erros ramazzotti

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erros ramazzotti
Live concert
Eros
Ramazzotti
Ali e Radici
zionali, affiancati da alcuni fra i più stimati tecnici italiani.
Il progetto e la direzione dello show sono infatti di Serge
Denoncourt (Cirque du Soleil), la direzione del team di Nathalie Goodwin, mentre i contenuti video sono curati per
Geodezik da Olivier Goulet (Justin Timberlake, Linkin Park,
The Killers, Cher…) e Gabriel Coutu‑Dumont; le luci sono
affidate a Barry Halpin, giovane professionista che ha nel
curriculum collaborazioni con artisti che si chiamano Pink,
Tina Turner, Cristina Aguilera. Il set designer è Guillame
Lord (Cirque du Soleil) assistito da Olivier Landreville.
Tutta italiana invece la produzione musicale, con la direzione
di Claudio Guidetti e la preproduzione di Michele Canova.
Insomma un vero “star team” che ha trovato nelle risorse
tecniche italiane il perfetto compimento. Infatti la produzione esecutiva è stata realizzata dalla Lemonandpepper
della triade Carmassi, Copelli, Ioan (in rigoroso ordine alfabetico) che in questi ultimi anni ha davvero dimostrato creatività, talento e professionalità che nulla hanno da invidiare
ai migliori colleghi d’oltralpe e d’oltreoceano.
Le prove dello show sono ad un tiro di schioppo dalla nostra
redazione, cioè al 105 di Rimini: non possiamo certo farci
scappare questa occasione, così siamo subito presenti il 21
ottobre alla prima. Sappiamo che non è la data migliore per
il nostro lavoro, sia per la ovvia tensione che aleggia qua
e là fra le mille cose da fare, sia perché, come sempre, lo
show entra pienamente a regime solo dopo qualche data.
Ma abbiamo ormai acquisito la discrezione necessaria per
soddisfare la curiosità dei nostri lettori senza intralciare il
lavoro altrui, inoltre ci ripromettiamo di dare un’occhiata
allo spettacolo fra un mesetto per gustarcelo a rodaggio
concluso.
La produzione
Eros ritorna in tour dopo quattro
anni, e lo fa alla grande, spinto
da un disco che ha già superato
il doppio platino. E con una
produzione di altissimo livello.
di
Ma andiamo con ordine. La prima persona che riesce a dedicarci un po’ di tempo, fra una chiamata e l’altra, è proprio
Giorgio Ioan, produttore esecutivo.
“A febbraio ero con Lorenzo
(Cherubini – ndr.) a New York – ci
racconta Giorgio – così ho colto
l’occasione per convocare il team
canadese: hanno preso un aereo
da Montreal ed abbiamo fatto
una cena ed una riunione per
gettare le basi di questo show. A
marzo ci hanno già presentato un
progetto, poi ottimizzato modificando alcune cose ed aggiungendone altre, e ad aprile abbiamo
lavorato per capire come realizzare nella pratica tutte le idee
nuove: studio strutturale e strategico, progettazione, calcoli ingegneristici... perché si tratta di una
macchina molto complessa, una
macchina che ha all’interno altre
macchine...
Qual è il concept che sottende il
progetto?
Il regista dello show ha richiamato
sul palco l’idea di un parcheggio
di container, immagine tipica, ed
anche un po’ deprimente, di una
periferia industriale, un posto che
richiama le radici di Eros. Ma sono
questi stessi elementi che poi, durante il concerto, si trasformano e
diventano tutt’altra cosa: i container infatti sostengono degli schermi Image‑Mesh, ma allo stesso
tempo sono superficie di proiezione per sei Barco da 12.000 ANSI lumen ed al loro interno contengono dei proiettori Minibig della Zap
Giancarlo Messina
P
rodotto da Radiorama e Trident Management, con
il booking realizzato da Live Nation, lo spettacolo
del nuovo tour di Eros lascia davvero stupefatti per
la complessità della macchina scenica, capace di sviluppare un concept alquanto semplice: dai bordi di periferia
alle stelle del pop, appunto “ali e radici”.
Così i container di una periferia industriale diventano protagonisti del palco, muovendosi in lungo ed in largo, ruotando e scomparendo, illuminandosi, rivelando il loro contenuto inaspettato, insomma lasciando progressivamente il
posto ai sogni realizzati del cantante romano, che poi sono
i sogni di tutti i ragazzi, e non solo, che vagheggiano una
vita migliore.
Per mettere in scena tutto questo, Eros si è avvalso di professionisti di altissima caratura, già al fianco di star interna-
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Live concert
1
1: Giorgio Ioan, della Lemonandpepper.
Technology. Inoltre sullo sfondo
appare pian piano lo schermo LED
da otto millimetri che ha una definizione pazzesca. Il posteggio di
container, insomma, si trasforma
in qualcosa di magico.
Di che materiale sono i container e come funziona la movimentazione?
Per realizzare i container abbiamo lavorato insieme alla Teyco.
