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9 Linguaggi speciali Antologia 3 Teatro e cinema 23 LABORATORIO TEATRALE FACCIAMO TEATRO Dall’idea, al canovaccio, al testo p. 1 Prime azioni teatrali: le improvvisazioni p. 6 BIBLIOTECA DI TESTI TEATRALI leggiamo il TEATRO Aristofane Plauto La pace Anfitrione L. Pirandello p. 14 Romeo e Giulietta p. 22 Una domanda di matrimonio p. 31 W. Shakespeare A. Čechov p. 9 La patente p. 38 laboratorio teatralE Antologia 3 9. Linguaggi speciali facciamo teatro Dall’idea, al canovaccio, al testo COME TR ASPORRE UN’IDEA IN UN CANOVACCIO 1 Quando non c’ è nessun testo narrativo da cui partire, ma soltanto una traccia o un’ idea, come si fa per scriverne uno? Leggi il percorso seguente, che descrive i diversi passaggi svolti per giungere al testo teatrale Arlecchino e lo stomaco brontolone. A Arlecchino è il servo, continuamente affamato e senza denari, di Pantalone, un vecchio, ricco e avaro mercante di Venezia. Arlecchino scopre le provviste L’idea di Pantalone e vuole mangiarsele, ma il vecchio, richiamato dal brontolìo dello stomaco vuoto di Arlecchino, lo sorprende e lo caccia di casa. Disperato, Arlecchino incontra Brighella, servo della marchesa Rasponi, una vecchia, bruttissima e ricchissima zitella. La marchesa deve inviare un suo ritratto a uno spasimante lontano che la vorrebbe sposare. I due servi, allora, inventano una truffa ai danni della marchesa: Arlecchino, travestito, si fingerà pittore e si farà pagare in anticipo dalla marchesa, poi i due malandrini divideranno il bottino. Il raggiro sembra riuscire, ma, sul più bello, Pantalone giunge inaspettato a casa della marchesa e, udendo il brontolìo dello stomaco vuoto di Arlecchino, riconosce nel pittore il suo servo e smaschera l’imbroglio. Allora… 1 B Dall’idea si può elaborare una traccia più articolata e completa che, nel linguaggio teatrale, si chiama «canovaccio». Il canovaccio Il canovaccio è un particolare testo teatrale che riassume il racconto e lo divide in scene di cui indica i personaggi e i fatti, ma non le battute. Le battute, infatti, sono improvvisate dagli attori direttamente sulla scena, quindi possono variare di volta in volta. Questo modo di recitare, molto diffuso nel XVI e XVII secolo e tipico di un genere teatrale detto «Commedia dell’Arte», richiedeva che gli attori fossero molto bravi e affiatati. Ecco come il canovaccio descrive le prime due scene tratte dall’idea. Scena prima Rientrando in casa di Pantalone, Arlecchino sente brontolare il suo stomaco vuoto e prende a lamentarsi della propria fame e del proprio padrone avarissimo, che non gli dà di che vivere. Pantalone sembra essere uscito, ma in realtà, richiamato dal brontolìo, spia il servo di nascosto. Arlecchino decide di rubare il cibo dalla dispensa del suo padrone. Vi trova salsicce, formaggi, vino e pane, ma Pantalone, armato di un nodoso randello, bastona il servo ladro e lo caccia di casa. Facciamo teatro Scena seconda Sulla strada, Arlecchino malconcio incontra Brighella e si lamenta con lui della sua sfortuna. Brighella gli propone di truffare la marchesa Rasponi, sua padrona, che deve spedire il proprio ritratto a un capitano, suo lontano spasimante. Brighella propone ad Arlecchino di travestirsi da pittore: lui lo presenterà alla marchesa dalla quale, dopo aver finto di abbozzare il ritratto, Arlecchino si farà dare un anticipo di cinquanta scudi d’argento. Uscito dal palazzo, il «pittore» sparirà e i due si divideranno la somma. I due si danno appuntamento presso il palazzo della marchesa. C La trasformazione in testo teatrale Poiché recitare un canovaccio improvvisando le battute richiede una grande abilità, si può trasformare un canovaccio in un vero e proprio testo teatrale. Per mettere in atto questa trasformazione occorre: definire in modo preciso le situazioni indicate dal canovaccio e arricchirle di particolari; inventare e scrivere i dialoghi; precisare nelle note d’inquadramento i luoghi e gli elementi scenici; precisare, nelle note per gli attori, le azioni, gli spostamenti e i modi di recitare. Adesso, leggendo il testo teatrale definitivo, potrai verificare i vari passaggi svolti. Ti accorgerai che i personaggi usano un linguaggio particolare, che mescola alla lingua italiana alcune espressioni del dialetto veneziano. Ciò accade perché Arlecchino, Pantalone e Brighella sono personaggi veneziani che appartengono alla tradizione teatrale della Commedia dell’Arte. 1. quinta: lo spazio, posto ai lati del palcoscenico e invisibile agli spettatori, dove gli attori attendono di entrare in scena. 2. brontolìo: il brontolìo può essere prodotto «a vista» da un rumorista, posto di lato ai piedi della scena, che percuote un timpano o aziona una «macchina del tuono» teatrale, composta da un ARLECCHINO E LO STOMACO BRONTOLONE Atto primo Scena prima Scena: la casa di Pantalone. Una cassapanca da un lato e un piccolo armadio sul fondo. Entra Arlecchino curvo sotto il peso di un grosso sacco. ArlecchinoOh finalmente son arivà. (scarica il sacco e ci si siede sopra, ansimante) Sior Pantalon! Sior Pantalon, g’ho portà il saco de carbon per la stufa! (nessuno risponde) Sior Pantalon? (attende risposta, che non arriva) Ostrega, il sior Pantalon è uscito… Strano però, la porta non era chiusa a ciave. (alle sue spalle, dalla quinta1, fa capolino Pantalone, che mostra di assistere alla scena di soppiatto; si sente un brontolìo 2 sordo, Arlecchino sobbalza) Perbacco, che tuono, forse piove! (fa l’atto di Il F ca ec rc ei admi ol et ge ag te rr oe pia 22 guardare il cielo dalla finestra, verso il pubblico) Ma… Xe tutto sereno! (si risiede sul sacco, il brontolìo si ripete più forte e Arlecchino sobbalza portando le mani al ventre) Ahi, ahi, che mal de panza! No xe il tuono: xe il mio stomego che se lamenta! Ahi che fame terribile! (il brontolìo si ripete e Arlecchino si contorce) Ahi, ahi, tuta colpa de quel tirchio del sior Pantalon, che non me da niente da magnar! (è colto da un’idea improvvisa) Ma… xe l’occasion che aspetavo: il sior Pantalon xe uscito e io posso servirme a la dispensa… e anche cercar qualche ducato per andar all’osteria! (si guarda attorno furtivo, poi apre la cassapanca, vi caccia dentro la testa e incomincia a rovistare, si raddrizza) Varda quanta bona roba! (torna con la testa nella cassapanca) Pantalone(entra in punta di piedi con un nodoso bastone in mano e si piazza sogghignando dietro Arlecchino, in attesa) Arlecchino(emerge dalla cassapanca con una fila di salsicce) Ostrega che belle salsicce! Le voleva magnar tute da solo, quel vecio ingordo! Gli andasse tuto de traverso! (posa a terra le salsicce, mentre si sente il cupo brontolìo del suo stomaco) Ehilà, calma stomego! (si accarezza il ventre) Ora arrivano le leccornie! (si rituffa nella cassapanca) Pantalone(prende le salsicce, le ripone silenziosamente nell’armadio e ritorna in posizione di attesa) A rlecchino(emerge con alcune forme di cacio legate tra loro) Mira che bele provole! E a mi niente, quel vecio bavoso! Potesse venirgli l’orticaria, la pellagra e la dissenteria! (posa il cacio; brontolìo dello stomaco) Ancora un momento, stomego, un po’ di pazienza, ciò! (torna a capofitto nella cassapanca) Pantalone(ripete, con il cacio, l’azione precedente) Arlecchino(riemerge) Ecco, ecco: una bela forma de pan e una bottiglia de buon vin! Ah, che meravegia! (posa pane e vino) Ora me farò una magnada memorabile, a la barba del vecio spilorcio, che gli prenda lo scorbuto! (estrae dalla casacca una tovaglietta, un piatto e un paio di posate e si prepara come per un picnic) Pantalone(nel frattempo fa sparire pane e vino, come in precedenza cacio e salsicce) Arlecchino(finisce di preparare la «tavola») Ecco qua, e ora… (si volta per prendere il cibo, che è scomparso) Ma, dove xe finio? (guarda sotto la tovaglietta, nella cassapanca, si alza in piedi e rovista nelle tasche) Ma che stregoneria xe questa? Li avevo posati proprio qui (si volta e vede Pantalone che in quel momento si è posizionato al posto del cibo e brandisce il bastone) dove ora c’è il sior Pantalon. (resta un attimo perplesso, poi realizza la situazione) Il sior Pantalon! Aaaaaah! Aiuto! (scappa correndo in tondo sulla scena inseguito da Pantalone) PantaloneTe g’ho ciapà3, ladro! Fiol d’un can! Assassino di salsicce! (molla fendenti all’aria) ArlecchinoNo! Aiuto! Mi uccide! Pietà, paron, pietà! I due compiono due giri della scena urlando. 33 telaio al quale è appeso, con due corde, un foglio di lamiera metallica, che viene scosso per mezzo di maniglie di corda poste nella sua parte inferiore. 3. Te g’ho ciapà: Ti ho preso. Il F ca ec rc ei admi ol et ge ag te rr oe pia Pantalone(affaticato, capisce che non riuscirà a raggiungere Arlecchino, allora si ferma ansimando e ne attende il passaggio con il bastone levato) A rlecchino(non si è accorto della manovra e continua a correre in cerchio) Perdono! No xe colpa mia! Xe il mio stomego che mi ha costretto! Pantalone(cala il bastone al passaggio di Arlecchino mancando il bersaglio, allora si concentra per un secondo colpo) Arlecchino(continua a girare urlando) Pietà, el mi stomego xe come un putin4! Quando el g’ha fame non intende ragioni! PantaloneIl tuo stomego non intende ragioni, ma il tuo cranio intende ’sta sventola! (cala il bastone sulla testa di Arlecchino) A rlecchino(stramazza al suolo tenendosi il capo, mentre Pantalone lo colpisce ripetutamente) Ahi! Ahia! Pietà! Mercede! Pantalone(assestando bastonate) Questo per lo scorbuto, questo per l’orticaria e la pellagra e questo per la dissenteria (con una pedata fa rotolare Arlecchino giù, o fuori, dalla scena, verso gli spettatori) E non farte più veder in casa mia, mangiapane a tradimento! (si ricompone soddisfatto di sé) E ora, a tavola! (esce) Scena seconda Scena: la strada davanti alla casa di Pantalone. Non occorrono cambi di scena, basta recitare sul proscenio. A rlecchino(si rialza e si siede sul bordo del palcoscenico) Ohi, poareto mi! Sansa niente da magnar, sansa sghéi 5, sansa casa e pieno di lividi! (piagnucola) Entra Brighella. 4. putin: bimbetto. 5. sghéi: quattrini. BrighellaEhilà Arlechin, cossa te capita? Hai mal di pancia? ArlecchinoMale, malissimo caro Brighela! G’ho la panza vuota e il sior Pantalon mi ha bastonato e cacciato di casa! BrighellaLa questione è seria! A rlecchinoSeria? Xe tragica! Se no me viene un’idea per trovar da magnar, ’sta sera sarò morto per la fame, consumato, evaporato! BrighellaEh via, non xe mica il caso de fare la tragedia… (pensa) Io, però, un’idea ce l’avrei… A rlecchinoUn’idea, un’idea per magnar? BrighellaSicuro, ma dovrai aspetar fino a questa sera e sbrigar un lavoreto. ArlecchinoL avorare? Lo sapevo che c’era la fregatura. Ti xe proprio un bel amico! BrighellaMa no, no xe proprio un lavoro… La mia parona, la marchesa Rasponi, xe vecia e bruta come la morte, ma xe vedova, ricca da far paura e cerca un marito… Arlecchino(salta in piedi indispettito e prende Brighella per il bavero) Lo vedi che sei una bestia! Me voresti far sposar una vecia mummia solo per poder magnar! BrighellaMa ascolta… Arlecchino(con rabbia) E la mia Colombina che xe giovane e bela a chi la doverìa lassar? A una bestia come ti? Il F ca ec rc ei admi ol et ge ag te rr oe pia 44 righellaMa no! No ti g’ha capìo niente! Tu devi solo far finta d’esser un pittore! B Arlecchino(sorpreso) Un pittore? Ma mi non so nemmeno colorar de nero una gondola nera! BrighellaMa non fa nulla! Ascolta: la Marchesa g’ha un’amica spagnola con un fratello, capitano nel Messico, scapolo e babbeo. Questa amica g’ha scritto al capitan e lo g’ha quasi convinto a sposare la Marchesa con un matrimonio «per procura»… ArlecchinoE che cosa gli procura? BrighellaMa niente gli procura! «Per procura» vuol dir che i due se sposano a distanza, senza conoscersi prima del matrimonio! Poi la sposa raggiungerà lo sposo! ArlecchinoMa allora questo capitan xe proprio un gran babeo! BrighellaE la sorela xe una furba, che vuole metter le mani sui soldi della Marchesa! Ma il capitan, per accettare il matrimonio, vuole prima vedere un ritratto della Marchesa… xe qui che arrivi tu, per farle il ritratto! ArlecchinoSì, la Marchesa xe già orribile, se poi il ritratto lo fasso mi, il capitan preferirà sposarse con un’orca marina! BrighellaMa dai, stolto! No xe necessario fare il ritratto: tu vieni dalla Marchesa vestito a modo e io ti presento come grande pittore; tu dici alla Marchesa parole di miele, le fai grandi complimenti e poi la fai sedere in posa; infine le dici che, per non affaticarla, farai solo uno schizzo, che terminerai nel tuo studio. Naturalmente chiedi cinquanta scudi d’argento come anticipo per le spese e poi sparisci. Il gioco xe fatto! ArlecchinoCinquanta scudi d’argento? Ma xe una cifra enorme! BrighellaPer la riccastra no xe nulla! Oh, naturalmente, il giorno dopo se vedemo e tu me dai la mia parte! Arlecchino(sognante) Sì, che meravegia! Sai che magnade con cinquanta scudi! BrighellaVai allora, procurati il travestimento; ti aspetto tra due ore al palazzo della Marchesa! (esce) Arlecchino(agitatissimo) Vado, vado! Cinquanta scudi d’argento! Potrò magnar fino a morire! (si sente un brontolìo fortissimo, Arlecchino sussulta e si rivolge al suo stomaco) Ancora poche ore de pasiensa, stomego, e poi avrai ogni ben de Dio! Cinquanta scudi d’argento, ostrega! (esce accompagnato da un altro brontolìo) 55 Intermezzo musicale Alcuni musici posti ai piedi e a lato della scena suonano un brano mentre, in silenzio e con attenzione, il cambio della scena viene svolto «a vista» da attrezzisti in costume. V. Bastita, Altri orizzonti, Edizioni il capitello Il F ca ec rc ei admi ol et ge ag te rr oe pia laboratorio teatralE Antologia 3 9. Linguaggi speciali facciamo teatro Prime azioni teatrali: le improvvisazioni Reagire con prontez z a di riflessi alle situa zioni inattese Eccoci nuovamente all’appuntamento con l’ improvvisazione teatrale! Ora il gioco si fa difficile… devi mostrare tutta la prontezza di riflessi di cui sei capace! Con i tuoi compagni, leggi con attenzione le proposte; prendetevi un po’ di tempo per concentrarvi sulle situazioni e immedesimarvi nei personaggi in modo da poter reagire con prontezza di riflessi anche a situazioni inattese. Il primo gioco presenta un vero e proprio intreccio narrativo abbastanza strutturato e complesso: il protagonista, un giovane studente (il «Lettore»), rimane in scena tutto il tempo con altri cinque o sei attori. Utilizzate gli sguardi, i gesti e anche le parole (potete anche usare cadenze diverse); state sempre rivolti verso il pubblico, parlando con un volume adeguato. 