NAZARETH n. 4 – 2013 ottobre – novembre – dicembre

Transcript

NAZARETH n. 4 – 2013 ottobre – novembre – dicembre
Periodico di educazione cristiana n. 4, ottobre, novembre, dicembre 2013 - Anno CVII - Poste Italiane spa - Spedizione in A. P. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2, DCB VERONA
NAZARETH
AD JESUM PER MARIAM - PICCOLE SUORE SACRA FAMIGLIA - Castelletto sul Garda - VR
Nazareth 4 - 2013 | I
NAZARETH
Il volto e lo sguardo di un bimbo
ci parlano della relazione con Dio.
L’innocenza e purezza di cuore
ci mostrano la grazia divina
nel calore di un abbraccio
con la Sua grande Famiglia
A cura delle
«Piccole Suore della Sacra Famiglia»
ottobre-novembre-dicembre
n. 4 - 2013 Anno CVII - Trimestrale
Direttore responsabile:
Sr. Maria Angelica Cavallon
Direzione e Amministrazione:
Istituto Piccole Suore
della Sacra Famiglia
37010 Castelletto di Brenzone (VR)
Spedizione in A. P. - D.L. 353/2003 (conv. in
L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2, DCB
VERONA
Autorizzazione Tribunale
di Verona n. 29, 8 febbraio 1960
Comitato di redazione:
37138 Verona
Via G. Nascimbeni, 10
www.pssf.it - e-mail: [email protected]
Sr. Maria Angelica Cavallon,
Sr. Maria Romana Bombo,
Sr. Umberta Maria Bettega
COLLABORATORI DI questo numero:
Andrea Cornale, Anna Pia Viola,
Emma Provoli, Italo Forieri, Maria Laura Rosi,
Katia Scabello Garbin, Giulio Biondi,
Silvia Morelli, Suor Erica Benetton
Iva assolta dall’Editore
ex art. 74 D.P.R. 633/72
La pubblicazione è curata
da Editoriale Della Scala
Povegliano Veronese
Stampa: Grafiche Piave s.r.l.
Via Spagna, 16
37069 Villafranca (VR)
Tel. 045/6301555
Fax 045/6301789
Foto copertina di
Federico Beghini, prima
Nadia Neri Talassi, quarta
II | Nazareth 4 - 2013
Sommario
la redazione
Relazioni vere e aperte.......................... 1
lettera della Madre
La relazione con Dio e con la Chiesa...... 2
formazione
Esperienza di libertà ............................. 4
Il silenzio: spazio per l’incontro.............. 6
n. 4/2013
Io vi tengo tutti scolpiti nella mente e nel
cuore; io prego tanto e sempre per voi
Beata Maria Domenica Mantovani
Viviamo, operiamo con semplicità e sincerità
Beata Maria Domenica Mantovani.............21
sui passi di Francesco ......................... 22
magistero
La Chiesa madre dei cristiani ................ 8
un nuovo cammino GIOVANE
chi sei TU?...chi sono io?
Lo straordinario vive nel tuo ordinario..... 23
evento storico
Chiusura dell’Anno della Fede:
24 novembre 2013 ............................. 10
biblioteca in famiglia
Incontare Dio
in un libro per bambini........................ 24
carisma
Le PSSF “per il Popolo”....................... 11
arte
La confessione:
vertice della relazione con Dio............. 26
esperienza
Mistici con gli occhi aperti................... 12
letteratura
La relazione con Dio e con la Chiesa
in Alessandro Manzoni........................ 13
dalla parte della vita
XXVI Concorso Scolastico
Europeo 2013..................................... 28
Ricordando una mamma.................... 30
Sono entrate nella pienezza della vita.. 30
iconografia e spiritualità
Due Icone a confronto......................... 15
CEI Orientamenti pastorali
La Chiesa discepola madre e maestra..... 31
voce giovani
Dio è luce amore vita.......................... 17
dalle nostre comunità
Bologna: pellegrinaggio diocesano a
Roma.................................................. 32
Guardate a Lui e sarete raggianti......... 33
nuova rubrica
Risonanze e riflessioni dei lettori.......... 18
fascicolo centrale
“Non voi avete scelto me ma io ho scelto
voi... e vi ho costituiti perchè andiate e
portiate frutto” Gv 15,16 ................... 19
La mia intenzione è solamente
questa:che le suore mi aiutino a salvare
anime
Beato Giuseppe Nascimbeni................ 20
orizzonti missionari
Esperienza in Togo.............................. 34
Sulle strade del mondo........................ 35
Donando si riceve................................ 38
La perla preziosa................................. 38
racconto- testimonianza
Un regalo speciale............................... 39
Buon Natale!...................................... 41
Ricordiamo ai gentili Lettori il rinnovo dell’abbonamento per il 2014:
€ 15,00 per l’Italia, € 20,00 per l’estero, sul c/c postale n. 14875371.
La Redazione
Relazioni vere e aperte
Ogni giorno diventiamo cristiani
capaci di relazioni nuove
N
ei numeri precedenti (annata 2013) abbiamo cercato
di riflettere insieme sulla
relazione: in famiglia, come crescita quotidiana (n 1); con se stessi, la
propria identità personale, come
dono da custodire, sviluppare e
manifestare (n. 2); negli ambienti di
vita, come occasione per diventare
persone libere, forti e adulte nell’assunzione delle diverse responsabilità (n. 3).
Ora rivolgiamo la nostra attenzione
alla relazione con Dio, in Gesù Cristo, per lo Spirito, che ci rende suo
popolo (n. 4). Questa relazione non
è un’esperienza aggiunta o una nostra conquista, ma un dono, mediato dai propri genitori e da una comunità cristiana. Il suo sviluppo
avviene in una dinamica unitaria.
Precede addirittura la nostra consapevolezza. È come se lo ricevessimo già dal grembo materno, attraverso la fede della mamma. Tante
nostre mamme, con la loro preghiera, hanno dato voce al nascituro: “Ti adoro mio Dio, ti amo con
tutto il cuore, ti ringrazio di avermi creato”. E, in attesa del Battesimo, con un anticipo di gratitudine:
“fatto cristiano...”. Forse le mamme di oggi non conoscono questa
formula. Ma certamente parlano
con il proprio figlio mentre lo sentono crescere, e lo fanno con i sentimenti più veri di trepidazione, di
gratitudine, di gioia. Così l’apertura al Signore-Iddio avviene quasi per passaggio diretto, per contagio. La relazione si fa grazia e novità
di vita, poi, con il Battesimo. Il piccolo figlio di Dio entra nella grande
famiglia, la Chiesa. E da qui parte
quella crescita che dura tutta la vita:
“cristiani si diventa”.
Può sembrare facile e ricco di frutti il percorso dell’iniziazione cristiana, proposto dalle parrocchie,
per i ragazzi. I catechisti e i genitori, accompagnandoli, possono sperimentare una partecipazione più
coinvolgente alla vita della comunità cristiana e accrescere il senso
di appartenenza alla Chiesa-madre.
Possono riscoprire la forza rigeneratrice del sacramento della Riconciliazione. Ritrovare convergenza attonita su Cristo Gesù, che “è
presente nella sua Parola, giacchè
è lui che parla quando nella Chiesa
si legge la sacra scrittura” (SC n 7).
Rinnovare la comunione con tutti
nell’incontro eucaristico. Ma non è
scontato. Le preoccupazioni feriali
o le buone abitudini, di tradizione,
possono neutralizzare questa possibilità di freschezza e di stupore
nelle famiglie giovani, ma anche in
molti cristiani con ricca esperienza nel cammino di fede. Per tutti c’è dunque sempre l’esigenza di
crescita e di formazione continua
per ritrovare la relazione viva con
Dio-Abbà, che si è rivelato in Gesù
di Nazareth e ci dona il suo Spirito. È la Parola ascoltata con passione il luogo dove è sempre possibile
fare esperienza, paziente, di conversione. È nel dialogo eucaristico, fatto di adorazione e di incontro, dove
matura la gratuità dell’amore per le
relazioni familiari e fraterne. È nel
saper trattenere le proprie parole,
nel ridimensionare i propri desideri, per entrare in sintonia con la vo-
lontà del Signore, che si fa concreto il cammino verso gli altri e verso
Dio stesso.
L’attenzione nostra allora trova la
sua fonte e l’affetto la sua convergenza. Diventiamo capaci ancora
di stupore per Gesù. E se è vero ciò
che ha affermato il Concilio Vaticano II: “Il Vangelo di Cristo... continuamente purifica ed eleva la moralità dei popoli. Con la ricchezza
soprannaturale feconda dall’interno, fortifica, completa e restaura in
Cristo le qualità spirituali e le doti
di ciscun popolo” (GS n. 58). Rimane certamente vero che il Vangelo, Cristo stesso, è la forza che eleva
la moralità, la speranza delle famiglie, anche di quelle in difficoltà, e
di ogni persona aperta e in ricerca.
Così le relazioni fraterne diventano
rivelazione dell’amore della Trinità e della sua continua presenza in
mezzo a noi, a tutti noi, che siamo
Sua famiglia. Chiesa, convocazione
di Dio che “volle santificare e salvare gli uomini non individualmente e senza alcun legame tra loro, ma
volle costituire di loro un popolo
che lo riconoscesse nella verità e fedelmente lo servisse” (LG n. 9). Un
popolo che riconoscesse che l’unica opera da compiere è: Credere in
Colui che il Padre ha mandato (Gv
6,29). “Solamente nel mistero del
Verbo incarnato trova luce il mistero dell’uomo... tale e così grande è
il mistero dell’uomo che chiaro si
rivela agli occhi dei credenti attraverso la rivelazione cristiana” (GS
n 22).
Sr. Maria Angelica Cavallon
Nazareth 4 - 2013 | 1
Lettera della Madre
La relazione con Dio e con la Chiesa
Rimanere nel Suo amore per essere nella Chiesa
sale della terra e luce del mondo
L’
ultima tappa del cammino di quest’anno dedicato
al tema della relazione ci
porta a riflettere sulla relazione
con Dio e con la Chiesa. I due
aspetti vanno considerati insieme perché la Chiesa è costituita
dai battezzati, cioè da coloro che,
per il dono dello Spirito Santo,
sono stati inseriti nella vita di
Dio e sono resi capaci di entrare
in comunione con Lui.
Ma cosa significa essere in relazione con Dio? Come nasce
questa relazione? La Lettera apostolica “Porta fidei”, con la quale
Papa Benedetto XVI ha indetto
l’Anno della fede, afferma che
proprio la fede introduce alla vita
di comunione con Dio e permette
l’ingresso nella sua Chiesa (PF 1).
E la fede nasce e cresce nell’ascolto della Parola di Dio, quando la
persona è disponibile a lasciare
che il suo cuore venga trasformato dalla grazia.
Ma l’uomo di oggi ha ancora voglia di cercare Dio e di entrare in
relazione con Lui? A volte sembra
che le persone siano indifferenti
al tema della fede e vivano senza
riferimento a Dio. Eppure molte
situazioni della vita pongono in
crisi e suscitano domande senza
risposta: malattia, povertà, separazioni, lutti, violenza, guerra…
È soprattutto dentro tali esperienze che l’uomo scopre di non
bastare a se stesso e avverte il bisogno di recarsi al pozzo, come la
Samaritana, per incontrare Gesù
e attingere alla sua sorgente, da
cui sgorga acqua viva per la no2 | Nazareth 4 - 2013
stra sete di senso. È la vita stessa,
con i suoi momenti di gioia e di
fatica, con gli imprevisti, le crisi,
lo scorrere inesorabile del tempo
che ci porta a scoprire la presenza del Signore dentro la nostra
storia.
È proprio questo il messaggio
più forte del mistero dell’Incarnazione: Dio non è estraneo alla
nostra esistenza, anzi, la vive con
noi. Solo una cosa ci chiede: avere fiducia e coltivare il rapporto
con Lui giorno per giorno attra-
Lettera della Madre
verso la preghiera,
la partecipazione ai
sacramenti, l’amore
al prossimo, lo svolgimento gioioso e fedele
degli impegni quotidiani. Non importa
dove ci troviamo o
cosa facciamo: non c’è
luogo o situazione in
cui non sia possibile
rimanere in comunione con Dio, perché
Egli è sempre con noi
e nulla può separarci
dal suo amore, se noi
non lo vogliamo. Dice
infatti San Paolo nella
lettera ai Romani: Chi
ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la
tribolazione, l’angoscia, la persecuzione,
la fame, la nudità, il
pericolo, la spada? Ma
in tutte queste cose noi
siamo più che vincitori grazie a
colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né
vita, né angeli né principati, né
presente né avvenire, né potenze,
né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in
Cristo Gesù, nostro Signore (Rm 8,
35.37-39). E madre Maria Domenica Mantovani esortava le suore
con queste parole: Vivete sempre
alla presenza di Dio. Se noi rimaniamo nell’amore di Dio, che è il
Sommo Bene, non possiamo che
testimoniare e diffondere il bene,
non possiamo che essere “sale
della terra e luce del mondo” (cfr.
Mt 5,13-14), come Gesù chiedeva
ai suoi discepoli.
Ma per fare questo abbiamo bisogno di attingere continuamente alla luce che è Cristo, perché
spesso le fatiche e le sofferenze
del vivere ci scoraggiano e ci fanno tornare indietro. Ecco allora
l’importanza della Chiesa, di una
comunità che sostiene e incoraggia, e al tempo stesso dona costantemente il nutrimento della
fede attraverso i sacramenti, in
particolare l’Eucaristia, e il dono
della Parola ascoltata, spiegata,
meditata, pregata, condivisa. La
stessa professione di fede è un atto
personale ed insieme comunitario.
È la Chiesa, infatti, il primo soggetto della fede. Nella fede della
comunità cristiana ognuno riceve
il battesimo, segno efficace dell’ingresso nel popolo dei credenti per
ottenere la salvezza (PF 10).
Tuttavia oggi molti dicono di credere in Dio ma non sentono di appartenere alla Chiesa, se ne sono
allontanati per vari motivi e la
ritengono una struttura di potere,
lontana dalla gente. Ma la Chiesa non coincide con la gerarchia
o una struttura organizzativa, che pure è
necessaria, e neppure
è formata solo da preti, monaci, persone
consacrate; la Chiesa è
tutto il popolo di Dio,
l’insieme dei battezzati, e perciò ciascuno
di noi contribuisce
a dare un volto alla
Chiesa. Certo, ognuno è insieme santo e
peccatore, e perciò la
Chiesa non è perfetta,
ma questo non è importante: la cosa fondamentale è che ogni
cristiano rimanga in
comunione con Dio,
si lasci amare e perdonare da Lui, ricominci
ogni giorno a credere,
a donare speranza, a
servire i fratelli attraverso il proprio lavoro, le occupazioni quotidiane, lo
sviluppo di sane relazioni in famiglia, tra amici, con i colleghi
di lavoro e in ogni ambito di attività. Ciascuno è chiamato a dare
il proprio contributo, che non è
mai inutile o superfluo, perché
ciascuno è unico e irripetibile e
ha qualcosa di bello e di nuovo
da donare agli altri, e soprattutto
può rendere visibile un tratto del
volto di Dio che nessun altro al
suo posto può esprimere.
L’augurio che reciprocamente ci
facciamo, al termine di questo
anno 2013, è che anche nel nuovo anno possiamo rinnovare ogni
giorno la fede, rinsaldare la relazione con il Signore che è amore
ed essere nella Chiesa segno visibile della vicinanza di Dio ad ogni
uomo e donna che incontriamo.
Sr. Angela Merici Pattaro
Superiora generale
Nazareth 4 - 2013 | 3
Formazione
Esperienza di libertà
La relazione con Dio e con la Chiesa
“D
io sì, Chiesa no” era
lo slogan con cui
tanti anni fa si sintetizzava il proprio rapporto con la
fede. In sostanza si riteneva, ma
forse si ritiene ancora oggi, che la
relazione con Dio fosse un fatto
privato e comunque regolato da
ritmi, linguaggi e pratiche da gestire individualmente. Per questo, e non solo, si aveva la convinzione che la Chiesa fosse una
sovrastruttura, un’opera umana
piena di interessi, un centro di
potere economico e politico, che
La presenza della
Chiesa
è garanzia della
trasmissione
di Dio come Colui
che è altro da noi
imponeva regole alle persone,
privandole della propria libertà nel rapporto con Dio. Si sono
versati fiumi di inchiostro su tali
aspetti e non intendo entrare nella legittimità di tale espressione.
