compiti per le vacanze 3m

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compiti per le vacanze 3m
COMPITI PER LE VACANZE 3U
Per tutti
Leggere:
DANTE, Inferno, canto XXXIII e canto XXXIV, Lucifero
Leggere i seguenti libri:
I.CALVINO, Il sentiero dei nidi di ragno
B. FENOGLIO, Una questione privata
E. LUSSU, Un anno sull’altopiano
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lista di libri consigliati (ce ne sarebbero molti altri):
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I. CALVINO, Il barone rampante
E. DE AMICIS, Amore e ginnastica
C. PAVESE, La casa in collina
L. PIRANDELLO, Il fu Mattia Pascal
F. DOSTOEVSKIJ, Il giocatore
L. TOLSTOI, Sonata a Kreutzer
B. BRECHT, Vita di Galileo
N. HAWTORNE, La lettera scarlatta
R. MUSIL, I dolori del giovane Törless
J. AUSTEN, Orgoglio e pregiudizio
J. CONRAD, Cuore di tenebra
Compiti scritti:
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l’analisi dei testi seguenti di Dante, Petrarca, Lussu e Safran Foer
DANTE, Canto XXXIII, Ugolino della Gherardesca
PETRARCA, Voi ch’ascoltate rime sparse…
EMILIO LUSSU, Il nemico
JOHNATAN SAFRAN FOER, Così connessi, così distanti preferiamo l'iPad alle persone
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Sul manualetto allegato al libro di testo studiare le indicazioni relative al saggio breve.
Quindi svolgere almeno uno dei saggi proposti in allegato:
 tema saggio su “Fortuna e «industria» nel Decameron di Boccaccio”
 tema saggio su “Cibo ed Expo”
N.B.
Gli alunni con debito devono ripassare il programma di letteratura
Gli alunni con lettera d’aiuto saranno sottoposti ad una verifica sul lavoro svolto nelle prime settimane di lezione.
Allegato: tracce da sviluppare
Analisi del testo
Traccia 1
Inferno, canto XXXIII, vv. 37-75, UGOLINO DELLA GHERARDESCA
Tra i traditori della patria c'è Ugolino della Gherardesca, al centro di un terribile episodio della storia
medievale. Ugolino, signore di Donoratico, nella parte meridionale della Toscana, era di famiglia ghibellina, ma non
esitò ad allearsi con i guelfi di Pisa per proteggere alcuni suoi possedimenti e organizzò una vera e propria congiura
per fare trionfare a Pisa il partito guelfo. Nominato podestà, concesse a Lucca e a Firenze, che minacciavano Pisa,
piazzeforti importanti per ottenere la pace. Questa sua strategia fu considerata un tradimento dai pisani. L’arcivescovo
Ruggieri di Pisa, apparentemente alleato di Ugolino, organizzò una rivolta per esautorarlo. Fattolo catturare, lo
rinchiuse in una torre con due figli e due nipoti e lo lasciò senza cibo e acqua. Dante vede Ugolino in una buca di
ghiaccio, mentre morde la nuca di un altro dannato, che è proprio l’arcivescovo Ruggieri. Ugolino racconta i suoi
terribili ultimi giorni di vita, preceduti da una notte in cui ha sognato di essere un lupo che, assieme a quattro
lupacchiotti, è inseguito da cani famelici che lo squartano...
«...Quando fui desto innanzi la dimane 1,
pianger senti' fra 'l sonno i miei figliuoli
ch'eran con meco, e domandar del pane.
Ben se' crudel2, se tu già non ti duoli
pensando ciò che 'l mio cor s'annunziava3;
e se non piangi, di che pianger suoli4?
Già eran desti, e l'ora s'appressava5
che 'l cibo ne solëa essere addotto6,
e per suo sogno7 ciascun dubitava;
e io senti' chiavar8 l'uscio di sotto
a l'orribile torre; ond'9 io guardai
nel viso a' mie' figliuoi sanza far motto 10.
1
innanzi la dimane: prima del mattino
2
Ben.. crudel: sei davvero crudele (si rivolge a Dante)
3
Se tu… s’annunziava: se non ti addolora il pensiero di ciò che il mio cuore presagiva
4
di che pianger suoli?: di cosa sei solito piangere?
5
S’appressava: si avvicinava
6
ne solea... addotto: soleva essere portato loro
7
per suo sogno: a causa del sogno che avevano fatto. Anche i quattro ragazzi hanno fatto un sogno premonitore
della loro fine
8
Chiavar: inchiodare
9
Ond’: ragion per cui
10
sanza far motto: senza dire una parola
Io non piangëa, sì dentro impetrai11:
piangevan elli; e Anselmuccio mio
disse: "Tu guardi sì12, padre! che hai?".
Perciò non lagrimai né rispuos' io
tutto quel giorno né la notte appresso,
infin che l'altro sol nel mondo uscìo13.
Come un poco di raggio si fu messo14
nel doloroso carcere, e io scorsi
per quattro visi il mio aspetto stesso 15,
ambo le man per lo dolor mi morsi;
ed ei, pensando ch'io 'l fessi16 per voglia
di manicar17 di sùbito levorsi18
e disser: "Padre, assai ci fia men doglia19
se tu mangi di noi: tu ne vestisti
queste misere carni, e tu le spoglia20".
Queta'mi21 allor per non farli più tristi;
lo dì e l'altro stemmo tutti muti;
ahi dura terra, perché non t'apristi?
Poscia che22 fummo al quarto dì venuti,
Gaddo mi si gittò disteso a' piedi,
dicendo: "Padre mio, ché23 non m'aiuti?".
Quivi morì; e come tu mi vedi,
vid' io cascar li tre ad uno ad uno
tra 'l quinto dì e 'l sesto; ond' io mi diedi 24,
11
sì dentro impetrai: a tal punto divenni di sasso
12
Tu guardi sì: tu ci guardi in modo così intenso
13
infin... uscio: fino a che non sorse di nuovo il sole
14
Si fu messo: riuscì a entrare
15
scorsi... stesso: riconobbi nei quattro visi i miei lineamenti
16
fessi: facessi
17
manicar: mangiare
18
Di subito levorsi: subito si alzarono in piedi
19
assai... doglia: sarebbe per noi un dolore più piccolo
20
tu ne... spoglia: tu ci hai vestito di queste misere carni, tu ce le puoi togliere
21
Queta'mi: mi quietai
22
Poscia che: dopo che
23
ché: perché
24
mi diedi: iniziai
già cieco, a brancolar25 sovra ciascuno,
e due dì li chiamai, poi che fur morti.
