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AESI
ASSOCIAZIONE EUROPEA
DI STUDI INTERNAZIONALI
3 Aprile 2007 - Ore 16.00
Palazzo Salviati - CASD - Ministero della Difesa
(Piazza della Rovere, 83)
“LE CAUSE DEL TERRORISMO INTERNAZIONALE E LA
COOPERAZIONE CIVILE-MILITARE COME STRUMENTO
DI PREVENZIONE E CONTRASTO”
Fact Sheet N. 4/2007
1. I relatori
VINCENZO CAMPORINI, è Generale di Squadra Aerea, ricopre la carica di capo di Stato
maggiore dell’Aeronautica. Ufficiale proveniente dall’Accademia Aeronautica, è laureato
in scienze aeronautiche e scienze diplomatiche e internazionali. Ha ricoperto vari incarichi
di comando e di Stato maggiore, anche in organismi interforze e internazionali. È stato
comandante del Reparto Sperimentale di Volo, capo Reparto Piani, Operazioni,
Addestramento e Cooperazioni Internazionali dello Stato maggiore dell’Aeronautica,
ispettore dell’Aviazione per la Marina e ispettore per la Sicurezza del Volo. Allo Stato
maggiore della Difesa è stato aapo dell’Ufficio Generale di Politica Militare e
successivamente sottocapo di Stato maggiore. Ha rivestito l’incarico di presidente del
Centro Alti Studi per la Difesa (CASD). Dal 20 settembre 2006, in qualità di capo di Stato
maggiore, è il responsabile dell’Aeronautica Militare e della Difesa Aerea dello spazio
aereo nazionale.
CARLO CORAZZA, dal 2003 è responsabile stampa e comunicazione dell’Ufficio di
Rappresentanza della Commissione Europea in Italia.
Dal 1992 al 2003, in ambito Commissione Europea, è stato responsabile di programmi di
assistenza tecnica a paesi dell’Europa Centrale e Orientale nel campo della legislazione
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economica e a Paesi candidati all’ingresso nell’Unione Europea nel settore della politica
dei consumatori. È stato, inoltre, responsabile di negoziati in vari settori delle politiche
europee. Quale membro del gabinetto del Commissario Europeo Emma Bonino (1995 1999) è stato responsabile dei settori telecomunicazione e società dell’informazione,
audiovisivo,
energia,
trasporti,
ambiente,
commercio
internazionale,
infrazioni,
allargamento. Dal 2003 è anche docente di Diritto dell’Unione Europea presso l’Università
per stranieri di Perugia. È autore di numerose pubblicazioni in materia di diritto
comunitario, diritto della concorrenza, liberalizzazioni dei servizi e politiche dei
consumatori.
GUIDO LENZI, funzionario diplomatico dal 1964, dopo una serie d’inarichi presso sedi
bilaterali (Algeri, Londra, Mosca) e alla Direzione Affari Politici del Ministero degli Esteri,
si è dedicato ininterrottamente all’attività multilaterale (NATO, ONU, UEO, OSCE), con
particolare riferimento ai rapporti Est-Ovest e poi all’integrazione istituzionale
dell’Europa. Dal 2005 è consigliere diplomatico del ministro dell’Interno, con i ministri
Pisanu e Amato.
STEFANO SILVESTRI, è presidente dell’Istituto Affari Internazionali (IAI) e responsabile
del Programma Sicurezza e Difesa. Giornalista professionista, commentatore di politica
estera e di sicurezza per Il Sole 24 Ore. È stato sottosegretario di Stato alla Difesa del governo
Dini (gennaio 1995 - maggio 1996). È consigliere scientifico del Centro di Alti Studi per la
Difesa (CASD) e del Centro Militare di Studi Strategici (CeMiSS) e membro dello European
Security Research Advisory Board (ESRAB) della Commissione Europea.
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2. Introduzione al tema del mese
2.1 Sul terrorismo internazionale e sulla Cooperazione
Civile-Militare quale strumento di prevenzione e contrasto
Gen. Antonio Catena - Presidenza AESI
CARATTERISTICHE DEL TERRORISMO
Il terrorismo internazionale costituisce oggi la minaccia più concreta alla sicurezza.