Voglio invece porre una domanda: quando parliamo di relazione
individuale, soggettiva, con Dio,
siamo sicuri che ci riferiamo al
4 | Nazareth 4 - 2013
Signore della rivelazione, a Colui
che si presenta come realmente
Altro rispetto a noi? Non si corre forse il rischio di avere un’immagine di Dio, di pensarlo come
un’evanescente presenza, un’energia cosmica, da invocare e di cui
inebriarci come lo iodio che respiriamo in riva al mare? Perché
è di questo che si tratta quando si
parla di relazione con Dio o con
la Chiesa: c’è relazione solo se c’è
riconoscimento di una presenza,
di un’identità, diversa da noi, altrimenti non facciamo altro che
chiamare in modo diverso, dio
appunto, noi stessi. E, d’altronde,
tutte le volte che si invoca un rapporto privato, individuale, chiuso
e refrattario a verifiche, vuol dire
che si sta affermando la propria
individualità. La presenza della
Chiesa, oltre al dato rivelato d’essere presenza dello Spirito, guidata dallo Spirito attraverso gli
uomini e strumento della Grazia
portata da Cristo, è garanzia della
trasmissione di Dio come Colui
che è altro da noi. Egli non è una
nostra immagine, non possiamo
piegarlo a dispensatore di benefici materiali. Per questo motivo
chiunque pronunci il nome “Dio”
si deve fermare a considerare ‘a
chi’ si sta riferendo, se realmente
ad una Persona oppure ad un’idea generica per una dimensione
poco materiale. Proviamo allora
a pensare Dio … se onestamente ci apriamo a tale possibilità
possiamo fare l’esperienza che fu
di molti poeti e scrittori, amanti
della vita e scienziati, artisti, pensatori e santi: un’esperienza di
libertà. L’espressione che meglio
possa indicare il rapporto con
Dio è ‘esperienza di libertà’. Una
parola che non indica una cosa,
né un luogo, né un sentimento o
emozione. La libertà è la condizione, interiore ed esteriore, per
potere essere ed esprimere noi
stessi. La libertà è la possibilità
di respirare, di non sentirci angosciati ed oppressi dagli eventi
della vita. Libertà è poter andare incontro alla novità della vita
senza timore di soccombere, senza la paura di venire sopraffatti.
Chi ha un cuore libero è capace
di ascoltare senza giudicare, di
camminare fianco a fianco con
chi la pensa diversamente, ma
che fa lo stesso percorso. Chi coltiva la libertà affina gli occhi per
poter vedere sempre orizzonti
più ampi, è capace di accogliere
con amore e di lasciare andare
per amore. Chi ama la libertà e
sente di essere fatto così, questi
C’è relazione
solo se c’è
riconoscimento
di una presenza, di
un’identità, diversa
da noi
Formazione
Chi ama la libertà
e sente di essere
fatto così,
questi ha incontrato
Dio.
Lo ha incontrato
per ciò che Egli è:
Spirito e vita
ha incontrato Dio, ma ancora
non lo sa, lo ha incontrato al di là
delle immagini tradizionali e dei
discorsi religiosi. Lo ha incontrato per ciò che Egli è: Spirito
e vita. Coltivare la relazione con
Dio significa aver colto il legame
tra noi e Lui, tra il nostro “essere
libertà” e il suo “donarci la libertà”. Siamo fatti per essere liberi e
l’incontro con il vero Dio, e non
con l’idea che noi ci facciamo di
Lui, ci restituisce a noi stessi. Conoscere Dio, relazionarci con lui,
ci rende capaci innanzitutto di
conoscere noi stessi, ci permette
l’onestà intellettuale di non ri-
tenerci noi ‘dio’, e non è cosa da
poco. Potremmo dire: “Non so
chi sia Dio, ma sono sicuro che
io non lo sono!”. Solo chi fa esperienza vera di Dio scopre il significato profondo di questa espressione. Ah, un’ultima cosa: tutto
questo lo insegna la Chiesa, io
l’ho imparato grazie alla sua sapienza trasmessa da uomini che
hanno dato la loro vita per darmi
vita, per permettere a me, e a tutti
noi, di poter vivere liberi, da figli
e non da schiavi.
Anna Pia Viola
Nazareth 4 - 2013 | 5
Formazione
Il silenzio: spazio per l’incontro
Il silenzio è un umile ma sicuro cammino verso l’Amore. Esso ha
il potere di renderci ‘vuoti e poveri’, per essere abitati da una
Presenza, che ci conduce pian piano al dono di noi stessi
È
innegabile che, in questo
nostro tempo, siamo ‘abitati’ dal rumore, stressati dalla
frenesia e dalle ‘corse’ quotidiane,
travolti dalla necessità di essere
sempre efficienti e produttivi, ma
è altrettanto vero che tutti abbiamo bisogno di riscoprire il valore
del silenzio per vivere una vita più
vera, per giungere alle profondità
del nostro essere, per arrivare proprio là dove emergono gli interrogativi più importanti di ogni creatura umana: che senso ha la mia
6 | Nazareth 4 - 2013
vita? da dove vengo? dove vado?
perchè la morte? per quale ragione
sono qui?
Il mondo odierno rende molto difficile l’esperienza del silenzio. Eppure l’uomo di oggi, per quanto assorbito dai rumori, bombardato da
messaggi sonori-visivi e derubato
della sua interiorità, ha una grandissima nostalgia del silenzio; si
potrebbe dire che lo cerca e lo desidera, riconoscendolo come la via
privilegiata e necessaria per incontrare Dio e se stesso.
Ogni esperienza umana, ogni realizzazione importante, ogni pensiero (anche ogni preghiera!) ha
bisogno di tempo e di silenzio, per
maturare, per concretizzarsi, soprattutto oggi! È dal silenzio che
nasce una parola penetrante, significativa, efficace. A volte si ha
l’impressione che le parole dette
ad alta voce possano essere meglio
ascoltate, abbiano una maggior risonanza, un miglior effetto sulle
persone, in realtà esse non arrivano mai a ‘toccare i cuori’! Tutti ne
Formazione
Se lo vogliamo,
anche la nostra
stessa ‘stanza’
può diventare un
luogo privilegiato
di incontro con un
Dio, che ci chiede
di pregarLo nel
segreto
abbiamo fatto esperienza. Anche il
profeta Elia ha riconosciuto la presenza di Dio nel ‘mormorio di un
vento leggero’ e non nel vento impetuoso perchè Dio, quasi sempre,
sceglie di manifestarsi nel silenzio, nella tranquillità, nella pace.
Anche i grandi mistici, come San
Giovanni della Croce, Sant’Ignazio di Loyola e Santa Teresa d’Avila, ci confermano che il silenzio è
condizione essenziale perché Dio
possa risplendere e parlare al cuore dell’uomo.
Tuttavia, proprio perché il nostro
mondo ci ha disabituati al silenzio, abbiamo bisogno di qualcuno
che ce lo insegni nuovamente, che
ci aiuti a farne esperienza, che ci
assicuri che il tempo dato al silenzio non è tempo perso ma un’occasione propizia, per accorgerci della
intensa ‘sete di Dio’ che tutti portiamo nel cuore e per imparare da
Dio stesso l’Amore ardente per Lui
e la Carità concreta verso i nostri i
fratelli.
Forse qualche volta ci fa paura il
silenzio, lo ‘fuggiamo’, lo allontaniamo dalla nostra vita preferendo ad esso qualsiasi rumore, qualsiasi parola o distrazione, perché
sappiamo che ‘il silenzio è un umile
ma sicuro Cammino verso l’Amore’.
Esso infatti ha il potere di renderci ‘vuoti e poveri’ per essere abitati da una Presenza che ci conduce
pian piano al Dono di noi stessi e
ci riempie di un Amore incondizionato.
Tante volte percepiamo l’esigenza di fare silenzio attorno a noi:
silenzio dalle immagini, dai rumori, dalle distrazioni, dal chiacchierio. Ovvero, abbiamo bisogno
di un silenzio ‘esteriore’ per entrare in quello ‘interiore’! Sentiamo la
necessità di trovare spazi e luoghi,
nelle nostre giornate, che ci permettano di uscire dalla realtà del
quotidiano per stare soli con Dio,
lontano dai frastuoni e dalle continue sollecitazioni di una società industrializzata, che è sempre
più proiettata al successo individuale, sempre più lontana da Dio e
sempre più preoccupata di mettere
l’uomo al posto di Dio!
In questo senso possono diventare importanti i pellegrinaggi, le
passeggiate in luoghi solitari naturalmente belli e ‘incontaminati’, momenti di raccoglimento in
piccole-semplici cappelle, le visite
a santuari mariani, alcune giorna-
Il tempo dato
al silenzio non
è tempo perso,
ma un’occasione
propizia, per
accorgerci della
intensa ‘sete di
Dio’ che tutti
portiamo nel cuore
te di preghiera in case di spiritualità. Se lo vogliamo, anche la nostra
stessa ‘stanza’ può diventare un
luogo privilegiato di incontro con
un Dio, che ci chiede di pregarLo
nel segreto.
Nel corso di questi anni ho avuto
la fortuna e il grande dono di vivere l’esperienza del Pellegrinaggio. La prima volta è stato quasi
per caso (anche se nella logica di
Dio nulla avviene mai per caso), le
volte successive per scelta. Mi sono
chiesta che cosa mi spingesse ad
andare e credo di poter dare almeno una risposta. C’era il desiderio
di incontrare Dio, di fare una esperienza forte di preghiera, di vivere momenti di comunione e di intimità con Lui lontana da tutto e
da tutti, riscoprendomi come figlia
amata e voluta, nonostante tutte le
mie povertà.
Vivere giorni di silenzio interiore,
lontana dal ‘rumore’ del mondo,
mi ha aiutata a percepire con maggior chiarezza la ‘Voce’ di Dio e a
portare questa ‘Voce’ nel mio quotidiano. Ho scoperto che nel silenzio si impara a stare con gli altri in
modo diverso (nel modo stesso di
Dio!), si impara a parlare in modo
diverso, a gioire in modo diverso,
a condividere, a perdonare, a vivere l’ordinario in modo straordinario per mezzo di piccoli e semplicissimi gesti. Si diventa più lieti,
più sereni e più profondi, perché ci
si scopre amati di un Amore immenso!
Madre Teresa di Calcutta lo aveva compreso molto bene quando
scrisse che “Nel silenzio del nostro
cuore Dio ci parla del Suo Amore,
con il nostro silenzio consentiamo a
Dio di amarci”!
Non credo ci sia nulla di più bello
che possiamo desiderare e augurare per la nostra vita personale e per
la vita di ciascuno!
Emma Provoli
Nazareth 4 - 2013 | 7
Magistero
La Chiesa madre dei cristiani
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
R
iprendiamo oggi le catechesi sulla Chiesa in questo
“Anno della fede”. Tra le immagini che il Concilio Vaticano II
ha scelto per farci capire meglio la
natura della Chiesa, c’è quella della
“madre”: la Chiesa è nostra madre
nella fede, nella vita soprannaturale (cfr. Cost. dogm.Lumen gentium, 6.14.15.41.42). È una delle
immagini più usate dai Padri della Chiesa nei primi secoli e penso
possa essere utile anche per noi.
Per me è una delle immagini più
belle della Chiesa: la Chiesa madre! In che senso e in che modo
la Chiesa è madre? Partiamo dalla
realtà umana della maternità: che
cosa fa una mamma?
1. Anzitutto una mamma genera
alla vita, porta nel suo grembo per
nove mesi il proprio figlio e poi lo
apre alla vita, generandolo. Così
è la Chiesa: ci genera nella fede,
per opera dello Spirito Santo che
la rende feconda, come la Vergine
Maria. La Chiesa e la Vergine Maria sono mamme, ambedue; quello
che si dice della Chiesa si può dire
anche della Madonna e quello che
si dice della Madonna si può dire
anche della Chiesa! Certo la fede
è un atto personale: «io credo», io
personalmente rispondo a Dio che
si fa conoscere e vuole entrare in
amicizia con me (cfr Enc. Lumen
fidei, n. 39). Ma la fede io la ricevo da altri, in una famiglia, in una
comunità che mi insegna a dire
«io credo», «noi crediamo». Un
cristiano non è un’isola! Noi non
diventiamo cristiani in laboratorio, noi non diventiamo cristiani
da soli e con le nostre forze, ma
8 | Nazareth 4 - 2013
la fede è un regalo, è un dono di
Dio che ci viene dato nella Chiesa
e attraverso la Chiesa. E la Chiesa
ci dona la vita di fede nel Battesimo: quello è il momento in cui ci
fa nascere come figli di Dio, il momento in cui ci dona la vita di Dio,
ci genera come madre. Se andate al
Battistero di San Giovanni in Laterano, presso la cattedrale del Papa,
all’interno c’è un’iscrizione latina
che dice più o meno così: “Qui
nasce un popolo di stirpe divina,
generato dallo Spirito Santo che
feconda queste acque; la Madre
Chiesa partorisce i suoi figli in queste onde”. Questo ci fa capire una
cosa importante: il nostro far parte
della Chiesa non è un fatto esteriore e formale, non è compilare una
carta che ci danno, ma è un atto
interiore e vitale; non si appartie-
ne alla Chiesa come si appartiene
ad una società, ad un partito o ad
una qualsiasi altra organizzazione.
Il legame è vitale, come quello che
si ha con la propria mamma, perché, come afferma sant’Agostino,
“la Chiesa è realmente madre dei
cristiani” (De moribus Ecclesiae,
I,30,62-63:PL32,1336). Chiediamoci: come vedo io la Chiesa? Se
sono riconoscente anche ai miei
genitori perché mi hanno dato la
vita, sono riconoscente alla Chiesa
perché mi ha generato nella fede
attraverso il Battesimo? Quanti cristiani ricordano la data del
proprio Battesimo? Io vorrei fare
questa domanda qui a voi, ma
ognuno risponda nel suo cuore:
quanti di voi ricordano la data del
proprio Battesimo? Alcuni alzano
le mani, ma quanti non ricordano!
Magistero
Ma la data del Battesimo è la data
della nostra nascita alla Chiesa, la
data nella quale la nostra mamma
Chiesa ci ha partorito! E adesso vi
lascio un compito da fare a casa.
Quando oggi tornate a casa, andate a cercare bene qual è la data
del vostro Battesimo, e questo per
festeggiarla, per ringraziare il Signore di questo dono. Lo farete?
Amiamo la Chiesa come si ama la
propria mamma, sapendo anche
comprendere i suoi difetti? Tutte le
mamme hanno difetti, tutti abbiamo difetti, ma quando si parla dei
difetti della mamma noi li copriamo, li amiamo così. E la Chiesa ha
pure i suoi difetti: la amiamo così
come la mamma, la aiutiamo ad
essere più bella, più autentica, più
secondo il Signore? Vi lascio queste domande, ma non dimenticate
i compiti: cercare la data del vostro
Battesimo per averla nel cuore e
festeggiarla.
Non dimenticate
i compiti: cercare
la data del vostro
Battesimo per
averla nel cuore e
festeggiarla
2. Una mamma non si limita a
dare la vita, ma con grande cura
aiuta i suoi figli a crescere, dà loro
il latte, li nutre, insegna il cammino della vita, li accompagna sempre con le sue attenzioni, con il suo
affetto, con il suo amore, anche
quando sono grandi. E in questo
sa anche correggere, perdonare,
comprendere, sa essere vicina nella malattia, nella sofferenza. In una
parola, una buona mamma aiuta i
figli a uscire da se stessi, a non rimanere comodamente sotto le ali
materne, come una covata di pulcini sta sotto le ali della chioccia.
La Chiesa come buona madre fa la
stessa cosa: accompagna la nostra
crescita trasmettendo la Parola di
Dio, che è una luce che ci indica il
cammino della vita cristiana; amministrando i Sacramenti. Ci nutre
con l’Eucaristia, ci porta il perdono di Dio attraverso il Sacramento della Penitenza, ci sostiene nel
momento della malattia con l’Unzione degli infermi. La Chiesa ci
accompagna in tutta la nostra vita
di fede, in tutta la nostra vita cristiana. Possiamo farci allora delle
altre domande: che rapporto ho
io con la Chiesa? La sento come
madre che mi aiuta a crescere da
cristiano? Partecipo alla vita della
Chiesa, mi sento parte di essa? Il
mio rapporto è un rapporto formale o è vitale?