Poscia, più che 'l dolor, poté 'l digiuno 26».
COMPRENDO
1. Fai la parafrasi delle prime quattro quartine
2. Spiega, poi, con parole tue, quanto succede nelle terzine successive.
ANALIZZO
3. Sotto quale veste si presenta a Dante il conte Ugolino della Gherardesca? Che cosa racconta di se stesso? Che
cosa tralascia, invece?
4. Qual il contrappasso del conte Ugolino? È lo stesso degli altri traditori della patria? Rispondi motivando le
tue affermazioni.
5. Qual è la reazione di Ugolino di fronte alla sofferenza dei figli e dei nipoti? Rispondi utilizzando le espressioni
del testo che ti sembrano più significative.
6. Riporta tutti i termini relativi alla sfera semantica del cibo e spiega perché Dante li utilizza in questo episodio.
9. Quale figura retorica è presente nel verso prima citato? Quale effetto vuole produrre? (Ricordi un altro passo
della Commedia in cui Dante l'aveva utilizzata?)
INTERPRETO/APPROFONDISCO
9. L'episodio del conte Ugolino è significativo per comprendere il giudizio che Dante dà della situazione politica
del suo tempo. Partendo da questo passo e facendo riferimento ad altri testi, della Commedia e non solo, spiega
qual è la concezione politica del poeta fiorentino e che cosa vuole dire ai suoi lettori con la vicenda qui
raccontata.
Oppure
10. Dante anche in altre occasioni mostra una sorta di compassione o addirittura di ammirazione di fronte ad altri
personaggi (Francesca od Ulisse, ad esempio), pur essendo consapevole delle loro colpe. Metti a confronto
l'episodio di Ugolino con uno di questi, mostrando quali elementi positivi e negativi dei personaggi sono messi
in evidenza e quale funzione Dante attribuisce loro.
SCRIVO
11. Scrivi un articolo di cronaca nera sul dramma del conte Ugolino, attualizzandolo e dagli un titolo "caldo" (cioè ad
effetto).
Traccia 2
Petrarca, Voi ch’ ascoltate in rime sparse il suono
Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono
Ma ben veggio or sí come al popol tutto
25
brancolar: annaspare
26
Poscia... digiuno: poi, più che il dolore, mi vinse il digiuno. Il finale è tremendo: Ugolino si ciba dei figli e dei
nipoti.
di quei sospiri ond'io nudriva 'l core
in sul mio primo giovenile errore
quand'era in parte altr'uom da quel ch'i' sono,
del vario stile in ch'io piango et ragiono
fra le vane speranze e 'l van dolore,
ove sia chi per prova intenda amore,
spero trovar pietà, nonché perdono.
favola fui gran tempo, onde sovente
di me medesmo meco mi vergogno;
5
10
et del mio vaneggiar vergogna è ‘l frutto,
e ‘l pentersi, e ‘l conoscer chiaramente
che quanto piace al mondo è breve sogno.
Comprensione
Sintetizza in poche righe il contenuto del sonetto
Analisi
1. Analizza il rapporto tra sintassi e metrica: ritieni che ci sia un rapporto tra la riflessione condotta dal poeta e la
costruzione dei periodi? (facoltativo)
2. Individua i termini (aggettivi e sostantivi) che mostrano come Petrarca consideri ormai la passione un errore
giovanile.
3. Quali figure retoriche e di ripetizione lessicale si possono osservare al v. 11? Qual è l’effetto prodotto?
4. Nel sonetto si può osservare un’alternanza di tempi passati e presenti: quale evoluzione essi mostrano
nell’atteggiamento interiore del poeta?
Approfondimento (proponi una riflessione solo su una delle due domande; lunghezza consigliata 2 colonne circa)
1. Illustra con opportuni riferimenti al testo le caratteristiche del Canzoniere messe in evidenza da questo sonetto
“proemiale” , e in particolare:
a. gli aspetti formali (struttura complessiva e stile)
b. i destinatari
c. la centralità dell’esperienza soggettiva del poeta
d. i temi
2. Proponi un confronto tra la concezione dell’amore e della donna che si ricava dalla lettura del Canzoniere con
quella che emerge dalle poesie del Dolce Stil Novo
Traccia 3
Il nemico (da Emilio Lussu, Un anno sull’altipiano, 1937)
Addossati al cespuglio, il caporale ed io rimanemmo in agguato tutta la notte, senza riuscire a distinguere segni di vita
nella trincea nemica. Ma l'alba ci compensò dell'attesa. Prima, fu un muoversi confuso di qualche ombra nei
camminamenti, indi, in trincea, apparvero dei soldati con delle marmitte. Era certo la corvée del caffè. I soldati
passavano, per uno o per due, senza curvarsi, sicuri com'erano di non esser visti, ché le trincee e i traversoni laterali li
proteggevano dall'osservazione e dai tiri d'infilata della nostra linea. Mai avevo visto uno spettacolo eguale. Ora erano
là, gli austriaci: vicini, quasi a contatto, tranquilli, come i passanti su un marciapiede di città. Ne provai una sensazione
strana. Stringevo forte il braccio del caporale che avevo alla mia destra, per comunicargli, senza voler parlare, la mia
meraviglia. Anch'egli era attento e sorpreso, e io ne sentivo il tremito che gli dava il respiro lungamente trattenuto. Una
vita sconosciuta si mostrava improvvisamente ai nostri occhi. Quelle trincee, che pure noi avevamo attaccato tante volte
inutilmente, cosí viva ne era stata la resistenza, avevano poi finito con l'apparirci inanimate, come cose lugubri,
inabitate da viventi, rifugio di fantasmi misteriosi e terribili. Ora si mostravano a noi, nella loro vera vita. Il nemico, il
nemico, gli austriaci, gli austriaci!... Ecco il nemico ed ecco gli austriaci. Uomini e soldati come noi, fatti come noi, in
uniforme come noi, che ora si muovevano, parlavano e prendevano il caffè, proprio come stavano facendo, dietro di noi,
in quell'ora stessa, i nostri stessi compagni. Strana cosa. Un'idea simile non mi era mai venuta alla mente. Ora
prendevano il caffè. Curioso! E perché non avrebbero dovuto prendere il caffè? Perché mai mi appariva straordinario
che prendessero il caffè? E, verso le 10 o le 11, avrebbero anche consumato il rancio, esattamente come noi. Forse che il
nemico può vivere senza bere e senza mangiare? Certamente no. E allora, quale la ragione del mio stupore?