Dopo varie prove, abbiamo scelto come materiale la lega d’alluminio e per le rotazioni ci siamo
ispirati alla ralle delle gru (sorta
di cremagliera – ndr.), mentre gli
scorrimenti utilizzano dei binari.
La struttura d’alluminio ospita gli
attacchi per gli Image‑Mesh; successivamente viene montato un
materiale termoformato traslucido che scherma l’Image‑Mesh,
facendolo apparire in modo indefinito, formando delle texture.
Mi pare una cosa piuttosto complessa... vista anche la
varietà di movimenti!
In effetti lo è: container che scorrono, che ruotano, che si
sollevano o che scompaiono sotto il palco... tutto gestito
da motori Cyberhoist, usati in questo caso come motori in
trazione e non solo come sollevatori di carichi. Inoltre i container, che sono uno sull’altro, contengono dei Minibig che
proiettano attraverso una finestra a veneziana motorizzata.
Per tutto questo, come per gli Image‑Mesh, devono passare
le fibre ottiche per il segnale ed i comandi, senza contare i
container che contengono palloni o altri accessori di scena,
o quelli che ruotano di 180°. Siamo partiti con la costruzione a maggio, facendo dei test, noleggiando un capannone
da Italstage. Sono state necessarie molte prove di carico,
perché i pesi da spostare erano molti, tutto doveva essere
snello ma ovviamente assolutamente sicuro. Il risultato è il
frutto di una collaborazione fra me, la Dari automazioni,
Guidolin... insomma tutto il team.
Non avete un po’ di apprensione nel portare in tour tutto
questo?
Ovviamente tutto è stato progettato per andare in tour, ma
non ti nascondo che le prime date saranno toste, faremo
pre-rigging e pre-montaggi per guadagnare tempo. Poi certamente tutto si assesterà ed i tempi si ridurranno. Il fatto è
che non è solo la movimentazione di scena ad essere complessa, ma anche il resto: le luci, il video gestito dai Pandora,
l’audio, con due fonici di palco, due console con segnali separati, quindi con doppi splitter, cavi MADI, clock... e tutto
deve incastrarsi perfettamente.
Chi sono i principali fornitori?
Il service Agorà fornisce audio e luci, STS cura tutto l’aspetto video, completato dalla fornitura degli Image‑Mesh da
parte de Le Grandi Immagini, mentre Italstage fornisce il
Ground Support ed i Cyberhoist.
Qual è la cosa che ti piace di più di questo lavoro?
Direi senza meno la sua complessità, la sinergia fra le varie
parti: pensa che Fabio Carmassi, oltre a fare lo stage manager, è un vero e proprio direttore di scena teatrale, perché
con otto wireless intercom dà le chiamate dei cue di tutto
quello che deve succedere durante lo show. Ma mi piace anche moltissimo la scelta di incassare tutte le aree del palco
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Live concert
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per farlo apparire come una struttura monolitica, infatti non si vedono i fonici di palco, le alette dei
backliner, i sub...
La presenza di un regista che
sviluppa un concept è, per voi
della produzione, un freno o un
aiuto? La sua presenza aggiunge
davvero qualcosa allo show?
In questo caso è stato un lavoro
2: Nicola Tallino, responsabile
sinergico: al loro primo progetto
tecnico delle luci.
sono state fatte diverse modifiche, anche grazie ai nostri sug3: Uno dei quattro banchi di
Alpha 700 Beam posti sul palco, gli gerimenti finalizzati alla realizunici proiettori non sospesi.
zazione; diciamo che l’idea e la
direzione artistica sono andate di
pari passo con la parte tecnica ed
ingegneristica. Comunque è ovvio
che la presenza di questi professionisti dà molto allo spettacolo,
ad esempio la parte video è molto
elaborata, con delle trovate davvero geniali. C’è tutto un lavoro
di sincronizzazione delle proiezioni ad alta risoluzione sulle immagini che appaiono da dietro il
3 termoformato e questo dà alle
immagini una grande profondità. Anche lo schermo LED appare
prima dietro un drappo, e solo
dopo in tutta la sua definizione
e luminosità.
Insomma è venuto fuori un gran
bello spettacolo, aspetto solo
qualche data per potermelo andare a godere anch’io dalla sala!
Il visual design
Mentre Giorgio torna al delirio
nel suo ufficio, scambiamo qualche battuta con il responsabile
tecnico della squadra luci nonché
stretto collaboratore del lighting
designer Barry “Baz” Halpin: parliamo di Nicola Manuel Tallino
che, l’ultima volta, avevamo
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lasciato a dirigere un parco luci formato... da soli seguipersona, visto che il resto era andato KO per un violento
acquazzone.
Quali sono le caratteristiche del disegno luci?
Baz ha fatto un plot abbastanza lineare e piuttosto semplice a livello d’ingegnerizzazione, con quattro pod e quattro
rig quadrati e simmetrici con Spot e Beam 700 Clay Paky ed
i sempre presenti Wash XB della Martin. Questi proiettori
Clay Paky sono molto in voga ed in effetti hanno una gran
bella resa: quelli davanti sono tutti spot, mentre sui quadrati ci sono sia Beam che Spot e Wash. È un disegno classico
perché l’elemento dominante della scena è il video, quindi
le luci dovevano innanzitutto integrarsi perfettamente con
esso, cosa realizzata, a mio parere, benissimo.