3. Un terzo breve pensiero. Nei
primi secoli della Chiesa, era ben
chiara una realtà: la Chiesa, mentre
è madre dei cristiani, mentre “fa” i
cristiani, è anche “fatta” da essi. La
Chiesa non è qualcosa di diverso
da noi stessi, ma va vista come la
totalità dei credenti, come il «noi»
dei cristiani: io, tu, tutti noi siamo
parte della Chiesa. San Girolamo scriveva: «La Chiesa di Cristo
altra cosa non è se non le anime
di coloro che credono in Cristo»
(Tract. Ps 86: PL26,1084). Allora la
maternità della Chiesa la viviamo
tutti, pastori e fedeli. A volte sento: “Io credo in Dio ma non nella
Chiesa…Ho sentito che la Chiesa dice…i preti dicono...”. Ma una
cosa sono i preti, ma la Chiesa non
è formata solo dai preti, la Chiesa
siamo tutti! E se tu dici che credi
in Dio e non credi nella Chiesa,
La Chiesa
siamo tutti:
dal bambino
recentemente
battezzato
fino ai Vescovi,
al Papa;
tutti siamo Chiesa
e tutti siamo uguali
agli occhi di Dio!
stai dicendo che non credi in te
stesso; e questo è una contraddizione. La Chiesa siamo tutti: dal
bambino recentemente battezzato
fino ai Vescovi, al Papa; tutti siamo
Chiesa e tutti siamo uguali agli occhi di Dio! Tutti siamo chiamati a
collaborare alla nascita, alla fede di
nuovi cristiani; tutti siamo chiamati ad essere educatori nella fede, ad
annunciare il Vangelo. Ciascuno
di noi si chieda: che cosa faccio io
perché altri possano condividere la
fede cristiana? Sono fecondo nella
mia fede o sono chiuso? Quando
ripeto che amo una Chiesa non
chiusa nel suo recinto, ma capace
di uscire, di muoversi, anche con
qualche rischio, per portare Cristo
a tutti, penso a tutti, a me, a te, a
ogni cristiano. Tutti partecipiamo
della maternità della Chiesa, affinché la luce di Cristo raggiunga gli
estremi confini della terra. Evviva
la santa madre Chiesa!
Francesco
Roma, udienza generale,
11 settembre 2013
Nazareth 4 - 2013 | 9
Evento storico
Chiusura dell’Anno della Fede:
24 novembre 2013
Famiglia, vivi la gioia della Fede! Pellegrinaggio delle Famiglie
sulla Tomba di Pietro – 25 e 26 ottobre 2013
Care famiglie!
Buonasera e benvenute a Roma!
Siete venute pellegrine da tante
parti del mondo per professare la
vostra fede davanti al sepolcro di
San Pietro. Questa piazza vi accoglie e vi abbraccia: siamo un solo
popolo, con un’anima sola, convocati dal Signore che ci ama e ci sostiene. Saluto anche tutte le famiglie che sono collegate mediante la
televisione e internet: una piazza
che si allarga senza confini...
Ho ascoltato le vostre esperienze,
le storie che avete raccontato. Ho
visto tanti bambini, tanti nonni…
Ho sentito il dolore delle famiglie
che vivono in situazione di povertà
e di guerra. Ho ascoltato i giovani
che vogliono sposarsi seppure tra
mille difficoltà. E allora ci domandiamo: come è possibile vivere la
gioia della fede, oggi, in famiglia?
Ma io vi domando anche: È possibile vivere questa gioia o non è
possibile?...
Le famigle hanno bisogno dell’aiuto di Gesù, per camminare insieme
con fiducia, per accogliersi l’un l’altro ogni giorno, e perdonarsi ogni
giorno! E questo è importante! Nelle famiglie sapersi perdonare, perché tutti noi abbiamo difetti, tutti!
Talvolta facciamo cose che non
sono buone e fanno male agli altri.
Avere il coraggio di chiedere scusa,
quando in famiglia sbagliamo…
Alcune settimane fa, in questa
piazza, ho detto che per portare
avanti una famiglia è necessario
10 | Nazareth 4 - 2013
usare tre parole. Voglio ripeterlo.
Tre parole: permesso, grazie, scusa. Tre parole chiave! Chiediamo
permesso per non essere invadenti
in famiglia. “Posso fare questo? Ti
piace che faccia questo?”. Col linguaggio del chiedere permesso.
Diciamo grazie, grazie per l’amore!
Ma dimmi, quante volte al giorno
tu dici grazie a tua moglie, e tu a
tuo marito? Quanti giorni passano
senza dire questa parola, grazie!
E l’ultima: scusa. Tutti sbagliamo
e alle volte qualcuno si offende
nella famiglia e nel matrimonio,
e alcune volte – io dico – volano
i piatti, si dicono parole forti, ma
sentite questo consiglio: non finire
la giornata senza fare la pace. La
pace si rifà ogni giorno in famiglia!
“Scusatemi”, ecco, e si rincomincia
di nuovo. Permesso, grazie, scusa!
Lo diciamo insieme? Permesso,
grazie e scusa! Facciamo queste tre
parole in famiglia! Perdonarsi ogni
giorno!
Nella vita la famiglia sperimenta
tanti momenti belli: il riposo, il
pranzo insieme, l’uscita nel parco
o in campagna, la visita ai nonni, la
visita a una persona malata… Ma
se manca l’amore manca la gioia,
manca la festa, e l’amore ce lo dona
sempre Gesù: Lui è la fonte inesauribile. Lì Lui, nel Sacramento, ci dà
la sua Parola e ci dà il Pane della
vita, perché la nostra gioia sia piena....”
Papa Francesco
Dagli scritti del Fondatore - PSSF
a cura di Sr. Flaviana Giacomelli
Tra gli scritti del Beato Giuseppe Nascimbeni, nella raccolta“Istruzioni sul
Credo”, c’è la spiegazione del “Credo
o Simbolo Apostolico”. Ai singoli articoli, il parroco fa precedere alcune
riflessioni sulla fede; la paragona alle
fondamenta di un edificio.
“Quello che è il fondamento alla
casa è la fede all’edificio della salute. Senza la fede è impossibile
piacere a Dio. Se fabbricate un
palazzo stupendo quanto volete
e con tutte le comodità possibili
ma non ci fate a questo palazzo le
fondamenta, non potrà sostenersi, al primo urto di vento cadrà…
Questo quanto alla necessità. Ora
diciamo cosa è la fede. La fede è
un dono di Dio, una virtù soprannaturale mediante la quale noi
fermamente crediamo tutto ciò
che la Chiesa c’insegna poiché lo
ha detto Iddio ch’è la stessa verità.
La fede è un dono di Dio particolare, distinto, specialissimo che ci
ha fatto il Signore per sua infinita
bontà, senza alcun nostro merito,
anzi senza neppure che fossimo
capaci di meritarlo. È una virtù soprannaturale cioè che ci fa credere
delle verità che noi non possiamo
conoscere col solo lume della ragione e che hanno per scopo di
condurci all’eterna felicità”...
Beato Giuseppe Nascimbeni
(dall’Istruzione 4^, p. 12)
Carisma
Le PSSF “per il Popolo”
I
l Beato Nascimbeni usa questo
termine nell’accezione più naturale e quotidiana, intendendo con esso di riferirsi alla gente
comune, alle persone che incontra nella vita di ogni giorno, che
vede nascere, crescere, impegnarsi, formarsi una famiglia, educare dei figli. È lontana da lui l’idea
del “popolo sovrano”, del popolo
in lotta per la rivendicazione dei
suoi diritti. È piuttosto l’idea oggi
riemersa con Papa Francesco di
“popolo che non si stufa di lui”,
che cerca motivi di vita, vicinanza,
comprensione e considerazione,
misericordia. È il popolo che incontrava Cristo, portatore di salute
e salvezza, di pace e giustizia, di
liberazione dal male e dalla morte. È continuare questa missione
nell’attuarsi del mistero dell’Incarnazione, solo una verità da credere
al tempo del nostro Fondatore che
non poteva avere molti argomenti
per approfondire o entrare in tale
mistero, ma che aveva tutta la disponibilità e la forza per vivere la
novità di vita e il mondo nuovo da
essa instaurato.
Il Nascimbeni, divenuto sacerdote,
ha davanti a sé un solo obiettivo:
“dare la vita per la salvezza anche
di un’anima sola”, salvezza intesa
sì come “vita eterna, felicità senza fine”, ma prima di tutto intesa
come vita dignitosa, laboriosa, serena nella famiglia e nella società.
Arrivato a S. Pietro di Lavagno, si
occupa subito dei giovani, della
scuola dove si formano le giovani
generazioni, impegno continuato
a Castelletto fino al 1907. Era convinto che dalla formazione poteva
nascere la persona nuova, capace
di relazioni positive, di operosità costruttiva, di dedizione per il
bene comune. Le vie per formare le persone erano tante: oltre la
scuola, la vita della parrocchia, le
manifestazioni e le feste del paese, le varie possibilità di lavoro
che egli stesso procurava e curava, perché nessuno perdesse il
tempo e le giornate sulle strade o
nell’osteria. Per così intensa attività sente di non bastare da solo, è
allora che, cercando religiose che
lo aiutassero a “salvare anime”, arriva alla fondazione di un Istituto,
definito oggi “diaconale”, perché
caratterizzato dalle varie forme di
servizio“al povero popolo”, con lo
spirito e l’apertura della Famiglia
di Nazareth. Aveva sempre cercato
una maestra per accogliere il dono
dello Spirito e porre una guida sicura agli inizi, ma dovette provvedere egli stesso alla preparazione
e formazione delle sue figlie, cercando ogni mezzo perché potessero essere incisive e rispondere
a tutte le necessità del popolo. Lo
Stato Italiano nel suo progressivo
organizzarsi pretendeva “le patenti”, che le suore non avevano. La
stessa prima filiale che sperava di
aprire a Gargnano, a pochi mesi
dalla fondazione, fu impedita per
la mancanza di una maestra patentata. Il Fondatore, però, non si
scoraggia, sa che è lo Spirito a suscitare il volere e l’operare e che il
carisma, dono di grazia operante
nell’Istituto, è dato per l’edificazione della Chiesa e punta soprattutto sulle braccia, il buon senso e la
totale dedizione delle suore, supplendo ad una istruzione cercata
e promossa, ma impossibile da
realizzare secondo il proprio desiderio, anche per lo sviluppo straordinario dell’Istituto e le continue
richieste della presenza delle suore
Un Istituto, definito
oggi “diaconale”,
caratterizzato
dalle varie forme
di servizio
“al povero popolo”
nelle varie parrocchie. Dovunque
è sempre l’attenzione alle necessità del popolo che muove le suore,
pronte a entrare nella concretezza
della vita del popolo, a vivere delle
sue stesse gioie, speranze e attese,
a farsi carico di ogni situazione, ad
affiancarsi ad ogni persona, a comprendere ogni disagio o fatica. La
stessa Madre Maria, mandata dal
Fondatore a sostenere e guidare le
suore nell’avviarsi di ogni nuova
filiale, entra nelle famiglie, le rassicura della gratuità del servizio
prestato alle figlie dei poveri, della
disponibilità di andare incontro a
tutte le necessità, del desiderio di
promuovere le persone con i mezzi a disposizione. Le Piccole Suore
sono nate per entrare nel tessuto
sociale come fermento, portarvi i valori che rendono umana la
vita di ogni persona, che aiutano
a crescere nella consapevolezza
e nella responsabilità cercando
il bene proprio, della famiglia e
il bene comune. La garanzia del
cammino percorso e da percorrere
è stata cercata dal Fondatore nella Chiesa, nei suoi pastori e nelle
sue indicazioni, e su questa strada
continua l’Istituto, oggi chiamato a
ravvivare il carisma, traducendolo
in forme nuove di intervento e di
servizio, sempre con l’obiettivo e il
desiderio di essere segno dell’Incarnazione che, portando il divino
dentro l’umano, fa di tutti noi un
“popolo di redenti”.
G.T.
Nazareth 4 - 2013 | 11
Esperienza
Mistici con gli occhi aperti
La scuola è un vero cammino
verso la realizzazione di una piena umanità
“I
l nostro compito deve essere unicamente quello
di diventare pienamente
umani” scriveva Romano Guardini, sacerdote e teologo, una delle voci più originali e influenti del
pensiero cristiano del XX Secolo (nato a Verona nel 1885, anche
se troppo spesso i veronesi stessi
dimenticano l’esistenza di questo
loro illustre concittadino).
Nella prospettiva dell’educazione, e di un’educazione che si voglia dire cristiana in particolare,
non possono che essere parole illuminanti. Sovente, negli scorsi
numeri di Nazareth, abbiamo insistito sulla natura complessa e sulla fondamentale importanza delle relazioni all’interno della scuola,
a tutti i livelli: relazioni fra docente e discente, fra educatore ed educato, fra colleghi e fra alunni, fra
studenti e discipline di studio, o
più semplicemente fra persone che
stanno compiendo un cammino di
vita insieme. Il risultato è senz’altro una rete dinamica di rapporti
che solo se vissuti in modo equilibrato e consapevole possono diventare pienamente sensati. Ma
che spazio ha Dio in questa complicata e significativa ragnatela?
In una società che tende sempre
più a confinare la dimensione religiosa ai margini, parlare di Dio a
scuola – come discorso di senso, a
partire dalle domande sull’esistenza e riflettendo sulle risposte cristiane – rischia di diventare un’operazione reputata di volta in volta
superflua, inutile, dannosa. Nulla di più sbagliato perché è proprio dalla pratica quotidiana nella scuola che si può notare quanto
12 | Nazareth 4 - 2013
la dimensione spirituale, anche da
parte degli adolescenti più “ribelli”,
non è per nulla rifiutata tout court,
ma è anzi vissuta con una curiosità ed un desiderio di approfondimento che spesso invece manca
proprio agli adulti.
Talvolta, per un insegnante (di filosofia, di storia, di letteratura,
ma in fondo non c’è un discrimine così forte sulla disciplina), ap-
verso il mondo, di fiducia e autorevolezza.
Dopotutto, una scuola che, con
spirito di giustizia e di carità, apra
gli occhi e gli orecchi dei suoi allievi a ciò che succede fuori delle mura della classe, è già di per
sè una scuola che si sta ponendo in una prospettiva cristiana.
Una scuola che non abbia paura di
“parlare di Dio” per timore di of-
procciare questo tipo di tematiche
è un’azione del tutto naturale e anzi
indispensabile. Ma non è solo nella “teoria” il nucleo della questione: è nell’essenza stessa dello stare a scuola. “Diventare pienamente
umani”, come affermava Guardini,
è in fondo il fine più alto dell’educazione, così come deve essere l’obiettivo più alto di ogni cristiano.
La scuola, come abbiamo scritto
spesso in queste pagine, è un vero
e proprio cammino verso la realizzazione di una piena umanità, un
cammino che si nutre di contenuti
e di dialogo, di senso e di relazione, di domande e di risposte, di attenzione all’altro e di ascolto reciproco, di sguardi dentro se stessi e
fendere qualcuno, sta spalancando, oltre gli steccati di un diffuso
nichilismo, spazi di riflessione e di
senso che aumentano a dismisura
la libertà di ciascuno. Una scuola
così, fatta di “mistici con gli occhi
bene aperti”, per usare una bella
espressione del teologo tedesco Johann Baptist Metz, sarebbe davvero un’opportunità formidabile per
dare all’educazione una dimensione, che altrimenti rischia di appiattirsi su un presente immediato, fatto solo di bisogni e privo di
interrogativi veri: una dimensione
pienamente “divina”, una dimensione pienamente umana.
Andrea Cornale
Letteratura
La relazione con Dio e con la Chiesa
in Alessandro Manzoni
N
on v’è dubbio che la tematica religiosa sia dominante nella vita di Alessandro
Manzoni e di conseguenza nelle sue opere. Sappiamo che la vita
dello scrittore fu caratterizzata da
un rigore, una severità, una semplicità, una purezza che l’avvicinavano a quella dei calvinisti, tanto
che Manzoni fu accusato di essere giansenista (cioè di simpatizzare per la dottrina eretica del vescovo fiammingo Cornelio Giansenio,
il quale nel secolo XVII aveva proposto un’interpretazione dei concetti di predestinazione e di grazia
molto vicina a quella di Calvino),
pur avendo egli stesso dichiarato
più volte ed esplicitamente la sua
appartenenza alla Chiesa cattolica, apostolica, romana. A tutto ciò
non fu estraneo il matrimonio con
Enrichetta Blondel, ginevrina, fervente calvinista fino al momento
della sua conversione al cattolicesimo.
D’altra parte, se la vita di Manzoni poteva riprodurre quella di un
calvinista, nel sentimento religioso dello scrittore non si trova nulla di intransigente, di “integralista”: anzi, esso è contraddistinto da
un’umanità, da una sensibilità, da
una capacità di comprensione più
mediterranee che nordiche (se mi
si consente di abusare di un luogo
comune…).
Il cattolicesimo di Manzoni si manifesta naturalmente nelle sue opere, che risultano particolarmente
riuscite quando si staccano dalla dottrina teorica, dalla catechesi, e si interessano della vita vissuta quotidianamente. Per chiarire
maggiormente il discorso, potrem-
mo dire, per esempio, che gli Inni
sacri sono validissimi a livello didattico pedagogico, ma I promessi
sposi o Il cinque maggio assurgono
al ruolo di indiscutibili capolavori
letterari, con una valenza “umana”
che va al di là del fatto religioso.