Ci erano tanto vicini e noi li potevamo contare, uno per uno. Nella trincea, fra due traversoni, v'era un piccolo spazio
tondo, dove qualcuno, di tanto in tanto, si fermava. Si capiva che parlavano, ma la voce non arrivava fino a noi. Quello
spazio doveva trovarsi di fronte a un ricovero più grande degli altri, perché v'era attorno maggior movimento. Il
movimento cessò all'arrivo d'un ufficiale. Dal modo con cui era vestito, si capiva ch'era un ufficiale. Aveva scarpe e
gambali di cuoio giallo e l'uniforme appariva nuovissima. Probabilmente, era un ufficiale arrivato in quei giorni, forse
uscito appena da una scuola militare. Era giovanissimo e il biondo dei capelli lo faceva apparire ancora piú giovane.
Sembrava non dovesse avere neppure diciott'anni. Al suo arrivo, i soldati si scartarono e, nello spazio tondo, non rimase
che lui. La distribuzione del caffè doveva incominciare in quel momento. Io non vedevo che l'ufficiale.
Io facevo la guerra fin dall'inizio. Far la guerra, per anni, significa acquistare abitudini e mentalità di guerra. Questa
caccia grossa fra uomini non era molto dissimile dall'altra caccia grossa. Io non vedevo un uomo. Vedevo solamente il
nemico. Dopo tante attese, tante pattuglie, tanto sonno perduto, egli passava al varco. La caccia era ben riuscita.
Macchinalmente, senza un pensiero, senza una volontà precisa, ma cosí, solo per istinto, afferrai il fucile del caporale.
Egli me lo abbandonò ed io me ne impadronii. Se fossimo stati per terra, come altre notti, stesi dietro il cespuglio, è
probabile che avrei tirato immediatamente, senza perdere un secondo di tempo. Ma ero in ginocchio, nel fosso scavato,
ed il cespuglio mi stava di fronte come una difesa di tiro a segno. Ero come in un poligono e mi potevo prendere tutte le
comodità per puntare. Poggiai bene i gomiti a terra, e cominciai a puntare.
L'ufficiale austriaco accese una sigaretta. Ora egli fumava. Quella sigaretta creò un rapporto improvviso fra lui e me.
Appena ne vidi il fumo, anch'io sentii il bisogno di fumare. Questo mio desiderio mi fece pensare che anch'io avevo
delle sigarette. Fu un attimo. Il mio atto del puntare, ch'era automatico, divenne ragionato. Dovetti pensare che puntavo,
e che puntavo contro qualcuno. L'indice che toccava il grilletto allentò la pressione. Pensavo. Ero obbligato a pensare.
Certo, facevo coscientemente la guerra e la giustificavo moralmente e politicamente. La mia coscienza di uomo e di
cittadino non erano in conflitto con i miei doveri militari. La guerra era, per me, una dura necessità, terribile certo, ma
alla quale ubbidivo, come ad una delle tante necessità, ingrate ma inevitabili, della vita. Pertanto facevo la guerra e
avevo il comando di soldati. La facevo dunque, moralmente, due volte. Avevo già preso parte a tanti combattimenti.
Che io tirassi contro un ufficiale nemico era quindi un fatto logico. Anzi, esigevo che i miei soldati fossero attenti nel
loro servizio di vedetta e tirassero bene, se il nemico si scopriva. Perché non avrei, ora, tirato io su quell'ufficiale?
Avevo il dovere di tirare. Sentivo che ne avevo il dovere. Se non avessi sentito che quello era un dovere, sarebbe stato
mostruoso che io continuassi a fare la guerra e a farla fare agli altri. No, non v'era dubbio, io avevo il dovere di tirare.
E intanto, non tiravo. Il mio pensiero si sviluppava con calma. Non ero affatto nervoso. La sera precedente, prima di
uscire dalla trincea, avevo dormito quattro o cinque ore: mi sentivo benissimo: dietro il cespuglio, nel fosso, non ero
minacciato da pericolo alcuno. Non avrei potuto essere piú calmo, in una camera di casa mia, nella mia città.
Forse, era quella calma completa che allontanava il mio spirito dalla guerra. Avevo di fronte un ufficiale, giovane,
inconscio del pericolo che gli sovrastava. Non lo potevo sbagliare. Avrei potuto sparare mille colpi a quella distanza,
senza sbagliarne uno. Bastava che premessi il grilletto: egli sarebbe stramazzato al suolo. Questa certezza che la sua vita
dipendesse dalla mia volontà, mi rese esitante. Avevo di fronte un uomo. Un uomo!
Un uomo!
Ne distinguevo gli occhi e i tratti del viso. La luce dell'alba si faceva piú chiara ed il sole si annunziava dietro la cima
dei monti. Tirare cosí, a pochi passi, su un uomo... come su un cinghiale!
Cominciai a pensare che, forse, non avrei tirato. Pensavo. Condurre all'assalto cento uomini, o mille, contro cento altri o
altri mille è una cosa. Prendere un uomo, staccario dal resto degli uomini e poi dire: « Ecco, sta' fermo, io ti sparo, io
t'uccido » è un'altra. È assolutamente un'altra cosa. Fare la guerra è una cosa, uccidere un uomo è un'altra cosa.
Uccidere un uomo, cosí, è assassinare un uomo.
