NAZARETH n. 4 – 2013 ottobre – novembre – dicembre
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NAZARETH n. 4 – 2013 ottobre – novembre – dicembre
Periodico di educazione cristiana n. 4, ottobre, novembre, dicembre 2013 - Anno CVII - Poste Italiane spa - Spedizione in A. P. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2, DCB VERONA NAZARETH AD JESUM PER MARIAM - PICCOLE SUORE SACRA FAMIGLIA - Castelletto sul Garda - VR Nazareth 4 - 2013 | I NAZARETH Il volto e lo sguardo di un bimbo ci parlano della relazione con Dio. L’innocenza e purezza di cuore ci mostrano la grazia divina nel calore di un abbraccio con la Sua grande Famiglia A cura delle «Piccole Suore della Sacra Famiglia» ottobre-novembre-dicembre n. 4 - 2013 Anno CVII - Trimestrale Direttore responsabile: Sr. Maria Angelica Cavallon Direzione e Amministrazione: Istituto Piccole Suore della Sacra Famiglia 37010 Castelletto di Brenzone (VR) Spedizione in A. P. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2, DCB VERONA Autorizzazione Tribunale di Verona n. 29, 8 febbraio 1960 Comitato di redazione: 37138 Verona Via G. Nascimbeni, 10 www.pssf.it - e-mail: [email protected] Sr. Maria Angelica Cavallon, Sr. Maria Romana Bombo, Sr. Umberta Maria Bettega COLLABORATORI DI questo numero: Andrea Cornale, Anna Pia Viola, Emma Provoli, Italo Forieri, Maria Laura Rosi, Katia Scabello Garbin, Giulio Biondi, Silvia Morelli, Suor Erica Benetton Iva assolta dall’Editore ex art. 74 D.P.R. 633/72 La pubblicazione è curata da Editoriale Della Scala Povegliano Veronese Stampa: Grafiche Piave s.r.l. Via Spagna, 16 37069 Villafranca (VR) Tel. 045/6301555 Fax 045/6301789 Foto copertina di Federico Beghini, prima Nadia Neri Talassi, quarta II | Nazareth 4 - 2013 Sommario la redazione Relazioni vere e aperte.......................... 1 lettera della Madre La relazione con Dio e con la Chiesa...... 2 formazione Esperienza di libertà ............................. 4 Il silenzio: spazio per l’incontro.............. 6 n. 4/2013 Io vi tengo tutti scolpiti nella mente e nel cuore; io prego tanto e sempre per voi Beata Maria Domenica Mantovani Viviamo, operiamo con semplicità e sincerità Beata Maria Domenica Mantovani.............21 sui passi di Francesco ......................... 22 magistero La Chiesa madre dei cristiani ................ 8 un nuovo cammino GIOVANE chi sei TU?...chi sono io? Lo straordinario vive nel tuo ordinario..... 23 evento storico Chiusura dell’Anno della Fede: 24 novembre 2013 ............................. 10 biblioteca in famiglia Incontare Dio in un libro per bambini........................ 24 carisma Le PSSF “per il Popolo”....................... 11 arte La confessione: vertice della relazione con Dio............. 26 esperienza Mistici con gli occhi aperti................... 12 letteratura La relazione con Dio e con la Chiesa in Alessandro Manzoni........................ 13 dalla parte della vita XXVI Concorso Scolastico Europeo 2013..................................... 28 Ricordando una mamma.................... 30 Sono entrate nella pienezza della vita.. 30 iconografia e spiritualità Due Icone a confronto......................... 15 CEI Orientamenti pastorali La Chiesa discepola madre e maestra..... 31 voce giovani Dio è luce amore vita.......................... 17 dalle nostre comunità Bologna: pellegrinaggio diocesano a Roma.................................................. 32 Guardate a Lui e sarete raggianti......... 33 nuova rubrica Risonanze e riflessioni dei lettori.......... 18 fascicolo centrale “Non voi avete scelto me ma io ho scelto voi... e vi ho costituiti perchè andiate e portiate frutto” Gv 15,16 ................... 19 La mia intenzione è solamente questa:che le suore mi aiutino a salvare anime Beato Giuseppe Nascimbeni................ 20 orizzonti missionari Esperienza in Togo.............................. 34 Sulle strade del mondo........................ 35 Donando si riceve................................ 38 La perla preziosa................................. 38 racconto- testimonianza Un regalo speciale............................... 39 Buon Natale!...................................... 41 Ricordiamo ai gentili Lettori il rinnovo dell’abbonamento per il 2014: € 15,00 per l’Italia, € 20,00 per l’estero, sul c/c postale n. 14875371. La Redazione Relazioni vere e aperte Ogni giorno diventiamo cristiani capaci di relazioni nuove N ei numeri precedenti (annata 2013) abbiamo cercato di riflettere insieme sulla relazione: in famiglia, come crescita quotidiana (n 1); con se stessi, la propria identità personale, come dono da custodire, sviluppare e manifestare (n. 2); negli ambienti di vita, come occasione per diventare persone libere, forti e adulte nell’assunzione delle diverse responsabilità (n. 3). Ora rivolgiamo la nostra attenzione alla relazione con Dio, in Gesù Cristo, per lo Spirito, che ci rende suo popolo (n. 4). Questa relazione non è un’esperienza aggiunta o una nostra conquista, ma un dono, mediato dai propri genitori e da una comunità cristiana. Il suo sviluppo avviene in una dinamica unitaria. Precede addirittura la nostra consapevolezza. È come se lo ricevessimo già dal grembo materno, attraverso la fede della mamma. Tante nostre mamme, con la loro preghiera, hanno dato voce al nascituro: “Ti adoro mio Dio, ti amo con tutto il cuore, ti ringrazio di avermi creato”. E, in attesa del Battesimo, con un anticipo di gratitudine: “fatto cristiano...”. Forse le mamme di oggi non conoscono questa formula. Ma certamente parlano con il proprio figlio mentre lo sentono crescere, e lo fanno con i sentimenti più veri di trepidazione, di gratitudine, di gioia. Così l’apertura al Signore-Iddio avviene quasi per passaggio diretto, per contagio. La relazione si fa grazia e novità di vita, poi, con il Battesimo. Il piccolo figlio di Dio entra nella grande famiglia, la Chiesa. E da qui parte quella crescita che dura tutta la vita: “cristiani si diventa”. Può sembrare facile e ricco di frutti il percorso dell’iniziazione cristiana, proposto dalle parrocchie, per i ragazzi. I catechisti e i genitori, accompagnandoli, possono sperimentare una partecipazione più coinvolgente alla vita della comunità cristiana e accrescere il senso di appartenenza alla Chiesa-madre. Possono riscoprire la forza rigeneratrice del sacramento della Riconciliazione. Ritrovare convergenza attonita su Cristo Gesù, che “è presente nella sua Parola, giacchè è lui che parla quando nella Chiesa si legge la sacra scrittura” (SC n 7). Rinnovare la comunione con tutti nell’incontro eucaristico. Ma non è scontato. Le preoccupazioni feriali o le buone abitudini, di tradizione, possono neutralizzare questa possibilità di freschezza e di stupore nelle famiglie giovani, ma anche in molti cristiani con ricca esperienza nel cammino di fede. Per tutti c’è dunque sempre l’esigenza di crescita e di formazione continua per ritrovare la relazione viva con Dio-Abbà, che si è rivelato in Gesù di Nazareth e ci dona il suo Spirito. È la Parola ascoltata con passione il luogo dove è sempre possibile fare esperienza, paziente, di conversione. È nel dialogo eucaristico, fatto di adorazione e di incontro, dove matura la gratuità dell’amore per le relazioni familiari e fraterne. È nel saper trattenere le proprie parole, nel ridimensionare i propri desideri, per entrare in sintonia con la vo- lontà del Signore, che si fa concreto il cammino verso gli altri e verso Dio stesso. L’attenzione nostra allora trova la sua fonte e l’affetto la sua convergenza. Diventiamo capaci ancora di stupore per Gesù. E se è vero ciò che ha affermato il Concilio Vaticano II: “Il Vangelo di Cristo... continuamente purifica ed eleva la moralità dei popoli. Con la ricchezza soprannaturale feconda dall’interno, fortifica, completa e restaura in Cristo le qualità spirituali e le doti di ciscun popolo” (GS n. 58). Rimane certamente vero che il Vangelo, Cristo stesso, è la forza che eleva la moralità, la speranza delle famiglie, anche di quelle in difficoltà, e di ogni persona aperta e in ricerca. Così le relazioni fraterne diventano rivelazione dell’amore della Trinità e della sua continua presenza in mezzo a noi, a tutti noi, che siamo Sua famiglia. Chiesa, convocazione di Dio che “volle santificare e salvare gli uomini non individualmente e senza alcun legame tra loro, ma volle costituire di loro un popolo che lo riconoscesse nella verità e fedelmente lo servisse” (LG n. 9). Un popolo che riconoscesse che l’unica opera da compiere è: Credere in Colui che il Padre ha mandato (Gv 6,29). “Solamente nel mistero del Verbo incarnato trova luce il mistero dell’uomo... tale e così grande è il mistero dell’uomo che chiaro si rivela agli occhi dei credenti attraverso la rivelazione cristiana” (GS n 22). Sr. Maria Angelica Cavallon Nazareth 4 - 2013 | 1 Lettera della Madre La relazione con Dio e con la Chiesa Rimanere nel Suo amore per essere nella Chiesa sale della terra e luce del mondo L’ ultima tappa del cammino di quest’anno dedicato al tema della relazione ci porta a riflettere sulla relazione con Dio e con la Chiesa. I due aspetti vanno considerati insieme perché la Chiesa è costituita dai battezzati, cioè da coloro che, per il dono dello Spirito Santo, sono stati inseriti nella vita di Dio e sono resi capaci di entrare in comunione con Lui. Ma cosa significa essere in relazione con Dio? Come nasce questa relazione? La Lettera apostolica “Porta fidei”, con la quale Papa Benedetto XVI ha indetto l’Anno della fede, afferma che proprio la fede introduce alla vita di comunione con Dio e permette l’ingresso nella sua Chiesa (PF 1). E la fede nasce e cresce nell’ascolto della Parola di Dio, quando la persona è disponibile a lasciare che il suo cuore venga trasformato dalla grazia. Ma l’uomo di oggi ha ancora voglia di cercare Dio e di entrare in relazione con Lui? A volte sembra che le persone siano indifferenti al tema della fede e vivano senza riferimento a Dio. Eppure molte situazioni della vita pongono in crisi e suscitano domande senza risposta: malattia, povertà, separazioni, lutti, violenza, guerra… È soprattutto dentro tali esperienze che l’uomo scopre di non bastare a se stesso e avverte il bisogno di recarsi al pozzo, come la Samaritana, per incontrare Gesù e attingere alla sua sorgente, da cui sgorga acqua viva per la no2 | Nazareth 4 - 2013 stra sete di senso. È la vita stessa, con i suoi momenti di gioia e di fatica, con gli imprevisti, le crisi, lo scorrere inesorabile del tempo che ci porta a scoprire la presenza del Signore dentro la nostra storia. È proprio questo il messaggio più forte del mistero dell’Incarnazione: Dio non è estraneo alla nostra esistenza, anzi, la vive con noi. Solo una cosa ci chiede: avere fiducia e coltivare il rapporto con Lui giorno per giorno attra- Lettera della Madre verso la preghiera, la partecipazione ai sacramenti, l’amore al prossimo, lo svolgimento gioioso e fedele degli impegni quotidiani. Non importa dove ci troviamo o cosa facciamo: non c’è luogo o situazione in cui non sia possibile rimanere in comunione con Dio, perché Egli è sempre con noi e nulla può separarci dal suo amore, se noi non lo vogliamo. Dice infatti San Paolo nella lettera ai Romani: Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori grazie a colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore (Rm 8, 35.37-39). E madre Maria Domenica Mantovani esortava le suore con queste parole: Vivete sempre alla presenza di Dio. Se noi rimaniamo nell’amore di Dio, che è il Sommo Bene, non possiamo che testimoniare e diffondere il bene, non possiamo che essere “sale della terra e luce del mondo” (cfr. Mt 5,13-14), come Gesù chiedeva ai suoi discepoli. Ma per fare questo abbiamo bisogno di attingere continuamente alla luce che è Cristo, perché spesso le fatiche e le sofferenze del vivere ci scoraggiano e ci fanno tornare indietro. Ecco allora l’importanza della Chiesa, di una comunità che sostiene e incoraggia, e al tempo stesso dona costantemente il nutrimento della fede attraverso i sacramenti, in particolare l’Eucaristia, e il dono della Parola ascoltata, spiegata, meditata, pregata, condivisa. La stessa professione di fede è un atto personale ed insieme comunitario. È la Chiesa, infatti, il primo soggetto della fede. Nella fede della comunità cristiana ognuno riceve il battesimo, segno efficace dell’ingresso nel popolo dei credenti per ottenere la salvezza (PF 10). Tuttavia oggi molti dicono di credere in Dio ma non sentono di appartenere alla Chiesa, se ne sono allontanati per vari motivi e la ritengono una struttura di potere, lontana dalla gente. Ma la Chiesa non coincide con la gerarchia o una struttura organizzativa, che pure è necessaria, e neppure è formata solo da preti, monaci, persone consacrate; la Chiesa è tutto il popolo di Dio, l’insieme dei battezzati, e perciò ciascuno di noi contribuisce a dare un volto alla Chiesa. Certo, ognuno è insieme santo e peccatore, e perciò la Chiesa non è perfetta, ma questo non è importante: la cosa fondamentale è che ogni cristiano rimanga in comunione con Dio, si lasci amare e perdonare da Lui, ricominci ogni giorno a credere, a donare speranza, a servire i fratelli attraverso il proprio lavoro, le occupazioni quotidiane, lo sviluppo di sane relazioni in famiglia, tra amici, con i colleghi di lavoro e in ogni ambito di attività. Ciascuno è chiamato a dare il proprio contributo, che non è mai inutile o superfluo, perché ciascuno è unico e irripetibile e ha qualcosa di bello e di nuovo da donare agli altri, e soprattutto può rendere visibile un tratto del volto di Dio che nessun altro al suo posto può esprimere. L’augurio che reciprocamente ci facciamo, al termine di questo anno 2013, è che anche nel nuovo anno possiamo rinnovare ogni giorno la fede, rinsaldare la relazione con il Signore che è amore ed essere nella Chiesa segno visibile della vicinanza di Dio ad ogni uomo e donna che incontriamo. Sr. Angela Merici Pattaro Superiora generale Nazareth 4 - 2013 | 3 Formazione Esperienza di libertà La relazione con Dio e con la Chiesa “D io sì, Chiesa no” era lo slogan con cui tanti anni fa si sintetizzava il proprio rapporto con la fede. In sostanza si riteneva, ma forse si ritiene ancora oggi, che la relazione con Dio fosse un fatto privato e comunque regolato da ritmi, linguaggi e pratiche da gestire individualmente. Per questo, e non solo, si aveva la convinzione che la Chiesa fosse una sovrastruttura, un’opera umana piena di interessi, un centro di potere economico e politico, che La presenza della Chiesa è garanzia della trasmissione di Dio come Colui che è altro da noi imponeva regole alle persone, privandole della propria libertà nel rapporto con Dio. Si sono versati fiumi di inchiostro su tali aspetti e non intendo entrare nella legittimità di tale espressione. Voglio invece porre una domanda: quando parliamo di relazione individuale, soggettiva, con Dio, siamo sicuri che ci riferiamo al 4 | Nazareth 4 - 2013 Signore della rivelazione, a Colui che si presenta come realmente Altro rispetto a noi? Non si corre forse il rischio di avere un’immagine di Dio, di pensarlo come un’evanescente presenza, un’energia cosmica, da invocare e di cui inebriarci come lo iodio che respiriamo in riva al mare? Perché è di questo che si tratta quando si parla di relazione con Dio o con