Il vero e sincero rapporto con Dio
è affidato nel romanzo alle parole
e alle azioni di personaggi diversissimi per estrazione sociale, cultura, stile di vita, ma accomunati dall’autenticità della loro fede:
stiamo parlando di Lucia, dell’Innominato, del cardinale Federigo Borromeo. Manzoni ne fa degli
esempi chiarissimi da comprendere, cui tutti dovrebbero ispirarsi, e li sceglie proprio differenti l’uno dall’altro perché ogni persona
possa trovare il proprio modello
di vita sulla base di una totale fiducia nella bontà di Dio e nel fatto
che tutto ciò che avviene sia volto
Il cattolicesimo
di Manzoni
si manifesta
naturalmente nelle
sue opere
quando si
interessano della
vita vissuta
quotidianamente
alla nostra salvezza, se lo accettiamo con cuore puro.
Per quanto concerne la Chiesa,
Manzoni si rivela estremamente
obiettivo. Egli sa bene come al suo
interno si possano trovare molti
Nazareth 4 - 2013 | 13
Letteratura
esempi di altissima moralità e altrettanti, se non di più, di meschina bassezza, e non si propone affatto di nascondere la realtà. La
finalità della sua scrittura, infatti,
consiste nel far opera utile ai suoi
lettori, affinché questi ultimi riconoscano, senza difficoltà e senza
dubbi, ciò che è bene e ciò che è
male, e tale finalità gli impone di
evidenziare i comportamenti virtuosi così come quelli meno apprezzabili.
Per questo a far parte della compagine ecclesiastica troviamo – accanto a Padre Cristoforo e al cardinale Borromeo – don Abbondio,
prete non per vocazione ma per
calcolo interessato; il padre provinciale dei Cappuccini che, pur
consapevole della meschinità e
dell’ingiustizia del suo comportamento, cederà alle richieste del
Conte zio ed allontanerà Padre
Cristoforo, reo di intralciare i piani di Don Rodrigo; Gertrude, la
cui monacazione forzata non può
tuttavia giustificarne le scelte sba-
gliate ed i delitti commessi all’interno del convento di Monza; le
suore del monastero, a partire dalla badessa, che avevano favorito in
ogni modo l’ingresso in clausura
di Gertrude, pur sapendo perfettamente che questo non era nei desideri della giovane, e si erano rese
quindi complici del sopruso vergognoso che la famiglia stava commettendo.
Al di là e al di sopra di tutto ciò c’è
una convinzione che caratterizza la fede di Manzoni e che viene
evidenziata in più occasioni: Dio
opera nel mondo tramite la Provvidenza, i cui disegni non possono essere conosciuti dagli uomini.
L’imprevedibilità degli interventi
della Provvidenza divina è sottolineata proprio dalla molteplicità di
situazioni per le quali ci si aspetterebbe una certa soluzione, mentre
se ne verifica un’altra, spesso opposta. Pensiamo, per esempio, alle
vicende di Lucia: si sarebbe dovuta trovare al sicuro nel convento
di Monza e invece proprio lì sarà
C’è una
convinzione che
caratterizza la
fede di Manzoni:
Dio opera nel
mondo tramite
la Provvidenza,
i cui disegni non
possono essere
conosciuti dagli
uomini
rapita, mentre dal castello dell’Innominato avrebbe dovuto essere
consegnata senza problemi a Don
Rodrigo e invece il rapimento si
trasformerà nella salvezza sua e
dello stesso rapitore.
Il ruolo della Provvidenza è poi
particolarmente manifesta ne Il
cinque maggio, scritta – come sappiamo – in occasione della morte
di Napoleone Bonaparte a Sant’Elena, appunto il 5 maggio 1821.
L’ultima parte della lirica ci presenta l’Imperatore che si propone
ripetutamente di scrivere le proprie memorie, ma la disperazione prende il sopravvento su di lui,
nel momento in cui i ricordi del
suo passato “glorioso” fanno risaltare ancora di più la mediocrità
del presente. Ed ecco che, del tutto inaspettata, a quell’uomo solo e
senza futuro viene in aiuto la Provvidenza, che gli fa riscoprire la fede
e gli riporta la speranza: “… e l’avviò, pei floridi / sentier della speranza, / ai campi eterni, al premio /
che i desideri avanza, / dov’è silenzio e tenebre / la gloria che passò.”
Maria Laura Rosi
14 | Nazareth 4 - 2013
Iconografia e spiritualità
Due Icone a confronto
Alimentano la nostra fede e ci introducono
nella contemplazione del mistero di Dio
1.
Di fatto, parlare di Dio-Trinità, così come tanta teologia ci
ha insegnato a dire, comporta ancora oggi una certa difficoltà. È
importante credere che il nostro Dio
è Uno e Trino, resta tutta la difficoltà di spiegarlo con le nostre parole.
Ancora più complesso è il tentativo
di dare immagine a Dio nelle sua realtà di Padre, Figlio e Spirito Santo.
Tutti conoscono l’icona della Santissima Trinità di Andrej Rublëv: è una
delle più celebri e misteriose espressioni della pittura mondiale.
Il soggetto dell’icona si basa sul capitolo 18 del libro della Genesi, dove
si descrive Dio che, in forma di tre
angeli, appare ad Abramo e a Sara
sotto la quercia di Mamre. Prima di
Rublëv, i pittori di icone dipingevano soltanto una scena di vita quotidiana: i tre angeli ospiti di Abramo e Sara, seduti a tavola all’ombra
di una grande quercia. Il santo Andrej Rublëv ha saputo invece incarnare nell’icona il dogma più importante del cristianesimo! In che cosa
si è rivelato lo straordinario genio
di Rublëv? Guardando attentamente l’icona: anzitutto notiamo che Rublëv ha tolto le figure di Abramo e
di Sara. Il ricco allestimento della mensa è stato sostituito da una
sola coppa, indicata dall’angelo che
sta in mezzo. La grande quercia si
è trasformata in un piccolo albero.
Così l’icona si può riconoscere, ma
da essa sono scomparse tutte le cose
temporali, lasciando posto a quello
che è eterno. Nell’insegnamento ortodosso la Santissima Trinità è chiamata consustanziale, indivisibile,
fonte di vita e santa. La consustanzialità è trasmessa nella sua icona
con il fatto che le figure degli ange-
li Dio-Padre, Dio-Figlio, Dio-Spirito Santo sono dipinte assolutamente
nella stessa maniera: tutte e tre hanno la stessa dignità e somiglianza.
Ritraendo i volti dei tre angeli tutti
uguali, Rublëv trovò una bellissima
soluzione che non infrange il dogma della consustanzialità. Nell’icona ci sono alcuni altri simboli: l’albero, il monte e la casa. L’albero, la
quercia di Mamre, è trasformato da
Rublëv nell’albero della vita e mostra
che la Trinità è la fonte della vita. Il
monte incarna la santità della Trini-
tà, e la casa il fatto che Dio è il primo
Costruttore di tutto. La Casa infatti si trova alle spalle dell’angelo con
i tratti del Padre (Creatore, Iniziatore della Costruzione), l’Albero alle
spalle dell’angelo di mezzo (il Figlio
è la Vita) e il Monte alle spalle del
terzo angelo (lo Spirito Santo).
L’icona, in cui non c’è né azione, né
movimento, è piena d’ispirazione e
di una pace solenne. Il pittore ha presentato qui la grandezza dell’Amore
sacrificale. Il Padre manda il Suo Figlio a soffrire per l’umanità, e il Fi-
Nazareth 4 - 2013 | 15
Iconografia e spiritualità
glio, Gesù Cristo, è disposto ad andare a soffrire e dare se stesso come
sacrificio per gli uomini promettendo, dopo la sua Ascesa la venuta dello Spirito Santo, che convincerà il
mondo di peccato, di giustizia, e di
giudizio in base all’opera che il Figlio
ha compiuto sulla croce.
2.
Di tutt’altra impostazione
l’icona della Trinità della
scuola di Novgorod che viene presentata per confronto.
È una delle icone più suggestive custodite nella Galleria Tret’jakov di
Mosca. È la Santa Icona della “Paternità” dipinta nel XV secolo, conosciuta anche come “Trinità del Nuovo Testamento”. L’opera raffigura Dio
16 | Nazareth 4 - 2013
Padre, “mai visto da nessuno”, rappresentato come un anziano canuto,
l”Antico dei giorni”, mentre il Figlio
siede, nelle sembianze di fanciullo,
sulle sue ginocchia e regge nella mani
una sfera azzurra con dentro la colomba dello Spirito Santo. Tale forma
iconografica, di sicuro fascino e suggestione, presenta tuttavia anche implicazioni teologiche estremamente
complesse: questo è il motivo per il
quale, pur non arrivando a considerarle “anticanoniche”, la Chiesa Russa di allora si accostò a questo tipo
di icone con una certa prudenza, soprattutto riguardo alla rappresentazione particolare di Dio Padre che,
come è scritto, “nessuno ha mai veduto”. Il Concilio della Chiesa Rus-
sa, 1551, imponeva infatti agli iconografi di dipingere le icone attenendosi
al modello di Andriej Rublëv e sottoscriverle “Santissima Trinità” e non
dovevano fare niente a modo loro.
Però ciò rimase lettera morta e gli
iconografi crearono immagini della Trinità (“Trinità Neotestamentaria”) che pienamente contrastavano
con la concezione di Dio Uno-Trino, Eterno e inconcepibile. Nell’icona della “Paternità”, dove sono raffigurati Dio-Padre e Dio-Figlio come
personaggi di diversa età, si percepiva un’inaccettabile, non canonica, applicazione del tempo a Dio, la cui esistenza non ha né inizio né fine; così
pure lo Spirito Santo fuori del tempo e dello spazio. C’è da aggiungere
anche che questo tipo di icone, per
il loro carattere astratto, in quanto
non rappresentano un personaggio
o una scena concreta della Scrittura,
sono prive di un legame diretto con
l’Incarnazione. L’icona non deve infatti essere un’astrazione, ma la contemplazione adorante di Dio che si fa
uomo. Resta, comunque, lo splendore di un’icona straordinaria.
Tuttavia, al di là della storia, apprezzamenti o contrasti attraverso i quali sono passate, entrambe le icone
ci portano alla contemplazione del
dogma della Trinità, mistero divino, che la mente umana può cogliere solo con la fede. San Colombano
(543-615) afferma: “...La divinità della Trinità si dimostra incomprensibile ai sensi dell’uomo. Se dunque
qualcuno vuole conoscere quel che
deve credere, deve rendersi conto
che non potrà capire di più parlandone, che credendo. La conoscenza di Dio, infatti, quanto più viene
discussa, tanto più sembra allontanarsi da noi…”.La contemplazione
delle icone induce alla meditazione
che, quale strumento fondamentale per la relazione con Dio, “costruisce” nell’uomo la Fede nello stesso
modo della Parola scritta.
Italo Forieri
Voce giovani
Dio è luce amore vita
C
ontinua la pubblicazione di alcune poesie delle alunne della Scuola
Egeria, Sacra Famiglia, di Verona, di una decina di anni fa. Il
tema centrale è la relazione con
Dio. Questa tematica di certo
non è facile da trattare per degli adolescenti, tuttavia è foriera
di profonde riflessioni di vita
e trepidanti slanci vitali: Dio è
amore, Dio dà la vita, Dio è luce
che illumina il cammino!
a cura di Andrea Cornale
Vorrei volare nel cielo, per cercarti,
vorrei essere un maestoso albero
per allungare i miei rami e trovarti.
Vorrei essere… vorrei essere…
Vorrei essere tutto quello che mi
avvicina a te
o mio caro Gesù.
Daniela Moletta
È una poesia d’amore a tutti gli effetti. L’anafora
“vorrei” ripetuta e ribattuta esalta il desiderio di essere, di cercare, di elevarsi, di estendere la propria
dimensione umana verso qualcosa di più alto, grande, importante. Solo nel verso finale la rivelazione:
è Gesù l’oggetto-soggetto dello slancio verticale e
sentimentale. Ecco spiegato tanto desiderio lanciato
verso il cielo come braccia elevate in una preghiera
che coinvolge tutta la natura.
Grazie Signore per tutte le tue creature,
gli uccelli del cielo i pesci del mare,
l’acqua e i colori ci parlano di te.
Grazie Signore perchè ti nascondi ai potenti
ma ti riveli ai poveri e ai piccoli.
Tu sei la luce che accende la speranza
quando la notte ci avvolge nei tuoi pensieri.
Grazie Signore per la vita che ci hai donato,
e possa sempre essere vissuta
a tua immagine.
Grazie di tutto!
Arianna Lavarini
La luce immensa della tua vita
Mi fa illuminata
E dà giubilo.
Tu sei la stella
Che mi illumina il cammino.
Tu sei il mattino.
Tu sei colui che mi desta ogni dì
E mi baci sulla fronte donandomi il tuo amore.
Fabiola Vanti
Una lode a Dio luce immensa della vita. Stella che
segue ogni mattino e ogni tramonto. Dio che sorride e bacia la fronte di ogni uomo e di ogni donna
fatti a sua immagine. Il suo amore è “incredibile”
tanto è grande, tanto ci supera. È per questo che lo
possono capire solo i “piccoli”, i semplici. Solo così
la vita è vita, vita di figli amati, degni di tale amore,
non di mendicanti a caccia di sostentamento.
La vita è come un fiocco di neve: scende lentamente, si
appoggia e poi piano piano scompare. Tutto acquista
senso per un cuore ricco di gratitudine e di stupore:
gli uccelli del cielo, i pesci del mare, l’acqua e i colori ci
parlano del Creatore. Il grazie va soprattutto a Lui, per
la sua scelta di privilegiare la compagnia dei piccoli
e di rivelarsi come Luce e Vita. La nostra vita così
fragile nel suo nascere e manifestarsi, quasi fiocco di
neve, per poi scomparire lentamente.
Su questa terra la nostra vita si “appoggia”. È
in condizione di precarietà: verrà trapiantata
definitivamente altrove, là, nel grande cuore da cui è
nata. Ritroverà la sua piena somiglianza, già vissuta,
ma non ancora compiuta, per quell’ unico volto, qui e
ora, mai svelato pienamente.
Nazareth 4 - 2013 | 17
Nuova Rubrica
Risonanze e riflessioni dei lettori
Nazareth n 3/2013
G
razie mille per il nuovo numero
di Nazareth, mi è piaciuto molto
l’articolo di apertura.
Mi è piaciuta molto anche questa parte:
“si tratta del ‘gusto’ per le cose semplici,
del legame con la natura, della ‘lentezza’
del vivere (senza lasciarsi dominare dal
fattore ‘tempo’), della sobrietà ‘felice’. Ma
anche dell’amore per la famiglia, dell’avere cura di ogni persona (anche se debole
o
fragile), della solidarietà e aiuto reciproco,
della solidità dei legami affettivi, dello spirito di sacrificio e attaccamento al lavoro,
del profondo sentimento religioso, del
valore della vita umana in quanto tale,
dell’onestà nei comportamenti e nella parola data”.
È un qualcosa che qui in Svezia si percepisce maggiormente, c’è un forte legame
con la natura, una solidarietà e una grande
attenzione affinchè tutti abbiano le stesse
opportunità, realizzatesi grazie sicuramente ad una più attenta gestione politica.
Non c’è corruzione, non c’è una continua
gara a chi è più furbo, c’è uno spirito di
sacrificio che si traduce nel pagamento di
tasse forse anche più elevate rispetto all’Italia, che permettono di offrire servizi e
assistenza a tutti. Ad un primo impatto le
persone sembrano molto più fredde, più
individualiste qui, eppure non è così.
Qui comunque tutto procede bene, fa ovviamente freddo e il sole tramonta alle 3
del pomeriggio (tra un mese all’ 1 sarà già
buio). Non ho modo di analizzare come
venga vissuto il vangelo, di sicuro la chiesa come istituzione è molto meno presente
che in Italia, le Chiese sono poche e non
ho (ancora) sentito parlare di parrochie /
oratori , è un po’ difficile da valutare anche
perchè è una città che sta crescendo molto
velocemente, fatta principalmente da studenti, molti dei quali stranieri.
Cari saluti.
Alessandro
LA RELAZIONE INTERPERSONALE
Sono d’accordo con Lei su l’insensatezza
di questa sfrenata corsa finalizzata all’ap-
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parenza. Essere per apparire agli altri non
è essere: è proprio una contraddizione in
termini. Non so...potrebbe anche esserci un
richiamo “foscoliano” in tutto questo bisogno di lasciare un’immagine di sè. Come i
sepolcri per Foscolo, adesso, ci sono Flickr,
Facebook e simili per i nostri contemporanei? Ovviamente scherzo. Non c’è paragone tra la poesia del Foscolo e una foto ritoccata con photoshop (la tenuta da bagno
è un must!) pubblicata immortale sul web.