Non so fino a che punto il mio pensiero procedesse logico. Certo è che avevo abbassato il fucile e non sparavo. In me
s'erano formate due coscienze, due individualità, una ostile all'altra. Dicevo a me stesso: « Eh! non sarai tu che ucciderai
un uomo, così! »
Io stesso che ho vissuto quegli istanti, non sarei ora in grado di rifare l'esame di quel processo psicologico. V'è un salto
che io, oggi, non vedo piú chiaramente. E mi chiedo ancora come, arrivato a quella conclusione, io pensassi di far
eseguire da un altro quello che io stesso non mi sentivo la coscienza di compiere. Avevo il fucile poggiato, per terra,
infilato nel cespuglio. Il caporale si stringeva al mio fianco. Gli porsi il calcio del fucile e gli dissi, a fior di labbra:
- Sai... cosí... un uomo solo... io non sparo. Tu, vuoi? Il caporale prese il calcio del fucile e mi rispose:
- Neppure io.
Rientrammo, carponi, in trincea. Il caffè era già distribuito e lo prendemmo anche noi.
La sera, dopo l'imbrunire, il battaglione di rincalzo ci dette il cambio.
COMPRENSIONE
1.Sintetizza in poche righe il brano, mettendo in evidenza i passaggi chiave.
ANALISI
2.1. Spiega con parole tue quello che il protagonista vuole dire in queste righe: "Quelle trincee, che pure noi avevamo
attaccato tante volte inutilmente, cosí viva ne era stata la resistenza, avevano poi finito con l'apparirci inanimate, come
cose lugubri, inabitate da viventi, rifugio di fantasmi misteriosi e terribili. Ora si mostravano a noi, nella loro vera vita.".
Spiega inoltre che cosa fa scattare nell'animo del personaggio che parla la considerazione finale.
2.2. Ora si mostravano a noi, nella loro vera vita. Il nemico, il nemico, gli austriaci, gli austriaci!... Ecco il nemico ed
ecco gli austriaci. Uomini e soldati come noi, fatti come noi, in uniforme come noi, che ora si muovevano, parlavano e
prendevano il caffè, proprio come stavano facendo, dietro di noi, in quell'ora stessa, i nostri stessi compagni. Strana
cosa. Individua i procedimenti retorici presenti in queste righe e spiega quale effetto determinano.
2.3. Spiega l’espressione: "Fare la guerra è una cosa, uccidere un uomo è un'altra cosa". Che cosa intende dire il
protagonista?
2.4. La voce narrante tradisce un atteggiamento ambivalente nei confronti della guerra che sta vivendo. Riporta dal testo
le espressioni che ti sembrano opportune a tal riguardo e commentale in modo motivato.
2.5. In un testo di sufficiente ampiezza (max .10 righe) commenta il contenuto del brano, mettendo in evidenza quello
che, a tuo giudizio, l'autore vuole comunicare.
INTERPRETAZIONE COMPLESSIVA E APPROFONDIMENTO
3. Emilio Lussu è stato un interventista tra le fila dei democratici e ha partecipato come ufficiale della Brigata Sassari
alla Prima Guerra mondiale. A questa esperienza fa riferimento il libro Un anno sull'altopiano (1937), dal quale è tratto
il brano proposto.
Partendo dal commento, svolto nel punto precedente, relativo a questo passo, rifletti sul modo in cui la letteratura e in
generale l’arte si è posta di fronte al tema della guerra (nelle letture proposte per le vacanze ce ne sono due relative alla
prima guerra mondiale – le opere di LUSSU e di DE ROBERTO – e due relative a quella particolare guerra che è stata
la Resistenza – CALVINO e FENOGLIO).
Volendo puoi fare riferimento anche a film sull’argomento che ti sembrano significativi (per la Prima Guerra ti
consiglio RENOIR, La magnifica illusione, KUBRICK, Orizzonti di gloria, ROSI, Uomini contro) .
Traccia 4
JOHNATAN SAFRAN FOER, Così connessi, così distanti preferiamo l'iPad alle persone
UN PAIO di settimane fa, ho visto una sconosciuta piangere in pubblico. Mi trovavo nel quartiere Fort Greene di
Brooklyn, in attesa di un amico col quale andare a colazione. Sono arrivato al ristorante con alcuni minuti di anticipo e
mi sono seduto fuori, su una panchina, a controllare i nomi dei miei contatti.
Una ragazza, forse quindicenne, era seduta sulla panchina di fronte, e piangeva al telefono. L'ho sentita dire: «Lo so, lo
so, lo so». E andare avanti così.
Che cosa sapeva? Aveva commesso qualcosa di sbagliato? La stavano consolando? Poi ha detto: «Mamma, lo so». E le
lacrime si sono fatte ancora più copiose.
Che cosa le stava dicendo sua madre? Di non restare in giro più tutta la notte? Che tutti possono sbagliare? È possibile
che non ci fosse nessuno dall'altra parte e che la ragazza si stesse limitando a inscenare una conversazione complicata?
«Mamma, lo so» ha dettoe ha chiuso il telefono, mettendoselo in grembo.
Mi sono trovato davanti a una scelta: potevo intromettermi nella sua vita, oppure rispettare i confini tra di noi.
Intervenire avrebbe potuto farla sentire peggio, o risultarle inappropriato. Ma avrebbe anche potuto alleviare il suo
dolore, o risultare di aiuto, in modo schietto e ragionevole. Di primo mattino un quartiere benestante non è come un
quartiere pericoloso al calare del buio. E poi si trattava di me, non di qualcun altro. Occorreva fare molte valutazioni
umane.
È più difficile intervenire che non intervenire, ma è infinitamente più difficile scegliere di fare una di queste due cose
che battere in ritirata a controllare l'elenco dei propri contatti su qualsiasi iDistraction preferito ci troviamo a portata di
mano. La tecnologia celebra la possibilità di entrare in contatto, ma incoraggiaa battere in ritirata. Il telefono non mi ha
evitato il rapporto umano, ma ha reso più facile il fatto di poter ignorare la ragazza in quel momento e, molto
probabilmente, mi ha incoraggiato a lasciar perdere la mia scelta di entrare in contatto con lei. L'uso quotidiano che
faccio delle comunicazioni grazie alla tecnologia mi sta cambiando, sta facendo di me una persona che ha maggiori
probabilità di dimenticare il prossimo. Il flusso dell'acqua scava la roccia, un poco alla volta.E anche la nostra
personalità è scavata dal flusso delle nostre abitudini.
