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1 i servizi demografici 5 2009 1 i servizi
1
I SERVIZI DEMOGRAFICI 5 2009
Consiglio
di Redazione
Renzo Calvigioni direttore
Dante Buson
Nicola Corvino
Alessandro Francioni
Romano Minardi
Liliana Palmieri
Sereno Scolaro
Direttore
Responsabile
Manlio Maggioli
Comitato Scientifico
Mario Ciclosi
Vice capo Dipartimento Vicario
per le libertà civilie l’immigrazione
Francesco Colacicco
Segretario generale
della Provincia di Roma
Antonio Cortese
Docente universitario
Ignazio Del Castillo
Procuratore generale Corte
dei Conti Emilia-Romagna
Claudio Galtieri
Procuratore Regione ToscanaCorte
dei Conti
Paride Gullini
Presidente Anusca
Benedetto Leone
Dirigente Istat a r.
Giovanna Menghini
Direttore centrale per i servizi
demografici, Ministero dell’interno
Paolo Morozzo della Rocca
Ordinario di diritto privato,
Università degli Studi di Urbino
Vittorio Novelli
Presidente Inforav
Annapaola Porzio
Direttore dell’Ufficio
per l’Amministrazione Generale
del Dipartimento della Pubblica
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dell’interno
Umberto Realfonzo
Consigliere T.A.R.
Sergio Santi
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SOMMARIO 1.2 | 2011
HANNO COLLABORATO
A QUESTO NUMERO
DANTE BUSON
Responsabile servizi demografici
del Comune di Lendinara
RENZO CALVIGIONI
Responsabile servizi demografici
del Comune di Corridonia
UMBERTO COASSIN
Esperto e collaboratore
Ufficio stampa Anusca
ANTONIO CORTESE
Docente di metodi statistici
di valutazione delle politiche
PATRIZIA DOLCIMELE
Vicesegretario del Comune
di Baranzate
AlessandrO Francioni
Responsabile dell’innovazione
nella p.a. di Anusca
MICHELA LATTARULO
Vice Prefetto, dirigente Area I,
Anagrafe della popolazione
residente
ROMANO MINARDI
Responsabile servizi demografici
del Comune di Bagnacavallo
LILIANA PALMIERI
Responsabile servizi demografici
del Comune di Treia
SERENO SCOLARO
Libero professionista
4 EDITORIALE
Dal successo di Merano,
nuovi slanci per affrontare
le difficoltà quotidiane
Renzo Calvigioni
STUDI E PROPOSTE
6
La correzione degli errori
nella formazione degli atti
di stato civile
Renzo Calvigioni
10 La potestà regolamentare
del comune in materia
di voltura della concessione
cimiteriale e di edificazione
del sepolcro
Dante Buson
14 Il “cognome” dei Sikh.
Che accade quando
divengono italiani?
Sereno Scolaro
17 L’elettorato attivo e la tenuta
delle liste elettorali: norme
generali e proposte
di semplificazione
Umberto Coassin
ATTUALITà
nel prossimo censimento
demografico
Antonio Cortese
23 Il ruolo dei rilevatori
26 Divieto di propaganda
elettorale.
Lacuna colmata
o provvedimento discutibile?
Patrizia Dolcimele
28
DIREZIONE CENTRALE
PER I SERVIZI DEMOGRAFICI
a cura di Michela Lattarulo
La delega delle funzioni
di ufficiale di stato civile
e di anagrafe alla luce
del parere del Consiglio
di Stato n. 2864/2010
31 GIURISPRUDENZA
a cura di Dante Buson
INNOVAZIONE
38 Due anni di timbro digitale
per la certificazione
anagrafica
Alessandro Francioni
GESTIONE FUNERARIA
E CIMITERIALE
41 Il punto
42 Quesiti e lettere
43 QUESITI
PRATICA
47 Speciale imposta di bollo
Certificati anagrafici richiesti
da avvocati per uso notifica
atti giudiziari nell’ambito
di procedimenti penali o civili
Liliana Palmieri
Romano Minardi
SCADENZARIO
56 Marzo
59 LEGISLAZIONE
Collaborazioni
Per l’invio di articoli o approfondimenti:
[email protected]
oppure
Redazione “I servizi demografici“
via del Carpino, 8 – 47822
Santarcangelo di Romagna (RN)
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fax. 0541 622778
E ATTI UFFICIALI
4
EDITORIALE
Dal successo di Merano, nuovi slanci
per affrontare le difficoltà quotidiane
di Renzo Calvigioni
Nonostante sia passato un po’ di tempo, tanto da lasciar sfumare l’euforia, è ancora troppo vivo il ricordo dello straordinario successo del 30° Convegno Anusca per non farne almeno un breve cenno. Vi era una grande
fiducia sul numero dei partecipanti, sulla riuscita della manifestazione, sul livello delle iniziative, delle relazioni, degli interventi e dei dibattiti, ma i risultati finali sono andati ben oltre le più rosee aspettative.
Sono state sfiorate le 1700 presenze complessive, la sala principale ha sempre registrato il tutto esaurito, le
salette collaterali, comprendendo anche quella dedicata ai quesiti, sono state letteralmente prese d’assalto, la
soddisfazione dei partecipanti era tangibile sin dal primo giorno, sia riguardo allo svolgimento del Convegno
sia, aspetto pure importante, al livello di ospitalità di Merano, all’accoglienza degli alberghi, senza dimenticare i momenti di svago e di intrattenimento organizzati, come sempre, in maniera impeccabile.
Sono stati 4 giorni densi di appuntamenti, di approfondimenti e confronti che hanno catturato totalmente
l’attenzione dei partecipanti, durante i quali si è parlato di stato civile, di anagrafe, elettorale, censimento,
documentazione amministrativa, con tutte le riflessioni possibili, ma nel corso dei quali non è mancata la
parte celebrativa per i 30 anni di vita dell’Associazione, a fianco degli operatori verso traguardi sempre più
importanti. Le attestazioni nei confronti di Anusca sono arrivate dagli enti ed istituzioni pubbliche presenti,
dai rappresentanti del governo e, in particolare, dal Sottosegretario Sen. Michelino Davico, dai Prefetti e dalle
tante autorità che non hanno fatto mancare la loro attenzione e che il Presidente Gullini ha ringraziato, nel
suo discorso di apertura, menzionandole tutte. I lavori del Convegno sono stati nobilitati dagli interventi di
illustri docenti universitari, avvocati, alti funzionari ministeriali ed esperti nelle diverse tematiche affrontate:
tutte le esposizioni sono state di livello elevato, toccando aspetti di grande interesse che hanno letteralmente
calamitato l’attenzione dei tanti operatori presenti. Ancora una volta, l’elemento rilevante è stata la partecipazione attiva degli addetti che non solo hanno ascoltato le relazioni, ma si sono interessati realmente a
quanto veniva proposto nei diversi stand espositivi, hanno sollevato quesiti ed alimentato il dibattito, fino alla
giornata conclusiva nella quale, nonostante la preoccupazione di non mancare gli orari di partenza dei diversi
mezzi ai quali ognuno si era affidato per il ritorno, si è ancora registrata un folta presenza in sala, a chiusura
di un programma sicuramente valido anche nella scelta dell’appuntamento finale.
Gli entusiasmi del Convegno sono serviti e ancora serviranno per darci quella forza, quell’impeto necessario
per affrontare le difficoltà quotidiane nei nostri uffici, le (croniche) carenze di personale, le attrezzature
informatiche che invecchiano o che mancano, i cittadini sempre più aggressivi ed intolleranti, l’afflusso di
pubblico sempre più numeroso, gli adempimenti che crescono, la semplificazione che resta ancora un miraggio (almeno quella che produce una reale diminuzione delle procedure). Sappiamo che ci attende un anno
difficile nel corso del quale, oltre a qualche possibile tornata elettorale, saremo fortemente impegnati per le
operazioni del 15° Censimento generale delle popolazione e delle abitazioni, che la farà da padrone per tutto
il 2011 ed i cui adempimenti continueranno anche nel 2012 nel confronto ed aggiornamento dello schedario
anagrafico.
Pure in una situazione che sarà sicuramente problematica, aggravata dai tagli alle spese e dalle riduzioni
dei finanziamenti, dovremo mantenere un adeguato livello di professionalità ed uno standard di efficienza
I SERVIZI DEMOGRAFICI 12 2010 ■ editoriale
almeno soddisfacente: diviene ancora più indispensabile non far mancare adesione e supporto ad Anusca,
affinchè possa sostenere – per quanto è possibile – le nostre posizioni e suggerire strumenti e programmi che
possano essere realmente di aiuto agli operatori negli adempimenti quotidiani. In questo, non possiamo non
concordare con il Presidente Gullini nel sostenere il rilancio dell’INA-SAIA quale strumento concreto per la
semplificazione dell’attività amministrativa, nel chiedere a gran voce un nuovo Regolamento Anagrafico che
riconosca e valorizzi il ruolo dell’anagrafe quale base reale per avere il quadro vero della dislocazione della
popolazione nel territorio, riconoscere il ruolo degli ufficiali di anagrafe ed elettorale, accrescere l’importanza dell’Accademia nell’ambito della formazione, ricordando che si tratta della seconda in Europa e, quindi, di
un’esperienza di grandissimo rilievo che ci pone all’avanguardia in ambito comunitario.
Si tratta di obiettivi che debbono coinvolgere tutti gli operatori, senza distinzioni tra piccoli e grandi comuni, perchè dalla loro realizzazione, totale o parziale, ne uscirà tratteggiata la figura dell’operatore dei servizi
demografici per i prossimi anni: in questa fase, non possiamo permetterci errori o passi falsi ed è ulteriore
motivo per dare sostegno all’Associazione, per aumentarne la forza rappresentativa della nostra categoria,
verso un impegno comune che porti al riconoscimento delle funzioni svolte.
5
STUDI E PROPOSTE
6
La correzione degli errori
nella formazione degli atti
di stato civile*
di Renzo Calvigioni
Responsabile servizi demografici del Comune di Corridonia
Perché parlare ancora di errori e di correzioni in
un Convegno nel quale vengono toccati temi
ed argomenti di grande rilevanza? In realtà,
il suggerimento è arrivato dalla frequenza dei
quesiti posti dagli ufficiali di stato civile, che
hanno continuato a sollevare dubbi e segnalare
difficoltà nel dare attuazione alle disposizioni
dell’art. 98, primo comma, del d.P.R. 396/2000.
Questa norma ha rappresentato sicuramente
una delle innovazioni rilevanti del Regolamento
di stato civile del 2000, ma ha incontrato
difficoltà e diffidenza da parte degli ufficiali di
stato civile, tanto da suggerire un’applicazione
molto restrittiva, non solo inizialmente ma fin
quasi al 2008, quando è intervenuto il Ministero
dell’interno con nota F/397 - prot. n. 5999 del
4 giugno 2008, con oggetto “Comunicazione
urgente in tema di applicabilità dell’art. 98,
comma 1 del d.P.R. n. 396/2000. Interpretazione
estensiva” per mezzo della quale sono state date
indicazioni favorevoli ed un utilizzo più ampio
e sicuramente più rispondente alle intenzioni
del legislatore.
La normativa
Il primo comma dell’art. 98 del d.P.R. 396/2000 testualmente recita: “L’ufficiale dello stato civile, d’ufficio o su istanza di chiunque ne abbia interesse, corregge gli errori materiali di scrittura in cui egli sia
incorso nella redazione degli atti mediante annotazione dandone contestualmente avviso al Prefetto,
al Procuratore della Repubblica del luogo dove è stato registrato l’atto nonché agli interessati”.
In queste poche righe, vi sono una serie di elementi
particolarmente importanti:
1.il soggetto che deve provvedere: l’ufficiale dello
stato civile;
2.come può attivarsi tale soggetto: d’ufficio o su
istanza di chiunque ne abbia interesse;
3.quali sono gli errori da correggere: gli errori materiali di scrittura in cui egli sia incorso nella redazione degli atti;
4.come può effettuare la correzione: mediante annotazione;
5.a chi deve dare avviso della correzione: al Prefetto, al Procuratore della Repubblica, agli interessati.
Tralasciando il secondo comma dello stesso art. 98
che riguarda una situazione specifica, che non affronteremo in questa sede, è rilevante pure il terzo
comma che prevede una tutela giudiziaria “Avverso la correzione, il procuratore della Repubblica o
chiunque ne abbia interesse può proporre, entro
trenta giorni dal ricevimento dell’avviso, opposizione mediante ricorso al tribunale che decide in
camera di consiglio con decreto motivato che ha
efficacia immediata”.
Anche tale disposizione contiene elementi da sottolineare:
1.l’oggetto della controversia: avverso la correzione;
2.il soggetto che può avviare l’azione: il Procuratore della Repubblica o chi ne ha interesse;
3.il termine per attivarsi: entro trenta giorni dal ricevimento dell’avviso;
4.il tipo di azione: opposizione mediante ricorso al
tribunale;
5.il provvedimento finale: decreto motivato con
efficacia immediata.
Dal primo e dal terzo comma risultano, dunque,
una serie di elementi, che interessano l’ufficiale
dello stato civile, che meritano un minimo di riflessione, anche se alcuni appariranno subito immediati e scontati, ed altri riguarderanno solamente l’autorità giudiziaria e molto marginalmente l’attività
dell’ufficiale dello stato civile.
L’individuazione dell’errore
Il legislatore del 2000 trasforma quella che l’ordinamento del 1939 prevedeva esclusivamente
come procedura giurisdizionale in un’attività amministrativa a cura dell’ufficiale dello stato civile.
Prima l’ufficiale dello stato civile segnalava al Procuratore della Repubblica che, qualora fosse stato
* Relazione tenuta al 30° Convegno Nazionale Anusca, svoltosi a Merano dal 29 novembre al 3 dicembre 2010.
I SERVIZI DEMOGRAFICI 1.2 2011 ■ studi e proposte
convinto dell’errore e della necessità di ripararlo,
promuoveva il giudizio di rettificazione presso il
competente Tribunale 1, ora l’ufficiale di stato civile provvede direttamente alla correzione, senza
alcun intervento dell’autorità giudiziaria: il legislatore, dopo aver dato grande rilievo alla figura
dell’ufficiale dello stato civile, tanto da prevedere
corsi abilitanti per il pieno svolgimento di tutte
le funzioni, conferma la piena fiducia verso tale
funzionario amministrativo, attribuendogli anche
il potere di correggere gli errori commessi. Ovviamente l’ufficiale dello stato civile è tale non certamente sul piano individuale, ma come soggetto al
quale l’ordinamento attribuisce determinate funzioni, in un determinato comune: questo significa
che si possono correggere gli errori commessi da
qualsiasi ufficiale di stato civile di quel comune,
escludendo qualsiasi limite temporale, anche con
riferimento agli atti di stato civile formati in passato, pure con il precedente ordinamento.
Questo può avvenire d’ufficio, perché è emerso,
non importa come, ci si è accorti, che un atto contiene errori, o su istanza di chiunque vi abbia interesse, perché la parte stessa che ha rilevato gli
errori chiede che si proceda alla correzione: non vi
è differenza sul soggetto che avvia la procedura,
se non per il fatto che la parte dovrà presentare
un’istanza, mentre l’ufficiale di stato civile potrà
procedere direttamente alla correzione.
Una delle maggiori difficoltà si era avuta nel cercare una definizione dell’errore, in quanto un’interpretazione letterale “gli errori materiali di scrittura
in cui egli (cioè l’ufficiale di stato civile) sia incorso
nella redazione degli atti” limiterebbe la possibilità di intervenire ai soli errori materiali commessi
nella fase di scritturazione, di redazione dell’atto.
Questo significherebbe restringere sostanzialmente l’ambito di applicazione della norma, tanto da
sembrare in contrasto con le intenzioni del legislatore che non potevano certamente essere così riduttive, ricordando che il Regolamento deriva dalle
norme in materia semplificazione 2. Pensare che il
legislatore del 1997 volesse evitare di ricorrere ad
una sentenza per la correzione dell’errore e limitare tale importante innovazione solamente “all’errore materiale di scritturazione” significava vanificare l’intervento legislativo e quasi rendere priva
di significato una disposizione che, al contrario, se
applicata correttamente, doveva realizzare una effettiva semplificazione ed agevolazioni per tutte le
parti in causa.
Ovviamente, l’errore deve riguardare un atto già
concluso con la sottoscrizione dell’ufficiale dello
stato civile perché, qualora fosse commesso durante la redazione dell’atto, la correzione è molto sem-
plice interlineando la dicitura errata e sottoscrivendo, a margine, la frase corretta.
Su queste difficoltà, interviene il Ministero dell’interno con la nota F/397/2008, provando ad individuare l’errore “... in tutti i casi in cui vi sia una
discrepanza chiaramente percepibile tra l’atto registrato dall’ufficiale di stato civile e la documentazione di supporto a tale atto, discrepanza che sia
rilevabile ictu oculi, e che sia correggibile da parte
dell’ufficiale dello stato civile utilizzando gli elementi contenuti nell’atto stesso o nella documentazione di appoggio e senza che la correzione porti
ad un cambiamento dei diritti di status derivanti
dall’atto o da esso evidenziati.” precisando, subito
dopo che “... si ritiene che la norma non intenda
limitare la procedura di cui all’art. 98 comma 1 ai
soli casi in cui l’errore sia imputabile ad una svista
dell’ufficiale di stato civile, potendo l’errore essere stato indotto anche dalla erroneità della documentazione ad egli presentata ...” a conferma di un
orientamento molto aperto.
è chiaro che l’errore deve risultare nell’atto originario e deve essere verificabile il dato errato rapportato al dato corretto: in sostanza, l’atto non
corrisponde alla realtà e dalla documentazione prodotta od acquisita emerge oggettivamente l’errore
ed il dato esatto da utilizzarsi per la procedura di
correzione. Anche nel caso l’errore fosse riportato
nella documentazione necessaria per la formazione
dell’atto, troverebbe applicazione la procedura di
correzione: sarebbe sufficiente verificare che l’atto
è stato redatto in base ad un documento contenente dati inesatti e fosse possibile rilevare tali inesattezze ed accertare i dati corretti.
Si tratta di un orientamento che amplia il concetto
di errore sul quale possa intervenire l’ufficiale dello
stato civile, che ha maggiori possibilità di eliminare
le inesattezze contenute nell’atto, a prescindere da
come siano state commesse: in pratica, quando si
ha certezza del dato sbagliato e si ha ugualmente
certezza del dato esatto, la correzione deve avvenire direttamente a cura dell’ufficiale dello stato civile. In sostanza, l’ufficiale dello stato civile potrebbe
intervenire non solo sugli errori realmente avvenuti
nel corso della redazione dell’atto, ma soprattutto
sugli errori causati da sviste da parte di chi ha rilasciato un documento che deve poi essere trascritto
o che deve essere utilizzato per la formazione di un
atto. Pensiamo al parroco che trasmette un matrimonio con dati inesatti o all’attestazione di nascita
che riporta errori sui dati della puerpera o all’avviso
di morte che contiene dati del defunto non corretti: se, in base a tali documenti, sono stati formati
o trascritti atti di stato civile che hanno ripetuto
l’errore, l’ufficiale di stato civile potrà disporre la
1. “... la giurisprudenza formatasi sul previgente regio decreto n. 1238/1939, aveva unicamente indicato che l’oggetto dell’azione di rettificazione non si
identificava nella mera correzione di errori materiali bensì nella eliminazione di qualsiasi difformità esistente tra la situazione di fatto e l’atto dello stato
civile.” Ministero dell’interno, nota F/397 - prot. n. 5999 del 4 giugno 2008, con oggetto “Comunicazione urgente in tema di applicabilità dell’art. 98,
comma 1 del d.P.R. n. 396/2000. Interpretazione estensiva”.
2. Art. 2, comma 12, della legge 15 maggio 1997, n. 127.
7
I SERVIZI DEMOGRAFICI 1.2 2011 ■ studi e proposte
8
correzione ex art. 98, pur essendo evidente che non
aveva alcuna responsabilità in proposito e superando, appunto, la dizione letterale della norma.
Tale orientamento trova un ulteriore ampliamento
quando risulti un errore sulle generalità degli interessati, rilevabile direttamente dai registri dello stato civile: in questo caso, la possibilità di correggere
ex art. 98 potrebbe avere una portata ancora più
ampia. Ad esempio, proviamo ad ipotizzare il caso
di un nostro cittadino, nato e residente in un nostro
comune, che contrae matrimonio all’estero e, rientrato, in Italia, richiede la trascrizione dell’atto di
matrimonio, regolarmente tradotto e legalizzato:
in tale documento, la sua data di nascita contiene
un errore commesso dall’autorità straniera che ha
proceduto alla celebrazione del matrimonio. Ebbene, è chiaro che si tratta di un errore per il quale
l’ufficiale dello stato civile non ha alcuna responsabilità, tuttavia vi sono tutti gli elementi di certezza
(dati esatti risultanti da nascita e residenza nel comune) per poter procedere alla correzione di quanto riportato nella trascrizione, senza dover attivare
l’autorità giudiziaria.
L’unico vero limite si avrà con riguardo al contenuto sostanziale dell’atto che non potrà mai formare oggetto di correzione da parte dell’ufficiale di
stato civile, ma per il quale dovrà intervenire l’autorità giudiziaria con procedura di rettificazione,
come previsto dall’art. 95 del d.P.R. 396/2000 3. Se,
ad esempio, vi fosse stata una nascita denunciata come filiazione naturale riconosciuta, qualora,
anche successivamente, risultasse da idonea documentazione che i genitori erano coniugati, l’ufficiale di stato civile non potrà procedere alla correzione, ma dovrà trasmettere un dettagliato rapporto
al Procuratore della Repubblica, il quale si attiverà
presso il competente Tribunale per la rettificazione, appunto ai sensi dell’art. 95 del d.P.R. 396/2000.
O, ancora, se dopo la celebrazione del matrimonio
civile, uno solo o anche entrambi gli sposi sostenessero che vi è stato un errore nella celebrazione, non
intendendo loro sposarsi ma ritenendo che la cerimonia avvenuta fosse solamente la fase preparatoria, la pubblicazione di matrimonio e non ancora la
celebrazione, pure l’ufficiale dello stato civile non
potrà intervenire con la correzione, lasciando agli
interessati l’onere di attivarsi in sede giudiziaria 4.
La correzione dell’errore
La procedura di correzione è molto semplice: “me-
diante annotazione” a margine dell’atto di stato
civile. Competente a tale adempimento è l’ufficiale
dello stato civile del comune in cui risulta formato
l’atto originario ed è il Ministero stesso nella nota
F/397/2008 che suggerisce la formula da utilizzarsi
“Ai sensi dell’art. 98, comma 1 del d.P.R. n. 396/2000
l’atto soprascritto (o circoscritto) viene corretto nel
senso che dove è scritto: ... deve leggersi ed intendersi...”, colmando una lacuna del d.m. 5 aprile
2002, nel quale tale formula non era prevista.
Subito dopo, l’ufficiale dello stato civile deve fare
comunicazione dell’annotazione eseguita: i soggetti destinatari sono il Prefetto, il Procuratore della Repubblica e gli interessati.
