Liber - Mensa Italia
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Memento - rivista del Mensa Italia - n. 1/2004 Primo Concorso Letterario LiberAccademia L iber ed Accademia Alighieri bandiscono il loro Primo Concorso Letterario riservato a Soci del Mensa Italia. Termine ultimo per l’invio del materiale concorrente è il 31 dicembre 2004 (farà fede il timbro dell’ufficio postale accettante – si consiglia l’invio per raccomandata con ricevuta di ritorno). REGOLAMENTO Si richiede di essere in regola con la quota associativa 2004. Il concorso prevede tre sezioni: Poesia, Racconto, Teatro. E’ possibile partecipare con un massimo di tre racconti e/o quattro liriche a tema libero o una breve commedia teatrale. Gli elaborati devono essere inediti e mai presentati e/o premiati in altre manifestazioni interne o esterne al Mensa, né mai già letti pubblicamente e neppure già esposti dai rispettivi autori nelle proprie home page o in sezioni particolari di siti Internet o in concorsi letterari on line. L’assenza di uno dei presenti requisiti comporterà l’immediata squalifica del brano concorrente. Qualora lo desideri, ciascun concorrente può partecipare a tutte le sezioni, anche con il massimo numero dei brani consentiti per ciascuna sezione. Ciascuna lirica non deve superare una pagina dattiloscritta in corpo 12. Ciascun racconto non deve superare le quattro cartelle dattiloscritte (7200 battute). Tanto per i racconti che per le liriche è possibile, ma non obbligatorio, inviare anche delle illustrazioni autografe dell’autore stesso. Ciascuna commedia deve svolgersi in atto unico o in tre atti e non deve superare, qualora venisse messa in scena, un lasso di tempo che superi i circa 100 minuti. E’ possibile, ma non obbligatorio, presentare anche dei bozzetti sui costumi di scena e/o scenografici. Sarà data preferenza a quegli scritti che non facciano ricorso a parole e/o situazioni indecorose. I liber l decimo numero di Liber esce in questa nuova veste, accorpato all’interno del nuovo Memento. Liber resterà Liber, una sezione dedicata alle Vostre creazioni letterarie. E’ con questo editoriale che approfitto per richiamare la Vostra attenzione sul non ancora scaduto concorso letterario che Liber ha bandito a Tirrenia, concorso che scadrà il 31 dicembre 2004. I premi saranno consegnati al prossimo Convegno e saranno acquistati su misura, secondo i desideri esaudibili dei vincitori. Il bando lo trovate su questo e sul prossimo numero. Ne approfitto per un caro saluto a Dionisia Raimondi, che si è prestata a ricevere i Vostri invii. Vi ricordo la sezione speciale teatro e vi invito a partecipare, perché avremmo in progetto di far rappresentare per davvero l’opera vincitrice. Una buona lettura. Loredana Bua [email protected] Gli elaborati saranno valutati da una Giuria di Soci, in via di definizione. Inviare gli elaborati in busta - entro e non oltre il termine sopra indicato - a: 1° Concorso Letterario LiberAccademia (specificare la/le sezione/i cui si partecipa) c/o Dionisia Raimondi Corso Calatafimi 389 – 90129 Palermo. La busta deve contenere cinque copie anonime di ciascun elaborato, ed una autografa con nome e cognome dell’autore, residenza attuale e telefono. Galleria Liber Con lo stesso invio, s’intende resa implicita dichiarazione di paternità delle opere presentate. I nove vincitori saranno premiati durante il Convegno Nazionale del 2005 (i premi sono in via di definizione) e saranno infine pubblicati su Liber, il foglio letterario del Sig Accademia Alighieri. Elaborati meritevoli, anche se non risultassero vincitori effettivi, saranno presi comunque in considerazione per la pubblicazione su Liber. ! l’Altra Copertina “Composizione”, di Attilio Graffino C omposizione di architetture e paesaggi dai vivacissimi accostamenti cromatici, il dipinto di Attilio Graffino appare come un collage per niente disturbato dall’unione di più figurazioni senza apparenti legami. Quasi tutti i paesaggi presentano un’architettura, quasi un rudere che completi l’abbraccio della natura con la presenza della mano dell’uomo. La solarità felice dell’animo di Graffino si rivela nei colori vivaci, squillanti, solari, solo a tratti intorbiditi dal dialogo dei colori intrisi nella punta del pennello non completamente nettata dalla tinta precedente. La composizione a più riquadri ricorda i teleri su cui i cantastorie illustravano le novelle che andavano raccontando in giro, e così appare lo spirito di Attilio Graffino, una giovialità apparentemente bambina, semplicemente solare e dinamica, in quegli azzurri accesi o in quei calidi rossi e gialli. Loredana Bua Galleria Liber è uno spazio espositivo aperto alle vostre creazioni artistiche. Se volete, inviate a [email protected] le foto in formato gif o jpg. Saranno pubblicate (in 4ª di copertina) e commentate. 