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Università di Bologna
Polo Scientifico Didattico di Rimini
Dipartimento di Discipline Storiche
imaGo
Laboratorio di ricerca storica e di documentazione iconografica
I percorsi
80’s Rules. Frammenti di immaginario e cultura giovanile negli anni Ottanta
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80's Rules
Frammenti di immaginario e cultura giovanile
negli anni Ottanta
di
Marcello Montini
1. Il postmoderno: una svolta epocale
Moderno, postmoderno e storicizzazione della contemporaneità
Si può dire che cercare di catturare l’universo giovanile degli anni Ottanta è un po’ come giocare
con il cubo di Rubik: spacca le meningi e mette a dura prova la pazienza. Non è facile. Si rischia di
perdersi. Tante etichette, tante sottoculture, tanti movimenti che scorrono e convivono a volte
parallelamente, a volte sovrapponendosi o intrecciandosi tra loro.
E’ un panorama giovanile vasto, eterogeneo e frammentato quello che fa da sfondo agli anni
Ottanta, ricco di novità ma anche di citazioni e riflussi. Un perfetto correlativo oggettivo di quel
termine, discusso e a volte abusato, ma ancora oggi così attuale, che è “postmoderno”.
Postmoderno, Postmodernismo, Postmodernità, se ne parla e se ne discute, se ne riparla e se ne
ridiscute puntualmente. Afferma Umberto Eco: «Malauguratamente “post-moderno” è un termine
buono à tout faire. Ho l’impressione che si applichi a tutto ciò che piace a chi lo usa» (U. Eco,
Postille a Il nome della rosa, Bompiani, Milano 1980, p. 528).
E ancora: «Penso all’atteggiamento post-moderno come a quello di chi ami una donna, molto colta,
e che sappia che non può dirle “ti amo disperatamente”, perché lui sa che lei sa (e che lei sa che lui
sa) che queste frasi le ha già scritte Liala» (Ivi., p. 529).
Il termine “postmoderno” sembra essere un sicuro e comodo contenitore che, ad hoc, si adatta a
molteplici e differenti contenuti. Un dispositivo “acchiappatutto”, un po’ come la moda. In
particolare il termine “postmoderno” sembra essere efficace per indicare tutto ciò che è ibrido, che
va oltre il bordo, che non vuole rientrare in un contenitore formalmente definito.
Più in generale i postmoderni, i cui nomi più rilevanti sono quelli di Foucault, Lyotard, Derrida,
Vattimo, pensano che la modernità sia giunta al termine, sia un epoca “finita” (come il Medioevo o
il Rinascimento), e ritengono pertanto che stiamo vivendo in un’epoca caratterizzata, rispetto alla
modernità, da alcune novità sostanziali.
Nell’architettura e nella letteratura il postmoderno adotta l’imitazione di stili diversi appartenenti al
passato e l’assemblaggio in uno stesso prodotto, di una molteplicità di stili. In filosofia si insiste,
invece, sulla crisi delle nozioni di “verità” e “fondamento”.
Secondo i postmoderni a metà circa del Novecento è iniziata una nuova epoca nella storia
dell’umanità, la cui portata rivoluzionaria è paragonabile alla rottura segnata dalla rivoluzione
economica, sociale e politica avvenuta fra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento. Si sarebbe
verificato quindi un cambiamento di tipo epocale: finita la modernità, sarebbe cominciata la
postmodernità, caratterizzata da nuove forme di produzione, da un nuovo immaginario collettivo, da
un nuovo modo di vivere il tempo, lo spazio e la quotidianità.Il filosofo Gianni Vattimo individua
nell’avvento della società della comunicazione uno dei grandi fattori determinanti per la fine della
modernità. Dichiara Vattimo: «Ciò che intendo sostenere è: a) che nella nascita di una società
postmoderna un ruolo determinante è esercitato dai mass media; b) che essi caratterizzano questa
società non come una società più “trasparente”, più consapevole di sé, più “illuminata”, ma come
una società più complessa, persino caotica; e infine c) che proprio in questo relativo “caos”
risiedono le nostre speranze di emancipazione» (G. Vattimo, La società trasparente, Garzanti,
Milano 1989). Secondo il filosofo, i mezzi di comunicazione di massa quali giornali, radio,
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televisione, sono stati determinanti nel produrre la dissoluzione dei “punti di vista centrali”, definiti
anche, dal collega francese Jean-François Lyotard, i “grandi racconti”.
Radio, televisione e giornali hanno contribuito, secondo Vattimo, a una moltiplicazione e
differenziazione di visioni del mondo, permettendo a minoranze di ogni genere, a culture e subculture di ogni specie, di prendere la parola e di presentarsi alla ribalta dell’opinione pubblica.
«Questa moltiplicazione vertiginosa della comunicazione, questa “presa di parola” da parte di un
numero crescente di sub-culture, è l’effetto più evidente dei mass media, ed è anche il fatto che […]
determina il passaggio della nostra società alla postmodernità. […] Non solo […] l’Occidente vive
una situazione esplosiva, una pluralizzazione che appare irresistibile, e che rende impossibile
concepire il mondo e la storia secondo punti di vista unitari» (Ivi).
Nel mondo dei mass media, parallelamente all’ampliarsi delle possibilità di informazione sulla
realtà, risulta sempre meno concepibile l'
idea stessa di una realtà che di fatto appare sempre più
spesso il prodotto delle molteplici immagini, interpretazioni, ri-costruzioni che i media stessi
distribuiscono.
Tuttavia, per Vattimo, questa vera e propria erosione del “principio di realtà” prodotta dai mass
media contiene in sé un’importante portata emancipativa. «Qui, l’emancipazione consiste piuttosto
nello spaesamento, che è anche, e nello stesso tempo, liberazione delle differenze, degli elementi
locali…il mondo della comunicazione generalizzata esplode come una molteplicità di razionalità
“locali” – minoranze etniche, sessuali, religiose, culturali o estetiche – che prendono la parola,
finalmente non più tacite e represse dall’idea che ci sia una sola forma di umanità vera da realizzare,
a scapito di tutte le peculiarità, di tutte le individualità limitate, effimere, contingenti. […] La
liberazione delle diversità è un atto con cui esse “prendono la parola“, si presentano, dunque si
“mettono in forma“ in modo da potersi far riconoscere» (Ivi).