la Chiesa: c’è relazione solo se c’è riconoscimento di una presenza, di un’identità, diversa da noi, altrimenti non facciamo altro che chiamare in modo diverso, dio appunto, noi stessi. E, d’altronde, tutte le volte che si invoca un rapporto privato, individuale, chiuso e refrattario a verifiche, vuol dire che si sta affermando la propria individualità. La presenza della Chiesa, oltre al dato rivelato d’essere presenza dello Spirito, guidata dallo Spirito attraverso gli uomini e strumento della Grazia portata da Cristo, è garanzia della trasmissione di Dio come Colui che è altro da noi. Egli non è una nostra immagine, non possiamo piegarlo a dispensatore di benefici materiali. Per questo motivo chiunque pronunci il nome “Dio” si deve fermare a considerare ‘a chi’ si sta riferendo, se realmente ad una Persona oppure ad un’idea generica per una dimensione poco materiale. Proviamo allora a pensare Dio … se onestamente ci apriamo a tale possibilità possiamo fare l’esperienza che fu di molti poeti e scrittori, amanti della vita e scienziati, artisti, pensatori e santi: un’esperienza di libertà. L’espressione che meglio possa indicare il rapporto con Dio è ‘esperienza di libertà’. Una parola che non indica una cosa, né un luogo, né un sentimento o emozione. La libertà è la condizione, interiore ed esteriore, per potere essere ed esprimere noi stessi. La libertà è la possibilità di respirare, di non sentirci angosciati ed oppressi dagli eventi della vita. Libertà è poter andare incontro alla novità della vita senza timore di soccombere, senza la paura di venire sopraffatti. Chi ha un cuore libero è capace di ascoltare senza giudicare, di camminare fianco a fianco con chi la pensa diversamente, ma che fa lo stesso percorso. Chi coltiva la libertà affina gli occhi per poter vedere sempre orizzonti più ampi, è capace di accogliere con amore e di lasciare andare per amore. Chi ama la libertà e sente di essere fatto così, questi C’è relazione solo se c’è riconoscimento di una presenza, di un’identità, diversa da noi Formazione Chi ama la libertà e sente di essere fatto così, questi ha incontrato Dio. Lo ha incontrato per ciò che Egli è: Spirito e vita ha incontrato Dio, ma ancora non lo sa, lo ha incontrato al di là delle immagini tradizionali e dei discorsi religiosi. Lo ha incontrato per ciò che Egli è: Spirito e vita. Coltivare la relazione con Dio significa aver colto il legame tra noi e Lui, tra il nostro “essere libertà” e il suo “donarci la libertà”. Siamo fatti per essere liberi e l’incontro con il vero Dio, e non con l’idea che noi ci facciamo di Lui, ci restituisce a noi stessi. Conoscere Dio, relazionarci con lui, ci rende capaci innanzitutto di conoscere noi stessi, ci permette l’onestà intellettuale di non ri- tenerci noi ‘dio’, e non è cosa da poco. Potremmo dire: “Non so chi sia Dio, ma sono sicuro che io non lo sono!”. Solo chi fa esperienza vera di Dio scopre il significato profondo di questa espressione. Ah, un’ultima cosa: tutto questo lo insegna la Chiesa, io l’ho imparato grazie alla sua sapienza trasmessa da uomini che hanno dato la loro vita per darmi vita, per permettere a me, e a tutti noi, di poter vivere liberi, da figli e non da schiavi. Anna Pia Viola Nazareth 4 - 2013 | 5 Formazione Il silenzio: spazio per l’incontro Il silenzio è un umile ma sicuro cammino verso l’Amore. Esso ha il potere di renderci ‘vuoti e poveri’, per essere abitati da una Presenza, che ci conduce pian piano al dono di noi stessi È innegabile che, in questo nostro tempo, siamo ‘abitati’ dal rumore, stressati dalla frenesia e dalle ‘corse’ quotidiane, travolti dalla necessità di essere sempre efficienti e produttivi, ma è altrettanto vero che tutti abbiamo bisogno di riscoprire il valore del silenzio per vivere una vita più vera, per giungere alle profondità del nostro essere, per arrivare proprio là dove emergono gli interrogativi più importanti di ogni creatura umana: che senso ha la mia 6 | Nazareth 4 - 2013 vita? da dove vengo? dove vado? perchè la morte? per quale ragione sono qui? Il mondo odierno rende molto difficile l’esperienza del silenzio. Eppure l’uomo di oggi, per quanto assorbito dai rumori, bombardato da messaggi sonori-visivi e derubato della sua interiorità, ha una grandissima nostalgia del silenzio; si potrebbe dire che lo cerca e lo desidera, riconoscendolo come la via privilegiata e necessaria per incontrare Dio e se stesso. Ogni esperienza umana, ogni realizzazione importante, ogni pensiero (anche ogni preghiera!) ha bisogno di tempo e di silenzio, per maturare, per concretizzarsi, soprattutto oggi! È dal silenzio che nasce una parola penetrante, significativa, efficace. A volte si ha l’impressione che le parole dette ad alta voce possano essere meglio ascoltate, abbiano una maggior risonanza, un miglior effetto sulle persone, in realtà esse non arrivano mai a ‘toccare i cuori’! Tutti ne Formazione Se lo vogliamo, anche la nostra stessa ‘stanza’ può diventare un luogo privilegiato di incontro con un Dio, che ci chiede di pregarLo nel segreto abbiamo fatto esperienza. Anche il profeta Elia ha riconosciuto la presenza di Dio nel ‘mormorio di un vento leggero’ e non nel vento impetuoso perchè Dio, quasi sempre, sceglie di manifestarsi nel silenzio, nella tranquillità, nella pace. Anche i grandi mistici, come San Giovanni della Croce, Sant’Ignazio di Loyola e Santa Teresa d’Avila, ci confermano che il silenzio è condizione essenziale perché Dio possa risplendere e parlare al cuore dell’uomo. Tuttavia, proprio perché il nostro mondo ci ha disabituati al silenzio, abbiamo bisogno di qualcuno che ce lo insegni nuovamente, che ci aiuti a farne esperienza, che ci assicuri che il tempo dato al silenzio non è tempo perso ma un’occasione propizia, per accorgerci della intensa ‘sete di Dio’ che tutti portiamo nel cuore e per imparare da Dio stesso l’Amore ardente per Lui e la Carità concreta verso i nostri i fratelli. Forse qualche volta ci fa paura il silenzio, lo ‘fuggiamo’, lo allontaniamo dalla nostra vita preferendo ad esso qualsiasi rumore, qualsiasi parola o distrazione, perché sappiamo che ‘il silenzio è un umile ma sicuro Cammino verso l’Amore’. Esso infatti ha il potere di renderci ‘vuoti e poveri’ per essere abitati da una Presenza che ci conduce pian piano al Dono di noi stessi e ci riempie di un Amore incondizionato. Tante volte percepiamo l’esigenza di fare silenzio attorno a noi: silenzio dalle immagini, dai rumori, dalle distrazioni, dal chiacchierio. Ovvero, abbiamo bisogno di un silenzio ‘esteriore’ per entrare in quello ‘interiore’! Sentiamo la necessità di trovare spazi e luoghi, nelle nostre giornate, che ci permettano di uscire dalla realtà del quotidiano per stare soli con Dio, lontano dai frastuoni e dalle continue sollecitazioni di una società industrializzata, che è sempre più proiettata al successo individuale, sempre più lontana da Dio e sempre più preoccupata di mettere l’uomo al posto di Dio! In questo senso possono diventare importanti i pellegrinaggi, le passeggiate in luoghi solitari naturalmente belli e ‘incontaminati’, momenti di raccoglimento in piccole-semplici cappelle, le visite a santuari mariani, alcune giorna- Il tempo dato al silenzio non è tempo perso, ma un’occasione propizia, per accorgerci della intensa ‘sete di Dio’ che tutti portiamo nel cuore te di preghiera in case di spiritualità. Se lo vogliamo, anche la nostra stessa ‘stanza’ può diventare un luogo privilegiato di incontro con un Dio, che ci chiede di pregarLo nel segreto. Nel corso di questi anni ho avuto la fortuna e il grande dono di vivere l’esperienza del Pellegrinaggio. La prima volta è stato quasi per caso (anche se nella logica di Dio nulla avviene mai per caso), le volte successive per scelta. Mi sono chiesta che cosa mi spingesse ad andare e credo di poter dare almeno una risposta. C’era il desiderio di incontrare Dio, di fare una esperienza forte di preghiera, di vivere momenti di comunione e di intimità con Lui lontana da tutto e da tutti, riscoprendomi come figlia amata e voluta, nonostante tutte le mie povertà. Vivere giorni di silenzio interiore, lontana dal ‘rumore’ del mondo, mi ha aiutata a percepire con maggior chiarezza la ‘Voce’ di Dio e a portare questa ‘Voce’ nel mio quotidiano. Ho scoperto che nel silenzio si impara a stare con gli altri in modo diverso (nel modo stesso di Dio!), si impara a parlare in modo diverso, a gioire in modo diverso, a condividere, a perdonare, a vivere l’ordinario in modo straordinario per mezzo di piccoli e semplicissimi gesti. Si diventa più lieti, più sereni e più profondi, perché ci si scopre amati di un Amore immenso! Madre Teresa di Calcutta lo aveva compreso molto bene quando scrisse che “Nel silenzio del nostro cuore Dio ci parla del Suo Amore, con il nostro silenzio consentiamo a Dio di amarci”! Non credo ci sia nulla di più bello che possiamo desiderare e augurare per la nostra vita personale e per la vita di ciascuno! Emma Provoli Nazareth 4 - 2013 | 7 Magistero La Chiesa madre dei cristiani Cari fratelli e sorelle, buongiorno! R iprendiamo oggi le catechesi sulla Chiesa in questo “Anno della fede”. Tra le immagini che il Concilio Vaticano II ha scelto per farci capire meglio la natura della Chiesa, c’è quella della “madre”: la Chiesa è nostra madre nella fede, nella vita soprannaturale (cfr. Cost. dogm.Lumen gentium, 6.14.15.41.42). È una delle immagini più usate dai Padri della Chiesa nei primi secoli e penso possa essere utile anche per noi. Per me è una delle immagini più belle della Chiesa: la Chiesa madre! In che senso e in che modo la Chiesa è madre? Partiamo dalla realtà umana della maternità: che cosa fa una mamma? 1. Anzitutto una mamma genera alla vita, porta nel suo grembo per nove mesi il proprio figlio e poi lo apre alla vita, generandolo. Così è la Chiesa: ci genera nella fede, per opera dello Spirito Santo che la rende feconda, come la Vergine Maria. La Chiesa e la Vergine Maria sono mamme, ambedue; quello che si dice della Chiesa si può dire anche della Madonna e quello che si dice della Madonna si può dire anche della Chiesa! Certo la fede è un atto personale: «io credo», io personalmente rispondo a Dio che si fa conoscere e vuole entrare in amicizia con me (cfr Enc. Lumen fidei, n. 39). Ma la fede io la ricevo da altri, in una famiglia, in una comunità che mi insegna a dire «io credo», «noi crediamo». Un cristiano non è un’isola! Noi non diventiamo cristiani in laboratorio, noi non diventiamo cristiani da soli e con le nostre forze, ma 8 | Nazareth 4 - 2013 la fede è un regalo, è un dono di Dio che ci viene dato nella Chiesa e attraverso la Chiesa. E la Chiesa ci dona la vita di fede nel Battesimo: quello è il momento in cui ci fa nascere come figli di Dio, il momento in cui ci dona la vita di Dio, ci genera come madre. Se andate al Battistero di San Giovanni in Laterano, presso la cattedrale del Papa, all’interno c’è un’iscrizione latina che dice più o meno così: “Qui nasce un popolo di stirpe divina, generato dallo Spirito Santo che feconda queste acque; la Madre Chiesa partorisce i suoi figli in queste onde”. Questo ci fa capire una cosa importante: il nostro far parte della Chiesa non è un fatto esteriore e formale, non è compilare una carta che ci danno, ma è un atto interiore e vitale; non si appartie- ne alla Chiesa come si appartiene ad una società, ad un partito o ad una qualsiasi altra organizzazione. Il legame è vitale, come quello che si ha con la propria mamma, perché, come afferma sant’Agostino, “la Chiesa è realmente madre dei cristiani” (De moribus Ecclesiae, I,30,62-63:PL32,1336). Chiediamoci: come vedo io la Chiesa? Se sono riconoscente anche ai miei genitori perché mi hanno dato la vita, sono riconoscente alla Chiesa perché mi ha generato nella fede attraverso il Battesimo? Quanti cristiani ricordano la data del proprio Battesimo? Io vorrei fare questa domanda qui a voi, ma ognuno risponda nel suo cuore: quanti di voi ricordano la data del proprio Battesimo? Alcuni alzano le mani, ma quanti non ricordano! Magistero Ma la data del Battesimo è la data della nostra nascita alla Chiesa, la data nella quale la nostra mamma Chiesa ci ha partorito! E adesso vi lascio un compito da fare a casa. Quando oggi tornate a casa, andate a cercare bene qual è la data del vostro Battesimo, e questo per festeggiarla, per ringraziare il Signore di questo dono. Lo farete? Amiamo la Chiesa come si ama la propria mamma, sapendo anche comprendere i suoi difetti? Tutte le mamme hanno difetti, tutti abbiamo difetti, ma quando si parla dei difetti della mamma noi li copriamo, li amiamo così. E la Chiesa ha pure i suoi difetti: la amiamo così come la mamma, la aiutiamo ad essere più bella, più autentica, più secondo il Signore? Vi lascio queste domande, ma non dimenticate i compiti: cercare la data del vostro Battesimo per averla nel cuore e festeggiarla. Non dimenticate i compiti: cercare la data del vostro Battesimo per averla nel cuore e festeggiarla 2. Una mamma non si limita a dare la vita, ma con grande cura aiuta i suoi figli a crescere, dà loro il latte, li nutre, insegna il cammino della vita, li accompagna sempre con le sue attenzioni, con il suo affetto, con il suo amore, anche quando sono grandi. E in questo sa anche correggere, perdonare, comprendere, sa essere vicina nella malattia, nella sofferenza. In una parola, una buona mamma aiuta i figli a uscire da se stessi, a non rimanere comodamente sotto le ali materne, come una covata di pulcini sta sotto le ali della chioccia. La Chiesa come buona madre fa la stessa cosa: accompagna la nostra crescita trasmettendo la Parola di Dio, che è una luce che ci indica il cammino della vita cristiana; amministrando i Sacramenti. Ci nutre con l’Eucaristia, ci porta il perdono di Dio attraverso il Sacramento della Penitenza, ci sostiene nel momento della malattia con l’Unzione degli infermi. La Chiesa ci accompagna in tutta la nostra vita di fede, in tutta la nostra vita cristiana. Possiamo farci allora delle altre domande: che rapporto ho io con la Chiesa? La sento come madre che mi aiuta a crescere da cristiano? Partecipo alla vita della Chiesa, mi sento parte di essa? Il mio rapporto è un rapporto formale o è vitale? 3. Un terzo breve pensiero. Nei primi secoli della Chiesa, era ben chiara una realtà: la Chiesa, mentre è madre dei cristiani, mentre “fa” i cristiani, è anche “fatta” da essi. La Chiesa non è qualcosa di diverso da noi stessi, ma va vista come la totalità dei credenti, come il «noi» dei cristiani: io, tu, tutti noi siamo parte della Chiesa. San Girolamo scriveva: «La Chiesa di Cristo altra cosa non è se non le anime di coloro che credono in Cristo» (Tract. Ps 86: PL26,1084). Allora la maternità della Chiesa la viviamo tutti, pastori e fedeli. A volte sento: “Io credo in Dio ma non nella Chiesa…Ho sentito che la Chiesa dice…i preti dicono...”