Gli psicologi che studiano l'empatia e la compassione ritengono che a differenza delle nostre reazioni pressoché
istantanee al dolore fisico, occorre tempo prima che il nostro cervello possa cogliere appieno le dimensioni psicologiche
e morali di una data situazione. Più distratti diventiamo, e più importanza diamo alla velocità a discapito della
profondità, meno capaci diventiamo di prendere qualcosa o qualcuno a cuore, e meno probabilità abbiamo di farlo.
Tutti bramiamo l'attenzione illimitata dei genitori, di un amico, del partner, anche se molti di noi, soprattutto i bambini,
si stanno abituando a riceverne molta meno. Simone Weil scrisse: "L'attenzione è la forma più rara e più pura di
generosità". Secondo questa definizione, le nostre modalità di relazione con il mondo, gli uni nei confronti degli altri, e
verso noi stessi stanno diventando sempre più limitate.
Gran parte delle nostre tecnologie della comunicazione sono iniziate come sostituti inferiori di un'attività impossibile.
Non potevamo incontrarci sempre a quattr'occhi, così il telefono ha reso possibile mantenerci in contatto anche a
distanza. Non si sta sempre in casa, così la segreteria telefonica ha reso possibile un tipo di interazione anche senza che
l'interlocutore debba stare accanto al suo telefono. La comunicazione online è nata come sostituto della comunicazione
telefonica, che per chissà quale motivo era considerata troppo gravosa o sconveniente. Ed ecco i messaggi di testo, che
hanno facilitato e reso ancora più rapida e più mobile la possibilità di inviare messaggi. Queste invenzioni non sono
state create per essere sostituti migliori rispetto alla comunicazione faccia a faccia, bensì come evoluzioni di sostituti
accettabili, per quanto inferiori.
Poi, però, è successa una cosa buffa: abbiamo iniziato a preferire i sostituti inferiori. È più facile fare una telefonata che
darsi la pena di incontrare qualcuno di persona. Lasciare un messaggio alla segreteria telefonica di qualcuno è più
comodo che conversare al telefono: si può dire ciò che si deve dire senza attendersi risposta. Le notizie difficili si
comunicano così più facilmente. È più agevole farsi vivi senza la possibilità di lasciarsi coinvolgere. Di conseguenza
abbiamo iniziato a telefonare quando sapevamo che nessuno dall'altra parte avrebbe alzato la cornetta.
Spedire email a raffica è più facile ancora, perché si ci può nascondere dietro l'assenza di un'inflessione vocale e
naturalmente non c'è il rischio di imbattersi in qualcuno per caso. Gli sms sono ancora più facili, in quanto le aspettative
dell'articolazione delle parole sono ancora minori, e c'è a disposizione una corazza in più dietro la quale nascondersi.
Ogni passo "avanti" è stato reso più facile, appena un po', giusto per eludere il peso emotivo di essere presente, di
trasmettere informazioni invece che umanità.
Il problema dell'accettare - del preferire - i sostituti inferiori è che col passare del tempo anche noi diventiamo sostituti
inferiori. Le persone abituate a dire poco si sono abituate ad avere poche sensazioni.
Di generazione in generazione diventa difficile immaginare un futuro che assomigli al presente. I miei nonni speravano
che io avessi una vita migliore della loro: senza guerra e senza fame, in un posto confortevole che potessi chiamare
casa. Ma quali futuri mi sentirei di escludere del tutto dalla vita dei miei nipoti? Che i loro vestiti siano prodotti ogni
mattina con stampanti 3-D? Che riescano a comunicare senza parlare o muoversi? Soltanto chi è privo di
immaginazione e non tiene i piedi per terra smentirebbe la possibilità che vivranno per sempre. È possibile che molti di
coloro che stanno leggendo queste parole non moriranno mai. Supponiamo, però, di avere tutti quanti un dato numero di
giorni per condizionare il mondo con i nostri pensieri e i nostri principi, per trovare e creare la bellezza che soltanto
un'esistenza compiuta consente di raggiungere, per lottare con il tema dello scopo della vita e lottare con le nostre
risposte.
Spesso utilizziamo la tecnologia per risparmiare tempo, ma sempre più ciò assorbe il tempo che abbiamo risparmiato,
oppure rende quel tempo risparmiato meno presente, intimo e ricco. Temo che quanto più avremo il mondo a portata di
dita, tanto più lontano esso sarà dai nostri cuori. Ciò non significa essere pro o contro - essere "contro la tecnologia"
quasi certamente è l'unica cosa più stupida dell'essere perdutamente "filo-tecnologici" -, ma è una questione di
equilibrio dalla quale dipendono le nostre vite.
Il più delle volte, la maggior parte delle persone non piange in pubblico, ma tutti hanno sempre bisogno di qualcosa che
un'altra persona può dare loro, che si tratti di attenzione incondizionata, di una parola cortese o di una profonda empatia.
Non c'è niente di meglio da fare nella vita che prestare attenzione a queste esigenze. Ci sono tanti modi di farlo quanti
modi di sentirsi soli, ma tutti richiedono attenzione, tutti richiedono il duro impegno di una valutazione emotiva e di una
compassione fisica. Tutti richiedono un'elaborazione analitica umana dell'unico animale che rischia di "prenderla in
modo sbagliato", i cui sogni offrono protezione e antidoti e parole agli sconosciuti che piangono. Viviamo in un mondo
fatto più di storia che di sostanza. Siamo creature della memoria più che ricordi, creature dell'amore più che uguali.
Prestare attenzione alle esigenze del prossimo può non essere lo scopo ultimo della vita, ma è compito della vita. Può
essere confuso, doloroso e difficile in modo quasi impossibile. Ma non è qualcosa che noi offriamo. È ciò che noi
abbiamo in cambio del fatto di dover morire.
1 . Individua le sequenze del testo: si può ricostruire uno schema delle argomentazioni? Rispondi motivando ( e se c'è
uno schema riportalo).
2. Riassumi il contenuto dell'articolo in circa 300/400 parole.
3. Sei d'accordo oppure no con quanto afferma lo scrittore? Commenta questo articolo (in un testo di almeno due
colonne) basandoti anche sulla tua esperienza personale e motivando le tue affermazioni.