3 liber Sonno di Adriano Muzzi M io nonno era lì, disteso, immobile, calmo. Come non lo era mai stato, e sorrideva. Un sorriso appena accennato, le labbra piegate come in un disegno sfumato. Le mani erano poggiate sul suo panciotto adorato; da un taschino s’intravedeva la catenina d’argento dell’orologio a cipolla con cui avevo giocato tante volte. No, non stava affatto bene. Era di un pallido esagerato, come se l’unica fonte di luce fosse stata una debole Luna. Mia madre mi aveva assicurato che il nonno dormiva perché era molto stanco. Ma c’era qualcosa che non andava: tutti piangevano, quando mi passavano vicino mi carezzavano la testa e mi guardavano con occhi che galleggiavano nelle lacrime. Perché piangere se una persona dorme? Quando mi svegliavo nel mio lettino non avevo mai visto piangere mia madre e nemmeno il mio orsacchiotto Gimmy. Non c’è niente di male a farsi un riposino pomeridiano, no? Memento - rivista del Mensa Italia - n. 1/2004 Avevo paura, forse ogni volta che mi addormentavo, vicino al mio letto, si svolgeva quella processione di persone tristi vestite di nero. E io non avevo mai sentito niente. Ogni notte e ogni pomeriggio avevo fatto piangere tutta quella gente senza motivo. Spesso mi svegliavo con il sorriso, contento di riprendere i miei giochi, contento di ritornare con i miei genitori, contento di scappare da tutti i folletti che popolavano i miei bellissimi sogni. Da quel giorno non fu più la stessa cosa, il mio idillio con il letto cambiò radicalmente. Non volevo far male a nessuno, cercavo di dormire il meno possibile. Ogni tanto facevo finta di assopirmi, per poi aprire gli occhi improvvisamente per scovare quella processione di gente mormorante. Da quel giorno in cui mi nonno si addormentò, per poi non svegliarsi più, la paura del sonno fa parte della mia anima. Ancora oggi, mi addormento con il terrore di trasformarmi in una persona sorridente, con le mani raccolte sulla mia giacca preferita e un vecchio orologio a cipolla nel taschino. Canaletto Panorama del bacino di S. Marco LII di Mauro Lesti I miei filamenti Stanotte son rami rami indecisi rami incompresi i miei piedi radici abbozzati rizomi nudi Stanotte sarà mio dovere capire i poeti scenderne le gradinate dall’alto e confonderne la pietra 4 e sì amici poeti assopiti nel cuore e induriti dai sospiri fate presto! a tradurre le note in canzoni abbattute perché oggi ho deciso …vi infesto la notte! Dal Diario di un medico: Silvana di Cecilia Deni A veva un nome piccolo ed espressivo, che le stava bene addosso sia assieme al cognome che come diminutivo. Mi spiace doverlo sostituire con uno di fantasia che non esprimerà nulla di lei. Silvana. Vi sta bene Silvana? Dunque questa Silvana ve la dovete immaginare in buona salute, magra ed iperattiva, sulla sessantina, la sigaretta perennemente accesa, la testa di riccioli bianco azzurrini coronata dal fumo bianco azzurrino, la voce fonda e roca ma forte, stentorea, la risata rapida, pronta, la parola schietta e talvolta tagliente, l’intelligenza acuta, il realismo spiccato di chi appartiene alla terra e la religiosità profonda che consente, talvolta, di guardare alla morte senza timore. Dovete pensare ad una donna legata alla terra, in molti modi: intanto è nata sulla terra e vi è cresciuta, poi ancora ne vive: poderi, case, appartamenti, vigneti e quindi vino, frutta, barbabietole e grano, affitti. Tutti questi beni lei gestisce ed i proventi reinveste, sempre lontano dalla città. Anche gli appartamenti sono in piccoli centri della collina o della montagna, l’Appennino Emiliano. Vive agiatamente