pellicce, gioielli, smoking e abiti lunghi. La
folla confluisce verso un padiglione di vetro e acciaio di più recente
costruzione, che proietta armoniosamente il palazzo nel Ventunesimo secolo.
All’ultimo piano, un lungo corridoio conduce a una sala dove sono esposti i
tesori della Morgan: una Bibbia di Gutenberg, alcuni manoscritti rniniati
medievali, disegni di Rembrandt, Leonardo da Vinci e Van Gogh, lettere di
Voltaire e Einstein, e perfino il tovagliolo su cui Bob Dylan scrisse le parole di
Blowin’ in the Wind.
A poco a poco si fa silenzio e i ritardatari raggiungono i propri posti. Per la
serata una parte della sala lettura è stata attrezzata per ospitare il concerto
della violinista Nicole Hathaway, che esegue alcune sonate di Mozart e
Brahms.
La Hathaway entra in scena tra gli applausi. E una donna sui trent’anni,
sofisticata, con un elegante chignon alla Grace Kelly che le dà un’aria da
eroina hitchcockiana. Ha inciso il primo disco a sedici anni, suonato con le
maggiori orchestre del mondo e ottenuto i riconoscimenti più prestigiosi.
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Cinque anni fa la sua vita è stata sconvolta da una tragedia di cui hanno
parlato stampa e televisione, e da allora la sua celebrità ha superato i confini
della cerchia degli appassionati di musica da camera.
Nicole saluta il pubblico e sistema il violino sotto il mento. La sua bellezza
classica si accorda alla perfezione con la sala piena di incisioni e manoscritti
rinascimentali, come se quello fosse il suo habitat naturale. Con un attacco
schietto e profondo, l’archetto entra immediatamente in sintonia con le corde.
Intorno, ogni dettaglio è imbevuto di buongusto e raffinatezza.
Fuori la neve continua a cadere nella notte fredda.
A meno di cinquecento metri da lì, non lontano dalla Grand Central Station, la
lastra di un tombino si solleva lentamente e ne emerge la testa irsuta di un
uomo dallo sguardo vacuo e il viso sciupato.
Dopo aver liberato il labrador nero che teneva in braccio, l’uomo si tira su a
fatica e attraversa la strada barcollando, col rischio di farsi investire, in mezzo
a un concerto di clacson. E debole e malconcio, perso nel suo cappotto
logoro e sporco. Istintivamente le gente lo scansa e affretta il passo.
Ha trentacinque anni, ma ne dimostra cinquanta. Una volta aveva un lavoro,
una moglie, una figlia e una casa, ma è stato tanto tempo prima. Oggi
quest’uomo è solo un fantasma di stracci che biascica parole incoerenti.
Che giorno è? Che ora è?
Non lo sa più. Nella sua testa tutto si confonde. Vede le luci della città sfocate
davanti a sé. I fiocchi di neve portati dal vento gli feriscono il viso, ha i piedi
ghiacciati, lo stomaco vuoto che urla di dolore, le ossa sul punto di rompersi.
Sono già due anni che ha abbandonato la propria vita per rintanarsi nelle
viscere della città. Come tanti altri, ha trovato riparo nei tunnel del metrò, nelle
fogne e sui binari morti delle ferrovie. La politica di tolleranza zero
dell’amministrazione cittadina ha ripulito scrupolosamente Manhattan, ma
sotto i grattacieli sfavillanti pulsa una vita parallela: una New York di relitti
umani che galleggiano nel dedalo di cunicoli, nicchie e cavità. Migliaia di talpe
respinte nei bassifondi si nascondono dalla polizia nelle luride gallerie
infestate dai ratti.
L’uomo si fruga in tasca e tira fuori una bottiglia di liquore di infima qualità.
Per dimenticare il freddo, la paura, la sporcizia. Per dimenticare la sua vita di
un tempo.
Ultimo colpo d’archetto di Nicole Hathaway. Per lo spazio di due battute — un
silenzio che appartiene ancora a Mozart — la platea rimane con il fiato
sospeso prima di sciogliersi in un applauso scrosciante.
La violinista ringrazia con un inchino, riceve un mazzo di fiori e attraversa la
sala fra sorrisi e complimenti. Nonostante l’entusiasmo, sente di non aver
dato il massimo. Ha suonato con tecnica perfetta, energia, purezza di
ghiaccio. Ma non con l’anima.
Stringe meccanicamente qualche mano, si bagna le labbra di champagne e si
guarda intorno inquieta.
«Vuoi che rientriamo, cara?»
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Nicole si gira lentamente verso quella voce rassicurante. Eriq le sta davanti,
sorseggiando un Martini. E il suo compagno da qualche mese: un avvocato,
un uomo solido e premuroso, che ha saputo starle vicino in un momento
difficile.
«Sì, mi gira la testa. Portami a casa.»
Avendo previsto la sua risposta, Eriq era già andato al guardaroba e, ora, le
porge un cappotto di flanella grigia. Lei se lo infila e si stringe il bavero intorno
al collo.
Proprio mentre la festa comincia, i due scendono l’imponente scalone di
marmo tenendosi per mano.