. Ma una cosa sono i preti, ma la Chiesa non è formata solo dai preti, la Chiesa siamo tutti! E se tu dici che credi in Dio e non credi nella Chiesa, La Chiesa siamo tutti: dal bambino recentemente battezzato fino ai Vescovi, al Papa; tutti siamo Chiesa e tutti siamo uguali agli occhi di Dio! stai dicendo che non credi in te stesso; e questo è una contraddizione. La Chiesa siamo tutti: dal bambino recentemente battezzato fino ai Vescovi, al Papa; tutti siamo Chiesa e tutti siamo uguali agli occhi di Dio! Tutti siamo chiamati a collaborare alla nascita, alla fede di nuovi cristiani; tutti siamo chiamati ad essere educatori nella fede, ad annunciare il Vangelo. Ciascuno di noi si chieda: che cosa faccio io perché altri possano condividere la fede cristiana? Sono fecondo nella mia fede o sono chiuso? Quando ripeto che amo una Chiesa non chiusa nel suo recinto, ma capace di uscire, di muoversi, anche con qualche rischio, per portare Cristo a tutti, penso a tutti, a me, a te, a ogni cristiano. Tutti partecipiamo della maternità della Chiesa, affinché la luce di Cristo raggiunga gli estremi confini della terra. Evviva la santa madre Chiesa! Francesco Roma, udienza generale, 11 settembre 2013 Nazareth 4 - 2013 | 9 Evento storico Chiusura dell’Anno della Fede: 24 novembre 2013 Famiglia, vivi la gioia della Fede! Pellegrinaggio delle Famiglie sulla Tomba di Pietro – 25 e 26 ottobre 2013 Care famiglie! Buonasera e benvenute a Roma! Siete venute pellegrine da tante parti del mondo per professare la vostra fede davanti al sepolcro di San Pietro. Questa piazza vi accoglie e vi abbraccia: siamo un solo popolo, con un’anima sola, convocati dal Signore che ci ama e ci sostiene. Saluto anche tutte le famiglie che sono collegate mediante la televisione e internet: una piazza che si allarga senza confini... Ho ascoltato le vostre esperienze, le storie che avete raccontato. Ho visto tanti bambini, tanti nonni… Ho sentito il dolore delle famiglie che vivono in situazione di povertà e di guerra. Ho ascoltato i giovani che vogliono sposarsi seppure tra mille difficoltà. E allora ci domandiamo: come è possibile vivere la gioia della fede, oggi, in famiglia? Ma io vi domando anche: È possibile vivere questa gioia o non è possibile?... Le famigle hanno bisogno dell’aiuto di Gesù, per camminare insieme con fiducia, per accogliersi l’un l’altro ogni giorno, e perdonarsi ogni giorno! E questo è importante! Nelle famiglie sapersi perdonare, perché tutti noi abbiamo difetti, tutti! Talvolta facciamo cose che non sono buone e fanno male agli altri. Avere il coraggio di chiedere scusa, quando in famiglia sbagliamo… Alcune settimane fa, in questa piazza, ho detto che per portare avanti una famiglia è necessario 10 | Nazareth 4 - 2013 usare tre parole. Voglio ripeterlo. Tre parole: permesso, grazie, scusa. Tre parole chiave! Chiediamo permesso per non essere invadenti in famiglia. “Posso fare questo? Ti piace che faccia questo?”. Col linguaggio del chiedere permesso. Diciamo grazie, grazie per l’amore! Ma dimmi, quante volte al giorno tu dici grazie a tua moglie, e tu a tuo marito? Quanti giorni passano senza dire questa parola, grazie! E l’ultima: scusa. Tutti sbagliamo e alle volte qualcuno si offende nella famiglia e nel matrimonio, e alcune volte – io dico – volano i piatti, si dicono parole forti, ma sentite questo consiglio: non finire la giornata senza fare la pace. La pace si rifà ogni giorno in famiglia! “Scusatemi”, ecco, e si rincomincia di nuovo. Permesso, grazie, scusa! Lo diciamo insieme? Permesso, grazie e scusa! Facciamo queste tre parole in famiglia! Perdonarsi ogni giorno! Nella vita la famiglia sperimenta tanti momenti belli: il riposo, il pranzo insieme, l’uscita nel parco o in campagna, la visita ai nonni, la visita a una persona malata… Ma se manca l’amore manca la gioia, manca la festa, e l’amore ce lo dona sempre Gesù: Lui è la fonte inesauribile. Lì Lui, nel Sacramento, ci dà la sua Parola e ci dà il Pane della vita, perché la nostra gioia sia piena....” Papa Francesco Dagli scritti del Fondatore - PSSF a cura di Sr. Flaviana Giacomelli Tra gli scritti del Beato Giuseppe Nascimbeni, nella raccolta“Istruzioni sul Credo”, c’è la spiegazione del “Credo o Simbolo Apostolico”. Ai singoli articoli, il parroco fa precedere alcune riflessioni sulla fede; la paragona alle fondamenta di un edificio. “Quello che è il fondamento alla casa è la fede all’edificio della salute. Senza la fede è impossibile piacere a Dio. Se fabbricate un palazzo stupendo quanto volete e con tutte le comodità possibili ma non ci fate a questo palazzo le fondamenta, non potrà sostenersi, al primo urto di vento cadrà… Questo quanto alla necessità. Ora diciamo cosa è la fede. La fede è un dono di Dio, una virtù soprannaturale mediante la quale noi fermamente crediamo tutto ciò che la Chiesa c’insegna poiché lo ha detto Iddio ch’è la stessa verità. La fede è un dono di Dio particolare, distinto, specialissimo che ci ha fatto il Signore per sua infinita bontà, senza alcun nostro merito, anzi senza neppure che fossimo capaci di meritarlo. È una virtù soprannaturale cioè che ci fa credere delle verità che noi non possiamo conoscere col solo lume della ragione e che hanno per scopo di condurci all’eterna felicità”... Beato Giuseppe Nascimbeni (dall’Istruzione 4^, p. 12) Carisma Le PSSF “per il Popolo” I l Beato Nascimbeni usa questo termine nell’accezione più naturale e quotidiana, intendendo con esso di riferirsi alla gente comune, alle persone che incontra nella vita di ogni giorno, che vede nascere, crescere, impegnarsi, formarsi una famiglia, educare dei figli. È lontana da lui l’idea del “popolo sovrano”, del popolo in lotta per la rivendicazione dei suoi diritti. È piuttosto l’idea oggi riemersa con Papa Francesco di “popolo che non si stufa di lui”, che cerca motivi di vita, vicinanza, comprensione e considerazione, misericordia. È il popolo che incontrava Cristo, portatore di salute e salvezza, di pace e giustizia, di liberazione dal male e dalla morte. È continuare questa missione nell’attuarsi del mistero dell’Incarnazione, solo una verità da credere al tempo del nostro Fondatore che non poteva avere molti argomenti per approfondire o entrare in tale mistero, ma che aveva tutta la disponibilità e la forza per vivere la novità di vita e il mondo nuovo da essa instaurato. Il Nascimbeni, divenuto sacerdote, ha davanti a sé un solo obiettivo: “dare la vita per la salvezza anche di un’anima sola”, salvezza intesa sì come “vita eterna, felicità senza fine”, ma prima di tutto intesa come vita dignitosa, laboriosa, serena nella famiglia e nella società. Arrivato a S. Pietro di Lavagno, si occupa subito dei giovani, della scuola dove si formano le giovani generazioni, impegno continuato a Castelletto fino al 1907. Era convinto che dalla formazione poteva nascere la persona nuova, capace di relazioni positive, di operosità costruttiva, di dedizione per il bene comune. Le vie per formare le persone erano tante: oltre la scuola, la vita della parrocchia, le manifestazioni e le feste del paese, le varie possibilità di lavoro che egli stesso procurava e curava, perché nessuno perdesse il tempo e le giornate sulle strade o nell’osteria. Per così intensa attività sente di non bastare da solo, è allora che, cercando religiose che lo aiutassero a “salvare anime”, arriva alla fondazione di un Istituto, definito oggi “diaconale”, perché caratterizzato dalle varie forme di servizio“al povero popolo”, con lo spirito e l’apertura della Famiglia di Nazareth. Aveva sempre cercato una maestra per accogliere il dono dello Spirito e porre una guida sicura agli inizi, ma dovette provvedere egli stesso alla preparazione e formazione delle sue figlie, cercando ogni mezzo perché potessero essere incisive e rispondere a tutte le necessità del popolo. Lo Stato Italiano nel suo progressivo organizzarsi pretendeva “le patenti”, che le suore non avevano. La stessa prima filiale che sperava di aprire a Gargnano, a pochi mesi dalla fondazione, fu impedita per la mancanza di una maestra patentata. Il Fondatore, però, non si scoraggia, sa che è lo Spirito a suscitare il volere e l’operare e che il carisma, dono di grazia operante nell’Istituto, è dato per l’edificazione della Chiesa e punta soprattutto sulle braccia, il buon senso e la totale dedizione delle suore, supplendo ad una istruzione cercata e promossa, ma impossibile da realizzare secondo il proprio desiderio, anche per lo sviluppo straordinario dell’Istituto e le continue richieste della presenza delle suore Un Istituto, definito oggi “diaconale”, caratterizzato dalle varie forme di servizio “al povero popolo” nelle varie parrocchie. Dovunque è sempre l’attenzione alle necessità del popolo che muove le suore, pronte a entrare nella concretezza della vita del popolo, a vivere delle sue stesse gioie, speranze e attese, a farsi carico di ogni situazione, ad affiancarsi ad ogni persona, a comprendere ogni disagio o fatica. La stessa Madre Maria, mandata dal Fondatore a sostenere e guidare le suore nell’avviarsi di ogni nuova filiale, entra nelle famiglie, le rassicura della gratuità del servizio prestato alle figlie dei poveri, della disponibilità di andare incontro a tutte le necessità, del desiderio di promuovere le persone con i mezzi a disposizione. Le Piccole Suore sono nate per entrare nel tessuto sociale come fermento, portarvi i valori che rendono umana la vita di ogni persona, che aiutano a crescere nella consapevolezza e nella responsabilità cercando il bene proprio, della famiglia e il bene comune. La garanzia del cammino percorso e da percorrere è stata cercata dal Fondatore nella Chiesa, nei suoi pastori e nelle sue indicazioni, e su questa strada continua l’Istituto, oggi chiamato a ravvivare il carisma, traducendolo in forme nuove di intervento e di servizio, sempre con l’obiettivo e il desiderio di essere segno dell’Incarnazione che, portando il divino dentro l’umano, fa di tutti noi un “popolo di redenti”. G.T. Nazareth 4 - 2013 | 11 Esperienza Mistici con gli occhi aperti La scuola è un vero cammino verso la realizzazione di una piena umanità “I l nostro compito deve essere unicamente quello di diventare pienamente umani” scriveva Romano Guardini, sacerdote e teologo, una delle voci più originali e influenti del pensiero cristiano del XX Secolo (nato a Verona nel 1885, anche se troppo spesso i veronesi stessi dimenticano l’esistenza di questo loro illustre concittadino). Nella prospettiva dell’educazione, e di un’educazione che si voglia dire cristiana in particolare, non possono che essere parole illuminanti. Sovente, negli scorsi numeri di Nazareth, abbiamo insistito sulla natura complessa e sulla fondamentale importanza delle relazioni all’interno della scuola, a tutti i livelli: relazioni fra docente e discente, fra educatore ed educato, fra colleghi e fra alunni, fra studenti e discipline di studio, o più semplicemente fra persone che stanno compiendo un cammino di vita insieme. Il risultato è senz’altro una rete dinamica di rapporti che solo se vissuti in modo equilibrato e consapevole possono diventare pienamente sensati. Ma che spazio ha Dio in questa complicata e significativa ragnatela? In una società che tende sempre più a confinare la dimensione religiosa ai margini, parlare di Dio a scuola – come discorso di senso, a partire dalle domande sull’esistenza e riflettendo sulle risposte cristiane – rischia di diventare un’operazione reputata di volta in volta superflua, inutile, dannosa. Nulla di più sbagliato perché è proprio dalla pratica quotidiana nella scuola che si può notare quanto 12 | Nazareth 4 - 2013 la dimensione spirituale, anche da parte degli adolescenti più “ribelli”, non è per nulla rifiutata tout court, ma è anzi vissuta con una curiosità ed un desiderio di approfondimento che spesso invece manca proprio agli adulti. Talvolta, per un insegnante (di filosofia, di storia, di letteratura, ma in fondo non c’è un discrimine così forte sulla disciplina), ap- verso il mondo, di fiducia e autorevolezza. Dopotutto, una scuola che, con spirito di giustizia e di carità, apra gli occhi e gli orecchi dei suoi allievi a ciò che succede fuori delle mura della classe, è già di per sè una scuola che si sta ponendo in una prospettiva cristiana. Una scuola che non abbia paura di “parlare di Dio” per timore di of- procciare questo tipo di tematiche è un’azione del tutto naturale e anzi indispensabile. Ma non è solo nella “teoria” il nucleo della questione: è nell’essenza stessa dello stare a scuola. “Diventare pienamente umani”, come affermava Guardini, è in fondo il fine più alto dell’educazione, così come deve essere l’obiettivo più alto di ogni cristiano. La scuola, come abbiamo scritto spesso in queste pagine, è un vero e proprio cammino verso la realizzazione di una piena umanità, un cammino che si nutre di contenuti e di dialogo, di senso e di relazione, di domande e di risposte, di attenzione all’altro e di ascolto reciproco, di sguardi dentro se stessi e fendere qualcuno, sta spalancando, oltre gli steccati di un diffuso nichilismo, spazi di riflessione e di senso che aumentano a dismisura la libertà di ciascuno. Una scuola così, fatta di “mistici con gli occhi bene aperti”, per usare una bella espressione del teologo tedesco Johann Baptist Metz, sarebbe davvero un’opportunità formidabile per dare all’educazione una dimensione, che altrimenti rischia di appiattirsi su un presente immediato, fatto solo di bisogni e privo di interrogativi veri: una dimensione pienamente “divina”, una dimensione pienamente umana. Andrea Cornale Letteratura La relazione con Dio e con la Chiesa in Alessandro Manzoni N on v’è dubbio che la tematica religiosa sia dominante nella vita di Alessandro Manzoni e di conseguenza nelle sue opere. Sappiamo che la vita dello scrittore fu caratterizzata da un rigore, una severità, una semplicità, una purezza che l’avvicinavano a quella dei calvinisti, tanto che Manzoni fu accusato di essere giansenista (cioè di simpatizzare per la dottrina eretica del vescovo fiammingo Cornelio Giansenio, il quale nel secolo XVII aveva proposto un’interpretazione dei concetti di predestinazione e di grazia molto vicina a quella di Calvino), pur avendo egli stesso dichiarato più volte ed esplicitamente la sua appartenenza alla Chiesa cattolica, apostolica, romana. A tutto ciò non fu estraneo il matrimonio con Enrichetta Blondel, ginevrina, fervente calvinista fino al momento della sua conversione al cattolicesimo. D’altra parte, se la vita di Manzoni poteva riprodurre quella di un calvinista, nel sentimento religioso dello scrittore non si trova nulla di intransigente, di “integralista”: anzi, esso è contraddistinto da un’umanità, da una sensibilità, da una capacità di comprensione più mediterranee che nordiche (se mi si consente di abusare di un luogo comune…). Il cattolicesimo di Manzoni si manifesta naturalmente nelle sue opere, che risultano particolarmente riuscite quando si staccano dalla dottrina teorica, dalla catechesi, e si interessano della vita vissuta quotidianamente. Per chiarire maggiormente il discorso, potrem- mo dire, per esempio, che gli Inni sacri sono validissimi a livello didattico pedagogico, ma I promessi sposi o Il cinque maggio assurgono al ruolo di indiscutibili capolavori letterari, con una valenza “umana” che va al di là del fatto religioso. Il vero e sincero rapporto con Dio è affidato nel romanzo alle parole e alle azioni di personaggi diversissimi per estrazione sociale, cultura, stile di vita, ma accomunati dall’autenticità della loro fede: stiamo parlando di Lucia, dell’Innominato, del cardinale Federigo Borromeo. Manzoni ne fa degli esempi chiarissimi da comprendere, cui tutti dovrebbero ispirarsi, e li sceglie proprio differenti l’uno