Frammentazione e varietà nella moda e nell’universo giovanile
E’ nel corso degli anni Ottanta che prende forma una vera e propria letteratura scientifica scritta da
“postmodernisti” e sul “postmoderno”. E’ nel corso degli anni Ottanta che si consolidano al
massimo il panorama e il paesaggio postmoderni.
In questa dimensione fluttuante e indefinita dove tutto appare insofferente e incompatibile a barriere
e confini netti, definiti e definitivi, l’identità giovanile stessa appare come un qualcosa di fluo, in
divenire.
Un’identità multiforme e camaleontica che muta colore a seconda del contesto e dell’ambiente. Per
adattarsi all’ambiente o forse per difendersi dallo stesso. Un essere leggero e volatile, ma di una
leggerezza che può anche essere “insostenibile” come scrive Milan Kundera nel 1984.
E nel corso degli anni Ottanta i giovani sembrano veramente aver assunto tutte le identità possibili.
Interpretato tutti i personaggi possibili. Calcato tutte le scene. Vestito tutti gli abiti, le forme e i
colori a loro disposizione. Negli anni Ottanta c’erano tutti, ci sono tutti. Tutti sembrano aver avuto
il loro warholiano quarto d’ora di celebrità.
Una varietà umana e sociale di cui è ben cosciente, ad esempio, Pier Vittorio Tondelli che, nel
1980, nel suo romanzo d’esordio Altri libertini, testo generazionale che chiude il decennio del
Movimento e apre al vuoto pneumatico e caleidoscopico degli anni Ottanta, così scrive: «Ma il
cineocchio mio amerà , oooohhh se amerà la fauna di questi scassati e tribolati anni miei, certo che
l’amerà. L’occhiocaldo mio s’innamorerà di tutti, dei freak dei beatnik e degli hippy, delle lesbiche
e dei sadomaso, degli autonomi, dei cani sciolti, dei froci, delle superchecche e dei filosofi, dei
pubblicitari ed eroinomani e poi marchette, trojette, ruffiani e spacciatori, precari, assistenti e
supplenti, suicidi anco ed eterosessuali, cantautori et beoni, imbriachi, sballati, scannati, bucati e
forati. E femministe, autocoscienti, nuova psichiatria, antipsichiatria, mito e astrologia, istintivi
della morte e della conoscenza, psicoanalisi e semiotica, lacaniani, junghiani e profondi. Eppoi tutti
quanti gli adepti di Krishna, di geova, del Guru, del Brahamino, dello Yogi. Indi ogni discendenza,
bambini di Dio, figli di Dioniso Zagreo, nipotini di Marx, illegittimi di Nietzshe, pronipoti del
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Marchese, figlioletti delle stelle, sorelline di Lilitrh luna nera e fratellini di prometeo incatenato,
anche bastardini di Frankestein, abortini di Caligari, goccioline di Nosferatu. E ancora tutti quanti i
transessuali, i perversi, i differanti, i situazionalisti, gli edipici, i preedipici e i fissati, i masturbatori
e i segaioli, i corporali, i biologici, i macrobiotici, gli integrali, gli apocalittici, i funamboli, gli
animatori, i creativi, i performativi, i federativi, i lettristi, i brigatisti, i seminaristi, i fiancheggiatori,
i mimi e gli istrioni, i funerei, i piagnoni, i mortiferi e i bestemmiatori, i blasfemi, i boccaloni, i
grafomani e gli esibizionisti e i masochisti e tutta quanta quell’altra razza di giovani Holden e
giovani Törless, giovani Werther e giovani Ortis, giovani Heloise giovani Cresside, giovani
Tristani, giovani Isotte, giovani Narcisi e Boccadori, giovani Cloridani e Medori, giovani Euriali e
giovani Nisi, Romei e Giuliette. Eppoi nuovi trimalcioni e nuovi Hidalgo, autori da giovani, da
cuccioli e da scimmiotti, oppiomani, morfinomani, spinellatori, travoltini, trasversali, macondisti,
marginali, baleromani, jazzisti e reggomani, depressi, angosciati, nostalgici, dipendenti, studenti e
figli. Nonché stupratori viziosi e incannatori» (P. V. Tondelli, Altri libertini, Feltrinelli, Milano
1987, p. 190).