Esso può nascere e manifestarsi in ogni area del mondo in connessione con tensioni
diverse, può espandersi dovunque e colpire, direttamente o indirettamente, anche le
nazioni più inclini alla tolleranza. Il terrorismo è evanescente perché non richiede
organizzazione, strutture e mezzi di offesa complessi. È multiforme, potendo impiegare
tutti gli strumenti – convenzionali e non convenzionali – facilmente reperibili nelle
moderne società tecnologiche. Il terrorismo ha una forte capacità di moltiplicare l’effetto
delle sue azioni e di fare proseliti, padroneggiando, ormai, i più moderni mezzi di
comunicazione. Il terrorismo è immanente, data la connotazione di forte ispirazione
sociale e religiosa che i suoi maggiori propugnatori mantengono viva.
SCOPI E CAUSE DEL TERRORISMO
Gli scopi che il terrorismo si prefigge sono stati diversi nel tempo. Nell’ultimo
secolo esso è stato impiegato per accelerare la decolonizzazione, per abbattere stati,
costituirne altri, destabilizzare l’ordine internazionale, tentare di fermare il processo di
globalizzazione, rincorrere l’utopistica realizzazione di società teocratiche. Ciò che è
costante nel tempo, è la sua caratteristica di arma impiegata da chi non ha altri mezzi di
più immediata efficacia per conseguire lo scopo, per lui giusto, che si è prefissato in campo
internazionale o nazionale. Il terrorismo da temere maggiormente è oggi quello di Bin
Laden, di Al Qaeda che ha già dato prove drammatiche delle sue capacità d’azione in
America, Europa, Asia e Africa. L’estremismo islamico sembra essere svincolato dalle
azioni politiche, militari, economiche e culturali che il “corrotto” Occidente ha svolto negli
ultimi 30-40 anni. Secondo lo studioso americano Paul Berman (saggio “Terrore e
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liberalismo”) è un “problema su vasta scala, un’onda lunga della storia cresciuta
indipendentemente da ciò che l’Occidente ha fatto”.
Il documento “A secure Europe in a better world”, adottato dal Consiglio Europeo
nel dicembre 2003, così si esprime riguardo alla minaccia terroristica: “La recente ondata
di terrorismo è globale nel suo scopo ed è collegata all’estremismo religioso violento. Essa
nasce
da
cause
complesse.
Queste
ultime
comprendono
le
pressioni
della
modernizzazione, crisi culturali, sociali e politiche e l’alienazione dei giovani che vivono
in società straniere”. Il riferimento ai giovani è di particolare interesse. Esso non spiega
perché immigrati musulmani di seconda generazione – i quali hanno sperimentato
personalmente la libertà e le possibilità di benessere delle società laiche e democratiche –
possano partecipare a stragi tanto efferate; legittima però l’ipotesi che alle cause classiche,
quali i danni del colonialismo, l’accaparramento delle risorse, l’inserimento d’Israele in
un’area islamica, il razzismo dalla società occidentale, spesso a sproposito invocate, ne
vada
aggiunta
un’altra:
la
cieca
affermazione
di
una
identità
attraverso
il
fondamentalismo.
COMPLESSITÀ DELLA LOTTA AL TERRORISMO
La lotta al terrorismo fatta dal solo Paese vittima di turno non garantisce il successo,
neanche se a farla è il Paese più potente del mondo. La forza militare, pur indispensabile,
non può essere impiegata come la sua natura richiederebbe perché il contesto in cui lo
scontro si colloca è quello di un mondo sostanzialmente in pace dove regole e
comportamenti di pace hanno l’assoluta preminenza su quelli di guerra. Questi ultimi
possono essere accettati solo da chi è vittima diretta del terrorismo; ma se non
raggiungono subito lo scopo, vengono presto rigettati anche dalla stessa società offesa, per
motivi etici, culturali, economici.