dall’altro perché ogni persona possa trovare il proprio modello di vita sulla base di una totale fiducia nella bontà di Dio e nel fatto che tutto ciò che avviene sia volto Il cattolicesimo di Manzoni si manifesta naturalmente nelle sue opere quando si interessano della vita vissuta quotidianamente alla nostra salvezza, se lo accettiamo con cuore puro. Per quanto concerne la Chiesa, Manzoni si rivela estremamente obiettivo. Egli sa bene come al suo interno si possano trovare molti Nazareth 4 - 2013 | 13 Letteratura esempi di altissima moralità e altrettanti, se non di più, di meschina bassezza, e non si propone affatto di nascondere la realtà. La finalità della sua scrittura, infatti, consiste nel far opera utile ai suoi lettori, affinché questi ultimi riconoscano, senza difficoltà e senza dubbi, ciò che è bene e ciò che è male, e tale finalità gli impone di evidenziare i comportamenti virtuosi così come quelli meno apprezzabili. Per questo a far parte della compagine ecclesiastica troviamo – accanto a Padre Cristoforo e al cardinale Borromeo – don Abbondio, prete non per vocazione ma per calcolo interessato; il padre provinciale dei Cappuccini che, pur consapevole della meschinità e dell’ingiustizia del suo comportamento, cederà alle richieste del Conte zio ed allontanerà Padre Cristoforo, reo di intralciare i piani di Don Rodrigo; Gertrude, la cui monacazione forzata non può tuttavia giustificarne le scelte sba- gliate ed i delitti commessi all’interno del convento di Monza; le suore del monastero, a partire dalla badessa, che avevano favorito in ogni modo l’ingresso in clausura di Gertrude, pur sapendo perfettamente che questo non era nei desideri della giovane, e si erano rese quindi complici del sopruso vergognoso che la famiglia stava commettendo. Al di là e al di sopra di tutto ciò c’è una convinzione che caratterizza la fede di Manzoni e che viene evidenziata in più occasioni: Dio opera nel mondo tramite la Provvidenza, i cui disegni non possono essere conosciuti dagli uomini. L’imprevedibilità degli interventi della Provvidenza divina è sottolineata proprio dalla molteplicità di situazioni per le quali ci si aspetterebbe una certa soluzione, mentre se ne verifica un’altra, spesso opposta. Pensiamo, per esempio, alle vicende di Lucia: si sarebbe dovuta trovare al sicuro nel convento di Monza e invece proprio lì sarà C’è una convinzione che caratterizza la fede di Manzoni: Dio opera nel mondo tramite la Provvidenza, i cui disegni non possono essere conosciuti dagli uomini rapita, mentre dal castello dell’Innominato avrebbe dovuto essere consegnata senza problemi a Don Rodrigo e invece il rapimento si trasformerà nella salvezza sua e dello stesso rapitore. Il ruolo della Provvidenza è poi particolarmente manifesta ne Il cinque maggio, scritta – come sappiamo – in occasione della morte di Napoleone Bonaparte a Sant’Elena, appunto il 5 maggio 1821. L’ultima parte della lirica ci presenta l’Imperatore che si propone ripetutamente di scrivere le proprie memorie, ma la disperazione prende il sopravvento su di lui, nel momento in cui i ricordi del suo passato “glorioso” fanno risaltare ancora di più la mediocrità del presente. Ed ecco che, del tutto inaspettata, a quell’uomo solo e senza futuro viene in aiuto la Provvidenza, che gli fa riscoprire la fede e gli riporta la speranza: “… e l’avviò, pei floridi / sentier della speranza, / ai campi eterni, al premio / che i desideri avanza, / dov’è silenzio e tenebre / la gloria che passò.” Maria Laura Rosi 14 | Nazareth 4 - 2013 Iconografia e spiritualità Due Icone a confronto Alimentano la nostra fede e ci introducono nella contemplazione del mistero di Dio 1. Di fatto, parlare di Dio-Trinità, così come tanta teologia ci ha insegnato a dire, comporta ancora oggi una certa difficoltà. È importante credere che il nostro Dio è Uno e Trino, resta tutta la difficoltà di spiegarlo con le nostre parole. Ancora più complesso è il tentativo di dare immagine a Dio nelle sua realtà di Padre, Figlio e Spirito Santo. Tutti conoscono l’icona della Santissima Trinità di Andrej Rublëv: è una delle più celebri e misteriose espressioni della pittura mondiale. Il soggetto dell’icona si basa sul capitolo 18 del libro della Genesi, dove si descrive Dio che, in forma di tre angeli, appare ad Abramo e a Sara sotto la quercia di Mamre. Prima di Rublëv, i pittori di icone dipingevano soltanto una scena di vita quotidiana: i tre angeli ospiti di Abramo e Sara, seduti a tavola all’ombra di una grande quercia. Il santo Andrej Rublëv ha saputo invece incarnare nell’icona il dogma più importante del cristianesimo! In che cosa si è rivelato lo straordinario genio di Rublëv? Guardando attentamente l’icona: anzitutto notiamo che Rublëv ha tolto le figure di Abramo e di Sara. Il ricco allestimento della mensa è stato sostituito da una sola coppa, indicata dall’angelo che sta in mezzo. La grande quercia si è trasformata in un piccolo albero. Così l’icona si può riconoscere, ma da essa sono scomparse tutte le cose temporali, lasciando posto a quello che è eterno. Nell’insegnamento ortodosso la Santissima Trinità è chiamata consustanziale, indivisibile, fonte di vita e santa. La consustanzialità è trasmessa nella sua icona con il fatto che le figure degli ange- li Dio-Padre, Dio-Figlio, Dio-Spirito Santo sono dipinte assolutamente nella stessa maniera: tutte e tre hanno la stessa dignità e somiglianza. Ritraendo i volti dei tre angeli tutti uguali, Rublëv trovò una bellissima soluzione che non infrange il dogma della consustanzialità. Nell’icona ci sono alcuni altri simboli: l’albero, il monte e la casa. L’albero, la quercia di Mamre, è trasformato da Rublëv nell’albero della vita e mostra che la Trinità è la fonte della vita. Il monte incarna la santità della Trini- tà, e la casa il fatto che Dio è il primo Costruttore di tutto. La Casa infatti si trova alle spalle dell’angelo con i tratti del Padre (Creatore, Iniziatore della Costruzione), l’Albero alle spalle dell’angelo di mezzo (il Figlio è la Vita) e il Monte alle spalle del terzo angelo (lo Spirito Santo). L’icona, in cui non c’è né azione, né movimento, è piena d’ispirazione e di una pace solenne. Il pittore ha presentato qui la grandezza dell’Amore sacrificale. Il Padre manda il Suo Figlio a soffrire per l’umanità, e il Fi- Nazareth 4 - 2013 | 15 Iconografia e spiritualità glio, Gesù Cristo, è disposto ad andare a soffrire e dare se stesso come sacrificio per gli uomini promettendo, dopo la sua Ascesa la venuta dello Spirito Santo, che convincerà il mondo di peccato, di giustizia, e di giudizio in base all’opera che il Figlio ha compiuto sulla croce. 2. Di tutt’altra impostazione l’icona della Trinità della scuola di Novgorod che viene presentata per confronto. È una delle icone più suggestive custodite nella Galleria Tret’jakov di Mosca. È la Santa Icona della “Paternità” dipinta nel XV secolo, conosciuta anche come “Trinità del Nuovo Testamento”. L’opera raffigura Dio 16 | Nazareth 4 - 2013 Padre, “mai visto da nessuno”, rappresentato come un anziano canuto, l”Antico dei giorni”, mentre il Figlio siede, nelle sembianze di fanciullo, sulle sue ginocchia e regge nella mani una sfera azzurra con dentro la colomba dello Spirito Santo. Tale forma iconografica, di sicuro fascino e suggestione, presenta tuttavia anche implicazioni teologiche estremamente complesse: questo è il motivo per il quale, pur non arrivando a considerarle “anticanoniche”, la Chiesa Russa di allora si accostò a questo tipo di icone con una certa prudenza, soprattutto riguardo alla rappresentazione particolare di Dio Padre che, come è scritto, “nessuno ha mai veduto”. Il Concilio della Chiesa Rus- sa, 1551, imponeva infatti agli iconografi di dipingere le icone attenendosi al modello di Andriej Rublëv e sottoscriverle “Santissima Trinità” e non dovevano fare niente a modo loro. Però ciò rimase lettera morta e gli iconografi crearono immagini della Trinità (“Trinità Neotestamentaria”) che pienamente contrastavano con la concezione di Dio Uno-Trino, Eterno e inconcepibile. Nell’icona della “Paternità”, dove sono raffigurati Dio-Padre e Dio-Figlio come personaggi di diversa età, si percepiva un’inaccettabile, non canonica, applicazione del tempo a Dio, la cui esistenza non ha né inizio né fine; così pure lo Spirito Santo fuori del tempo e dello spazio. C’è da aggiungere anche che questo tipo di icone, per il loro carattere astratto, in quanto non rappresentano un personaggio o una scena concreta della Scrittura, sono prive di un legame diretto con l’Incarnazione. L’icona non deve infatti essere un’astrazione, ma la contemplazione adorante di Dio che si fa uomo. Resta, comunque, lo splendore di un’icona straordinaria. Tuttavia, al di là della storia, apprezzamenti o contrasti attraverso i quali sono passate, entrambe le icone ci portano alla contemplazione del dogma della Trinità, mistero divino, che la mente umana può cogliere solo con la fede. San Colombano (543-615) afferma: “...La divinità della Trinità si dimostra incomprensibile ai sensi dell’uomo. Se dunque qualcuno vuole conoscere quel che deve credere, deve rendersi conto che non potrà capire di più parlandone, che credendo. La conoscenza di Dio, infatti, quanto più viene discussa, tanto più sembra allontanarsi da noi…”.La contemplazione delle icone induce alla meditazione che, quale strumento fondamentale per la relazione con Dio, “costruisce” nell’uomo la Fede nello stesso modo della Parola scritta. Italo Forieri Voce giovani Dio è luce amore vita C ontinua la pubblicazione di alcune poesie delle alunne della Scuola Egeria, Sacra Famiglia, di Verona, di una decina di anni fa. Il tema centrale è la relazione con Dio. Questa tematica di certo non è facile da trattare per degli adolescenti, tuttavia è foriera di profonde riflessioni di vita e trepidanti slanci vitali: Dio è amore, Dio dà la vita, Dio è luce che illumina il cammino! a cura di Andrea Cornale Vorrei volare nel cielo, per cercarti, vorrei essere un maestoso albero per allungare i miei rami e trovarti. Vorrei essere… vorrei essere… Vorrei essere tutto quello che mi avvicina a te o mio caro Gesù. Daniela Moletta È una poesia d’amore a tutti gli effetti. L’anafora “vorrei” ripetuta e ribattuta esalta il desiderio di essere, di cercare, di elevarsi, di estendere la propria dimensione umana verso qualcosa di più alto, grande, importante. Solo nel verso finale la rivelazione: è Gesù l’oggetto-soggetto dello slancio verticale e sentimentale. Ecco spiegato tanto desiderio lanciato verso il cielo come braccia elevate in una preghiera che coinvolge tutta la natura. Grazie Signore per tutte le tue creature, gli uccelli del cielo i pesci del mare, l’acqua e i colori ci parlano di te. Grazie Signore perchè ti nascondi ai potenti ma ti riveli ai poveri e ai piccoli. Tu sei la luce che accende la speranza quando la notte ci avvolge nei tuoi pensieri. Grazie Signore per la vita che ci hai donato, e possa sempre essere vissuta a tua immagine. Grazie di tutto! Arianna Lavarini La luce immensa della tua vita Mi fa illuminata E dà giubilo. Tu sei la stella Che mi illumina il cammino. Tu sei il mattino. Tu sei colui che mi desta ogni dì E mi baci sulla fronte donandomi il tuo amore. Fabiola Vanti Una lode a Dio luce immensa della vita. Stella che segue ogni mattino e ogni tramonto. Dio che sorride e bacia la fronte di ogni uomo e di ogni donna fatti a sua immagine. Il suo amore è “incredibile” tanto è grande, tanto ci supera. È per questo che lo possono capire solo i “piccoli”, i semplici. Solo così la vita è vita, vita di figli amati, degni di tale amore, non di mendicanti a caccia di sostentamento. La vita è come un fiocco di neve: scende lentamente, si appoggia e poi piano piano scompare. Tutto acquista senso per un cuore ricco di gratitudine e di stupore: gli uccelli del cielo, i pesci del mare, l’acqua e i colori ci parlano del Creatore. Il grazie va soprattutto a Lui, per la sua scelta di privilegiare la compagnia dei piccoli e di rivelarsi come Luce e Vita. La nostra vita così fragile nel suo nascere e manifestarsi, quasi fiocco di neve, per poi scomparire lentamente. Su questa terra la nostra vita si “appoggia”. È in condizione di precarietà: verrà trapiantata definitivamente altrove, là, nel grande cuore da cui è nata. Ritroverà la sua piena somiglianza, già vissuta, ma non ancora compiuta, per quell’ unico volto, qui e ora, mai svelato pienamente. Nazareth 4 - 2013 | 17 Nuova Rubrica Risonanze e riflessioni dei lettori Nazareth n 3/2013 G razie mille per il nuovo numero di Nazareth, mi è piaciuto molto l’articolo di apertura. Mi è piaciuta molto anche questa parte: “si tratta del ‘gusto’ per le cose semplici, del legame con la natura, della ‘lentezza’ del vivere (senza lasciarsi dominare dal fattore ‘tempo’), della sobrietà ‘felice’. Ma anche dell’amore per la famiglia, dell’avere cura di ogni persona (anche se debole o fragile), della solidarietà e aiuto reciproco, della solidità dei legami affettivi, dello spirito di sacrificio e attaccamento al lavoro, del profondo sentimento religioso, del valore della vita umana in quanto tale, dell’onestà nei comportamenti e nella parola data”. È un qualcosa che qui in Svezia si percepisce maggiormente, c’è un forte legame con la natura, una solidarietà e una grande attenzione affinchè tutti abbiano le stesse opportunità, realizzatesi grazie sicuramente ad una più attenta gestione politica. Non c’è corruzione, non c’è una continua gara a chi è più furbo, c’è uno spirito di sacrificio che si traduce nel pagamento di tasse forse anche più elevate rispetto all’Italia, che permettono di offrire servizi e assistenza a tutti. Ad un primo impatto le persone sembrano molto più fredde, più individualiste qui, eppure non è così. Qui comunque tutto procede bene, fa ovviamente freddo e il sole tramonta alle 3 del pomeriggio (tra un mese all’ 1 sarà già buio). Non ho modo di analizzare come venga vissuto il vangelo, di sicuro la chiesa come istituzione è molto meno presente che in Italia, le Chiese sono poche e non ho (ancora) sentito parlare di parrochie / oratori , è un po’ difficile da valutare anche perchè è una città che sta crescendo molto velocemente, fatta principalmente da studenti, molti dei quali stranieri. Cari saluti. Alessandro LA RELAZIONE INTERPERSONALE Sono d’accordo con Lei su l’insensatezza di questa sfrenata corsa finalizzata all’ap- 18 | Nazareth 4 - 2013 parenza. Essere per apparire agli altri non è essere: è proprio una contraddizione in termini. Non so...potrebbe anche esserci un richiamo “foscoliano” in tutto questo bisogno di lasciare un’immagine di sè. Come i sepolcri per Foscolo, adesso, ci sono Flickr, Facebook e simili per i nostri contemporanei? Ovviamente scherzo. Non c’è paragone tra la poesia del Foscolo e una foto ritoccata con photoshop (la tenuta da bagno è un must!) pubblicata immortale sul web. Non condivido, e proprio non mi piace, la parola “servire”. Secondo me le persone non servono a nulla: sono inutili come le opere d’Arte. Proprio il concetto di servire, rendere servizio a qualcuno o a qualcosa, intrappola la persone in certi meccanismi. Absit iniuria verbo ( = sia lungi dalla parola l’offesa), secondo me, sia che si serva il dio denaro, sia che si serva il Dio di una religione, il problema sta proprio nel servire. Vedo