Non condivido, e proprio non mi piace,
la parola “servire”. Secondo me le persone
non servono a nulla: sono inutili come le
opere d’Arte. Proprio il concetto di servire, rendere servizio a qualcuno o a qualcosa, intrappola la persone in certi meccanismi. Absit iniuria verbo ( = sia lungi
dalla parola l’offesa), secondo me, sia che
si serva il dio denaro, sia che si serva il Dio
di una religione, il problema sta proprio
nel servire. Vedo il rapporto a Dio più
orizzontale: noi apparteniamo a Dio e Dio
ci appartiene. Nessuna servitù: ma condivisione reciproca. Ma questa è una mia
convinzione personale. Però alla parola
“servire” mi prude il naso!
“Essere per gli altri”. Mi pare sia quello
che succede oggigiorno. Essere per gli altri
e perdere il cantatto con se stessi (direi con
Dio, perchè ognuno partecipa a Dio). E’
sempre difficile cercare di spiegare che il
percorso per partecipare all’amore di Dio
(e quindi del prossimo) passa attraverso
l’amore di se stessi. Non so... è così difficile
amare se stessi, che mi chiedo come possa
una persona che non si sa amare, amare
qualcun altro?!?
“Il gesto rimane il momento più desiderato”. Bellissima frase. Vera. Viviamo
nell’era “blablabla”. Non si sentono altro
che parole! Parole! Parole!. Un gesto, in
silenzio, inaspettato e spontaneo è il più
bel regalo e la più grande verità.
“Persone libere che non si piegano ai poteri di questo mondo”. Mi spiace, ma credo che (nonostante la simpatia di Papa
Francesco) la Chiesa sia uno dei poteri di
questo mondo. Condivido questa frase e
non mi piego ai poteri di questo mondo.
Tra l’altro mi meraviglio come gli stessi
credenti si meraviglino della rivoluzione
portata da questo Papa, che altro non fa
che rimettere la Chiesa in linea con quello che professano le sue Sacre scritture!?
(Direi quasi in linea...ci sono ancora molte
incoerenze da risolvere, secondo me).
Riassumendo: la relazione interpersonale,
secondo Lei, si fonda sul rendere servizio
al prossimo? E le domando: come si rende
servizio a se stessi?
Tiziana (dalla Sardegna)
A proposito del senso del “servizio”. Possiamo sostituire il termine con “gesto d’amore”.
La nostra vita, tutta dedita “ai fratelli e sorelle” che incontriamo e/o ci sono affidati
per un servizio=cura amorosa, è piena di
tanti piccoli gesti, fino ad arrivare al “gesto” più forte: la totale gratuità e la gioia di
diventare “servi inutili”.
Questo capita anche alle mamme che crescono dei figli e che poi, seguendo la propria strada, vocazione, non possono più
stare al passo della mamma, pur portandola sempre nel cuore. Allora la mamma
e anche noi Suore possiamo sperimentare
la “gioia dell’inutilità” proprio nel senso
che viene meno “quel tipico servizio” non
più necessario, anzi, che se continuasse, si
trasformerebbe in un danno alla persona,
più che un dono! Ciao. Sereno cammino.
Sr. Maria Angelica
Buongiorno, chiedo un’informazione. È,
per caso, possibile avere in PDF quattro
articoli dell’ultima edizione (n. 3) della rivista trimestrale Nazareth?
Mi riferisco a: “la relazione interpersonale”, “la relazione negli ambienti di vita”,
“la relazione tra noi” e “il gusto per le cose
semplici” . Sono, o meglio, la mia famiglia
è da diversi anni abbonata a nome di mia
mamma (Sig.ra Basso Francesca).
Grazie! Buona giornata!
Angelo Zarantonello,
da Favaro Veneto (VE)
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Voce giovani
Nazareth 4 - 2013 | 23
Biblioteca in famiglia
Incontrare Dio
in un libro per bambini
I
libri per bambini e
ragazzi che affrontano il tema della fede,
dell’incontro con Dio, della preghiera, in particolare
di matrice cristiana, sono
pubblicati, perlopiù, da
case editrici d’ispirazione
cattolica: Edizioni San Paolo, Elledici, Edizioni Messaggero, solo per citarne
alcune.
Raramente, come immaginabile, case editrici laiche
si sono impegnate su tale
fronte.
Con una particolare eccezione, qualche anno fa,
precisamente nel 2011, la
casa editrice italiana Topipittori decise di tradurre
e pubblicare un albo illustrato del tutto singolare:
L’Omino e Dio, stampato a
Parigi da L’école des loisirs
l’anno precedente.
Autrice del testo e delle
immagini è l’anglo-svedese Kitty
Crowther, già conosciuta da molti esperti del settore letterario per
l’infanzia per le originali illustrazioni, caratterizzate da uno stile
molto vicino a quello infantile,
grazie all’albo Dentro me, edito
anch’esso da Topipittori nel 2007,
che accompagna il viaggio di un
bambino dentro le proprie paure.
In Dentro me, la Crowther, con i
suoi disegni pacati e, a tratti, d’ambientazione onirica, dà spessore
alle parole, caratterizzate da una
poetica asciutta e schietta, dello
scrittore Alex Cousseau: “Io non
sono sempre stato io. Prima di essere me, non ero dentro me. Ero
altrove. Altrove è tutto tranne me.
24 | Nazareth 4 - 2013
Solo poi, sono diventato veramente io. Ho scoperto un paese. La sua
capitale è il mio cuore. I suoi alberi
sono i miei sogni. Questo paese si
trova dentro me. Ma dentro me,
non ero io il re. Almeno, non ancora. Avevo nemici e guai dappertutto. Dentro me, era la notte”.
Questa pubblicazione è stata motivo di discussione e confronto,
di critiche e pareri non sempre
favorevoli, contrariamente alle
osservazioni raccolte dopo la lettura dello stesso libro da parte dei
bambini, che nelle immagini a
tratti mostruose e, comunque, fuori da ogni stereotipo edulcorante,
hanno riconosciuto la verità di
un’esperienza che li tocca da vici-
no: l’incontro-scontro con
quelle paure che, spesso,
dimorano nel profondo di
se stessi.
La capacità della Crowther
di illustrare i sentimenti
dei bambini, talvolta anche
quelli inconsci, cogliendo
con verità il loro punto
di vista, non si è fermata
a Dentro me, ma ha saputo trovare nuovi spazi
d’espressione in altri albi
illustrati, di cui ha curato
anche il testo, continuando
ad affrontare temi decisamente impegnativi.
Se nessun editore italiano
ha ancora trovato il coraggio di pubblicare La visite de petite Mort (Parigi,
L’école des loisirs, 2004),
in cui l’autrice offre una
visione della morte poco
narrata, ossia l’incontro
della morte con una bambina che, stanca di soffrire, la accoglie con gioia (proponendo un’immagine della morte
anche come sollievo), nel 2010
la casa editrice modenese Almayer Edizioni ha offerto al giovane
pubblico lo straordinario albo:
Io e Niente. Niente, altri non è,
che quell’amico immaginario che
permette ad una bambina di affrontare il difficoltoso lavorio di
elaborazione del lutto per la morte della madre e di lontananza
affettiva dal padre, anch’egli impegnato a lottare contro il senso
di smarrimento e spaesamento
causato dalla morte della moglie.
In quest’ultimo libro, ciò che colpisce è, forse più delle parole, la
semplicità e l’abilità narrativa del-
Biblioteca in famiglia
le illustrazioni, dal tratto essenziale e pulito.
Non stupisce che, nel 2010, la
Crowther sia stata insignita del prestigioso premio Astrid Lindgren
Award (il maggior riconoscimento
per la letteratura per l’infanzia e per
i ragazzi al mondo), per l’abilità di
raccontare ed illustrare stando dalla parte dei bambini, mantenendo
una lievità che non tradisce la verità
dei sentimenti provati e la profondità delle esperienze che coinvolgono il mondo dell’infanzia.
Tornando al racconto sopra solo
accennato, L’Omino e Dio, incuriosisce la prospettiva regalataci
dall’autrice: un piccolo uomo, Omino, che casualmente s’imbatte in
una cosa che, interrogata, dice di
essere Dio: «Sei Dio? Il DIO? Non
ti immaginavo assolutamente così».
«Primo, non sono il Dio. Sono un
dio.» Questa la devo ricordare,
pensa l’omino. Poi chiede: «E siete
molti?» «Almeno quanti le stelle del
cielo, forse qualcosina in più».
E così inizia un dialogo, fra le curiosità dell’Omino e le risposte, così
semplici, ma del tutto imprevedibili, del Dio che è capace di prendere le sembianze più disparate, al
punto da spaventare, senza volere,
il piccolo uomo che ritrova il sorriso nella nuova sembianza del Dio
in cui riconosce i tratti del padre.
Senza voler declinare forzatamente
l’interpretazione lì dove può farci
più comodo (senza, per altro, tra-
scurare la libertà del lettore che
trova ampio spazio nella costrizione della propria personale interpretazione del testo letterario e
delle illustrazioni), pare di cogliere
una prospettiva dai profili cristiani:
gli dei sono tanti ed il vero Dio lascia a ciascuna persona l’intelligenza di scoprire, capire e riconoscere
la verità che contraddistingue Dio
dagli dei o dagli idoli.
Nelle diverse sembianze a cui ricorre il Dio del racconto possiamo
cogliere quella presenza divina che
pervade il creato e le sue creature,
fino all’ultima personificazione nel
padre di Omino in cui, quest’ultimo, riconosce i tratti di somiglianza e appartenenza. Anche questa,
tra le righe, è esperienza del divino: in coloro che ci hanno dato la
vita (il padre – i genitori- nel caso
del racconto in esame) e nei gesti
che hanno accompagnato il cammino condiviso fra genitori e figli,
si rivela l’amore del Creatore.
Il racconto, poi, prosegue come
si trattasse di due amici che fanno delle cose insieme: mangiano,
parlano, si conoscono attraverso
il dialogo, condividono idee. Ed
arriva sera. Per Dio è arrivato il
momento di salutare Omino e ciò
che colpisce è la delicatezza con la
quale Dio rivela di conoscere già il
vero nome di Omino, Teo, che significa Dio (la vicinanza fra Dio e
Omino sta nell’origine stessa di ciò
che contraddistingue entrambi:
il nome). Nell’immagine di “arrivederci”, Dio, che per grandezza
sovrasta Omino, gli tiene dolcemente la mano sul capo: una benedizione? Una vicinanza paterna?
Le letture-interpretazioni possono
essere molte e differenti.
Può stupire che il rientro di Dio
nella sua casa porti all’incontro con
la moglie e che, per i due, l’autrice
usi i termini donna-dio e uomodio, collocandoli in una dimensione domestica del tutto inusuale.
La frase di chiusura, e l’immagine che l’accompagna e ne amplia
il significato, ci lascia un Dio un
po’ pensieroso che “si chiede se un
giorno mai riuscirà ad arrampicarsi sugli alberi, come Teo”.
È significativamente bello poter
immaginare (ancor meglio: poter
credere) un Dio che tiene in mente
ogni uomo e donna riconoscendone la singolarità ed anche la diversità da sé: nell’aver creato l’uomo e
la donna a sua immagine e somiglianza (non certo uguaglianza),
ritroviamo anche i tratti distintivi
che permettono a Dio di ammirare
e compiacersi delle sue creature, di
cui si prende cura anche attraverso
il “pensarli”.
Non vogliamo andare oltre in questa semplice e, lo riconosco, ingenua analisi, ma non possiamo
trascurare come un libro, meglio
ancora se destinato ad un pubblico di giovanissimi lettori, possa far
ritrovare i tratti di una tradizione
culturale cristiana pregna di umanità e ricca di una prospettiva d’eternità, così come lo stesso Teo afferma nel racconto della Crowther,
mentre, come può accadere nelle
normalità della vita, lava i piatti e
ripensa alla giornata trascorsa con
Dio: “Omino torna a casa a lavare i
piatti, tutto sorridente, tutto felice.
Ci sono giorni, come questo, pensa, che ti cambiano per l’eternità.”
Katia Scabello Garbin
Nazareth 4 - 2013 | 25
Arte
La confessione:
vertice della relazione con Dio
Secondo Giuseppe Maria Crespi
I
l filo conduttore di questa pubblicazione è la relazione con
Dio e con la Chiesa: molteplici , in ambito artistico, gli spunti.
Abbondanti, e forse di troppo facile scelta, sono le rappresentazioni
di tutti quei santi a colloquio con
Dio, delle numerose Madonne e
delle molteplici Pietà cinquecentesche che, invece di rappresentare la religiosità e il rapporto con
Dio nella sua essenza, lo filtrano
attraverso l’immagine di questi
soggetti, il più delle volte colti in
un’eloquenza gestuale che, specie
se si fa riferimento alla produzione
del 500, andava proprio a formare
le coscienze della devozione popolare, in un clima ad esso preposto,
come quello dell’imminente Riforma e Controriforma. Un secondo
modo, forse più originale e stimolante è, invece, quello di andare a
scovare quegli artisti che scelgono
di focalizzarsi sul vero rapporto
con Dio, sul vero dialogo con Lui,
sui momenti salienti e identificativi dell’essere cristiano, come, ad
esempio, quello del sacramento
delle Riconciliazione, la confessione.
Siffatta indagine si può condurre
non certo inoltrandosi nel campo
della pittura celebrativa, delle pale
d’altare quattrocentesche o delle
sacre rappresentazioni di qualsiasi
secolo, ma solo addentrandosi in
uno specifico ambito della Storia
dell’arte: la Pittura di genere, in
particolar modo quella proposta
nel Settecento maturo. Nonostante il perdurante ostracismo degli
ambienti accademici di orientamento classicista, tale genere fa al
26 | Nazareth 4 - 2013
caso nostro proprio perché sottende un modo di rappresentare i
soggetti in maniera intima e quotidiana, vera insomma: è questo
il mondo dei semplici, dei poveri,
dei lavoratori, dei bambini e delle
donne del popolo con tutte le loro
caratterizzazioni, quella religiosa
compresa, che vengono analizzati
secondo un approccio che oscilla tra la curiosità antropologica e
la simpatia umana, tra l’oggettivi-
Arte
tà documentaria e la solidarietà
cristiana, senza però quei tocchi
caricaturali e grotteschi della precedente Pittura di genere del Cinquecento. Sulla scia della rivoluzione naturalistica caravaggesca e
della riforma pittorica dei Carracci, tra i primi cultori settecenteschi
del genere, vanno ricordati i pittori
soprattutto olandesi e tedeschi, a
seguire importanti contributi in
Italia, in particolar modo nei centri lombardi, veneti, napoletani ed
emiliani. Proprio questa ultima
regione conosce un interprete di
tutto rispetto e di straordinaria finezza: Giuseppe Maria Crespi che,
formatosi nella Bologna di Annibale e Ludovico Carracci, tramite
una pittura sensibilissima e ricca
di sottigliezze chiaroscurali, senza
mai cadere nella spicciola aneddotica o nel populismo retorico,
realizza La confessione, opera che,
in riferimento alle considerazioni
fatte, può essere proposta come
esemplificativa del tema di questa
pubblicazione.
Nella tela dalle spropositate proporzioni (155x122 cm), realizzata
nel 1743 e conservata alla Galleria
Sabauda di Torino, l’interpretazione del tema è resa con accenti di
marcato realismo e con un’ intonazione feriale e quotidiana di retaggio caravaggesco. L’innovativo ta-
Punto cardine è il confessionale,
che viene a spartire l’immagine
come in un trittico antico: al centro
il sacerdote in atto di ascoltare e i due fedeli
posti ai lati, inginocchiati in un devoto
e composto raccoglimento
glio della composizione, costruito
sul sapiente incrocio di diagonali,
inquadra la scena di sbieco, collocando l’osservatore in una anticonvenzionale posizione eccentrica (nel senso etimologico di fuori
del non in centro), come se egli
si trovasse a spiarla da dietro una
colonna piuttosto che dal buco
della serratura. Punto cardine è il
confessionale, che viene a spartire
l’immagine come in un trittico antico: al centro il sacerdote in atto di
ascoltare e i due fedeli posti ai lati,
inginocchiati in un devoto e composto raccoglimento. Nonostante
la semplicità strutturale e narrativa della tela, non manca una dettagliata resa di costumi, accessori
e mobilio: si vedano le due grate
forate del confessionale, così come
è forato lo sportellino cui si affaccia il confessore, le scarpe con fib-
bia di questi, la citazione del Padre
Nostro in cima al confessionale, il
bastone del penitente sulla destra
e le sue calzature dalle suole chiodate. Tutti brani di verità sincera e
diretta, quasi da natura morta. Il
dipinto è poi valorizzato dai movimenti avvolgenti e striscianti della luce che spiove lenta e corposa,
quasi materica, sui tre personaggi,
accendendo di pigri bagliori e di
ombre profonde la spessa cotta del
prete, la calvizie e l’abito del penitente sulla destra e avvicinando
l’intonazione cromatica complessiva a un monocromo grasso e
pastoso di toni bigi vivacizzato da
improvvisi riflessi di luce.