Che console è stata scelta?
Stiamo usando una Martin Maxxyz, scelta del LD con
l’appoggio di Agorà. Devo dire che la sanno far funzionare molto bene. Avevo fatto conoscenza di questa console cinque anni fa e sinceramente, all’epoca, come tanti
colleghi, non pensavo che funzionasse troppo bene. Qui
invece, nella versione attuale, sembra che vada davvero
benissimo.
Comunque tu qui non fai l’operatore?
No, l’operatrice è Kathy Beer, io ho solo il compito di assicurami che tutto funzioni e di consegnare l’impianto “chiavi
in mano”. Ho momentaneamente preso la briga di chiamare i seguipersona – tre followspot in controluce e quattro
frontali – ma tra poco anche quelli diventeranno autonomi.
La mia presenza è stata richiesta da Giorgio Ioan, sia per il
buon lavoro fatto insieme nel tour di Tiziano Ferro, sia perché aveva bisogno di questa interfaccia tecnica e linguistica
con il loro team.
Così non vediamo l’ora di scambiare due chiacchiere proprio con il LD Barry “Baz” Halpin e con il video designer
Olivier Goulet.
Baz ci racconta che sin dai primi incontri a Montreal con il
direttore, Serge Denoncourt, e con il set designer era chiaro che lo spettacolo sarebbe stato costruito intorno al video,
quindi il disegno luci sarebbe stato un complemento.
“Ovviamente – continua Baz – il set doveva includere non
container veri ma qualcosa costruito per assomigliargli, così
abbiamo cominciato a parlare di plastiche termoformate”.
“Una sfida non indifferente – aggiunge Olivier – quella di
trovare un materiale con una superficie apparentemente
rigida, con la giusta opacità per la proiezione ma anche abbastanza traslucido per essere posto davanti ai LED interni. Abbiamo dovuto studiare molto per arrivare a questo
materiale”.
Olivier, proiettare su superfici che si spostano in continuazione non deve essere stato facile!
Infatti: c’è tutta una programmazione e modellazione in
tre dimensioni di ogni movimento dello spettacolo. Con il
Pandora’s Box posso costruire il tutto in layer, basati sull’immagine sul LEDwall in fondo, anche se si passa su tre diversi
livelli ed apparecchi. Tutto è “pixelmapped” come una singola enorme immagine.
Ci sono delle esplosioni che partono in profondità sul
LEDwall, si espandono in avanti e verso l’esterno, passando
sugli Image‑Mesh, poi nella proiezione ma anche sopra il
palco e lungo tutta la sua profondità sui MiStrip. Quando i
container vengono ruotati in lunghezza verso il pubblico, ci
sono circa quattro metri dal LEDwall, poi i MiStrip continuano per altri otto metri verso il pubblico… c’è molta profondità. Sui videoproiettori abbiamo obbiettivi che riescono a
mantenere immagini a fuoco quasi quattro metri dietro e
quattro metri davanti rispetto al punto focale nominale…
cosa abbastanza incredibile al livello di ottiche.
Baz, come ti sei interfacciato con Olivier per la coordinazione tra video e luci?
Olivier ed io abbiamo un rapporto professionale abbastanza consolidato, conosciamo reciprocamente i nostri stili.
Comunque, prima abbiamo avuto da Serge indicazioni sulla posizione dei container sui vari brani: questo è il tipo di
spettacolo dove il lighting è solo un piccolo ingranaggio
nel meccanismo, ed in ogni brano deve funzionare perfettamente in armonia con il video e la scenografia fisica. La
simbiosi di video e luci e scenografia, è il “visual design”.
4
Interviene Olivier: “ Il prossimo passo – aggiunge – sarà
quello di usare la stessa console, perché io sto lavorando su
una GrandMA mentre lui su Maxxyz”.
Abbiamo avuto molti dettagli dell’impianto video. Baz,
com’è composto il parco luci?
È principalmente Clay Paky ed è un po’ sbilanciato verso
l’alto, nel senso che tutto è appeso sopra. Così mi servivano
dei mover che offrissero una dinamica enorme e che potessero mantenere un fascio di luce stretto anche dall’altezza
di dodici o quindici metri. Gli Alpha Beam 700 mi danno
delle colonne solide di luce, hanno anche i gobo rotanti e
sono super veloci. Gli Alpha 700 Spot li uso invece come key
light e controluce, mentre per i fill e per l’illuminazione dei
container uso i MAC XB Wash. Per il resto c’è solo qualche
strobo e qualche molefay. È un design molto semplice.
Come sei riuscito ad illuminare le scene all’interno dei
container che si aprono?
Con molta difficoltà. Quando il container è girato di 180°
ed aperto su quel lato, dietro la scenografia stiamo effettivamente guardando il retro dell’Image‑Mesh all’interno.