In questo gioco di ruoli, d’identità e di appartenenze, che così fortemente caratterizza gli anni
Ottanta, l’abito assume un valore e un’importanza cruciale per i giovani. Nel corso degli anni
Ottanta l’abito sembra essere indispensabile al processo di costruzione dell’identità individuale. Di
un look. L’abito certifica l’esserci in un certo contesto, in un definito ambiente, in un preciso
movimento. Il seguire uno specifico lifestyle. E’ segno di appartenenza. E’ strumento
imprescindibile e indispensabile per la performance del “corpo rivestito”. Corpo e identità risultano
perennemente in fieri, in continua costruzione, evoluzione e trasformazione. Questa condizione di
perenne mutamento ben si esprime nella quotidianità di Reality Nirvana Tuttle, la giovane
protagonista del romanzo Favolose nullità, di Lee Tulloch, un ritratto perfetto e irresistibile della
mondanità anni Ottanta: «Ma non vedete cosa c’è di tanto favoloso nella mia vita? Posso starmene
qui, io, Reality, alta un metro e sessantadue, piuttosto carina, con un corpo piacevole anche se
qualche miglioramento non guasterebbe e con i capelli un po’ trasandati, che non riesce a decidere
se siano corti o lunghi, platino o biondi, e tra mezz’ora posso uscire dalla porta sempre io, Reality,
ma alta un metro e settantasette, con una parrucca di Ann-Margret i cui riccioli mi scendono sulle
spalle sbattendo un paio di ciglia da Elizabeth Taylor che fanno sembrare i miei occhi verde palude
smeraldi a forma di mandorla (con l’aiuto supplementare di un paio di lenti a contatto colorate
Segreto delle Superstar) e il vestito corto anni Sessanta alla Kim Novak» (L. Tulloch, Favolose
nullità, Baldini Castoldi Delai, Milano 2004, p. 55). E ancora: «Tra mezz’ora potrei uscire dalla
porta sempre io, Reality, ma alta un metro e sessantaquattro, con un paio di stivaletti disco bianchi,
dei più deliziosi, un paio di calze a rete verde-lime e un mini-abito Op Art con delle spirali
psicadeliche viola e arancioni e un berretto spaziale di plastica con la visiera di lucite. Potrei uscire
dalla porta con una giacca di pelle da motociclista […] O potrei uscire con il più elegante dei
tailleur di tweed marrone New Look, una camicia di seta color crema e il colletto alla Peter Pan e i
guanti bianchi di camoscio intonati […] e una borsetta di vernice infilata al polso e un turbante di
feltro marrone con una grande spilla di perle infilata da una parte, e così sembrare agli occhi del
mondo una maestra di scuola con il vestito della domenica che va a una riunione revivalista. Posso
uscire dalla porta bruna, rosa, o Dalmata, se voglio. Posso avere capelli crespi africani o alla
maschietta come Louise Brooke o morbide onde artificiali che mi scendono di lato sul viso. Posso
avere labbra rosso-azzurro o innocenti labbra rosa. Strisce di eyeliner nero o folti ricci di mascara
blu. Un viso pallido come un fantasma o tutto cosparso di polverina d’oro. Un nastro di pois nei
capelli o un anello al naso. Posso essere una vamp, una vagabonda, uno spaventapasseri, trasandata,
moderna, post-moderna, Pop Art, disco, retrò, rococcò, go-go, zingara, New Wave, New Romantic,
New Look, Carnaby Street, Cossack, Bonnie e Clyde, direttorio, debuttante, esistenzialista, belle
époque, maggiorata, baby-doll, Barbarella, punk, post-punk, preraffaellita, persino preppy, se
voglio, il che non succede mai. Posso essere una qualunque di queste cose, e non so mai quale sarò
quando mi alzo alla mattina. E’ eccitante» (Ivi, p. 56).
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2. Dark, New Romantic e Yuppie
Il tentativo di analisi di classificazione di questi molteplici look, di questi diversi e differenti abiti–
divisa, rappresenta uno dei possibili percorsi che permettono di mettere ordine in questo intricato
groviglio di identità e sottoculture giovanili che popolano gli anni Ottanta. Prendiamone alcune:
quelle che generalmente occupano una posizione di spicco nella memoria e nell’immaginario
collettivo e che pertanto possono essere considerate più rappresentative di quell’epoca.
Rigorosamente in ordine alfabetico: Dark, New Romantic, Yuppie.
Il movimento Dark può essere considerato una declinazione, un prolungamento in stile gotico del
genere Punk. I giovani che nel corso degli anni Ottanta abbracciano la sottocultura Dark adottano
un total-look in cui domina rigorosamente il colore nero. Il nero domina nelle calze a rete, negli
stivaletti a punta, nelle unghie smaltate e nella matita per contornare occhi, sopracciglia e labbra.
Anche i capelli sono corvini, molto lunghi con la scriminatura centrale o rasati sulla nuca, con
ciocche sparse che cadono sulla fronte. L’atteggiamento dei giovani Dark appare disilluso e
nichilista, evidenziando una particolare attrazione verso suggestioni e atmosfere languide, decadenti
e, a tratti, funeree. Tutto ciò è ricercato nelle canzoni, come quelle dei The Cure e dei Sister of
Mercy, nei libri, come le opere di Edgar Allan Poe, di Charles Baudelaire o il Dracula di Brain
Stoker e nei film, dove prevale il genere horror ma anche quello d’autore e d’essai. Naturalmente la
dark wave ha anche le proprie icone di riferimento come la sepolcrale ed enigmatica Siouxsie
Sioux, il leader dei The Cure Robert Smith e Ian Curtis dei Joy Division.
Dal punto di vista dell’abbigliamento il genere New Romantic si caratterizza invece per un forte
eclettismo. I giovani che negli anni Ottanta ,prevalentemente in Inghilterra, a Londra, scelgono
questo stile, esibiscono un’immagine alquanto estrosa che può per certi versi apparire frivola ma
anche sognante, evocatrice e nostalgica, frutto dell’assemblaggio in uno stesso insieme degli
elementi vestimentari più differenti del presente e del passato. Il New Romantic porta alla ribalta
nel vestiario forme e stili di epoche passate, mischiando Medioevo, Ottocento e stile hollywoodiano
degli anni Trenta: abiti lunghi di raso, damaschi, broccati, jabot e stivali con fibbie dorate, basette
lunghe e codino col fiocco.
Ma anche tessuti paisley, veli da harem e gioielli che riflettono l’interesse verso un immaginario
esotico di epoca coloniale di cui la figura del pirata è emblema. E come è stato per lo stile Punk, è
ancora una volta Vivianne Westwood a legittimare e ufficializzare, dedicando proprio al “look
pirata” la sfilata parigina del marzo 1981, l’estroso genere New Romantic che in virtù del
“citazionismo”, del carattere “caricaturale” e della mescolanza degli stili diversi che lo
caratterizzano appare perfettamente in linea con l’orizzonte culturale di tipo postmoderno che
contraddistingue gli anni Ottanta.
Gli anni Ottanta rappresentano per il XX secolo un vero e proprio punto critico e di svolta che trova
una delle sue più importanti espressioni nell’assestamento progressivo di nuove strutture
economiche e sociali. Lo squilibrio tra gli abbienti e i meno abbienti, tra il potere e le persone, tra il
lavoro e il capitale aumenta in maniera vertiginosa e drammatica. Per milioni di persone la
disoccupazione si configura come una situazione di disagio permanente, piuttosto che come una
sventura passeggera. Nel frattempo, le leve dell’economia e della produzione continuano però a
premere sull’acceleratore verso un traguardo di continua crescita e prosperità. In questo clima di
generale e diffuso ottimismo emerge ben presto una nuova generazione, popolata di volti nuovi e
nuovi scenari, che produce e consuma seguendo ritmi e meccanismi diversi da quelli del passato.