il rapporto a Dio più orizzontale: noi apparteniamo a Dio e Dio ci appartiene. Nessuna servitù: ma condivisione reciproca. Ma questa è una mia convinzione personale. Però alla parola “servire” mi prude il naso! “Essere per gli altri”. Mi pare sia quello che succede oggigiorno. Essere per gli altri e perdere il cantatto con se stessi (direi con Dio, perchè ognuno partecipa a Dio). E’ sempre difficile cercare di spiegare che il percorso per partecipare all’amore di Dio (e quindi del prossimo) passa attraverso l’amore di se stessi. Non so... è così difficile amare se stessi, che mi chiedo come possa una persona che non si sa amare, amare qualcun altro?!? “Il gesto rimane il momento più desiderato”. Bellissima frase. Vera. Viviamo nell’era “blablabla”. Non si sentono altro che parole! Parole! Parole!. Un gesto, in silenzio, inaspettato e spontaneo è il più bel regalo e la più grande verità. “Persone libere che non si piegano ai poteri di questo mondo”. Mi spiace, ma credo che (nonostante la simpatia di Papa Francesco) la Chiesa sia uno dei poteri di questo mondo. Condivido questa frase e non mi piego ai poteri di questo mondo. Tra l’altro mi meraviglio come gli stessi credenti si meraviglino della rivoluzione portata da questo Papa, che altro non fa che rimettere la Chiesa in linea con quello che professano le sue Sacre scritture!? (Direi quasi in linea...ci sono ancora molte incoerenze da risolvere, secondo me). Riassumendo: la relazione interpersonale, secondo Lei, si fonda sul rendere servizio al prossimo? E le domando: come si rende servizio a se stessi? Tiziana (dalla Sardegna) A proposito del senso del “servizio”. Possiamo sostituire il termine con “gesto d’amore”. La nostra vita, tutta dedita “ai fratelli e sorelle” che incontriamo e/o ci sono affidati per un servizio=cura amorosa, è piena di tanti piccoli gesti, fino ad arrivare al “gesto” più forte: la totale gratuità e la gioia di diventare “servi inutili”. Questo capita anche alle mamme che crescono dei figli e che poi, seguendo la propria strada, vocazione, non possono più stare al passo della mamma, pur portandola sempre nel cuore. Allora la mamma e anche noi Suore possiamo sperimentare la “gioia dell’inutilità” proprio nel senso che viene meno “quel tipico servizio” non più necessario, anzi, che se continuasse, si trasformerebbe in un danno alla persona, più che un dono! Ciao. Sereno cammino. Sr. Maria Angelica Buongiorno, chiedo un’informazione. È, per caso, possibile avere in PDF quattro articoli dell’ultima edizione (n. 3) della rivista trimestrale Nazareth? Mi riferisco a: “la relazione interpersonale”, “la relazione negli ambienti di vita”, “la relazione tra noi” e “il gusto per le cose semplici” . Sono, o meglio, la mia famiglia è da diversi anni abbonata a nome di mia mamma (Sig.ra Basso Francesca). Grazie! Buona giornata! Angelo Zarantonello, da Favaro Veneto (VE) Nazareth 4 - 2013 | 19 20 | Nazareth 4 - 2013 Nazareth 4 - 2013 | 21 22 | Nazareth 4 - 2013 Voce giovani Nazareth 4 - 2013 | 23 Biblioteca in famiglia Incontrare Dio in un libro per bambini I libri per bambini e ragazzi che affrontano il tema della fede, dell’incontro con Dio, della preghiera, in particolare di matrice cristiana, sono pubblicati, perlopiù, da case editrici d’ispirazione cattolica: Edizioni San Paolo, Elledici, Edizioni Messaggero, solo per citarne alcune. Raramente, come immaginabile, case editrici laiche si sono impegnate su tale fronte. Con una particolare eccezione, qualche anno fa, precisamente nel 2011, la casa editrice italiana Topipittori decise di tradurre e pubblicare un albo illustrato del tutto singolare: L’Omino e Dio, stampato a Parigi da L’école des loisirs l’anno precedente. Autrice del testo e delle immagini è l’anglo-svedese Kitty Crowther, già conosciuta da molti esperti del settore letterario per l’infanzia per le originali illustrazioni, caratterizzate da uno stile molto vicino a quello infantile, grazie all’albo Dentro me, edito anch’esso da Topipittori nel 2007, che accompagna il viaggio di un bambino dentro le proprie paure. In Dentro me, la Crowther, con i suoi disegni pacati e, a tratti, d’ambientazione onirica, dà spessore alle parole, caratterizzate da una poetica asciutta e schietta, dello scrittore Alex Cousseau: “Io non sono sempre stato io. Prima di essere me, non ero dentro me. Ero altrove. Altrove è tutto tranne me. 24 | Nazareth 4 - 2013 Solo poi, sono diventato veramente io. Ho scoperto un paese. La sua capitale è il mio cuore. I suoi alberi sono i miei sogni. Questo paese si trova dentro me. Ma dentro me, non ero io il re. Almeno, non ancora. Avevo nemici e guai dappertutto. Dentro me, era la notte”. Questa pubblicazione è stata motivo di discussione e confronto, di critiche e pareri non sempre favorevoli, contrariamente alle osservazioni raccolte dopo la lettura dello stesso libro da parte dei bambini, che nelle immagini a tratti mostruose e, comunque, fuori da ogni stereotipo edulcorante, hanno riconosciuto la verità di un’esperienza che li tocca da vici- no: l’incontro-scontro con quelle paure che, spesso, dimorano nel profondo di se stessi. La capacità della Crowther di illustrare i sentimenti dei bambini, talvolta anche quelli inconsci, cogliendo con verità il loro punto di vista, non si è fermata a Dentro me, ma ha saputo trovare nuovi spazi d’espressione in altri albi illustrati, di cui ha curato anche il testo, continuando ad affrontare temi decisamente impegnativi. Se nessun editore italiano ha ancora trovato il coraggio di pubblicare La visite de petite Mort (Parigi, L’école des loisirs, 2004), in cui l’autrice offre una visione della morte poco narrata, ossia l’incontro della morte con una bambina che, stanca di soffrire, la accoglie con gioia (proponendo un’immagine della morte anche come sollievo), nel 2010 la casa editrice modenese Almayer Edizioni ha offerto al giovane pubblico lo straordinario albo: Io e Niente. Niente, altri non è, che quell’amico immaginario che permette ad una bambina di affrontare il difficoltoso lavorio di elaborazione del lutto per la morte della madre e di lontananza affettiva dal padre, anch’egli impegnato a lottare contro il senso di smarrimento e spaesamento causato dalla morte della moglie. In quest’ultimo libro, ciò che colpisce è, forse più delle parole, la semplicità e l’abilità narrativa del- Biblioteca in famiglia le illustrazioni, dal tratto essenziale e pulito. Non stupisce che, nel 2010, la Crowther sia stata insignita del prestigioso premio Astrid Lindgren Award (il maggior riconoscimento per la letteratura per l’infanzia e per i ragazzi al mondo), per l’abilità di raccontare ed illustrare stando dalla parte dei bambini, mantenendo una lievità che non tradisce la verità dei sentimenti provati e la profondità delle esperienze che coinvolgono il mondo dell’infanzia. Tornando al racconto sopra solo accennato, L’Omino e Dio, incuriosisce la prospettiva regalataci dall’autrice: un piccolo uomo, Omino, che casualmente s’imbatte in una cosa che, interrogata, dice di essere Dio: «Sei Dio? Il DIO? Non ti immaginavo assolutamente così». «Primo, non sono il Dio. Sono un dio.» Questa la devo ricordare, pensa l’omino. Poi chiede: «E siete molti?» «Almeno quanti le stelle del cielo, forse qualcosina in più». E così inizia un dialogo, fra le curiosità dell’Omino e le risposte, così semplici, ma del tutto imprevedibili, del Dio che è capace di prendere le sembianze più disparate, al punto da spaventare, senza volere, il piccolo uomo che ritrova il sorriso nella nuova sembianza del Dio in cui riconosce i tratti del padre. Senza voler declinare forzatamente l’interpretazione lì dove può farci più comodo (senza, per altro, tra- scurare la libertà del lettore che trova ampio spazio nella costrizione della propria personale interpretazione del testo letterario e delle illustrazioni), pare di cogliere una prospettiva dai profili cristiani: gli dei sono tanti ed il vero Dio lascia a ciascuna persona l’intelligenza di scoprire, capire e riconoscere la verità che contraddistingue Dio dagli dei o dagli idoli. Nelle diverse sembianze a cui ricorre il Dio del racconto possiamo cogliere quella presenza divina che pervade il creato e le sue creature, fino all’ultima personificazione nel padre di Omino in cui, quest’ultimo, riconosce i tratti di somiglianza e appartenenza. Anche questa, tra le righe, è esperienza del divino: in coloro che ci hanno dato la vita (il padre – i genitori- nel caso del racconto in esame) e nei gesti che hanno accompagnato il cammino condiviso fra genitori e figli, si rivela l’amore del Creatore. Il racconto, poi, prosegue come si trattasse di due amici che fanno delle cose insieme: mangiano, parlano, si conoscono attraverso il dialogo, condividono idee. Ed arriva sera. Per Dio è arrivato il momento di salutare Omino e ciò che colpisce è la delicatezza con la quale Dio rivela di conoscere già il vero nome di Omino, Teo, che significa Dio (la vicinanza fra Dio e Omino sta nell’origine stessa di ciò che contraddistingue entrambi: il nome). Nell’immagine di “arrivederci”, Dio, che per grandezza sovrasta Omino, gli tiene dolcemente la mano sul capo: una benedizione? Una vicinanza paterna? Le letture-interpretazioni possono essere molte e differenti. Può stupire che il rientro di Dio nella sua casa porti all’incontro con la moglie e che, per i due, l’autrice usi i termini donna-dio e uomodio, collocandoli in una dimensione domestica del tutto inusuale. La frase di chiusura, e l’immagine che l’accompagna e ne amplia il significato, ci lascia un Dio un po’ pensieroso che “si chiede se un giorno mai riuscirà ad arrampicarsi sugli alberi, come Teo”. È significativamente bello poter immaginare (ancor meglio: poter credere) un Dio che tiene in mente ogni uomo e donna riconoscendone la singolarità ed anche la diversità da sé: nell’aver creato l’uomo e la donna a sua immagine e somiglianza (non certo uguaglianza), ritroviamo anche i tratti distintivi che permettono a Dio di ammirare e compiacersi delle sue creature, di cui si prende cura anche attraverso il “pensarli”. Non vogliamo andare oltre in questa semplice e, lo riconosco, ingenua analisi, ma non possiamo trascurare come un libro, meglio ancora se destinato ad un pubblico di giovanissimi lettori, possa far ritrovare i tratti di una tradizione culturale cristiana pregna di umanità e ricca di una prospettiva d’eternità, così come lo stesso Teo afferma nel racconto della Crowther, mentre, come può accadere nelle normalità della vita, lava i piatti e ripensa alla giornata trascorsa con Dio: “Omino torna a casa a lavare i piatti, tutto sorridente, tutto felice. Ci sono giorni, come questo, pensa, che ti cambiano per l’eternità.” Katia Scabello Garbin Nazareth 4 - 2013 | 25 Arte La confessione: vertice della relazione con Dio Secondo Giuseppe Maria Crespi I l filo conduttore di questa pubblicazione è la relazione con Dio e con la Chiesa: molteplici , in ambito artistico, gli spunti. Abbondanti, e forse di troppo facile scelta, sono le rappresentazioni di tutti quei santi a colloquio con Dio, delle numerose Madonne e delle molteplici Pietà cinquecentesche che, invece di rappresentare la religiosità e il rapporto con Dio nella sua essenza, lo filtrano attraverso l’immagine di questi soggetti, il più delle volte colti in un’eloquenza gestuale che, specie se si fa riferimento alla produzione del 500, andava proprio a formare le coscienze della devozione popolare, in un clima ad esso preposto, come quello dell’imminente Riforma e Controriforma. Un secondo modo, forse più originale e stimolante è, invece, quello di andare a scovare quegli artisti che scelgono di focalizzarsi sul vero rapporto con Dio, sul vero dialogo con Lui, sui momenti salienti e identificativi dell’essere cristiano, come, ad esempio, quello del sacramento delle Riconciliazione, la confessione. Siffatta indagine si può condurre non certo inoltrandosi nel campo della pittura celebrativa, delle pale d’altare quattrocentesche o delle sacre rappresentazioni di qualsiasi secolo, ma solo addentrandosi in uno specifico ambito della Storia dell’arte: la Pittura di genere, in particolar modo quella proposta nel Settecento maturo. Nonostante il perdurante ostracismo degli ambienti accademici di orientamento classicista, tale genere fa al 26 | Nazareth 4 - 2013 caso nostro proprio perché sottende un modo di rappresentare i soggetti in maniera intima e quotidiana, vera insomma: è questo il mondo dei semplici, dei poveri, dei lavoratori, dei bambini e delle donne del popolo con tutte le loro caratterizzazioni, quella religiosa compresa, che vengono analizzati secondo un approccio che oscilla tra la curiosità antropologica e la simpatia umana, tra l’oggettivi- Arte tà documentaria e la solidarietà cristiana, senza però quei tocchi caricaturali e grotteschi della precedente Pittura di genere del Cinquecento. Sulla scia della rivoluzione naturalistica caravaggesca e della riforma pittorica dei Carracci, tra i primi cultori settecenteschi del genere, vanno ricordati i pittori soprattutto olandesi e tedeschi, a seguire importanti contributi in Italia, in particolar modo nei centri lombardi, veneti, napoletani ed emiliani. Proprio questa ultima regione conosce un interprete di tutto rispetto e di straordinaria finezza: Giuseppe Maria Crespi che, formatosi nella Bologna di Annibale e Ludovico Carracci, tramite una pittura sensibilissima e ricca di sottigliezze chiaroscurali, senza mai cadere nella spicciola aneddotica o nel populismo retorico, realizza La confessione, opera che, in riferimento alle considerazioni fatte, può essere proposta come esemplificativa del tema di questa pubblicazione. Nella tela dalle spropositate proporzioni (155x122 cm), realizzata nel 1743 e conservata alla Galleria Sabauda di Torino, l’interpretazione del tema è resa con accenti di marcato realismo e con un’ intonazione feriale e quotidiana di retaggio caravaggesco. L’innovativo ta- Punto cardine è il confessionale, che viene a spartire l’immagine come in un trittico antico: al centro il sacerdote in atto di ascoltare e i due fedeli posti ai lati, inginocchiati in un devoto e composto raccoglimento glio della composizione, costruito sul sapiente incrocio di diagonali, inquadra la scena di sbieco, collocando l’osservatore in una anticonvenzionale posizione eccentrica (nel senso etimologico di fuori del non in centro), come se egli si trovasse a spiarla da dietro una colonna piuttosto che dal buco della serratura. Punto cardine è il confessionale, che viene a spartire l’immagine come in un trittico antico: al centro il sacerdote in atto di ascoltare e i due fedeli posti ai lati, inginocchiati in un devoto e composto raccoglimento. Nonostante la semplicità strutturale e narrativa della tela, non manca una dettagliata resa di costumi, accessori e mobilio: si vedano le due grate forate del confessionale, così come è forato lo sportellino cui si affaccia il confessore, le scarpe con fib- bia di questi, la citazione del Padre Nostro in cima al confessionale, il bastone del penitente sulla destra e le sue calzature dalle suole chiodate. Tutti brani di verità sincera e diretta, quasi da natura morta. Il dipinto è poi valorizzato dai movimenti avvolgenti e striscianti della luce che spiove lenta e corposa, quasi materica, sui tre