Sfruttiamo la luminosità dell’Image‑Mesh ed utilizziamo poi
la parte interna della termoplastica come ciclorama, siste-
ma che fornisce una sorprendente
quantità di luce e colore. A questo
punto io dovevo solo dare una key
alla ragazza dentro il container:
questo è un altro esempio della
simbiosi di luce e video in questa
produzione.
In un altro punto abbiamo un
container che si gira a 90° rispetto
al pubblico: su quel lato c’è una finestra a veneziana che si apre per
permettere di puntare un Minibig
sulla scena. È indispensabile avere
un direttore di produzione furbo
e pieno di risorse. Giorgio è riuscito a trovarci una finestra a persiane in alluminio controllabile tramite DMX!
Olivier, quanti di cambiamenti sono
stati fatti durante le prove?
Un sacco… stiamo ancora facendo
il rendering.
4: Barry “Baz” Halpin,
lighting designer (sx),
e Olivier Goulet, video
designer.
5
5: La plastica termoformata
che forma l’esterno dei
“container” e che viene
usata come superficie
per le proiezioni. In
trasparenza si notano i pixel
dell’Image‑Mesh, all’interno
dei container.
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Live concert
Ancora rendering, ma lo spettacolo non fa la prima data tra un
paio di ore?
Sì, ma probabilmente ci lavoreremo almeno fino alla data di
Rotterdam.
Gli chiediamo come si trovino a
lavorare con le crew italiane: “Il
crew video è incredibile – ci risponde Oliver – hanno un atteggiamento molto umile ma sono
dei grandi professionisti. Emigliano è un eccellente direttore ed un
ottimo crew chief… fa più o meno
tutto. Poi, in quanto ad apparecchiatura, STS e gli altri hanno
fornito il massimo, senza compromessi. La produzione è stata incredibilmente creativa nel realizzare
tutta l’automazione di questo
spettacolo, sebbene sia realizzato con macchine standard: senza
macchinari appositamente costruiti credo che nessun altro avrebbe
mai tentato questo”. “Sono d’accordo su tutto – aggiunge Baz –
è incredibile in tutti sensi... ed è
anche facile ingrassare, perché il
catering italiano è una chicca non
indifferente!”.
Il video
6: La squadra video di STS. Il
primo a destra è Emigliano
Napoli.
Un valore riconosciuto, quindi,
anche da questi professionisti di
caratura internazionale quello di
Emigliano Napoli, direttore video
per STS, figura meritatamente
emersa in questi ultimi anni con
lavori di altissima qualità.
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Emigliano, puoi spiegarci che tecnologie utilizzate?
Per la gestione dei segnali usiamo un sistema basato su
Pandora’s Box di varie tipologie e modelli. Grazie ad essi riusciamo a gestire i parecchi layer che inviamo alle diverse tipologie di schermi: un LEDwall Winvision da 8 mm pitch per
il fondale, i LED nei container, gli Strip sopra ed i proiettori.
I Pandora’s Box sono infatti delle macchine molto potenti e
per di più permettono la gestione in tempo reale.
Abbiamo una biblioteca di contenuti preprodotti creati dai
canadesi, studiati con estrema precisione sui vari brani e per
i vari momenti dello spettacolo. Il nostro lavoro è di gestire
essenzialmente la messa in onda di questi contenuti e mixarli con le immagini live dalle telecamere.
Ho visto che avete della camere un po’ atipiche...
Sì, ad esempio abbiamo una camera su binari, telecomandata, in grado di compiere movimenti particolari: pan, tilt,
roll, avanti indietro sul carrello e si può anche alzare su un
pistone. Abbiamo preferito usare questa tecnologia per non
mettere le camere sul palco ed essere quindi meno invasivi.
Anche questa telecamera, quando non è in uso, praticamente scompare. Abbiamo chiesto alla ditta fornitrice di poterci
creare un prodotto che ci desse queste opzioni speciali, pensate ad hoc per questa situazione. Tutti i movimenti sono
gestiti da remoto, così non c’è un operatore visibile sotto il
palco. Ce n’è una simile dall’altra parte del palco, controllata da un operatore, che scorre su binari di gomma, quindi
particolarmente adattabili. Queste due danno la possibilità
di “sbollare”, cioè andare fuori bolla, e fornire immagini
live molto diverse dal solito.
Sempre per avere gli I‑Mag senza essere invasivi, abbiamo
due telecamere poste sulla regia luci dotate di obiettivi molto lunghi. Sul palco, inoltre, ci sono altre camere piccoline
remotate, anche quelle modificate ad hoc per muoversi in
pan, tilt e roll.
Servono davvero tutte queste innovazioni? Le avete proposte voi o è stata una richiesta del regista?
Sai... le tecnologie nuove servono se, come in questo caso,
danno un apporto artistico creando qualcosa di nuovo. In
realtà le abbiamo proposte noi e la produzione è stata molto ricettiva e soddisfatta dei risultati.
In regia come siete organizzati?