Negli anni Ottanta uno dei nuovi possibili modelli da seguire sono gli Yuppie: cinici, orgogliosi,
ambiziosi, instancabili lavoratori ma privi di scrupoli e di lungimiranza, disposti a tutto pur di
conquistarsi un posto al sole. Per la yuppie culture il palcoscenico ideale su cui muoversi è la New
York anni Ottanta obnubilata dal denaro e in particolare Manhattan, lungo il sentiero di Wall Street,
tra uffici prestigiosi in cromo e specchi, locali esclusivi ma anche sale per sauna, fitness e squash.
Per gli Yuppie sono veri e propri status symbol di una condizione di privilegio sociale ed
economico i gadget e gli apparecchi tecnologici come scanner portatili, lettori per compact disk e
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cellulari. Altro elemento di distinzione e privilegio sociale è rappresentato dall’arredamento che
prevede oggetti ultracontemporanei e multifunzionali e mobili di design, con il comune
denominatore di essere, sempre e comunque sia, d’autore. La divisa dell’uomo di potere prevede
completi impeccabili, camice immacolate su cui si stagliano eleganti bretelle e con i polsini chiusi
da esclusivi gemelli, capelli impomatati all’indietro o con la scriminatura laterale e il sigarillo di
marca sempre acceso. Inoltre in quegli stessi anni le donne invadono quei territori che fino ad allora
erano stati riservati solamente agli uomini. In Italia Marisa Bellisario è la prima donna a diventare
amministratore delegato di una grande società come l’Itatel. Così nel corso degli anni Ottanta
l’abbigliamento e la moda femminili si arricchiscono di un nuovo importante imperativo: il “Dress
for success”.
Le donne ormai presenti nella vita lavorativa mirano sempre più alla carriera, pertanto, con un
abbigliamento adeguato, ispirato a determinate forme e caratteristiche del vestiario degli uomini,
rendendo così la donna invisibile come oggetto sessuale e sottolineandone piuttosto le sue
competenze e capacità anche maschili, fare carriera risulta più semplice. Nasce così per la donna il
“Business-look”, per il quale i designer di riferimento sono prevalentemente Giorgio Armani e
Donna Karan, composto da tailleur con gonna affusolata o a pieghe fino al ginocchio o eleganti
pantaloni con pience e un taglio moderatamente ampio e un lungo blazer con spalle larghe e
imbottite. I mercati borsistici di tutto il mondo vanno alle stelle nell’agosto 1987 prima del loro
strepitoso crollo due mesi più tardi. Il crollo delle borse del 19 ottobre 1987 è un evento
economicamente rovinoso, di impatto internazionale, che segna così il declino della yuppie culture.
Gli anni Ottanta sono un periodo in cui i meccanismi e le dinamiche dell’economica e del mercato
rendono possibile il guadagno di ingenti somme di denaro. In cima alla lista dei più ricchi ci sono
gli imprenditori, gli ambiziosi e sicuri capitalisti di ventura, ma anche gli immobiliaristi e i broker.
Molte persone riescono a fare soldi in abbondanza, si pagano sempre meno tasse nonostante i
guadagni siano sempre più elevati; i governi non sono mai stati così disposti ad ascoltare e
assecondare le linee e le esigenze del mercato e dell’economia. Sostanzialmente vi è la diffusa e
condivisa convinzione che con il denaro si possa comprare tutto, tranne forse l’anonimato che però,
paradossalmente, viene spesso vissuto come la peggiore delle condanne.
3. Lo sguardo sull’Italia
In Italia i primissimi anni Ottanta sono caratterizzati dal persistere di quel clima recessivo che aveva
già caratterizzato l’economia italiana negli anni precedenti.
Gli sviluppi futuri, non soltanto in relazione alla sfera economica, appaiono ancora incerti e
l’incubo degli “anni di piombo” continua a dominare.
Afferma Guido Crainz: «Incubo, la parola non sembri esagerata: dal 1978 al 1980 le vittime del
terrorismo di sinistra sono più di ottanta e ad esse vanno aggiunti i “combattenti armati” che
muoiono in scontri a fuoco o maneggiando esplosivi. Vi sono anche le vittime dell’ultima
esplosione del terrorismo neofascista: sono ottantacinque nella strage alla stazione di Bologna nel
1980, e in quello stesso anno altre otto persone vengono uccise dai Nar (Nuclei armati
rivoluzionari) e da altre organizzazioni armate di destra» (G.Crainz, Il paese mancato, Donzelli,
Roma 2003, p. 587).
Con l’allontanarsi degli “anni di piombo” la profonda crisi economica che grava sull’Italia sembra
progressivamente sfumare.
Tuttavia l’andamento della crescita economica non si presenta lineare: c’è una sorta di mini-boom
nel 1980 anche se poi «il 1982 e il 1983 si dimostrarono decisamente due anni neri per l’economia,
facendo registrare un tasso di crescita negativo dello 0,5 per cento e dello 0.,2 per cento
rispettivamente» (P. Ginsborg, Storia d’Italia dal dopoguerra a oggi, Einaudi, Torino 1989, p.
546).
Negli anni immediatamente successivi però l’economia italiana conosce una rapida e intensa ripresa
in tutti i settori. Questa ripresa è il risultato di una serie di fattori interni ed esterni particolarmente
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rilevanti: il positivo andamento dell’economia americana, il miglioramento dei tassi di crescita un
po’ in tutti i paesi d’Europa, l’aumento del volume complessivo degli scambi commerciali ma
soprattutto, all’interno del paese, la vittoria della direzione Fiat nello scontro sindacale del
novembre 1980 che «spostò definitivamente i rapporti di forza tra capitale e lavoro a favore del ceto
imprenditoriale» (Ivi, p. 547), il declino del terrorismo e la stabilità politica che sta dimostrando la
coalizione di governo guidata da Bettino Craxi. C’è un nuovo periodo di prosperità, una sorta di
secondo “miracolo economico” tanto che «il Pil crebbe ben oltre il 2,5 per cento annuo nel periodo
1983-87 di fronte a un ritmo annuo di crescita dello 0,85 per cento nel 1978-82“. (Ivi, p.548.)