La comunicazione al Prefetto si rivolge dell’autorità
che svolge controllo e vigilanza sul servizio di stato civile: tuttavia, tale autorità non può intervenire
sulla procedura di correzione ma solamente, qualora ne rilevi la necessità, procedere ad una verifica
straordinaria dei registri di stato civile 5.
Al contrario, ben diversa la rilevanza delle comunicazione al Procuratore ed agli interessati: in particolare, mentre per il primo sarà sufficiente una
semplice nota, nei confronti degli altri sarà indispensabile che venga fatta notifica della correzione effettuata, proprio tenendo che conto che tali
soggetti sono legittimati ad impugnare la decisione adottata dall’ufficiale dello stato civile. È chiaro
che gli interessati si attiveranno solamente qualora
risulti un contrasto con il provvedimento dell’ufficiale di stato civile o quando né derivi per gli stessi
un pregiudizio, ma il Procuratore della Repubblica dovrà necessariamente attivarsi quando ritenga
che la procedura adottata sia in contrasto con le
disposizioni vigenti: in sostanza, l’inerzia del Procuratore è un’ulteriore garanzia della legittimità
del comportamento dell’ufficiale dello stato civile
e del fatto che gli adempimenti svolti siano perfettamente conformi alle normative. Quello che deve
essere sottolineato è, comunque, sia la tutela che
l’ordinamento riserva agli interessati, sia l’attenzione che l’autorità giudiziaria deve riservare all’operato dell’ufficiale dello stato civile.
L’eventuale ricorso deve avvenire nel termine di 30
giorni dal ricevimento dell’avviso: questo giustifica
pienamente la procedura della notifica 6 in quando
indispensabile per garantire il momento dal quale
far decorrere il termine suddetto.
Presentato il ricorso al Tribunale, la decisione avverrà tramite un decreto con efficacia immediata: qua-
3. In applicazione del primo e secondo comma:
1. Chi intende promuovere la rettificazione di un atto dello stato civile o la ricostituzione di un atto distrutto o smarrito o la formazione di un atto omesso
o la cancellazione di un atto indebitamente registrato, o intende opporsi a un rifiuto dell’ufficiale dello stato civile di ricevere in tutto o in parte una
dichiarazione o di eseguire una trascrizione, una annotazione o altro adempimento, deve proporre ricorso al tribunale nel cui circondario si trova l’ufficio
dello stato civile presso il quale è registrato l’atto di cui si tratta o presso il quale si chiede che sia eseguito l’adempimento.
2. Il procuratore della Repubblica può in ogni tempo promuovere il procedimento di cui al comma 1.
4. Ricordiamo il suggerimento dato dal dr. Federico Buono, Presidente della sezione IX civile del Tribunale di Milano, in occasione del Convegno Anusca
svolto a Bellaria nel 2002: “Ecco allora la possibilità di un’estensione della correzione ad ogni tipo di errore materiale; ad una correzione che, non conducendo ad un mutamento dello status della persona cui l’atto si riferisce e non incidendo sul contenuto concettuale sostanziale dell’atto, ripristini la
giusta corrispondenza tra atto e realtà”.
5. Art. 104, secondo comma, del d.P.R. 396/2000.
6. Che, ovviamente, può avvenire anche tramite raccomanda postale con avviso di ricevimento.
I SERVIZI DEMOGRAFICI 1.2 2011 ■ studi e proposte
lora sia accolto il ricorso di parte o del Procuratore,
in sostanza verrà rettificata la correzione dell’ufficiale dello stato civile al quale dovrà essere trasmesso. In tal caso, si procederà ad una nuova annotazione a margine dell’atto di stato civile, tramite la
quale, secondo quanto deciso dal Tribunale, verrà
modificata o annullata la precedente annotazione:
ovviamente, si farà anche comunicazione all’anagrafe al fine degli aggiornamenti conseguenti.
Conclusioni
È evidente come l’art. 98, primo comma, del d.P.R.
396/2000 abbia portato nuovi adempimenti a carico dell’ufficiale dello stato civile, riconoscendo implicitamente in tale figura un adeguato livello di
professionalità, in grado di svolgere in maniera corretta le funzioni ed i compiti assegnati.
D’altra parte, l’interpretazione ministeriale è pienamente condivisibile in tutti i suoi aspetti, ispirata ai
principi in materia di semplificazione, nell’ottica di
rendere più agevoli le procedure e di favorire il cittadino nei rapporti con la pubblica amministrazione.
Tutto questo non può che comportare un’esortazione agli ufficiali di stato civile a seguire gli
orientamenti esposti ed applicarli correntemente,
anche se, in qualche caso, questo potrà richiedere
un approfondimento o una maggiore attenzione: è
ancora la conferma dell’evoluzione del ruolo e dei
compiti dell’ufficiale dello stato civile che richiedono una professionalità sempre crescente.
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I SERVIZI DEMOGRAFICI 1.2 2011 ■ studi e proposte
La potestà regolamentare
del comune in materia di voltura
della concessione cimiteriale
e di edificazione del sepolcro
di Dante Buson
Responsabile servizi demografici del Comune di Lendinara
L’attuale ordinamento giuridico riconosce ai
comuni potestà statutaria e regolamentare,
da esercitarsi secondo i principi fissati dalla
Costituzione. Specifico rilievo assume la
regolamentazione delle funzioni amministrative
proprie dei comuni e in particolare quelle afferenti
l’assetto e l’utilizzazione del territorio, tra le quali
rientra la disciplina delle aree e dei manufatti
cimiteriali. In questo contesto costituzionale
e normativo, l’applicazione del principio di
sussidiarietà impone di orientare l’interpretazione
dei precetti sulla gestione funebre e cimiteriale
nel senso di assicurare la massima latitudine
possibile all’autonomia decisionale comunale,
che rappresenta il livello di governo più vicino
ai cittadini. Ciò significa che per quanto non
espressamente disciplinato o per quanto risulti
incidere sull’assetto del territorio, il Regolamento
nazionale di polizia mortuaria può essere
integrato dal regolamento comunale.
La riforma del Titolo V della seconda parte della
Costituzione, introdotta con la legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, ha portato all’integrale
sostituzione, tra gli altri, degli artt. 117 e 118, in
continuità con le novità introdotte dalla c.d. ”riforma Bassanini” del 1997, recepite anche dal d.lgs. n.
267/2000 (Tuel).
Prima della riforma costituzionale, ogni riferimento ai poteri e alle funzioni dei comuni doveva ispirarsi alla legge n. 142/1990, prima e al Tuel, poi,
dal quale si ricava una certa apertura sui principi
dell’autonomia.
In questo senso, le norme a cui è possibile fare riferimento sono date dall’art. 5, comma 4, secondo il
quale ai comuni va riconosciuta autonomia normativa e dall’art. 7, che sancisce il potere del comune di
adottare, nel rispetto dei principi fissati dalla legge e
dello statuto, “regolamenti nelle materie di propria
competenza ed in particolare per l’organizzazione e
il funzionamento delle istituzioni e degli organismi
di partecipazione, per il funzionamento degli organi
e degli uffici e per l’esercizio delle funzioni”.
Successivamente, con la modifica costituzionale appena citata e l’approvazione della legge n.
131/2003 1 di attuazione della riforma del 2001, è
sostanzialmente mutato il quadro di riferimento
normativo delle autonomie locali, che trova ora la
sua fonte nei principi costituzionali.
Infatti, secondo l’art. 117, comma 6, della Costituzione “I comuni, le province e le città metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine alla
disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento
delle funzioni loro attribuite”. Ad esso si aggiungono le norme della legge n. 131/2003, i cui commi
1 e 4 dell’art. 4 sanciscono la potestà normativa dei
comuni “secondo i principi fissati dalla Costituzione”, precisando che “la potestà normativa consiste
nella potestà statutaria e in quella regolamentare”
e che la disciplina dello svolgimento e della gestione delle funzioni dei comuni “è riservata alla potestà regolamentare dell’ente locale, nell’ambito
della legislazione dello Stato o della regione, che
ne assicura i requisiti minimi di uniformità, secondo
le rispettive competenze, conformemente a quanto
previsto dagli articoli 114, 117, sesto comma, e 118
della Costituzione”.
Stessa cosa deve dirsi in ordine all’esercizio delle
funzioni amministrative da parte degli enti locali.
Fino alla riforma del 2001 la norma di riferimento
era data dall’art. 3, comma 5, del Tuel secondo il
quale i comuni “(…) sono titolari di funzioni proprie e di quelle conferite loro con legge dello Stato
e della regione, secondo il principio di sussidiarietà”.
Successivamente, l’attribuzione delle funzioni amministrative ai comuni viene espressamente sancita
dall’art. 118 Cost., salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario (implicante poteri di indirizzo e coordinamento dell’ente territoriale di livello superiore, compatibili con il concetto di decentramento),
siano conferite a province, città metropolitane, regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà,
differenziazione ed adeguatezza (comma 1). Inoltre, le medesima disposizione (comma 2) conferisce
rilevanza costituzionale a quanto già anticipato dal
1. Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3.
I SERVIZI DEMOGRAFICI 1.2 2011 ■ studi e proposte
Tuel, ossia che i comuni (assieme alle province ed
alle città metropolitane) sono titolari di funzioni
proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze.
Tra le funzioni amministrative proprie del comune
rientrano quelle afferenti l’assetto e l’utilizzazione
del territorio (art. 13 del Tuel) che, senza dubbio,
comprendono anche la disciplina delle costruzioni
di manufatti cimiteriali, all’interno delle apposite
aree.
Come noto, l’assetto della disciplina in materia di
edilizia è dettato dal d.P.R. n. 380/2001, mentre la
materia della polizia mortuaria è disciplinata a livello nazionale dal d.P.R. n. 285/1990.
Va ricordato che, in generale, la legge, statale o
regionale, non può essere più la fonte primaria in
materia di organizzazione e svolgimento di funzioni attribuite agli enti locali o quanto meno può solo
limitarsi a dettare principi, mentre le disposizioni
dirette a regolare la materia possono essere considerate cedevoli e destinate ad essere superate dalle
norme locali.
In questo contesto costituzionale e normativo, l’applicazione del principio di sussidiarietà appena citato impone di orientare l’interpretazione dei precetti sulla gestione funebre e cimiteriale nel senso
di assicurare la massima latitudine possibile all’autonomia decisionale comunale, che rappresenta il
livello di governo più vicino ai cittadini.
Quindi, nel rispetto del riparto delle funzioni che
caratterizza la riforma costituzionale del 2001,
il principio di sussidiarietà implica che il Regolamento nazionale di polizia mortuaria costituisca
un quadro normativo unitario e mantenga un
proprio valore di orientamento uniforme, a livello statale, della regolamentazione delle aree cimiteriali per quanto concerne l’igiene e la sanità
collettiva, ma che per quanto non espressamente
disciplinato o per quanto risulti essere relativo
alla specifica incidenza della materia sull’assetto
del territorio, possa essere integrato dal regolamento comunale.
Da queste considerazioni si aprono due prospettive: la prima costituita dal far rientrare negli ambiti
di competenza della potestà regolatrice comunale
la disciplina della trasmissione tra vivi dei diritti cimiteriali; la seconda costituita dalla possibilità di
subordinare le costruzioni funerarie al preventivo
rilascio del titolo edilizio.
La trasmissione tra vivi dei diritti cimiteriali
Secondo la Corte di Cassazione 2, la concessione di
una parte del suolo cimiteriale per la costruzione
di un edificio sepolcrale, destinata a raccogliere e
custodire i resti mortali dei defunti, ha natura traslativa e crea nel privato concessionario un diritto
soggettivo perfetto di natura reale, assimilabile al
diritto di superficie 3, suscettibile di trasmissione per
atti inter vivos e per successione mortis causa e, perciò, opponibile, iure privatorum, agli altri privati 4.
L’inquadramento del diritto in esame in uno degli
schemi dei diritti reali risulta corretto, giacché ne
sono presenti i caratteri qualificanti: realità ed immediatezza. In effetti, il titolare della costruzione
cimiteriale soddisfa il proprio interesse mediante
l’esercizio di una signoria diretta sul bene stesso 5.
Tuttavia, la peculiarità di detto diritto reale è costituita dal fatto che esso ha ad oggetto determinati
beni quali cappelle, tombe ed edicole funerarie e
che si affievolisce, degradando ad interesse legittimo, nei confronti della pubblica amministrazione
nei casi in cui esigenze di pubblico interesse, per la
tutela dell’ordine e del buon governo del cimitero,
impongono o consigliano al comune di esercitare il
potere di revoca della concessione 6.
Tale diritto, la cui manifestazione esteriore qualificante è data dall’esercizio del diritto stesso mediante l’edificazione e la successiva disponibilità del manufatto (Cass., sentenza 15 giugno 1999, n. 5923),
afferisce alla sfera strettamente personale del titolare ed è, dal punto di vista privatistico, disponibile
da parte del titolare medesimo, il quale può quindi
trasferirlo a terzi 7.
Fatta questa premessa, è indubbio che il rapporto
concessorio debba rispettare le norme di legge e di
regolamento che sono emanate per la disciplina dei
suoi specifici aspetti. In questo senso, il diritto sul
sepolcro soggiace all’applicazione del Regolamento nazionale di polizia mortuaria. Questa disciplina,
invero, si colloca ad un livello ancora più elevato di
quello che contraddistingue l’interesse del concedente e soddisfa superiori interessi pubblici di ordine igienico-sanitario, oltre che edilizio e di ordine
pubblico 8.
Ne consegue che la regolamentazione comunale di
polizia mortuaria e sui cimiteri in tanto è legittima in quanto non viene a porsi in contrasto con la
normativa regolamentare adottata dal Governo, in
virtù di quanto previsto dall’art. 4, comma 2, delle
2. Cassazione, sez. II civile, sentenza 13 marzo 2003, n. 8804, in Mass. Giur. It., 2003; Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 7 ottobre 2002, n. 5294, in
www.giustizia-amministrativa.it.; T.A.R. Sicilia, sez. II, sentenza 6 luglio 2001, n. 995, in www.giustizia-amministrativa.it; Cass., s. u., sentenza 7 ottobre
1994, n. 8197.
3. Cassazione civile, sentenza 2 giugno 1999, n. 5397.
4. Secondo la disciplina codicistica, il diritto di superficie si configura come diritto di edificare e di mantenere sul suolo altrui, o nel sottosuolo altrui, una
propria costruzione; ne consegue che il superficiario ha la proprietà della costruzione (proprietà superficiaria) ed, inoltre, il diritto di superficie sul suolo,
come diritto reale sul suolo altrui.
5. Il diritto di edificare sull’area demaniale ed il successivo diritto sul sepolcro si distinguono dallo ius sepulchru cioè dal diritto alla tumulazione, il quale,
invece, si acquista per il solo fatto di trovarsi in un determinato rapporto di parentela con il fondatore, non può essere perciò trasmesso per atto tra vivi e
neppure per successione mortis causa e si estingue, per ciascun titolare, nel momento in cui il cadavere del medesimo viene deposto in quella tomba.
6. Più in generale sull’argomento si veda: D. Buson, Il regime giuridico dei sepolcri familiari alla luce dei più recenti orientamenti giurisprudenziali, Manuale SS.DD., ed. Maggioli, n. 2/2010.
7. Cassazione, sez. II civile, 24 gennaio 2003, n. 1134, in Manuale SS.DD., ed. Maggioli, n. 2/2010.
8. Consiglio di Stato, sez. V, sentenza (camera di consiglio) 8 febbraio 2000 n. 3313, in www.giustizia-amministrativa.it.
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I SERVIZI DEMOGRAFICI 1.2 2011 ■ studi e proposte
disposizioni preliminari al codice civile 9. Sul punto
va ricordato che i regolamenti, pur non potendo
elevarsi a valore di legge, sono tuttavia “indipendenti” nel loro ambito (seppure nel rispetto delle
riserve di legge costituzionalmente previste) e nel
loro contenuto “non sono soggetti se non alla Costituzione e ai principi generali dell’ordinamento
(ai quali però non possono derogare) senza essere
in alcun modo vincolati da altre norme preesistenti,
che non siano quelle eventualmente indicate (esplicitamente o anche implicitamente) dalla fonte da
cui traggono origine” 10.
Ciò significa che il regolamento comunale può integrare la disciplina del diritto reale sull’area cimiteriale in questione, poiché il codice civile (riferito
alla disciplina dei beni demaniali e al diritto di superficie) e il d.P.R. n. 285/1990, non assorbono ogni
profilo di regolamentazione del rapporto, posto
che quest’ultimo trae pur sempre origine da una
concessione, ossia da un provvedimento amministrativo ampliativo. Pertanto, seppure la concessione amministrativa di tipo traslativo presenti carattere intuitus personae, tale da impedire il libero
trasferimento a terzi della posizione del concessionario, non appare illegittimo il regolamento locale
che subordini il trasferimento ad un’autorizzazione
del comune concedente, tanto da configurare una
fattispecie complessa, strutturata sul modello civilistico della cessione del contratto 11.
In effetti, come nella cessione del contratto, la fattispecie in oggetto si presenta come un negozio
plurilaterale, precisamente con tre parti. L’assenso
dell’ente locale, quale condizione di efficacia della
vultura della concessione cimiteriale, trova giustificazione nel fatto che il comune non è un mero
terzo rispetto alle due parti del negozio medesimo,
essendo il titolare dell’interesse pubblico ai cui fini
la concessione del suolo cimiteriale è formata. Tale
interesse pubblico si tutela anche mediante questa
forma di controllo, atteso che la ratio della disciplina sancita dal d.P.R. n. 285/1990 è quella di non
consentire lo sfruttamento della concessione amministrativa per finalità speculative o di lucro 12.
Della questione si è occupato di recente il T.A.R.
Calabria 13, per il quale, nella gestione delle aree
cimiteriali, l’interesse pubblico è intrinseco e quindi
persiste, nei rapporti tra il comune concedente ed il
titolare della concessione, “anche nelle fattispecie
in cui si ammette, nella disciplina regolamentare locale, la circolazione tra vivi del titolo concessorio”.
Ne deriva che la norma comunale “concretizza, sul
piano organizzativo dei rapporti tra concedente e
concessionario, una scelta di merito (insindacabile
sul piano dell’opportunità) del modo di tutelare
l’interesse pubblico di cui l’ente è titolare e per tale
ragione acquista, sul piano negoziale, valore costitutivo ai fini dell’opponibilità dell’atto di trasferimento al comune, in assenza del quale detto atto,
pur se valido tra gli stipulanti, non produce effetti
per il comune stesso, che non è quindi tenuto a concedere la voltura all’acquirente del titolo”.
Oltre alla tutela dell’interesse pubblico, va rilevato
come in assenza dell’autorizzazione del comune, si
assisterebbe ad un mutamento del rapporto concessorio, visto che l’acquirente del titolo subentrerebbe nella concessione medesima e dunque diverrebbe parte del relativo rapporto amministrativo,
senza il coinvolgimento dell’ente concedente. Ma,
come affermato dai giudici calabresi, “ciò non può
essere ottenuto solamente in forza del titolo inter
vivos formatosi per effetto del negozio, essendo
necessaria l’adesione, costitutiva, dell’ente titolare
del bene demaniale dato in concessione, anche in
relazione al carattere necessariamente infungibile
della persona del titolare dell’atto ampliativo”.
Diversamente, si potrebbe verificare il paradosso di
concedere l’utilizzo del suolo cimiteriale, appunto
in virtù della cessione tra privati, a chi non possiede
i requisiti soggettivi (che possono essere costituiti
anche da valutazioni di natura discrezionale) eventualmente stabiliti dalla regolamentazione comunale.
Ne discende la legittimità della norma regolamentare locale che prevede la partecipazione del
funzionario comunale alla formazione dell’atto di
trasferimento. Intervento che può non riconoscersi
essenziale ai fini della perfezione dell’atto nei confronti del comune, considerato che ha la finalità di
controllare che la cessione avvenga nel rispetto dei
requisiti fissati dal regolamento civico come condizioni per la voltura del titolo concessorio.
Il controllo sulla trasformazione edilizia delle
aree cimiteriali
Per quanto riguarda il controllo che il comune può
esercitare sull’edificazione dei manufatti destinati
ad ospitare le salme, va detto innanzitutto che l’art.
94 del d.P.R. n. 285/1990 stabilisce che i singoli progetti di costruzioni di sepolture private debbano
essere approvati dal sindaco, su conforme parere
della commissione edilizia e del coordinatore sanitario della unità sanitaria locale competente. Attraverso tale approvazione, il comune esercita il potere di controllo della corrispondenza del progetto
con le previsioni del piano regolatore del cimitero
di cui agli artt. 54 e ss. del medesimo decreto e detta facoltà rientra nel più ampio esercizio dei poteri di controllo delle attività di trasformazione del
9. Consiglio di Stato, sez. V, 11 ottobre 2002, n. 5505, in Manuale SS.DD., ed. Maggioli, n. 2/2010.
10. A.M. Sandulli, Manuale di Diritto Amministrativo, XV ed., Jovene Editore, Napoli, p. 68.
11. La cessione del contratto è prevista dall’art. 1406 c.c.: “Ciascuna parte può sostituire a sé un terzo nei rapporti derivanti da un contratto con prestazioni corrispettive, se queste non sono state ancora eseguite, purché l’altra parte vi consenta”.
12. T.A.R. Palermo, sez. III, sentenza 29 aprile 2009, n. 803, in www.giustizia-amministrativa.it.
13. T.A.R. Reggio Calabria, sez. I, 26 gennaio 2010, n. 26, in www.giustizia-amministrativa.it.
I SERVIZI DEMOGRAFICI 1.2 2011 ■ studi e proposte
territorio che, come sopra citato, sono da ritenersi
strutturalmente propri delle competenze comunali ai sensi del d.lgs. n. 267/2000. Competenze che
devono essere esercitate considerando che non vi
è motivo per non ritenere che la disciplina di ogni
genere di trasformazione edilizia dei suoli vada individuata nel d.P.R. n. 380/2001, giacché non rilevano ragioni di diritto o di pubblico interesse per
escludere la costruzione degli edifici funerari da
questo ambito normativo. Si tenga conto, infatti,
che cappelle e sepolcri sono soggetti alla disciplina
delle norme tecniche dell’edilizia, in funzione antisismica, che sono disciplinate pur sempre dal medesimo d.P.R. n. 380/2001.
Sul punto la giurisprudenza ha già avuto occasione
di precisare che “dal testo dell’art. 94 comma 1 del
d.P.R. 285/1990 (reiterativo di quanto in precedenza disposto dall’art. 95 comma 1 d.P.R. 803/1975),
secondo cui (…) emerge che, per la realizzazione
di strutture funerarie in ambito cimiteriale, se pure
i profili sanitario ed edilizio devono essere valutati amministrativamente nell’ambito di un procedimento unico, non può prescindersi dall’adozione di
un autonomo atto concessorio ai sensi dell’art. 1 l.