Ovviamente c’è un mixer video, su cui opero io, poi
c’è la postazione per il controllo delle camere, guidata da Saverio, che telecomanda i diaframmi delle
telecamere per seguire i cambiamenti della luce in
sala. I movimenti delle camerine vengono seguiti da
un computer a parte con l’apposito software, mentre
un operatore gestisce un telecomando hardware per
la telecamera sui binari. A questo si deve aggiungere
la parte grafica, pilotata da Marco Bazzano (detto
Bazza), con due console GrandMA (una fa da spare),
che in questo caso vengono usate per controllare i
Pandora. Bazza segue i cue, più o meno come se fosse un programma luci, con tutti i layer dei contenuti.
Alla fine siamo in nove solo per il video: tutto è molto complesso ed assolutamente “backuppato”.
Qual è la parte più complicata del lavoro?
Una cosa molto particolare è la proiezione sopra il
materiale semitrasparente dei container, che hanno
anche i LED dentro, perché i container si muovono,
ruotano, salgono e scendono, così le immagini dei
videoproiettori devono sempre essere perfette per
la posizione assunta in quel brano dal container;
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PRESENTAZIONE NUOVA
GAMMA DI CONSOLLE
7 e 8: La telecamera su binari
telecomandata, con pan, tilt e roll.
9: La telecamera a stage left con pan, tilt
e roll, montata sui binari flessibili.
10: Il telecomando della telecamera a
stage right.
usiamo delle maschere e mai niente viene proiettato dove
non serve. Ci sono state tantissime ore di lavoro dietro la
sincronizzazione delle proiezioni con i movimenti dei container, ed alla fine questo è il lavoro pazzesco che fanno i
Pandora’s Box.
Come vengono usate le riprese live?
Non sempre sono usate per gli I-Mag, cioè per ingrandire e
mostrare lontano quello che succede sul palco, parecchie
delle riprese fanno parte della stessa scenografia video. nel
brano dove ci sono le stelle, per esempio, Eros viene messo
“in chiave”, cioè in trasparenza, così da farlo apparire sullo
schermo tra le stelle in tempo reale. Tutto, insomma, è fatto
per dare un senso allo spettacolo.
Pensando al tour, a parte il funzionamento di tutto ciò,
non vi preoccupa un po’ anche l’allestimento?
In effetti qui abbiamo fatto le prove e non sappiamo ancora
che tempi avremo precisamente in tour. Dalla mattina presto dovremmo essere pronti al pomeriggio, anche perché
la produzione ha organizzato le cose in modo che noi possiamo montare autonomamente le nostre cose. Il LEDwall,
infatti, non si appoggia sul palco ma è indipendente, ed
anche i proiettori sono su un’americana a parte. Questo ci
permette di allestire in autonomia ed in contemporanea
con il resto del palco. Certo di lavoro ce n’è: solo per il video
abbiamo più di un bilico di materiale e dobbiamo anche
pensare a montare il collegamento video tra le postazioni
di lavoro, comprese quelle sotto il palco, che serve come
sistema di autocue.
Fine gennaio - inizio febbraio 2010, verrà presentata la nuova serie
GrandMA 2 composta da:
GrandMA2 full size
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Live concert
11: Jon Lemon, fonico FoH.
12: Stevan Martinovic,
fonico monitor per l’artista.
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Maggiori dettagli sul video ce li
fornisce Alessandro Rosani, direttore generale per STS.
“Per la regia grafica c’è un vero
full backup attivo – ci spiega – una
parte dei media server, infatti, lavora sempre in parallelo ma senza andare in onda. Tutti i segnali
dai Pandora’s Box confluiscono in
una matrice DVI da dove è possibile richiamare o indirizzare tutte
le macchine. Inoltre era indispensabile che gli operatori avessero
sott’occhio tutte le uscite dei media server su un unico monitor,
così abbiamo usato un multiview
abbastanza evoluto, in grado di
gestire fino a venti input DVI e
mandarli su un monitor full‑HD.
Tutti i collegamenti a tutte le
utenze sono in fibra ottica, ed abbiamo scelto solo fibra ottica militare, molto resistente e flessibile.
Le telecamere ovviamente arrivano in triassiale, ma tutti i segnali
in DVI sono su fibra.
“Anche per le camere – continua
Alessandro – abbiamo cercato le
tecnologie più innovative: la camera sul binario è automatizzata
con delle memorie che la portano
in punti prestabiliti, e diventa facile da controllare per l’operatore
che altrimenti non ce la farebbe
con solo due mani e due piedi!
Altro dettaglio è il binario creato
appositamente per stare sul palco,
alto solo due centimetri e ‘quasi’ calpestabile. Ce n’è anche un
altro, in gomma, un sistema sviluppato negli USA per evitare le
costrizioni dei raggi di curvatura:
si possono modellare le sagomature necessarie. Il carrello ha un
sistema di ruote brevettato che
gli permette di rimanere sul binario anche in curve molto strette.
Anche il sistema di controllo delle
telecamerine brandeggiate, collegate in rete, ha una bella chicca: i
vari preset sono rappresentati da
un frame con l’inquadratura specifica, cosa che rende l’utilizzo immediato e semplice anche ad un
operatore che dovesse arrivare a
sostituire il titolare all’ultimo minuto”.