1 La scena si svolge all’interno di una casa, nel soggiorno o nella camera dello studente. LE TRIBOLAZIONI DI UN GIOVANE LETTORE Il Lettore rientra a casa dopo una brutta mattinata di scuola e, parlando tra sé e sé, manifesta il desiderio di finire la lettura di un libro giallo che lo sta appassionando. Prima si prepara un bel panino con il cioccolato e un bicchiere di latte, quindi si sdraia sul divano (con espressione beata) con la merenda e il libro giallo. Ma… uffa, suona il campanello! un amico che gli chiede la bicicletta in prestito, raccontandogli però una lunga È storia su come il giorno prima ha forato la gomma della sua bici. Il Lettore risponde gentilmente e consegna all’amico le chiavi del lucchetto della sua bicicletta. Appena iniziata la lettura del giallo, suona nuovamente il campanello: è un’amica di sua madre che gli chiede il favore di portare a passeggio il suo cagnolino, lei non può perché ha l’influenza. Il Lettore inventa una scusa e rifiuta. I l Lettore riprende la lettura, ma suona nuovamente il campanello! È una vicina di casa, indaffarata e frettolosa, che gli chiede il favore di tenergli il bambino per poco tempo perché deve fare una commissione. Il Lettore, anche se di malavoglia, accetta. Il piccolo ha un anno: comincia a gattonare per tutta la stanza, afferrando oggetti e facendo gridolini di gioia. Il Lettore tenta di leggere, ma deve continuamente interrompersi per occuparsi del piccolo che a un certo punto si mette a piangere a dirotto perché vuole la mamma. A questo punto suona il telefono. Il Lettore, tra le urla del bambino, risponde: è la signorina di un call-center che gli propone di abbonarsi a una pay-tv che offre programmi di sport, musica e intrattenimenti vari per ragazzi. Il Lettore, esasperato, risponde in malo modo! Finalmente ritorna la madre a riprendersi il bimbo. S’intrattiene a lungo parlando diffusamente della commissione fatta e ringraziando esageratamente il ragazzo. Quando infine si avvia verso la porta, vede il libro giallo buttato sul divano: anche lei lo ha letto, ma, gli dice, non avrebbe mai pensato che l’assassino fosse il cuoco… A questo punto il Lettore ha una crisi di nervi, caccia la vicina (con il bimbo che ricomincia a urlare) e le dice di non chiedergli mai più alcun favore! Facciamo teatro 6 2 I partecipanti a questo gioco ricevono un libro e hanno l’incarico di studiare con molta attenzione il risvolto o il retro della copertina, dove in poche frasi vengono riassunti gli argomenti o gli avvenimenti narrati. Viene dato un tempo di preparazione di circa 15 minuti, trascorso il quale ciascuno, a turno, entra nello spazio scenico, preferibilmente senza il libro, e, con il tono di voce di un appassionato lettore, tenta di invogliare il pubblico alla lettura del suo volume (tempo: non più di 2 minuti). Osserva l’esempio qui a lato. 3 UN LIBRO IN UN MINUTO Siamo nel 1138, tra le mura di un’abbazia benedettina inglese. Fratello Cadfael riceve l’ordine di dare sepoltura ai prigionieri uccisi per ordine di re Stefano. I conti, però, non tornano: i giustiziati sono stati 94, mentre i cadaveri da seppellire 95. Chi sarà il «cadavere di troppo» ? E chi lo avrà ucciso? Sul fitto mistero indaga Fratello Cadfael, in un giallo avvincente, ricco di imprevisti e colpi di scena. Non perdetevi Un cadavere di troppo, di Ellis Peters, Edizioni il capitello! I partecipanti a questo gioco sono disposti in cerchio, molto vicini uno all’altro. A L a prima parte del gioco consiste nel far passare i libri da un partecipante all’altro. L’insegnante scandirà un ritmo battendo lentamente le mani e, a un tratto, interromperà l’azione gridando «stop». B A questo punto ogni partecipante si troverà in possesso di un libro e avrà inizio la seconda fase dell’esercizio. C A turno, seguendo l’ordine del cerchio in senso orario o antiorario, ciascuno dovrà improvvisare una frase con il seguente inizio: «Questo libro mi piace perché…». D La frase improvvisata dovrà essere suggerita da uno degli aspetti del libro (copertina, peso, titolo, argomento, nome dell’autore, ecc.). E Q uando tutti avranno pronunciato la loro frase, si riprenderà il passaggio dei libri. Al nuovo «stop» dell’animatore, si ricomincerà con le frasi, ma questa volta la frase inizierà così: «Questo libro non mi piace perché…». Il F ca ec rc ei admi ol et ge ag te rr oe pia 77 Scrivere brevi testi per l a messa in scena Noi ti diamo qualche idea, tu devi arrivare a mettere in scena almeno uno spunto, passando per le varie tappe. Trasforma gli spunti che ti proponiamo prima in un canovaccio, poi, aggiungendovi le battute, le note di 4 inquadramento e le note per gli attori, in un copione pronto per la messa in scena. I commessi e i loro clienti Gli attori lavorano a coppie (commesso/cliente) in una delle seguenti scene. I l commesso di un negozio di scarpe è un tifoso di calcio che in negozio sta seguendo la partita della sua squadra alla tv. Entra un cliente incontentabile che sta cercando un paio di stivali. Si assiste a un divertente scontro: da una parte un personaggio indeciso, pignolo, che calza dozzine di stivali senza riuscire a decidersi, dall’altra il commesso impaziente che per liberarsi dello scomodo cliente alla fine gli fa uno sconto enorme. L a commessa di una libreria è una fanatica del suo lavoro. È appassionata di libri, li spolvera e li allinea in modo maniacale, li ha letti praticamente tutti. Travolge il cliente ingenuo, che le ha solo chiesto qualche consiglio, con un fiume di parole, raccontando la trama di ogni libro per filo e per segno (compresi i finali dei gialli), immedesimandosi nelle vicende al punto da scoppiare a piangere o a ridere a seconda del genere. Il cliente, spazientito, esce dalla libreria senza comprare nulla e la commessa sconsolata si chiede il perché. adatt. da S. Michieli - S. Papi, Libri in scena. Giochi e attività teatrali con i libri, Erickson Il F ca ec rc ei admi ol et ge ag te rr oe pia 88 biblioteca di testi teatrali Antologia 3 9. Linguaggi speciali leggiamo il teatro La pace Aristofane Trigeo, un contadino ateniese arruffone e geniale, stanco della guerra che si trascina da dieci anni e manda in rovina i suoi affari, decide di risolvere lui la contesa salendo in cielo, fino all’Olimpo, per cercare lassù la dea Pace e ricondurla finalmente sulla terra. Per un simile viaggio, alleva uno scarabeo stercorario che fa ingrassare dai suoi servi con abbondanti porzioni di sterco; quando l’insetto è divenuto forte abbastanza per sostenerlo, sale al cielo e libera la Pace che riporta a terra in mezzo alla gioia generale. In premio avrà una sposa celeste, Opora, simbolo della stagione estiva in cui maturano i frutti e dell’abbondanza ritornata sulla terra. Prologo Due servi di Trigeo stanno lavorando intorno a un mastello di letame. Primo servo Svelto, passami una focaccia per lo scarabeo1. Secondo servo (porgendogliela) Pronto, dalla a quella maledetta Primo servo bestia! E che non possa mai mangiar di meglio! (la prende, la porta nella stalla e ritorna quasi subito) Dammene un’altra, di merda d’asino. Il famoso commediografo Aristofane visse in Grecia tra il V e il IV secolo a.C. Temi ricorrenti nelle sue opere – di cui ci sono pervenute undici commedie complete oltre a un migliaio di frammenti – sono la rovina della città di Atene e il sarcasmo nei confronti di coloro che ne sono la causa. La commedia La pace, di cui ti presentiamo il Prologo, si svolge durante la prima guerra del Peloponneso contro Sparta. 1. scarabeo: questo insetto è detto «stercorario» perché si nutre di escrementi che appallottola. La sua grandezza supera raramente i due o tre centimetri, ma questo non fa ostacolo ad Aristofane e alla sua fantasia. Il piacere di leg g er e 9 Secondo servo (che continua a impastare) Eccotene un’altra. Ma dov’è andata a finire quella che gli hai portata adesso? Non l’ha voluta? Primo servo Per Giove, se l’è ghermita e inghiottita tutta inte ra, dopo essersela appallottata fra le gambe. Pre sto, preparane altre che siano ben sode. (ritorna alla stalla) Secondo servo (rivolgendosi al pubblico) In nome degli dèi, o svuotabottini2, datemi voi una mano, se non vo lete vedermi asfissiato. Primo servo (ritornando di corsa) Un’altra dammene, un’altra ancora; dice che la vuole ben trita. Secondo servo Eccola! (agli spettatori) Di un’accusa, gente mia, credo di poter andar assolto: nessuno avrà il co raggio di affermare che mangio mentre impa sto3. Primo servo Accidenti! Dammene un’altra, un’altra, e poi un’altra, e preparane ancora. Secondo servo Ah, no, per Apollo, proprio no! Non ce la faccio più a sopportare questa porcheria! Primo servo Allora gliela porto tutta in una volta! (afferra il mastello ed entra con quello nella stalla) Secondo servo Portagliela, alla malora, per Giove, e mettiti ci dentro pure te! (agli spettatori) Qualcuno di voi mi dica, se lo sa, dove potrei comprare un naso senza narici. Non c’è niente di più disgu stoso che mescolare pietanze ad uno scarabeo. Il porco o il cane, quando tu gliel’hai preparata, ci si buttano sopra senza tante cerimonie; lui inve ce fa lo schizzinoso e non si degna di mangia re se non gliela presento dopo avergliela impa stata4 una giornata intera, neppure si trattasse di una signora! Ma voglio dare un’occhiata dalla fessura dell’uscio, per vedere se ha finito di man giare. (guarda dentro) E dàgli! Mangia, mangia pure. Chissà che tu non scoppi, senza neanche accorgertene. Come mangia quel maledetto, a te sta bassa, come un lottatore, arrotando i molari e muovendo in giro la testa e le zampe. Che ani male schifoso, puzzolente e vorace! Da quale dio ci viene questo malanno, non lo so. Da Afrodite non mi pare e tanto meno dalle Grazie5! Primo servo (ritornando) Da chi, allora? Secondo servo Non c’è dubbio: è un prodigio di Giove Fulmina sterco6. 2. o svuotabottini: rivolgendosi al pubblico (espediente usato in tutti i tempi e da tutti i comici per coinvolgerne maggiormente l’interesse e farselo complice) il servo cerca tra gli spettatori un addetto alle latrine, uno di quei raccoglitori di sterco incaricati dai magistrati cittadini di trasportare gli escrementi fuori delle mura, perché gli dia una mano. «Bottino» qui significa «pozzo nero». 3. … mentre impasto: una delle preoccupazioni dei padroni era che i loro servi, mentre impastavano la farina, non ne mangiassero qualche boccone. Avevano inventato persino un collare apposito, che impediva allo schiavo di portare le mani alla bocca. 4. impastata: come s’è detto, lo scarabeo è solito impastare con cura lo sterco per ridurlo in pallottole e farlo rotolare nella cavità del terreno che gli fa da nido. 5. Afrodite… Grazie: la dea dell’amore e le dee della bellezza, simboli di leggiadrìa che hanno poco a che vedere con uno scarabeo, stercorario per giunta. 