10/1977 (oggi trasfuso nell’art. 10 d.P.R. 380/2001),
nel senso della necessità di specifica concessione
edilizia, cfr. T.A.R. Campania-Napoli n. 162 del 10
giugno 1988 e T.A.R. Puglia-Bari n. 621 del 9 giugno
1995” 14.
Tutto ciò porta a sostenere la legittimità del regolamento comunale che preveda la necessità del titolo
edilizio in ordine al progetto dell’edificio funerario.
Sostenere questa tesi significa negare che le dispo-
sizioni del Regolamento nazionale di polizia mortuaria costituiscano norme speciali rispetto a quelle
generali in materia edilizia, tali da esaurire in sé la
disciplina applicabile, con la conseguenza che l’autorizzazione del sindaco in esso prevista costituirebbe
l’unico titolo esigibile per la costruzione del manufatto a servizio votivo dei defunti. Del resto, se anche si volesse riconoscere la “specialità” del d.P.R. n.
285/1990, che trae il proprio vigore dalle norme di
cui al testo unico delle leggi sanitarie, approvato con
regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265, artt. da 337 a
seguire, questo riconoscimento non porterebbe ad
escludere l’autonomia del comune di stabilire, in via
regolamentare, la necessità del titolo edilizio.
Ne deriva che l’art. 94 del Regolamento nazionale di polizia mortuaria non istituisce un procedimento tipico o nominato, per cui il comune rimane libero di modulare, con proprio regolamento,
l’esercizio del potere di controllo previsto dalla
norma appena citata attraverso l’estensione della disciplina procedimentale ordinaria in tema di
edificazione, propria del d.P.R. n. 380/2001, alle
trasformazioni edilizie del territorio, sia in area
cimiteriale che all’esterno di essa. L’effetto di tale
autonomia normativa, come giustamente rilevato
dai giudici amministrativi calabresi, consente quindi di considerare “legittima la previsione regolamentare locale che assoggetta l’edificazione nel
suolo cimiteriale alle più garantite procedure di
autorizzazione proprie della disciplina edilizia generale di cui al d.P.R. 380/2001 ed alla conseguente
disciplina (oneri concessori, termini di inizio e fine
lavori, ecc.)”.
14. T.A.R. Campania, Salerno, sez. II, Camera di consiglio 10 ottobre 2004, sentenza n. 208/2005, in www.giustizia-amministrativa.it. Già il T.A.R. Basilicata, con sentenza n. 313 del 3 maggio 2004, aveva ribadito che “la necessità della previa concessione edilizia non è eliminata neppure dal riferimento
alla disciplina dell’art. 94 del d.p.r. n.285/1990 cui l’istante fa riferimento col motivo aggiunto. Tale disposizione anzi, col prevedere che i progetti di
costruzioni di sepolture private debbano essere approvati dal sindaco su conforme parere della commissione edilizia e del coordinatore sanitario della
competente U.s.l., ribadisce la necessità d’un previo atto di assenso del tutto simile, anche dal punto di vista dell’organo collegiale tecnico coinvolto, alla
procedura concessoria”.
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I SERVIZI DEMOGRAFICI 1.2 2011 ■ studi e proposte
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Il “cognome” dei Sikh. Che accade
quando divengono italiani?
di Sereno Scolaro
Libero professionista
I sistemi di determinazione dei cognomi non sono
uniformi e rispondono a logiche spesso diverse,
dovute alla storia, alla cultura ed altri fattori.
Il caso particolare dei Sikh, per cui il “cognome”
è indice di appartenenza alla specifica religione,
è tale da poter disorientare quanti operino con
la consuetudine di una certa struttura del nome,
per cui va affrontata la questione delle modalità
di approccio, quanto tali persone acquisiscano la
cittadinanza italiana e, per questo, vengano ad
applicarsi “regole” di definizione delle generalità
diverse.
Il caso
Un cittadino Indiano ha acquistato la cittadinanza
italiana ai sensi dell’art. 9 delle legge 5 febbraio
1992, n. 91; nel decreto di conferimento della cittadinanza italiana, lo stesso è indicato con il cognome
D. e il nome J. Singh (come da passaporto, carta di
soggiorno e iscrizione anagrafica), cui ha seguito la
prestazione del giuramento prescritto e la trascrizione del decreto del Presidente della Repubblica
di concessione della cittadinanza italiana.
Il neocittadino ha un figlio minorenne convivente,
il quale è iscritto in anagrafe con il nome A. e il
cognome Singh.
L’ufficiale dello stato civile, ai fini delle procedure
volte a far constare che anche il figlio, in quanto
minore e convivente con il genitore, aveva acquisito la cittadinanza italiana, ai sensi dell’art. 14 legge
5 febbraio 1992, n. 91, ha effettuato gli accertamenti di convivenza e nello stesso tempo ha chiesto la copia integrale dell’atto di nascita tradotta e
legalizzata per l’accertamento della sussistenza del
rapporto di filiazione [ipotesi che, a certe condizioni, potrebbe essere considerata anche eccessiva
(e senz’altro in violazione delle disposizioni di cui
all’art. 1, comma 2 legge 7 agosto 1990, n. 241 e
succ. modif., nonché delle disposizioni dell’art. 11,
comma 1, lett. d) d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 e
succ. modif.), dato che la condizione di figlio era
già risultante, per essere stata necessariamente
comprovata con idonei documenti autentici (art.
14 d.P.R. 30 maggio 1989, n. 223 e succ. modif.) al
momento dell’iscrizione nell’anagrafe della popolazione residente, oltre che dai titoli di soggiorno].
Dall’atto esibito è stato riscontrato che il ragazzo
non ha il cognome, ma solamente il nome che risulta essere A. Singh, figlio di J. Singh e non di D.,
come indicato, quale cognome, nel decreto di citta-
dinanza (quindi ambedue sono indicati solamente
con il nome in quanto il cognome in India non esiste e lo stesso padre lo ha acquisito successivamente alla nascita del figlio).
Per dimostrare la filiazione, l’Ambasciata Indiana a
Roma ha rilasciato un certificato con foto attestante
che A. Singh è figlio di J. Singh (nome) e D. (cognome), indicazioni che hanno, in parte, disorientato
l’ufficiale dello stato civile, limitatamente a quanto
riguarda la procedura da seguire, ipotizzandone la
seguente:
a)accertata la filiazione e la convivenza, il sindaco
emette attestazione circa l’acquisto della cittadinanza ai sensi dell’art. 14 legge 5 febbraio 1992,
n. 91;
b)una volta trascritta l’attestazione, si trascrive
l’atto di nascita e si annota l’acquisto della cittadinanza;
c) si attribuisce ai sensi dell’art. 98, comma 2, il cognome paterno in quanto come previsto dall’art.
6 del c.c. il cognome costituisce elemento indispensabile.
Il problema che l’ufficio si è posto tiene anche conto
del fatto che nell’atto di nascita del figlio il padre
ha solamente il nome in quanto il cognome gli è
stato attribuito successivamente, quindi, constatato anche che l’Ambasciata si rifiuta a rilasciare attestazione consolare circa l’acquisizione del cognome
attribuito successivamente, come potesse operarsi
per far risultare il cognome D. (cognome paterno)
sull’atto di nascita del figlio al fine di poter applicare l’eventuale art. 98, oltretutto chiedendosi anche
se si dovesse esigere che anche sull’atto di nascita
originario sia riportata l’acquisizione del cognome.
Le regole di cognomizzazione sono varie e diverse
Una piccola (anche se non brevissima) premessa di
ordine antropologico-culturale che serve solo per
sottrarci da visioni “ristrette” sostanzialmente europo-centriche. Come europei, vi è l’abitudine, pur
con differenziazioni di vario ordine, a considerare
le persone identificabili con un cognome (in alcune
lingue chiamato nom de famille, familienname, ma
anche surname che, esce, parzialmente, dal concetto di nome della famiglia, per avvicinarsi a quello
di soprannome … e anche in Italia, molte origini,
nel Medio Evo, dei cognomi derivano appunto da
soprannomi) ed un nome personale (che il codice
civile italiano chiama: prenome). Non occorrerebbe
citare i romani, che avevano un nome personale,
I SERVIZI DEMOGRAFICI 1.2 2011 ■ studi e proposte
un nome gentilizio (da gens, se si vuole “tribù”,
cioè insieme di persone avente un antenato comune, non senza ricordare come gens abbia la stessa
radice etimologica di clan, e di king , termini tutti
collegati alla generazione (da gens, appunto).
Comunque, in Europa il cognome (nome di famiglia) connota la famiglia, mentre il prenome la persona. La situazione è tanto forte che quando si abbiano persone prive di collegamento con una data
famiglia (esempio: abbandonati, trovatelli, ecc.), si
ricorre ad un’indicazione, che assume la funzione
del cognome, fittizia, attribuita dall’autorità (vedi
l’art. 29, comma 5 d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396),
tanto che vi sono molti cognomi che rappresentano
proprio questa assenza di una appartenenza di famiglia (pensiamo a cognomi quali Esposito, Proietti, Colombo, Spurio, Diotallevi, Casadei, ecc., dove è
del tutto esplicita questa assenza di appartenenza
ad una famiglia).
Per inciso, non si può affermare che in certi Stati il
cognome non esista: si dovrebbe dire (al più) che
può anche non esservi.
Il cognome (quando vi sia) fuori dal contesto
europeo
Fuori dall’Europa non sempre è così, dove i sistemi, spesso consuetudinari, di indicazione delle persone possono essere ben diversi e, con una certa
frequenza, senza grandi riferimenti alla famiglia (o
alla gens), ma dove, accanto al prenome (generalmente il nome personale è spesso presente, ma non
mancano casi in cui l’attribuzione del prenome avvenga non al momento della nascita, quanto piuttosto con il passaggio ad un’età ritenuta adulta, ad
esempio dopo rito d’iniziazione come riti di passaggio dall’infanzia all’età adulta (ne rimane traccia,
ormai misconosciuta, anche nell’ambito ecclesiastico della chiesa cattolica, con il sacramento della cresima, che è appunto un rito d’iniziazione che porta
il fedele a divenire “adulto” dal punto di vista della
chiesa), per cui i bambini piccoli non hanno, in certe culture, neppure il nome personale (cosa spesso
motivata, di fatto, dall’elevata mortalità infantile,
per cui il nome (prenome) veniva attribuito solo a
chi sopravviveva …, oltre ad una certa età).
Non mancano casi in cui il prenome è attribuito,
magari dal “nonno” perfino molti anni prima della
nascita e prima che vi sia la nascita dei genitori (che
in queste situazioni vedono i propri figli già “nominati”, prima di contrarre matrimonio e di concepirli (i due istituti, matrimonio e concepimento, non
sempre sono in sequenza temporale).
In altre situazioni, l’appartenenza sociale non è riferita alla famiglia, termine che può anche designare una famiglia allargata, e molto, specie quando
l’antenato capostipite sia lontano (è il caso della
gens romana o delle tribù israelitiche; meno ancora
ad una famiglia “ristretta” composta da genitori e
figli), ma è riferito ad altre “formazioni/aggregazioni sociali”, come all’appartenenza ad un certo
villaggio o territorio (si tratta di un uso presente
ancora in ambito ecclesiastico, dove, in certi ordini
o congregazioni, vi è l’assunzione di un nome corredato dal luogo di origine (es.: p. Pio da Pietralcina, S. Francesco d’Assisi, ecc.) e, frequentemente, il
villaggio/territorio era/è anche collegato a sistemi
di ordine, per così dire, “feudale”(sia permessa la
sommarietà dell’uso di un termine che potrebbe
essere, in certi contesti, fuori luogo), cioè la soggezione ad signore di quel territorio.
Altrove, si fa riferimento anche ad altre formazioni
sociali, tipo la casta (termine, per altro, errato, introdotto dagli Inglesi che non avevano capito bene
come funzionavano le cose, tanto che oggi vi è chi
nega, fondatamente, l’esistenza delle caste, costituendo esse aggregazioni di ben altro ordine), la
corporazione (nel senso medioevale, di insieme di
persone svolgenti una specifica attività), oppure
l’appartenenza a gruppi religiosi ed altri criteri.
Vi è, anche, l’indicazione della paternità
In particolare, in molti Paesi, queste indicazioni, cioè
quella che altro non è se non una “etichetta” che,
in Europa, chiamiamo “cognome”, possono anche
non essere presenti, con la conseguenza che vi sono
situazioni di persone che hanno unicamente il nome
personale (leggi: prenome), senza alcun “cognome”.
Il ché non sempre è percepito, per chi sia consuetudinariamente abituato a vedere sempre la presenza
sia del “cognome” sia del “prenome” [trascuro, qui,
le ipotesi in cui vi sia anche un terzo elemento di
“etichetta”, quale l’indicazione della paternità della
persona, come è il caso del patronimico, che non è
né “cognome”, né “prenome”, ma, appunto, solo
indicazione della paternità (quanto in Italia facciamo quando trovi applicazione la legge 31 ottobre
1955, n. 1064 nonché l’art. 3 d.P.R. 4 maggio 1957,
n. 432, solo che, in questi casi, al padre aggiungiamo
anche la madre), con la conseguenza che quest’indicazione non è parte delle generalità della persona.
Almeno, in Italia, dove le generalità sono date dal
nome e cognome, luogo e data di nascita ed estremi
rel relativo atto di nascita].
Una situazione peculiare: i Sikh
Riprendendo il riferimento all’appartenenza ad altre formazioni sociali e, in particolare, a gruppi religiosi ed altri criteri, occorre, qui, considerare la religione Sikh, i cui membri assumono l’appellativo di
Singh (significa: leone) se maschi e di Kaur (significa: leonessa) se femmine, appellativo che assume la
funzione cognominiale, è distinto per genere, ma è
comune a tutti gli appartenenti alla religione Sikh,
ed è acquisito con l’assunzione della qualificazione
di appartenente a tale culto/religione.
Il ché può anche disorientare chi sia aduso al cognome come nome di famiglia di stampo europeo.
Spesso questa “etichetta” viene seguita dall’indicazione del nome del clan o del nome della famiglia, quando quest’ultimo rilevi, ma è di maggiore
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I SERVIZI DEMOGRAFICI 1.2 2011 ■ studi e proposte
frequenza l’uso di questa etichetta come cognome
ad ogni effetto, a volte dando origine ad indicazioni onomastiche “composte” da più elementi, cioè
prenome, appartenenza religiosa, nome di famiglia, nome di villaggio (tanto che in ambienti anglofoni, specie negli USA, si è tentato di parlare di
middle name, per ricondurre ad istituti localmente
praticati, forme di indicazione delle persone che
non rispondono a logiche locali, secondo la logica,
diffusa (forse anche comprensibile, operativamente) di cercare di ridurre le diversità a quanto noto
o consueto. È caratteristica diffusa tra molti quella
di cercare di ridurre, di riportare ad istituti noti,
quanto sia diverso, quando la diversità è (sarebbe) in realtà una ricchezza, solo che richiederebbe
strumentazioni non sempre a disposizione immediata. Tra l’altro, e per mera notizia, merita di essere ricordato come l’Alta Commissione Canadese
in Nuova Delhi avesse deciso che i “nomi” di Kaur
e Singh non fossero idonei ad essere utilizzati ai
fini dell’immigrazione in Canada, producendo la
necessità di cambiare tali “nomi” prima dell’ingresso in Canada, cosa che ha determinato, comprensibili, reazioni da parte delle comunità Sikh
(http://www.thestar.com/news/article/240030),
aspetto che si segnala unicamente come conferma
della difficoltà (sempre comunque bi-direzionale,
se non perfino multi-direzionale) che si determinano ogni qualvolta le diversità non siano colte
nella loro sostanza di fattori di ricchezza, anche
culturale, ma le si tenda a ridurre ad istituti noti, o
praticati, localmente, cioè in una particolare area
o, per quanto ci riguarda, in uno specifico ordinamento giuridico.
Il ché spiega anche il fatto che questo cognome sia
stato acquisito non alla nascita, ma in un momento successivo, cioè con l’accoglimento definitivo
nell’ambito della religione Sikh (si richiama, ancora,
il sacramento della cresima, in latino: confirmatio,
proprio per ricordare come non sia poi così anomalo un mutamento di appartenenza ad una qualche
“formazione/aggregazione sociale”, in senso ampio, che avvenga in momento successivo alla nascita, che si ha, esempio, anche per i religiosi che
assumono il “nome religioso”, oppure a situazioni
che mutano il nome (in senso ampio), come potrebbe essere il caso dei papi che, dopo avere superato
l’esame in conclave, cambiano del tutto denominazione, magari aggiungendo un numero progressivo … Non si tratta di irriverenza, ma l’esempio serve unicamente per evidenziare come la logica della
coppia cognome/prenome non sia assoluta, rigida e
soprattutto mai universale).
Dopo questa premessa, forse è più facile affrontare
le questioni poste. Anzi, forse, la soluzione è già
nella parte finale di sorta di premessa o rassegna,
sintetica, delle numerose ed articolate diversità in
materia di indicazione delle persone.
Le soluzioni possibili
A questo punto, gli aspetti operativi possono affrontarsi unificando la situazione (cioè tanto per il
padre che per il figlio), ignorando l’art. 98, comma
2 d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 (che, per altro, è
inapplicabile, trovando applicazione in via esclusiva per chi sia cittadino italiano alla nascita e nato
all’estero in Paesi che seguano criteri, o consuetudini, di cognomizzazione diversi da quelli propri della legge italiana), per suggerire una soluzione del
tutto semplice, sostanzialmente unitaria, ma che si
preferisce affrontare separatamente in relazione al
genitore rispetto al figlio.
a)padre, neo-cittadino = dato che presumo che sia
oggetto di trascrizione anche l’atto di nascita del
padre, appare opportuno suggerire che nell’annotazione, da eseguire sulla trascrizione di questo
atto, si integri l’annotazione relativa all’acquisto
della cittadinanza con una formula, più o meno,
del tenore seguente: “… e pertanto allo stesso
spetta il cognome di …..” (qualcuno, ma personalmente ritengo ciò eccessivo e, a certe condizioni,
anche indebito), preferisce ricorrere a quest’altra
formulazione: “… e pertanto allo stesso spetta,
per la legge italiana, il cognome di …”;
b)figlio = la soluzione è (dovrei dire: discende) del
tutto analoga, cioè con una integrazione della formula di annotazione da eseguire sull’atto di nascita, successivamente alla trascrizione (per sunto;
art. 12, comma 10 d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396)
dell’attestazione adottata dal sindaco, ai sensi
dell’art. 16, comma 8 d.P.R. 12 ottobre 1993, n. 572,
in relazione all’art. 14 legge 5 febbraio 1992, n. 91,
in modo del tutto analogo, indicando il “cognome” del padre, che altro non è se non quello indicato nel decreto di concessione (o, conferimento)
della cittadinanza italiana al padre. Potrebbe, altresì essere opportuno, indicare, precisare, esplicitare questi aspetti fin dal testo dell’attestazione
stessa, in modo da contare su di un provvedimento
da cui emerga in forma espressa il procedimento,
soprattutto logico, che è stato seguito, rispondendo ciò ad esigenze di ordine motivazionale.
I SERVIZI DEMOGRAFICI 1.2 2011 ■ studi e proposte
L’elettorato attivo
e la tenuta delle liste elettorali
Norme generali e proposte di semplificazione 1
di Umberto Coassin
Esperto e collaboratore Ufficio stampa Anusca
L’analisi delle procedure di tenuta delle liste
elettorali è stata affrontata su due versanti.
Da un lato, si è cercato di individuare i limiti
posti dell’attuale normativa alla loro completa
automazione. Dall’altro sono state osservate,
da un punto di vista giuridico, tecnico e
organizzativo, le prospettive di una tale
possibilità.
Prima del 1948 il diritto di voto era ristretto per
condizione economica, culturale e sociale. Il sistema si atteggiava come garanzia delle forme di governo esistenti. Il r.e. 17 marzo 1848, n. 680 (legge
20 novembre 1859, n. 3778) lo riconosceva, al 25°
anno di età, a coloro che pagavano una imposta
annua allo Stato e alla provincia, con esclusione
dal pagamento dell’imposta per speciali titoli di
capacità (professori, magistrati, notai, impiegati
civili, ufficiali con almeno il grado di capitano). Il
t.u. 20 marzo 1895, n. 83 riduce l’età per il diritto
di voto a 21 anni in concorrenza con gli speciali
titoli di capacità. Successivamente la legge n. 666
del 30 giugno 1912, in alternativa al corpo elettorale censitario e a quello con speciale capacità intellettuale, introduce la capacità elettorale anche
per tutti coloro che abbiano raggiunto i 30 anni
di età. Nel 1913 si giunge al suffragio universale,
ma solo maschile. Con decreto legislativo luogotenenziale del 1° febbraio 1945, n. 23 viene esteso
il diritto elettorale alle donne. La disciplina costituzionale entrata in vigore il 1° gennaio 1948,
sancisce in via definitiva il principio del suffragio
universale, conferendo la qualità di elettori a tutti
i cittadini che hanno raggiunto la maggiore età
e che non si trovano in alcune delle condizioni
escludenti previste dalla legge: “Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età”.
Elettorato attivo
I principi fondamentali sul diritto di elettorato attivo
enunciati nella Costituzione sono regolamentati dal
testo unico delle leggi per la disciplina dell’elettorato
attivo e per la tenuta e la revisione delle liste elettorali, approvato con d.P.R. 20 marzo 1967, n. 223 e modificato e integrato in alcune parti dalle seguenti leggi:
 legge 8 marzo 1975, n. 39, che ha modificato il
limite per la maggiore età, portandolo da ventuno a diciotto anni;
 legge 13 maggio 1978, n. 180, in materia di assistenza psichiatrica, che ha – tra l’altro – abrogato il
punto 1 dell’articolo 2 e l’articolo 3 del t.u. n. 223;
 legge 7 febbraio 1979, n. 40, che ha sostituito l’articolo 11 e modificato l’articolo 32 del t.u. n. 223;
 legge 22 maggio 1980, n. 193, che ha abrogato il
punto 7 dell’articolo 2 del t.u. n. 223;
 legge 13 settembre 1982, n. 646 e legge 3 agosto
1988, n. 327, modificative dell’art. 3 della legge
27 dicembre 1956, n. 1423 (di cui al n. 2 dell’art.