Insomma grandissima tecnologia
quella messa in campo da STS, e
soprattutto una tecnologia funzionale al risultato artistico.
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L’audio
Passiamo all’audio (perché sempre di un concerto si tratta e,
secondo alcuni, senza musica un concerto potrebbe essere...
un po’ carente) ma restiamo sul palco, anzi sotto.
Qui troviamo un indaffaratissimo Stevan Martinovic, ormai
specializzatosi nel monitoraggio di palco ai più alti livelli. La
peculiarità di questo tour è che ci sono due fonici di palco,
Umberto Polidori per la band e Stevan, dedicato esclusivamente agli ascolti di Eros.
Una Digico SD7 solo per Eros non è un tantino esagerata?
In effetti no, perché il mio compito è quello di controllare i
sidefill, i monitor e gli IEM. Eros infatti usa tutte queste tre
fonti di monitoraggio. I side sono otto Kudo per lato, con
due SB28 in basso, che probabilmente cambieremo con dei
dV‑Sub, perché alla fine non serve che scendano troppo in
basso. Eros ha trovato la soluzione di usare un solo in-ear: ha
provato ad usarne due, ma è più forte di lui, ha bisogno anche di un suono più spazializzato. Così per la sua postazione
usiamo quattro Clair divise in due mandate. Pensavamo di
metterle incassate sotto il palco, ma la conformazione della
grata ci creerebbe problemi sulle alte frequenze.
Lavori su SD7 da un pezzo: puoi descrivercene la gestione?
È una gran bella macchina, una delle cose che apprezzo di
più sono i compressori multibanda. Quelli che ancora devo
approfondire, prima di iniziare ad usarli in concerto, sono
gli equalizzatori dinamici: è indispensabile conoscere bene
queste macchine e fare diverse prove, oppure si rischia di far
danni! SD7 è una gran bella macchina anche per il palco, ha
forse più dinamica della D5 ma soprattutto è pensata molto
meglio per il fonico di palco.
Quanto è importante il tuo lavoro anche per il risultato
in sala?
Credo parecchio: se usi la console digitale con un approccio
quasi analogico, e se ovviamente fai il lavoro corretto, i musicisti, se sono competenti, come di solito accade a questi
livelli, si bilanciano tra loro. Se invece metti a posto continuamente i loro ascolti, crei parecchi problemi al fonico
FoH, perché dovrà compensare e modificare di continuo le
differenze dei livelli della band dovute a come i musicisti si
sentono sul palco.
Dopo questa perla di professionalità, scambiamo qualche
battuta con Umberto Polidori che si occupa invece, su una
Digico D5, del monitoraggio dei musicisti. Questi sono tutti
in IEM, oltre a due sub per il batterista e per il bassista.
Quanti canali in ingresso avete per la band?
Abbiamo una settantina di canali per i nove musicisti, comprese le sequenze, quelle per sincronizzare il video, ecc...
Com’è organizzato il percorso del segnale?
Le ciabattine arrivano in splitter Klark-Teknik analogici che
poi vanno a due stagebox DiGiCo per il palco e a due stagebox DiGiCo per la sala. Per quanto riguarda i livelli di guadagno siamo completamente separati. Jon ha voluto così.
E il Jon in questione è il sound engineer Jon Lemon, professionista di grande livello internazionale, già al fianco di artisti come Pink Floyd, Depeche Mode, Seal, The Cure, Oasis...
e come presentazione penso che già possa bastare!
Con molta affabilità, si rende disponibile ad una simpatica
chiacchierata proprio dietro la sua SD7.
Hai un bel feeling con l’Italia... da quanto lavori con Eros?
Già dal tour del 2004. In precedenza avevo lavorato con
Zucchero e da lì è cominciata la mia “connessione italiana”.
Cosa pensi dei
crew e dei fornitori italiani?
Eccellenti. C’è stato
per anni una specie
di pregiudizio contro le imprese ed
il personale italiano, spesso da parte
degli inglesi e dei
tedeschi, ma tutto
parte da gente che
non ha mai lavorato con gli italiani.
Posso testimoniare
che Agorà è uno
dei più grandi, organizzati e professionali service di
tutta Europa. Non
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devono
invidiare
nessuno, almeno da
questa parte dell’Atlantico. Inoltre il personale con cui ho
avuto a che fare in questi anni è molto qualificato e professionale, per non dire infaticabile.
Com’è andata con Michele Canova, il produttore artistico?
Michele è fantastico. Abbiamo passato moltissimo tempo
insieme preparando questo tour e mi mancherà adesso che
torna a casa. È una costante risata, perché è chiaramente
pazzo, è un uomo pazzo. Comunque professionalmente è
un talento, ha un orecchio incredibile e per di più con una
conoscenza tecnica spaventosa!
Come ti trovi con SD7?
Avevo messo le mani sull’SD7 già un anno e mezzo fa,
quando era ancora un prototipo. L’avevo testato io stesso, in tour con gli Smashing Pumpkins, ed avevo fornito i
feedback alla DiGiCo; poi sono tornato alla D5 per il tour
di Janet Jackson. Finalmente è veramente pronta e, adesso
che è rodata, è una console eccezionale. La D5 l’ho trovata
molto valida per anni e SD7 mi sembra il suo sviluppo logico. A livello di suono è impeccabile e come livello di potenza di elaborazione è difficile immaginare una situazione
che non potrebbe gestire.