L’impegno puramente civile, fatto di programmi di educazione alla democrazia ed
alla legalità, di assistenza culturale, sociale ed economica si è finora dimostrata
insufficiente per convincere i terroristi a desistere e i beneficiati ad emarginare i terroristi.
Il sinergico impiego della componente civile (inclusi gli organi di polizia, giudiziari,
d’intelligence) e della componente militare appare come la via più redditizia da
percorrere, anche se non esente da difficoltà, sia che si operi sul territorio nazionale sia che
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si operi in teatri dove è diffuso il terrorismo e dove esistono gli agganci per quello su scala
mondiale.
I MODI E LE DIFFICOLTÀ DELLA COOPERAZIONE CIVILE-MILITARE
L’intervento di forze militari nelle aree di crisi, dove il terrorismo islamico nasce e
dalle quali si espande e trae alimento, è il mezzo di più immediata efficacia, in un
appropriato quadro internazionale, per ripristinare l’ordine, per impedire il traffico di
armi e il movimento dei terroristi attraverso le frontiere. Condizione indispensabile per il
successo è la chiara finalizzazione del mandato delle forze allo scopo dell’intervento, ben
consapevoli dei costi che ciò può comportare. Altrettanto chiaro deve essere il mandato
delle indispensabili forze civili in stretta correlazione con le attività militari, almeno
all’inizio preminenti. Ciò anche per non moltiplicare gli obiettivi diretti e indiretti dei
terroristi.
Nel corso delle numerose missioni degli ultimi 15 anni – comprese quelle di
collaborazione addestrativa e tecnica con Forze Armate di Paesi amici esposti all’infezione
terroristica – l’intelligence militare ha acquisito un patrimonio informativo dal quale non
dovrebbero prescindere le forze istituzionalmente deputate a contrastare il terrorismo
all’interno dei Paesi obiettivo. Anche nelle operazioni interne di prevenzione e contrasto al
terrorismo, il concorso che le Forze Armate sono spesso chiamate a fornire non dovrebbe
limitarsi a pura funzione di protezione passiva ma estendersi all’impiego di talune loro
capacità tecnologiche e tattiche.
Una cooperazione così intesa è spesso ostacolata, a livello nazionale come a quello
internazionale, da inadeguatezze normative, da implicazioni di carattere giudiziario, da
insufficiente conoscenza delle rispettive capacità e da malintese specificità di funzioni. In
Italia, Francia, Spagna, dove forze di polizia con ordinamento militare (Carabinieri,
Gendarmerie, Guardia Civil) partecipano alle missioni militari, il passaggio delle
informazioni raccolte dai militari può avvenire pressoché automaticamente. Non è
scontato che si verifichi un efficace passaggio alle altre forze di polizia sia nazionali che
internazionali operanti contro il terrorismo.
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In Italia la legge n. 801del 1977 obbliga i direttori dei Servizi di Sicurezza SISDE e
SISMI a “fornire ai competenti organi di polizia giudiziaria le informazioni e gli elementi
di prova relativi a fatti configurabili come reato”. Consente però di ritardare tale fornitura
quando ciò sia “strettamente necessario per il perseguimento delle finalità istituzionali dei
Servizi”. La stessa legge impone alla Polizia Giudiziaria di fornire ogni possibile
cooperazione agli agenti dei Servizi. Stante la diversità di natura e dipendenza ordinativa
e d’impiego dei diversi Organi della sicurezza (Polizie, SISDE e SISMI), tale collaborazione
potrebbe non sempre risultare della massima efficacia per la lotta al terrorismo.
Nell’ambito delle Forze di Polizia – segnatamente Polizia di Stato e Arma dei
Carabinieri – esistono organismi specificamente dedicati alla lotta al terrorismo. Una
struttura organicamente interforze conferirebbe unitarietà di approccio al problema del
terrorismo,
oltre
che
una
migliore
utilizzazione
del
patrimonio
informativo
complessivamente disponibile. Un significativo passo avanti è tuttavia costituito dalla
istituzione del Comitato di Analisi Strategica Antiterrorismo (CASA; decreto 6 maggio
2004
del Ministero dell’Interno) di cui fanno parte rappresentanti dei Ministeri
dell’Interno, degli Esteri, della Giustizia e della Difesa, dei Carabinieri e della Guardia di
Finanza, nonché rappresentanti dei principali Organi finanziari e monetari.