Come tutte le scene di genere,
anche La confessione aderisce
alle implicazioni etiche e morali del soggetto, con sentimento di
umana partecipazione e con una
comprensione della devozione popolare che è qui rivelata, sia dalla
naturalezza delle pose, sia dalla
resa meticolosa dei particolari.
Ed è proprio il tono pio e devoto
che gravita attorno al confessionale della tela che, sapientemente
valorizzato dall’ambiente povero e
spoglio e dal realismo descrittivo,
traduce in modo esemplare la religiosità cui si accennava sopra e che
trova una corrispondenza, anche a
livello cromatico, nella tavolozza
qui ristretta solo ai toni del bianco
nero e ocra.
Giulio Biondi
Nazareth 4 - 2013 | 27
Dalla parte della vita
XXVI Concorso Scolastico Europeo 2013
Uno di noi: la persona umana nel cuore dell’Europa
Elaborato di Francesca Maria Fortuna,
Istituto di Istruzione Superiore “G.G. Trissino” di Valdagno (VI)
L
a storia dell’umanità, con il
procedere dei secoli, è andata incontro ad un’espansione
che ha coinvolto tutti i campi della
conoscenza dell’uomo. Il progresso tecnologico e l’evoluzione della scienza hanno ampliato i nostri
orizzonti, generato nuove possibiltà di benessere, rendendo l’uomo l’animale dominante su questo
pianeta. Eppure, nonostante questi
traguardi e il susseguirsi di rivelazioni e nuove scoperte non siamo
stati finora capaci di dare una risposta adeguata all’unica, vera domanda che da sempre ci assilla: Chi
è l’uomo? L’“uomo” è solamente un
“mammifero caratterizzato dalla
posizione eretta, dal linguaggio articolato, dallo sviluppo del cervello
e dalle elevate attività psichiche”?
Oppure è anche un animale sociale che ha bisogno di relazionarsi
all’interno di una società?
È proprio in merito al “vivere insieme” che si riaccende un dibattito presente da anni nella società:
una discussione il cui scopo consiste nel definire chiaramente il limite tra “umano” e non, persino
quando le risposte si trovano appena al di sotto della superficie.
Perchè non considerare umano un
bambino non ancora nato? Molti
insistono nell’affermare che lo zigote non è un essere umano. Eppure ciascun uomo in origine lo è
stato. Scientificamente, tale cellula,
nel ciclo che porta alla nascita di
un bambino, è la prima che contiene già al suo interno i 46 cromosomi necessari a definire biologi-
28 | Nazareth 4 - 2013
Un bambino non appartiene alla madre,
ma alla vita stessa
camente un uomo. Ciò significa
che, potenzialmente, da quello zigote si può formare un bambino e
che, quindi, interrompendo il processo di crescita, si interrompe anche una vita. È dunque forse lecito,
o giusto, decidere della vita altrui?
La mia risposta è negativa. L’uomo
può tentare di studiarla, ma non
deve permettersi di decidere della
vita di un altro. Un bambino non
appartiene alla madre, ma alla vita
stessa; allo stesso modo, una persona è libera di scegliere di vivere
e, nell’impossibilità di farlo, questa scelta non può essere delegata
ad altri.
Nella “Dichiarazione Universale
dei Diritti dell’Uomo” è scritto che
tutti gli uomini sono uguali, eppure, quando le donne abortiscono, impongono la propria volontà
su un essere incapace di difendersi.
In base a quanto dichiarato, ritengo che questa sia una scelta ingiusta capace di procurare solo infelicità. Al contrario, ammiro tutte le
donne che scelgono di sacrificarsi in nome di un figlio, poiché esse
sono responsabili della propria
vita ed esercitano coraggiosamente questo diritto ben sapendo che
le porterà alla morte. La domanda
che sorge spontanea è: esiste forse, al mondo, un amore altrettanto
forte, un amore così solido con un
essere sconosciuto da essere disposti ad annullarsi pur di permettergli di vivere? Questo spirito di sacrificio non incarna forse l’ amore,
la sua essenza più profonda?
Sono sempre stata convinta che
ogni uomo abbia uguale dignità
dinanzi alla società e che nessuna
vita sia indegna di essere vissuta.
Ritengo che questi valori debbano essere trasmessi di generazione
in generazione, affinchè questo diritto sacrosanto, che tutte le persone possiedono, non venga in alcun
modo toccato da coloro che non
hanno ancora capito che la società
comprende tutti gli uomini, anche
gli anziani, i malati in stato vegetativo e i bambini non ancora nati.
Che cosa, dunque, si deve fare per
trasmettere questi valori che sono
il cardine della vita e della società?
Come uscire da questa situazione
di svalutazione dei valori che gravitano attorno alla dignità umana?
Semplicemente, rendendo adatto
l’ambiente di crescita. Se vengono
insegnati dei valori sani, le nuove
generazioni potranno accoglierli e
farli loro. Bisogna sensibilizzare le
persone, suscitare dibattiti e intraprendere campagne volte ad evidenziare l’importanza della vita.
Ci sono tantissimi esempi che ci
Dalla parte della vita
dimostrano quanto in realtà l’individuo sia influenzabile ed influenzato dagli strumenti di comunicazione di massa. David
Foster Wallace il 21 maggio 2005
ha tenuto un discorso ai neolaureati dell’Università di Stanford,
nel quale ha dimostrato che l’educazione umanistica non consiste
tanto nel fornire delle conoscenze, quanto piuttosto nell’insegnare a pensare bene. La storiella che
ha raccontato a supporto delle
sue tesi riguarda due giovani pesci che, nuotando, si trovano di
fronte ad un pesce anziano; questi chiede loro: “Com’è l’acqua, ragazzi?”. Dopo un po’ uno dei due
dice all’altro: “Ma che cosa diavolo è l’acqua?”.
L’ambiente che circonda l’uomo fin
dalla nascita rappresenta un fattore importante per la sua crescita e
può fargli assumere un certo tipo
di mentalità. Basti pensare al processo di Norimberga; dalle dichiarazioni dei gerarchi nazisti è sorto
un problema di fondo: la superiorità della razza ariana era talmente radicata nelle loro menti da occultare ai loro occhi la tremenda
strage che si stava compiendo nei
campi di stermino. Così era stato
insegnato loro da una nota personalità mentalmente instabile.
Se si lascia che ideali discriminatori
facciano breccia nella società e che
la società stessa diventi un organo
incapace di accettare ogni uomo,
coloro che vivono al suo interno
sono a loro volta influenzati. Inoltre, se si lascia che gli ideali di uguaglianza tra gli uomini si riducano
ad un semplice documento scritto, esso perde di valore fino a scomparire. È importante, perciò, insegnare ai giovani a pensare bene e
ad agire nel rispetto di tutti gli idelai su cui si basa la vita di un uomo.
In altre parole bisogna promuovere la cultura del rispetto per la vita.
Dunque, chi è l’uomo? Secondo
me, siamo tutti noi, indipendentemente dalla razza, dal sesso, dai difetti fisici o psichici.
Una persona è forse meno umana
se privata degli arti con cui camminare?
Un bambino è forse meno umano
se presenta difetti al proprio genoma?
Un anziano è forse meno umano
se il suo corpo è affetto da una grave forma di cancro?
Che cosa ci distingue dalle bestie? Il
solo essere dotati di intelligenza...o
la capacità di formare una comunità, accogliendo anche coloro che
presentano delle diversità?
Spero che l’etica della vita un giorno sia applicata in tutti i Paesi del
mondo e non solo dell’Europa. Ne
ha bisogno la società, il cui fine è
permettere alle persone di convivere tra di loro. Ne hanno bisogno le nuove generazioni, per capire che la vita è un dono per tutti
e che non è giusto stroncarla, sia
essa all’inizio o alla fine. Ne abbiamo bisogno noi fautori del presente, per capire chi siamo, per chiarire le basi su cui ci reggiamo, per
comprendere noi stessi e il nostro
modo di rapportarci con gli altri.
Per creare un mondo migliore in
cui tutti abbiano pari diritti.
a cura del CAV
e del Movimento per la Vita
di Valdagno (VI)
Grazie mamma
perché mi hai dato
la tenerezza delle tue carezze,
il bacio della buona notte,
il tuo sorriso premuroso,
la dolce tua mano che mi dà sicurezza.
Hai asciugato in segreto le mie lacrime,
hai incoraggiato i miei passi,
hai corretto i miei errori,
hai protetto il mio cammino,
hai educato il mio spirito,
con saggezza e con amore
mi hai introdotto alla vita.
E mentre vegliavi con cura su di me
trovavi il tempo
per i mille lavori di casa.
Tu non hai mai pensato
di chiedere un grazie.
Grazie mamma!
Nazareth 4 - 2013 | 29
Dalla parte della vita
Ricordando una mamma
Per tutte le mamme!
Rosa Morati ved. Modena
17 maggio 1922 – 06 giugno 2012
“Chi mangia la mia carne e beve il
mio sangue ha la vita eterna e io lo
risusciterò nell’ ultimo giorno”
(Gv 6,56)
“Mi avvicino sempre più all’eternità, un po’ ci penso e credo sia naturale sentire la fatica del distacco!
Come povera madre mi sono trovata a vivere in grandi difficoltà. E
voi lo sapete, la nostra vita è stata
dura. Cercavo di amarvi tutti e se
qualche volta ho sbagliato non era
mia intenzione.
Sono sempre stata povera, nei momenti più difficili le cose più belle
siete stati voi; anche papà vi ha voluto bene e siete stati a lui molto vicini. Perdonatemi tutti, non portatevi rancori, cercate di amarvi”
(Da un foglietto indirizzato ai figli).
La sintesi della sua personalità...
può rispecchiare quella di tante
altre mamme cristiane!
1. Donna che ha realizzato se stessa con grande umanità e con
grande senso cristiano.
2. Fede costante e ferma, sorgente
di tanto bene.
3. Fede e fiducia nella Provvidenza di Dio, per cui non ha mai
dubitato ad essere madre di
tanti figli.
4. Fedeltà alla famiglia, con pieno
amore e concordia, al suo sposo, e tanta fiducia nel futuro dei
figli.
5.Seria mamma educatrice dei
suoi figli per la religione, o per
la società e per il prossimo.
6. Laboriosa nella casa e per l’aiuto da dare al marito.
7.Donna di grande semplicità, ma sempre attenta al dovere per il bene della famiglia e di
ciascuno dei suoi figli.
8. Donna di molta preghiera e fedele ai sacramenti.
9. Donna esemplare per la virtù
della carità.
10.Donna convinta che la vita vissuta con fede prepari al Paradiso.
...sono lieta di venire (a Bussolengo VR) il giovedì,... l’ora più bella è quella
che passo in chiesa,
in compagnia della cara Madonna
del Perpetuo Soccorso. Il Padre
Direttore mi ha mandato una bella
immagine della Madonna... e la porto
sempre con me (15/05/1970).
Dall’omelia
di mons. Andrea Veggio -VRnel giorno del funerale
di mamma Rosa
Sono entrate nella pienezza della vita
Piccole Suore
Suor Albertina Longa
Suor Miriana Simonato
Suor Chiaramalia Novello
30 | Nazareth 4 - 2013
Suor Redenzia Filippi
Suor Fidalma Parpagiola
Suor Nanda Boggiani
CEI Orientamenti pastorali
La Chiesa discepola madre e maestra
Dal capitolo secondo di “Educare alla vita buona del Vangelo”
nn. 21/22
21.
La Chiesa educa in
quanto madre, grembo accogliente, comunità di credenti in cui si è generati
come figli di Dio e si fa l’esperienza del suo amore. A lei si rivolgeva
Sant’Agostino: «Oh Chiesa cattolica,
oh madre dei cristiani nel senso più
vero…tu educhi ed ammaestri tutti: i fanciulli con tenerezza infantile,
i giovani con forza, i vecchi con serenità, ciascuno secondo l’età, secondo le sue capacità non solo corporee
ma anche psichiche. Chi debba essere educato, ammonito o condannato, tu lo insegni a tutti con solerzia,
mostrando che non si deve dare tutto a tutti, ma a tutti amore e a nessuno ingiustizia». Avendo il compito di servire la ricerca della verità, la
Chiesa è anche maestra. Essa «per
obbedire al divino mandato: ‘Istruite tutte le genti’ (Mt 28,19), è tenuta
ad operare instancabilmente ‘affinché la parola di Dio corra e sia glorificata’ (2Ts 3,1)... Per volontà di Cristo la Chiesa cattolica è maestra di
verità e sua missione è di annunziare
e di insegnare autenticamente la verità che è Cristo, e nello stesso tempo di dichiarare e di confermare autoritativamente i principi dell’ordine
morale che scaturiscono dalla stessa
natura umana».
22. La Chiesa promuove nei suoi figli anzitutto un’autentica vita spirituale, cioè un’esistenza secondo lo
Spirito (cfr Gal 5,25). Essa non è frutto di uno sforzo volontaristico, ma
è un cammino attraverso il quale il
Maestro interiore apre la mente e il
cuore alla comprensione del mistero
di Dio e dell’uomo: lo Spirito che «il
Padre manderà nel mio nome vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto» (Gv 14,26).
Lo Spirito forma il cristiano secon-
do i sentimenti di Cristo, guida alla
verità tutta intera, illumina le menti, infonde l’amore nei cuori, fortifica i corpi deboli, apre alla conoscenza del Padre e del Figlio, e dà «a tutti
dolcezza nel consentire e nel credere alla verità». La formazione spirituale tende a farci assimilare quanto
ci è stato rivelato in Cristo, affinché
la nostra esistenza possa corrispondere ogni giorno di più al suo dono:
«Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà
di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto» (Rm 12,2). L’azione
dello Spirito plasma la vita in questa prospettiva: «Il culto gradito a
Dio diviene così un nuovo modo
di vivere tutte le circostanze dell’esistenza in cui ogni particolare viene esaltato, in quanto vissuto dentro
il rapporto con Cristo e come offerta a Dio». Rinati nel battesimo per
mezzo dello Spirito Santo, possiamo
camminare in una vita nuova, liberi
dalla schiavitù del peccato e resi capaci di amare Dio e i fratelli con lo
stesso amore di Cristo: «camminate secondo lo Spirito – ci esorta San
Paolo – e non sarete portati a soddisfare i desideri della carne. La carne
infatti ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; queste cose si oppongono a vicenda, sicché voi non fate
quello che vorreste» (Gal 5,16-17). I
santi rivelano con la loro vita l’azione potente dello Spirito che li ha rivestiti dei suoi doni e li ha resi forti
nella fede e nell’amore. Ogni cristiano è chiamato a seguirne l’esempio,
cogliendo il frutto dello Spirito, che
è «amore, gioia, pace, magnanimità,
benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé» (Gal 5,22). Promuovere un’autentica vita spirituale
risponde alla richiesta, oggi diffusa, di accompagnamento personale. Si tratta di un compito delicato
e importante, che richiede profonda esperienza di Dio e intensa vita
interiore. In questa luce, devono essere attentamente vagliati i segni di
risveglio religioso presenti nella società: essi possono rivelare l’azione
dello Spirito e la ricerca di un senso
che dia unità all’esistenza.
Conferenza Episcopale Italiana
Orientamenti pastorali
per il decennio 2010-2020
Nazareth 4 - 2013 | 31
Dalle nostre Comunità
Bologna: pellegrinaggio
diocesano a Roma
Verso la conclusione dell’Anno della Fede: 19-20 Ottobre 2013
A questo evento hanno partecipato
tante comunità parrocchiali, movimenti, associazioni e gruppi. Anche
la nostra Casa di Cura “M.F. Toniolo”, con la parroccha “Madonna del
lavoro”, ha condiviso l’esperienza
forte di fede e di comunione. I tre
momenti più significativi del pellegrinaggio, oltre la catechesi del
nostro Arcivescovo, sono stati: la
S.Messa presieduta dal card. Carlo
Caffarra in S. Pietro; la celebrazione
domenicale nella Basilica di S. Paolo e l’Angelus con il Papa Francesco.
Non è mancato un po’ di tempo libero per visitare, a piccoli gruppi, le
Basiliche e i luoghi più caratteristici
della città.