Sei in rete con i DiGiCo del palco o siete indipendenti?
Siamo completamente indipendenti. È molto più conveniente per tutti usare gli splitter analogici sul palco e che
FoH e palco abbiano ciascuno le proprie conversioni. Così
siamo indipendenti per quanto riguarda i guadagni. Non ha
un gran senso lavorare indipendentemente su due diversi
mixer ed avere tutto a disposizione senza compromessi separatamente, per poi essere condizionati a priori dovendo
trovare un compromesso sul guadagno in ingresso.
Coppia d’assi per il PA engineering
Al mixer troviamo, stranamente in coppia (dico “stranamente” perché il sound designer normalmente ama andare in tour da solo e non si accoppia con i colleghi... ovviamente in senso professionale) due dei nostri migliori sound
designer, Davide Grilli, che seguirà l’installazione in tour,
e Daniele Tramontani, chiamato a dargli manforte (e non
Monforte) per questo concerto che segna il debutto italiano
del nuovo PA L‑Acoustics K1. Curiosi come scimmiette, chiediamo subito qualche delucidazione.
“Il nuovo K1 è l’evoluzione a 10
anni di distanza del V‑Dosc – ci
spiega Daniele –: presenta una
meccanica molto più evoluta e
precisa, una parte mediobassa
con più escursione, una rinnovata
tipologia per la tromba, mentre
la guida d’onda è quasi la stessa.
I componenti sono praticamente
uguali: due 15”, quattro 6,5” e
tre trombe al posto di due. Il vero
cambiamento è l’accresciuta efficienza, cioè maggior SPL a parità
di watt; questo significa che si possono impiegare meno sistemi per
lo stesso risultato, quindi il cluster
tende a diventare più piccolo, ad
esempio 12 al posto di 16. Ma
questo farebbe perdere direttività sulle medio basse, da cui l’idea
di aggiungere le K1SB: non si tratta di sub, ma di una cassa che contiene solo i 15” e che serve proprio per estendere la dimensione
del grappolo e quindi controllare
meglio la direttività sulla parte
medio-bassa. Ovviamente questa
soluzione ha l’unico difetto che
gestire un cluster più lungo in
venue con l’altezza limitata impedisce una maggiore inclinazione,
bisogna quindi capire la miglior
configurazione per la singola location. È comunque un passo in
avanti davvero notevole da parte
di L‑Acoustics, anche se la scelta è
quella di un family sound, cioè un
impianto che suoni timbricamente come l’altro, ma più moderno
ed efficiente: utilizzati con preset standard e finali LA8 i due PA
sono praticamente indistinguibili,
anche se questo ha una maggiore
presenza sulla parte media”.
Il service è ovviamente Agorà,
partner del gruppo in Italia, che
ha seguito il marchio abbandonando progressivamente anche
gli altri amplificatori a favore degli LA8.
13: L’array L‑Acoustics K1.
14: Davide Grilli, systems
engineer.
15: Daniele Tramontani,
sound designer.
16: Antonio Paoluzi è
subentrato come systems
engineer dopo le prime
date.
14
15
16
“Dovevamo configurare questa
nuova macchina cercando di capire come usarla al meglio – ci spiega Davide – e dopo vari test, abbiamo capito che la parte sopra,
quella appunto formata dai K1SB,
dà un grande apporto, ma è poco
adatta a palazzetti riverberanti come i nostri, perché la focale
della medio bassa sposta il punch;
invece all’aperto o in venue più
www.soundlite.it
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Live concert
grandi sarà senza dubbio un
grande vantaggio. Adesso stiamo
usando quattordici K1 mentre per
i side abbiamo scelto otto V‑Dosc
e sei dV‑Dosc, sistemi molto flessibili da gestire ed indirizzare”.
Ed infine lo show
Descrivere questo spettacolo è veramente difficile. Diciamo che l’occhio dello spettatore, per quanto
avvolto ed abbacinato dalla ricchezza del palco, potrebbe forse
non rendersi conto della complessità e del lavoro certosino che è
dietro le movimentazioni e l’elaboratissimo video, vero protagonista della scena. Questo perché i
movimenti di scena avvengono in
maniera graduale ed elegante,
senza inutili esibizionismi.
I container, come abbiamo già
detto, fanno di tutto: si spo-
50
gennaio/febbraio 2010 - n.81
stano in lungo ed in largo, si alzano, scompaiono sotto il
palcoscenico, si aprono, sono superficie di proiezione ma
allo stesso tempo LEDwall, illuminano e sono illuminati...
La scenografia video utilizza quattro diversi media video
montati su piani diversi – LEDwall, Image‑Mesh, proiettori
e MiStrip – come se fossero una sola grande immagine in
movimento, creando un effetto di profondità veramente
sbalorditivo, soprattutto se si pensa al necessario lavoro di
programmazione.