Tema saggio
AMBITO ARTISTICO-LETTERARIO
Devi svolgere un compito sull’argomento: Fortuna e «industria» nel Decameron di Boccaccio
Lo devi sviluppare nella forma del tema saggio argomentativo
CONSIGLI (leggili con attenzione)
- perché il tuo lavoro sia efficace, ricordati di non fare un semplice collage dei documenti forniti;
- prima di cominciare a scrivere, leggi e analizza i documenti evidenziando le informazioni fondamentali che possono
essere utilizzate e facendo attenzione alla loro datazione; a margine puoi già indicare conoscenze in tuo possesso che ti
serviranno per integrarle; devi usare almeno quattro/quinti dei documenti;
- tra i documenti forniti i testi 4, 5, 6 e 7 sono opera di critici letterari nostri contemporanei ( non di Boccaccio! Tieni
presente questo);
- pianifica la struttura della tua argomentazione, dando un ordine alle informazioni;
- nel momento della stesura, ricorda di dare coerenza alle parti del testo, collegando in modo organico i vari capoversi.
ARGOMENTO: Fortuna e «industria» nel Decameron di Boccaccio
DOCUMENTI
Documento 1
[È il discorso di Pampinea per introdurre la terza novella della seconda giornata del Decameron]
Valorose donne, quanto più si parla de’ fatti della Fortuna, tanto più, a chi vuole le sue cose ben riguardare, ne resta a
poter dire: e di ciò niuno dee aver maraviglia, se discretamente1 pensa che tutte le cose, le quali noi scioccamente nostre
chiamiamo, sieno nelle sue mani, e per conseguente da lei, secondo il suo occulto giudicio 2, senza alcuna posa d’uno in
altro e d’altro in uno successivamente, senza alcuno conosciuto ordine da noi, esser da lei permutate3.
G. Boccaccio, Decameron, II, 3
1. discretamente: con buonsenso.
2. occulto giudicio: imperscrutabile pensiero.
3. permutate: trasformate.
Documento 2
[Landolfo Rufolo apre una cassa e trovatovi un tesoro decide di agire con molta prudenza]
Nondimeno, non essendo la buona femina in casa, [Landolfo Rufolo] la sconficcò 1 per vedere che dentro vi fosse: e
trovò in quella molte preziose pietre e legate e sciolte, delle quali egli alquanto s’intendea: le quali veggendo e di gran
valor conoscendole, lodando Idio che ancora abbandonare non l’aveva voluto, tutto si riconfortò. Ma sì come colui che
in piccol tempo fieramente era stato balestrato2 dalla fortuna due volte, dubitando della terza3, pensò convenirgli molta
cautela avere a voler quelle cose4 poter conducere a casa sua: per che in alcuni stracci, come meglio poté, ravoltele,
disse alla buona femina che più di cassa non aveva bisogno, ma che, se le piacesse, un sacco gli donasse e avessesi 5
quella.
G. Boccaccio, Decameron, II, 4
1. la sconficcò: aprì la cassa.
2. fieramente ... balestrato: era stato colpito in modo esagerato.
3. dubitando della terza: non ritenendo possibile di essere colpito una terza volta.
4. quelle cose: le pietre preziose.
5. avessesi: si tenesse.
Documento 3
[Andreuccio da Perugia con uno stratagemma riesce a liberarsi dalla tomba in cui era rimasto rinchiuso]
Andreuccio, questo vedendo, in piè levatosi prese il prete per l’una delle gambe e fé sembiante di volerlo giù tirare. La
qual cosa sentendo il prete mise uno strido grandissimo e presto dell’arca 1 si gittò fuori; della qual cosa tutti gli altri
spaventati, lasciata l’arca aperta, non altramente a fuggir cominciarono che se da centomila diavoli fosser perseguitati.
La qual cosa veggendo Andreuccio, lieto oltre a quello che sperava, subito si gittò fuori e per quella via onde era venuto
se ne uscì della chiesa; e già avvicinandosi al giorno, con quello anello in dito 2 andando all’avventura, pervenne alla
marina3 e quindi al suo albergo si abbatté4, dove li suoi compagni e l’albergatore trovò tutta la notte stati in
sollecitudine5 de’ fatti suoi. A’ quali ciò che avvenuto gli era raccontato, parve per lo consiglio dell’oste loro che costui
incontanente6 si dovesse di Napoli partire; la qual cosa egli fece prestamente e a Perugia tornossi, avendo il suo
investito in uno anello, dove per comperare cavalli era andato.
G. Boccaccio, Decameron, II, 5
1. dell’arca: dal sepolcro (dell’arcivescovo).
2. con quello anello in dito: l’anello dell’arcivescovo.
3. alla marina: sul litorale.
4. si abbatté: capitò di nuovo.
5. stati in sollecitudine: rimasti in pensiero.
6. incontanente: subito, immediatamente.
Documento 4
Vi sono dunque, a me pare, due giornate «iniziali», che danno il tono a quelle che seguono: la seconda e la sesta (la
quarta delinea a sua volta il gruppo dei casi d’amore); e le due grandi forze che ne risultano, signore del campo, sono la
fortuna e l’ingegno; i casi vari e l’umana industria, come avverte Dioneo, quando gli tocca assegnare il tema della sua
giornata e gli pare che in quei due termini sia esaurita tutta la materia del novellare.
Sono le linee maestre di quella morale semplice e pratica, che possiamo seguire fino al Machiavelli, il quale oppone, più
reciso e più serio, Fortuna e Virtù; fino all’Ariosto, il quale sorride bonario: «Vincasi per fortuna o per ingegno...».
Ciò che l’uomo può fare, nel Decameron, quando le sue forze entrano sole nel giuoco, non è gran cosa: correggere
lievemente la fortuna, essere arguto, industriarsi a godere, gabbare quanti se lo meritano...; in alcuni grandi esempi, per
l’espressione più rara e signorile della sua «virtù», può dimostrarsi liberale e magnanimo.