L’inflazione passa “dal 20 % del 1980 al 6 % del 1987» (G.Crainz, Il paese mancato, cit., p. 592).
In particolare è proprio il 1982 l’anno in cui il paese sembra uscire dalla recessione avviando per
contro «una delle fasi espansive più lunghe, anche se non più intense, dell’economia italiana (e
delle economie europee): essa ha una sostanziale interruzione già nell’autunno del 1987, dopo il
crollo della borsa di New York, ma avrà definitivamente fine solo con la recessione internazionale
dei primi anni novanta» (Ivi, p. 591).
Verso la metà degli anni Ottanta l’Italia assume inoltre un ruolo preminente tra le grandi industrie
automobilistiche europee, sviluppando così una dimensione pienamente internazionale e allargando
nello stesso tempo la propria presenza a nuovi ambiti di attività.
«Risultati altrettanto buoni venivano fatti registrare da altri settori tradizionalmente “forti” quali le
aziende metalmeccaniche, l’industria dell’abbigliamento e il comparto calzaturiero; gli ultimi due
rami produttivi, in particolare, ricevettero enormi benefici dal crescente successo mondiale della
moda italiana» (P. Ginsborg, Storia d’Italia, cit., p. 548).
Inoltre in questi stessi anni nuovi personaggi si pongono alla guida del capitalismo italiano: Silvio
Berlusconi con il suo vasto impero di mass-media, Luciano Benetton nel settore dell’abbigliamento,
l’imprenditore Carlo De Benedetti e Raoul Gardini, leader di uno dei maggiori gruppi europei nella
produzione chimica e di fertilizzanti.
Tra il 1982 e il 1987 la compravendita di azioni diventa un fenomeno di massa e la Borsa di Milano
quadruplica progressivamente la propria capitalizzazione.
Le statistiche parlano di «più di tre milioni di italiani che investivano in borsa parte dei loro
risparmi. Si venne così a stabilire per la prima volta un collegamento diretto tra le note propensioni
al risparmio degli italiani e le principali aziende capitalistiche» (Ibid.).
Alla fine degli anni Ottanta l’Italia supera in termini economici la Gran Bretagna, diventando così la
quinta potenza industriale del mondo capitalista dopo Stati Uniti, Giappone, Germania Occidentale
e Francia.
Per quanto riguarda invece le relazioni che intercorrono tra famiglia e società, si può dire che la
tendenza che senza dubbio ha caratterizzato gli anni Ottanta è quella di una ripresa del familismo
da un lato e un interesse sempre più tenue per i problemi della collettività dall’altro. Nel corso degli
anni Ottanta, il declino dei valori collettivi e la vigorosa ricerca del benessere materiale da parte dei
singoli nuclei familiari, produce significativi mutamenti nella struttura e nelle dinamiche della
famigli italiana. «La famiglia in Italia, come ovunque in Europa, ha continuato a contrarsi: all’epoca
del censimento del 1981 la media era quella di tre membri per famiglia, una media che arrivava al
2,8 per cento nel Nord-Est e saliva al 3,3 per cento nel Sud. […]
In Italia il tasso di natalità è sceso progressivamente in misura avvertibile. Dopo il picco di nascite
raggiunto nel 1964 con 1.032.000 nati, si è gradualmente arrivati ai 552.000 nuovi nati del 1987, la
cifra più bassa tra tutti i maggiori paesi europei» (Ivi, p. 559).
Tuttavia sebbene le famiglie italiane stiano diventando sempre più piccole e più “nucleari”,
l’importanza e il valore dei legami parentali e familiari continuano a essere particolarmente sentiti
soprattutto dai giovani. «Due indagini condotte sui giovani tra i quindici e i ventiquattro anni
pubblicate nel 1984 e nel 1988, hanno mostrato che tutti i settori della gioventù italiana hanno
comunque messo in testa alla propria scala di valori la famiglia. L’impegno sociale e religioso e
l’attività politica risultano invece all’ultimo posto» (Ivi, p. 560).
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E’ necessario però incrociare questo forte sentimento di attaccamento alla famiglia con i grandi
mutamenti intervenuti nei ruoli e nelle esigenze dei suoi componenti.
Precisa al riguardo lo storico Paul Ginsborg: «E’ venuto avanti con sempre maggior forza un
processo di “individuazione”, una più netta differenziazione delle attività e dei consumi familiari a
seconda del sesso o dell’età; le donne hanno ridefinito in maniera drastica il proprio ruolo e le
proprie responsabilità nei confronti dei propri congiunti, i figli ricercano in misura crescente e a
un’età sempre più verde un loro spazio e una loro autonomia di iniziativa, e persino il ruolo dei
bambini è mutato in conseguenza del loro minor numero» (Ibid.).
La famiglia italiana, proprio a partire dagli anni Ottanta, sembra quindi muoversi su due binari
paralleli: da un lato la ricerca e la difesa dell’unità soprattutto per quanto riguarda la produzione del
reddito e l’individuazione delle strategie di fondo, dall’altro lato però i suoi singoli componenti
tendono sempre più a socializzare con i propri simili e in generale con il mondo esterno, prendendo
spesso strade diverse nella gestione del proprio tempo libero o nel modo di consumare le proprie
risorse.
Nel corso degli anni Ottanta i consumi assumono ritmi del tutto simili a quelli degli anni Sessanta.
«Molte inchieste segnalano che alla fine del decennio il 70 % degli italiani sembra rincorrere
soprattutto un “ consumo vistoso da inseguimento di status “: per essi, cioè, i consumi sono
largamente diventati “ un modo per innalzarsi al di sopra del proprio gruppo di appartenenza»
(G.Crainz, Il paese mancato, cit., p. 592).
In particolare «i negozi di abbigliamento e calzature hanno conosciuto uno sviluppo straordinario,
allo stesso modo dei rivenditori di mobili, televisori a colori, videoregistratori, personal computer e
giocattoli» (P. Ginsborg, Storia d’Italia, cit., p. 554).