La cosa che più ci è piaciuta è che nello show, nonostante
la tecnologia allo stato dell’arte, le innovative soluzioni tecniche, l’impiego massiccio di effetti visivi, la vena istrionica
del protagonista (con tanto di ancheggiamenti che fanno
impazzire le fan), rimane comunque evidente una sensibile
impronta teatrale, certamente figlia dell’esperienza e del
vissuto di Serge Denoncourt, raffinato regista anche di diverse importanti rappresentazioni teatrali.
Bellissime le luci che rivelano una mano ed un occhio di
grande classe.
Insomma Eros ha messo insieme una grandissima squadra
di livello internazionale, senza lesinare su nulla, col risultato di aver creato uno spettacolo davvero superbo. >>
tel. 0521 648723 - fax 0521 648848
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va
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Live concert
esclu
Eros Ramazzotti
Dopo il soundcheck di Pesaro, Eros ci concede un’intervista. Bruno, il suo personal, ci accompagna
nel camerino, curato ad arte dalla bravissima Lollo, e qui scambiamo due chiacchiere piuttosto
informali...
Eros, come ti è saltato in mente di mettere su una produzione del genere?
A volte me lo chiedo anch’io! Scherzi a parte, ci lavoriamo da più di un anno, è un progetto che
ha richiesto molto tempo, ma per quanto riguarda la spettacolarizzazione del concerto sono
sempre stato ottimista e tranquillo, mi preoccupava di più l’aspetto del suono, su cui sono sempre
molto esigente. Credo infatti sia giusto, anche dopo tanti anni, avere la massima attenzione al
suono, non dare niente per scontato anche lavorando con grandi professionisti. Come hai visto,
anche oggi al soundcheck sono andato a sentire alcune cose che non mi convincevano... per riprendere una battuta che diceva la Bertè: “Se fai finta de sonà, faccio finta de pagà”!
Scherzi a parte, mi sembra uno spettacolo buono, sta andando bene dappertutto...
Perché utilizzare così tante energie e risorse nella produzione?
Nasce dal mio istinto: fin dalle mie prime date, in Svizzera, tanti anni fa, pretesi dal mio
manager, che allora come adesso era Salvadori, di cambiare il promoter estero che non mi
convinceva, sempre alla ricerca di una qualità migliore. Infatti la ricerca della qualità è una
cosa che ho dentro, ho sempre basato tutto sulla qualità. La produzione di adesso credo sia
il massimo che un artista italiano possa fare, oltre questo budget si lavora gratis.
Hai messo insieme un team internazionale di grande livello...
Sì, ho fatto un mix fra grandi musicisti e tecnici stranieri ed italiani, ma non per paura
di non riuscire bene con i soli italiani, che spesso ho utilizzato nei miei tour. Quando vai
all’estero, in Europa o in America o in Sud America, ti confronti con mostri sacri, quindi ti
devi presentare al meglio, affiancato da persone di alto livello internazionale. Nell’arco
di venticinque anni ho sempre investito per far bene, magari guadagnando un po’ meno
io stesso, perché il pubblico fosse soddisfatto dei soldi spesi per il biglietto e per rispetto
nei suoi confronti.
Ti ho visto diverse volte ai concerti dei tuoi colleghi, ti piace andare ai concerti?
In effetti ogni concerto, a parte le ovvie personalizzazioni, è piuttosto simile agli altri
sotto il punto di vista della produzione, giusto gli U2 ti possono meravigliare; negli
altri è la personalità dell’artista che fa la differenza: Springsteen non aveva chi sa
cosa, ma lui ha un carisma incredibile. Mi piace andare anche per confrontarmi,
per fare esperienza, mi sembra giusto, tutti dovrebbero andare, anche Vasco
dovrebbe andare a sentire gli altri...
Questo tour sarà molto lungo e sfiancante: come trovi le motivazioni per fare sempre una grande serata, non c’è il rischio della
routine?
Il meccanismo del tour è una cosa particolare: dalle prove fino all’ultimo
concerto entri in un vortice che una persona “normale” non reggerebbe,
se non sei abituato è meglio che stai a casa! Poi, ovviamente, ci sono le
serate in cui hai meno voglia, perché magari sei stanco, non hai riposato
bene o hai dormito male... ma alla fine cerco sempre di salire sul palco con
la tenacia giusta, anche perché per due ore devo tenere io lo spettacolo,
non c’è un break in cui io possa riposarmi, ho solo un minuto e mezzo di
uscita. Magari ci sono dei posti in cui vai più volentieri di altri, ma comunque
la gente ha pagato, ti ama e tu non devi deluderla, la ricompensi col tuo impegno nel dare il massimo.
Quest’anno “Ali e Radici” si è aggiudicato il nostro “Best Show
2009”...
Vi ringrazio, è una bella cosa. Devo dire che io forse ho il vantaggio di avere un mercato straniero molto ampio e più soldi da
spendere, però devo dire che quelli che ho li spendo tutti, non
lesino sulla produzione, quindi questo riconoscimento mi fa davvero piacere.

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