2), relativamente alle misure di prevenzione;
 d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, d.P.R. 1 febbraio
1973, n. 50 e d.lgs. 18 dicembre 2002, n. 309, recanti norme per la elezione del Consiglio regionale del Trentino-Alto Adige e dei Consigli comunali della Provincia di Bolzano;
 d.lgs. 22 aprile 1994, n. 320 - Norme di attuazione dello statuto speciale della Valle d’Aosta;
 legge 30 giugno 1989, n. 244, recante – tra le altre – disposizioni sulle Commissioni e Sottocommissioni elettorali circondariali;
 legge 16 gennaio 1992, n. 15 - Modificazione al
t.u. n. 223/1967 e al t.u. n. 361/1957;
 legge 6 febbraio 1996, n. 52 - art. 11 “Recepimento della direttiva 94/80/Ce sull’elettorato
attivo e passivo dei cittadini dell’Ue, residenti in
Italia, nelle consultazioni per l’elezione dei consigli comunali;
1. V. A. Pitton, Elettorato attivo e formazione delle liste elettorali, in Lo Stato Civile Italiano, gennaio 1997, pp. 52-57;
V. Mercurio, Il servizio elettorale tra realtà ed eventuali innovazioni, in I Servizi Demografici, n. 10/1999, pp. 1139-1142;
S. Costantini, Il servizio elettorale tra luci ed ombre, in Notiziario Anusca, Anno XV, n. 7/2000, p. 2;
U. Coassin, Aboliamo la tenuta e la revisione delle liste elettorali, in Notiziario Anusca, Anno XV, n. 9/2000, p. 3;
G. Pelizzaro, L’informatizzazione del servizio elettorale, in Notiziario Anusca, Anno XVI, n. 12/2001, p. 6;
G. Pizzo, Servizio elettorale ed informatica: due parallele all’infinito?, in Lo Stato Civile Italiano, maggio 2003, p. 384;
Da Relazioni, di Sergio Santi, Esperto Anusca, già Dirigente dell'ufficio elettorale del Comune di Bologna, relativamente “alla normativa per la tenuta e
l'aggiornamento delle liste elettorali”.
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I SERVIZI DEMOGRAFICI 1.2 2011 ■ studi e proposte
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 d.lgs. 12 aprile 1996, n. 197 “Attuazione della direttiva 94/80/Ce”;
 art. 238 del d.lgs. 19 febbraio 1998, n. 51, che
conferisce al Prefetto la presidenza della commissione circondariale;
 art. 26 della legge 24 novembre 2000, n. 340, che
istituisce la figura dell’ufficiale elettorale;
 art. 177, comma 5, del d.lgs. 30 giugno 2003,
n. 196, che riscrive l’ultimo comma dell’art. 51
relativamente al rilascio in copia delle liste elettorali;
 art. 7-quinquies, del d.l. 31 gennaio 2005, che elimina l’obbligo della notificazione per le cancellazioni e iscrizioni nelle liste elettorali, relative al
trasferimento della residenza, essendo sufficiente il solo deposito nella segreteria del comune;
 art. 10 della legge 21 dicembre 2005, n. 270, che
reintroduce la Commissione elettorale comunale
nei comuni con popolazione inferiore a 15.000
abitanti;
 d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, art. 152, che ha disposto l’abrogazione della lettera a), del comma
1, dell’art. 2 testo unico n. 223/1967, che comminava la perdita della capacità elettorale per i
soggetti dichiarati falliti;
 il comma 30 dell’articolo 2 della legge 24 dicembre 2007, n. 244 “ Disposizioni per la formazione
del bilancio annuale e pluriennale dello Stato
(legge finanziaria 2008), che attribuisce le funzioni della commissione elettorale comunale in
materia di tenuta e revisione delle liste al responsabile dell’ufficio elettorale comunale.
Le relative istruzioni sono contenute nella circolare
del Ministero dell’interno n. 2600/L del 1° febbraio
1986, che ha raccolto e coordinato le disposizioni
precedenti.
La capacità elettorale
L’articolo 1 della Costituzione della Repubblica
italiana stabilisce che “la sovranità appartiene al
popolo”. L’articolo 48, della medesima, disciplina
l’esercizio della sovranità, stabilendo i requisiti necessari per essere elettori:
il possesso della cittadinanza italiana;
il compimento della maggiore età;
la mancanza delle cause escludenti, previste dalla legge.
L’entrata in vigore della legge n. 193/1980 ha modificato sostanzialmente la normativa precedente,
eliminando ogni connessione tra la “qualità” del
reato commesso e la perdita del diritto elettorale.
Oggi i cittadini esclusi dalle liste sono soltanto
coloro che rientrano nei casi previsti dall’articolo
2 del t.u. 20 marzo 1967, n. 223, come sostituito
dall’art. 1 della legge 16 gennaio 1992, n. 15 e da
ultimo modificato (v. supra) dal d.lgs. 9 gennaio
2006, n. 5, art. 152.
La gestione del corpo elettorale, cioè di tutti coloro che hanno diritto di essere ammessi al voto e di
coloro che non ne hanno diritto (esclusi), si esplici-
ta in un formalismo procedurale molto rigido che
comprende:
la tenuta e l’aggiornamento dello schedario elettorale;
la tenuta e la revisione delle liste sezionali e generali;
l’istituzione, numerazione, tenuta, aggiornamento, trasmissione e archiviazione dei fascicoli
personali degli elettori.
Lo schedario elettorale
a) La normativa vigente
L’art. 6 del t.u. 20 marzo 1967, n. 223, “Norme per
la disciplina dell’elettorato attivo e per la tenuta e
revisione delle liste elettorali”, stabilisce l’istituzione presso ogni comune dello schedario elettorale,
composto dallo “schedario generale” e dallo “schedario sezionale”.
Lo schedario generale si compone di una parte
principale – dove sono raccolte le schede dei cittadini iscritti nelle liste elettorali del comune e per i
quali non si sia verificato alcun evento che ne comporti la cancellazione – e di due compartimenti riservati, rispettivamente, alla custodia delle schede
dei cittadini da cancellare dalle liste e di quelle
degli iscrivendi. Le schede devono essere tenute
in rigoroso ordine alfabetico indipendentemente
dal sesso.
Nello schedario sezionale le schede sono tenute in
rigoroso ordine alfabetico, ma distintamente per
sesso, in due raccoglitori distinti per ciascuna sezione elettorale.
La normativa vigente, quindi, per il cittadino elettore, prevede addirittura tre schede: quella anagrafica e quelle elettorali generale e sezionale.
La legge 24 dicembre 1954, n. 1228 “Ordinamento
delle anagrafi della popolazione residente (G.U. n.
8 del 12 gennaio 1955) prescrive, infatti, all’art. 1 comma 1, che “In ogni comune deve essere tenuta
l’anagrafe della popolazione residente” e l’art. 1,
comma 2, del d.P.R. 30 maggio 1989, n. 223 (G.U.
n. 132 dell’8 giugno 1989) “Approvazione del nuovo regolamento anagrafico della popolazione residente”, precisa che “l’anagrafe è costituita da schede individuali, di famiglia e di convivenza”. Queste
schede vanno a costituire quello che viene definito
lo “schedario anagrafico”.
b) Le innovazioni possibili
Premessa
Abbiamo visto che per avere la capacità di voto occorrono la cittadinanza, l’età e la non inabilitazione. Tutto qui? Sì, tutto qui. E allora, se pensiamo
che già oggi ogni aggiornamento degli schedari
elettorali “parte” (riceve i dati) dall’anagrafe, ai
fini della successiva compilazione e aggiornamento
delle liste diventa superfluo e oneroso tenere ag-
I SERVIZI DEMOGRAFICI 1.2 2011 ■ studi e proposte
giornati tre schedari (generale, sezionale, anagrafico) per le stesse persone.
Il concetto preliminare da cui partire è, pertanto,
l’unificazione degli schedari anagrafico ed elettorale 2.
Semplificazione e proposte
La questione, relativamente agli schedari elettorali cartacei, è stata risolta, per i comuni dotati di
impianti elettronici, quasi tutti ormai, grazie all’intervento del Ministero dell’interno che ne ha consentito la sostituzione e la tenuta con procedure e
strumenti informatizzati 3. La proposta è di andare
oltre. Oggi la tecnologia e gli strumenti informatici
permettono, in tutti i comuni (e se così non fosse,
sarebbe più conveniente dotare i comuni sprovvisti
delle necessarie tecnologie informatiche) l’estrazione delle liste elettorali dall’anagrafe e la loro formazione in pochissime ore: se i tempi tecnici di una consultazione dipendessero solo dalle liste elettorali, si
potrebbe votare dall’oggi al domani. Non ha senso,
quindi, tenere ancora anche lo schedario elettorale,
pur su supporto informatico, perché ciò comporta
tutt’oggi una sequela di comunicazioni tra lo stato
civile-anagrafe e l’elettorale per l’aggiornamento di
quest’ultimo (emigrati, deceduti, perdita della cittadinanza, riacquisto, immigrati, cambi di abitazione,
ecc.) e conseguenti revisioni delle liste elettorali.
Ulteriore considerazione: avremmo delle liste sempre belle pronte, pulite, in ordine alfabetico, con
risparmio di risorse economiche e umane, che potrebbero essere sicuramente meglio impiegate.
Le liste elettorali generali e sezionali
a) La normativa vigente
La normativa vigente distingue le liste elettorali in
generali e sezionali.
Le liste generali, distinte per uomini e donne, comprendono tutto il corpo elettorale e sono compilate
in ordine alfabetico, in duplice esemplare, uno dei
quali va conservato dal comune e l’altro presso la
commissione elettorale circondariale. Devono essere autenticate dall’ufficiale elettorale.
Quelle sezionali vanno compilate, distintamente per
sesso, in triplice 4 esemplare e sottoscritte dall’ufficiale elettorale. Dei tre esemplari, uno viene conservato dal comune e gli altri due sono depositati
presso la commissione elettorale circondariale.
Il loro aggiornamento viene effettuato a mezzo di
revisioni (dinamiche, straordinarie, semestrali) e variazioni dirette (cambio di abitazione nell’ambito
della stessa sezione, stato civile, ecc.).
Ai fini di questo aggiornamento l’ufficio anagrafe e
l’ufficio di stato civile devono trasmettere all’ufficio
elettorale, entro 48 ore dalla redazione, trascrizione o della registrazione dei relativi atti, la certificazione di tutti gli eventi che possono comportare variazioni allo schedario (v. supra) e alle liste. I
funzionari preposti agli uffici dell’anagrafe e dello
stato civile sono responsabili degli eventuali ritardi
e omissioni degli adempimenti per essi prescritti.
b) le innovazioni possibili
Premessa
1.Sostituire solamente, come da alcuni ipotizzato,
le liste elettorali con una copia su supporto informatico, anche se permette un consistente risparmio di materiale cartaceo e una minore usura
degli strumenti informatici per la stampa, è un
obiettivo modesto rispetto alla proposta di sostituire le liste elettorali con l’iscrizione anagrafica,
perché lascerebbe intatto tutto il procedimento
di revisione delle liste medesime.
2.Sarebbe sufficiente una presa d’atto in apposito
provvedimento normativo, il Ministero dell’interno ha escluso l’autorizzazione in via amministrativa, delle potenzialità dei sistemi informatici
già funzionanti.
3.Si obietterà che solo le liste cartacee consentono
la consultazione e la pubblicità delle stesse. Forse
che le liste informatiche, estratte dall’anagrafe,
lo vieterebbero? Quasi tutti i soggetti, che domandano copia delle liste, privilegiano ormai il
supporto informatico e per chi ne chiedesse la
consultazione questa potrà avvenire in tempo
reale da personal computer.
4.È necessario, inoltre, capire se anche le liste destinate ai seggi saranno sostituite da un personal computer, con un database degli elettori che
permetta, con una sola operazione, la spunta, il
riconoscimento e il controllo degli aventi diritto al voto, attraverso la CIE (auspicabile) o una
smart card.
Semplificazioni e proposte
Nessuna norma positiva prevede espressamente
la possibilità di non tenere copia stampata delle liste elettorali negli uffici comunali. Le regole
attuali, però, risalgono essenzialmente alla metà
degli anni ’60, sono state oggetto di modifiche e
integrazioni sempre parziali e, comunque, non per
esigenze di adeguamento alle potenzialità tecnologiche delle strumentazioni in uso negli uffici dei
comuni. Questo significa che si fondano sul presupposto che, ancora oggi, il processo di formazione delle liste avvenga scartabellando l’archivio
2. U. Coassin, Unificazione degli schedari anagrafico ed elettorale, in Lo Stato Civile Italiano, n. 2, febbraio 1978, p. 101.
3. “Tuttavia, i comuni muniti di attrezzature elettroniche o meccanografiche, potendo realizzare con le apparecchiature di cui sono in possesso le medesime finalità dello schedario sezionale, sono esonerati dal provvedere alla tenuta dello schedario elettorale sezionale (circolare Ministero dell’interno, n.
2600/L del 1° febbraio 1986, par. 43).
4. I comuni informatizzati possono stampare solo due copie, mentre l’esemplare delle liste destinate ai seggi viene stampato al 15° giorno precedente
la data della votazione, riordinando gli iscritti in stretto ordine alfabetico e “depurate” dai cancellati.
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I SERVIZI DEMOGRAFICI 1.2 2011 ■ studi e proposte
anagrafico per individuare le persone da iscrivere
o cancellare. Nel frattempo il mondo è cambiato
e la tecnologia consente l’estrazione diretta degli
iscrivendi e dei cancellandi direttamente dall’archivio informatico dell’anagrafe. L’ordinamento
che segue: numeri di lista, di fascicolo, eccetera, è
coerente. Le liste sono virtualmente sempre ordinate e possono essere stampate, belle e corrette,
in qualsiasi momento. Appare, quindi, incomprensibilmente insostenibile la difesa arroccata delle
formalità come descritte nel t.u. 223/1967 e nella
circolare 2600/L, se pensiamo che già un disegno di
legge del Ministro dell’interno Rognoni, presentato alla Camera il 25 gennaio 1978 (A.C. n. 2019) e
non esaminato a causa della fine anticipata della
legislatura, prendeva atto che quelle disposizioni
non tenevano più, prevedendo le modifiche poi riprese nel d.d.l. n. 2652 del 1981.
A onor del vero, in nessun ufficio elettorale comunale si seguono alla lettera tutte le formalità prescritte dalla circolare 2600/L. Infatti, alcuni uffici
elettorali gestiscono già in maniera “virtuale” le
liste, procedendo alle iscrizioni, cancellazioni e variazioni in modalità solo informatica e stampandole, in stretto ordine alfabetico, solo dopo il blocco,
pronte per essere autenticate dalla commissione
elettorale circondariale e mandate, poi, nei seggi.
E, a quanto si sa, mai in nessun caso si sono registrati problemi o contrattempi.
Perciò, riprendendo la considerazione formulata al
punto 2. della premessa, basterebbe che un provvedimento normativo prendesse atto di questa situazione di fatto e consentisse di approntare le liste
sezionali solo dopo il “blocco delle medesime”, evitando così di dover aggiornare i diversi esemplari
cartacei a ogni revisione o variazione.
Pur rappresentando questo un grossissimo passo
avanti, si ritiene, tuttavia, che sarebbe veramente ora di sfrondare, una buona volta, l’apparato
elettorale da operazioni inutili e costose, abolendo la tenuta e la revisione delle liste elettorali, la
cui estrazione per i seggi avverrà unicamente dallo
“schedario anagrafico”, tenendo per gli esclusi delle “liste in negativo”.
Quand’anche servisse finanziare l’implementazione delle strumentazioni informatiche, non ci vuole
molto a comprendere che i costi sarebbero ammortizzati in pochissimo tempo a fronte di un miglioramento incommensurabile in termini di efficienza,
efficacia ed economicità del servizio elettorale. Peraltro l’aspetto formativo degli addetti all’utilizzo
degli strumenti informatici è oramai, in tutti i comuni, buono e l’aggiornamento discretamente curato.
Da queste analisi scaturiscono altri approfondimenti e suggerimenti.
Le liste in negativo
Perché si parla di liste in negativo. Per la semplice
ragione che il comma 3 dell’art. 48 della Costituzione ci ricorda che “il diritto di voto non può essere
limitato se non per incapacità civile o per effetto di
sentenza penale irrevocabile o nei casi di indegnità
morale indicati dalla legge”. E la legge, art. 2 del
t.u. n. 223/1967, ci dice chi non è elettore:
a)coloro che sono stati sottoposti, in forza di provvedimenti definitivi, alle misure di prevenzione
di cui all’articolo 3 della legge 27 dicembre 1956,
n. 1423, come da ultimo modificato dall’articolo
4 della legge 3 agosto 1988, n. 327, finché durano gli effetti dei provvedimenti stessi;
b)coloro che sono sottoposti, in forza di provvedimenti definitivi, a misure di sicurezza detentive
o alla libertà vigilata o al divieto di soggiorno
in uno o più comuni o in una o più province, a
norma dell’articolo 215 del codice penale, finché
durano gli effetti dei provvedimenti stessi;
c) i condannati a pena che importa la interdizione
perpetua dai pubblici uffici;
d)coloro che sono sottoposti all’interdizione temporanea dai pubblici uffici, per tutto il tempo
della sua durata.
Tutti gli altri, maggiorenni e cittadini, sono quindi
elettori!
Ecco perché si sottolinea, con forza, che non servono liste in positivo, cioè di quelli che votano, che
sono quasi tutti (99,9%). Peraltro, l’iscrizione nelle
liste ha efficacia dichiarativa e non costitutiva del
diritto di voto, che proviene, infatti, direttamente
dalla Costituzione.
Per i pochi esclusi (0,1%), basta tenere in evidenza, ma anche questo può essere fatto (e viene già
fatto) con procedure informatiche, una lista dei
non aventi diritto al voto per le cause di incapacità
elettorale previste dal citato art. 2 del testo unico
n. 223 del 1967. Questo, soprattutto, per annotare il momento del riacquisto del diritto elettorale,
quando la causa ostativa sia temporanea.
Da evidenziare, per di più, il fatto che già in diversi
comuni è stata autorizzata la cessazione degli aggiornamenti degli schedari anagrafici. Passo molto
più impegnativo in quanto si autorizza la dismissione del cartaceo su una banca dati fonte di certificazione.
La questione delle liste generali 5
L’attuale impianto normativo prevede, quindi, l’esistenza delle liste generali e sezionali. Il progetto di
riforma del 1981 6, come ricordato, prevedeva già
l’abolizione delle liste generali e la stampa di quelle sezionali solo in occasione di votazioni.
Sull’abolizione delle liste generali c’è più di qualche remora da parte di autorevoli “addetti ai la-
5. U. Coassin, Occorre abolire subito le liste generali, in Lo Stato Civile Italiano, luglio 1974, (sic) p. 419.
6. Disegno di legge di iniziativa del Governo n. 2652 “Norme per la disciplina dell'elettorato attivo e la revisione dell'anagrafe elettorale” presentato
alla Camera dei deputati il 6 giugno 1981.
I SERVIZI DEMOGRAFICI 1.2 2011 ■ studi e proposte
vori”, che considerano “condizione necessaria per
l’eliminazione delle liste sezionali il mantenimento
di quelle generali ancora su cartaceo per consentire controlli anche a posteriori”. Altri obiettano
che “i dati certificabili sono solo quelli contenuti
nelle liste generali che conservano le generalità
complete dell’elettore e il numero di iscrizione
nelle liste”.
Al riguardo si ribadisce che le tecnologie in dotazione degli uffici anagrafico-elettorale, oltre a snellire l’attività, garantiscono l’osservanza sostanziale
delle norme e producono risultati amministrativi
migliori. Le memorie dei computer, inoltre, consentono la visualizzazione e, volendo, la stampa dei
movimenti e variazioni relative a ciascun cittadino
elettore: quando ha maturato l’elettorato attivo
(per età o iscrizione anagrafica), quando, eventualmente, ha cambiato sezione a seguito del trasferimento di abitazione, quando è stato cancellato
(per emigrazione, decesso), ecc.
Per la certificazione, tenendo, come proposto, le
“liste in negativo”, si potrà certificare tranquillamente la condizione di elettore, anche senza riferimento per forza a un numero di lista, nei confronti
di tutti gli elettori non incorsi in una causa ostativa
all’esercizio dell’elettorato attivo.
Stampa delle “liste (elenchi) informatiche” degli
elettori per i seggi
Tra le operazioni preliminari all’insediamento
dell’Ufficio elettorale di sezione è prevista la consegna al presidente di un esemplare della lista degli
elettori della sezione e di un estratto di tale lista
per l’affissione nella sala della votazione. Il seggio,
evidentemente, deve sapere quanti e quali elettori
si recheranno a votare, e per determinare il numero
delle schede da autenticare e per l’identificazione
degli elettori.
Questo non contrasta con l’auspicata abolizione
della tenuta delle liste sezionali, in quanto è concretamente possibile estrarre, con le procedure
informatiche, di cui ormai tutti gli uffici demografici dovrebbero obbligatoriamente dotarsi, direttamente dall’anagrafe le liste (che a questo punto si
preferisce chiamare “elenchi”) degli elettori per le
funzioni tradizionali fino, si auspica, all’introduzione di sistemi elettronici, almeno per la gestione dei
votanti, se non del voto 7.
La stampa di questi elenchi, solo in occasione delle votazioni, eviterà tutte le revisioni attualmente previste. Tra l’altro, l’aggiornamento del corpo
elettorale, anche rispetto alla sua mobilità (emigrati ed immigrati), sarà reso possibile in tempo reale
attraverso le connessioni telematiche tra comune e
comune, assicurate dal Sistema di Accesso e Interscambio Anagrafico (SAIA), in fase di applicazione
generalizzata, assieme all’Indice Nazionale delle
Anagrafi (INA).
Sulla base dei criteri enunciati in questo e nei precedenti punti, l’articolato dell’attuale testo unico,
che regola la formazione delle liste, potrebbe essere così concepito:
1.L’elenco degli elettori, distinto per sezioni, è formato dall’ufficio anagrafe in ordine alfabetico in
due esemplari 8, entro il quindicesimo giorno precedente la data della consultazione elettorale,
mediante estrazione informatica dalle anagrafi
della popolazione. Esso comprenderà i cittadini
che avranno compiuto il diciottesimo anno di
età al giorno fissato per la votazione, che non
siano incorsi in una causa di incapacità prevista
dall’art. 2 9.
2.Se per la consultazione elettorale è previsto il
turno di ballottaggio, l’elenco è formato in quattro esemplari.
3.Per ogni elettore saranno indicati:
a)la sezione di appartenenza e il numero d’ordine progressivo;
b)il cognome e nome;
c) il luogo e la data di nascita;
d)l’abitazione.
4.Esso è sottoscritto dall’ufficiale dell’anagrafe ed
elettorale.
Tutto ciò, si ribadisce, fino a quando gli elenchi potranno essere sostituiti da un personal computer,
con un database degli elettori, che permetta, con
una sola operazione, la spunta, il riconoscimento
e il controllo degli aventi diritto al voto, attraverso
l’uso della carta d’identità (auspicabile) su supporto
magnetico.
I fascicoli personali
a) Impianto dei fascicoli personali
Per comprovare, in qualsiasi sede e momento, la legittimità di ogni iscrizione nelle liste, per ogni cittadino
maggiorenne devono essere raccolti, in un fascicolo
personale, l’estratto dell’atto di nascita, il certificato
penale e quelli di residenza e cittadinanza.
Come è noto, per l’iscrizione nelle liste elettorali
devono sussistere, per ciascun soggetto, i requisiti della cittadinanza italiana, della maggiore età,
l’assenza di cause che escludono la capacità elettorale e, eccezion fatta per i connazionali residenti
all’estero, l’iscrizione nell’anagrafe del comune di
residenza.
