Notte prima degli esami

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Notte prima degli esami
LIBRO
IN ASSAGGIO
NOTTE PRIMA DEGLI
ESAMI OGGI
DI LUCA E AZZURRA
Mi chiamo Luca Molinari
Avete mai avuto un colpo di fulmine? A me è successo, e vi assicuro che non
scorderò mai quel momento, potessi campare un milione di anni. Mi è capitato
negli stessi giorni in cui ho scoperto la verità su mio padre, ho messo alla
prova l’affetto dei miei migliori amici e l’Italia ha vinto i Mondiali di calcio. E,
come se non bastasse, tutto questo è avvenuto mentre mi preparavo per la
prova più dura che tutti i ragazzi devono affrontare, un’orribile tortura che
colpisce in modo indiscriminato intere generazioni che ne rimangono segnate
per sempre. Avete capito di cosa sto parlando? Giusto: l’esame di maturità.
Ma andiamo con ordine. Mi chiamo Luca Molinari, ho diciannove anni, e i miei
sono proprietari di un negozio di giocattoli nel centro di Roma che gestiscono
assieme. Mia madre si cliama Antonella. Direi che è ancora una bella donna e
dimostra meno dei suoi quarant’anni, anche perché ci tiene a essere sempre
in ordine. Mio padre Paolo, invece, be’, è un po’ più vecchio di lei, ma sembra
che non se ne ricordi proprio. Gli piace fare il ragazzino, e mi viene voglia di
seppellirmi quando si mette a raccontare barzellette ai miei amici.
Che per giunta non fanno ridere.
Un’altra cosa incredibile di mio padre è che abita a Roma ma da una vita, ma
ha ancora l’accento toscano. Dice che fa sofisticato, mah...
La mia storia comincia il giorno dopo la fine dell’anno scolastico, il primo
giorno del resto della mia vita, ilprimo giorno di libertà... esame escluso. Le
mie possibilità di scamparla alla maturità erano scarse, infinitesimali, direi.
Tenendo conto dei miei pochissimi crediti scolastici, dell’influsso della luna e
dell’oroscopo on line di Branko, erano circa una su un milione. Ero messo
male quasi quanto Massi, il mio migliore amico, che in cinque anni non aveva
mai aperto un libro, e che adesso stava studiando i sistemi più incredibili per
copiare: SMS, tatuaggi sul corpo, fotocopie di libri di testo talmente piccole da
poter essere nascoste sotto le unghie.
Logicamente avrei dovuto dedicare tutto il tempo che mi rimaneva a cercare
di recuperare, ma la vista dei libri impilati sulla scrivania, alcuni dei quali
coperti di polvere perché non li aprivo da secoli, mi scoraggiava. Meglio fare
un giro in città a cavallo del mio scooter, appena sveglio, cioè a mezzogiorno.
Roma era fantastica, come sempre all’inizio dell’estate, e tutti in strada
avevano la faccia di chi si prepara alle vacanze. Girai un po’, presi un cornetto
con la crema al Charlie, poi passai al negozio a salutare i miei.
Quando entrai, vidi mio padre nella sezione GIOCHI ELETTRONICI (così
diceva il cartello) che si agitava tutto alla console della PlayStation in
esposizione. Stava giocando a Mario Smash Football, gridando a pieni
polmoni la telecronaca.
Peccato che il suo avversario fosse un bambino di otto anni che lo guardava
spaventato.
«Gran gol!» gli gridò mio padre in faccia. «Umiliati gli avversari con un gran
gol di Super Mario.»
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Ovviamente il bambino si mise a piangere, e sua madre arrivò di corsa,
incavolata nera. «Ma scusi, eh! Le sembra il modo di comportarsi? Mio figlio
ha otto anni.» Mio padre si lisciò il bavero della giacca con arn di superiorità.
«Guardi» rispose «avrà pure otto anni ma è stato scol.rettissimO. Gli hanno
espuiso due tartarughe e ha finito la partita in nove.»
La madre afferrò il bambino per la mano e lo trascinò via, quasi
travolgendomi sulla porta d’ingresso, dov’ero rimasto a gustarrni la scena. «Io
non ci entro più in questo negozio. Andiamo Giannandrea...»
«Di sicuro non si va falliti!» gridò mio padre. «Insegni a suo figlio il fair play,
piuttosto!>’
Mia madre, da dietro il bancone, scosse la testa. «Paolo! La postazione
l’abbiamo messa per far provare i videogame ai clienti, non per cacciarli via!»
«Guarda che è lui che ha cominciato.»
«Ma smettila...» Mi vide. «Ciao, amore. Ben alzato, eh?» «Allora? Com’è
andata ieri sera la finale?» chiese mio padre.
Eh, già, perché la sera prima avevo avuto la finale del torneo scolastico
contro la quinta B. Io avevo la maglia numero 9 e, non per vantarmi, ma ero
stato il perno di tutta la squadra. Per altro, avevamo un tecnico di eccezione,
anzi, un’allenatrjce. La prof di matematica, Elisabetta Paham, esperta di
tattiche e schemi. Per essere un’insegnante, la Paliani non era male. Sulla
trentina, capelli lunghi alle spalle, sempre sorridente... Grazie alle sue
maghette attillate aveva conquistato il titolo di “prof più boria della storia
dell’umanità”. E non piaceva solo a noi denti, come avrei scoperto con orrore
poche ore dopo. Tornando alla partita, nonostante i miei sforzi sovrumani era
finita in modo umiliante.
«Abbiamo perso» dissi mestamente. «Massi ha sbaguato Un rigore.» «Ha
rifatto il cucchiaio?»
«Eh, già. Ha tirato dritto in braccio al portiere. Come l’altra volta.» Erano due
finali che perdevamo così, per colpa di Massi. Un gran cazzaro, ma gli amici
bisogna tenerseli come sono, purtroppo.
«Ora pensa a studiare per gli esami che magari ti rifai con l’Italia che vince i
Mondiali» intervenne mia madre.
«See, capirai!» disse mio padre. «Guarda, se Lippi vince i Mondiali mi faccio i
capelli tricolori!»
Mi squillò il cell. Era Alice, una mia compagna di classe carina, rossa di
capelli, che mi stava dietro. Trovava sempre una scusa per sentirmi e mi
guardava in modo strano, quando pensava che non me ne accorgessi. Ma io
non me la sentivo di farmi una storia con lei, avrei solo rovinato un’amicizia a
cui tenevo. «Gelato al Charlie?» chiese.
Ottima idea. «Vai. Dillo anche a mister Cucchiaio, ci vediamo li.»
Quando riattaccai mia madre mi guardò scontenta. «Oh, mi raccomando
Luca, non studiare mai, eh!»
«Mamma, ci mancherebbe altro, mi conosci!»
«Vabbè» disse mio padre. «Chiudiamo, Antonella? Che ti porto a mangiare al
vegetariano. Quello che ti piace tanto.»
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«Ma, Paolo, ogni volta bisogna fare un mutuo per pagare il conto...»
«Tanto, mutuo più, mutuo meno...»
Uscii, lasciandoli a discutere.
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