L’Unione Europea, specie dopo gli attentati del 2001 negli Stati Uniti e del 2004 in
Spagna, ha accelerato l’adozione di provvedimenti per migliorare le capacità di lotta al
terrorismo valutata ormai come esigenza prioritaria. Di specifico interesse per il tema in
trattazione appaiono:
- l’adozione (marzo 2004) della “Dichiarazione di lotta al terrorismo” che tra le varie
misure annovera la protezione di uno Stato dell’UE da parte degli altri Stati membri con
l’impiego di tutti gli strumenti disponibili, incluso quello militare, anche in caso di
attentati terroristici e l’istituzione della figura del Coordinatore Antiterrorismo;
- la decisione, quale contributo alla PESD (Politica Europea di Sicurezza e Difesa), di
istituire una Forza di Gendarmeria Europea (EUROGENFOR) per conferire all’UE la
capacità di svolgere tutte le funzioni di polizia nelle operazioni di gestione delle crisi;
- la decisione (marzo 2005) dei Ministri della Difesa di attribuire alla PESD un ruolo
di supporto alla lotta al terrorismo anche mediante l’istituzione di una Cellula di
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Pianificazione delle operazioni civili e militari per garantire la complementarietà dei mezzi
civili e militari nella gestione delle crisi e delle connesse operazioni.
CONCLUSIONI
Le caratteristiche del terrorismo più pericoloso per le società democratiche
occidentali comportano che esso possa essere prevenuto e combattuto solo con l’impiego
sinergico delle capacità civili e di quelle militari, con l’unica differenziazione tra le due: le
prime danno un contributo maggiore all’attenuazione delle cause del terrorismo; le
seconde -quelle militari- danno un contributo determinante alla neutralizzazione delle
formazioni terroristiche e dei loro sostenitori. Questi ultimi, dislocati spesso in aree
lontane dalle nazioni obiettivo, possono essere tenute sotto controllo solo dalla
componente militare nelle sue articolazioni di intelligence, di vario livello, e di forze
operative.
L’Unione Europea sta facendo progressi in tutti e tre i “Pilastri” sui quali essa
tuttora poggia, in attesa dell’adozione del Trattato Costituzionale; particolarmente sul
secondo e sul terzo che attengono, rispettivamente, a PESC/PESD e a Giustizia e Affari
Interni (GAI), i settori più direttamente coinvolti nella lotta al terrorismo. Peraltro, la
mancanza di un organo specifico permanentemente dedicato a tutti gli aspetti del
terrorismo riduce la capacità di contrasto che resterà, forse per lungo tempo ancora, nella
potestà delle singole nazioni: con conseguente dispersione di energie sia nell’Unione quale
soggetto unitario, sia all’interno di quegli Stati membri ove frammentazione e
sovrapposizione delle competenze fra i vari organi sono più accentuate.
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2.2 I signori della guerra afgani e le conseguenze sulla
stabilità del paese
Paolo Rossi - Direzione AESI
La popolazione afgana è composta per oltre la metà da abitanti di origine persiana.
Questo spiega quanto sia facile trovare collegamenti tra la teocrazia degli ayatollah e i
signori
della
guerra
afgani,
impegnati
quotidianamente
nella
lotta
per
il
ridimensionamento del potere del governo centrale guidato da Hamid Karzai. In molti
casi, i warlords sono portatori del prestigio guadagnato durante gli anni dell’eroica
resistenza alle truppe dell’Armata Rossa, ciò li rende interlocutori privilegiati di Teheran
proprio per la loro esperienza di guerriglia maturata sul campo. Dall’altro essi sovente
sposano posizioni rigoriste legate all’islam wahabita o deoband che sembra essere
difficilmente conciliabile con lo sciismo di lascito khomeinista oppure con le velleità
mahdivat di Ahmadinejad.