7. Ad esempio, il Comune di S. Benedetto del Tronto ha già sperimentato, alle elezioni regionali del 2000, una applicazione prototipo per la gestione
delle operazioni di voto che ha permesso di sostituire le liste di sezione cartacee, utilizzate dagli scrutatori, con un PC e gestire così l’affluenza e i dati
legati ai votanti in modo digitale.
8. Uno per le operazioni del seggio e uno per l’affissione (quest’ultimo forse non più compatibile con il diritto alla riservatezza del cittadino, dopo l’entrata
in vigore della legge n. 675/1996 (ora la materia è regolata dal d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196) o, quantomeno, per conciliarlo con il rispetto del controllo
democratico sulle elezioni, si limitino all’essenziale i dati personali, ad esempio al solo nome e cognome, in esso riportati.
9. Per questi, ovviamente, sarà già stato inserito nel sistema informatico dell'anagrafe, un flag di esclusione.
21
I SERVIZI DEMOGRAFICI 1.2 2011 ■ studi e proposte
22
Oltre agli atti relativi all’iscrizione, vanno custoditi
nel fascicolo quelli che hanno dato luogo a successive variazioni: cambi di abitazione, rettifica di generalità, modifiche, per le sole donne, dello stato
civile, ecc., fino a quelli che comportano la cancellazione dalle liste per morte, perdita della cittadinanza, cause ostative, ecc., o per il trasferimento in
altro comune. in quest’ultimo caso il fascicolo viene
inviato, con tutti gli atti in esso contenuti, al comune di immigrazione.
I fascicoli, invece, relativi ai cittadini cancellati dalle
liste per morte o perdita della cittadinanza, vengono archiviati e custoditi per un periodo di cinque
anni 10. Dopodiché possono essere definitivamente
eliminati e inviati al macero.
I fascicoli, infine, relativi alle persone non iscritte
o cancellate dalle liste per una causa di incapacità elettorale definitiva o temporanea sono tenuti
nell’archivio corrente per essere utilizzati per la reiscrizione nelle liste in caso di riacquisto, a qualsiasi
titolo, della capacità elettorale.
b) Le innovazioni possibili
La necessità di tenere per ogni elettore un fascicolo personale ha una utilità limitata anche con l’attuale normativa ed è possibile dimostrarlo con un
esempio.
Per l’iscrizione nelle liste dei diciottenni (leva elettorale) l’ufficio anagrafe predispone un apposito
elenco. Questo evidenzia già, per ogni nominativo,
il requisito dell’età e della residenza o dell’iscrizione all’Aire del comune. I cittadini stranieri, anche
se residenti, non vengono ovviamente compresi
nell’elenco e, quindi, gli inclusi sono tutti cittadini
italiani. Infine, dal momento che l’autorità giudiziaria e quella di pubblica sicurezza devono comunicare al comune di residenza dei cittadini iscrivendi le
sentenze o le misure di prevenzione che comporta-
no la perdita del diritto elettorale, diventa inutile la
richiesta generalizzata (cioè per tutti), al casellario
giudiziale, del certificato penale. Gli altri atti, che
interesseranno in seguito l’elettore, concluso il loro
iter, seguono la normale archiviazione. Se poi, come
proposto, si perverrà all’unificazione degli schedari
anagrafico ed elettorale e alla eliminazione delle liste e di tutte le conseguenti revisioni, verrà a cessare ogni ragionevole esigenza di tenere e conservare
un fascicolo personale per ciascun elettore.
Solo per gli “esclusi”, cioè coloro che sono incorsi
nella perdita del diritto elettorale e, quindi, compresi nelle “liste in negativo”, sarà sicuramente opportuno istituire, all’occorrenza, un apposito fascicolo personale 11.
Anche per gli elettori residenti all’estero non si
ravvisa il bisogno di tenere i fascicoli personali, in
quanto regolarizzando la loro iscrizione all’A.I.R.E.,
saranno anche “elettori assegnati ad apposita sezione o a quella originaria”: la competenza per
esercitare il diritto di voto deriva unicamente dalla
competenza all’iscrizione A.I.R.E.
L’analisi delle procedure prese in esame è stata affrontata da un lato, cercando di individuare le carenze dell’attuale normative, dall’altro osservando,
da un punto di vista giuridico, tecnico e organizzativo, le prospettive di implementazione di strumenti elettronici e informatici per automatizzare alcuni
procedimenti. Le conseguenti proposte innovative
hanno tratto origine da un attento e documentato
approfondimento dei temi, soprattutto attraverso i
citati (v. nota 1) e integralmente riportati, contributi di diversi operatori (colleghi) del settore, nonché
dalle esperienze dirette.
Pur valutando l’oggettività di alcuni problemi, infatti semplificare e razionalizzare in una materia così
delicata non è indubbiamente facile e senza rischi,
è una strada che, comprensibilmente con le dovute
cautele, bisogna almeno provare a percorrere.
10. U. Coassin, Eliminazione dei fascicoli personali dopo un quinquennio di conservazione, in Lo Stato Civile Italiano, n. 6, giugno 1977, p. 374.
11. Per inserirvi i provvedimenti dell’autorità giudiziaria.
23
ATTUALITà
Il ruolo dei rilevatori nel prossimo
censimento demografico
di Antonio Cortese *
Alla luce di quanto sin qui annunciato dall’Istat in varie occasioni ufficiali, saranno molte le innovazioni
organizzative che caratterizzeranno il prossimo censimento della
popolazione. Le principali, come
è noto, riguarderanno l’adozione
di un doppio questionario dal momento che la rilevazione di alcune
notizie avverrà, almeno in parte, su
base campionaria, l’utilizzo di archivi amministrativi che integreranno l’anagrafe comunale a garanzia
dell’esaustività della conta e, infine,
i criteri che saranno seguiti per la
consegna dei questionari e, soprattutto, per la loro restituzione agli
Uffici Comunali di Censimento (la
cosiddetta “multicanalità”).
Si è sostenuto che tali innovazioni avranno un impatto positivo sui
costi dell’operazione censuaria. Di
ciò non si può dubitare in quanto la
più rilevante voce di costo del censimento è stata in passato rappresentata proprio dai compensi previsti
per i “rilevatori” che in altre epoche
si sono chiamati “ufficiali di censimento”. Di questa figura nei documenti sinora circolati non si è molto
parlato. Il tema, del quale di recente
mi sono in parte già occupato, merita di essere approfondito perché
se da un lato appare chiaro che la
nuova organizzazione sembra non
riservare ad essi un ruolo particolare, è dall’altro possibile individuare
adempimenti che non so fino a che
punto potranno gravare esclusivamente sulle spalle degli UCC. Di tali
questioni si occuperà naturalmente
il “Piano Generale del Censimento”. L’art. 50, secondo comma, del
decreto legge n. 78/2010 prevede
* Docente di metodi statistici di valutazione delle politiche
infatti che in esso saranno definite
la data di riferimento dei dati, gli
obiettivi, il campo di osservazione,
le metodologie di organizzazione
ed esecuzione delle operazioni censuarie, gli adempimenti cui saranno
tenuti i rispondenti nonché gli uffici di censimento, singoli o associati,
preposti allo svolgimento delle procedure...
Ciò non impedisce in ogni caso di
sviluppare sul punto una breve riflessione.
In primo luogo mi sembra utile richiamare i compiti affidati ai rilevatori in occasione dell’ultimo
censimento e da questo punto di
vista non v’è che da far riferimento a quanto fu previsto dall’art. 17
del Regolamento di esecuzione di
cui al d.P.R. 22 maggio 2001, n. 276,
il quale ha precisato (sorvolo su
aspetti secondari):
1.I rilevatori svolgono i compiti loro
affidati dai responsabili degli uffici di censimento comunali e dai
coordinatori comunali, fornendo
ai rispondenti tutti i chiarimenti
richiesti e, se necessario, collaborando con essi alla compilazione
del questionario.
2.I rilevatori provvedono alla consegna e al ritiro dei fogli di famiglia e di convivenza, alla compilazione dei questionari del
censimento degli edifici nonché
all’esecuzione dei compiti indicati nelle circolari…
3.Al momento del ritiro i rilevatori provvedono ad effettuare per
ciascun questionario i controlli
necessari per accertare la completezza delle informazioni raccolte e la coerenza tra le risposte
fornite…
Per quanto concerne il prossimo
censimento, sul sito dell’Istat si legge che la principale innovazione
“consiste nell’impiego nella rilevazione delle liste anagrafiche comunali (LAC) di famiglie e convivenze,
affiancate da altre liste ausiliarie,
di fonte sia comunale che nazionale. Questa opzione consente
una modifica radicale del processo
produttivo censuario: per la prima
volta i questionari potranno essere
distribuiti per posta e non più dai
rilevatori e i rispondenti potranno
scegliere fra diverse soluzioni per
la loro compilazione e restituzione:
web, posta, centri di raccolta”.
Prendo atto della scelta, che onde
evitare equivoci dichiaro di condividere, ma mi interessa ragionare
su talune conseguenze che da essa
scaturiscono.
Precisato che non intendo “mitizzare” la figura del rilevatore, ben
consapevole dello scarto che vi è
sempre stato in passato tra previsione normativa e realtà operativa,
osservo inizialmente che si rinuncia
a taluni benefici connessi al rapporto diretto tra rilevatori e rispondenti: possibilità di fornire chiarimenti
al momento della consegna dei
questionari e di collaborare con il
rispondente nella loro compilazione; accertamento, al momento del
ritiro, della completezza delle informazioni raccolte e della coerenza
tra le risposte fornite.
Nella rilevazione pilota che nell’ottobre 2009 ha riguardato 82.735
famiglie, il 40,8 per cento dei questionari è stato restituito per posta
e il 9,1 per cento è stato spedito via
web.
Nell’ipotesi che il censimento confermi tali percentuali, si dovrebbe
pensare alla organizzazione di una
24
capillare rete di centri di raccolta e,
aggiungo, di assistenza dal momento che i contenuti del questionario
non sono stati ridotti. Presso questi
centri dovrebbe in altri termini essere garantita la presenza di operatori in grado di aiutare i rispondenti
in difficoltà. Nel 2001, ad esempio,
circa due milioni di anziani sono
stati censiti in abitazioni di proprietà nelle quali vivevano da soli.
Quanto alla “revisione qualitativa”,
si tratta a mio parere di scegliere se
coinvolgere gli Uffici Comunali di
Censimento, ovviamente solo per
una parte dei questionari, o se affidarsi esclusivamente alle procedure
di correzione automatica – con indubbi vantaggi ma anche con qualche potenziale rischio – che saranno
attivate a livello centrale.
Ciò detto, non posso evidentemente trascurare i “casi particolari” per
i quali l’Istat ha in passato ritenuto
di dover prevedere specifiche disposizioni. Mi riferisco soprattutto ai
“senza tetto”. I tratti salienti delle
modalità operative sperimentate nel
2001 per la loro enumerazione (sono
del parere che vi sia stata una sensibile sottostima delle persone che
vivevano una situazione di disagio
abitativo) 1, sono stati i seguenti:
 preventiva ricognizione del territorio;
 simultaneità (raccolta dei dati
in un giorno prefissato al fine di
evitare duplicazioni);
 rinuncia all’autocompilazione del
questionario normalmente prevista per i rispondenti;
 impiego di rilevatori particolarmente qualificati, assistiti da
“agenti comunali”.
Non so quali scelte saranno operate in proposito ma reputo difficile
l’adozione di strategie alternative.
In questo caso la figura del rilevatore sopravviverebbe anche se l’Istat
dovesse decidere di non farsi carico
1. Ho esaminato questo aspetto in un recente lavoro al quale pertanto rinvio (La rilevazione statistica
dei senza tetto e delle altre persone non occupanti
un’abitazione, Working Paper n. 3.204 del Dipartimento di Scienze Economiche e Statistiche dell’Università di Salerno).
I SERVIZI DEMOGRAFICI 1.2 2011 ■ attualità
degli oneri conseguenti delegando
completamente agli Uffici Comunali di Censimento la responsabilità
dei necessari adempimenti.
Come si è visto, nel 2001 ai rilevatori spettava pure il compito di compilare i questionari per il censimento
degli edifici. Anche in questo caso
il rilevatore, o comunque lo si vorrà chiamare, verrà “salvato”. Per
i grandi comuni è attualmente in
corso la “Rilevazione dei Numeri Civici” (Rnc) con la quale – mi rifaccio
nuovamente a notizie presenti sul
sito – “saranno raccolti dati sulle
caratteristiche strutturali di ciascun
numero civico (n. scale, n. piani,
n. unità immobiliari per tipologia
d’uso)”. All’interno di detta rilevazione saranno praticamente acquisite notizie sui singoli edifici. Al
momento del censimento saranno
aggiornate tali notizie che verranno inoltre raccolte per tutti i piccoli
comuni oggi non interessati (in entrambi i casi vi sarà un necessario
coinvolgimento di risorse umane).
Un approfondimento specifico su
quest’ultimo aspetto mi sembra
opportuno. Con il censimento degli
edifici sarà possibile quantificare lo
stock abitativo nel suo complesso.
Poiché con le notizie raccolte con
il “foglio di famiglia” si accerterà il
numero delle abitazioni occupate,
solo per differenza si avrà la possibilità di determinare il numero delle abitazioni non occupate. Osservo
al riguardo che in tal modo si opera
implicitamente una variazione della
definizione di abitazione non occupata adottata con il censimento
del 2001. Sino al 1991 la definizione
usualmente adottata dal censimento prevedeva che in tale aggregato
dovessero rientrare le abitazioni
“non abitate da alcuna persona
nonché quelle abitate solamente da
persone temporaneamente presenti che, cioè, non avevano la dimora
abituale in quella abitazione”. Con
l’ultimo censimento si è invece stabilito di considerare come “abitazioni occupate” anche quelle in cui
“dimora non abitualmente o è pre-
sente occasionalmente alla data del
censimento almeno una persona”.
Ora si ritorna insomma nel solco di
una prassi sempre seguita dal 1951
in poi. Intendiamoci, non è che la
novità del 2001 non avesse una sua
ratio. Aveva un senso considerare
non occupata, e quindi disponibile
sul mercato, un’abitazione messa a
disposizione di parenti in visita magari per un brevissimo periodo. Altra
cosa, con lo sviluppo della presenza
straniera nel nostro paese, era quella di continuare a considerare non
occupata un’abitazione abitualmente occupata da stranieri ai quali solo
la mancanza di un permesso di soggiorno impediva di essere considerati “residenti” (ulteriore novità definitoria del censimento 2001). Rilevo
ancora nell’occasione che l’attuale
strategia censuaria pare escludere la
possibilità di censire la popolazione
presente, obiettivo sempre perseguito dalla rilevazione decennale.
Mi spiace solo che in tal caso si dovrà
rinunciare al tentativo di quantificare la popolazione straniera “non
residente”.
Vengo da ultimo a toccare un punto, assolutamente centrale, dello
schema organizzativo che si sta
portando avanti, quello relativo all’impiego nella rilevazione
delle liste anagrafiche comunali
nell’ottica, come a me piace dire,
di anticipare i tempi del confronto
censimento-anagrafe. Parto da una
premessa che ritengo necessaria.
Dovrà a mio parere essere garantita la piena contestualità delle due
operazioni, quella che da un lato si
propone di garantire al censimento l’esaustività della conta e quella
che, dall’altro lato, ha l’obiettivo di
aggiornare il sistema delle anagrafi
comunali. L’eventuale proposito di
revisionare le anagrafi dopo il censimento non avrebbe molto senso e
potrebbe produrre effetti negativi
che contrasterebbero fra l’altro con
l’idea, da condividere, di puntare
nel prossimo futuro al superamento
del censimento tradizionale. Oggi
poi che si parla della “compatibilità
I SERVIZI DEMOGRAFICI 1.2 2011 ■ ATTUALITà
25
delle abitudini anagrafiche con un
assetto di governo federalista” 2.
L’aspettativa dovrebbe in altri termini essere quella di una popolazione legale perfettamente allineata a
quella risultante in anagrafe alla
data del censimento. In relazione a
quanto previsto dall’art. 46 del Regolamento anagrafico, assai spesso
citato, reputo in questo caso opportuno richiamare l’ultimo comma
(“Nell’intervallo tra due censimenti
l’anagrafe deve essere costantemente aggiornata, in modo che le
sue risultanze coincidano, in ogni
momento, con la situazione di fatto relativa al numero delle famiglie,
delle convivenze e delle persone
residenti nel comune”) per sottolineare piuttosto l’importanza di una
continua attività di vigilanza.
Torno ancora una volta al sito
dell’Istat: “L’anagrafe comunale è
soggetta a errori di sovra copertura,
originati da chi è ancora registrato
ma non risiede più nel comune, e a
errori di sotto copertura, originati
da chi dimora abitualmente sul territorio comunale ma non vi risulta
residente. Gli errori del primo tipo
saranno eliminati grazie alla rileva-
zione 3 sul campo che accerterà l’irreperibilità di individui e famiglie.
Per sanare le conseguenze degli
errori del secondo tipo sono stati
approntati alcuni metodi applicabili
al contesto italiano e utili a determinare la popolazione legale di ciascun comune:
 con il supporto di liste ausiliarie
di individui e relativi indirizzi, impiegare i rilevatori per svolgere
un’operazione di recupero il più
possibile completa 4;
 condurre una rilevazione tradizionale in un campione di sezioni di censimento del Comune,
indipendente e contestuale alla
raccolta dei questionari da LAC, e
stimare il suo grado di copertura
con il metodo cattura-ricattura”.
Non entro nel merito tecnico del
programma delineato. Per restare al tema che ho selezionato per
questo mio contributo, mi preme
soltanto evidenziare che per lo svolgimento di diverse attività (presidio
dei centri di raccolta, censimento
di persone in particolari situazioni,
rilevazione dei numeri civici, operazione di recupero connessa alla
sotto copertura delle anagrafi co-
munali, ecc.) dovrà essere previsto
l’impiego di “operatori” che non è
detto siano sempre reperibili all’interno degli Uffici Comunali di Censimento. Al di là dell’attenzione che
dovrà essere posta nella definizione
dei compensi e dei criteri da seguire
per la loro selezione, la questione
che sollevo è quella che riguarda la
distinzione tra i costi, non direttamente legati all’operazione censuaria o che comunque possono essere
scaricati sui comuni e i costi che invece dovranno essere coperti dal finanziamento garantito all’Istat per
l’esecuzione del censimento. Non è
sicuramente di secondaria importanza tenuto conto che in passato ci
sono stati problemi per uno sciopero dei rilevatori che si dichiararono
improvvisamente insoddisfatti del
compenso pattuito e che un grande
comune ha trattenuto i questionari ritardando la pubblicazione sulla
Gazzetta Ufficiale dei dati sulla popolazione legale, perché riteneva
di aver diritto ad un rimborso delle
spese di entità superiore a quella
fissata, non dall’Istat, ma da una
Commissione istituita presso il Ministero dell’interno 5.
2. N. Salerno, e F. Pamolli, Quale comune di residenza con il federalismo? L’importanza di una anagrafe
aggiornata, sito www.neodemos.it, pubblicato l’8
novembre 2010.
3. In questo caso avrei più semplicemente parlato
di “accertamento”.
4. Eliminare gli errori di sotto copertura è senza
dubbio impresa ardua.
5. Cfr. A. Cortese, e M. Greco, (1993), Il grado di
copertura del censimento demografico 1991: considerazioni sulla base del confronto con le risultanze
anagrafiche, Quaderni di Ricerca Istat.
26
I SERVIZI DEMOGRAFICI 1.2 2011 ■ attualità
Divieto di propaganda elettorale.
Lacuna colmata o provvedimento
discutibile?
La legge n. 175 del 13 ottobre 2010
di Patrizia Dolcimele *
Lo scorso 6 ottobre il Senato ha approvato con voti pressoché unanimi
(252 favorevoli ed un astenuto) il cosiddetto disegno di legge “Lazzati”,
chiamato così perché fortemente voluta dal “centro studi Lazzati” e dal
suo fondatore, il giudice calabrese
Romano De Grazia, ex magistrato della Corte Suprema di Cassazione.
La legge è stata promulgata il 13 ottobre 2010, con il numero 175 e reca
“Disposizioni concernenti il divieto di
svolgimento di propaganda elettorale per persone sottoposte a misure di
prevenzione”, è stata pubblicata sulla
Gazzetta Ufficiale n. 252 del 27 ottobre 2010 ed entrerà in vigore il prossimo 11 novembre.
Si tratta di una legge che segna indubbiamente un importante arricchimento della normativa esistente
in materia di propaganda elettorale
e principalmente integra la dizione
dell’art. 10 della legge n. 575 del 31
maggio 1965, inserendo due nuovi
commi, il 5-bis-1 ed il 5-bis-2.
Esaminiamo brevemente le due disposizioni.
Nell’articolo 1 si prevede che “alle persone indiziate di appartenere ad associazioni di tipo mafioso, alla camorra o
ad altre associazioni comunque localmente denominate che perseguono
finalità o agiscono con metodi corrispondenti a quelli delle associazioni
di tipo mafioso, sottoposte alla misura
della sorveglianza speciale di pubblica
sicurezza, è fatto divieto di svolgere
propaganda elettorale in favore o in
pregiudizio di candidati e simboli, con
* Vicesegretario del Comune di Baranzate
qualsiasi mezzo direttamente o indirettamente”.
In sostanza, ai soggetti ritenuti sorvegliati speciali a seguito di giudizio
di pericolosità sociale, che già attualmente per la legge sono privi di diritto di voto attivo e passivo, viene fatto,
anche, divieto di svolgere attività per
la raccolta del consenso. Tale attività,
per fugare ogni dubbio, è composta,
sempre nella previsione dell’articolo
1, da “una molteplicità di atti, coinvolgimento di più persone, impiego
di mezzi economici e predisposizione
all’uopo di una sia pur minima struttura organizzativa”.
I restanti due articoli prevedono, per
il sorvegliato che svolge tale attività e
per il candidato di pochi scrupoli che
richiede o in qualche modo sollecita
l’illecito aiuto, la reclusione da 1 a 6
anni. Inoltre, con la sentenza di condanna passata in giudicato, il Tribunale dichiara il candidato ineleggibile
per un tempo non inferiore a cinque
anni e non superiore a dieci e, se eletto, l’organo di appartenenza ne dichiara la decadenza. Uno strumento
duro ed efficace, adeguato e rigoroso
che spezza il perverso legame di reciproco ausilio ed interesse tra politica
corrotta e criminalità organizzata.
Chiaro si percepisce il forte segnale che
il legislatore ha dettato per spezzare
il legame di connivenza tra politica e
criminalità, in particolare in quella delicata fase che il momento della propaganda elettorale, cruciale per la “captatio benevolentiae” del candidato alla
ricerca del consenso dell’elettorato.
Quindi si tratta di un provvedimento
inedito per il panorama italiano, lad-
dove ha colmato una evidente lacuna
ed un’anomalia che favoriva certamente il proliferare di forme di voto
di scambio politico-criminoso.
Esaminiamo ora gli elementi della
nuova fattispecie di reato introdotta
dalla legge n. 175/2010.