6. Fulminasterco: uno degli epiteti di Giove era quello di Diòs Kataibàtu, il «dio che fulmina dall’alto». Premettendo una «S» (Skataibàtu), l’epiteto cambia di significato e diventa il «dio che manda sterco dall’alto». Il piacere di leg g er e 10 Primo servo cco che qualcuno degli spettatori, magari un E giovane saputello, già comincia a dire: «Ma che affare è questo? Che c’entra lo scarabeo?» E uno della Ionia7, che gli sta seduto vicino, attacca an che lui: «Direi che si allude a Cleone8: mangia sterco senza ritegno». Ma sarà meglio che vada a dargli da bere9. (entra nella stalla) Secondo servo (al pubblico) Intanto io voglio spiegare la cosa ai ragazzini, ai giovincelli, agli uomini e ai supe ruomini, anzi, soprattutto ai superuomini. Il mio padrone è preso da una strana mania, una ma nia assolutamente nuova. Se ne sta tutto il gior no a guardare il cielo, così, a bocca aperta; e si lamenta con Giove e dice: «O Giove, ma che ti sal ta in mente? Metti giù quella scopa: non vorrai ramazzare tutta l’Ellade!». Ma un momento; fate silenzio. Mi sembra di udire una voce. Trigeo (dal di dentro) O Giove, che farai del nostro popo lo? Non t’accorgi che ci stai svuotando le città10? Primo servo Questo è il malanno di cui parlavo; adesso avete gustato solo un saggio delle sue manìe. Ora sa prete quel che diceva quando lo colse il primo ac cesso di bile. Diceva fra sé e sé: «Come potrei ar rivare direttamente da Giove?». E così, costruitesi certe scalette sottili, s’ingegnava di arrampicarsi per dar la scalata al cielo, finché è capitombola to giù e si è spaccato la testa. Ieri poi, dopo tutto questo, andatosene alla malora non so dove, s’è portato a casa un enorme scarabeo, e mi ha or dinato di strigliarlo, mentre lui se lo accarezza quasi fosse un puledro. «O nobile alato della stir pe di Pegaso, prendimi su di te e portami drit to a Giove!11». Ma ora voglio sbirciare, per vedere che cosa fa. (si china a guardare e subito si riti ra indietro, urlando esterrefatto) Povero me! Ac correte, vicini, accorrete! Il padrone si alza a volo nell’aria, per salire in cielo, a cavallo dello scara beo! (appare sul tetto Trigeo, a cavalcioni di un enorme scarabeo alato) Trigeo Calma, calma, frenati, o mio somarello12. Non mi correre troppo impetuoso, fin da principio, fidan do nella tua baldanza, prima di aver fatto sudare e sciogliere, col battito veloce delle ali, i muscoli delle membra. E non soffiarmi sulla faccia que sto fetore, accidenti! Se hai intenzione di far così, 7. uno… Ionia: gli Ioni, che abitavano le coste dell’Asia Minore, erano stati ostili alla politica guerrafondaia di Cleone, nominato subito dopo. 8. Cleone: era stato tra i più accaniti sostenitori della guerra contro Sparta, nella quale morì (422 a.C.). Aristofane nelle sue comme die lo tratta sempre con molta durezza, come fa anche qui accusandolo di «mangiare sterco», alludendo ai suoi affari sporchi. 9. a dargli da bere: sappiamo come lo scarabeo mangia e possiamo immaginare come beve. È probabile che l’attore mimasse la battuta con qualche gesto a proposito. 10. svuotando le città: per i numerosi morti in guerra. 11. O nobile alato… a Giove!: verso solenne ripreso dal tragico Euripide che Aristofane prende spesso in giro nelle sue commedie. Pegaso è il famoso cavallo alato del mito. 12. somarello: in greco somaro si dice kànthon e scarabeo kàntharos; da cui il gioco di parole. Il piacere di leg g er e 11 Secondo servo Trigeo Secondo servo Trigeo Secondo servo Trigeo Secondo servo Trigeo Secondo Trigeo Secondo Trigeo Secondo Trigeo Secondo Figlia Trigeo Figlia Trigeo Figlia servo servo servo servo preferisco che te ne rimanga a casa. O padrone, o signore, tu deliri! Taci tu, stai zitto! Perché sbatter l’aria in questo modo? Non serve a niente! È per il bene di tutti gli Elleni che mi alzo in volo! Sto macchinando un’impresa mai vista. Volando? Ma è una pazzia inutile! Zitto! Non blaterare! Dovresti innalzare un gio ioso augurio! E di’ a tutti di tacere, di turare la trine e cloache con nuovi mattoni, di tapparsi il sedere! Come faccio a star zitto, se tu non mi dici dove vuoi volare? E dove pensi si possa volare se non in cielo, da Giove? Che intenzioni hai? Di chiedergli che vuol fare di tutti gli Elleni. E se non ti dà soddisfazione? L’accuserò di tradire gli Elleni per i Persiani13. Questo no, per Dioniso, finché sarò vivo! Già; ma non si può far altro. (volgendosi verso l’interno della casa) Ehi, ehi, ehi, ragazze! Vostro padre se ne va in cielo di na scosto, vi lascia sole! Poverette voi, supplicatelo! (escono le due figlie di Trigeo) O padre, o padre, era dunque vera la voce, giun ta in questa casa14, che tu, a cavallo di chissà quali uccelli, mi avresti abbandonata e te ne sa resti andato coi corvi alla malora sulle ali del vento? Che c’è di vero? Rispondi, o padre, se mi vuoi bene. (con solennità) La verità, o figlie, potete immagi narla. È da molto tempo che ce l’ho con voi: da quando mi chiedete pane chiamandomi paparuc cio, e in casa non c’è il becco d’un quattrino. Ma se questa va bene e riesco a riportare indietro la pelle, avrete a suo tempo una bella focaccia e un po’ di botte per companatico15. Con quale mezzo affronterai il tuo viaggio? Cer to non sarà una nave quella che ti porterà per un tale cammino! Non una nave, ma un destriero alato! Ma che idea ti è venuta, o paparino, di aggiogare uno scarabeo per salire dagli dèi? 12 13. per i Persiani: era un’accusa di tradimento molto frequente in Atene durante la guerra e usata spesso per scopi politici, sicché il pubblico doveva riderne. 14. O padre… casa: è un altro verso di Euripide, come le altre battute che seguono poste tra virgolette; il pubblico doveva cogliere al volo questi versi solenni nelle scene comiche, e divertirsi del contrasto. 15. botte per companatico: anche qui c’è un gioco di parole tra kòndylos, pugno, e kàndylos, un piatto ateniese. Il piacere di leg g er e Trigeo Figlia Trigeo Figlia Trigeo Figlia Trigeo nelle favole di Esopo16, che questo è l’unico vo È latile giunto fino ai numi. Ma è incredibile quello che tu dici, o padre, che un animale tanto puzzolente sia potuto arrivare agli dèi. Ci è arrivato una volta, in odio all’aquila, e, per vendetta, fece rotolar giù, a precipizio, le sue uova. Dovevi aggiogare un qualche Pegaso alato, per apparire più tragico al cospetto dei numi! Ma, mio tesoro, mi ci sarebbe voluto il doppio di vettovaglie: ora, invece, con quel che mangio io, ci nutro anche la bestia. Guardati almeno di non scivolare e cadere a pre cipizio di lassù, perché poi, azzoppato, non debba fornire argomento ad Euripide17 e ne esca una tragedia! Sarà affar mio. Statemi bene. (le figlie se ne van no; rivolgendosi agli spettatori) E voi, per cui af fronto quest’impresa, mi raccomando, per tre giorni almeno, niente bisogni, altrimenti que sto, se sente l’odore, piomba giù a gozzoviglia re e io mi rompo la testa. (cantando, allo scara beo) Coraggio, Pegaso, avanza lieto, scuotendo, con le tue splendenti orecchie, gli aurei freni. Che fai? Che fai? Perché punti il naso alle latri ne? Su, coraggio, alzati a volo, distendi le tue ali veloci, punta diritto alla dimora di Giove! E tor ci quel tuo naso dallo sterco e dai cibi mortali! (lo scarabeo si dirige al basso) Ehi, tu, laggiù, al Pireo18, che ti svuoti, vicino ai lupanari! Mi vuoi far morire? Macchinista, stacci attento!19 Sento soffiare un vento di colica sotto all’ombelico. Se non ci stai attento, scodello la cena allo scara beo! Eppure mi sembra di essere vicino agli dèi. Ecco, ecco la dimora di Giove. Aristofane, 16. nelle favole di Esopo: quella precisamente dell’aquila e dello scarabeo che vola fin nel grembo di Giove per farne rotolare le uova che l’aquila vi aveva deposte. 17. Euripide: la solita presa in giro del grande tragico che aveva osato portare sulla scena anche uomini veri e infelici, e magari zoppi, come Tèlefo, il guerriero di Troia ferito da Achille. 18. Pireo: il porto di Atene. 19. Macchinista, stacci attento!: l’appello è rivolto al macchinista di scena, perché non lo faccia cadere. L’illusione scenica è così spezzata, con comica disinvoltura, come accade spesso in Aristofane e nei comici in genere. La pace, traduzione di S. Bellati, Rizzoli Il piacere di leg g er e 13 biblioteca di testi teatrali Antologia 3 9. Linguaggi speciali leggiamo il teatro Anfitrione Tito Maccio Plauto Tito Maccio Plauto Tito Maccio Plauto, forse il più popolare tra i commediografi latini, nacque in Umbria verso la metà del III secolo e vi morì nel 184 a.C. Nelle sue numerosissime opere una folla di personaggi minori ruota spesso intorno alla figura centrale di un servo scaltro e truffaldino. Questo accade anche nell’Anfitrione, la commedia di cui ti presentiamo, dopo un breve riassunto, un brano tratto dal Primo atto. Atto primo SosiaNon avrei mai immaginato, e così nessuno dei citta dini di Tebe: invece, eccoci di ritorno sani e salvi a casa nostra. Le legioni rientrano in patria vittoriose dopo la vittoria sui nemici, la conclusione di un duel lo immane e lo sterminio dell’avversario. Han finito d’infliggere lutti acerbi al popolo tebano: la cittadella nemica giace vinta ed espugnata dal vigore e dal va lore dei nostri soldati, ma soprattutto dalla strategia e dalla fortuna del mio padrone Anfitrione. Ha pro curato ai suoi concittadini bottino, territori, fama, e al re di Tebe, Creonte, ha consolidato il trono. Me, mi ha mandato avanti dal porto in casa sua per riferire alla moglie come ha retto le sorti dello stato sotto la propria guida, il proprio comando, la propria fortu na. Ora un momento di riflessione: come le parlerò, al mio arrivo? Mentire è una mia abitudine, è nel mio carattere. Mentre gli altri erano nel vivo della batta glia, io ero nel vivo della fuga; tuttavia fingerò di es servi stato presente e riferirò ciò che ho sentito dire. Avanti ora: raggiungiamo la casa ed eseguiamo l’or dine del padrone. Mercurio(c. s.)1 Ah ah, quest’uomo vuol venire qui: gli vado incontro io. Mai, oggi, costui si avvicinerà a questa casa, non lo permetterò. Ho assunto il suo aspetto e sono ben deciso a giocarlo. E invero, se ne ho preso su di me la forma e la statura, conviene che ne abbia pure le maniere e un carattere uguale. Ossia devo es Giove, innamoratosi di Alcmena, ha assunto l’aspetto di suo marito Anfitrione, generale dei Tebani, mentre questi sta combattendo contro i Teleboi nemici del suo paese; lo assiste Mercurio nelle vesti del servo Sosia, che ha seguito il suo padrone in guerra. Entrambi i travestimenti ingannano Alcmena e le persone di casa. Nel Primo atto, riportato qui di seguito, il servo di Anfitrione, che sta tornando a casa dopo la vittoria sui Teleboi e che ha mandato avanti Sosia per dare l’annuncio alla moglie Alcmena, trova la porta sbarrata da un uomo identico a lui che altri non è se non Mercurio, posto lì di guardia da Giove, 1. (c. s.): «come sopra», cioè parlando tra sé e sé. Il piacere di leg g er e 14 sere malvagio, furbo, astuto quanto lui, per respin gerlo dal portone con la sua stessa arma, la malizia. Ma che gli prende adesso? Guarda fisso al cielo. Os serviamo cosa fa. SosiaLo giuro: io non credo e non so nient’altro così certo come credo che questa notte il dio Notturno si è co ricato sbronzo. Le sette stelle dell’Orsa non si sposta no di un dito in cielo, non procede di un dito la luna dal punto ov’è sorta, e Orione, Vespero, le Pleiadi non tramontano. Fisse dove stanno le stelle, la notte che non cede di un dito al giorno. Mercurio(c. s.) Continua, o Notte, come hai cominciato, asse conda mio padre. Meglio non puoi prestare un mi glior servizio al migliore, è un prestito ben prestato il tuo. SosiaNotte più lunga di questa io credo di non averla mai vista: forse solo quando mi frustarono e rimasi ap peso dalla sera alla mattina. Ma questa qui, acciden ti, batte anche quella, e di molto, tanto è lunga. Cre do proprio che il Sole abbia fatto una bella bevuta per dormire così; non c’è altra spiegazione: ha fatto un po’ di baldoria a cena. Mercurio(c. s.) Cosa dici, canaglia? Credi che gli dèi ti somi glino? Furfante, malfattore, ti ripagherò io di queste tue insolenze. Fa’ tanto di arrivare qui, e ti trovi un accidente. SosiaSu, andiamo a riferire ad Alcmena l’ambasciata del padrone. (scorgendo ora Mercurio) Ma chi è l’uomo che vedo davanti al palazzo, a quest’ora di notte? Non mi va la faccenda. Mercurio(ancora a parte) Mai visto un fifone simile. SosiaMi par di capire: costui oggi mi vuol ritessere il man tello2. Mercurio(c. s.) Ha paura l’amico. Voglio divertirmi alle sue spalle. SosiaUna disgrazia: i denti mi prudono3. Costui mi pre para certamente, come arrivo, un’accoglienza pugne sca. Dev’essere un cuore pietoso: il mio signore mi ha costretto a star sveglio, e lui oggi mi addormenterà coi suoi pugni. È finita, è finita per me. Mio dio, che grande, e che robusto! Mercurio(c. s.) Adesso gli parlo chiaro, da vicino, che senta cosa dico. Così gli crescerà la paura in corpo. (ad alta voce, volto verso Sosia) Forza, miei pugni: è un pezzo che non procurate vitto al ventre. Sembra sia passato mentre il sommo dio si trova con l’innamorata. Quando giunge Anfitrione, incredulo e frastornato dal racconto di Sosia, Alcmena, anch’essa vittima dell’equivoco, lo accoglie freddamente. Seguono battibecchi e risse fra moglie e marito; i due rivali si accusano l’un l’altro; Blefarone, preso come arbitro, non sa distinguere il vero Anfitrione. Alla fine tutta la faccenda si chiarisce quando Giove placa le ire di Anfitrione rivelandogli la verità e annunciandogli la nascita di un figlio glorioso: Ercole. 