Riportiamo un passaggio dalla conclusione dell’omelia di mons. Caffarra:... “La fede non è il risultato
di percorsi individuali, di studi e di
ricerca. La fede ‘va imparata’. Essa
cioè nasce dentro una trasmissione di generazione in generazione:
impari la tua fede nella tradizione
della Chiesa. Ma essa non è mero
apprendimento: diventa un intimo
convincimento. «Con il cuore…si
crede» (Rm 10,10) ci dice S. Paolo,
poiché una volta imparata, una volta
ascoltata la Parola di Cristo, diventa
nel cristiano risposta”...
Il papa Francesco così ha introdotto
il suo messaggio all’Angelus: “Cari
fratelli e sorelle, nel Vangelo di oggi
Gesù racconta una parabola sulla
necessità di pregare sempre, senza
stancarsi. La protagonista è una vedova che, a forza di supplicare un
giudice disonesto, riesce a farsi fare
giustizia da lui. E Gesù conclude:
se la vedova è riuscita a convincere quel giudice, volete che Dio non
32 | Nazareth 4 - 2013
ascolti noi, se lo preghiamo con insistenza? L’espressione di Gesù è molto forte: «E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno
e notte verso di lui?» (Lc 18,7)...
Alla fine il Papa ha ricordato la giornata Missionaria Mondiale.. e tutti i
missionari e le missionarie, che lavorano tanto senza far rumore, e danno
la vita. Come l’italiana Afra Martinelli, che ha operato per tanti anni
in Nigeria: qualche giorno fa è stata
uccisa, per rapina; tutti hanno pianto,
cristiani e musulmani. Le volevano
bene. Lei ha annunciato il Vangelo
con la vita, con l’opera che ha realizzato, un centro di istruzione; così ha
diffuso la fiamma della fede, ha combattuto la buona battaglia! Pensiamo
a questa sorella nostra, e la salutiamo
con un applauso, tutti!”...
Dopo altri saluti si è rivolto a NOI.
“Accolgo con gioia i fedeli delle Diocesi di Bologna e di Cesena-Sarsina,
guidati dal Cardinale Caffarra e dal
Vescovo Regattieri; come pure quelli
di Corrientes, in Argentina, e di Maracaibo e Barinas, in Venezuela. E
oggi in Argentina si celebra la Festa
della mamma, rivolgo un affettuoso
saluto alle mamme della mia terra!...
Le parrocchie e le associazioni italiane sono troppe, non posso nominarle, ma saluto e ringrazio tutti con
affetto! ...Buona domenica! Arrivederci e buon pranzo!”
È stato un Pellegrinaggio veramente
intenso, un’esperienza da condividere ancora nel nostro cammino di
crescita nella fede, speranza e carità.
La comunità “M.F.Toniolo”- BO
Dalle nostre Comunità
Guardate a Lui e sarete raggianti
Esperienza di preghiera e contemplazione per giovani
Centro “Papa Luciani”, S. Giustina (BL), 4-9 agosto 2013
P
er i giovani che hanno partecipato all’esperienza di preghiera e contemplazione sono stati
giorni davvero tanto intensi e ricchi,
che a fatica si possono descrivere.
“Guardate a Lui e sarete raggianti”,
questo passo ci ha accompagnati a
visitare i luoghi in cui incontrare il
Signore, per fissare lo sguardo su di
Lui e vivere nella gioia. L’esperienza è stata introdotta dall’incontro
dell’angelo con Agar, la schiava di
Sara, moglie di Abramo: “Agar, da
dove vieni e dove vai?”. Ognuno si
è così soffermato sul proprio punto
di partenza per iniziare il cammino,
alla ricerca della sorgente. Abbiamo
visitato i luoghi in cui incontrare il
Signore, così nei giorni successivi
abbiamo approfondito il silenzio e
la preghiera, il creato, l’amicizia e
la relazione con l’altra persona, la
fragilità e il peccato. Ogni giorno ci
venivano offerti degli spunti da don
Francesco de Luca per riflettere e
vivere bene la preghiera personale e
ogni giorno abbiamo condiviso insieme quanto emerso in ciascuno da
tale preghiera, con libertà. Una ricchezza grande! Ogni tematica è stata
accompagnata o introdotta anche
da un percorso di arte, cinema, musica... e approfondita dall’incontro
con un testimone (un padre certosino, Chiara dell’ufficio missionario,
la visita a una comunità di Nuovi
Orizzonti con la partecipazione alla
loro preghiera “Una luce nella notte”,
il creato stesso nell’uscita in montagna).
Per la contemplazione del creato
siamo andati, infatti, in montagna
un giorno e mezzo, in una casetta
bellissima, ma essenziale... Ci siamo
così adattati ad andare ad attingere
acqua alla sorgente nel bosco, far da
mangiare sul fuoco, usare le pile o
le candele perchè senza luce. È stata bella la veglia alle stelle e la celebrazione della Messa alle 22.40 in
cima al monte, attorno al fuoco (era
il giorno della trasfigurazione!), un
cielo splendido (abbiamo visto anche una stella cadente).
Altro momento forte, il giorno della
celebrazione penitenziale (incontrare Dio anche nelle nostre fragilità
e peccati), quando al mattino sono
stati consegnati pezzi di cera e nel
pomeriggio, dopo le confessioni,
ognuno li ha fusi creando nuove
candele. Il Signore, anche dai nostri
cocci, ci fa creature nuove.
I giovani si sono messi in gioco, hanno vissuto con intensità ogni mo-
mento, e noi con loro... Bella anche
l’esperienza di collaborazione che ha
visto oltre don Francesco, la presenza di sr Carmela (Piccola Suora della
Sacra Famiglia) e sr Martina (Discepole del Vangelo di Livinallongo).
Mi rendo conto che sono solo alcune pennellate, spero solo di aver
fatto intuire la ricchezza e bellezza di quanto vissuto. Anche se non
eravamo molti, ne è valsa la pena e i
ragazzi alla fine hanno concluso dicendo: “lo rifarei”; credo che questo
dica tutto.
Ora affidiamo nelle mani del Signore
quanto vissuto perchè i semi possano germogliare nel cuore di ognuno.
Sr. Manuela Accamilesi
Vivete sempre alla presenza di Dio,
Carissime sorelle,
operate con Dio e per Iddio.
Madre Maria
con il cuore pieno di gioia e di gratitudine
per quanto il Signore opera nella nostra vita
condividiamo con voi la Fedeltà di Dio
che ci chiama nuovamente a seguirlo
tra le Piccole Suore della Sacra Famiglia,
rinnovando il nostro Sì a Dio Sommo Bene,
nella celebrazione eucaristica
di DOMENICA 3 NOVEMBRE,
alle ore 10.30 nella cappella di Casa Madre.
Fin da ora vi chiediamo il vostro ricordo
e la vostra preghiera affinché possiamo rispondere
ogni giorno con radicalità e totalità alla Sua Parola.
Nazareth 4 - 2013 | 33
Orizzonti missionari
Esperienza in Togo
19
agosto 2013, ore 9.55:
decollo dell’aereo da
Venezia, destinazione
Lomè, con scalo a Parigi.
Attraversare l’oceano, raggiungere
le nostre tre comunità, vivere un’esperienza. Con questo desiderio
siamo partite: Sofia (studente infermiera di Verona), Silvia (educatrice dell’infanzia di Adro) e io, sr
Manuela. In sintesi, possiamo dire
che, nei dieci giorni di permanenza in Togo, abbiamo incontrato e
condiviso la vita delle nostre sorelle che vivono lì con le giovani che
si stanno preparando a diventare,
un giorno, Piccole Suore. Abbiamo
condiviso le “vacanze utili”: le persone sono venute nella nostra casa
per imparare a realizzare materiali da vendere per guadagnare qualcosa da vivere. Abbiamo incontrato la vita nei villaggi, quando siamo
andate a visitare le famiglie povere o
quando siamo state con i giovani, i
34 | Nazareth 4 - 2013
bambini e con loro abbiamo vissuto
momenti di animazione. Sono state
esperienze forti: visitare gli ammalati all’ospedale civile di Lomè, portare il cibo nel villaggio dei lebbrosi, condividere con i prigionieri del
carcere la celebrazione eucaristica
della domenica. Abbiamo vissuto
per dieci giorni la vita delle e con le
nostre sorelle e siamo ripartite con il
desiderio di tornare.
Dice Sofia: − Non esistono parole
abbastanza grandi, belle e importanti per i volti e le storie che ho da
raccontare, per gli incontri che ho
da descrivere, per le persone che
porto nel cuore con la promessa
di pregare per loro... non posso tenere per me quanto ho ricevuto!...
Sono le ultime cose che ho scritto
sul mio ‘diario di viaggio’...
Siamo partite con le valigie piene
di materiale per l’animazione, le vacanze utili, ecc. e siamo tornate proprio arricchite dalla bellezza dei vol-
ti, dai sorrisi, dalla meraviglia delle
voci nei canti. Ma soprattutto siamo
tornate arricchite da alcuni valori
che abbiamo visto vivere in modo
forte: l’accoglienza e il senso di comunità, la gioia e il rapporto con
Dio che dona senso alla vita quotidiana, la condivisione. Valori che è
possibile vivere anche qui, una sfida
che ciascuno può raccogliere e coltivare nel proprio quotidiano. Essere missionari è possibile per chiunque perché non è solo “partire”, ma
assumere uno stile di vita che dona
occhi e cuore nuovi nell’accostare il
diverso che si incontra sulle strade,
l’immigrato che suona alle nostre
porte. Una sfida che può diventare
occasione di ricchezza per ognuno,
esperienza che permette di poter affermare: “ciò che ho udito e ciò che
ho vissuto ha raggiunto la mia sete”
(proverbio africano).
Sr. Manuela Accamilesi
Sofia e Silvia
Orizzonti missionari
Sulle strade del mondo…
Nello stile di papa Francesco
È
stata davvero molto apprezzata la giornata di formazione missionaria tenutasi la prima domenica di ottobre
presso la nostra casa di Verona
Porta Nuova e che aveva per tema
la frase della Giornata Missionaria Mondiale 2013 “Sulle strade
del mondo”.
Ad accompagnarci nella riflessione è stato invitato padre Marcello
Storgato, missionario saveriano,
direttore della rivista “Missionari
Saveriani” di Brescia.
I presenti hanno percepito da subito che padre Marcello, più che
tenere una conferenza, ci avrebbe accompagnati sulle strade del
mondo con una riflessione-meditazione, facendoci capire come
ciascuno di noi è artefice della
propria strada. Una strada non
già preparata e tracciata, ma da
costruire nella quotidianità in
forza di quell’invito, diventato carisma per molti istituti religiosi,
del “Caritas Christi urget nos” il
cui significato latino dell’urget indica proprio “il costringerci ad
andare avanti”. Certamente sulle
strade del mondo non siamo soli,
Dio cammina a fianco a noi, ma
in modo discreto, come fece coi
discepoli di Emmaus.
Se Gesù è e rimane la Via per ciascuno di noi, le vie sono tante
quante sono le persone, le storie,
le condizioni. Per padre Marcello
è stato facile allora richiamare un
modo di percorrere le strade del
mondo e sceglierne certe a scapito di altre. Lo ha fatto raccontandoci della sua esperienza missionaria in Bangladesh rivisitata
e compresa alla luce degli inviti
e delle esortazioni di papa Francesco: scegliere di percorrere le
strade di periferia, quelle meno
frequentate, meno note, più accidentate e piene di incognite, senza fretta, per portare l’annuncio, la
speranza e soprattutto la pace. Per
far questo, continua padre Marcello, bisogna trovare il coraggio
e la forza di vincere la mondani-
tà per saper condividere la solidarietà e la povertà che è uno stile di
vita e che non va confuso con la
miseria in cui invece versano milioni di persone.
È questo che “il mondo oggi chiede alla Chiesa, una presenza con
umanità. Di essere realtà di pace
e di speranza in un mondo in
cui il processo di interdipendenza rischia di evidenziare sempre,
Nazareth 4 - 2013 | 35
Esperienza di vita
maggiori e nuove sperequazioni e ingiustizie”. Un appello sollevatosi ancora in estate ad Assisi
durante i lavori della commissione missionaria nazionale, nelle
cui conclusioni si leggeva: “bisogna promuovere uno stile di vita
che inquieti l’apatia di una gestione impermeabile della cultura e
inaugurare un’etica del riconoscimento e della corresponsabilità”.
Dalle parole di padre Marcello siamo passati alla voce del Sud
del mondo attraverso i racconti
di due religiosi originari dell’Africa invitati a parlare dei loro Paesi e di due collaborazioni scaturite
con l’ufficio Amici delle Missioni
a sostegno delle rispettive comunità. Suor Mary Eucharia Onuwugamba della Nigeria, attualmente in sevizio presso il policlinico
Gemelli di Roma, e padre Francis
Barandao dal Togo hanno presentato le condizioni di vita, la storia,
le problematiche con cui convive
ogni giorno la loro gente e i tanti
bisogni, dove la carenza di acqua
potabile, la mancanza di istruzione e di assistenza medica rimangono le emergenze primarie. In
particolare la grave situazione di
guerra, con continui atti di ter-
36 | Nazareth 4 - 2013
rorismo che insanguinano la Nigeria e la minoranza cristiana è
perseguitata dai fanatici islamici.
Il Togo invece è apparentemente più stabile e in pace, ma con la
parte del nord del Paese abbandonata dagli aiuti governativi.
Anche qui abbiamo voluto seminare e percorrere un pezzo di
strada con queste popolazioni
con la costruzione di un pozzo in
Nigeria e di nuove aule e dei bagni in Togo. Due interventi di per
sé piccoli, ma che hanno cambiato le condizioni di vita di entrambe le comunità, la cui gratitudine ci è stata trasmessa da padre
Francis e suor Mary.
Nel pomeriggio una duplice sorpresa e un doppio collegamento
skype con la missione in Argentina prima e con la comunità in Albania poi.
Dal Piccolo Cottolengo di Bahia Blanca è arrivata la testimonianza di una ragazza che ha deciso di svolgere lì il suo tirocinio
universitario, coniugando la voglia di un’esperienza di missione
con la formazione personale. Una
formazione che si sta rivelando
molto più profonda e coinvolgente del previsto (nel box dedicato a
Angela Falzetta un sunto del suo
messaggio).
Anche dalla comunità albanese è
risuonata tutta la gratitudine per
un progetto realizzato in tempi
record. In due mesi è stata completamente ristrutturata la scuola
materna di Balldré che ha riaperto l’anno scolastico tra lo stupore e l’entusiasmo dei 60 bambini
e delle loro famiglie. Uno dei tanti miracoli della solidarietà, della generosità di tante persone che
anche in quest’anno, nonostante
la crisi, hanno aiutato e sostenuto i nostri interventi e vari progetti brevemente illustrati ai presenti
durante questa giornata.
Una giornata conclusasi con la celebrazione eucaristica e l’auspicio
che si possano completare alcuni capitoli di spesa per i costi sostenuti per il rifacimento del tetto
del Cottolengo in Argentina, per
il pozzo in Nigeria di suor Mary,
per la scuola di Balldré e altri, che
sono elencati nel riquadro, e speriamo possano trovare risposte
generose in quest’ultimo periodo
dell’anno e in particolare durante
le settimane d’Avvento.
Marco De Cassan
Orizzonti missionari
Mi chiamo Angela Falzetta e ho 27 anni. Sono originaria della Sicilia e ad aprile di quest’anno mi sono laureata in neuroscienze e riabilitazione neuropsicologica a Padova, alloggiando presso il collegio universitario delle Piccole suore della Sacra Famiglia. Da anni
desideravo fare un’esperienza di missione magari conciliandolo con
i miei studi e svolgendo il mio ruolo di psicologa.
Attraverso le suore ho saputo dell’Ufficio Amici delle Missioni e ho
incontrato Marco che di fronte alla mia richiesta mi ha proposto
un’esperienza al Pequeño Cottolengo, di Bahia Blanca, in Argentina. Era il luogo adatto per me e così decisi di partire per sei mesi
così che quest’esperienza diventasse anche parte del mio tirocinio
post-laurea. Attualmente affianco la figura della psicologa e osservo anche il lavoro del neurologo e della psichiatra che sono alcune
delle figure professionali presenti nel Cottolengo.