Tra questi personaggi spicca il nome di Gulbuddin Hekmatyar, eroe di guerra e
capo del partito religioso Hesb-e islamj (Partito dell'Islam), in ottimi rapporti con il
Pakistan, altro paese chiave di quel quadrante geopolitico. Hekmatyar si è contraddistinto
nel corso della sua carriera post 9-11 per il suo controllo in alcune province strategiche
attorno alla capitale Kabul e nelle città di Kandahar e Jalalabad, ma anche per la sua
abilità di saltare sul carro del vincitore, ogniqualvolta se ne presenti l’occasione. In vista di
una possibile formazione di un governo di coalizione afgano, il nove marzo ha tenuto a
precisare che egli non ha più niente a che vedere con i talebani.
Tra i doppiogiochisti afgani è in buona compagnia, vista la biografia di Abdul Rasul
Sayyaf, principale sostenitore afgano dell'islam wahhabita. Nel 1981 fonda, con denaro
saudita, il partito Hizb-i Wahdat-i Islami-yi Afghanistan (partito dell’unità islamica
afgana) volto a diffondere la salafiyya, auspicando un ritorno del modello talebano nel
governo del paese. Il problema è che Abdul Rasul Sayyaf, oltre a essere affiliato di AlQaeda e avere commesso impunemente numerosi atti criminalei risulta come
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regolarmente eletto, e finanziato anche con gli aiuti che l’Afghanistan riceve dalla
comunità internazionale, presso il Parlamento di Kabul.
L’elenco dei fattori di instabilità verso il cammino di un Afghanistan democratico, e
soprattutto, pacificato si arricchisce anche del nome di Burhanuddin Rabbani, ex
presidente della Repubblica e un tempo a capo dell'Alleanza del nord. Di etnia tagika,
leader del Jamiat-e-Islami (Società dell'Islam), il gruppo più fondamentalista in
Afghanistan, nel curriculum di Rabbani tra l’altro spicca l’aver permesso l’ascesa al potere
del mullah Omar, che agli inizi della carriera aveva goduto di parecchi favori dall’ex
presidente afgano.
Il cerchio si chiude con la figura di Ismail Khan, “padrone” di Herat, nell'ovest del
paese e dove sono di stanza gli italiani. Khan attua una manifestazione personale del
potere nel territorio di sua competenza, il che lo rende molto difficile da gestire al governo
afgano, ma anche a Washington.
Come si potrebbe contrastare questa opposizione al governo legittimo afgano? In
primo luogo, si dovrebbe rafforzare il potere del governo di Kabul. Karzai è troppo debole
per potere contrastare con successi i vari potentati locali.
E l’Iran come si inserisce nelle questioni afgane? Il suo appoggio va sostanzialmente
alle fazioni che guardano con favore l’ideologia che sta alla base della rivoluzione
iraniana. Per contro, Teheran cerca di contrastare le fazioni supportate dal Pakistan. Questi
ricevono supporto logistico-militare tramite i servizi segreti pakistani(ISI). C’è da
aggiungere come ultimamente, la forte minoranza sunnita baluchi che abita in Iran sta
facendo attentati contro gli ayatollah, con l’appoggio logistico del Pakistan, e la tolleranza
americana. A febbraio, i terroristi hanno compiuto un attentato, nel Balucistan pakistano,
contro un ministro pakistano acuendo, così, le tensioni con Islamabad.
Altro grave problema è quello legato al mercato degli stupefacenti. Nuovi legami
tra tribù locali e iraniani stanno nascendo nel settore del narcotraffico. Questo perché,
nonostante i pasdaran costituiscono una barriera efficace contro l’ingresso della droga sul
mercato iraniano, la lunghezza della frontiera tra i due paesi e l’incremento della domanda
di stupefacenti in Iran sta producendo una crescita abbastanza sostenuta di questi traffici.