personaggi, accendendo di pigri bagliori e di ombre profonde la spessa cotta del prete, la calvizie e l’abito del penitente sulla destra e avvicinando l’intonazione cromatica complessiva a un monocromo grasso e pastoso di toni bigi vivacizzato da improvvisi riflessi di luce. Come tutte le scene di genere, anche La confessione aderisce alle implicazioni etiche e morali del soggetto, con sentimento di umana partecipazione e con una comprensione della devozione popolare che è qui rivelata, sia dalla naturalezza delle pose, sia dalla resa meticolosa dei particolari. Ed è proprio il tono pio e devoto che gravita attorno al confessionale della tela che, sapientemente valorizzato dall’ambiente povero e spoglio e dal realismo descrittivo, traduce in modo esemplare la religiosità cui si accennava sopra e che trova una corrispondenza, anche a livello cromatico, nella tavolozza qui ristretta solo ai toni del bianco nero e ocra. Giulio Biondi Nazareth 4 - 2013 | 27 Dalla parte della vita XXVI Concorso Scolastico Europeo 2013 Uno di noi: la persona umana nel cuore dell’Europa Elaborato di Francesca Maria Fortuna, Istituto di Istruzione Superiore “G.G. Trissino” di Valdagno (VI) L a storia dell’umanità, con il procedere dei secoli, è andata incontro ad un’espansione che ha coinvolto tutti i campi della conoscenza dell’uomo. Il progresso tecnologico e l’evoluzione della scienza hanno ampliato i nostri orizzonti, generato nuove possibiltà di benessere, rendendo l’uomo l’animale dominante su questo pianeta. Eppure, nonostante questi traguardi e il susseguirsi di rivelazioni e nuove scoperte non siamo stati finora capaci di dare una risposta adeguata all’unica, vera domanda che da sempre ci assilla: Chi è l’uomo? L’“uomo” è solamente un “mammifero caratterizzato dalla posizione eretta, dal linguaggio articolato, dallo sviluppo del cervello e dalle elevate attività psichiche”? Oppure è anche un animale sociale che ha bisogno di relazionarsi all’interno di una società? È proprio in merito al “vivere insieme” che si riaccende un dibattito presente da anni nella società: una discussione il cui scopo consiste nel definire chiaramente il limite tra “umano” e non, persino quando le risposte si trovano appena al di sotto della superficie. Perchè non considerare umano un bambino non ancora nato? Molti insistono nell’affermare che lo zigote non è un essere umano. Eppure ciascun uomo in origine lo è stato. Scientificamente, tale cellula, nel ciclo che porta alla nascita di un bambino, è la prima che contiene già al suo interno i 46 cromosomi necessari a definire biologi- 28 | Nazareth 4 - 2013 Un bambino non appartiene alla madre, ma alla vita stessa camente un uomo. Ciò significa che, potenzialmente, da quello zigote si può formare un bambino e che, quindi, interrompendo il processo di crescita, si interrompe anche una vita. È dunque forse lecito, o giusto, decidere della vita altrui? La mia risposta è negativa. L’uomo può tentare di studiarla, ma non deve permettersi di decidere della vita di un altro. Un bambino non appartiene alla madre, ma alla vita stessa; allo stesso modo, una persona è libera di scegliere di vivere e, nell’impossibilità di farlo, questa scelta non può essere delegata ad altri. Nella “Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo” è scritto che tutti gli uomini sono uguali, eppure, quando le donne abortiscono, impongono la propria volontà su un essere incapace di difendersi. In base a quanto dichiarato, ritengo che questa sia una scelta ingiusta capace di procurare solo infelicità. Al contrario, ammiro tutte le donne che scelgono di sacrificarsi in nome di un figlio, poiché esse sono responsabili della propria vita ed esercitano coraggiosamente questo diritto ben sapendo che le porterà alla morte. La domanda che sorge spontanea è: esiste forse, al mondo, un amore altrettanto forte, un amore così solido con un essere sconosciuto da essere disposti ad annullarsi pur di permettergli di vivere? Questo spirito di sacrificio non incarna forse l’ amore, la sua essenza più profonda? Sono sempre stata convinta che ogni uomo abbia uguale dignità dinanzi alla società e che nessuna vita sia indegna di essere vissuta. Ritengo che questi valori debbano essere trasmessi di generazione in generazione, affinchè questo diritto sacrosanto, che tutte le persone possiedono, non venga in alcun modo toccato da coloro che non hanno ancora capito che la società comprende tutti gli uomini, anche gli anziani, i malati in stato vegetativo e i bambini non ancora nati. Che cosa, dunque, si deve fare per trasmettere questi valori che sono il cardine della vita e della società? Come uscire da questa situazione di svalutazione dei valori che gravitano attorno alla dignità umana? Semplicemente, rendendo adatto l’ambiente di crescita. Se vengono insegnati dei valori sani, le nuove generazioni potranno accoglierli e farli loro. Bisogna sensibilizzare le persone, suscitare dibattiti e intraprendere campagne volte ad evidenziare l’importanza della vita. Ci sono tantissimi esempi che ci Dalla parte della vita dimostrano quanto in realtà l’individuo sia influenzabile ed influenzato dagli strumenti di comunicazione di massa. David Foster Wallace il 21 maggio 2005 ha tenuto un discorso ai neolaureati dell’Università di Stanford, nel quale ha dimostrato che l’educazione umanistica non consiste tanto nel fornire delle conoscenze, quanto piuttosto nell’insegnare a pensare bene. La storiella che ha raccontato a supporto delle sue tesi riguarda due giovani pesci che, nuotando, si trovano di fronte ad un pesce anziano; questi chiede loro: “Com’è l’acqua, ragazzi?”. Dopo un po’ uno dei due dice all’altro: “Ma che cosa diavolo è l’acqua?”. L’ambiente che circonda l’uomo fin dalla nascita rappresenta un fattore importante per la sua crescita e può fargli assumere un certo tipo di mentalità. Basti pensare al processo di Norimberga; dalle dichiarazioni dei gerarchi nazisti è sorto un problema di fondo: la superiorità della razza ariana era talmente radicata nelle loro menti da occultare ai loro occhi la tremenda strage che si stava compiendo nei campi di stermino. Così era stato insegnato loro da una nota personalità mentalmente instabile. Se si lascia che ideali discriminatori facciano breccia nella società e che la società stessa diventi un organo incapace di accettare ogni uomo, coloro che vivono al suo interno sono a loro volta influenzati. Inoltre, se si lascia che gli ideali di uguaglianza tra gli uomini si riducano ad un semplice documento scritto, esso perde di valore fino a scomparire. È importante, perciò, insegnare ai giovani a pensare bene e ad agire nel rispetto di tutti gli idelai su cui si basa la vita di un uomo. In altre parole bisogna promuovere la cultura del rispetto per la vita. Dunque, chi è l’uomo? Secondo me, siamo tutti noi, indipendentemente dalla razza, dal sesso, dai difetti fisici o psichici. Una persona è forse meno umana se privata degli arti con cui camminare? Un bambino è forse meno umano se presenta difetti al proprio genoma? Un anziano è forse meno umano se il suo corpo è affetto da una grave forma di cancro? Che cosa ci distingue dalle bestie? Il solo essere dotati di intelligenza...o la capacità di formare una comunità, accogliendo anche coloro che presentano delle diversità? Spero che l’etica della vita un giorno sia applicata in tutti i Paesi del mondo e non solo dell’Europa. Ne ha bisogno la società, il cui fine è permettere alle persone di convivere tra di loro. Ne hanno bisogno le nuove generazioni, per capire che la vita è un dono per tutti e che non è giusto stroncarla, sia essa all’inizio o alla fine. Ne abbiamo bisogno noi fautori del presente, per capire chi siamo, per chiarire le basi su cui ci reggiamo, per comprendere noi stessi e il nostro modo di rapportarci con gli altri. Per creare un mondo migliore in cui tutti abbiano pari diritti. a cura del CAV e del Movimento per la Vita di Valdagno (VI) Grazie mamma perché mi hai dato la tenerezza delle tue carezze, il bacio della buona notte, il tuo sorriso premuroso, la dolce tua mano che mi dà sicurezza. Hai asciugato in segreto le mie lacrime, hai incoraggiato i miei passi, hai corretto i miei errori, hai protetto il mio cammino, hai educato il mio spirito, con saggezza e con amore mi hai introdotto alla vita. E mentre vegliavi con cura su di me trovavi il tempo per i mille lavori di casa. Tu non hai mai pensato di chiedere un grazie. Grazie mamma! Nazareth 4 - 2013 | 29 Dalla parte della vita Ricordando una mamma Per tutte le mamme! Rosa Morati ved. Modena 17 maggio 1922 – 06 giugno 2012 “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ ultimo giorno” (Gv 6,56) “Mi avvicino sempre più all’eternità, un po’ ci penso e credo sia naturale sentire la fatica del distacco! Come povera madre mi sono trovata a vivere in grandi difficoltà. E voi lo sapete, la nostra vita è stata dura. Cercavo di amarvi tutti e se qualche volta ho sbagliato non era mia intenzione. Sono sempre stata povera, nei momenti più difficili le cose più belle siete stati voi; anche papà vi ha voluto bene e siete stati a lui molto vicini. Perdonatemi tutti, non portatevi rancori, cercate di amarvi” (Da un foglietto indirizzato ai figli). La sintesi della sua personalità... può rispecchiare quella di tante altre mamme cristiane! 1. Donna che ha realizzato se stessa con grande umanità e con grande senso cristiano. 2. Fede costante e ferma, sorgente di tanto bene. 3. Fede e fiducia nella Provvidenza di Dio, per cui non ha mai dubitato ad essere madre di tanti figli. 4. Fedeltà alla famiglia, con pieno amore e concordia, al suo sposo, e tanta fiducia nel futuro dei figli. 5.Seria mamma educatrice dei suoi figli per la religione, o per la società e per il prossimo. 6. Laboriosa nella casa e per l’aiuto da dare al marito. 7.Donna di grande semplicità, ma sempre attenta al dovere per il bene della famiglia e di ciascuno dei suoi figli. 8. Donna di molta preghiera e fedele ai sacramenti. 9. Donna esemplare per la virtù della carità. 10.Donna convinta che la vita vissuta con fede prepari al Paradiso. ...sono lieta di venire (a Bussolengo VR) il giovedì,... l’ora più bella è quella che passo in chiesa, in compagnia della cara Madonna del Perpetuo Soccorso. Il Padre Direttore mi ha mandato una bella immagine della Madonna... e la porto sempre con me (15/05/1970). Dall’omelia di mons. Andrea Veggio -VRnel giorno del funerale di mamma Rosa Sono entrate nella pienezza della vita Piccole Suore Suor Albertina Longa Suor Miriana Simonato Suor Chiaramalia Novello 30 | Nazareth 4 - 2013 Suor Redenzia Filippi Suor Fidalma Parpagiola Suor Nanda Boggiani CEI Orientamenti pastorali La Chiesa discepola madre e maestra Dal capitolo secondo di “Educare alla vita buona del Vangelo” nn. 21/22 21. La Chiesa educa in quanto madre, grembo accogliente, comunità di credenti in cui si è generati come figli di Dio e si fa l’esperienza del suo amore. A lei si rivolgeva Sant’Agostino: «Oh Chiesa cattolica, oh madre dei cristiani nel senso più vero…tu educhi ed ammaestri tutti: i fanciulli con tenerezza infantile, i giovani con forza, i vecchi con serenità, ciascuno secondo l’età, secondo le sue capacità non solo corporee ma anche psichiche. Chi debba essere educato, ammonito o condannato, tu lo insegni a tutti con solerzia, mostrando che non si deve dare tutto a tutti, ma a tutti amore e a nessuno ingiustizia». Avendo il compito di servire la ricerca della verità, la Chiesa è anche maestra. Essa «per obbedire al divino mandato: ‘Istruite tutte le genti’ (Mt 28,19), è tenuta ad operare instancabilmente ‘affinché la parola di Dio corra e sia glorificata’ (2Ts 3,1)... Per volontà di Cristo la Chiesa cattolica è maestra di verità e sua missione è di annunziare e di insegnare autenticamente la verità che è Cristo, e nello stesso tempo di dichiarare e di confermare autoritativamente i principi dell’ordine morale che scaturiscono dalla stessa natura umana». 22. La Chiesa promuove nei suoi figli anzitutto un’autentica vita spirituale, cioè un’esistenza secondo lo Spirito (cfr Gal 5,25). Essa non è frutto di uno sforzo volontaristico, ma è un cammino attraverso il quale il Maestro interiore apre la mente e il cuore alla comprensione del mistero di Dio e dell’uomo: lo Spirito che «il Padre manderà nel mio nome vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto» (Gv 14,26). Lo Spirito forma il cristiano secon- do i sentimenti di Cristo, guida alla verità tutta intera, illumina le menti, infonde l’amore nei cuori, fortifica i corpi deboli, apre alla conoscenza del Padre e del Figlio, e dà «a tutti dolcezza nel consentire e nel credere alla verità». La formazione spirituale tende a farci assimilare quanto ci è stato rivelato in Cristo, affinché la nostra esistenza possa corrispondere ogni giorno di più al suo dono: «Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto» (Rm 12,2). L’azione dello Spirito plasma la vita in questa prospettiva: «Il culto gradito a Dio diviene così un nuovo modo di vivere tutte le circostanze dell’esistenza in cui ogni particolare viene esaltato, in quanto vissuto dentro il rapporto con Cristo e come offerta a Dio». Rinati nel battesimo per mezzo dello Spirito Santo, possiamo camminare in una vita nuova, liberi dalla schiavitù del peccato e resi capaci di amare Dio e i fratelli con lo stesso amore di Cristo: «camminate secondo lo Spirito – ci esorta San Paolo – e non sarete portati a soddisfare i desideri della carne. La carne infatti ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; queste cose si oppongono a vicenda, sicché voi non fate quello che vorreste» (Gal 5,16-17). I santi rivelano con la loro vita l’azione potente dello Spirito che li ha rivestiti dei suoi doni e li ha resi forti nella fede e nell’amore. Ogni cristiano è chiamato a seguirne l’esempio, cogliendo il frutto dello Spirito, che è «amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé» (Gal 5,22). Promuovere un’autentica vita spirituale risponde alla richiesta, oggi diffusa, di accompagnamento personale. Si tratta di un compito delicato e importante, che richiede profonda esperienza di Dio e intensa vita interiore. In questa luce, devono essere attentamente vagliati i segni di risveglio religioso presenti nella società: essi possono rivelare l’azione dello Spirito e la ricerca di un senso che dia unità all’esistenza. Conferenza Episcopale Italiana Orientamenti pastorali per il decennio 2010-2020 Nazareth 4 - 2013 | 31 Dalle nostre Comunità Bologna: pellegrinaggio diocesano a Roma Verso la conclusione dell’Anno della Fede: 19-20 Ottobre 2013 A questo evento hanno partecipato tante comunità parrocchiali, movimenti, associazioni e gruppi. Anche la nostra Casa di Cura “M.F. Toniolo”, con la parroccha “Madonna del lavoro”, ha condiviso l’esperienza forte di fede e di comunione. I tre momenti più significativi del pellegrinaggio, oltre la catechesi del nostro Arcivescovo, sono stati: la S.Messa presieduta dal card. Carlo Caffarra in S. Pietro; la celebrazione domenicale nella Basilica di S. Paolo e l’Angelus con il Papa Francesco. Non è mancato un po’ di tempo libero per visitare, a piccoli gruppi, le Basiliche e i luoghi più caratteristici della città. Riportiamo un passaggio dalla conclusione dell’omelia di mons. Caffarra:... “La fede non è il risultato di percorsi individuali, di studi e di ricerca. La fede ‘va imparata’. Essa cioè nasce dentro una trasmissione di generazione in generazione: impari la tua fede nella tradizione della Chiesa. Ma essa non è mero apprendimento: diventa un intimo convincimento. «Con il cuore…si crede» (Rm 10,10) ci dice S. Paolo, poiché una volta imparata, una volta ascoltata la Parola di Cristo, diventa nel cristiano risposta”... Il papa Francesco così ha introdotto il suo messaggio all’Angelus: “Cari fratelli e sorelle, nel Vangelo di oggi Gesù racconta una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi. La protagonista è una vedova che, a forza di supplicare un giudice disonesto, riesce a farsi fare giustizia da lui. E Gesù conclude: se la vedova è riuscita a convincere quel giudice, volete che Dio non 32 | Nazareth 4 - 2013 ascolti noi, se lo preghiamo con insistenza? L’espressione di Gesù è molto forte: «E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui?» (Lc 18,7)... Alla fine il Papa ha ricordato la giornata Missionaria Mondiale.. e tutti i missionari e le missionarie, che lavorano tanto senza far rumore, e danno la vita. Come l’italiana Afra Martinelli, che ha operato per tanti anni in Nigeria: qualche giorno fa è stata uccisa, per rapina; tutti hanno pianto, cristiani e musulmani. Le volevano bene. Lei ha annunciato il Vangelo con la vita, con l’opera che ha realizzato, un centro di istruzione; così ha diffuso la fiamma della fede, ha combattuto la buona battaglia! Pensiamo a questa sorella nostra, e la salutiamo con un applauso, tutti!”