ma senza sprechi. Veste bene, ma senza sfarzo. Solo vero lusso, guida sempre una piccola auto sportiva, in genere una mercedes coupè. Non si è mai sposata, non ha figli, ma coltiva con entusiasmo le relazioni coi molti nipoti e figliocci, ormai adulti, sposati, con ulteriore produzione di figliocci e nipoti. Chi vive della terra ha l’abitudine consolidata a guardare avanti. Silvana vive profondamente nel presente, ma tiene l’occhio fisso sul futuro. Deve pensare alla terra, alla terra prima che a sé. Ah, se morire fosse un attimo! Basterebbe un buon testamento! Lei ha già individuato gli eredi, scegliendo dei buoni custodi per la terra ed i più biso- "" liber Memento - rivista del Mensa Italia - n. 1/2004 gnosi d’aiuto per gli appartamenti. Se morire fosse un lavoro facile e rapido – lei pensa a tutto come ad un compito, come ad un lavoro – sarebbe tutto facile: ecco il testimone, caro nipote, caro figlioccio, ora vai avanti tu ché io possa riposare. Ma così non è. Silvana l’ha visto, l’ha osservato: è un lavoro lungo il morire, il corpo non vuole, deve attraversare tutta la vecchiaia perdendo forze pian piano, o attraversare tutta la malattia, quale che sia quella che ti tocca in sorte, giorno dopo giorno, e mentre tu sei mano mano incapace, la terra è sola. Qualcuno potrebbe decidere di nominarti un tutore, qualcuno, da tutore, potrebbe vendere per monetizzare i fondi per la tua assistenza, alla faccia del tuo ragionato, ponderato testamento. Ora potete scegliere voi se Silvana fosse mossa da senso della responsabilità, come io credo, o da desiderio ossessivo di mantenere il controllo delle cose e del destino, delle persone e della terra, durante la sua vita e anche durante la sua morte. Non possiamo sapere cosa pensasse, ma posso raccontarvi cos’è accaduto. Tra i tanti nipoti c’è questa donna. Dolce, attenta, capace, delicata. Soprattutto fidata. Ha sposato un contadino, uno legato alle tradizioni per orgoglio ed anche per amore. Un o che coltiva e produce ancora il Montuni: quasi nessuno fa più il Montuni, ed il suo è pure buono. Il vino è buono, ma la terra rende poco. Da sempre la terra rende poco. Immaginatevi la vecchia casa colonica, quando questa era davvero campagna, terra agricola vicino ad un fiume, con la città ancora lontana, a mezza strada tra Borgo, Lavino e Zola. Una giovane sposa d’un contadino, coi figli, qualche annata non buona, il denaro dell’anno precedente va tenuto per lavorare il campo l’anno dopo, il resto soltanto è per la casa, per il cibo, per i bambini. La vita è difficile, è dura. Maria chiede aiuto alla zia. Lei aiuta. Ma, fedele al principio che fornire una rete è meglio che regalare un pesce, consiglia. “Certo, cara, capisco che vorresti lavorare, ma sei una donna di casa, una madre di famiglia. Ti servirebbe un lavoro che non ti porti lontano da qui, dalle tue mura, dai tuoi figli, dalla terra. Un lavoro ti serve, si, ma un lavoro buono, che ti renda denaro e che ti renda merito davanti al Signore. Ora, ascolta, cara, c’è questa famiglia, li conosci, sono ***, sono giovani, lavorano, hanno bambini, una casa piccola in cima a quattro piani di scale, la nonna s’è ammalata, lei dovrebbe lasciare il lavoro, una badante costa troppo, e poi dove metterla, se già i bimbi dormono in sala? In ospizio no, non ce la vorrebbero mandare, ma l’altro figlio non ne vuole sapere. La nonna ha una buona pensione, i figli potrebbero aggiungere qualcosa. Tu, Maria, il posto ce l’hai, al piano terreno, col tuo cortile qua fuori pieno d’ortensie e di rose, di basilico e pomodori. Pensa alla vecchia col suo bastone che esce a prendere, come un gatto, quel poco di sole, e guarda i tuoi bimbi che giocano, e ride, e le s’allarga il cuore. I vecchi vivono di poco, hanno già tanti vestiti e non seguono la moda. Dove c’è caldo per voi c’è caldo per lei; dove c’è luce per voi c’è luce per lei. La pensione non la consuma a mangiare, ma è bene che i vecchi mangino leggero, nutriente e caldo, proprio come prepari per i tuoi bambini. Un piatto in più: ecco, un piatto in più. Se non ti senti, se non ti va, per lei non ci sono altre strade: l’ospizio, la Villa ***, quei posti, anche belli, ma dove la mandria dei vecchi s’assottiglia