2. ritessere il mantello: una delle tante metafore per indicare «mi vuol dare un bel po’ di botte». 3. i denti mi prudono: Sosia ha il presentimento di pugni imminenti. Il piacere di leg g er e 15 un secolo da quando, ieri, avete spogliato e mes so a nanna quei quattro. Sosia(a parte) Temo forte che qui cambierò di nome: da Sosia divento Quinto. Pretende di aver messo a dormire quattro galantuomini: temo di dover ne aumentare il numero. MercurioÈ ben ora, dico io. (si mette in guardia) Sosia (c. s.) Rimbocca la tunica: si sta preparando di certo. Mercurio Ne busca tante, che non resisterà. Sosia (c. s.) Chissà chi. Mercurio Chiunque vien qui, certo ne ingoierà di pugni. Sosia(c. s.) Ah no, non mi garba mangiare a quest’ora di notte: ho appena cenato. Va’ a offrire questa cena a un affamato, che è meglio. Mercurio Pesa mica male questo pugno. Sosia (c. s.) Sono finito: sta pesando i pugni. Mercurio Perché non dargli una carezza che l’addormenti? Sosia(c. s.) Mi salveresti la vita: sono tre notti filate, con questa, che non chiudo occhio. MercurioVa malissimo, è uno schifo: la mia destra non sa far male a una mascella. (parlando alla mano) Deve cam biare d’aspetto chi ti prende in faccia. Sosia(c. s.) Costui è un falsario: vuol cambiarmi i connota ti. Mercurio(c. s.) Devi disfargli la faccia, se colpisci qualcuno al posto giusto. Sosia(c. s.) Sarebbe strano se non si preparasse a liberarmi delle ossa come una murena4. Tienti lontano da que sto disossatore di uomini: sei finito, se ti vede. Mercurio C’è puzza d’uomo: mal per lui. Sosia (c. s.) Che, avrei fatto un peto? MercurioNon dev’essere nemmeno lontano, anche se viene da lontano. Sosia (c. s.) È un negromante! Mercurio(agitandosi e tirando pugni all’aria sempre di più) Prudono i miei pugni. Sosia(c. s.) Se vuoi esercitarli su di me, ti prego di calmarli prima contro un muro. Mercurio Una voce è volata fino alle mie orecchie. Sosia(c. s.) Vedi se non sono stato un disgraziato a non spennarmi le ascelle: adesso ho la voce pennuta. MercurioQuest’uomo vuol portar via da me del malanno, con la soma a sue spese. Sosia (c. s.) Ma io non ho nessun somaro. 16 4. liberarmi… murena: la murena era uno dei cibi preferiti dai Romani, che l’allevavano in piscine. Animale molto vorace, ripuliva fino all’osso le prede. Il piacere di leg g er e Mercurio Bisogna caricarlo ben bene di pugni. Sosia(c. s.) Sono sfinito dalla traversata per mare! Sento ancora il capogiro, avanzo a stento senza pesi: come potrei camminare con un carico? Mercurio Certo qui c’è qualcuno che parla. Sosia(c. s.) Sono salvo, non mi vede. Dice che parla Qualcu no mentre il mio nome senza dubbio è Sosia5. MercurioEcco, da destra, una voce sembra percuotere le mie orecchie. Sosia(c. s.) Temo di prenderle io, oggi, per la voce che per cuote lui. Mercurio (a parte) Benissimo, arriva. Sosia(c. s.) (a parte) Che paura! Sono rigido da capo a piedi. Se qualcuno mi chiedesse in che parte del mondo mi trovo adesso, non saprei proprio rispondere. Povero me, non riesco a muovere un solo passo dallo spaven to. È fatta, gli ordini del padrone son persi, e Sosia con loro. Ma no, bisogna parlargli francamente, fac cia a faccia: forse, a mostrarmi forte, non oserà toc carmi. MercurioDove stai andando, tu, che porti Vulcano racchiuso in un corno6? SosiaPerché me lo chiedi, tu, che disfi la faccia della gente coi pugni? Mercurio Sei uno schiavo o un cittadino libero? Sosia Sono quale vuole il mio ingegno. Mercurio Dici davvero? Sosia Dico davvero sì. Mercurio Flagello7! Sosia Tu menti, per ora. Mercurio Ma presto ti farò dire che dico davvero. Sosia È proprio necessario? MercurioSi può sapere dove sei diretto, di chi sei schiavo e per ché sei venuto? SosiaQui vengo e sono schiavo del mio padrone. Adesso cosa ne sai di più? Mercurio Cosa fai intorno a questo palazzo? Sosia Cosa fai tu piuttosto. Mercurio Il re Creonte8 ci mette una sentinella tutte le notti. SosiaBen fatto: con noi lontani, si doveva proteggere la casa. Ma adesso va’ pure, digli che i suoi familiari sono arrivati. MercurioNon so tu fino a che punto sei dei loro, ma se non te ne vai via subito, mio caro familiare, ti farò avere un’accoglienza poco familiare, parola mia. 17 5. parla Qualcuno… Sosia: viene in mente Ulisse, che nell’Odissea inganna Polifemo dicendo di chiamarsi «Nessuno». 6. Vulcano racchiuso in un corno: una fiamma (Vulcano è il dio del fuoco) accesa dentro una lanterna dalle pareti trasparenti di corno. Metafora elegante e derisoria da parte del dio Mercurio. 7. Flagello: disastro; qui anche canaglia. 8. Creonte: re di Tebe, figlio di Menezio e padre di Giocasta moglie di Edipo. Il piacere di leg g er e Sosia Ma se io abito qui! Sono il servitore di questi signori. MercurioMa sai? Se non te ne vai via, oggi t’innalzo a una po sizione elevata. SosiaCome? MercurioPortato fuori a spalla, non coi tuoi piedi, se pongo mano al bastone. SosiaEppure sono di famiglia in questa famiglia: io prote sto. MercurioVedi piuttosto di non buscarle, stando qui ancora un po’. SosiaTorno a casa da una guerra, e tu pretendi di non far mi entrare in casa. Mercurio È questa la tua casa? Sosia Sì ti dico. Mercurio Chi è dunque il tuo padrone? SosiaAnfitrione, attualmente a capo delle legioni tebane, marito di Alcmena. Mercurio Dici davvero? E il tuo nome qual è? Sosia Sosia mi chiamano i Tebani, discendente da mio pa dre Davo9. MercurioSfrontatissimo uomo, tu oggi sei venuto qui per tua disgrazia con questo ricamo di menzogne cucite in sieme da inganni. SosiaMacché! Vengo qui con cucita la camicia, e non gl’in ganni! MercurioTu continui a mentire: vieni coi piedi, e non con la camicia. Sosia Questo sì. Mercurio Adesso sì le buschi per le tue menzogne. Sosia Ma io no che non le voglio. MercurioInvece sì le buscherai, anche controvoglia. (comincia a picchiarlo) Ecco un «sì» ben sicuro, indiscutibile. Sosia Pietà, ti supplico! Mercurio Tu osi dire di essere Sosia, mentre Sosia sono io? Sosia Per me è finita. MercurioTroppo poco, per ciò che ha da venire. Di chi sei schiavo adesso? SosiaTuo, ne hai preso possesso coi pugni. Aiuto, cittadini di Tebe! Mercurio Gridi ancora, boia? Di’ piuttosto: perché sei venuto? Sosia Per offrirti qualcuno da tempestare di pugni. Mercurio A chi appartieni? Sosia Ad Anfitrione ti dico: sono Sosia. MercurioRacconta queste frottole e ne buscherai di più. Io sono Sosia, non tu. 18 9. Sosia… Davo: giro di parole che suona come presa in giro degli eroi epici e tragici. Sosia è nome greco (che significa «soccorritore», «aiutante») di uno schiavo in un’opera del comme diografo greco Aristofane. Davo è invece un tipico nome di schiavo nella commedia romana. Si noti che agli schiavi non era riconosciuto legalmente un padre. Il piacere di leg g er e Sosia(a parte) Volesse il cielo che fossi tu, e fossi io a darte le! Mercurio Brontoli ancora? Sosia Ora taccio. Mercurio Chi è il tuo padrone? Sosia Chi vuoi tu. Mercurio Ebbene, ora come ti chiami? Sosia Proprio come comandi tu. Mercurio Dicevi di essere schiavo di Anfitrione, e Sosia. Sosia Mi sono sbagliato: volevo dire «socio» di Anfitrione. MercurioLo sapevo bene che tra noi lo schiavo Sosia sono solo io. Eri fuori strada. Sosia Ci fossero andati anche i tuoi pugni! Mercurio Sono io il Sosia che poco fa tu pretendevi di essere. SosiaTi prego, lasciami parlare in pace, senza ricevere percosse. Mercurio No: ci sia un breve armistizio, se vuoi dire qualcosa. SosiaNon dirò niente se non fatta la pace: a pugni sei più forte tu. Mercurio Parla liberamente, non ti farò del male. Sosia Ho la tua parola? Mercurio Sì certo. Sosia E se m’inganni? Mercurio Allora si scateni su Sosia l’ira di Mercurio. SosiaAttento! Ora posso dire francamente ciò che voglio. Io sono il servitore di Anfitrione, Sosia. Mercurio Insisti? SosiaC’è una pace, c’è un patto che ho firmato. Dico la ve rità. Mercurio Prendi su questo. (gli sferra un pugno) SosiaFa’ come vuoi ciò che vuoi, a pugni sei più forte. Però, qualunque cosa fai, io no, questo non lo tacerò di certo. MercurioOggi tu da vivo non riuscirai mai a fare di me che non sia Sosia. SosiaMa neppure tu di sicuro non mi farai essere di un altro; e noi oltre me non abbiamo nessun altro servo Sosia. Io partii di qui con Anfitrione per andare in guerra. Mercurio Quest’uomo è pazzo. SosiaLo dici a me, ma il pazzo sei tu. Maledizione, come non sarei il servitore di Anfitrione, Sosia? La nostra nave non è giunta qui dal porto Persico10 questa not te, e io non ero a bordo? Non mi ha mandato qui il mio padrone? Io adesso non mi trovo davanti al no 19 10. Persico: nome proba bilmente inventato da Plauto. Il piacere di leg g er e stro palazzo, non reggo una lanterna in mano? Non parlo, non sono sveglio? Quest’uomo non mi ha am maccato or ora di pugni? Se l’ha fatto! Mi duole anco ra la mascella, povero me. Perché dunque ho dei dub bi e non entro in casa nostra? Mercurio Che casa vostra? Sosia Proprio così. MercurioMa se quanto hai detto finora sono tutte fandonie! Sosia, il servitore di Anfitrione, sono io. Questa not te la nostra nave salpò dal porto Persico, il regno del re Pterela è ora una città espugnata da noi, abbiamo catturato in battaglia le legioni dei Teleboi, e Anfi trione ha accoppato di propria mano il re Pterela in duello. Sosia(a parte) Non credo a me stesso quando gli sento rac contare queste cose. Senza dubbio ricorda a memo ria le nostre imprese laggiù. (a Mercurio) Ma di’: che dono han fatto ad Anfitrione i Teleboi? MercurioLa coppa d’oro che il re Pterela usava abitualmente per bere. Sosia (a parte) L’ha detto! (a Mercurio) Dov’è ora la coppa? Mercurio In un cestello sigillato col sigillo di Anfitrione. Sosia Il sigillo com’è, dimmi. MercurioIl Sole nascente, con la quadriga11. Perché cerchi di cogliermi in fallo, boia? Sosia(a parte) Le prove convincono, debbo cercarmi un al tro nome. Chissà da dove ha visto tutto questo. Ma ora lo prendo io in trappola. Una cosa che ho fatto solo soletto, senza testimoni, nella tenda, questa al meno non potrà ridirla, adesso. (a Mercurio) Se tu sei Sosia, al sommo dello scontro fra le legioni cosa face vi nella tenda? Mi arrendo, se lo dici. MercurioC’era un barilotto di vino: ne ho riempito una botti glia. Sosia (a parte) Incomincia bene. MercurioE com’era uscito da sua madre mi sono scolato quel vino, puro puro. Sosia(a parte) Proprio così è capitato: ho scolato una bot tiglia di vino puro. Non ci sarebbe da meravigliarsi che fosse dentro alla bottiglia. MercurioEbbene, le mie prove ti hanno convinto che non sei Sosia? Sosia Tu dici che non lo sono? Mercurio Come potrei non dirlo, se sono io? Sosia Giuro per Giove di esserlo io e di non mentire. 20 11. quadriga: carro su cui il dio Sole (Giove) compiva il suo giro nell’immaginazione dei poeti. Il piacere di leg g er e MercurioMa io ti giuro per Mercurio che Giove non ti crede. So per certo che crede più a me senza giuramenti, che a tutti i tuoi. Sosia Chi sono allora io, se non sono Sosia? A te lo chiedo. MercurioQuando io non vorrò essere più Sosia, potrai esser lo tu. Adesso che sono io, guai a te se non te ne vai, uomo innominato! Sosia(a parte) Accidenti, quando l’osservo e rammento la mia figura, come sono fatto io – tante volte mi sono visto nello specchio –, certo mi assomiglia fin troppo. Ha lo stesso cappello, lo stesso vestito; mi assomiglia come mi assomiglio io. Le gambe, i piedi, la statura, il taglio dei capelli, e occhi, naso, labbra, mascella, mento, barba, collo: tutto dico, e che altro? Se ha an che la schiena coperta di cicatrici, non esiste somi glianza più simile. Ma, a pensarci, è anche certo che io sono sempre lo stesso di prima. Conosco il mio pa drone, conosco il nostro palazzo, ho sano il senno e sono in sentimento. Non diamo retta a ciò che dice, bussiamo alla porta. (si avvicina) MercurioDove ti rechi? Sosia In casa. MercurioNeppure montando sulla quadriga di Giove per fug gire di qui eviteresti facilmente un infortunio. SosiaNon mi è lecito riferire alla mia signora l’ambasciata del mio signore? MercurioAlla tua signora puoi riferire tutto ciò che vuoi; alla nostra qui non ti lascio avvicinare. Non farmi ar rabbiare, altrimenti oggi ti porti a casa le reni fra cassate. SosiaPreferisco andarmene. O dèi immortali, mi appel lo alla vostra lealtà: dove mi sono perduto? Dove mi sono mutato? Dove ho perso la mia figura? Mi sa rei lasciato laggiù, senza ricordarmene? Perché co stui possiede davvero tutte le fattezze che prima era no mie. Mi tocca da vivo ciò che non mi toccherà di certo dopo morto12. Andrò al porto, a raccontare per filo e per segno tutto l’accaduto al mio padrone. A meno che anche lui non mi riconosca. Se oggi Giove lassù mi fa questa grazia, io mi rado la testa e da cal vo mi metto il berretto13. (esce da destra) Plauto, 21 12. Mi tocca da vivo… morto: nei funerali dei nobili sfilavano figure di cera del defunto e dei suoi antenati. Sosia si vede davanti già da vivo la propria immagine. 