... Dopo altri saluti si è rivolto a NOI. “Accolgo con gioia i fedeli delle Diocesi di Bologna e di Cesena-Sarsina, guidati dal Cardinale Caffarra e dal Vescovo Regattieri; come pure quelli di Corrientes, in Argentina, e di Maracaibo e Barinas, in Venezuela. E oggi in Argentina si celebra la Festa della mamma, rivolgo un affettuoso saluto alle mamme della mia terra!... Le parrocchie e le associazioni italiane sono troppe, non posso nominarle, ma saluto e ringrazio tutti con affetto! ...Buona domenica! Arrivederci e buon pranzo!” È stato un Pellegrinaggio veramente intenso, un’esperienza da condividere ancora nel nostro cammino di crescita nella fede, speranza e carità. La comunità “M.F.Toniolo”- BO Dalle nostre Comunità Guardate a Lui e sarete raggianti Esperienza di preghiera e contemplazione per giovani Centro “Papa Luciani”, S. Giustina (BL), 4-9 agosto 2013 P er i giovani che hanno partecipato all’esperienza di preghiera e contemplazione sono stati giorni davvero tanto intensi e ricchi, che a fatica si possono descrivere. “Guardate a Lui e sarete raggianti”, questo passo ci ha accompagnati a visitare i luoghi in cui incontrare il Signore, per fissare lo sguardo su di Lui e vivere nella gioia. L’esperienza è stata introdotta dall’incontro dell’angelo con Agar, la schiava di Sara, moglie di Abramo: “Agar, da dove vieni e dove vai?”. Ognuno si è così soffermato sul proprio punto di partenza per iniziare il cammino, alla ricerca della sorgente. Abbiamo visitato i luoghi in cui incontrare il Signore, così nei giorni successivi abbiamo approfondito il silenzio e la preghiera, il creato, l’amicizia e la relazione con l’altra persona, la fragilità e il peccato. Ogni giorno ci venivano offerti degli spunti da don Francesco de Luca per riflettere e vivere bene la preghiera personale e ogni giorno abbiamo condiviso insieme quanto emerso in ciascuno da tale preghiera, con libertà. Una ricchezza grande! Ogni tematica è stata accompagnata o introdotta anche da un percorso di arte, cinema, musica... e approfondita dall’incontro con un testimone (un padre certosino, Chiara dell’ufficio missionario, la visita a una comunità di Nuovi Orizzonti con la partecipazione alla loro preghiera “Una luce nella notte”, il creato stesso nell’uscita in montagna). Per la contemplazione del creato siamo andati, infatti, in montagna un giorno e mezzo, in una casetta bellissima, ma essenziale... Ci siamo così adattati ad andare ad attingere acqua alla sorgente nel bosco, far da mangiare sul fuoco, usare le pile o le candele perchè senza luce. È stata bella la veglia alle stelle e la celebrazione della Messa alle 22.40 in cima al monte, attorno al fuoco (era il giorno della trasfigurazione!), un cielo splendido (abbiamo visto anche una stella cadente). Altro momento forte, il giorno della celebrazione penitenziale (incontrare Dio anche nelle nostre fragilità e peccati), quando al mattino sono stati consegnati pezzi di cera e nel pomeriggio, dopo le confessioni, ognuno li ha fusi creando nuove candele. Il Signore, anche dai nostri cocci, ci fa creature nuove. I giovani si sono messi in gioco, hanno vissuto con intensità ogni mo- mento, e noi con loro... Bella anche l’esperienza di collaborazione che ha visto oltre don Francesco, la presenza di sr Carmela (Piccola Suora della Sacra Famiglia) e sr Martina (Discepole del Vangelo di Livinallongo). Mi rendo conto che sono solo alcune pennellate, spero solo di aver fatto intuire la ricchezza e bellezza di quanto vissuto. Anche se non eravamo molti, ne è valsa la pena e i ragazzi alla fine hanno concluso dicendo: “lo rifarei”; credo che questo dica tutto. Ora affidiamo nelle mani del Signore quanto vissuto perchè i semi possano germogliare nel cuore di ognuno. Sr. Manuela Accamilesi Vivete sempre alla presenza di Dio, Carissime sorelle, operate con Dio e per Iddio. Madre Maria con il cuore pieno di gioia e di gratitudine per quanto il Signore opera nella nostra vita condividiamo con voi la Fedeltà di Dio che ci chiama nuovamente a seguirlo tra le Piccole Suore della Sacra Famiglia, rinnovando il nostro Sì a Dio Sommo Bene, nella celebrazione eucaristica di DOMENICA 3 NOVEMBRE, alle ore 10.30 nella cappella di Casa Madre. Fin da ora vi chiediamo il vostro ricordo e la vostra preghiera affinché possiamo rispondere ogni giorno con radicalità e totalità alla Sua Parola. Nazareth 4 - 2013 | 33 Orizzonti missionari Esperienza in Togo 19 agosto 2013, ore 9.55: decollo dell’aereo da Venezia, destinazione Lomè, con scalo a Parigi. Attraversare l’oceano, raggiungere le nostre tre comunità, vivere un’esperienza. Con questo desiderio siamo partite: Sofia (studente infermiera di Verona), Silvia (educatrice dell’infanzia di Adro) e io, sr Manuela. In sintesi, possiamo dire che, nei dieci giorni di permanenza in Togo, abbiamo incontrato e condiviso la vita delle nostre sorelle che vivono lì con le giovani che si stanno preparando a diventare, un giorno, Piccole Suore. Abbiamo condiviso le “vacanze utili”: le persone sono venute nella nostra casa per imparare a realizzare materiali da vendere per guadagnare qualcosa da vivere. Abbiamo incontrato la vita nei villaggi, quando siamo andate a visitare le famiglie povere o quando siamo state con i giovani, i 34 | Nazareth 4 - 2013 bambini e con loro abbiamo vissuto momenti di animazione. Sono state esperienze forti: visitare gli ammalati all’ospedale civile di Lomè, portare il cibo nel villaggio dei lebbrosi, condividere con i prigionieri del carcere la celebrazione eucaristica della domenica. Abbiamo vissuto per dieci giorni la vita delle e con le nostre sorelle e siamo ripartite con il desiderio di tornare. Dice Sofia: − Non esistono parole abbastanza grandi, belle e importanti per i volti e le storie che ho da raccontare, per gli incontri che ho da descrivere, per le persone che porto nel cuore con la promessa di pregare per loro... non posso tenere per me quanto ho ricevuto!... Sono le ultime cose che ho scritto sul mio ‘diario di viaggio’... Siamo partite con le valigie piene di materiale per l’animazione, le vacanze utili, ecc. e siamo tornate proprio arricchite dalla bellezza dei vol- ti, dai sorrisi, dalla meraviglia delle voci nei canti. Ma soprattutto siamo tornate arricchite da alcuni valori che abbiamo visto vivere in modo forte: l’accoglienza e il senso di comunità, la gioia e il rapporto con Dio che dona senso alla vita quotidiana, la condivisione. Valori che è possibile vivere anche qui, una sfida che ciascuno può raccogliere e coltivare nel proprio quotidiano. Essere missionari è possibile per chiunque perché non è solo “partire”, ma assumere uno stile di vita che dona occhi e cuore nuovi nell’accostare il diverso che si incontra sulle strade, l’immigrato che suona alle nostre porte. Una sfida che può diventare occasione di ricchezza per ognuno, esperienza che permette di poter affermare: “ciò che ho udito e ciò che ho vissuto ha raggiunto la mia sete” (proverbio africano). Sr. Manuela Accamilesi Sofia e Silvia Orizzonti missionari Sulle strade del mondo… Nello stile di papa Francesco È stata davvero molto apprezzata la giornata di formazione missionaria tenutasi la prima domenica di ottobre presso la nostra casa di Verona Porta Nuova e che aveva per tema la frase della Giornata Missionaria Mondiale 2013 “Sulle strade del mondo”. Ad accompagnarci nella riflessione è stato invitato padre Marcello Storgato, missionario saveriano, direttore della rivista “Missionari Saveriani” di Brescia. I presenti hanno percepito da subito che padre Marcello, più che tenere una conferenza, ci avrebbe accompagnati sulle strade del mondo con una riflessione-meditazione, facendoci capire come ciascuno di noi è artefice della propria strada. Una strada non già preparata e tracciata, ma da costruire nella quotidianità in forza di quell’invito, diventato carisma per molti istituti religiosi, del “Caritas Christi urget nos” il cui significato latino dell’urget indica proprio “il costringerci ad andare avanti”. Certamente sulle strade del mondo non siamo soli, Dio cammina a fianco a noi, ma in modo discreto, come fece coi discepoli di Emmaus. Se Gesù è e rimane la Via per ciascuno di noi, le vie sono tante quante sono le persone, le storie, le condizioni. Per padre Marcello è stato facile allora richiamare un modo di percorrere le strade del mondo e sceglierne certe a scapito di altre. Lo ha fatto raccontandoci della sua esperienza missionaria in Bangladesh rivisitata e compresa alla luce degli inviti e delle esortazioni di papa Francesco: scegliere di percorrere le strade di periferia, quelle meno frequentate, meno note, più accidentate e piene di incognite, senza fretta, per portare l’annuncio, la speranza e soprattutto la pace. Per far questo, continua padre Marcello, bisogna trovare il coraggio e la forza di vincere la mondani- tà per saper condividere la solidarietà e la povertà che è uno stile di vita e che non va confuso con la miseria in cui invece versano milioni di persone. È questo che “il mondo oggi chiede alla Chiesa, una presenza con umanità. Di essere realtà di pace e di speranza in un mondo in cui il processo di interdipendenza rischia di evidenziare sempre, Nazareth 4 - 2013 | 35 Esperienza di vita maggiori e nuove sperequazioni e ingiustizie”. Un appello sollevatosi ancora in estate ad Assisi durante i lavori della commissione missionaria nazionale, nelle cui conclusioni si leggeva: “bisogna promuovere uno stile di vita che inquieti l’apatia di una gestione impermeabile della cultura e inaugurare un’etica del riconoscimento e della corresponsabilità”. Dalle parole di padre Marcello siamo passati alla voce del Sud del mondo attraverso i racconti di due religiosi originari dell’Africa invitati a parlare dei loro Paesi e di due collaborazioni scaturite con l’ufficio Amici delle Missioni a sostegno delle rispettive comunità. Suor Mary Eucharia Onuwugamba della Nigeria, attualmente in sevizio presso il policlinico Gemelli di Roma, e padre Francis Barandao dal Togo hanno presentato le condizioni di vita, la storia, le problematiche con cui convive ogni giorno la loro gente e i tanti bisogni, dove la carenza di acqua potabile, la mancanza di istruzione e di assistenza medica rimangono le emergenze primarie. In particolare la grave situazione di guerra, con continui atti di ter- 36 | Nazareth 4 - 2013 rorismo che insanguinano la Nigeria e la minoranza cristiana è perseguitata dai fanatici islamici. Il Togo invece è apparentemente più stabile e in pace, ma con la parte del nord del Paese abbandonata dagli aiuti governativi. Anche qui abbiamo voluto seminare e percorrere un pezzo di strada con queste popolazioni con la costruzione di un pozzo in Nigeria e di nuove aule e dei bagni in Togo. Due interventi di per sé piccoli, ma che hanno cambiato le condizioni di vita di entrambe le comunità, la cui gratitudine ci è stata trasmessa da padre Francis e suor Mary. Nel pomeriggio una duplice sorpresa e un doppio collegamento skype con la missione in Argentina prima e con la comunità in Albania poi. Dal Piccolo Cottolengo di Bahia Blanca è arrivata la testimonianza di una ragazza che ha deciso di svolgere lì il suo tirocinio universitario, coniugando la voglia di un’esperienza di missione con la formazione personale. Una formazione che si sta rivelando molto più profonda e coinvolgente del previsto (nel box dedicato a Angela Falzetta un sunto del suo messaggio). Anche dalla comunità albanese è risuonata tutta la gratitudine per un progetto realizzato in tempi record. In due mesi è stata completamente ristrutturata la scuola materna di Balldré che ha riaperto l’anno scolastico tra lo stupore e l’entusiasmo dei 60 bambini e delle loro famiglie. Uno dei tanti miracoli della solidarietà, della generosità di tante persone che anche in quest’anno, nonostante la crisi, hanno aiutato e sostenuto i nostri interventi e vari progetti brevemente illustrati ai presenti durante questa giornata. Una giornata conclusasi con la celebrazione eucaristica e l’auspicio che si possano completare alcuni capitoli di spesa per i costi sostenuti per il rifacimento del tetto del Cottolengo in Argentina, per il pozzo in Nigeria di suor Mary, per la scuola di Balldré e altri, che sono elencati nel riquadro, e speriamo possano trovare risposte generose in quest’ultimo periodo dell’anno e in particolare durante le settimane d’Avvento. Marco De Cassan Orizzonti missionari Mi chiamo Angela Falzetta e ho 27 anni. Sono originaria della Sicilia e ad aprile di quest’anno mi sono laureata in neuroscienze e riabilitazione neuropsicologica a Padova, alloggiando presso il collegio universitario delle Piccole suore della Sacra Famiglia. Da anni desideravo fare un’esperienza di missione magari conciliandolo con i miei studi e svolgendo il mio ruolo di psicologa. Attraverso le suore ho saputo dell’Ufficio Amici delle Missioni e ho incontrato Marco che di fronte alla mia richiesta mi ha proposto un’esperienza al Pequeño Cottolengo, di Bahia Blanca, in Argentina. Era il luogo adatto per me e così decisi di partire per sei mesi così che quest’esperienza diventasse anche parte del mio tirocinio post-laurea. Attualmente affianco la figura della psicologa e osservo anche il lavoro del neurologo e della psichiatra che sono alcune delle figure professionali presenti nel Cottolengo. Non avrei mai pensato di vivere un’esperienza così forte e profonda. Qui sto imparando cose che non si trovano nei libri universitari: uno è “il valore della vita” e l’altro è che alla base di tutto ciò che si svolge nella quotidianità, sia nelle relazioni o nell’ambito lavorativo deve avere alla base l’amore verso l’altro, chiunque sia la persona che mi sta vicino. Le ospiti fin da subito mi hanno accolto benissimo e col passare del tempo