ogni giorno ed ogni nuovo arrivo presto capisce d’essere lì per morire. Non più per vivere, solo per morire. Tutti insieme solo questo si vede e tra vecchi cosa c’è più da dire? Ai tuoi figli si, avrebbe senso raccontare le storie, consegnare il passato, a te potrebbe insegnare le ricette, aiutarti a dare un punto ai calzini. Che farebbe laggiù? Nulla, tempo vuoto, infinito nulla, preghiere ed estenuante attesa di morire.” Maria ascolta, attenta. Capisce. Non sottovaluta il lavoro: impegnarsi ad assistere un vecchio, può diventare una faccenda molto dura. Ci pensa. Comincia così la teoria dei nonni che vivono in casa con lei, come nonni, proprio, come parenti. In un borgo di campagna se risali indietro di due generazioni, tutti parenti siamo. Invariabilmente si tratta di uno zio, o di una zia, e così li chiamano i bambini: zio Nicola, zio Gianni, zia Isora, zia Clementina. Crescono bene i bimbi, agiati, amati e ben nutriti. Maria ringrazia ad ogni incontro la zia Silvana, e le dice quanto affetto, quante cose riceve, molto più di quel che dà. Quando Silvana compie sessant’anni prende da parte Maria e le spiega cos’ha deciso. Per lei, per i figliocci, per i nipoti. Spiega come e perché. Si, dice Maria, se Lei si fida di me, mi prendo l’impegno, va bene, si. Gira la ruota della sorte, gira, gira, e dove si ferma là è deciso. Vecchiaia? Morire sazio di lunghi anni? Demenza? Tornar bambini, capricciosi e disorientati? O perdere l’uso delle gambe, mantenendo intatta la mente? Sarà il respiro a peggiorare rendendoti ansimante e stanco, o sarà il cuore? La ruota gira, tu la guardi, non sai quando si fermerà, non sai dove si fermerà., Dopo il primo ictus Silvana è, miracolosamente oserei dire, ancora lucida ed in grado di parlare. Fa chiamare Maria, lei accorre, l’orecchio vicino alla bocca della zia, ascolta, annuisce, promette. Le istruzioni non sono lunghe, tutto è stato stabilito da tempo, il notaio ha una procura firmata, Maria si mette al lavoro. Nella notte, dopo poche ore, Silvana ha un secondo grave ictus, si produce un’estesa emorragia. I rianimatori sono bravi, forse troppo. Accanto a lei c’è Maria ogni notte, di giorno organizza una corvèe di donne fidate, mentre lei gira per uffici, organizza, in modo che alla terra non manchi un custode. Non si venderà nulla, non si perderà nulla, tutto il patrimonio giungerà alla lettura del testamento intatto. Nella casa di Maria si sbaracca il salotto, si fa spazio nella stanza migliore, si modifica il bagno accanto. E sorge un intoppo. Grazie al quale io posso oggi raccontarvi questa incredibile storia: il medico di Silvana dice “che? A domicilio? Lei è pazza, cara signora, questa malata è impossibile da assistere al domicilio. Io personalmente poi sono troppo lontano da casa sua, ma a parte questo non intendo assumere responsabilità in una decisione terapeutica e assistenziale che non condivido. Il posto giusto per la signora è una lungodegenza” "" 5 liber Così, non so per quali vie, Maria è arrivata da me. O meglio, ho un sospetto: pochi mesi prima avevo perso una paziente a duecento metri da casa sua, neoplastica terminale, allettata da mesi, assistita sempre a casa. Erano gli albori della assistenza domiciliare integrata, il primo caso a Bologna di ADI da dimissione ospedaliera. In campagna i vicini di casa si raccontano tutto, dal filo della tua biancheria vedono persino il colore dei calzini che porti. Lo so, è duro e faticoso leggere il resoconto di un duro e faticoso morire. Vorrei risparmiarvelo, e risparmiarmelo, soprattutto. Ma facciamoci coraggio, almeno un poco, e seguitemi a casa di Maria. Nella sala è stato sistemato il letto speciale, di tipo ospedaliero, con i comandi per sollevare la testata e la pediera, la carrozzina per gli spostamenti domestici, la maniglia per sollevarsi a capo del letto, il materasso antidecubito, il sollevatore per il wc. Tutta questa roba la forniamo noi come azienda sanitaria locale. La prima visita la faccio con un’infermiera del SID, troviamo Maria che cuce delle tende. Ha sistemato delle riloghe al soffitto, tutto intorno al letto, perché la zia ha fatto capire che desidera un po’ di riservatezza durante certe operazioni. Non capisco