Ad alimentare questo nuovo consumismo sono anche, e soprattutto, il peso crescente dei messaggi
pubblicitari e i modelli che essi propongono. In quegli anni infatti, si affermano progressivamente in
Italia le televisioni commerciali che diventano il principale e più efficace veicolo di
pubblicizzazione e divulgazione dei prodotti e delle merci.
«Telemilano – avviata qualche anno prima con più modeste pretese da Silvio Berlusconi – diventa
Canale 5 nel 1980, e fra 1980 e 1984 si delinea nella sostanza il “sistema Fininvest”: con
l’assorbimento delle potenziali concorrenti – Retequattro e Italia Uno-» (G. Crainz, Il paese
mancato, cit., p. 592).
Questa fase di particolare ottimismo e benessere coincide temporalmente e politicamente con il
lungo periodo di governo di Bettino Craxi anche se secondo Guido Crainz: «lungi dall’esserne
l’artefice, egli è tuttavia più capace di altri di “interpretarla” e di lasciarvi l’impronta» (Ivi., p. 593).
Bettino Craxi, segretario del Psi dal 1976 al 1993, è stato il primo presidente socialista del
Consiglio e capo del più lungo governo della storia della repubblica, dal 1983 al 1987.
Nei primi anni Ottanta Craxi abbandona l’ipotesi di contrastare l’egemonia del Pci - giunto alla sua
massima espansione sul finire degli anni Settanta parallelamente al progressivo annichilimento del
Psi che nel 1976, anno in cui Craxi ne assume la guida, aveva raggiunto i suoi minimi storici- sul
terreno delle idee «come inizialmente aveva pur fatto: con la critica dei versanti autoritari della
tradizione marxista, il rilancio del socialismo umanitario di Proudhon e la proposta di un approccio
liberal-democratico, più che libertario. Lascia cadere, anche, l’ipotesi di farsi portavoce di una
visione più “umana” della politica» (Ibid.).
Preferisce invece la più concreta strategia di affiancarsi alla Dc nell’occupazione dei gangli vitali
della politica e del potere e vi riesce grazie a due mosse indubbiamente abili: per prima cosa
«ridimensiona o sconfigge indocili alleati o potenziali concorrenti all’interno del Psi, diventando
leader incontrastato e incontrastabile. Poi ripropone con decisione la conventio ad excludendum nei
confronti del Pci, che la Dc sancisce prontamente: Craxi la utilizza nel modo più spregiudicato per
accrescere il prezzo di una collaborazione di governo ormai insostituibile» (Ibid.).
La fase successiva della strategia craxiana è la formula del “pentapartito” ovvero un’alleanza di
centro-sinistra, che però include anche i liberali, cioè i tradizionali e “storici” avversari del centrosinistra, di cui Craxi riesce a mettersene alla guida nel 1983.
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Tuttavia secondo Crainz la «strategia craxiana volta a impadronirsi di leve decisive dello Stato e
dell’economia non presenta grandi tratti innovativi. In fondo è […] una via perseguita in
rappresentanza di una “società civile” intesa come luogo dell’affermazione individuale, della scalata
sociale senza norme […] all’insegna di un “pragmatismo” povero di contenuti e sempre più
commisto a prassi degenerative. Esso si apre la strada a sciabolate all’ombra della conclamata “fine
delle ideologie”, si ammanta di una “modernità” in cui principi e regole si scolorano, e ha come
“fisiologico” risvolto l’affermarsi di un’ambizione disgiunta dai meriti. A questo non nobile frutto
della storia patria […] il “craxismo” da dignità e legittimazione» (Ivi, p. 594).
4. I Paninari
In Italia, nel corso degli anni Ottanta, uno dei fenomeni culturali, legati all’universo giovanile, che
assume maggiore rilievo è quello dei Paninari.
Il fenomeno dei Paninari è ascrivibile nell’alveo di quel complesso ed eterogeneo insieme di
sottoculture e movimenti giovanili che caratterizzano il decennio, con la peculiarità però di essere
un prodotto sostanzialmente “Made in Italy”.
Tutto nasce a Milano, circa vent’anni fa. Sono gli anni della “Milano da bere”, con la pubblicità
della Ramazzotti creata da Marco Mignani e la canzone “Birdland” dei Weather Report. La Milano
delle modelle, degli eccessi e degli scandali. La Milano delle feste e dei salotti. Le strade della città
si ripopolano dopo gli anni di piombo e Milano diventa ben presto centro della vita mondana e del
fashion system a livello internazionale.
E’ questo lo scenario nell’ambito del quale un gruppetto di ragazzi della borghesia bene da vita
all’ultimo fenomeno nostrano di massa: i Paninari, termine coniato da Enzo Braschi sul
palcoscenico del Drive In. «All’inizio si trovavano in via Turati al bar Cavour, qualcuno al bar
Vittorio di fianco al liceo-collegio Leone XIII. Altri ancora in via Vigoni e Piazza Santa Croce. Al
sabato si davano convegno tutti quanti al bar Al panino di piazzetta Liberty» (P. Apice, Paninari?,
in “Vogue Sport”, supplemento al N. 362 de “L’Uomo Vogue”-Luglio/Agosto 2005).
Punto di riferimento costante per tutti i Paninari, il fast food Burghy aperto in Piazza San Babila nel
1985.
Stesse abitudini e «sogni comuni come quello degli Stati Uniti, la vacanza estiva a Santa Margherita
Ligure oppure a Forte dei Marmi e quella invernale tra Courmayeur e Madonna di Campiglio, fanno
dei Paninari l’ultima generazione con il rito della grande compagnia» (Ibid.).
Nell’abbigliamento la marca assume, per i Paninari, un’importanza fondamentale e imprescindibile.