F. Neri, Il disegno del «Decameron», in L. Caretti, G. Luti, La letteratura italiana per saggi storicamente disposti. Le
origini, il Duecento e il Trecento, Mursia, Milano 1985
Documento 5
Quali che ne siano le premesse ideologico-religiose, essenziale è constatare che Boccaccio contempla il mondo, e
conseguentemente lo rappresenta, come se fosse un mondo continuamente a rischio, in cui gli elementi di durabilità e di
certezza (gli affetti, le stesse fortune mondane, i desideri e le aspirazioni) sono continuamente messi in crisi e stravolti e
spesso spazzati via, da elementi di precarietà e d’incertezza (molte volte il caso puro, ma altre volte anche la tirannia
delle convenienze e delle regole sociali o l’incredibile crudeltà degli uomini stessi). O non è la stessa “premessa” o
“cornice” che dir si voglia del Decameron introdotta e determinata da un colossale “caso di fortuna” come la pestilenza,
che, sconvolgendo in profondità ogni ordine costituito, rende necessario fondarne un altro, perché, a sua volta, la
narrazione sia resa possibile in questo imprevisto spazio di libertà aperto dalla catastrofe?
A. Asor Rosa, Decameron di Giovanni Boccaccio, in Letteratura italiana. Le opere, a cura di A. Asor Rosa, Einaudi,
Torino 1992
Documento 6
Collegandosi alla tradizione delle invettive contro la fortuna e quindi ritrovando le argomentazioni di Boezio nel De
consolatione philosophiae, egli [Boccaccio] le ripete respingendo energicamente e scopertamente la riabilitazione
dantesca del VII dell’Inferno. Non che ministra di Dio e interprete di una giustizia provvidenziale, la fortuna è per lui
una presenza capricciosa e assillante fra gli uomini, sfuggente alla presunzione di chi voglia comprenderne gli occulti
disegni; i suoi «movimenti vari» possono dirsi «gravi cose e noiose», visto che comunque, anche quando appare
favorevole, in realtà non fa altro che lusingarci per poi esporci alla delusione.
Di qui la soluzione eminentemente utilitaristica, esemplificata nella seconda giornata. L’uomo dovrebbe commisurare i
propri desideri alle operazioni della fortuna, contenendoli e disponendosi senza troppe illusioni a ricevere quel tanto di
bene che gli tocca «oltre alla sua speranza» e contro le «diverse cose» che lo travagliano, incessantemente, nel corso
dell’esistenza.
A. Tartaro, La prosa narrativa antica, in Letteratura italiana. Le forme del testo. La prosa, a cura di A. Asor Rosa,
Einaudi, Torino 1984
Documento 7
Nel mondo rappresentato dal Decameron, ogni progetto, ogni costruzione razionale, ogni esercizio dell’«ingegno» e
dell’intelligenza, sembrano legati al riflesso di una lotta per la sopravvivenza. Tesi all’affermazione di sé, nei loro
conflitti o nei loro amori, i personaggi paiono animati da un’incoercibile aggressività; si ha l’impressione che tra gli
individui manchi ogni cordialità, che ciascuno sia solo di fronte all’azione della fortuna e a quella degli altri individui.
Tutti sembrano costretti a lottare per conquistare qualcosa, senza altra giustificazione che la conquista stessa o la
necessità di dar prova di sé.
Questo è in realtà l’atteggiamento tipico delle classi dominanti nel Comune mercantile, nel momento di depressione e di
arretramento della metà del secolo XIV, quando si diffondono ampiamente il cinismo sociale e un crudo realismo
economico: un atteggiamento che impronterà per molti secoli le classi superiori e intermedie della società italiana.
G. Ferroni, Giovanni Boccaccio, in Storia della letteratura italiana. Dalle origini al Quattrocento, Einaudi Scuola,
Milano 1991
Tema saggio
AMBITO ARTISTICO-LETTERARIO
Fortuna e «industria» nel Decameron di Boccaccio
Tipologia B- Ambito socio-economico
Devi svolgere un compito sull’argomento: Cibo ed Expo
Lo devi sviluppare nella forma del tema saggio argomentativo
CONSIGLI (leggili con attenzione)
- perché il tuo lavoro sia efficace, ricordati di non fare un semplice collage dei documenti forniti;
- prima di cominciare a scrivere, leggi e analizza i documenti evidenziando le informazioni fondamentali che possono
essere utilizzate e facendo attenzione alla loro datazione; a margine puoi già indicare conoscenze in tuo possesso che ti
serviranno per integrarle; devi usare almeno quattro/quinti dei documenti;
- pianifica la struttura della tua argomentazione, dando un ordine alle informazioni;
- nel momento della stesura, ricorda di dare coerenza alle parti del testo, collegando in modo organico i vari capoversi.
Doc. 1). Da Unesco.it, La Dieta mediterranea è patrimonio immateriale dell’Umanità
[…] La Dieta Mediterranea è caratterizzata da un modello nutrizionale rimasto costante nel tempo e nello spazio,
costituito principalmente da olio di oliva, cereali, frutta fresca o secca, e verdure, una moderata quantità di pesce,
latticini e carne, e molti condimenti e spezie, il tutto accompagnato da vino o infusi, sempre in rispetto delle tradizioni
di ogni comunità. Tuttavia, la Dieta Mediterranea (dal greco diaita, o stile di vita) è molto più che un semplice alimento.
Essa promuove l'interazione sociale, poiché il pasto in comune è alla base dei costumi sociali e delle festività condivise
da una data comunità, e ha dato luogo a un notevole corpus di conoscenze, canzoni, massime, racconti e leggende. La
Dieta si fonda nel rispetto per il territorio e la biodiversità, e garantisce la conservazione e lo sviluppo delle attività
tradizionali e dei mestieri collegati alla pesca e all'agricoltura nelle comunità del Mediterraneo.