13. Io mi rado… berretto: gli schiavi liberati, dopo aver rasato i capelli, li sostituivano con un berretto a cono di colore naturale. Anfitrione, traduzione di C. Carena, Einaudi Il piacere di leg g er e biblioteca di testi teatrali Antologia 3 9. Linguaggi speciali leggiamo il teatro Romeo e Giulietta William Shakespeare Di William Shakespeare (Stratford-upon-Avon, Gran Bretagna 1564-1616), il più illustre drammaturgo inglese, sono scarse le notizie biografiche. Fu anche poeta – ci restano Sonetti e due poemetti – ma la sua fama è legata alle molte opere teatrali, di straordinaria ricchezza e complessità di temi, che vanno dai drammi storici alle tragedie, alle commedie. Per farti conoscere questo autore, abbiamo scelto una delle tragedie più note, Romeo e Giulietta. GiuliettaO Romeo, Romeo! Perché sei Romeo? Rinnega tuo pa dre e rifiuta il tuo nome; o, se non vuoi far questo, giura solo di essere il mio amore, ed io non sarò più una Capuleti. Romeo(tra sé) Debbo ascoltare ancora o debbo rispondere a questo? GiuliettaÈ solo il tuo nome che è mio nemico. Tu saresti te stes so anche se non fossi un Montecchi. Oh, prendi qual che altro nome! Che cos’è Montecchi? Non è la mano, né il piede, il braccio, il viso, né alcuna altra parte di un uomo. Che cosa c’è in un nome? Quel fiore che chiamiamo rosa, con un altro nome avrebbe un profu mo altrettanto dolce. E così Romeo, anche non fosse chiamato Romeo, conserverebbe quella preziosa perfe zione che egli possiede, senza tal nome. Romeo, da’ via il tuo nome e in cambio del tuo nome, che non è parte di te, prendi me, intera. William Shakespeare Nella Verona dei Della Scala (XIII secolo) un antico odio regna tra le due nobili famiglie dei Montecchi e dei Capuleti che si logorano in scontri e vendette personali. Romeo Montecchi partecipa mascherato a una festa data dai Capuleti; conosce Giulietta, figlia del padrone di casa, e si innamora perdutamente di lei. Di notte entra nel suo giardino e scopre che la fanciulla corrisponde al suo amore. Nella scena che qui per prima proponiamo, Giulietta si affaccia al balcone della sua casa e confida alla notte il suo innamoramento mentre Romeo, che non riesce ad allontanarsi da Giulietta, è nascosto in giardino. Il piacere di leg g er e 22 RomeoTi prendo sulla parola. Chiamami soltanto amore, e io accetterò il nuovo battesimo. D’ora in avanti io non sarò più Romeo. GiuliettaChi sei tu che, così nascosto dalla notte, sorprendi il mio segreto? RomeoNon so con quale nome dirti chi sono. Il mio nome, santa cara, è odioso a me stesso perché è nemico tuo. Se lo portassi scritto, lo strapperei. GiuliettaI miei orecchi non hanno bevuto cento parole pronun ciate dalla tua bocca, eppure io ne conosco il suono. Non sei tu Romeo e un Montecchi? RomeoNé l’uno né l’altro, bella fanciulla, se l’uno o l’altro ti dispiace. GiuliettaCome sei entrato, dimmi, e perché? Il muro dell’orto è alto e difficile a scalare, e il luogo significa morte per te, considerato chi sei, se alcuno dei miei parenti ti scopre qui. RomeoCon le ali leggere dell’amore ho superato il muro; per ché i limiti di pietra non possono tener lontano l’amo re, e ciò che l’amore può, l’amore osa: perciò i tuoi pa renti non sono un ostacolo per me. GiuliettaSe ti vedono, ti uccidono. RomeoAhimè, c’è più pericolo nei tuoi occhi che in venti delle loro spade. Un solo tuo dolce sguardo mi rende invul nerabile alla loro inimicizia. GiuliettaNon vorrei per tutto il mondo che ti vedessero qui. RomeoHo il mantello della notte per nascondermi ai loro oc chi, e se solo tu mi ami, mi trovino pure: meglio la vita finita dal loro odio che la morte rinviata se mi manca il tuo amore. GiuliettaChi ti ha guidato a scoprire questo posto? RomeoL’amore, che per primo mi suggerì di cercare. Egli mi diede i suoi consigli ed io gli prestai i miei occhi. Non sono un pilota; pure, se anche tu fossi lontana come il lido bagnato dal più lontano mare, laggiù mi avventu rerei per conquistare un tale bene. GiuliettaTu sai che la maschera della notte è sul mio viso, al trimenti un rossore di fanciulla dipingerebbe la mia guancia per ciò che tu mi hai udito dire questa not te. Volentieri salverei la forma; ancor più volentieri rinnegherei ciò che ho detto; ma addio cerimonie! Mi ami tu? So che dirai di sì, ed io ti crederò sulla paro la. Pure, anche giurando, potresti essere falso. Degli spergiuri degli amanti dicono che Giove rida. O genti le Romeo, se tu ami, dillo sinceramente. O, se tu pen 23 Il piacere di leg g er e si che io mi sia lasciata conquistare troppo facilmen te, mi acciglierò e sarò perversa e ti dirò di no perché tu mi corteggi; altrimenti non direi di no per tutto il mondo. In verità, bel Montecchi, sono troppo innamo rata, perciò tu puoi giudicare leggera la mia condot ta; ma fidati di me, mio signore, io sarò più fedele di quelle che hanno più astuzia e sanno fare le preziose. Sarei dovuta essere più schiva, debbo confessarlo, ma tu hai colto di sorpresa, prima che io mi fossi accor ta di te, il mio sincero amore. Perciò perdonami, e non imputare questa arrendevolezza ad amor troppo leg gero, che l’oscura notte ti ha così rivelato. RomeoSignora mia, giuro per quella benedetta luna che pic chietta d’argento tutte le cime di questi alberi… GiuliettaOh, non giurare per la luna, l’incostante luna che ogni mese muta nel cerchio della sua orbita, perché il tuo amore non si riveli altrettanto incostante. RomeoPer che cosa vuoi che giuri? GiuliettaNon giurare affatto; oppure, se vuoi, giura per la tua bella persona, che è il dio della mia idolatria, ed io ti crederò. RomeoSe il puro amore del mio cuore… GiuliettaEbbene, non giurare. Sebbene tu sia la mia gioia, non ne traggo alcuna da questo nostro patto, questa notte: è troppo sconsiderato, troppo inatteso, troppo improv viso, troppo simile al lampo che cessa di esistere pri ma che si sia finito di dire «lampeggia». Amore, buo na notte; e questo bocciolo d’amore, maturando al sof fio dell’estate, potrà divenire un magnifico fiore per l’ora del nostro prossimo incontro. Buona notte! Scen dano nel tuo cuore lo stesso dolce riposo e la stessa pace che sono nel mio petto. Odo un rumore in casa. Amore caro, addio. La nutrice chiama dall’interno. GiuliettaAncora tre parole, Romeo caro, e poi buona notte dav vero. Se il tuo intento d’amore è onorevole, se il tuo proposito è il matrimonio, mandami a dire domani per mezzo di qualcuno che procurerò di farti giunge re, dove e quando vorrai celebrare il rito nuziale; ed io porrò tutte le mie fortune ai tuoi piedi e ti seguirò, mio signore, dovunque. Nutrice (dall’interno) Madonna! GiuliettaVengo subito. – Ma se tu non hai buone intenzioni, ti 24 Il piacere di leg g er e supplico… Nutrice (dall’interno) Madonna! GiuliettaVengo subito. – … di non corteggiarmi più e di la sciarmi al mio dolore. Manderò domani. Romeo Così sia salva l’anima mia! Giulietta Mille volte buona notte! (ella si ritira) Poiché l’amore che unisce i due giovani è sincero, frate Lorenzo decide di aiutarli e li sposa in segreto. Ma la faida tra le due famiglie continua e Romeo, per vendicare un amico ucciso dai Capuleti, uccide a sua volta Tebaldo, cugino di Giulietta; egli viene perciò bandito da Verona. Per evitare che Giulietta vada sposa a un nobile veronese che il padre ha scelto per lei, frate Lorenzo le fa bere una pozione che la farà sembrare morta per 48 ore. Il frate ha ideato uno stratagemma per aiutare i due innamorati: Giulietta, creduta da tutti morta, verrà portata nella tomba di famiglia dove la raggiungerà di nascosto Romeo per condurla via con sé lontano da Verona. Ma il messaggero, inviato da frate Lorenzo per informare Romeo del piano, non giunge in tempo e il giovane, saputo della morte di Giulietta, parte immediatamente per Verona. Quando giunge alla tomba, crede che Giulietta sia ormai perduta per sempre. RomeoAmore mio, sposa mia! La morte che ha aspirato il tuo dolce fiato, nessun potere ha avuto sulla tua bel lezza: non ti ha conquistata. La morte non ha anco ra issata su te la sua pallida bandiera e l’insegna del la tua bellezza è ancora vermiglia sulle tue labbra e sulle tue guance. Tebaldo, giaci costì nel tuo lenzuo lo insanguinato? Che cosa posso farti di più gradito che uccidere, con la mano che spezzò la tua gioventù, quello che fu il tuo nemico? Perdonami, cugino! Giu lietta mia, perché sei ancora tanto bella? Devo credere che la spettrale morte possa essere innamorata di te e che ti custodisca qui, al buio, per farti la sua amante. Per tema di questo, rimango qui con te. Non lasce rò mai più la buia notte di questo palazzo: rimarrò qui dove i vermi sono le tue ancelle; qui troverò ripo so e potrò scrollare da questo stanco corpo il giogo delle avverse stelle. Occhi, guardatela per l’ultima vol ta! Braccia, godetevi il vostro ultimo amplesso! E voi, labbra, custodi del respiro, suggellate con un bacio il vostro contratto senza fine con la padrona morte. Vie ni, amaro tutore; vieni, disgustosa guida. Tu, pilota disperato, scàgliati subito contro le rocce che mande ranno in frantumi la tua stanca e afflitta barca. Of fro questo al mio amore! (beve) O fidato speziale! Le tue droghe van leste. Ecco, in un bacio, muoio. (muo re. Entra, dall’altro lato del camposanto, frate Lorenzo con una lanterna, una leva e un badile) 25 Il piacere di leg g er e Frate LorenzoSan Francesco, proteggimi! Quante volte, stanotte, i miei vecchi piedi hanno inciampa to nelle tombe! Chi sei? BaldassarreUn amico, che ti conosce bene. Frate LorenzoSalute a voi! Ditemi, che è quella torcia che invano fa lume ai vermi e ai ciechi teschi? Se vedo bene, arde nel monumento dei Capuleti. BaldassarreSì, buon padre. E c’è il mio padrone, che vi è caro. Frate Lorenzo Chi è? Baldassarre Romeo. Frate Lorenzo Da quanto tempo è arrivato? Baldassarre Da più di mezz’ora. Frate Lorenzo Accompagnami. BaldassarreNon oso, messere. Il mio padrone crede che io me ne sia andato e ha minacciato di uccider mi se fossi rimasto a guardare. Frate LorenzoAspettami, allora. Ci vado da solo. Temo una grande sciagura. BaldassarreMentre dormivo sotto questo tasso ho sogna to che il mio padrone si era battuto e che ave va ammazzato l’avversario. Frate Lorenzo(andando avanti) Romeo! Ahimè, di chi è il sangue che macchia questa soglia di pietra? Perché queste spade insanguinate, abbando nate in luogo di pace? (entra nella tomba) Ro meo! Com’è pallido! E chi altro? Come, anche Paride1 intriso di sangue? Atroce momento! Atrocissimo caso! Madonna si muove. Giulietta(svegliandosi) O padre, conforto mio! Dov’è il mio signore? Ricordo bene dove dovevo esse re, e ci sono. Ma dov’è il mio Romeo? (si ode un rumore, da dentro) Frate LorenzoChe rumore è questo? Giulietta, esci da que sto nido di morte e di contagio. Un ostaco lo più forte di noi ha spezzato il nostro pro getto. Vieni, vieni via: tuo marito giace costì, morto, sul tuo petto; e anche Paride. Vieni, ti affiderò a pie sorelle; non stare a discutere perché viene la guardia; vieni, andiamo; Giu lietta mia, non oso restare più a lungo. GiuliettaVai, vai via, io non vengo. (esce Frate Loren zo) Che c’è, una fiala, nella mano del mio fede le amore? Il veleno è stato la sua fine. Avaro! L’hai bevuto tutto e non ne hai lasciata una 26 1. Paride: sfidato da Romeo, è stato ucciso. Il piacere di leg g er e sola goccia che mi aiutasse! Bacerò le tue lab bra; forse v’è ancora tanto veleno che mi risto ri e mi faccia morire. (lo bacia) Le tue labbra son calde. Prima guardia(da dentro) Guidaci, ragazzo: da che parte si va? GiuliettaUna voce? Ho da far presto. O pugnale bene detto! (afferra il pugnale di Romeo) Ecco il tuo fodero. (si ferisce) Questa sia la tua rug gine e la mia morte. (cade sul corpo di Romeo e muore. Entrano le guardie col paggio di Pa ride) PaggioEcco, guardate là, dove arde la torcia. Prima guardiaV’è sangue in terra; cercate nel camposanto; andate e arrestate chi trovate. (escono alcu ne guardie) Pietoso spettacolo! Qui c’è il con te, assassinato, e Giulietta, sepolta qui da due giorni, è insanguinata, calda e appena mor ta. Andate, ditelo al principe, correte dai Ca puleti, destate i Montecchi, cercate altra gen te. (escono altre guardie) Vediamo il luogo dove giacciono questi sventurati, ma non po tremo scoprire la vera ragione di queste sven ture se non conosceremo le circostanze. (en tra una guardia, con Baldassarre) Seconda guardiaEcco il servo di Romeo. Lo abbiamo trovato all’ingresso del camposanto. Prima guardiaTenetelo al sicuro, finché non viene il princi pe. (entra frate Lorenzo, con un’altra guardia) Terza guardiaEcco un frate che trema, sospira e piange. Usciva dal camposanto con questo piccone e questa vanga. Prima guardiaTrattenete anche il frate. È molto sospetto. (entra il principe col seguito) PrincipePer quale sventura dobbiamo abbandonare tanto presto il nostro riposo? (entrano Capu leto e madonna Capuleti) Capuleto Che cos’è che fa urlare tutti così? Madonna CapuletiPer la strada la gente grida; chi urla «Ro meo!», chi «Giulietta!», chi «Paride!» e tutti corrono urlando verso questa cripta. PrincipeChe cos’è lo spavento che mi fa trasalire? Prima guardia Principe, qui giace, assassinato, il conte Pari de; e Romeo è morto; e Giulietta, che già era morta, è appena uccisa. 