Il piumino Moncler, le calze a rombi Burlington, gli scarponcini da boscaiolo in cuoio giallo
Timberland, la cintura El Charro, gli occhiali da sole Ray-Ban, le felpe Best Company. Si crea un
meccanismo di identificazione totale tra marca, oggetto d’abbigliamento e chi lo indossa. In
sottofondo il ritmo lento e melodico di “Reality” (colonna sonora del film cult Il tempo delle mele)
ma anche i “brani-tormentone” dei Righeira. Dal punto di vista musicale gli anni Ottanta possono
essere considerati uno dei decenni più deboli che si siano mai vissuti. Si registra in linea generale
una certa involuzione del genere musicale Rock di contro a una forte e diffusa affermazione dei
generi New Wave e Pop. In quegli anni, infatti, da un lato esplodono fenomeni destinati a esaurirsi i
breve tempo, meteore, come i Curiosity Killed the Cat ( promossi da Andy Warhol ) e gli Europe,
Sandy Marton e Sabrina Salerno. E d’altro lato, quello stesso decennio, vede però nascere realtà che
ancora oggi sono ai vertici delle charts mondiali come Madonna, gli U2, i Depeche Moode e i
Simple Minds. Si potrebbe considerare lo stile di vita dei Paninari un po’ “menefreghista”. Uno stile
di vita sostanzialmente estraneo alle ideologie, anche se i Paninari vengono considerati di destra,
che si pone sulla scia del diffondersi di quell’atteggiamento autoindulgente che verrà poi bollato
come “edonismo reganiano”.
Tramontata, con la fine degli anni Settanta, l’epoca della politicizzazione, del protagonismo
collettivo, della ricerca della felicità sociale e delle grandi battaglie ideologiche, si apre, con gli anni
Ottanta, l’epoca della felicità individuale, dell’affermazione personale, della fine degli steccati e dei
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ruoli consolidati. Ronald Regan, eletto presidente negli Stati Uniti nel 1980 e Margaret Thatcher, la
“Lady di ferro”, confermata Primo Ministro in Gran Bretagna alle elezioni legislative del 1983,
avviano la rivoluzione del libero mercato che ha come principale effetto collaterale quello di
riabilitare la ricchezza e legittimarne l’ostentazione.
In questo contesto “edonismo reganiano” diventa un’etichetta, uno slogan, per indicare la
“democratizzazione del frivolo”, la collettiva e affannata corsa alla ricerca del piacere e del
benessere, l’ossessiva esaltazione e celebrazione dell’immagine, del bello e dell’effimero che
caratterizzano proprio quegli anni.
5. Nuovi miti: rappresentazioni dell’immaginario collettivo giovanile negli anni Ottanta
Madonna, specchio degli anni Ottanta
Un esempio particolarmente indicativo della cultura del narcisismo, della celebrazione dell’Io
soggettivo, dell’individualismo, della volontà di autoaffermazione e del desiderio stesso di
esibizionismo che pervadono e caratterizzano gli anni Ottanta, è la popstar Madonna, diventata
famosa nel 1982 con il suo primo LP dal titolo omonimo Madonna. L’artista assembla nella sua
immagine gli elementi più differenti, gioca con tutti i tabù e cliché più comuni, presenta il suo corpo
come un qualcosa di estremamente sessualizzato e, nello stesso tempo, costruito. Il corpo di
Madonna è il risultato di aerobica, body building e diete: tutto questo non viene nascosto ma messo
in mostra ed esibito. E’ un corpo costruito, non “naturalmente e autenticamente femminile”.
Madonna, meglio di qualunque altra star dell’epoca, riesce a impersonificare il credo anni Ottanta
secondo cui è possibile modellarsi e diventare ciò che si vuole e si desidera. Diete, culturismo e
altre forme di esercizio fisico rappresentano mezzi idonei per raggiungere un “Io” ideale, che
significa un corpo e un immagine ideali. Madonna incarna all’epoca anche il desiderio comune di
autodeterminazione e autoaffermazione: ha deciso fin dall’inizio della carriera che sarebbe
diventata una grande star e riesce a raggiungere la meta attraverso un duro lavoro e una tenace e
inossidabile ostinazione. Autentico “spirito dionisiaco” Madonna si è sistematicamente ricostruita,
reinventando il suo stesso passato e la sua stessa immagine. Ha organizzato e riorganizzato,
disegnandolo al tavolino, il suo stesso culto, ha costruito e, di volta in volta, ricostruito il suo stesso
mito riuscendo così ad essere sempre attuale e a mantenere una presenza costante e inalterata, oggi
come allora, non soltanto nelle top ten discografiche o nell’attenzione e nell’interesse dei media, ma
anche e soprattutto nell’immaginario collettivo internazionale.
I giovani degli anni Ottanta nei romanzi di Ellis e McInerney
Un ritratto della realtà giovanile sullo sfondo degli anni Ottanta pervasi di edonismo reganiano è
rappresentato dalle opere di due celebri scrittori americani ritenuti entrambi eredi della tradizione
americana del minimalismo: Bret Easton Ellis e Jay McInerney.
Nei romanzi di entrambi gli autori, le vicende raccontate difettano di un preciso e definito sfondo
storico anzi, la Storia, quella con la “S” maiuscola, sembra dissolversi nel “continuum” esistenziale
della narrazione riallacciandosi, in questo, alle interpretazioni sulla “fine della Storia “, intendendo
con tale espressione la fine dei grandi eventi epocali.
Tutto ciò riflette uno dei principali aspetti che caratterizzano e contraddistinguono dal punto di vista
storico, culturale e concettuale la dimensione postmoderna. A tal proposito Vattimo afferma:
«Anzitutto: parliamo di postmoderno perché consideriamo che, per qualche suo aspetto essenziale,
la modernità è finita. […] Ebbene, la modernità, nella ipotesi che propongo, finisce quando – per
molteplici ragioni – non appare più possibile parlare della storia come qualcosa di unitaria. Una tale
visione della storia, infatti, implicava l’esistenza di centro intorno a cui si raccolgono e si ordinano
gli eventi. […] La filosofia tra Ottocento e Novecento ha radicalmente criticato l’idea di storia
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unitaria proprio svelando il carattere ideologico di queste rappresentazioni.[…] Così […] la storia
come corso unitario è una rappresentazione del passato costruita dai gruppi e dalle classi sociali
dominanti, […] ciò di cui parla la storia sono le vicende della gente che conta, dei nobili, dei
sovrani, o della borghesia quando diventa classe di potere: ma i poveri, o anche gli aspetti della vita
che vengono considerati “ bassi”, non “fanno storia”. Se si sviluppano osservazioni come questa
[…] si arriva a dissolvere l’idea di storia come corso unitario; non c’è una storia unica, ci sono
immagini del passato proposte da punti di vista diversi, ed è illusorio pensare che ci sia un punto di
vista supremo, comprensivo, capace di unificare tutti gli altri» (G. Vattimo, La società trasparente,
cit.).