Innanzitutto elemento inedito è la
condotta criminosa che si configura
nella richiesta o sollecitazione da parte del candidato di effettuare propaganda elettorale in proprio favore a
persona sottoposta a misura di prevenzione.
La consumazione del reato è assolutamente anomala, perchè la soglia di
punibilità si supera con la semplice richiesta o sollecitazione di propaganda elettorale, in qualsiasi modo esercitata, quindi anche oralmente.
Qui si apre una breve riflessione.
Chiediamoci innanzitutto cosa si intende con il termine “sollecitazione”;
si potrebbe pensare ad una forma di
richiesta non espressa, ad una sorta di
stimolazione tacita, il che già sarebbe
sufficiente per integrare il reato in
esame, “ punito con la pena della reclusione da uno a cinque anni”.
In ordine al significato di propaganda,
poi, la definizione più corrente nella
lingua italiana è la seguente: ”attività volta alla diffusione di concetti,
teorie o posizioni ideologiche, politiche, religiose... al fine di condizionare
o influenzare il comportamento e la
psicologia collettiva di un vasto pubblico”.
Letteralmente questa attività è intrinsecamente priva di qualsiasi disvalore penale.
Non si vede come si potrebbe ragione-
I SERVIZI DEMOGRAFICI 1.2 2011 ■ ATTUALITà
volmente punire un sorvegliato speciale che decida di dedicarsi alla diffusione di una particolare idea politica;
la pretesa punitiva a carico del candidato politico che chieda o solleciti in
qualsiasi forma tale attività di diffusione potrebbe risultare priva di qualsiasi
fondamento logico e giuridico.
Secondo questa accezione, introdotta
dal nuovo dettato normativo, il candidato politico criminalizzato, prima di
avventurarsi nelle campagna elettorale al fine di evitare di incorrere nelle ristrettissime maglie della legge, sarebbe in sostanza costretto ad informarsi
se coloro i quali diffondono la sua idea
politica siano sottoposti ad una misura
di prevenzione e/o siano stati in qualche maniera richiesti o sollecitati, dal
candidato stesso o dall’organizzazione
politica di appartenenza.
Per la verità i soggetti contro interessati dal reato sono due: il candidato
politico che non deve chiedere o sollecitare e il sorvegliato speciale che
non deve svolgere attività politica di
propaganda in favore del politico.
A questo punto sorge spontaneo chiedersi se per esercizio di propaganda sia
sufficiente la sola diffusione dell’idea
politica, o al contrario, occorra una
predisposizione organizzata di mezzi
in forma stabile, diretta all’esercizio
della diffusione di una idea politica.
Da questo punto di vista non tutte le
condotte di propaganda politica sarebbero punibili, ma solo quelle esercitate mediante un’organizzazione a
ciò preposta.
Ulteriore riflessione nasce, inevitabilmente, nel momento in cui ci si chiede quale sia il bene protetto dalla
nuova norma, che sia coerente con il
principio della offensività e quindi costituzionalmente tutelata; la portata
di tale interrogativo finisce per coinvolgere anche la consistenza dell’elemento soggettivo, in specie, qualora
quest’ultimo dovesse ritenersi coincidente con il dolo specifico.
Com’è noto, esistono nella corrente
dottrina penalistica due diverse categorie dei reati di pericolo: la prima
di pericolo presunto o “astratto” e la
seconda dei reati di pericolo effettivo
o concreto; i primi non sono soggetti
ad un particolare accertamento circa
la reale attitudine diffusiva del danno, mentre per i secondi tale capacità
deve essere dimostrata in ogni singolo caso concreto.
La fattispecie di reato in esame parrebbe rientrare nella prima delle due
categorie, ossia nei reati di pericolo
astratto, tuttavia rimarrebbe sempre
privo di risposta il quesito iniziale:
qual è l’oggetto giuridico del reato,
su cosa si dovrebbe espandere il nocumento presunto dalla norma?
Proviamo a rispondere a questa domanda.
Posto che il bene giuridico tutelato
altro non può essere che la corretta
e disciplinata competizione elettorale, oltre al corretto e libero esercizio
del diritto all’elettorato attivo e passivo, la legge n. 175/2011 andrebbe a
contrastare il c.d. fenomeno della collusione politico-mafiosa che ha i suoi
effetti più nefasti proprio nella fase
elettorale con il tipico scambio clientelare di voti tra forze politiche ed
ambienti malavitosi dominanti, fattispecie, tra l’altro già ben inquadrata
nell’art. 416 ter del codice penale,
che, si ricorda, punisce con la reclusione da cinque a dieci anni esclusivamente la promessa di scambiare voti
con denaro.
Tuttavia le tipologie di scambio non si
esauriscono tutte con la corresponsione di denaro ma sono diverse e molteplici.
La cronaca e l’esperienza ci fanno attestare che il mercimonio in questione colpisce a macchia di leopardo e si
riscontra soprattutto nelle zone del
sud-Italia, in un più ampio fenomeno
collusivo di scambio che si attua nel
momento della propaganda elettorale per poi manifestarsi nell’azione
amministrativa.
La legge in esame ha in questo senso
una chiave di lettura univoca: presume, con una certa tassatività, che chi è
sottoposto a misure di prevenzione sia
certamente e concretamente coinvolto
in accordi illeciti elettorali in funzione
della sua accertata pericolosità sociale.
Ciò è certo elemento inedito e discu-
27
tibile, fondato, come abbiamo visto,
solo su concetti astratti.
Non vorrei mettere in discussione,
tuttavia, il concetto ed i fondamento
della pericolosità sociale, che ha, chiaramente, un’utilità certa.
Vale la pena di ricordare che tale
concetto, formatosi su dottrine ottocentesche che lo identificavano nella
”inclinazione” a delinquere, determinata da particolari condizioni di natura sia psichica che ambientale, non
possa attualmente slegarsi da un giudizio prognostico criminale effettuato in concreto sulla probabilità che il
soggetto commetta in futuro ulteriori
reati, in buona sostanza sulla sua inclinazione criminale.
Quello che il disegno di legge non dice
è che la propaganda politica, attività
di per sé priva di attitudine lesiva, sia
essa intesa come reato di danno o di
pericolo, in astratto o in concreto, viene punita giacché posta in essere da
un soggetto che probabilmente commetterà ulteriori reati, e che quindi
“si presume” che adoperandosi nella
propaganda chiesta dall’inconsapevole aspirante politico nasconda abilmente un accordo criminoso.
La conclusione che ne può derivare da
questa prima e breve analisi del nuovo provvedimento normativo è esso si
fonda su una sorta di doppia presunzione: ad essere presunto non è solo il
pericolo “astratto”, ma anche il bene
giuridico tutelato.
Infatti, come sopra evidenziato, la
semplice diffusione del pensiero politico è intrinsecamente priva di qualsiasi aggettivo penale, diversamente
dal tipico scambio promessa di votodenaro previsto, peraltro già punito
con l’art. 416-ter c.p.
Del resto anche la collusione politico
mafiosa ovvero altri similari accordi
illeciti che si intenderebbero evitare
costituiscono comportamenti fortemente dannosi che andrebbero puniti purchè ciò avvenga nel rispetto
del principio di tassatività e di tipicità
che informano la legge penale, e non
eleggendo a comportamenti criminali
attività che di per sé risultano evidentemente prive di offensività.
28
GIURISPRUDENZA
a cura di Michela Lattarulo
Vice Prefetto, Dirigente Area I, Anagrafe della popolazione residente
a cura di
Dante Buson
Con la circolare n. 34, del 29 novembre 2010, il Ministero dell’interno
– Direzione centrale per i servizi
demografici, ha diramato il parere
reso dal Consiglio di Stato sul quesito relativo alla possibilità di delegare le funzioni di ufficiale di stato civile e di anagrafe a personale
dipendente da comune diverso da
quello di appartenenza del sindaco
(sez. I, n. 2864/2010).
Le disposizioni oggetto del quesito
sono contenute nel regolamento
di stato civile (d.P.R. n. 396/2000),
nonché nella legge e nel regolamento anagrafico (art. 3 della
l. n. 1228/1954 e art. 2 d.P.R. n.
223/1989).
Esse prevedono che le funzioni in
argomento possano essere delegate a dipendenti a tempo indeterminato del comune, oltre che – in caso
di esigenze straordinarie e temporaneamente limitate – a dipendenti
a tempo determinato.
A questo proposito, appare utile
evidenziare che la possibilità di delegare le funzioni di ufficiale di stato civile e di anagrafe a personale
con contratto a termine è stata prevista solo recentemente, con il d.P.R.
5 maggio 2009, n. 79 (cfr. circ. Ministero interno – Direzione centrale
per i servizi demografici n. 15, del 9
luglio 2009), quale risposta ad una
esigenza ormai avvertita da molti
comuni, di estendere l’ambito sog-
La delega delle funzioni
di ufficiale di stato civile
e di anagrafe alla luce
del parere del Consiglio
di Stato n. 2864/2010
gettivo di esercizio della delega.
Ed è proprio alla luce di tale esigenza, derivante dal crescente impegno
richiesto dallo svolgimento delle
funzioni in esame e dalle frequente
scarsità delle risorse umane disponibili, che il Ministero dell’interno ha
voluto chiarire, con il supporto del
Consiglio di Stato, gli ambiti applicativi delle disposizioni normative
sopraccitate.
In particolare, il quesito sollevato
ha riguardato il problema, emerso
in sede applicativa, della delegabilità delle funzioni in argomento
(sia di anagrafe che di stato civile)
a personale dipendente da comune
diverso da quello di appartenenza del soggetto delegante, ma che
svolge servizio presso questo ultimo
comune sulla base di un apposito
accordo convenzionale tra gli enti
coinvolti (comune di appartenenza
del sindaco delegante e comune di
appartenenza del dipendente delegato).
Sull’argomento è opportuno evidenziare che l’art. 14 del CCNL del
comparto enti locali, del 22 gennaio 2004, rubricato “Personale utilizzato a tempo parziale e servizi in
convenzione”, disciplina l’ipotesi
dell’assegnazione del personale da
un comune ad un altro, prevedendo
che “Al fine di soddisfare la migliore realizzazione dei servizi istituzionali e di conseguire una economica
gestione delle risorse, gli enti locali
possono utilizzare, con il consenso
dei lavoratori interessati, personale
assegnato da altri enti cui si applica
il presente CCNL per periodi predeterminati e per una parte del tempo
di lavoro d’obbligo mediante convenzione e previo assenso dell’ente
di appartenenza. La convenzione
definisce, tra l’altro, il tempo di lavoro in assegnazione, nel rispetto
del vincolo dell’orario settimanale
d’obbligo, la ripartizione degli oneri finanziari e tutti gli altri aspetti
utili per regolare il corretto utilizzo del lavoratore. La utilizzazione
parziale, che non si configura come
rapporto di lavoro a tempo parziale, è possibile anche per la gestione
dei servizi in convenzione.”
L’assegnazione temporanea ad un
comune, di personale dipendente
da altro comune, sulla base della
disciplina recata dalla disposizione
contrattuale appena citata, fa si,
quindi, che sussista tra il dipendente
assegnato ed il comune di assegnazione, quel rapporto di dipendenza
funzionale richiesto implicitamente
dalle norme dianzi citate, che disciplinano la delega delle funzioni in
argomento.
In particolare, il Consiglio di Stato,
nel parere reso, ha posto in evidenza come la più recente evoluzione
normativa in materia induca ad
una interpretazione estensiva del-
I SERVIZI DEMOGRAFICI 1.2 2011 ■ ATTUALITà
le norme oggetto del quesito. Tale
orientamento deriva sia dalle modifiche introdotte con il già citato
d.P.R. n. 79/2009, che, più in generale, dalla legislazione in materia
di enti locali, volta a favorire la gestione comune di servizi nell’ottica
di favorire l’efficienza dell’azione
amministrativa.
Il Consiglio di Stato, quindi, condividendo l’orientamento espresso
dal Ministero dell’interno, volto ad
ammettere la possibilità di delega
165x100 DEMOGRAFICI gr.indd 1
delle funzioni di anagrafe e stato
civile a personale dipendente da altro comune, ha ritenuto che a tale
conclusione si pervenga attraverso
l’interpretazione analogica delle
norme recate dal menzionato d.P.R.
n. 79/2009.
Infatti – sostiene il citato alto consesso – la delega ipotizzata e quella
regolata dal decreto presidenziale appena citato rispondono alla
“medesima ragione ispiratrice consistente nella necessità di fornire al
29
cittadino un servizio celere ed efficiente”.
Dall’applicazione analogica della
norma regolamentare citata consegue che valgono per l’ipotesi
oggetto del quesito le medesime
limitazioni previste dalla prima,
ovvero che la delega a personale
di altro comune è subordinata alla
sussistenza di esigenze straordinarie e temporalmente limitate che
dovranno essere espressamente indicate nella convenzione.
19-04-2010 15:46:47
31
GIURISPRUDENZA
a cura di
Dante Buson
ACCESSO AGLI ATTI
Consiglio di Stato, sez. V
23 settembre 2010, n. 7083
modalità con cui vengono svolti tali
servizi pubblici locali non può non
ricadere nell’ambito dei poteri di
cognizione del consigliere comunale.
Consiglio di Stato, sez. V
28 settembre 2010, n. 7166
»» documenti di società
con partecipazione maggioritaria »» Istanza di accesso ai documenti
amministrativi
del comune
»
»
dati sensibili
»» consiglieri comunali
»
»
richiesta finalizzata allo
»» diritto di accesso
scioglimento del matrimonio
»» sussiste
»» diritto
»» sussiste
Il consigliere comunale, eletto dalla
collettività locale, svolge la sua
Secondo un consolidato indirizzo
funzione a tutela della collettività
stessa e, strumentalmente, al fine di interpretativo, quando il
trattamento concerne dati idonei
poter adempiere al proprio ufficio,
a rivelare lo stato di salute o
deve essere messo a conoscenza
la vita sessuale, il trattamento
di ogni attività che riguarda la
è consentito se la situazione
pubblica amministrazione, titolare
giuridicamente rilevante che si
primaria del soddisfacimento degli
intende tutelare con la richiesta di
interessi pubblici della collettività
accesso ai documenti amministrativi
di riferimento. Così stando le cose,
è di rango almeno pari ai diritti
è fuori discussione che tutto ciò che
concerne l’attività della pubblica
amministrazione in cui è incardinato
il consigliere comunale non può
IN QUESTO NUMERO
non essere messa a sua disposizione,
potendo solo in casi eccezionali
ACCESSO AGLI ATTI
essere rinviato l’accesso ma mai
Consiglio di Stato, sez. V
negato in via definitiva. Ora, una
23 settembre 2010, n. 7083
società mista, con partecipazione
Consiglio di Stato, sez. V
maggioritaria dell’ente locale,
28 settembre 2010, n. 7166
costituita ai sensi dell’art. 113 del
testo unico degli enti locali n.
Consiglio di Stato, sez. VI
267 del 2000, è, sì, una società di
30 settembre 2010, n. 7237
diritto privato, ma è anche una
T.A.R. Puglia, Bari, sez. I
società che svolge (esclusivamente
4 novembre 2010, n. 3861
o prevalentemente) uno o più
servizi pubblici locali: è, in altre
ANAGRAFE
parole, una modalità alternativa ad
Consiglio di Stato, sez. IV
altre (economia, azienda speciale,
2 novembre 2010, n. 7730
appalto, istituzione) per la gestione
di servizi pubblici locali, e le
ATTI AMMINISTRATIVI
T.A.R. Campania, Napoli, sez. III
4 ottobre 2010, n. 17588
Consiglio di Stato, sez. IV
5 ottobre 2010, n. 7309
T.A.R. Lazio, Roma, sez. II-quater
21 ottobre 2010, n. 32942
CITTADINANZA
T.A.R. Lazio sez. II-quater
novembre 2010, n. 33280
CONCORSI PUBBLICI
Consiglio di Stato, sez. V
12 ottobre 2010, n. 7410
T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. III
2 novembre 2010, n. 14014
T.A.R. Napoli, sez. V
18 novembre 2010, n. 25332
ELETTORALE
Consiglio di Stato, sez. V
26 agosto 2010, n. 5967
Consiglio di Stato, sez. V
25 novembre 2010, n. 8238
PERSONALE
T.A.R. Puglia, Lecce, sez. II
28 settembre 2010, n. 2039
PRASSI
AMMINISTRATIVA
Consiglio di Stato, sez. V
15 ottobre 2010, n. 7521
PROCEDIMENTO
AMMINISTRATIVO
Consiglio di Stato, sez. V
24 settembre 2010, n. 7123
T.A.R. Marche, Ancona, sez. I
12 ottobre 2010, n. 3345
32
dell’interessato, ovvero consiste
in un diritto della personalità
o in un altro diritto o libertà
fondamentale e inviolabile (Cons.
Stato, sez. V, 14 novembre 2006,
n. 6681). La pronuncia ha chiarito
che il fine dello scioglimento del
vincolo matrimoniale costituisce
certamente una situazione giuridica
di rango almeno pari alla tutela
del diritto alla riservatezza dei
dati sensibili relativi alla salute, in
quanto involgente un significativo
diritto della personalità.
Consiglio di Stato, sez. VI
30 settembre 2010, n. 7237
»» 1. istanza di accesso ai
documenti amministrativi
»» limitazioni del diritto
»» segretezza degli atti
»» criteri direttivi per la
delimitazione del segreto
»» 2. limitazioni all’accesso
»» atti redatti da legali e da
professionisti per la p.a.
»» riservatezza
»» sussiste
1. I due criteri direttivi volti ad
orientare l’interprete per l’esatta
delimitazione delle discipline sul
segreto non travolte dalla nuova
normativa in materia di accesso
ai documenti vanno individuati,
da un lato, nel fatto che il
“segreto” preclusivo dell’accesso
ai documenti non deve costituire
la mera riaffermazione del
tramontato principio di assoluta
riservatezza dell’azione
amministrativa e, dall’altro lato,
nella circostanza che il segreto
fatto salvo dalla legge n. 241/1990
deve riferirsi esclusivamente
ad ipotesi in cui esso mira a
salvaguardare interessi di natura
e consistenza diversa da quelli
genericamente amministrativi.
2. È stato affermato dalla
giurisprudenza che nell’ambito
dei segreti sottratti all’accesso
ai documenti, rientrano gli
atti redatti dai legali e dai
professionisti in relazione a
specifici rapporti di consulenza
I SERVIZI DEMOGRAFICI 1.2 2011 ■ GIURISPRUDENZA
con l’amministrazione, trattandosi
di un segreto che gode di una
tutela qualificata, dimostrata
dalla specifica previsione degli
articoli 622 del codice penale
e 200 del codice di procedura
penale.
T.A.R. Puglia, Bari, sez. I
4 novembre 2010, n. 3861
»» istanza di accesso ai documenti
amministrativi
»» diniego
»» motivazione
»» integrazione postuma
»» ammissibilità
Nel giudizio in materia di
accesso, l’integrazione della
motivazione del diniego da parte
dell’amministrazione deve ritenersi
senz’altro consentita, poiché
l’azione è rivolta ad accertare
l’esistenza del diritto di accesso
alla luce dei parametri normativi,
indipendentemente dalla maggiore
o minore correttezza delle ragioni
addotte dall’amministrazione
per giustificarne il diniego (cfr. in
questo senso Cons. Stato, sez. V,
11 maggio 2004, n. 2966).
ANAGRAFE
Consiglio di Stato, sez. IV
2 novembre 2010, n. 7730
»»
»»
»»
»»
»»
»»
»»
»»
»»
»»
»»
»»
»»
1. residenza effettiva o di fatto
residenza anagrafica
nozione
risultanze anagrafiche
valore presuntivo
prova contraria
ammissibilità
2. trasferimento della residenza
opponibilità ai terzi di buona fede
doppia dichiarazione
necessità
violazione delle formalità
doppia residenza
1. In generale, sulla nozione di
residenza effettiva o anagrafica,
si ritiene che la residenza di
una persona sia determinata
dalla sua abituale e volontaria
dimora in un determinato luogo
(articolo 43, secondo comma,
codice civile), ossia dall’elemento
obiettivo della permanenza
in tale luogo e dall’elemento
soggettivo dell’intenzione di
abitarvi stabilmente, rilevata
dalle consuetudini di vita e
dallo svolgimento delle normali
relazioni sociali. Pertanto, anche
in tema di rispetto dell’obbligo
di residenza del dipendente, si
è correttamente ritenuto che,
qualora la residenza anagrafica
non corrisponda alla residenza
di fatto, è di questa che bisogna
tener conto con riferimento
alla residenza effettiva, quale
si desume dall’art. 43 c.c., e la
prova della sua sussistenza può
esser fornita con ogni mezzo,
anche indipendentemente dalle
risultanze anagrafiche, atteso che
queste hanno valore presuntivo,
essendo la residenza della persona
determinata dalla sua abituale e
volontaria dimora in un dato luogo
(in tal senso, per esempio, T.A.R.
Liguria, Genova, sez. II, 7 giugno
2007, n. 1051).
Oltre le definizioni codicistiche
di residenza, domicilio e dimora,
non vi è dubbio che la nozione
di residenza effettiva, in
contrapposizione a quella soltanto
anagrafica, sia un dato assodato.
Si veda per esempio, oltre l’art.
44 c.c., anche l’articolo 31 disp.
attuazione al codice civile, ai sensi
del quale, ai fini della opponibilità
del trasferimento di residenza
ai terzi di buona fede nei modi
prescritti dalla legge, deve aversi
la doppia dichiarazione fatta
al comune che si abbandona e
a quello dove si intende fissare
la dimora abituale: si evince
che in mancanza delle previste
formalità, la persona fisica può
avere contemporaneamente
due residenze, una effettiva e
una anagrafica, ma ai fini della
opponibilità ai terzi di buona fede
sono richieste specifiche formalità.
I SERVIZI DEMOGRAFICI 1.2 2011 ■ GIURISPRUDENZA
»»
»»
»»
»»
»»
»»
contestazione delle attestazioni
querela di falso
necessità.
2. atto amministrativo
mancata sottoscrizione
evidente riferibilità all’organo
competente
»» invalidità
»» non sussiste
33
in quanto consente comunque
di dimostrare la provenienza
ATTI AMMINISTRATIVI
dell’atto dal soggetto titolare
di quel potere e non determina
la giuridica inesistenza dell’atto
stesso (cfr.: T.A.R. Campania,
T.A.R. Campania, Napoli, sez. III
Napoli, sez. III, 8 settembre 2006,
4 ottobre 2010, n. 17588
n. 7983; T.A.R. Toscana, Firenze,
sez. III, 19 marzo 1999, n. 42).
»» potere cautelare della p.a.
In definitiva se la sottoscrizione
»» sospensione degli effetti
dell’atto amministrativo è un
1.