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Il pericolo di una situazione così instabile e frammentata è quello di non permettere
alla comunità internazionale di riuscire a restituire l’Afghanistan agli afgani. La guerra al
terrorismo in Afghanistan è una guerra asimmetrica, per questo è ancora più difficile
vincerla. Alcuni Stati stanno trasformando l’Afghanistan in un luogo dove esibire la
propria potenza regionale, attuando strategie che sono in contrasto con quelle occidentali.
E se ciò può apparire scontato nel caso iraniano, è molto difficile da comprendere quando
si tratta dell’Arabia Saudita o del Pakistan, entrambi formalmente alleati degli occidentali.
I taleban usano, senza pudore, donne e bambini come «scudi umani», rendendo di fatto
vane tutte le cautele delle regole d’ingaggio dei militari occidentali, impiegati nella
bonifica del paese.
Le democrazie liberali dovrebbero avere molto a cuore la questione afgana. La
speranza di un Afghanistan democratico che possa trasformarsi in modello di democrazia
islamica è l’auspicio delle nazioni che hanno inviato i propri militari lì per aiutare il
governo Karzai. Il rischio del fallimento in Afghanistan è quello di mostrare la cacciata
degli invasori occidentali, come un ennesimo segno di vittoria “divina” da parte dei
fondamentalisti. E con la questione nucleare iraniana sempre più in primo piano non è una
sconfitta che ci si può permettere.
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3. Bibliografia consigliata
AA.VV., Il nuovo Spirito di Monaco, (a cura di G. Quagliariello), Fondazione Magna Carta,
Mondadori, Milano, febbraio 2005.
AA.VV., La rivoluzione democratica contro il terrorismo, (a cura di G. Quagliariello),
Fondazione Magna Carta, Mondadori, Milano, febbraio 2005.
Cooley J.K., Una Guerra empia, la CIA e l’estremismo islamico, Milano , Eleuthera, 2000.
Cooper R., La fine delle nazioni: ordine e caos nel XXI secolo, Lindau, Torino, 2004
Fischer K. - Christensen J. T., La soluzione danese per migliorare la cooperazione civile-militare,
in Rivista della NATO, estate 2005, reperibile all’indirizzo:
http://www.nato.int/docu/review/2005/issue2/italian/special.html
Hosseini K., Il cacciatore di aquiloni, PIEMME, Milano, 2004
Kagan R., Buone dall’Iraq, Corriere della Sera, 16 marzo 2007
Lewis B., La crisi dell’Islam. Le radici dell’odio verso l’occidente, Mondadori, Milano, 2004
Lewis B., Medio Oriente, Mondadori, Milano, 2003.
Ministero della Difesa, Esercito Italiano: Cimic Group South, reperibile all’indirizzo:
http://www.esercito.difesa.it/root/unita_sez/unita_cgs_compito.asp
Nirenstein F., Il pericolo per l’Europa: piegarsi all’integralismo dell’Islam. Intervista a Bernard
Lewis, Il Giornale, 28 febbraio 2007.
Olimpio G., Al Qaeda colpirà la Francia alle elezioni, Corriere della Sera, 10 febbraio 2007
Prosegue l’attività Cimic del contingente italiano a Kabul, Pagine di Difesa, 29 gennaio 2007,
reperibile all’indirizzo: http://www.paginedidifesa.it/2007/pdd_070160.html
Pisano V. - Piccirilli A., Aggregazioni terroristiche contemporanee. Europee, Mediorientali e
Nordafricane, Roma, Adnkronos libri, 2005.
Pisano V., Il neo-terrorismo: suoi connotati e conseguenti strategie di contenimento e prevenzione,
Centro Militare di Studi Strategici (CeMiSS), Roma, 2000.
Pisano V., Terrorismo e strumenti di contrasto, in Occidente, Comitato Atlantico Italiano, n.
1/2, 2002.
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Ramponi L., Contro il nuovo terrorismo:una nuova strategia globale, Centro Studi Difesa e
Sicurezza (CASD), Atti del convegno, aprile 2004.
Sul web:
http://www.difesa.it/SMD/COI/CIMIC/
http://www.cimicgroupsouth.org/
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