Doc. 2). da Corriere della sera, 7 febbraio 2014. G.Barilla “Il cibo è una forza dell’Italia, l’Expo un’occasione da non
perdere”
La bozza elaborata dal Barilla center for food &amp nutrition parte dalla constatazione che esistono «tre enormi
paradossi globali» da smontare: 868 milioni di persone sono affamate mentre 1 miliardo e mezzo è obeso o sovrappeso,
e ogni anno muoiono di fame 36 milioni di persone; nonostante la piaga della mancanza di cibo e della malnutrizione,
un terzo della produzione agricola globale è usata per nutrire bestiame e la domanda globale di biocarburante è in
continua crescita; ogni anno si sprecano 1,3 miliardi di tonnellate di cibo.[…] all’indomani della crisi nel settore
alimentare scoppiata tra il 2006 e il 2008: «I prezzi delle materie prime alimentari schizzarono del mille per cento per
effetto della speculazione. Risultò subito evidente che l’alimentazione e il food sono catene complesse, con filiere
articolate e delicate, ma di cui all’epoca in molti parlavano, specie i media, senza una vera competenza. Abbiamo
investito alcuni milioni di euro all’anno al di fuori delle attività commerciali per sviluppare e approfondire le tematiche
su cibo e sostenibilità, cibo e salute, cibo e benessere, cibo per tutti». Il risultato di questo approccio multidisciplinare è
il protocollo di Milano, che ora Barilla mette a disposizione dell’Expo.
Doc. 3) da www.jaitalia.org. Junior achievement, giovani-idee-per-la-nutrizione-sostenibile-banca-etica.
Un fast food biologico intitolato "Daily Green" è l'idea imprenditoriale di un team di ragazzi dell'Istituto Alberghiero
Brera di Como che sabato 15 marzo ha vinto il gioco-competizione di idee per studenti intitolato "AlimentAzione!".
L'iniziativa è stata promossa da Junior Achievement Italia, il Laboratorio di Educazione Finanziaria dei Soci di Banca
Etica di Milano. I progetti presentati sono stati tutti originali e meritori:
 Una cucina "decostruttivista" basata sugli insetti per diminuire gli effetti negativi del consumo di carne pensata
dagli studenti del Liceo Scientifico Alberti di Abano Terme;

Un codice QR per i prodotti alimentari per fare una scelta più consapevole e sana di ciò che acquistiamo al
supermercato, proposto dagli studenti dell'Istituto Alberghiero Brera di Como;

Un gemellaggio tra l'Italia e il Sud Sudan e il Rwanda per lo scambio di know-how nel settore dell'agricoltura
e la promozione delle economie meno sviluppate nel rispetto delle culture a abitudini locali, ideato dagli
studenti dell'IPSSAR di San Pellegrino Terme e dell'Istituto Falcone di Palazzolo sull'Oglio;

Una serra energicamente auto-sostenibile che permetta di produrre i prodotti comunemente importati (come, ad
esempio, le banane), al fine di ridurre l'impatto dei trasporti, ideata dagli studenti dell'Istituto Facchinetti di
Castellanza;

Un portale internet che informi sulle produzioni locali e dove trovarle, in modo da incentivare l'economia
locale, elaborato da un altro team di studenti dell'Alberghiero di Como
Doc. n. 4 ) da www.alimentazione.fimmg.org/relazioni_congressi/2013, F.Morbiato, Valore simbolico e culturale del
cibo, Frascati, giugno 2013: Indirizzi per il futuro della nutrizione
a). VALORIZZARE LA CONVIVIALITA’, in quanto il rapporto con il cibo permette di recuperare una più
adeguata dimensione sociale durante i momenti in cui lo si consuma. b). PROTEGGERE LE VARIETA’
TERRITORIALI LOCALI, in quanto espressione dell’identità di una comunità e di un territorio.
c).TRASFERIRE LA CONOSCENZA E IL SAPER FARE, in ambito culinario, in quanto forte deposito di
ricchezza culturale. d).MIRARE ALL’ECCELLENZA DEGLI INGREDIENTI, valorizzando al massimo la
qualità della materia prima. e) RIPRENDERE IL VALORE DEL CIBO, come rapporto fra le generazioni
come elemento di ri-¬costruzione di un tessuto sociale. f). DIFFONDERE LA CULTURA DEL GUSTO E
DEL SAPER VIVERE, rivitalizzando lo “stupore per il cibo autentico” ricollegandolo a sani e piacevoli rituali
come mezzo per recuperare la “centralità delle persone e delle loro emozioni”.
Doc. 5). Da L. Pavesi, Spreco di cibo e impatto ambientale, Presentato Rapporto FAO, 27 settembre 2013
Il Rapporto FAO sottolinea come lo sperpero di 1,3 miliardi di tonnellate di cibo all'anno (che corrispondono ad un
terzo del cibo prodotto in tutto il mondo) genera non solo enormi costi economici, ma anche ambientali. I costi
economici dello sperpero - che includono solo i costi diretti ed escludono dal conteggio pesci e frutti di mare - vengono
quantificati in 750 miliardi di dollari all'anno. […] Si calcola che ogni anno, sempre a livello globale, il cibo prodotto
ma non consumato sperpera un volume d'acqua pari alla portata del fiume Volga; consuma 1,4 miliardi di ettari di
terreno (il 30% circa della superficie agricola mondiale) ed immette in atmosfera 3,3 miliardi di tonnellate di gas effetto
serra. Dallo studio FAO emerge che il 54% dello sperpero totale si verifica 'a monte', cioè durante le fasi di produzione,
raccolto e primo immagazzinamento e, quindi, è 'perdita' alimentare, mentre il 46% dello sperpero avviene 'a valle',
nelle fasi di trasformazione, distribuzione e consumo e, quindi, ed è 'spreco'. Le perdite alimentari, in generale, si
concentrano nei paesi a basso reddito e in via di sviluppo, mentre gli sprechi alimentari sono una caratteristica dei paesi
ad alto e medio reddito. […] più un prodotto 'va avanti' lungo la catena produttiva, maggiore è la sua impronta
ambientale, […] Detto in parole povere: prima un alimento viene consumato rispetto alla catena produttiva, meglio è
per tutto il pianeta. "Oltre all'imperativo ambientale, ve n'è anche uno di natura etica: non possiamo permettere che un
terzo di tutto il cibo che viene prodotto nel mondo vada perduto o sprecato a causa di abitudini inappropriate inopportune, quando vi sono 870 milioni di persone che soffrono la fame", ha sottolineato José Graziano da Silva,
Direttore Generale FAO, durante la presentazione del Rapporto.