Il
registro
di
protocollo,
quale
dell’atto amministrativo
elemento essenziale e necessario
documento
formato,
tenuto
e
»» prefissione di un termine
(per attestarne l’effettiva riferibilità
conservato
dagli
uffici
di
una
»» necessità
alla p.a. emanante), è irrilevante,
pubblica
amministrazione,
quanto
ai
»» sospensione sine die
nel senso che non è causa di
dati
da
esso
recati
e
alle
informazioni
»» illegittimità
riportate, ha natura di atto pubblico, invalidità o nullità, l’illeggibilità
della firma apposta in calce ad un
per cui, in ragione della fede
È riconosciuto un generale potere
atto amministrativo, quando sia
privilegiata
di
tale
documento,
della p.a., a norma dell’art. 7
comunque possibile individuarne
l’eventuale
contestazione
della
comma 2, e in particolare dell’art.
l’autore, ad esempio grazie alla
veridicità
delle
attestazioni
in
esso
21-quater, l. n. 241 del 1990, di
dicitura dattiloscritta ed al timbro
descritte
e
quindi
dell’affidabilità
natura cautelare, consistente nella
apposto sull’atto. Né la mancanza
della
prova
documentale
non
sospensione degli effetti dell’atto
di autentica sulla copia può essere
può
non
avvenire
a
mezzo
dello
amministrativo precedentemente
elemento di illegittimità del
strumento
della
querela
di
falso,
di
adottato, in vista di una più
provvedimento originale, fatti salvi
cui
all’art.
221
e
ss.
c.p.c.
adeguata ponderazione dei
i casi di falsità in atti da parte del
2.
La
mancanza
di
sottoscrizione
di
presupposti di fatto e di diritto,
pubblico ufficiale.
un
atto
non
è
idonea
a
metterne
in
pur in assenza di definitive
discussione
la
validità
e
gli
effetti
determinazioni in sede di autotutela,
le quante volte detta omissione
purché tuttavia, avendo tale potere
non metta in dubbio la riferibilità
natura cautelare, si ottemperi alla
dell’atto stesso all’organo
necessità della prefissione di un
CITTADINANZA
termine che salvaguardi l’esigenza di competente (cfr. Cons Stato, sez. IV,
certezza della posizione giudica della 11 maggio 2007, n. 2325; idem
sez. VI 23 febbraio 2007, n. 981).
parte, restando così scongiurato il
T.A.R. Lazio sez. II-quater
rischio di una illegittima sospensione
novembre 2010, n. 33280
sine die (T.A.R. Lazio, Roma, sez. II,
T.A.R.
Lazio,
Roma,
sez.
II-quater
1° marzo 2010 , n. 3179; T.A.R.
»» cittadinanza italiana
21 ottobre 2010, n. 32942
Lazio, Roma, sez. III, 1° febbraio
»» decreto di concessione
2010 , n. 1275). La sospensione
»» termine di conclusione
»
»
atto
amministrativo
cautelativa che avvenga senza
del procedimento
»
»
mancata
sottoscrizione
l’apposizione di un termine finale,
»
»
inosservanza
»
»
mancata
autentica
di
copia
deve pertanto ritenersi illegittima,
»
»
obbligo di pronuncia
»
»
vizio
assoluto
di
legittimità
dal momento che essa finirebbe per
»
»
comportamento inerte
»
»
va
escluso
se
non
vi
è
dubbio
equivalere ad un sostanziale ritiro
ingiustificato
sull’autore
dell’atto
o
sull’organo
dell’atto impugnato (ex multis:
emanante
T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. II,
La legge 5 febbraio 1992, n. 91,
»» illeggibilità della firma
22 settembre 2008 , n. 1303; T.A.R.
all’art. 9, individua le ipotesi in
»
»
mera
irregolarità
Lazio, Roma, sez. III, 7 maggio 2008,
cui “La cittadinanza italiana può
n. 3717).
essere concessa con decreto del
La mancanza della sottoscrizione
Presidente della Repubblica, sentito
dell’atto impugnato ovvero la
il Consiglio di Stato, su proposta
mancata autentica della sua copia
Consiglio di Stato, sez. IV
del Ministro dell’interno”. Il d.P.R.
non integra un vizio assoluto di
5 ottobre 2010, n. 7309
n. 362/1994, con il quale è stato
legittimità. Con la conseguenza
approvato il regolamento per
che, in mancanza di altri elementi,
»» 1. registro di protocollo
la disciplina dei procedimenti di
l’eventuale illeggibilità della
»» natura di atto pubblico
acquisto della cittadinanza italiana,
firma nell’atto o nella sua copia
»» fede privilegiata
all’art. 3, espressamente prevede
si risolve in una mera irregolarità,
»» sussiste
34
che “Per quanto previsto dagli
articoli 2 e 4 della legge 7 agosto
1990, n. 241, il termine per la
definizione dei procedimenti di
cui al presente regolamento è di
settecentotrenta giorni dalla data
di presentazione della domanda”.
A sua volta il d.m. 24 marzo 1995
n. 228 dispone che “La tabella A,
allegata al d.m. 2 febbraio 1993,
n. 284, del Ministro dell’interno
di adozione del regolamento di
attuazione degli articoli 2 e 4
della legge 7 agosto 1990, n. 241,
riguardanti i termini di conclusione
ed i responsabili dei procedimenti
imputati alla competenza degli
organi dell’amministrazione
centrale e periferica dell’interno,
nella parte relativa ai procedimenti
di competenza della divisione
cittadinanza del servizio
cittadinanza affari speciali e
patrimoniali della Direzione
generale per l’amministrazione
generale e per gli affari del
personale, è modificata nel
senso che i termini finali per la
definizione dei provvedimenti di
conferimento e di concessione
della cittadinanza italiana, di
cui rispettivamente agli articoli
5 e 9 della legge 5 febbraio
1992, n. 91, sono fissati in
settecentotrenta giorni in luogo di
millenovantacinque giorni”.
Alla stregua delle predette
disposizioni, il Ministero
dell’interno ha l’obbligo di
pronunciarsi entro il richiamato
termine di settecentotrenta
giorni dalla data di presentazione
della domanda. Il ritardo nella
conclusione del procedimento
concessorio in questione costituisce
un comportamento inerte
ingiustificato, contrastante sia con
le specifiche disposizioni sopra
richiamate sia con il generale
principio di correttezza nei rapporti
tra pubblica amministrazione
e cittadino cui è informata la
disciplina del procedimento di cui
alla legge n. 241/1990, che nel caso
in esame, avrebbe dovuto indurre
l’amministrazione a pronunciarsi
con un provvedimento espresso
sull’istanza del ricorrente.
I SERVIZI DEMOGRAFICI 1.2 2011 ■ GIURISPRUDENZA
CONCORSI PUBBLICI
Consiglio di Stato, sez. V
12 ottobre 2010, n. 7410
»»
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»»
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»»
»»
»»
»»
1. concorsi pubblici
commissione giudicatrice
valutazione dei titoli
accertata omissione in favore
del primo e secondo classificato
rettifica della valutazione
in autotutela
deliberazione della giunta
municipale
illegittima
2. concorsi pubblici
potere valutativo della
commissione
esigenza di integrare le
operazioni del concorso
riesame dei titoli esclusi
necessaria riconvocazione
della commissione
1. Il collegio ritiene di doversi
attenere al consolidato
orientamento, affermato
in relazione al potere di
approvazione della graduatoria,
ma applicabile anche all’esercizio
della rettifica in via di autotutela
della medesima approvazione,
secondo cui l’amministrazione
esercita un controllo di legittimità
sulle operazioni compiute
dalla commissione giudicatrice,
con la possibilità di rettificare
la graduatoria ove si tratti di
applicare disposizioni di agevole
interpretazione e di applicazione
“automatica” (Cons. Stato, sez. V,
7 settembre 2009, n. 5234),
mentre non può procedere ad una
valutazione dei titoli e dei meriti
dei singoli candidati, quando ciò
implichi una valutazione tecnicodiscrezionale rientrante nei poteri
della commissione giudicatrice, che
deve essere pertanto riconvocata.
2. Non può considerarsi esaurito
l’esercizio del potere di valutazione
da parte della commissione una
volta che l’amministrazione, in
sede di autotutela, annulli o
rilevi omissioni tali da richiedere
un’integrazione delle operazioni
di un pubblico concorso. In tali
casi l’amministrazione è infatti
tenuta, attraverso la commissione
giudicatrice, alla rinnovazione
parziale o al completamento della
procedura, tenendo fermi gli atti
non annullati e riconvocando
la commissione giudicatrice
per il riesame e valutazione (o
rivalutazione) dei titoli pretermessi
(cfr. Cons. Stato, sez. V, 26 giugno
1981, n. 309).
T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. III
2 novembre 2010, n. 14014
»»
»»
»»
»»
concorsi pubblici
partecipazione
regolarizzazione del documento
ammissibile se espressamente
dichiarato nella domanda
»» integrazione documentale
»» incide sul contenuto sostanziale
»» non consentita per violazione
della par condicio
La questione nodale della
censura, investe il problema del
contemperamento tra il dovere
dell’Amministrazione pubblica di
consentire la regolarizzazione della
documentazione presentata dai
candidati ed il rispetto del principio
cardine in materia concorsuale
della par condicio tra i partecipanti.
La giurisprudenza ha individuato
il punto di equilibrio tra le due
esigenze distinguendo il concetto
di “regolarizzazione” da quello
di “integrazione” documentale.
È stato affermato, in proposito,
che l’“integrazione” documentale
non è mai consentita, risolvendosi
essa in un effettivo vulnus del
principio di pari trattamento tra
i concorrenti; è, invece, possibile
la regolarizzazione documentale,
alla quale è sempre tenuta
l’amministrazione in forza del
principio generale ora ricavabile
dall’art. 6, comma 1, lett. b),
l. 7 agosto 1990, n. 241, ma già in
precedenza affermato con riguardo
ai concorsi pubblici (Cons. Stato, V,
29 ottobre 1971, n. 964; sez. VI, 28
novembre 1975, n. 618; sez. VI, 30
I SERVIZI DEMOGRAFICI 1.2 2011 ■ GIURISPRUDENZA
ottobre 1981, n. 599; sez. VI,
19 novembre 1984, n. 644; sez. VI,
4 febbraio 1985, n. 40; C.G.A.
20 dicembre 1988, n. 810).
Il discrimine tra “integrazione” e
“regolarizzazione” è oggettivo,
posto che la prima, a differenza
della seconda, incide sul contenuto
sostanziale del documento
sottoposto a verifica, mentre,
nell’ipotesi della regolarizzazione
non vi è alcuna integrazione
dal momento che il documento
regolarizzabile preesiste alla richiesta
dell’amministrazione, già completo
di tutti gli elementi necessari a
provare il titolo o la qualità di cui
il candidato alleghi il possesso.
Tuttavia, affinché la
regolarizzazione documentale
sia ammissibile, nei termini
su indicati, la giurisprudenza
richiede la ricorrenza di un altro
indefettibile presupposto, ossia che
il titolo da regolarizzare sia stato
espressamente dichiarato nella
domanda di partecipazione
al concorso dal candidato.
In tal senso, è stato affermato che
“la mancata valutazione del titolo
de quo risulta conforme all’univoca
disposizione nel bando che nel
prescrivere in termini chiari e
cogenti (la cogenza sta nell’uso del
verbo servile dovere: “dovrà essere
indicata”) l’indicazione dei titoli in
sede di domanda di partecipazione,
esclude necessariamente qualsiasi
produzione dei titoli stessi
successivamente al termine di
presentazione della domanda.
Infatti una eventuale produzione
successiva verrebbe a costituire una
sorta di integrazione sostanziale
della domanda, che sarebbe
in evidente contrasto rispetto
al consolidato orientamento
giurisprudenziale secondo
cui l’istituto dell’integrazione
documentale è destinato a
supplire solo a carenze della
documentazione irregolare
o formalmente incompleta,
quindi per il semplice aspetto
formale o per la rettifica
della dichiarazione, la cui
irregolarità attenga ad elementi
non essenziali, e non anche a
supplire a mancanze assolute e
sostanziali della documentazione
o della dichiarazione, atteso
che, altrimenti, l’integrazione si
risolverebbe in una violazione del
fondamentale principio concorsuale
della par condicio tra i concorrenti”
(Cons. Stato, sez. IV, 6 novembre
2009, n. 6948; sez. VI, 29 aprile
2009, n. 2710). Ed ancora, “Né
può invocarsi la regolarizzazione
“ex post”, che è possibile quando
il documento o la dichiarazione
siano stati prodotti e sia necessario
integrarne o rettificarne i
contenuti, ma non quando l’onere
di documentazione è restato del
tutto inadempiuto, venendosi
altrimenti ad eludere il termine
perentorio per la presentazione
della domanda di partecipazione
al concorso unitamente alla
documentazione prescritta con
lesione della “par condicio” dei
partecipanti al concorso” (Cons.
Stato, sez. VI, 14 gennaio 2009, n.
132).
35
a valutare i titoli e gli elaborati
degli esaminandi e, a meno che
non ricorra l’ipotesi residuale del
macroscopico errore logico, non
è consentito (T.A.R. Campania,
Napoli, sez. VIII, 20 febbraio
2008, n. 867; Cons. Stato, sez. IV,
30 maggio 2007, n. 2781; T.A.R.
Toscana, sez. I, 27 giugno 2005,
n. 3103) al giudice della legittimità
sovrapporre alle determinazioni da
essa adottate il parere neanche se
reso da un soggetto terzo, quale
che sia la sua qualifica professionale
e il livello di conoscenze e di
esperienze acquisite nella materia
de qua.
2. Come la giurisprudenza ha avuto
modo di affermare (cfr., per tutte,
Cons. Stato, sez. VI, 21 giugno 2005,
n. 3204; 25 luglio 2003, n. 4284),
il precetto contenuto nell’art. 10,
comma 2, del d.P.R. 3 maggio
1957 n. 686, secondo il quale la
valutazione dei titoli precede le
prove di esame, può considerarsi
soddisfatto, in relazione alle finalità
della norma, quando la valutazione
dei titoli, sebbene effettuata
T.A.R. Napoli, sez. V
in un momento successivo
18 novembre 2010, n. 25332
all’effettuazione delle prove scritte,
abbia tuttavia preceduto l’apertura
»» 1. concorsi pubblici
delle buste e la valutazione degli
»» titoli ed elaborati
elaborati, ovvero ciò di cui si duole
»» valutazione discrezionale
parte ricorrente.
della commissione
3. Quanto al procedimento di
»» sindacabilità in sede giurisdizionale nomina della Commissione,
occorre precisare che l’attuale
»» limiti
ordinamento degli enti locali
»» 2. concorsi pubblici
prevede un discrimine tra le
»» titoli ed elaborati
funzioni di indirizzo e di controllo
»» valutazione successiva
politico-amministrativo, spettanti
alle prove scritte
agli organi di governo dell’ente, e
»» ammissibile
funzioni tecniche-amministrative
»» 3. concorsi pubblici
e gestionali di competenza degli
»» nomina della commissione
organi burocratici; ad esempio, con
esaminatrice
»» funzione tecnica-amministrativa specifico riferimento alle procedure
concorsuali e di gara, il comma
competenza dirigenziale
3 dell’art. 107 del d.lgs. n. 267
»» 4. concorsi pubblici
del 2000 attribuisce ai dirigenti i
»» prove d’esame
compiti inerenti la responsabilità
»» tempo necessario per la
delle procedure di concorso e la
correzione degli elaborati
»» sindacabilità in sede giurisdizionale stipulazione dei contratti.
4. Con riguardo al tempo necessario
»» va esclusa
per la correzione degli elaborati, la
prevalente giurisprudenza (Cons.
1. Spetta alla commissione in
Stato, sez. IV, 4 febbraio 2008,
via esclusiva, nella sua ampia
n. 294; 5 agosto 2005, n. 4165;
discrezionalità, la competenza
36
17 settembre 2004, n. 6155; Cons.
Giust. Ammin., 22 marzo 2006, n.
106; T.A.R. Lazio, Roma, sez. III,
19 gennaio 2009, n. 277; 14 aprile
2008, n. 3121; sez. I, 23 maggio
2005, n. 4070) ha stabilito che non
è sindacabile in sede di legittimità
la congruità del tempo dedicato
dalla commissione giudicatrice
alla valutazione delle prove
d’esame di candidati. La questione
che rileva, non è, quindi, quella
di stabilire quale sia il tempo
ottimale per concludere una
procedura valutativa, ma quella di
verificare se i suoi risultati siano
corretti alla stregua dei consueti
parametri di legittimità dell’azione
amministrativa, rispetto ai quali
“il tempo” rimane un fattore
estrinseco, che può assumere una
ipotetica rilevanza solo nel caso in
cui, alla brevità delle operazioni
concorsuali, si accompagni un esito
irrazionale e illogico (Cons. Stato,
sez. VI, 18 aprile 2007, n. 1776).
I SERVIZI DEMOGRAFICI 1.2 2011 ■ GIURISPRUDENZA
sussistenza di una infermità tale da
rendere necessario il voto assistito
determina una illegittima modalità
di espressione del voto dell’elettore
che ne usufruisce e tale voto deve,
necessariamente, essere annullato.
Consiglio di Stato, sez. V
25 novembre 2010, n. 8238
»»
»»
»»
»»
procedimento elettorale
accettazione della candidatura
compilazione del modulo
autenticazione della
sottoscrizione
»» contestualità
»» non necessaria
Non sussiste alcuna disposizione
normativa che imponga la
contestualità della compilazione
del modulo di accettazione della
candidatura e del procedimento
di autentica della relativa
sottoscrizione. La presenza del
pubblico ufficiale è, infatti, richiesta
per l’autentica della sottoscrizione
non per la compilazione del modulo
di accettazione della candidatura
ELETTORALE
che può pertanto avvenire in
data anteriore all’autentica della
sottoscrizione. Nella specie, in
Consiglio di Stato, sez. V
assenza di querela di falso, non
26 agosto 2010, n. 5967
è revocabile in dubbio, a fronte
della specifica attestazione della
»» procedimento elettorale
circostanza da parte di pubblico
»» voto assistito
ufficiale all’uopo abilitato, che le
»» certificazioni rilasciate da medico sottoscrizioni siano state apposte
parente di candidato
alla presenza del pubblico ufficiale
»» illegittimità dei certificati
preposto all’autentica. Risulta,
»» annullamento dei voti
quindi, rispettato il disposto dell’art.
»» sussiste
21, comma 2, del d.P.R. n. 445/2000,
che impone l’autenticazione della
Va rilevato che le certificazioni
sottoscrizione della dichiarazione
mediche, in quanto rilasciate
di accettazione, senza prescrivere
da un medico, fratello di un
la contestualità spazio-temporale
candidato poi risultato eletto,
della compilazione del modulo
devono ritenersi illegittime per
di dichiarazione e dell’autentica
violazione del citato art. 41 d.p.r.
della sottoscrizione di seguito alla
n. 570/2006, relativo al c.d. “voto
dichiarazione.
assistito”, perché, i funzionari
medici designati dall’Usl a rilasciare
i certificati per il voto assistito
Consiglio di Stato, sez. V
“non possono essere candidati né
25 novembre 2010, n. 8238
parenti fino al quarto grado di
candidati”. Ciò posto, l’illegittimità »» 1. procedimento elettorale
dei certificati volti ad accertare la
»» esclusione di lista di candidati
»» omessa comunicazione
di preavviso
»» vizio assoluto di illegittimità
»» non sussiste.
»» 2. legge sul procedimento
amministrativo
»» applicabilità alla materia
elettorale
»» va esclusa
1. In generale, la mera violazione
dell’art. 10-bis della legge
7 agosto 1990, n. 241, per l’omessa
comunicazione del preavviso di
esclusione della lista di candidati,
non comporta l’automatica
illegittimità del provvedimento,
essendo applicabile l’articolo 21
octies che impedisce al giudice di
annullare il provvedimento quando
la violazione formale non abbia
inciso sulla legittimità sostanziale
dello stesso (Cons. Stato, sez. IV,
12 settembre 2007, n. 4828).
2. La legge 7 agosto 1990, n. 241, è
legge generale “sul procedimento
amministrativo” e non “del
procedimento amministrativo” e
pertanto non trova applicazione
allorquando il procedimento è
regolato da speciali norme di
settore, come nel caso della materia
elettorale; ciò senza contare che è
la stessa peculiare tempistica del
procedimento elettorale a rendere
incompatibile con quest’ultimo
l’applicazione dell’art. 10-bis.
PERSONALE
T.A.R. Puglia, Lecce, sez. II
28 settembre 2010, n. 2039
»» pubblico impiego
»» procedure di mobilità volontaria
esterna
»» controversie
»» giurisdizione del giudice
ordinario
»» sussiste
»» giurisdizione del giudice
amministrativo
»» limitata al contenzioso sulle
procedure concorsuali
37
I SERVIZI DEMOGRAFICI 1.2 2011 ■ GIURISPRUDENZA
Il procedimento di mobilità
volontaria esterna tra pubbliche
amministrazioni è atto di gestione
del rapporto di lavoro ed il
relativo contenzioso rientra nella
giurisdizione del giudice ordinario;
essa, infatti, determina una semplice
cessione del contratto di lavoro del
dipendente tra l’amministrazione di
provenienza e quella di destinazione
con continuità del suo contenuto
(art. 30, comma 1, del d.lgs. n. 165
del 2001) e non la costituzione di un
nuovo rapporto di pubblico impiego
o una nuova assunzione (T.A.R.
Sardegna, Cagliari, sez. II, 28 giugno
2010, n. 1695; Cons. Stato, sez. V, 26
ottobre 2009, n. 6541; T.A.R. Puglia,
Lecce, sez. II, 16 marzo 2009, n. 480;
Cass. civ., sez. un., 6 marzo 2009, n.
5458; T.A.R. Campania, Napoli, sez. III,
9 settembre 2008, n. 10060; Cass. civ.,
sez. un. 12 dicembre 2006, n. 26420).
Tutte le vicende che interessano
la fase di gestione del rapporto di
lavoro e le modifiche soggettive ed
oggettive che dovessero intervenire
in costanza di esso (ivi compresa
la mobilità volontaria) devono,
perciò, essere conosciute dal giudice
ordinario in funzione di giudice del
lavoro, residuando la giurisdizione
del giudice amministrativo sulle
controversie in materia di procedure
concorsuali finalizzate all’assunzione
dei dipendenti, ossia relative alla fase
antecedente alla costituzione del
rapporto di impiego.
PRASSI AMMINISTRATIVA
Consiglio di Stato, sez. V
15 ottobre 2010, n. 7521
»» atti e provvedimenti
amministrativi
»» circolari amministrative
»» valore normativo
o provvedimentale
»» esclusione
»» vincolanti per la p.a. solo se
legittime
Le circolari amministrative sono
atti diretti agli organi e uffici
periferici ovvero sottordinati,
che non hanno di per sé valore
normativo o provvedimentale.
“Ne consegue che tali atti
non rivestono una rilevanza
determinante nella genesi
dei provvedimenti che ne
fanno applicazione”. Inoltre,
è evidente che tali atti di
indirizzo interpretativo non sono
vincolanti per i soggetti estranei
all’amministrazione, mentre,
per gli organi destinatari esse
sono vincolanti solo se legittime,
potendo essere disapplicate
qualora siano contra legem. (Cons.