Non avrei mai pensato di vivere un’esperienza così forte e profonda. Qui sto imparando cose che non si trovano nei libri universitari: uno è “il valore della vita” e l’altro è che alla base di tutto ciò
che si svolge nella quotidianità, sia nelle relazioni o nell’ambito lavorativo deve avere alla base l’amore verso l’altro, chiunque sia la
persona che mi sta vicino. Le ospiti fin da subito mi hanno accolto benissimo e col passare del tempo scopro che presentano capacità cognitive (non solo sapere colorare un disegno) che attraverso diversi laboratori si cerca di potenziare: alcune sanno utilizzare
il pc svolgendo compiti che implicano capacità di lettura e scrittura nonché comprensione, altre, anche se sono sulla sedia a rotelle, giocano a bocce e partecipano a dei piccoli tornei; c’è chi svolge il laboratorio di cucina, giardinaggio e per finire il Cottolengo
ha anche una palestra e una piscina. Sono già passati due mesi
e posso assicurare che sono volati. Ho avuto modo di visitare altre realtà ospedaliere e il Cottolengo per me è “un miracolo di Dio”
per quello che offre nella quotidianità alle ospiti! Il contesto qui è
tanto povero dal punto di vista sociale, economico, sanitario eppure, solo chi viene nel Cottolengo, può comprenderne la grandezza...
I progetti
ancora
da finanziare
•L’apparecchiatura medicale
per lo screening delle malattie
tropicali in dotazione presso
l’ospedale dove opera suor
Teresa Rita dalla Pozza in
Togo.
Costo del dispositivo
€ 7.500
€ 2.300
mancano
•Pozzo per l’acqua in Nigeria
nella comunità originaria di
suor Mary Onuwugamba.
Costo del pozzo con pompa
€ 11.200
mancano € 6.300
•Progetto impermeabilizzazione
tetti del Cottolengo di Bahia
Blanca in Argentina.
Costo dei materiali
€ 18.800
e del lavoro
mancano
€ 13.700
•Ristrutturazione interna della
scuola materna di Balldré
in Albania. Nuove stanze,
nuovi pavimenti, nuovi bagni,
tintura, piastrellatura e porte.
Costo complessivo € 27.000
mancano
€ 4.000
Nazareth 4 - 2013 | 37
Orizzonti missionari
Donando si riceve
In questo nuovo articolo sulla
“Bancarella della solidarietà”, che si
rinnova ogni anno per le festività
natalizie presso la Scuola “Sacra Famiglia” di Verona, vorrei completare
il quadro con qualche particolare
in più sul lavoro settimanale delle
“capesse”: Marcella, Patrizia e Sara.
Condividere la solidarietà - operativa fa bene a tutti, perché è proprio
vero che “donando si riceve”. Promuovere un bene che si diffonde,
produrre per amore non è creare
cose nuove, ma è soprattutto arricchirsi, aiutarci a continuare il cammino di crescita che dura per tutta
la vita. Così aumenta la gioia di ritrovarci, di stare insieme, con il piacere di fare qualche cosa per gli altri.
Continuare sulle “orme” tradizionali
della solidarietà condivisa: è la catena della bontà che si espande a tutta
la nostra scuola, dall’Asilo Nido alla
Scuola Superiore, insegnanti e genitori compresi, donatori di materiale
vario e poi compratori di oggetti-regalo, di cose utili ed economiche, ma
cariche di altruismo. Ogni scampolo
che arriva, bottoni, filo, campionari
vari, nelle mani artistiche delle “capesse”, si trasforma in dono per... e
chi acquista sa di far parte di quella
catena di bontà, ormai consolidata
da anni. Per chi confeziona e per
tutti quelli che comprano è chiaro il
detto missionario: «Il poco che puoi
donare, diventa molto per chi non
ha niente». Questa è una massima
che racchiude tutto.
Questa bancarella speciale è allestita
con un grande obiettivo: aiutare, con
il ricavato, chi è più povero di noi;
questo è un modo per coltivare e far
germinare il “seme” della gratitudine e della festa in chi ci sta a cuore e riceve un regalo, anche se non
è di grande valore, ma utile e ricco
di carica augurale-natalizia. Così il
nostro spirito riceve la sua porzione
di nutrimento e di crescita, che non
è mai raggiunta, se non alla fine del
percorso umano. E’ qui che ci ritorna alla mente la “Magna Carta” detta
anche “I Comandamenti del Nuovo
Testamento”: «...perché ho avuto
fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da
bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e
mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi» (Mt 25, 35-36).
Poiché “donando si riceve”...ecco la
gioia di imparare a dare quel poco
o tanto che ci è possibile offrire.
Èquesto semplice dono che diventa
seme fecondo di gioia, di serenità,
di bontà, che può portare frutto a
breve e lungo termine. Marcella,
Patrizia, Sara, ma anche Laura, che
si è assunta l’impegno di sfruttare
tutte le opportunità per fare acquisti
occasionali a poco prezzo: tovaglie,
canovacci, grembiuli, nastri, ecc.
Questa “materia prima” passa tra
le mani operose ed industriose delle collaboratrici ed escono lavori di
qualità, ben fatti e pronti a soddisfare l’acquirente di “spirito creativo”,
per fare un presente gradito a chi
attende un bambino e per dire un
grazie augurale. E c’è anche Valentina, che procura i vasetti di vetro che
vengono riempiti con il prezioso ed
utile sale aromatico, preparato artigianalmente dalle Suore della Scuola
dell’Infanzia di Volargne (VR).
La compagnia delle “capesse” ringrazia di cuore tutti coloro che, in
un modo o nell’altro, portano, fanno,
acquistano per...,vendono e comprano; è la catena della solidarietà che
si arricchisce sempre di altri anelli e
arriva ancora un po’ più lontano.
Sr. M. Silvia Bonometti e
collaboratrici
La perla preziosa
Da te, Signore, siamo chiamati
ad andare leggeri, senza possessi,
con una fede nuda, essenziale.
Questa fede ci rende semplici
della tua grande semplicità.
Essa si acquista con il sacrificio
di tutto quanto
non sia il Regno dei cieli.
Allora quelli che ci incontreranno
sul loro cammino
38 | Nazareth 4 - 2013
tenderanno le mani avide al tesoro
che zampilla da noi:
un tesoro liberato dai nostri vasi di terra,
dalle nostre valigie, dai nostri bagagli,
un tesoro semplicemente divino.
Allora noi saremo agili
e diventeremo a nostra volta
delle parabole che donano a tutti
la perla preziosa, la vita vera.
Madeleine Delbrêl
Racconto-testimonianza
Un regalo speciale
Due donne
Sono poche le parole nel vocabolario di Anna e tutte inclinate al
positivo. E questo filtra nel suo
pensiero, fino ad imprimersi sul
volto. Un volto solitamente abitato
dal sorriso, accentuato da labbra
carnose sulla larga bocca; tutt’uno con lo sfavillio degli occhi.
Capelli brizzolati e troppo crespi,
inconveniente della permanente
e dell’età oltre la sessantina. È di
alta statura Anna, una corporatura di poco sovrappeso, tutto armoniosamente distribuito. Le sue
movenza, la sua andatura hanno
qualche cosa di fanciullesco. L’abbigliamento demodé non la rende
ridicola: è fuori moda di poco.
Gonne sotto il ginocchio, a larghe
pieghe e camicette con ampi colli ricamati, golfini intonati. Tutto
indossato in maniera impeccabile con la fragranza di pulito che
la segue. Alla regia di questo ordine, di questa sobria eleganza,
sta Sofia, la sorella, che si profuma con essenza di mughetto. Le
loro vite sono intrecciate da più
di cinquant’ anni, o magari ancor
più: da quando entrambe capaci
di amore. Anna venne affidata ad
un Istituto per minorati quando
per l’anagrafe doveva essere quasi
donna. I suoi limiti, le sue incapacità, l’assenza di un’autonomia
giustificavano questo. Almeno per
il fratello; non per la sorella. Furono la determinazione di questa,
seguita dalla sua dedizione, a ridare vita ad una vita con un verdetto
infausto come quello di Anna. Lei,
sorella maggiore, sovvertì l’ordine
delle cose stabilite. Mise al primo
posto i bisogni e all’ultimo le debolezze della sorella.
Anna uscì dal negozio con una confezione
regalo speciale; una scatola (intera)
avvolta in carta dorata e sigillata
con un elegante nastro rosso
“Ma adèss ‘n do nente?” (Ma adesso dove andiamo?), disse Anna
scendendo gli ultimi scalini dell’Istituto. Obbedendo alla richiesta
della sorella, prima aveva salutato
e ringraziato tutte quante, senza
affatto nascondere la sua grande
gioia. Eppure lì ebbe un’ esitazione.
“Ti no stà pensar e véi con mi” (Tu
non preoccuparti e vieni con me).
Col rassicurante tono materno, e
prendendola per mano, così le rispose Sofia. E così la portò via di là
e di Anna si prese cura come una
madre. La morte di quella vera, di
poco distante da quella del padre,
fu la causa del suo infantilismo
maturato in adolescenza. La vita di
entrambe è stata – ed è – spesa per
gli altri. Dal prete affidato alle loro
cure che ora riposa in pace, fino
ai bambini poveri rumeni di oggi,
conosciuti virtualmente attraverso
le suore della Divina Provvidenza.
Una vita ordinaria la loro, nascosta
agli occhi del mondo. Ma questo
va da sè. Tuttavia va a finire che
in queste esistenze s’innescano bagliori di luce che non si estingue.
Come la storia degli stivali, accaduta qualche anno fa.
Felicità
La situazione economica non era
esaltante ai tempi per le due donne. Sofia percepiva lo stipendio di
perpetua, Anna una piccola pensione. Non che questo fosse per
loro motivo di lamentele. Di fatto vivevano sobriamente. Eppure
quell’inverno Sofia, non senza fatica, riuscì a mettere da parte una
buona cifra per comperare alla
sorella qualche cosa di nuovo: un
paio di stivali. Tante donne in città
li portavano; erano la novità per la
Verona degli ultimi anni sessanta;
difficile, specie per le donne, non
fermarsi ad osservarli nelle vetrine. Sofia, mentre passava in rassegna i vari modelli esposti, faceva
dentro di sé tutte le considerazioni
necessarie per una valutazione opportuna al caso: il tacco, il colore
da intonare al cappotto, pelo sì o
pelo no? Quando insieme varcarono la porta del negozio lei aveva le
idee molto chiare sugli stivali per
Anna. Dopo l’acquisto tornarono
in strada felici. L’ultima estasiata
nel vedere le proprie gambe così
eleganti, Sofia contenta del gioire
della sorella.
La felicità di Anna riguardo alle
nuove calzature col tempo però diminuì: perché a lei sì e sua sorella
no? Con Sofia non ne parlò. Le era
venuta un’idea. Contraccambiare
il dono. I soldi per questo non li
possedeva, ma non era un problema: una sua soluzione lei l’aveva
trovata.
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Racconto-testimonianza
Il regalo
Un mattino alla settimana la perpetua lasciava la sorella sola per
alcune ore. Era un piccolo spazio
personale che si riservava magari solo per sbrigare faccende pratiche. Quel giovedì, quando se
ne fu andata, Anna non rimase
col lavoro in mano, ad aspettarla
come di consueto. Natale era alle
porte; non c’era tempo da perdere. Sentiva il cuore batterle più in
fretta quando s’infilò il cappotto
per uscire. Il negozio di scarpe
era a cinque minuti di strada. Entrò, come di consueto col sorriso
accennato, i suoi occhi grandi e
felici. Era presto, il negozio aveva
aperto da poco e in quel momento,
a parte lei, non c’era nessun altro
cliente nel locale. Il negoziante salutò cordialmente e l’accolse come
di solito si fa con le clienti. Lei
iniziò a raccontare: “Mia sorella
mi ha regalato questo paio di stivali”, disse, mentre portava avanti
una gamba, sollevando di poco il
piede. Poi guardava la punta dello
stivale mentre lentamente la faceva
roteare. “Sono comodi sa?, – diceva al contempo, – però non è giusto che io li abbia e lei no. Non so
per quanto tempo ha risparmiato
i soldi per comprarmeli…ecco, io
vorrei chiederle un favore”, disse
col suo largo sorriso. Il negoziante la guardò fra il perplesso e l’incuriosito; non capiva bene dove
volesse portare il discorso quella
signorina un poco bizzarra che le
stava di fronte. Uno scampanio avvertì dell’ingresso di qualcuno. Nel
negozio entrò una signora tinta di
biondo, vide il commesso occupato, si slacciò il cappotto e si mise
a sedere. “Io allora le chiedo questo” diceva ora Anna, “i soldi per
comprare i due stivali non ce li ho,
me ne può vendere uno”? Come
sarebbe a dire? Vendere UNO stivale, e il secondo? (ovvi pensieri
dell’interlocutore). Il negoziante,
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nonché titolare, però, poco dopo
sorrise annuendo, accogliendo la
proposta di Anna: ritirare il secondo più avanti. Lei iniziò a ringraziarlo (cosa che avrebbe fatto più
volte), ripetendo il perché della
sua richiesta e aggiungendo particolari edificanti su Sofia, che si
meritava tutto, che era tanto brava
e che certo sarebbe arrivata dopo
Natale a ritirare il secondo stivale.
Così Anna uscì dal negozio con
una confezione regalo speciale;
una scatola (intera) avvolta in carta dorata e sigillata con un elegante
nastro rosso.
Vigilia
Arrivò la vigilia di Natale. Al solito
in canonica era un susseguirsi di
visite e telefonate. Il parroco, impegnato per ore nelle confessioni,
delegava volentieri tutto a Sofia.
Chi arrivava portava un pensiero, e in contraccambio al donatore veniva offerto un cioccolatino
posato con cura sul vassoio, per
l’occasione rivestito col centrino
natalizio di cotone bianco impreziosito dal bordino dorato. Quel
giorno Anna era ancor più felice
del solito. Seguiva ad ogni passo la
sorella con fare pacifico. Gli auguri ed i ringraziamenti di entrambe
riecheggiavano fin dentro il giroscale, mentre sostavano sulla porta
d’ingresso a congedare l’ospite. Il
via vai di persone proseguì fino al
tardo pomeriggio, col risultato di
stancare molto Sofia, tutta presa
dal voler fare un buon servizio al
“don”.
Natale
La messa di mezzanotte era per
entrambe il regalo più atteso della
giornata: stare lì a guardare e a pregare Gesù Bambino, felici nel coro
a cantare inni di Natale. Alla fine
della cerimonia un piccolo brindisi con lo scambio di auguri che
passava fra tante mani e incrociava
molti occhi benevoli. La giornata
si concluse a notte fonda, come
sempre. Sofia altro non desiderava che poter andare a letto, ora; la
stanchezza spartita dai piedi alla
testa, la fiaccò di colpo. Anna, al
contrario sembrò rianimarsi. Eccitata e gongolante andò a tirar fuori
il suo dono dal nascondiglio, cioè
nell’armadio sotto la pila delle coperte di riserva. Ravvivò il fiocco
afflosciato e aspettò Sofia in camera da letto.
“Sa me combìnet adess”? (Che
cosa mi combini ora?) fra lo stanco e l’incuriosito le disse lei entrando; “Varda dai, l’è ‘l me regal
de Nadàl… te piàsel”? (Dai, guarda, è il mio regalo di Natale… Ti
piace?). Anna per l’eccitazione si
sfregava le mani appoggiandosi
ora s’un piede ora sull’altro.
“Go ancor da vèderlo” (ma se devo
ancora vederlo!), disse un po’seccamente Sofia mentre, seduta sul
letto, con cura slegava il fiocco,
cercando poi di non strappare il
bell’incarto. Tolse finalmente il
coperchio di cartone alla robusta
scatola quadrata, rimanendo senza
parole. Uno stivale di cuoio nero,
lucido, adagiato su carta velina
bianca sembrava parlarle. Srotolò un biglietto che ne sbucava da
sopra e lesse: “Gentilissima sig. na
l’aspettiamo per il ritiro del secondo. Buon Natale dalla ditta Marangon”. Sofia posò la scatola sul letto
e prese le mani della sorella seduta
che accanto a lei portava un’espressione estasiata sul volto. Le strinse
leggermente, sentendone il tepore.
Mentre la guardava negli occhi, lacrime le percorrevano il viso. Con
voce increspata sussurrò: “Grazie…bon Nadàl” (grazie… Buon
Natale).
Maria Carmen Zandonai
Natale 2009
Buon Natale!
Fratelli,
trasalite di nuova meraviglia e di gioia,
per la venuta di Cristo.
Ciascuno di noi può dire, deve dire:
“È venuto per me!”
Per me!
Che nessuno pensi
di aver celebrato bene il Natale
se non si è sentito investito
e quasi folgorato
da questa nuova scoperta:
Egli è venuto per me!
Io sono amato da Cristo!
È venuto per noi,
altorilievo in pietra di nanto (60x70),
Chi sperimenta in qualche misura
eseguita da Paolo Rossetto (PD), 2009
questa inebriante verità natalizia,
sentirà nascere nel proprio cuore
un canto spontaneo:
SERENO 2014!
“Gloria a Dio e pace in terra!”
ricco di speranza,
un canto d’amore divino,
di pace,
il canto di Natale.
di fede operosa.
Di misericordia accolta da Dio
Paolo VI
e fraternamente restituita.
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