«Ti chiamo un taxi» propone lui quando arrivano nell’atrio. «Io vado a
prendere la mia auto in ufficio e ti raggiungo.»
«Vengo con te. Saranno cinque minuti a piedi.»
«Scherzi? C’è un tempo da lupi.»
«Ho bisogno di camminare e respirare un po’ d’aria fresca.»
«Ma e pericoloso!»
«Da quando in qua è pericoloso fare trecento metri a piedi? E poi ci sei tu.»
«Come vuoi.»
Raggiungono in silenzio la 5a Avenue.
L’auto si trova a cento metri, dietro Bryant Park. Nelle belle giornate il Bryant
è un’oasi di verde, ideale per passeggiate, picnic o partite a scacchi accanto
alla fontana, ma di sera è buio e sinistro.
«FUORI I SOLDI!»
Nicole vede una lama, scintillante come un lampo.
«FUORI I SOLDI, HO DETTO!»
È un uomo senza età, con la testa rasata e una giacca a vento scura che gli
arriva alle ginocchia. Il viso, segnato da una lunga cicatrice, incornicia due
occhi animati dalla luce della follia.
«FORZA, SBRIGATI!»
«Va bene, va bene» si affretta a dire Eriq, tirando fuori portafogli orologio e
cellulare.
L’uomo afferra gli oggetti, poi si avvicina a Nicole per strapparle la borsa e
l’astuccio con il violino. Lei serra forte gli occhi, e recita mentalmente
l’alfabeto al contrario, come faceva da bambina quando aveva paura.
ZYXWVU...
È l’unica cosa che le viene in mente, l’unico sistema per neutralizzare il
terrore in attesa che quel momento diventi un ricordo.
TSRQPO...
Ora se ne andrà, ha avuto quello che voleva.
NMLKJ I H...
Se ne andrà. A che gli servirebbe ucciderci?
GFEDCBA...
Ma quando Nicole riapre gli occhi, lo sconosciuto è sempre lì e ha il braccio
alzato.
Eriq vede la mano con il coltello abbassarsi, ma è paralizzato dalla paura.
Lei guarda ipnotizzata la lama che sta per tagliarle la gola. E tutta qui, la sua
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vita? Che strano. Dicono che a volte, in punto di morte, si rivedano in rapida
sequenza i momenti salienti della propria esistenza. Nicole, invece, ha solo
un’immagine impressa nella mente: una spiaggia immensa, e due persone
che la chiamano con la mano. Le distingue bene. La prima è il solo uomo che
abbia mai amato e che non ha saputo trattenere. La seconda è sua figlia, che
non ha saputo proteggere.
Sono morta.
No. Non ancora. Come mai?
Qualcuno è sbucato fuori dal nulla. Un barbone.
Li per lì Nicole pensa a un altro teppista, poi capisce che il nuovo venuto sta
tentando di proteggerla. Anzi, è lui che si becca una coltellata nella spalla.
Benché ferito, si rialza, si lancia con rabbia contro l’aggressore, lo disarma e
lo costringe a mollare il bottino. Per quanto sia più magro e più debole, il
senzatetto prende il sopravvento nel corpo a corpo e, con l’aiuto del suo
labrador nero, mette in fuga l’avversario.
Ma la vittoria lo ha provato. Sfinito, crolla per terra, sbattendo la faccia sul
marciapiedi ghiacciato.
Nicole si inginocchia sulla neve, cercando di soccorrere l’uomo che le ha
salvato la vita. Ci sono tracce di sangue.
«Diamogli venti dollari e andiamo via» propone Eriq, raccogliendo il portafogli
e il cellulare.
Ora che il pericolo è passato, l’avvocato ha ritrovato la sua parlantina.
Nicole lo guarda con disprezzo.
«Non vedi che è ferito?»
«Allora chiamo la polizia.»
«Non è la polizia che bisogna chiamare, ma un’ambulanza.»
Con qualche difficoltà, Nicole riesce a girare il corpo dello sconosciuto. Gli
posa una mano sulla spalla sanguinante e gli guarda il viso dalla barba
incolta.
In un primo momento non lo riconosce, poi i suoi occhi incrociano quelli
febbricitanti dell’uomo.
Qualcosa in lei si spezza. Si sente invadere da un’ondata di calore, non sa
ancora se è dolore o sollievo. Una fiamma che la ustiona o una speranza che
sorge nella notte.
Si china su di lui e avvicina il viso al suo come per difenderlo dalla neve.
«Che cosa ti salta in mente?» chiede Eriq.
«Lascia perdere la telefonata e va’ a prendere l’auto.»
«Perché?»
«Quest’uomo... lo conosco.» «Come? »
«Aiutami a trasportarlo a casa» ordina lei senza far caso alla domanda.
Eriq scuote la testa, poi sospira: «Insomma, si può sapere chi è questo
tizio?».
Con lo sguardo perso nel vuoto, Nicole lascia passare un lungo istante prima
di rispondere: «E' Mark, mio marito».
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Aggiornata il giovedì 17 aprile 2008
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