27 Il piacere di leg g er e PrincipeCercate, scovate e scoprite com’è avvenuto questo orrendo massacro. Prima guardiaQui c’è un frate e il servo dell’ucciso Romeo. Hanno gli strumenti necessari ad aprire que ste tombe. CapuletoO cielo! O moglie, guarda come sanguina la nostra figliola! Questo pugnale ha colpito male perché il suo fodero è vuoto, là, addos so al Montecchi, ed esso s’è ficcato nel seno di mia figlia. Madonna CapuletiAhimè! Questo spettacolo di morte è come una campana che convoca la mia vecchiaia al suo sepolcro. (entra Montecchio) PrincipeVieni, Montecchio; se tu sei stato sollecito nel levarti, il tuo figliolo ed erede lo è stato anche più nel cadere. MontecchioAhimè, la mia compagna, mia moglie è spi rata stanotte; il dolore per l’esilio del nostro figliolo le ha fermato il cuore. Quale nuova sciagura attenta alla mia tarda età? PrincipeVieni e guarda. MontecchioO figliol mio senza creanza! Che maniera è questa di passare avanti a tuo padre per rag giungere la tomba? PrincipeFermate per un istante la violenza delle pa role, e aspettate che si chiarisca ogni dubbio, che se ne conosca il movente, il capo e la pro venienza; allora io stesso comanderò al vostro dolore e vi condurrò magari alla morte. Ma adesso fermatevi e lasciate che la sventura sia schiava della pazienza. Fate venire avanti i capi sospetti. Frate LorenzoIo ne sono il maggiore, sebbene il più inabile, perché il luogo e l’ora mi fanno essere sospet to di questo crudele delitto; eccomi qua, con dannato e assolto, ad accusare e ad assolvere me stesso. PrincipeAllora dicci subito quello che sai. Frate LorenzoSarò breve perché il mio povero fiato non è lungo quanto un racconto tedioso. Romeo, che giace qui morto, era marito a Giulietta; e lei, che vedete lì, morta, era la fedele mo glie di Romeo: li ho sposati io; e il giorno del loro matrimonio clandestino è stato il fune sto giorno di Tebaldo, la cui immatura mor 28 Il piacere di leg g er e te ha esiliato il novello sposo da Verona. Giu lietta piangeva Romeo, non Tebaldo. Voi, per toglierle quella pena, l’avete fidanzata e vole vate sposarla, per forza, al conte Paride. Al lora è venuta da me e, tutta sconvolta, mi ha ordinato di trovare il mezzo di liberarla da questo secondo matrimonio se non volevo che si uccidesse, lì, nella mia stessa cella. Col soccorso della scienza le ho dato un sonni fero che ha avuto l’effetto desiderato, dando le, cioè, l’apparenza della morte. Intanto ho scritto a Romeo che, in questa orrenda notte, venisse a toglierla dalla sua provvisoria tom ba appena fosse cessato l’effetto della pozione. Ma il mio messo, frate Giovanni, è stato fer mato da un incidente e stanotte mi ha ripor tato la lettera. E così, da solo, all’ora prefissa pel risveglio di Giulietta sono venuto a pren derla sotto la volta del suo monumento, per custodirla segretamente nella mia cella fin ché non fossi riuscito a far tornare Romeo. Ma quando sono arrivato, pochi minuti pri ma del risveglio di Giulietta, ho trovato stesi per terra, morti avanti tempo, il nobile Pari de e il fedele Romeo. Quando lei s’è svegliata l’ho pregata di seguirmi e di sopportare con pazienza la volontà del cielo; ma un rumore mi ha spaventato e mi ha fatto uscire dalla tomba che essa, troppo disperata, non vole va abbandonare. Adesso, come vedo, ha fat to violenza contro se stessa. Ecco quanto io so; anche la Nutrice sa del matrimonio: ma se v’è qualcosa di cui io sia colpevole, lasciate che la mia vecchia vita sia sacrificata qual che ora prima del suo tempo dal rigore della legge più severa. PrincipeNoi ti abbiamo sempre considerato un sant’uo mo. Dov’è il servo di Romeo? Che cosa dice? BaldassarreHo portato al mio padrone la notizia della morte di Giulietta ed egli, di volo, è corso da Mantova a qui. Mi ha ordinato di dare questa lettera a suo padre e, entrando nella tomba, m’ha minacciato di morte se non me ne fossi andato e non lo avessi lasciato qui solo. PrincipeDammi la lettera. Voglio vederla. Dov’è il pag 29 Il piacere di leg g er e gio del conte, quello che ha avvertito la guar dia? Ragazzo, che cosa faceva il tuo padrone? PaggioEra venuto a cospargere di fiori la tomba di madonna Giulietta e m’aveva ordinato di stare discosto. Così ho fatto. Poco dopo è venuto un uomo con un lume ed ha aperto il sepolcro. Il mio padrone gli si è fatto vicino e lo ha sfida to; allora sono scappato a chiamare la guar dia. PrincipeQuesta lettera conferma le parole del frate, il corso del loro amore e le notizie della morte di lei. Romeo scrive che ha comprato il vele no da un povero speziale e che se l’è portato in questa tomba per berlo qui e per morire vi cino a Giulietta. Dove sono questi nemici? Ca puleto! Montecchio! Guardate quale punizio ne colpisce il vostro odio. Il cielo trova il mez zo di uccidere la vostra gioia con l’amore e io, per troppa indulgenza verso la vostra discor dia, ho perso due parenti. Siamo puniti tutti. CapuletoFratello Montecchio, stringi questa mano. In questa stretta è la dote di mia figlia, ché io non ho più niente da chiedere. MontecchioMa io posso darti di più: le erigerò una statua d’oro puro perché, fino a quando durerà Vero na, nessun’altra memoria sia tenuta in tanto pregio quanto la leale e fedele Giulietta. CapuletoIn veste altrettanto ricca Romeo giacerà vici no alla sua sposa; povere vittime dell’odio no stro. PrincipeQuesta mattina ci reca una buia pace, e il sole, in segno di lutto, non si affaccerà. Al cuni saranno perdonati, altri puniti. Mai una storia è stata di tanto dolore quanto questa di Giulietta e del suo Romeo. (escono) W. Shakespeare, 30 Romeo e Giulietta, traduzione di A. Meo, Garzanti Il piacere di leg g er e biblioteca di testi teatrali Antologia 3 9. Linguaggi speciali leggiamo il teatro Una domanda di matrimonio Anton Čechov Anton Pavlovič Čechov (Taganrog, Russia 1860 - Badenweiler, Germania 1904), narratore russo, fu anche insigne drammaturgo e seppe anticipare motivi fondamentali del teatro moderno. Prima scena Čubukov e Lomov che entra in frac e guanti bianchi. Čubukov(andandogli incontro) Ma guarda chi si vede! Ivan Vasil’evič, carissimo! Che piacere! (gli stringe la ma no) Già, che bella sorpresa!… Come sta, tesoro? Lomov Molto gentile. E lei piuttosto come sta? ČubukovTiriamo avanti, angelo mio, grazie al cielo, eccetera. Si accomodi, per cortesia… Già, non sta bene dimen ticare i vicini, tesoro mio. Carissimo, ma perché tutte queste formalità? Il frac, i guanti, eccetera. Va in visi ta da qualcuno, amico mio? LomovNo, sono venuto soltanto da lei, egregio Stepan Stepanovič. ČubukovMa allora perché in frac, anima mia? Mica siamo agli auguri di capodanno! LomovAdesso le spiego. (lo prende sotto braccio) Sono qui a disturbarla, egregio Stepan Stepanovič, perché avrei un favore da chiederle. Non è la prima volta che ho l’onore di rivolgermi a lei per aiuto e sempre lei, per così dire… ma, scusi, sono nervoso. Berrei un po’ d’acqua, egregio Stepan Stepanovič. ( beve) Čubukov(a parte) È venuto a chiedere dei soldi. Niente da fare! (a lui) Di che si tratta, bello mio? LomovDunque, Egregio Stepanovič… scusi, Stepan Egre giovič… sono terribilmente nervoso, come non man cherà di vedere… Insomma, lei è l’unica persona che può aiutarmi, anche se, naturalmente, non sono de gno e… non ho il diritto di contare sul suo aiuto… Čubukov Ma quanti complimenti, tesoro! Dica, dica! Coraggio. LomovAdesso… Subito. Il fatto è che sono venuto a chiedere Anton Čechov Nelle pagine che ti presentiamo, tratte dal suo atto unico Una domanda di matrimonio, potrai notare l’acuta descrizione dei dettagli psicologici, che contribuisce a creare un’atmosfera di crescente tensione e irritazione. Per Lomov, di 35 anni, è giunta l’ora di sposarsi: «l’importante è decidersi». Per questo chiede la mano di Natal’ja Stepanovna al padre di lei, signor Čubukov. Ma una serie di equivoci e un discorso sulla proprietà di alcuni terreni fa sorgere un litigio tra Lomov e la futura sposa, ignara di essere stata chiesta in moglie… Il piacere di leg g er e 31 la mano di sua figlia Natal’ja Stepanovna. Čubukov(con gioia) Ivan Vasil’evič! Tesoro caro! Ripeta ancora una volta, non ho sentito bene! Lomov Ho l’onore di chiedere… Čubukov(interrompendolo) Carissimo… Come sono contento, eccetera… già, proprio così. (lo abbraccia e lo bacia) Non desidero altro. L’ho sempre desiderato. (fa cadere qualche lacrima) A lei, angelo mio, ho sempre voluto bene come a un figlio. Che Dio vi benedica, eccetera, io non desidero altro… Ma perché me ne sto qui im palato? Ho proprio perso la testa dalla gioia! Oh, con tutto il cuore… Vado a chiamare Nataša, eccetera. Lomov(commosso) Egregio Stepan Stepanovič, cosa pensa? Posso contare sul consenso di sua figlia? ČubukovMa via, un bell’uomo come lei e… Nataša non dovreb be acconsentire? Sarà innamorata come una gatta, eccetera… Torno subito! (esce) Seconda scena Lomov solo. LomovChe freddo. Tremo tutto, come prima di un esame. L’importante è decidersi. Se si pensa troppo, se si è indecisi, se si perde il tempo in chiacchiere e se si aspetta l’ideale o il vero amore, non ci si sposa mai… Brrr!… Che freddo! Natal’ja Stepanovna è bravissima ad amministrare la casa, non è brutta e ha una cul tura… Che cosa posso desiderare di più? Ma per il nervoso mi cominciano a ronzare le orecchie. (beve dell’acqua) D’altra parte, non posso non sposarmi… Prima di tutto, ho già trentacinque anni, età, per così dire, critica. In secondo luogo, ho bisogno di una vita ordinata e regolare… Ho un vizio al cuore e continue palpitazioni, perdo facilmente la pazienza e mi in nervosisco sempre terribilmente… Adesso, ad esem pio, mi tremano le labbra e ho un tic alla palpebra de stra… Ma il mio punto più debole è il sonno. Appena sono a letto e comincio ad addormentarmi, nel fianco sinistro ho un sussulto e poi un contraccolpo nella spalla e nella testa… Salto in piedi, come impazzito, faccio qualche passo e mi corico di nuovo, ma appe na comincio ad addormentarmi, al fianco ho un altro sussulto! E così una ventina di volte… 32 Il piacere di leg g er e Terza scena Natal’ja Stepanovna e Lomov. Natal’ja(entrando) Oh bella! È lei! Papà mi ha detto che era venuto uno per far un contratto. Buongiorno, Ivan Vasil’evič! Lomov Buongiorno, egregia Natal’ja Stepanovna! Natal’jaScusi se sono in grembiule e négligé… Stiamo sgra nando i piselli per metterli a seccare. Come mai non si è fatto vivo per tanto tempo? Si accomodi… (si sie dono) Vuol fare colazione? Lomov No grazie, ho già mangiato. Natal’jaFumi pure… Ecco i fiammiferi… Oggi è una giorna ta splendida, ieri invece è piovuto tanto che i brac cianti sono stati tutto il giorno senza far niente. Da lei quanti mucchi di fieno hanno già fatto? Io, caro lei, ho voluto strafare e ho fatto falciare tutto il pra to, ma adesso me ne pento e ho paura che il mio fieno marcisca. Sarebbe stato meglio aspettare. Ma come? Lei è in frac? Bella questa! Va a una festa da ballo? A proposito, lo sa che lei oggi è proprio bello?