Con i romanzi Meno di zero (1985) e Le regole dell’attrazione (1987), Ellis tenta la
rappresentazione di tematiche che generalmente vengono ritenute caratteristiche del mondo
giovanile di quegli anni: il vuoto spirituale, l’assenza di valori e significati, la demotivazione, la
debolezza, l’abulia e i fallimenti propri di «giovani ingannati da false ambizioni e da sbagliate
speranze» (F. Pivano, Introduzione a J.McInerney, Com’è finita, Bompiani, Milano 2002, p. 5), che
portano a etichettare la generazione dei giovani degli anni Ottanta come “Non Generation”. In una
Los Angeles illuminata dai bagliori spettrali dei videoclip e svuotata di ogni sentimento, Ellis
tratteggia la vita e la quotidianità di giovani ricchi e viziati che hanno tutto e non desiderano più
niente. Giovani borghesi americani, belli e dannati, edonisti e decadenti, che malgrado gli agi, la
vita mondana, la prestanza fisica e una condizione di privilegio economico e di prestigio sociale,
consumano le loro giornate in un profondo stato d’angoscia. In uno stato di “vuoto pneumatico” e di
assenza totale di valori e significati. Anche nei romanzi di McInerney i protagonisti sono giovani
ribelli dell’upper class. Nella caotica New York degli anni Ottanta, fra droga, depressioni, modelle,
stilisti, sesso e yuppies, lo scrittore racconta esistenze in cui dominano, ancora una volta,
l’edonismo, la ricerca del piacere, il vuoto dei valori. In romanzi come Le mille luci di New York
(1984) o Tanto per cambiare (1989), McInerney ritrae generazioni e classi sociali allo sbando. In
una realtà affollata di droghe, yuppies e celebrità, i giovani protagonisti dei romanzi, appaiono vuoti
e senza direzione, in preda alla cocaina, al denaro facile e al sesso promiscuo. In questa dimensione
dorata ma spesso infelice, dove alla patina scintillante dell’apparenza è sottesa una condizione, sia
individuale che collettiva, di amoralità e devastazione interiore che sconfina presto nell’orrore e
nella violenza, è possibile quindi scorgere i tratti di una società di fine millennio che sembra aver
trovato nuovi miti da celebrare e nuove stelle nel suo firmamento: top model, stilisti, effimere star
del rock, del cinema e della televisione, droghe, vestiti firmati ma anche cinismo, arrivismo, fama,
successo e tanti, tanti dollari. D’oro o di fango, barocchi o di plastica, esagerati o banali, maledetti o
scintillanti, gli anni Ottanta rappresentano per i giovani una tappa fondamentale per la creazione e il
consolidamento di una vera e propria cultura giovanile che, iniziata negli anni Cinquanta e poi
esplosa negli anni Sessanta, s’impone fortemente proprio durante gli anni Ottanta. I giovani
dispongono in quel periodo di una maggiore quantità di denaro rispetto al passato, sono
generalmente meno inibiti e soprattutto presentano un corredo di sogni, desideri, ambizioni ed
esigenze da soddisfare e realizzare alquanto vasto ed eterogeneo. In tutte le più importanti città,
parallelamente ad una vita diurna, si afferma una vita notturna che segue proprie regole e specifici
rituali e comportamenti. Per molti giovani il ballo e la frequentazione di club e discoteche
diventano il fulcro della vita sociale e del tempo libero. Nei frenetici anni Ottanta il mondo in
generale sembra essere in mano a chi è disposto a lavorare e giocare duro e la vita stessa, sembra
appartenere a chi è pieno di energia e i giovani di energia in quel momento ne hanno da vendere.
Ma soprattutto, nel corso degli anni Ottanta, i giovani sembrano godere di una libertà d’azione e
d’espressione senza precedenti, che pone inevitabilmente l’attenzione sugli effetti e sulle
conseguenze di questa libertà sempre più totale e totalizzante. Scrive Ellis: «Cos’è giusto? Se si
vuole una cosa è giusto prendersela. Se si vuole fare una cosa è giusto farla» (B.E. Ellis, Meno di
zero, Einaudi, Torino 1996, p. 169).E ancora: «C’è troppa libertà […] che cosa fare quando si può
fare più o meno tutto quello che si vuole? Che cosa si ricava? Che cosa importa?» (Ibid.).
E’ forse questa l’essenza dell’universo giovanile degli anni Ottanta?
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Riferimenti bibliografici
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2005.
Calanca D., Storia sociale della moda, Mondadori, Milano 2002.
Crainz G., Il paese mancato, Donzelli, Roma 2003.
Eco U., Postille a Il nome della rosa, Bompiani, Milano 1980.
Ellis B.E., Le regole dell’attrazione, Einaudi, Torino 1997.
Ellis B.E., Meno di zero, Einaudi, Torino 1996.
Ginsborg P., Storia d’Italia dal dopoguerra a oggi II, Einaudi, Torino 1989.
Frisa M.L. e Tonchi S. (a c.d.), Excess-Moda e underground negli anni ’80, Charta, Milano 2004.
Laver J., Moda e costume, Rizzoli, Milano 2003.
Lehnert G., Storia della moda del XX secolo, Könemann Verlagsgesellschaft mbH 2000.
McInerney J., Tanto per cambiare, Bompiani, Milano 1989.
McInerney J., Le mille luci di New York, Bompiani, Milano 2001.
McInerney J., Com’è finita, Bompiani, Milano 2002.
Tondelli P.V., Altri libertini, Feltrinelli, Milano 1987.
Tulloch L., Favolose nullità, Baldini Castoldi Dalai, Milano 2004.
Vattimo G., La società trasparente, Garzanti, Milano 1989.
Yapp N., 1980s, Könemann 2004.
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