scopro che presentano capacità cognitive (non solo sapere colorare un disegno) che attraverso diversi laboratori si cerca di potenziare: alcune sanno utilizzare il pc svolgendo compiti che implicano capacità di lettura e scrittura nonché comprensione, altre, anche se sono sulla sedia a rotelle, giocano a bocce e partecipano a dei piccoli tornei; c’è chi svolge il laboratorio di cucina, giardinaggio e per finire il Cottolengo ha anche una palestra e una piscina. Sono già passati due mesi e posso assicurare che sono volati. Ho avuto modo di visitare altre realtà ospedaliere e il Cottolengo per me è “un miracolo di Dio” per quello che offre nella quotidianità alle ospiti! Il contesto qui è tanto povero dal punto di vista sociale, economico, sanitario eppure, solo chi viene nel Cottolengo, può comprenderne la grandezza... I progetti ancora da finanziare •L’apparecchiatura medicale per lo screening delle malattie tropicali in dotazione presso l’ospedale dove opera suor Teresa Rita dalla Pozza in Togo. Costo del dispositivo € 7.500 € 2.300 mancano •Pozzo per l’acqua in Nigeria nella comunità originaria di suor Mary Onuwugamba. Costo del pozzo con pompa € 11.200 mancano € 6.300 •Progetto impermeabilizzazione tetti del Cottolengo di Bahia Blanca in Argentina. Costo dei materiali € 18.800 e del lavoro mancano € 13.700 •Ristrutturazione interna della scuola materna di Balldré in Albania. Nuove stanze, nuovi pavimenti, nuovi bagni, tintura, piastrellatura e porte. Costo complessivo € 27.000 mancano € 4.000 Nazareth 4 - 2013 | 37 Orizzonti missionari Donando si riceve In questo nuovo articolo sulla “Bancarella della solidarietà”, che si rinnova ogni anno per le festività natalizie presso la Scuola “Sacra Famiglia” di Verona, vorrei completare il quadro con qualche particolare in più sul lavoro settimanale delle “capesse”: Marcella, Patrizia e Sara. Condividere la solidarietà - operativa fa bene a tutti, perché è proprio vero che “donando si riceve”. Promuovere un bene che si diffonde, produrre per amore non è creare cose nuove, ma è soprattutto arricchirsi, aiutarci a continuare il cammino di crescita che dura per tutta la vita. Così aumenta la gioia di ritrovarci, di stare insieme, con il piacere di fare qualche cosa per gli altri. Continuare sulle “orme” tradizionali della solidarietà condivisa: è la catena della bontà che si espande a tutta la nostra scuola, dall’Asilo Nido alla Scuola Superiore, insegnanti e genitori compresi, donatori di materiale vario e poi compratori di oggetti-regalo, di cose utili ed economiche, ma cariche di altruismo. Ogni scampolo che arriva, bottoni, filo, campionari vari, nelle mani artistiche delle “capesse”, si trasforma in dono per... e chi acquista sa di far parte di quella catena di bontà, ormai consolidata da anni. Per chi confeziona e per tutti quelli che comprano è chiaro il detto missionario: «Il poco che puoi donare, diventa molto per chi non ha niente». Questa è una massima che racchiude tutto. Questa bancarella speciale è allestita con un grande obiettivo: aiutare, con il ricavato, chi è più povero di noi; questo è un modo per coltivare e far germinare il “seme” della gratitudine e della festa in chi ci sta a cuore e riceve un regalo, anche se non è di grande valore, ma utile e ricco di carica augurale-natalizia. Così il nostro spirito riceve la sua porzione di nutrimento e di crescita, che non è mai raggiunta, se non alla fine del percorso umano. E’ qui che ci ritorna alla mente la “Magna Carta” detta anche “I Comandamenti del Nuovo Testamento”: «...perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi» (Mt 25, 35-36). Poiché “donando si riceve”...ecco la gioia di imparare a dare quel poco o tanto che ci è possibile offrire. Èquesto semplice dono che diventa seme fecondo di gioia, di serenità, di bontà, che può portare frutto a breve e lungo termine. Marcella, Patrizia, Sara, ma anche Laura, che si è assunta l’impegno di sfruttare tutte le opportunità per fare acquisti occasionali a poco prezzo: tovaglie, canovacci, grembiuli, nastri, ecc. Questa “materia prima” passa tra le mani operose ed industriose delle collaboratrici ed escono lavori di qualità, ben fatti e pronti a soddisfare l’acquirente di “spirito creativo”, per fare un presente gradito a chi attende un bambino e per dire un grazie augurale. E c’è anche Valentina, che procura i vasetti di vetro che vengono riempiti con il prezioso ed utile sale aromatico, preparato artigianalmente dalle Suore della Scuola dell’Infanzia di Volargne (VR). La compagnia delle “capesse” ringrazia di cuore tutti coloro che, in un modo o nell’altro, portano, fanno, acquistano per...,vendono e comprano; è la catena della solidarietà che si arricchisce sempre di altri anelli e arriva ancora un po’ più lontano. Sr. M. Silvia Bonometti e collaboratrici La perla preziosa Da te, Signore, siamo chiamati ad andare leggeri, senza possessi, con una fede nuda, essenziale. Questa fede ci rende semplici della tua grande semplicità. Essa si acquista con il sacrificio di tutto quanto non sia il Regno dei cieli. Allora quelli che ci incontreranno sul loro cammino 38 | Nazareth 4 - 2013 tenderanno le mani avide al tesoro che zampilla da noi: un tesoro liberato dai nostri vasi di terra, dalle nostre valigie, dai nostri bagagli, un tesoro semplicemente divino. Allora noi saremo agili e diventeremo a nostra volta delle parabole che donano a tutti la perla preziosa, la vita vera. Madeleine Delbrêl Racconto-testimonianza Un regalo speciale Due donne Sono poche le parole nel vocabolario di Anna e tutte inclinate al positivo. E questo filtra nel suo pensiero, fino ad imprimersi sul volto. Un volto solitamente abitato dal sorriso, accentuato da labbra carnose sulla larga bocca; tutt’uno con lo sfavillio degli occhi. Capelli brizzolati e troppo crespi, inconveniente della permanente e dell’età oltre la sessantina. È di alta statura Anna, una corporatura di poco sovrappeso, tutto armoniosamente distribuito. Le sue movenza, la sua andatura hanno qualche cosa di fanciullesco. L’abbigliamento demodé non la rende ridicola: è fuori moda di poco. Gonne sotto il ginocchio, a larghe pieghe e camicette con ampi colli ricamati, golfini intonati. Tutto indossato in maniera impeccabile con la fragranza di pulito che la segue. Alla regia di questo ordine, di questa sobria eleganza, sta Sofia, la sorella, che si profuma con essenza di mughetto. Le loro vite sono intrecciate da più di cinquant’ anni, o magari ancor più: da quando entrambe capaci di amore. Anna venne affidata ad un Istituto per minorati quando per l’anagrafe doveva essere quasi donna. I suoi limiti, le sue incapacità, l’assenza di un’autonomia giustificavano questo. Almeno per il fratello; non per la sorella. Furono la determinazione di questa, seguita dalla sua dedizione, a ridare vita ad una vita con un verdetto infausto come quello di Anna. Lei, sorella maggiore, sovvertì l’ordine delle cose stabilite. Mise al primo posto i bisogni e all’ultimo le debolezze della sorella. Anna uscì dal negozio con una confezione regalo speciale; una scatola (intera) avvolta in carta dorata e sigillata con un elegante nastro rosso “Ma adèss ‘n do nente?” (Ma adesso dove andiamo?), disse Anna scendendo gli ultimi scalini dell’Istituto. Obbedendo alla richiesta della sorella, prima aveva salutato e ringraziato tutte quante, senza affatto nascondere la sua grande gioia. Eppure lì ebbe un’ esitazione. “Ti no stà pensar e véi con mi” (Tu non preoccuparti e vieni con me). Col rassicurante tono materno, e prendendola per mano, così le rispose Sofia. E così la portò via di là e di Anna si prese cura come una madre. La morte di quella vera, di poco distante da quella del padre, fu la causa del suo infantilismo maturato in adolescenza. La vita di entrambe è stata – ed è – spesa per gli altri. Dal prete affidato alle loro cure che ora riposa in pace, fino ai bambini poveri rumeni di oggi, conosciuti virtualmente attraverso le suore della Divina Provvidenza. Una vita ordinaria la loro, nascosta agli occhi del mondo. Ma questo va da sè. Tuttavia va a finire che in queste esistenze s’innescano bagliori di luce che non si estingue. Come la storia degli stivali, accaduta qualche anno fa. Felicità La situazione economica non era esaltante ai tempi per le due donne. Sofia percepiva lo stipendio di perpetua, Anna una piccola pensione. Non che questo fosse per loro motivo di lamentele. Di fatto vivevano sobriamente. Eppure quell’inverno Sofia, non senza fatica, riuscì a mettere da parte una buona cifra per comperare alla sorella qualche cosa di nuovo: un paio di stivali. Tante donne in città li portavano; erano la novità per la Verona degli ultimi anni sessanta; difficile, specie per le donne, non fermarsi ad osservarli nelle vetrine. Sofia, mentre passava in rassegna i vari modelli esposti, faceva dentro di sé tutte le considerazioni necessarie per una valutazione opportuna al caso: il tacco, il colore da intonare al cappotto, pelo sì o pelo no? Quando insieme varcarono la porta del negozio lei aveva le idee molto chiare sugli stivali per Anna. Dopo l’acquisto tornarono in strada felici. L’ultima estasiata nel vedere le proprie gambe così eleganti, Sofia contenta del gioire della sorella. La felicità di Anna riguardo alle nuove calzature col tempo però diminuì: perché a lei sì e sua sorella no? Con Sofia non ne parlò. Le era venuta un’idea. Contraccambiare il dono. I soldi per questo non li possedeva, ma non era un problema: una sua soluzione lei l’aveva trovata. Nazareth 4 - 2013 | 39 Racconto-testimonianza Il regalo Un mattino alla settimana la perpetua lasciava la sorella sola per alcune ore. Era un piccolo spazio personale che si riservava magari solo per sbrigare faccende pratiche. Quel giovedì, quando se ne fu andata, Anna non rimase col lavoro in mano, ad aspettarla come di consueto. Natale era alle porte; non c’era tempo da perdere. Sentiva il cuore batterle più in fretta quando s’infilò il cappotto per uscire. Il negozio di scarpe era a cinque minuti di strada. Entrò, come di consueto col sorriso accennato, i suoi occhi grandi e felici. Era presto, il negozio aveva aperto da poco e in quel momento, a parte lei, non c’era nessun altro cliente nel locale. Il negoziante salutò cordialmente e l’accolse come di solito si fa con le clienti. Lei iniziò a raccontare: “Mia sorella mi ha regalato questo paio di stivali”, disse, mentre portava avanti una gamba, sollevando di poco il piede. Poi guardava la punta dello stivale mentre lentamente la faceva roteare. “Sono comodi sa?, – diceva al contempo, – però non è giusto che io li abbia e lei no. Non so per quanto tempo ha risparmiato i soldi per comprarmeli…ecco, io vorrei chiederle un favore”, disse col suo largo sorriso. Il negoziante la guardò fra il perplesso e l’incuriosito; non capiva bene dove volesse portare il discorso quella signorina un poco bizzarra che le stava di fronte. Uno scampanio avvertì dell’ingresso di qualcuno. Nel negozio entrò una signora tinta di biondo, vide il commesso occupato, si slacciò il cappotto e si mise a sedere. “Io allora le chiedo questo” diceva ora Anna, “i soldi per comprare i due stivali non ce li ho, me ne può vendere uno”? Come sarebbe a dire? Vendere UNO stivale, e il secondo? (ovvi pensieri dell’interlocutore). Il negoziante, 40 | Nazareth 4 - 2013 nonché titolare, però, poco dopo sorrise annuendo, accogliendo la proposta di Anna: ritirare il secondo più avanti. Lei iniziò a ringraziarlo (cosa che avrebbe fatto più volte), ripetendo il perché della sua richiesta e aggiungendo particolari edificanti su Sofia, che si meritava tutto, che era tanto brava e che certo sarebbe arrivata dopo Natale a ritirare il secondo stivale. Così Anna uscì dal negozio con una confezione regalo speciale; una scatola (intera) avvolta in carta dorata e sigillata con un elegante nastro rosso. Vigilia Arrivò la vigilia di Natale. Al solito in canonica era un susseguirsi di visite e telefonate. Il parroco, impegnato per ore nelle confessioni, delegava volentieri tutto a Sofia. Chi arrivava portava un pensiero, e in contraccambio al donatore veniva offerto un cioccolatino posato con cura sul vassoio, per l’occasione rivestito col centrino natalizio di cotone bianco impreziosito dal bordino dorato. Quel giorno Anna era ancor più felice del solito. Seguiva ad ogni passo la sorella con fare pacifico. Gli auguri ed i ringraziamenti di entrambe riecheggiavano fin dentro il giroscale, mentre sostavano sulla porta d’ingresso a congedare l’ospite. Il via vai di persone proseguì fino al tardo pomeriggio, col risultato di stancare molto Sofia, tutta presa dal voler fare un buon servizio al “don”. Natale La messa di mezzanotte era per entrambe il regalo più atteso della giornata: stare lì a guardare e a pregare Gesù Bambino, felici nel coro a cantare inni di Natale. Alla fine della cerimonia un piccolo brindisi con lo scambio di auguri che passava fra tante mani e incrociava molti occhi benevoli. La giornata si concluse a notte fonda, come sempre. Sofia altro non desiderava che poter andare a letto, ora; la stanchezza spartita dai piedi alla testa, la fiaccò di colpo. Anna, al contrario sembrò rianimarsi. Eccitata e gongolante andò a tirar fuori il suo dono dal nascondiglio, cioè nell’armadio sotto la pila delle coperte di riserva. Ravvivò il fiocco afflosciato e aspettò Sofia in camera da letto. “Sa me combìnet adess”? (Che cosa mi combini ora?) fra lo stanco e l’incuriosito le disse lei entrando; “Varda dai, l’è ‘l me regal de Nadàl… te piàsel”? (Dai, guarda, è il mio regalo di Natale… Ti piace?). Anna per l’eccitazione si sfregava le mani appoggiandosi ora s’un piede ora sull’altro. “Go ancor da vèderlo” (ma se devo ancora vederlo!), disse un po’seccamente Sofia mentre, seduta sul letto, con cura slegava il fiocco, cercando poi di non strappare il bell’incarto. Tolse finalmente il coperchio di cartone alla robusta scatola quadrata, rimanendo senza parole. Uno stivale di cuoio nero, lucido, adagiato su carta velina bianca sembrava parlarle. Srotolò un biglietto che ne sbucava da sopra e lesse: “Gentilissima sig. na l’aspettiamo per il ritiro del secondo. Buon Natale dalla ditta Marangon”. Sofia posò la scatola sul letto e prese le mani della sorella seduta che accanto a lei portava un’espressione estasiata sul volto. Le strinse leggermente, sentendone il tepore. Mentre la guardava negli occhi, lacrime le percorrevano il viso. Con voce increspata sussurrò: “Grazie…bon Nadàl” (grazie… Buon Natale). Maria Carmen Zandonai Natale 2009 Buon Natale! Fratelli, trasalite di nuova meraviglia e di gioia, per la venuta di Cristo. Ciascuno di noi può dire, deve dire: “È venuto per me!” Per me! Che nessuno pensi di aver celebrato bene il Natale se non si è sentito investito e quasi folgorato da questa nuova scoperta: Egli è venuto per me! Io sono amato da Cristo! È venuto per noi, altorilievo in pietra di nanto (60x70), Chi sperimenta in qualche misura eseguita da Paolo Rossetto (PD), 2009 questa inebriante verità natalizia, sentirà nascere nel proprio cuore un canto spontaneo: SERENO 2014! “Gloria a Dio e pace in terra!” ricco di speranza, un canto d’amore divino, di pace, il canto di Natale. di fede operosa. Di misericordia accolta da Dio Paolo VI e fraternamente restituita. Nazareth 4 - 2013 | 41 42 | Nazareth 4 - 2013