… Sul se rio, a che cosa si deve tanta eleganza? Lomov(nervoso) Dunque, egregia Natal’ja Stepanovna… Il fatto è che mi sono deciso a chiederle di ascoltarmi… Naturalmente, lei si meraviglierà e addirittura si ar rabbierà, ma io… (a parte) Che freddo terribile! Natal’ja Di che si tratta? (pausa) Dica! LomovCercherò di essere breve. Lei sa, egregia Natal’ja Ste panovna, che da molto tempo ormai, fin dall’infanzia, ho l’onore di conoscere la sua famiglia. La mia pove ra zia e suo marito, dai quali, come certamente saprà, ho ereditato le mie terre, hanno sempre avuto una profonda stima per suo papà e la sua povera mam ma. Tra la famiglia dei Lomov e quella dei Čubukov ci sono sempre stati rapporti di amicizia e direi per sino di parentela. Inoltre, come certamente saprà, le mie terre confinano con le vostre. Come certamente ricorderà, il mio Prato del bove confina col vostro bo sco di betulle. Natal’jaScusi se la interrompo. Ha detto «il mio Prato del bove»… Ma è sicuro che è suo? Lomov Sissignore che è mio… Natal’ja Questa poi! Il Prato del bove è nostro, non suo! Lomov Nossignore, è mio, egregia Natal’ja Stepanovna. Natal’ja Ma senti che novità! Come fa ad essere suo? 33 Il piacere di leg g er e LomovCome fa? Io sto parlando del Prato del bove che entra a cuneo tra il vostro bosco di betulle e la Palude bru ciata. Natal’jaSì, sì, proprio quello… È nostro… Lomov No, si sbaglia, egregia Natal’ja Stepanovna, è mio. Natal’jaSiamo seri, Ivan Vasil’evič! Da quando è diventato suo? LomovCome da quando? Fin da quando mi ricordo, è sem pre stato nostro. Natal’ja Questa è proprio grossa! LomovI documenti parlano chiaro, egregia Natal’ja Stepano vna. È vero, un tempo il Prato del bove è stato in con testazione; ma adesso tutti sanno che è mio. È fuori discussione. Mi spiego: la nonna di mia zia diede que sto Prato in usufrutto gratuito per una durata illimi tata ai contadini del nonno di suo papà perché essi fa cevano i mattoni per lei. I contadini del nonno di suo papà hanno usufruito gratuitamente del Prato del bove per circa quarant’anni e si sono abituati a consi derarlo loro proprietà, ma poi quando c’è stata la leg ge di riforma1… Natal’jaLe cose non stanno affatto così! Mio nonno e il mio bisnonno consideravano le terre fino alla Palude bru ciata loro proprietà, quindi il Prato del bove era no stro. Non capisco che cosa ci sia qui da discutere. È persino seccante! Lomov Le mostrerò i documenti, Natal’ja Stepanovna! Natal’jaNo, lei sta scherzando oppure vuole prendermi in giro… Fantastico! Possediamo questa terra da quasi trecento anni, e un bel giorno ci vengono a dire che non è nostra! Ivan Vasil’evič, scusi tanto, ma mi rifiu to di credere alle mie orecchie… Non che mi importi di quel Prato. Sono cinque ettari in tutto e valgono sì e no trecento rubli, ma quel che mi indigna è l’ingiu stizia. Dica quello che vuole, ma l’ingiustizia io non la posso soffrire. LomovMi ascolti, la scongiuro! I contadini del nonno di suo papà, come ho già avuto l’onore di dirle, facevano i mattoni per la nonna di mia zia. La nonna di mia zia, per fare loro cosa gradita… Natal’jaNonno, nonna, zia… Non ci capisco un accidente! Il Prato è nostro, punto e basta. Lomov Nossignore, è mio! Natal’jaÈ nostro! Può parlare per due giorni di seguito, può mettersi anche quindici frac, ma il Prato è nostro, no 34 Il piacere di leg g er e stro, nostro!… Quel che è suo non lo voglio, e quel che è mio me lo voglio tenere… Si arrangi! LomovIl Prato, Natal’ja Stepanovna, non mi interessa, ma è una questione di principio. Potrei benissimo regalar glielo. Natal’jaSono io che posso regalarlo a lei, perché è mio!… Tut to ciò è per lo meno strano, Ivan Vasil’evič! L’abbia mo sempre creduto un buon vicino, un amico, l’anno scorso le abbiamo prestato la nostra trebbiatrice, per cui noi altri abbiamo dovuto finire la trebbiatura a novembre, e lei adesso ci tratta da zingari. Mi regala la mia terra. Scusi tanto, ma tra vicini non ci si com porta così! Direi che questo è addirittura un affronto, se permette… LomovDunque, secondo lei, io sarei un usurpatore? Signori na, io non mi sono mai appropriato delle terre altrui, e non permetto a nessuno di farmi simili accuse… (va in fretta verso la caraffa e beve dell’acqua) Il Prato del bove è mio! Natal’jaNon è vero, è nostro. Lomov È mio! Natal’jaNon è vero. Glielo dimostrerò. Oggi stesso manderò i miei uomini a falciarlo! Lomov Cosa? Natal’ja Oggi stesso là ci saranno i miei uomini! Lomov E io li caccerò a pedate! Natal’ja Come osa? Lomov(si porta una mano al cuore) Il Prato del bove è mio! Chiaro? Mio! Natal’jaNon gridi, per favore! Può gridare di rabbia fin quan to le basta la voce a casa sua, ma qui la prego di com portarsi in modo corretto. LomovSignorina, se non fosse per questa tremenda, atro ce palpitazione di cuore, se il sangue non mi battesse alle tempie, parlerei con lei in ben altro modo! (grida) Il Prato del bove è mio! Natal’ja È nostro! Lomov È mio! Natal’ja È nostro! Lomov È mio! Lomov viene cacciato in malo modo. Ma quando la ra gazza viene a sapere di essere stata chiesta in moglie, cambia completamente atteggiamento e desidera che il fidanzato torni al più presto! ČubukovCanaglia! Buffone! 35 Il piacere di leg g er e Natal’jaBrutta bestia! Si è appropriato della terra altrui e osa anche fare scenate. ČubukovE questo aborto di natura, dunque, questo cervello di gallina ha il coraggio anche di venire a fare una do manda eccetera! Bella cosa! Una domanda! Natal’ja Quale domanda? ČubukovMa sicuro! Era venuto per farti la domanda di matri monio. Natal’jaLa domanda di matrimonio? A me? E perché non me l’ha detto prima? Čubukov Per questo era in frac, quel pollastro! Che citrullo! Natal’jaA me? La domanda di matrimonio? (cade su una pol trona e geme) Fatelo tornare! Ah! Fatelo tornare! Čubukov Far tornar chi? Natal’jaPresto, presto! Sto male! Fatelo tornare! (è in preda ad un attacco isterico) ČubukovChe vuole dire? Che cos’hai? (si prende la testa fra le mani) Sono proprio digraziato! Mi sparo! Mi impicco! Non ne posso più! Natal’ja Muoio! Fatelo tornare! ČubukovAccidenti! Un momento! Smettila di piangere! (esce di corsa) Natal’ja(sola, gemendo) Che abbiamo fatto! Fatelo tornare. Fa telo tornare! Ritornato Lomov, i tre riprendono però a litigare fu riosamente, questa volta su quale dei loro rispettivi cani (Azzecca e Acchiappa) sia migliore. Nella foga della discussione vengono via via colpiti da malesse ri sempre più gravi. Il litigio si placa con la promessa del matrimonio: è l’inizio della «felicità domestica»… Čubukov Sto male!… Mi manca il respiro!… Aria! Natal’jaÈ morto! (scuote Lomov per una manica) Ivan Vasi l’evič! Cosa abbiamo fatto! È morto! (cade su una pol trona) Un dottore, un dottore! (ha un attacco isterico) Čubukov Oh!… Cosa c’è? Cos’hai? Natal’ja (gemendo) È morto!… È morto! ČubukovChi è morto? (guarda Lomov) È morto davvero! San to cielo! Dell’acqua! Un dottore! (porta alla bocca di Lomov un bicchiere) Beva!… No, non beve… Allora è morto eccetera… Come sono disgraziato! Perché non mi tiro un colpo? Perché non mi sono ancora accop pato? Che cosa aspetto? Datemi un coltello! Datemi una pistola! (Lomov accenna un movimento) Ritorna in vita, sembra… Beva un po’ d’acqua!… Ecco, così!… Lomov La mia vista… è tutto nebbia… dove sono? 36 Il piacere di leg g er e ČubukovSposatevi al più presto e andate al diavolo! Lei è d’ac cordo! (congiunge le mani di Lomov e della figlia) Lei è d’accordo eccetera. Vi benedico, eccetera. Ma lascia temi in pace! Lomov Eh? Cosa? (alzandosi) Chi? ČubukovLei è d’accordo. Ebbene? Baciatevi e… e facciamola fi nita! Natal’ja (gemendo) È vivo… Sì, sì, sono d’accordo… Čubukov Baciatevi! LomovEh? Chi? (bacia Natal’ja Stepanovna) Molto lieto… Scusi, di che si tratta? Ah, sì, capisco… Il cuore… La vista… Sono felice, Natal’ja Stepanovna… (le bacia la mano) non sento più la gamba… Natal’ja Anch’io… sono felice… Čubukov Che peso mi son tolto di dosso… Uffa! Natal’jaMa… lo ammetta almeno adesso: Azzecca è peggio di Acchiappa. Lomov È meglio! Natal’ja È peggio! Čubukov Ecco, comincia la felicità domestica! Champagne! Lomov È meglio! Natal’ja È peggio! Peggio! Peggio! Čubukov(cercando di gridare più forte) Champagne! Champa gne! 37 (Sipario) A. Čechov, Atti unici, Einaudi Il piacere di leg g er e biblioteca di testi teatrali Antologia 3 9. Linguaggi speciali leggiamo il teatro La patente Luigi Pirandello Luigi Pirandello Luigi Pirandello (Agrigento 1867 - Roma 1936), premio Nobel per la letteratura nel 1934, è una delle figure più significative della drammaturgia europea del Novecento. Le sue opere teatrali, piuttosto difficili per ragazzi della tua età, portano sulla scena gli aspetti più complessi della personalità umana, racchiusa in una società dominata dalle apparenze, da false regole, dal pregiudizio, dalla superstizione. In questo mondo, a loro così ostile, i personaggi di Pirandello sono alla vana ricerca di un più autentico modo di comunicare con i propri simili. Ne escono sconfitti, quindi sempre più soli. Atto unico La scena rappresenta la squallida stanza di un giudice istruttore: uno scaffale ingombro di incartamenti, una scrivania piena di fascicoli, un seggiolone di cuoio per il magistrato. Una porta sulla destra e poltrone an tiche addossate alla parete di fondo. A un lato un trespolo con una gab bia grande appesa. Voce fuori campoQuella che vi proponiamo è davvero una vi cenda assurda e allucinante: l’impiegato Chiàrchiaro, a cui la voce popolare ha attri buito fama di potente iettatore, perde il posto, ed è ridotto con la famiglia a vivere un’esi stenza insopportabile. Che fare? A situazione incredibile rimedio in credibile: poiché tutti sono convinti della in fluenza malefica da lui emanata, egli è per questo costretto a cambiare condizione di vita e a chiedere alla giustizia l’attestato ufficiale di iettatore patentato dal tribunale. Così i concittadini, per evitare i danni del suo Il testo che segue è la versione teatrale fatta da due scrittori, De Maestri e Tartara, di una celebre novella di Pirandello. La vicenda è presentata in chiave comica, ma dal suo svolgersi emerge tutta la tragicità della situazione, nella quale i personaggi si dibattono, prigionieri in una gabbia di falsità le cui sbarre sono il pregiudizio, la superstizione, la credulità nelle apparenze. Dentro questa gabbia l’uomo non ha scampo, muore, come il povero cardellino del giudice D’Andrea. La commedia si compone di un unico breve atto. Nella riduzione di De Maestri e Tartara compare, all’inizio, un elemento particolare: la voce fuori campo. È un elemento teatrale interessante, che viene a volte utilizzato per far conoscere allo spettatore l’antefatto, Il piacere di leg g er e 38 malaugurio e del malocchio, saranno costretti a pagarlo per difendere la loro salute e perché egli distolga da loro il suo malefico influsso. Purtroppo, spesso le convinzioni grottesche e paradossali della pubblica opinione creano drammi umani amaramente umoristici! Il giudice D’Andrea entra per la comune1 col cappello in capo e il soprabito. Reca in mano una gabbiola poco più grossa d’un pugno. Va davanti alla gabbia grande sul quadricello, ne apre lo sportello, poi apre lo sportellino della gabbiola e fa passare da questa nella gabbia grande un cardellino. cioè i fatti che si sono svolti prima della vicenda rappresentata in scena. D’AndreaVia, dentro! E su, pigrone. Oh! finalmente… Zitto adesso, al solito, e lasciami amministra re la giustizia a questi poveri piccoli uomini feroci. Si leva il soprabito e lo appende insieme col cappello all’attacca panni. Siede sulla scrivania: prende il fascicolo del processo che deve istruire, lo scuote in aria con impazienza, sbuffa. D’Andrea Benedett’uomo! 39 Resta un po’ assorto a pensare, poi suona il campanello e dalla comune si presenta l’usciere Marranca. Marranca Comandi, signor cavaliere! D’AndreaEcco, Marranca: andate al vicolo del Forno, qua vicino; a casa del Chiàrchiaro. Marranca(con un balzo indietro, facendo le corna) Per amor di Dio, non lo nomini, signor cavaliere! D’Andrea(irritatissimo, dando un pugno sulla scriva nia) Basta, perdio! Vi proibisco di manifesta re così, davanti a me, la vostra bestialità, a danno d’un pover’uomo. E sia detto una volta per sempre. MarrancaMi scusi, signor cavaliere. L’ho detto anche per il suo bene! D’Andrea Ah, seguitate? MarrancaNon parlo più. Che vuole che vada a fare in casa di… di questo… di questo galantuomo? D’AndreaGli direte che il giudice istruttore ha da par largli, e lo introdurrete subito da me. MarrancaSubito, va bene, signor cavaliere. Ha altri co 1. comune: porta che rappresenta l’ingresso dall’esterno verso la stanza in cui si svolge la scena. Il piacere di leg g er e mandi? D’AndreaNient’altro. Andate. Marranca esce, tenendo la porta per dar passo ai tre Giudici col leghi, che entrano con le toghe e i tocchi2 in capo e si scambiano i saluti col D’Andrea; poi vanno tutti e tre a guardare il cardelli no nella gabbia. I GiudiceMa sai che sei davvero curioso con codesto cardellino che ti porti appresso? III Giudice Tutto il paese ti chiama: il Giudice Cardello. I Giudice Dov’è, dov’è la gabbiolina con cui te lo porti? II Giudice(prendendola dalla scrivania a cui s’è accosta to) Eccola qua! Signori miei, guardate; cose da bambini! Un uomo serio… D’AndreaAh, io, cose da bambini, per codesta gabbiola? E voi, allora, parati così? III Giudice Ohè, ohè, rispettiamo la toga! D’AndreaMa andate là, non scherziamo! Siamo in ca mera caritatis3. Ragazzo, giocavo coi miei compagni «al tribunale». Uno faceva da impu tato; uno da presidente; poi, altri da giudici, da avvocati… Ci avrete giocato anche voi. Vi assicuro che eravamo più serii allora! I Giudice Eh, altri tempi! II Giudice Finiva sempre a legnate! III Giudice(mostrando una vecchia cicatrice alla fronte) Ecco qua: cicatrice d’una pietrata che mi tirò un avvocato difensore mentre fungevo da re gio procuratore! D’AndreaTutto il bello era nella toga con cui ci parava mo. Nella toga era la grandezza, e dentro di essa noi eravamo bambini. Ora è al contrario: noi, grandi, e la toga, il giuoco di quand’era vamo bambini. Ci vuole un gran coraggio a prenderla sul serio! Ecco qua, signori miei (prende dalla scrivania il fascicolo del pro cesso Chiàrchiaro), io debbo istruire questo processo. Niente di più iniquo di questo pro cesso. Iniquo, perché include la più spieta ta ingiustizia contro alla quale un pover’uo mo tenta disperatamente di ribellarsi, senza nessuna probabilità di scampo. C’è una vitti ma qua, che non può prendersela con nessu no! Ha voluto, in questo processo, prenderse 40 2. tocchi: cappelli rotondi senza falde, indossati assieme alla toga da giudici, avvocati e professori universitari. 