al principio come Maria ottenga tutte queste istruzioni da Silvana. Ci mette delle ore: piano piano le fa delle domande, Sil- Renza Morixe Veronica 6 Memento - rivista del Mensa Italia - n. 1/2004 vana stringe la mano per dire si, la ritrae per dire no. Quando si stanca, e succede presto, interrompono la conversazione e la riprendono dopo un riposo. Maria è contraria ai pannoloni, irritano la pelle: solo panni di lino, cambiati mille volte al giorno appena c’è un po’ d’umido. Sul materasso antidecubito una cerata felpata. Poi due strati di lenzuola, poi le traverse di lino. Tutti i giorni la lava tutta con olio per bambini, poi la strofina con un panno umido e caldo. Massaggia le zone a rischio di decubito con pasta all’ossido di zinco. Quella in commercio non la soddisfa, ha convinto le infermiere a lasciarle alcuni tubi della pasta al 33% prodotta dalla farmacia dell’ospedale. Per il resto del corpo usa una crema preparata apposta da un farmacista della montagna, da cui la zia si serve da anni. Quando la disfagia peggiora propongo una nutrizione parenterale. La porteremo avanti per qualche mese, fino a che Silvana deciderà di tornare ad una idratazione semplice perché la sacca ad elevato apporto calorico le procura degli effetti collaterali. Per otto mesi Maria dorme accanto a Silvana. Non so quanto dorma, per la verità. Di giorno si alternano alcune donne, talvolta una viene allontanata perché a Silvana non è gradita. Otto mesi: la primavera, l’estate, l’autunno. Silvana muore prima di Natale. ! Adriano Muzzi Nato nel 1966, Adriano Muzzi vive a Roma, dove lavora presso una società di telecomunicazioni. Appassionato di fantascienza – Asimov, Ridley Scott -, ha frequentato la scuola di scrittura creativa Omero di Roma. E’ stato insignito di una segnalazione al Premio Omelas 2001 per il racconto “La consegna”; è stato finalista al Premio Fantabassiano “Douglas Adams”2002 con il racconto “Dipendence Day”. Attualmente finalista al Concorso Galassia e al Concorso F. Brown, è recentemente diventato papà di una bellissima bambina e supera esami a spron battente a Scienze delle Comunicazioni. Non si contano più le sue partecipazioni ai concorsi di fantascienza e i riconoscimenti ricevuti: riempiremmo delle pagine di Liber! Su alcuni Liber, ha pubblicato il racconto breve Buon compleanno! e il suo il suo racconto fantastico “Mosé DVD” e Guerra. Qui, un altro suo componimento. Mauro Lesti Medico legale, Mauro Lesti è nato nel 1955 a Draga S. Elia (TS). Ha partecipato e vinto numerosi premi letterari e ricevuto numerose segnalazioni in altri concorsi —Premio Città di Novara, Platano d’Oro 1994, Trofeo Ketty Daneo 1996, Premio S. Marco Città di Venezia 2001. Ha pubblicato varie raccolte di poesie, fra cui Minimalia, Deragliamenti, Gli epiloghi, Amori ed altre cose di mare. La poesia qui riportata è tratta da Mimimalia, Firenze 1993. Cecilia Deni Medico di famiglia con un migliaio di pazienti sparsi prevalentemente tra Lavino ed il Reno, Cecilia Deni è nata in Sardegna nel 1957. Cresciuta tra il Sarrabus ed il Campidano, ha frequentato a Cagliari il liceo classico ed il biennio di Medicina. Trasferitasi a Bologna, vi ha conseguito la laurea nel 1984, insieme ad una specializzazione in Medicina dello Sport, un’abilitazione in psicoterapia che però non utilizza, il biennio di formazione in Medicina Generale e un particolare genere di Master in comunicazione. Sposata a un bolognese, ha due figli, che definisce “i grandi amori della mia vita”. Si dichiara lettrice accanita, compulsiva, e molto istintiva: dalla narrativa di genere, soprattutto FS, a quella per ragazzi, saggistica, fumetti, classici, poesia, teatro, umoristica, di tutto un bel po’. Tranne il tedesco, ha imparato i fondamenti delle principali lingue europee – francese più che bene, poi inglese e spagnolo – e dice di aver viaggiato poco per cronica mancanza di denaro. Ama ascoltare musica, andare a teatro, fare lavori manuali, soprattutto ricamo e falegnameria; si definisce cuoca passabile ma appassionata. Eclettica come spesso molti Soci del Mensa, si interessa di cure palliative, tanatologia, bioetica. Infine, dice di sé: “Sono irrimediabilmente e piacevolmente golosa e grassa.”