3. in camera caritatis: in ambiente intimo e familiare, dove sono consentite le confidenze. Il piacere di leg g er e I Giudice D’Andrea la con due, coi primi due che gli sono capitati sotto mano, e – sissignori – la giustizia deve dargli torto, torto, torto, senza remissione, ri badendo così, ferocemente, la iniquità di cui questo pover’uomo è vittima. Ma che processo è? Quello intentato da Rosario Chiàrchiaro. Subito, al nome, i tre Giudici, come già Marranca, danno un balzo indietro, facendo scongiuri, atti di spavento, e gridando. Tutti e trePer la Madonna Santissima! – Tocca ferro! – Ti vuoi star zitto? D’AndreaEcco, vedete? E dovreste proprio voi rendere giustizia a questo pover’uomo! I Giudice Ma che giustizia! È un pazzo! D’Andrea Un disgraziato! II GiudiceSarà magari un disgraziato! Ma scusa, è pure un pazzo! Ha sporto querela per diffa mazione contro il figlio del sindaco, niente meno, e anche… D’Andrea … contro l’assessore Fazio. III Giudice Per diffamazione? I GiudiceGià, capisci? Perché, dice, li sorprese nell’atto che facevano gli scongiuri al suo passaggio. II GiudiceMa che diffamazione se in tutto il paese, da almeno due anni, è diffusissima la sua fama di jettatore? D’AndreaE innumerevoli testimonii possono venire in tribunale a giurare che in tante e tante occa sioni ha dato segno di conoscere questa sua fama, ribellandosi con proteste violente! I Giudice Ah, vedi? Lo dici tu stesso! II GiudiceCome condannare, in coscienza, il figliuolo del sindaco e l’assessore Fazio quali diffama tori per aver fatto, vedendolo passare, il gesto che da tempo sogliono fare apertamente tutti? D’Andrea E primi fra tutti vojaltri? Tutti e treMa certo! – È terribile, sai? – Dio ne liberi e scampi! D’AndreaE poi voi fate meraviglia, amici miei, che io mi porti qua il cardellino… Eppure, me lo porto – voi lo sapete – perché sono rimasto solo da un anno. Era di mia madre quel car 41 Il piacere di leg g er e dellino; e per me è il ricordo vivo di lei: non me ne so staccare. Gli parlo, imitando, così, col fischio, il suo verso, e lui mi risponde. Io non so che gli dico; ma lui, se mi risponde, è segno che coglie qualche senso nei suoni che gli faccio. Tale e quale come noi, amici miei, quando crediamo che la natura ci parli con la poesia dei suoi fiori, o con le stelle del cie lo, mentre la natura forse non sa neppure che noi esistiamo. I GiudiceSeguita, seguita, mio caro, con codesta filoso fia, e vedrai come finirai contento! Si sente picchiare alla comune e, poco dopo, Marranca sporge il capo. Marranca Permesso? D’Andrea Avanti, Marranca. MarrancaLui in casa non c’era, signor cavaliere. Ho la sciato detto a una delle figliuole che, appena arriva, lo mandino qua… I GiudiceNoi ce n’andiamo. A rivederci, D’Andrea! 42 Scambio di saluti: e i tre Giudici vanno via. Si sente di nuovo picchiare alla comune. D’Andrea Chi è? Avanti. Marranca(tutto tremante) Eccolo, signor cavaliere! Che… che debbo fare?… D’Andrea Introducetelo. Marranca(tenendo aperta quanto più può la comune per tenersi discosto) Avanti, avanti… introdu cetevi… E come Chiàrchiaro entra, va via di furia. Rosario Chiàrchiaro s’è combinata una faccia da jettatore che è una meraviglia a ve dere. S’è lasciato crescere su le cave gote gialle una barbaccia ispida e cespugliuta, s’è insellato sul naso un paio di grossi oc chiali cerchiati d’osso che gli danno l’aspetto d’un barbagianni; ha poi indossato un abito lustro, sorcigno4, che gli sgonfia5 da tutte le parti, e tiene una canna d’India in mano con manico di corno. Entra a passo di marcia funebre, battendo a terra la can na a ogni passo, e si para davanti al giudice. 4. sorcigno: color grigio sorcio, topo. 5. gli sgonfia: gli cade addosso da tutte le parti perché troppo grande. Il piacere di leg g er e D’Andrea(con uno scatto violento d’irritazione, buttan do via le carte del processo) Ma fatemi il pia cere! Che storie son queste! Vergognatevi! Chiàrchiaro(senza scomporsi minimamente allo scatto del giudice, digrigna i denti gialli e dice sot tovoce) Lei dunque non ci crede? D’AndreaV’ho detto di farmi il piacere! Non facciamo scherzi, via, caro Chiàrchiaro! Sedete, sedete qua! (gli s’accosta e fa per posargli una mano sulla spalla) Chiàrchiaro(subito, tirandosi indietro e fremendo) Non mi s’accosti! Se ne guardi bene! Vuol perdere la vista degli occhi? D’Andrea(lo guarda freddamente, poi dice) Seguitate… Quando sarete comodo… Vi ho mandato a chiamare per il vostro bene. Là c’è una sedia: sedete. Chiàrchiaro(prende la seggiola, siede, guarda il giudice, poi si mette a far rotolare con le mani su le gambe la canna d’India come un matterello e tentenna a lungo il capo. Alla fine mastica) Per il mio bene… Per il mio bene, lei dice… Ha il coraggio di dire per il mio bene! E lei si figura di fare il mio bene, signor giudice, di cendo che non crede alla jettatura? D’Andrea(sedendo anche lui) Volete che vi dica che ci credo? Vi dirò che ci credo! Va bene? Chiàrchiaro(recisamente, col tono di chi non ammet te scherzi) Nossignore! Lei ci ha da credere sul serio, sul se-ri-o! Non solo, ma deve dimo strarlo istruendo il processo. D’Andrea Ah, vedete: questo sarà un po’ difficile. Chiàrchiaro(alzandosi e facendo per avviarsi) E allora me ne vado. D’Andrea Eh, via! Sedete! V’ho detto di non fare storie! ChiàrchiaroIo, storie? Non mi cimenti, o ne farà una tale esperienza… Si tocchi, si tocchi! D’Andrea Ma io non mi tocco niente. ChiàrchiaroSi tocchi, le dico! Sono terribile, sa? D’Andrea(severo) Basta, Chiàrchiaro! Non mi secca te. Sedete e vediamo d’intenderci. Vi ho fatto chiamare per dimostrarvi che la via che ave te preso non è propriamente quella che possa condurvi a buon porto. […] 43 Il piacere di leg g er e ChiàrchiaroIo mi sono querelato perché voglio il ricono scimento ufficiale della mia potenza. Non ca pisce ancora? Voglio che sia ufficialmente ri conosciuta questa mia potenza terribile, che è ormai l’unico mio capitale, signor giudice! D’Andrea(facendo per abbracciarlo, commosso) Ah, po vero Chiàrchiaro, povero Chiàrchiaro mio, ora capisco! Bel capitale, povero Chiàrchiaro! E che te ne fai? ChiàrchiaroChe me ne faccio? Come, che me ne faccio? Lei, caro signore, per esercitare codesta pro fessione di giudice – anche così male come la esercita – mi dica un po’, non ha dovuto pren dere la laurea? D’Andrea Eh sì, la laurea… ChiàrchiaroE dunque! Voglio anch’io la mia patente. La patente di jettatore. Con tanto di bollo. Bollo legale. Jettatore patentato dal regio tribunale. D’Andrea E poi? Che te ne farai? ChiàrchiaroChe me ne farò? Ma dunque è proprio defi ciente lei? Me lo metterò come titolo nei bi glietti da visita! Ah, le par poco? La patente! Sarà la mia professione! Io sono stato assas sinato, signor giudice! Sono un povero padre di famiglia. Lavoravo onestamente. Mi han no cacciato via e buttato in mezzo a una stra da, perché jettatore! In mezzo a una strada, con la moglie paralitica, da tre anni in un fondo di letto! E con due ragazze, che se lei le vede, signor giudice, le strappano il cuore dalla pena che le fanno: belline tutte e due; ma nessuno vorrà più saperne, perché figlie mie, capisce? E lo sa di che campiamo ades so tutt’e quattro? Del pane che si leva di bocca il mio figliuolo, che ha pure la sua famiglia, tre bambini! E le pare che possa far ancora a lungo, povero figlio mio, questo sacrificio per me? Signor giudice, non mi resta altro che di mettermi a fare la professione di jettatore! D’Andrea Ma che ci guadagnerete? ChiàrchiaroChe ci guadagnerò? Ora glielo spiego. Intan to, mi vede: mi sono combinato con questo ve stito. Faccio spavento! Questa barba… questi occhiali… Appena lei mi fa ottenere la paten te, entro in campo! Lei dice, come? Me lo do 44 Il piacere di leg g er e manda – ripeto – perché è mio nemico! D’Andrea Io? Ma vi pare? ChiàrchiaroSissignore, lei! Perché s’ostina a non credere alla mia potenza! Ma per fortuna ci credono gli altri, sa? Tutti, ci credono! Questa è la mia fortuna! Ci sono tante case da giuoco nel no stro paese! Basterà che io mi presenti. Non ci sarà bisogno di dir niente. Il tenutario della casa, i giocatori, mi pagheranno sottomano, per non avermi accanto e per farmene andar via! Mi metterò a ronzare come un moscone attorno a tutte le fabbriche; andrò a impostar mi ora davanti a una bottega, ora davanti a un’altra. Là c’è un giojelliere? Davanti alla vetrina di quel giojelliere: mi pianto lì (ese guisce), mi metto a squadrare la gente così, (eseguisce) e chi vuole che entri più a com prare in quella bottega una gioja, o a guar dare a quella vetrina? Verrà fuori il padrone, e mi metterà in mano tre, cinque lire per far mi scostare e impostare da sentinella davanti alla bottega del suo rivale. Capisce? Sarà una specie di tassa che io d’ora in poi mi metterò a esigere! D’Andrea La tassa dell’ignoranza! ChiàrchiaroDell’ignoranza? Ma no, caro lei! La tassa del la salute! Perché ho accumulato tanta bile e tanto odio, io, contro tutta questa schifosa umanità, che veramente credo, signor giudi ce, d’avere qua, in questi occhi, la potenza di far crollare dalle fondamenta un’intera città! Si tocchi! Si tocchi, perdio! Non vede? Lei è ri masto come una statua di sale! D’Andrea, compreso di profonda pietà, è rimasto veramente come un balordo a mirarlo. ChiàrchiaroSi alzi, via! E si metta a istruire questo pro cesso che farà epoca, in modo che i due im putati siano assolti per inesistenza di reato; questo vorrà dire per me il riconoscimento ufficiale della mia professione di jettatore! D’Andrea (alzandosi) La patente? Chiàrchiaro(impostandosi grottescamente e battendo la canna) La patente, sissignore! 45 Il piacere di leg g er e Non ha finito di dir così, che la vetrata della finestra si apre pian piano, come mossa dal vento, urta contro il quadricello e la gabbia, e li fa cadere con fracasso. D’Andrea(con un grido, accorrendo) Ah, Dio! Il cardel lino! Il cardellino! Ah, Dio! È morto… è mor to… L’unico ricordo di mia madre… Morto… morto… Alle grida, si spalanca la comune e accorrono i tre Giudici e Marranca, che subito si trattengono allibiti alla vista di Chiàrchiaro. TuttiChe è stato? Che è stato? D’AndreaIl vento… la vetrata… il cardellino… Chiàrchiaro(con un grido di trionfo) Ma che vento! Che vetrata! Sono stato io! Non voleva crederci e gliene ho dato la prova! Io! Io! E come è morto quel cardellino… (subito, gli atti di terrore de gli astanti, che si scostano da lui) così, a uno a uno, morirete tutti! Tutti(protestando, imprecando, supplicando in coro) Per l’anima vostra! Ti caschi la lingua! Dio, ajutaci! Sono un padre di famiglia! Chiàrchiaro(imperioso, protendendo una mano) E allora qua, subito, pagate la tassa! Tutti! I tre Giudici(facendo atto di cavar danari dalla tasca) Sì, subito! Ecco qua! Purché ve n’andiate! Per ca rità di Dio! Chiàrchiaro(esultante, rivolgendosi al giudice D’Andrea, sempre con la mano protesa) Ha visto? E non ho ancora la patente! Istruisca il processo! Sono ricco! Sono ricco! 46 (Tela) L. Pirandello, Maschere nude, Mondadori Il piacere di leg g er e