Stato, sez. IV, 27 novembre 2000,
n. 6299).
T.A.R. Marche, Ancona, sez. I
12 ottobre 2010, n. 3345
»» pubblica amministrazione
»» procedimento ad istanza di parte
»» obbligo di adottare
il provvedimento
»» sussiste
»» procedimento d’ufficio
»» obbligo di avvio
»» sussiste
»» obbligo di conclusione
del procedimento
»» non sussiste
L’affermazione dell’obbligo della
p.a. di provvedere su un’istanza
del cittadino può dare luogo a
due differenti scenari e ciò in
relazione al fatto che il potere
sia o meno esercitabile d’ufficio.
Laddove, infatti, si tratti di un
PROCEDIMENTO
procedimento ad istanza di parte,
l’amministrazione competente
AMMINISTRATIVO
deve avviare la specifica procedura
disciplinata dalla normativa di
Consiglio di Stato, sez. V
riferimento e, ove sussistano tutti
24 settembre 2010, n. 7123
i presupposti di legge, adottare
il provvedimento previsto dalla
»» partecipazione al procedimento
normativa (o, se non sussistono
amministrativo
i presupposti, adottare lo
»» totale assenza della comunicazione specifico atto di diniego).
»» finalità partecipativa e
Quando, al contrario, l’obbligo
impossibilità di incidere
di provvedere viene affermato
»» artt. 7, 8 e 10 l. n. 241/1990
a fronte di un potere che la
»» interpretazione ed applicazione
p.a. avrebbe potuto esercitare
non meccanica né formalistica
anche d’ufficio (ad esempio,
l’annullamento in autotutela
Il raggiungimento della finalità
di un atto o la repressione di
partecipativa o l’impossibilità di
un illecito amministrativo),
incidere, con la partecipazione,
l’amministrazione competente deve
sul contenuto del procedimento,
solo avviare il procedimento, ma
sono stati considerati esimenti
non necessariamente concluderlo
sufficienti ai fini della validità del
con l’adozione di un atto. Infatti,
provvedimento adottato senza la
se all’esito del procedimento
pedissequa osservanza delle norme non vengono ritenuti sussistenti
citate, o anche in totale assenza
i presupposti per l’esercizio del
della comunicazione. Al riguardo,
potere, il procedimento può anche
si deve tener conto dell’esigenza
concludersi senza l’adozione di un
di una interpretazione ed
provvedimento formale: in questo
applicazione non meccanica né
caso, infatti, il silenzio equivale al
formalistica delle norme in materia diniego del provvedimento, ossia
di partecipazione al procedimento
alla implicita affermazione circa
amministrativo di cui agli artt. 7, 8
la non ricorrenza dei presupposti
e 10, l. 7 agosto 1990, n. 241 (per
per l’esercizio del potere. Al limite,
tutte: Cons. Stato, sez. IV, n. 4018,
l’amministrazione può adottare un
15 giugno 2004).
atipico atto di “archiviazione”.
38
INNOVAZIONE
Due anni di timbro digitale
per la certificazione anagrafica
La rivoluzione dei servizi demografici on line
che ha cambiato la vita dei cittadini
di Alessandro Francioni
Responsabile dell’innovazione nella p.a. di Anusca
Durante i lavori del XXX Convegno Nazionale (30
novembre-3 dicembre 2010) Anusca, ha focalizzato
l’attenzione degli operatori demografici sullo stato
di avanzamento della sperimentazione nazionale
del timbro digitale sulla certificazione anagrafica e
di stato civile che ha oramai raggiunto i due anni
di vita.
Il timbro digitale rappresenta una tecnologia autorizzata dal CNIPA (ora DigitPA) in grado di poter
mantenere il valore legale di un documento informatico stampato su carta e quindi trasformato in
un documento analogico.
L’applicazione pratica sul servizio certificativo è
intuitiva: poter richiedere on line un documento,
visualizzarlo sul proprio personal computer e addirittura stamparlo per produrlo al soggetto privato
che ne abbia fatto esplicita richiesta, il tutto abbattendo la dimensione spazio – temporale e i costi di
produzione del servizio – di fatto un ufficio comunale aperto 24 h su 24 h come ha efficacemente
illustrato il video promozionale pubblicato durante
il convegno.
Anusca ha prestato grande attenzione sul tema
del “timbro digitale” con una relazione introduttiva durante la giornata inaugurale e uno specifico
workshop che ha visto una grande partecipazione
di ufficiali d’anagrafe e di stato civile con quesiti,
chiarimenti e commenti su possibili sviluppi.
Il timbro digitale rappresenta per Anusca una soluzione tecnologica in grado di innovare il modo di
lavorare nella pubblica amministrazione migliorando i servizi erogati al cittadino.
Nella relazione introduttiva, si è partiti innanzitutto dalla mission dell’ufficiale d’anagrafe che è la
stessa da sempre, ovvero “tenere aggiornata con
iscrizioni, variazioni e cancellazioni la banca dati
della popolazione (residente) in maniera legale,
puntuale, veloce e con qualità”.
Questa mission si sviluppa orientando la propria
azione alla:
1.coerenza tra dato amministrativo e dato reale;
2.conoscenza ai terzi dei propri dati nel rispetto
della legge;
3.circolarità telematica dei dati anagrafici nei sistemi informativi pubblici.
Già queste prime affermazioni fotografano le con-
solidate strategie della Direzione centrale dei servizi demografici presso il Ministero dell’interno così
come l’attività quotidiana degli operatori; in particolare l’ufficiale d’anagrafe rimane il “custode”
della certezza amministrativa del dato anagrafico
che deve rimanere coerente rispetto al dato reale
in maniera da mantenere intatta la fiducia delle altre pubbliche amministrazioni rispetto alle risultanze certificate dai singoli comuni.
L’obiettivo può apparire semplice ma non lo è affatto in quanto la movimentazione della popolazione, il fenomeno immigratorio, l’applicazione del
diritto internazionale privato, l’ampia produzione
normativa e prassi amministrativa, il disarticolato
sviluppo informatico degli oltre ottomila comuni
italiani rappresentano ostacoli significativi.
Su questi aspetti occorre inoltre aggiungere il tema
della formazione. L’esigenza di implementare e
consolidare un modello formativo periodico è fondamentale e richiama in Anusca e nell’Accademia
degli ufficiali di stato civile un onere organizzativo importante che a dire il vero si sta espletando
egregiamente con centinaia di iniziative formative
a Castel S. Pietro e sul territorio.
Sul tema della conoscenza dei dati e della loro circolarità possiamo tranquillamente declinare le attività con il “verbo” INA-SAIA che ha portato in questi anni conseguenze interessanti come gli undici
protocolli sottoscritti dal Ministero dell’interno e le
regioni tese a supportare i territori proprio sul tema
specifico della circolarità del dato anagrafico.
In tutto questo contesto si colloca il progetto di
produzione dei certificati con timbro digitale in cui
appunto l’evento di Merano ha rappresentato una
tappa di comunicazione dei primi risultati.
è chiaro che nonostante gli scambi telematici e l’autocertificazione, il certificato rimane un prodotto
di punta dell’ufficio demografico comunale con
centinaia di migliaia di documenti cartacei prodotti
ogni anno.
Cosa fare per invertire questo trend che è ricominciato a crescere dopo gli anni post Bassanini?
Anusca è sempre stata presente nelle sperimentazioni e innovazioni che hanno toccato questo
tema.
Anusca ha innanzitutto ispirato la “Certificazione
I SERVIZI DEMOGRAFICI 1.2 2011 ■ INNOVAZIONe
automatica” nel 1989 che ha consentito di richiedere i certificati da distributori automatici (art. n. 15quinquies legge n. 38/1990) andando al di là dello
sportello anagrafico classico.
Anusca ha supportato inoltre il Comune di Cesena
nella sperimentazione della certificazione con firma digitale (2001-2002).
Da queste premesse era evidente che Anusca non
potesse esimersi dal supportare anche la sperimentazione della certificazione con timbro digitale avviata nel corso del 2008 e tuttora in corso in molti
comuni italiani.
Con il timbro digitale 2D-Plus® Secure Edge il certificato viene trasformato in un codice bidimensionale stampato su carta.
Il codice contiene tutti i dati del certificato cifrati
dalla firma digitale automatica del sindaco; il timbro rappresenta il sistema di sicurezza per garantire la validità del certificato originale su carta.
Il fondamento giuridico della sperimentazione si
basa sul mix di 2 norme assai diverse:
 art. 15-quinquies del d.l. 28 dicembre 1989, n. 415
convertito con modifiche nella legge 28 febbraio
1990 n. 38;
 artt. 24 e 35 del d.lgs. 7 marzo 2005.
Le amministrazioni comunali possono avvalersi di
sistemi automatizzati per il rilascio diretto al richiedente delle certificazioni d’anagrafe e di stato civile, garantendo comunque l’assolvimento di
ogni imposta o diritto sugli atti emessi. A tal fine è
ammesso sostituire la firma autografa dell’ufficiale
d’anagrafe o di stato civile con quella in formato
grafico del sindaco o dell’assessore delegato, apposta al momento dell’emissione automatica del certificato. I certificati così emessi sono validi ad ogni
effetto di legge, qualora l’originalità degli stessi sia
garantita da sistemi che non ne consentano la fotoriproduzione per copie identiche, come l’utilizzo di
fogli filigranati o di timbri a secco.
La certificazione redatta con le modalità di cui al
comma 1 può essere trasmessa e rilasciata in forma
telematica anche al di fuori del territorio del comune competente quindi anche on line... tramite un
sito Internet.
La firma digitale è ai sensi dell’art. 1 d.lgs. 7 marzo
2010 un particolare tipo di firma elettronica qualificata basata su un sistema di chiavi crittografiche,
una pubblica e una privata, correlate tra loro, che
consente al titolare tramite la chiave privata e al
destinatario tramite la chiave pubblica, rispettivamente, di rendere manifesta e di verificare la provenienza e l’integrità di un documento informatico
o di un insieme di documenti informatici; in pratica
nell’attuale articolazione la firma rappresenta il sistema di sicurezza per definizione che supporta la
produzione del documento originale su carta prodotto ai sensi della legge del 1990.
è evidente che anche le modifiche del codice
dell’amministrazione digitale ed in particolare l’introduzione della segnatura elettronica (di fatto il
timbro digitale) quale strumento per asseverare
in modalità automatica e senza l’intervento di un
pubblico ufficiale la conformità tra documento informatico e analogico, potrebbe portare ad una
evoluzione normativa del servizio tesa a superare
l’attuale collegamento con l’art. 15-quinquies della legge n. 38/1990 che non avrebbe più ragione
di esistere in quando il documento informatico nel
suo formato p7m sarebbe di fatto l’originale, firmato dal Sindaco o da qualsiasi altro ufficiale di
governo, trasformato in un codice bidimensionale
stampato su carta. Su questa, per facilitare la conoscenza dell’informazione anagrafica, verrebbero
riportate le informazioni del p7m in “chiaro” assumendo in questo caso le caratteristiche di una copia
analogica di documento originale informatico.
Al di là dell’evoluzione che avrà la sperimentazione è innegabile che il tema del timbro digitale ha
rappresentato una forte innovazione tecnologica e
organizzativa i cui vantaggi possono essere di seguito sintetizzati:
1.poter consentire di richiedere on line i certificati e stamparli su carta mantenendone il valore,
soddisfacendo al contempo sia le esigenze degli appasionati del digitale sia quelli della carta
maggiormente ancorati alla legge del 1990;
2.poter ottenere i certificati 24 h su 24 da qualsiasi
luogo in cui il cittadino si possa trovare con massima qualità per il cittadino;
3.evitare l’intervento di un ufficiale d’anagrafe che
produce e firma in maniera autografa o digitale
i documenti con un’evidente efficienza per il comune visto che si è stimato in € 9,00 il costo industriale del certificato, ovviamene non supportato
dall’incasso del diritto di segreteria;
4.poter avviare un progetto di sistema federato del
servizio certificativo. Lo slogan potrebbe essere
“Il tuo certificato in ognuno degli 8103 comuni
italiani (Le anagrafi italiane sono la prima RETE
Amica).
Oggi sono diversi i comuni sperimentatori del timbro sulla certificazione.
 Comune di Milano
 Comune di Sesto S.Giovanni
 Comune di Roma
 Comune di Modena
 Comune di Ravenna
 Comune di Cagliari
 Comune di Parma
 Comune di Sassari
 Comune di Cesena
 Comune di Spezia
 Comune di Asti
 Provincia di Oristano (attraverso lo specifico Centro Servizio Territoriale)
 Comune di Bologna
 Provincia di Bologna (attraverso lo specifico Centro Servizio Territoriale)
 Comune di Monza
 Comune di Brescia
39
40
I SERVIZI DEMOGRAFICI 1.2 2011 ■ INNOVAZIONE
 Comune di Pavia
 Comune di Brugherio
 Comune di Torino
 Comune di Marsala
 Comune di Prato
Quasi tutti stanno utilizzando il timbro 2DPlus ad
eccezione dei comuni di Torino, Marsala, Prato che
stanno sperimentando soluzione tecnologiche differenti.
Durante il Convegno abbiamo avuto le dimostrazioni dei comuni di Asti, Milano e Cesena con quest’ultimo che ha evidenziato le modalità organizzative
per l’assolvimento dell’imposta di bollo sui certificati.
Il cittadino che deve chiedere un documento in
bollo, deve preventivamente aver acquisto la sua
marca da bollo elettronica che reca una data ed un
numero seriale univoco; detto numero viene riportato nella procedura informatica di richiesta, inserito nel timbro, e nel quadrante dove l’utente dovrà
inserire la marca da bollo.
Il certificato bollato e poi numerato univocamente
dal sistema informatico comunale e salvato in uno
specifico archivio di salvataggio per salvaguardare
eventuali controlli sul tema dell’elusione dell’imposta; in particolare il comune è in grado di sapere il
numero della marca inserita nel sistema e abbinata
dal cittadino ad uno specifico certificato che viene
salvato in copia informatica presso i sistemi comunali.
Cosa fare ora?
1.Diffondere la soluzione nei comuni per farla diventare anche un servizio di backoffice.
2.Diffondere la soluzione tra i cittadini per ridurre
drasticamente il numero di utenti agli sportelli
anagrafici e di stato civile.
3.Stipulare accordi con portatori di interesse preferenziali (Notai, Avvocati, Tribunali, ecc.) per consentire loro di ottenere in tempo reale certificati
legali, veloci e sicuri.
4.Cominciare ad usare il servizio per evadere le richieste di certificazione tra comuni usando magari la posta elettronica certificata.
5.Pensare un’applicazione pratica tramite l’Indice
nazionale delle anagrafi sotto la regia del Ministero dell’interno.
41
GESTIONE FUNERARIA E CIMITERIALE
a cura di
Sereno Scolaro
Il punto
All’inizio di dicembre, si è svolto l’annuale incontro “SEFIT-10“, in questa occasione a Spoleto e “seguito”, nel giorno successivo, da un Convegno rispetto
a cui alcuni hanno usato l’espressione
del “volare alto”, seppure con i piedi
ben piantati per terra e con un’impostazione volta a considerare non il
contingente “stato dell’arte”, ma una
valutazione delle trasformazioni che
riguardano, in particolare, il settore
cimiteriale, il cui modello attualmente
noto, risente evidentemente dei mutamenti avvenuti nella società. Il modello
cimiteriale, sorto nel Sec. XIX, che ha
portato ai c.d. cimiteri monumentali,
presenti non solo nella grandi città, ma
anche nelle realtà minori e giù giù fino
a comuni anche di ben ridotte dimensioni, era, in qualche modo, il segno di
un’auto-identificazione di una classe
borghese che aveva una sua egemonia sulla società, auto-identificazione
affermata attraverso sepolcri di famiglia, frequentemente caratterizzati
da soluzioni artistico-archiettoniche di
pregio, e, tecnicamente, caratterizzata
da tumulazione, cioè da una pratica
funeraria incentrata sulla conservazione e sulle durate temporali “lunghe”,
quando non anche a tempo indeterminato, quasi che una situazione di egemonia della società fosse, una volta
conquistata, immutabile (ma anche in
epoche abbastanza pre-Napoleoniche,
l’aristocrazia non pensava certo che la
propria egemonia dovesse essere destinata a venire meno). Tale modello
si è progressivamente diffuso, estendendo la pratica della tumulazione,
fino ad arrivare a sepolcri individuali
e, progressivamente, perdendosi, sfumandosi caratteristiche artistico-architettoniche. Anzi, le strutture cimiteriali
a tumulazioni degli ultimi 40-50 anni
(che, oltrettutto, stanno venendo a
scadenza, consentendo (esiti conserva-
tivi dei corpi permettendolo) di riavere
a disposizione numeri, anche rilevanti,
di posti per nuove riassegnazioni (il ché
sconsiglia dissennate ipotesi di nuove
costruzioni, almeno se esse prescindano dal tenere conto delle sepolture
che ritornano ad essere assegnabili)
sono tutt’altro che opere d’arte. Forse,
pochi colgono il fatto che quanto avvenuto negli ultimi decenni costituisce la
spia del fatto che attualmente non vi
è un gruppo, un soggetto sociale che
abbia un’egemomia sulla società, generando quelle tendenze che hanno
portato alle più recenti realizzazioni.
Anzi, nel corso del Convegno del 3 dicembre, vi è stato un intervento che ha
posto in evidenza come lapidi “storiche” (che possono apparire anche solo
“vecchie”) possano essere utilizzate
come materiale di risulta, buono per
coprire dissesti del terreno, per far luogo a lapidi “nuove”, belle e pulite, ma
altrettanto insignificanti (ed a valore
estetico nullo), confrontando questo
atteggiamento con quello, del tutto
opposto, che si ha per consimili soluzioni di epoca romana o rinascimentale.
Confrontando le diverse lapidi, emerge come si possa affermare una sorta
di indifferenza, meritando anche le
lapidi precedenti a dati periodi un’esigenza di altrettanta tutela e cura. Oltretutto, si pensi alle lapidi degli inizi
del Sec. XX, si è in presenza di iscrizioni
che “parlano”, descrivono e rappresentano una memoria, anche nei paesi
più piccoli (mentre le iscrizioni odierne
sono sostanzialmente “mute”).
Ma, poiché all’inizio è stato fatto riferimento a SEFIT-10 del 2 dicembre,
alcune osservazioni vanno fatte su di
questo, in quanto si è trattato di un
incontro sostanzialmente mono-tematico, prendendo in considerazione le
forme di gestione dei servizi nel settore funerario, che vedono un approccio
altamente evoluto e aperto a soluzioni
innovative. In una delle presentazioni,
era presente l’affermazione: “Il futuro
è di chi ... ha il coraggio di cambiare!”.
Si tratta della “cifra” che marchia lo
stato attuale. Peccato che questo atteggiamento, abbia visto anche interventi altrui che hanno posto in evidenza la persistenza, in dati ambienti, di
visioni non solo miopi, ma altresì volte
al passato, in del tutto sterili distinzioni tra pubblico e privato, al di fuori di
ogni visione di servizio, con la preoccupazione del risultato redittuale “a breve” e, per quanto possibile, in funzione
di costruire steccati e riserve. Sarebbe
interessante (l’ipotesi è chiaramente
astratta) verificare la capacità di determinati soggetti di dover fare i conti
con vincoli esterni (es.: limitazioni nelle
politiche assunzionali, procedure di acquisizione di beni e servizi di un certo
tipo, magari anche assoggettamento al
patto di stabilità interno), o, solo, con
il rispetto delle comuni regole proprie
di ogni operatore economico, come il
disporre di personale con rapporti di
lavoro coerenti con la normativa, con
il rispetto delle norme di sicurezza nei
luoghi di lavoro, con la registrazione
contabile (e fatturazione) delle diverse componenti di attività, ecc. E verificare se siano ancora sostenibili date
affermazioni. Se vi è chi non solo ha il
coraggio di cambiare, ma lo ha fatto o
lo sta facendo, questo atteggiamento
non è ravvisabile ovunque, meno che
in chi ha orizzonti di breve, anzi brevissimo, termine, spesso misurabili in pochi giorni. I processi di crescita imprenditoriale non si realizzano (oltre che
abbandonando visioni che oramai non
trovano riscontri oggettivi nei fatti)
favorendo la crescita degli operatori,
ma piuttosto pensando (e facendo in
modo di giungervi) ad imprese degne
della definizione d’impresa. Occorre
42
I SERVIZI DEMOGRAFICI 1.2 2011 ■ GESTIONE FUNERARIA E CIMITERIALE
trovare i possibili punti di congiunzione, di condivisione tra quanti hanno
una visione d’impresa, magari hanno,
o possono costruire, una “cultura” in
questo ambito, anche a costo di operare scelte precise.
42
I SERVIZI DEMOGRAFICI 1.2 2011 ■ GESTIONE FUNERARIA E CIMITERIALE
Quesiti e lettere
DOMANDA L’impresa funebre mi richiede il passaporto mortuario per
l’Albania ma mi consegna solo il nulla
osta non in originale ma via fax e senza
legalizzazione. Posso accettarlo?
RISPOSTA Oltretutto, non si rilascia
neppure il passaporto mortuario, non
essendo, un Paese aderente all’Accordo
di Berlino del 10 febbraio 1937, bensì
l’autorizzazione di cui all’art. 29 d.P.R.
10 settembre 1990, n. 285 (anche se, tal
volta, per brevità, si usa impropriamente il termine senza grandi distinzioni).
Non ci si formalizza sulle parole.
Ovviamente, la legalizzazione è condizione imprescindibile.
  
DOMANDA Una impresa funebre,
avendo dichiarato il decesso di un cittadino, mi ha chiesto l’autorizzazione
alla cremazione producendomi un testamento olografo del de cuius.
Il testamento mi lascia diverse perplessità: la prima, che reputo di importanza fondamentale e che dà (darebbe) il
motivo di opporre rifiuto, è quella che
la data apposta in calce alla scrittura
riporta “febbraio 2008”, senza l’indicazione del giorno; mi sembra che sia tassativamente previsto che la data debba
riportare il giorno, il mese e l’anno della redazione (può essere omesso il luogo), anche per poterlo “confrontare
con altro eventualmente redatto dopo
o prima...”. È corretta la mia considerazione e, quindi, il motivo del rifiuto?
Le altre due (non so se di carattere
sostanziale) sono, la redazione del testamento, che è manoscritto ma parte
in corsivo e parte in stampatello; se la
“scritturazione” deve denotare l’abitudinarietà del redattore...
L’altro motivo è la firma: mi chiedevo
(a prescindere dal caso in specie, ma
anche per il caso in specie) se si è tenuti
ad accertarsi, e come, dell’autenticità
della firma. Io, per esempio, ho visionato il cartellino della carta d’identità
ed ho riscontrato una differenza abissale tra le due sottoscrizioni. D’accordo
che, come più volte sostenuto, due firme dello stesso individuo non potranno mai essere uguali, ma da questo a
differenziarsi completamente...
Si segnala come il defunto non ha altri parenti che due nipoti i quali, sono
(sarebbero) gli unici eredi; ho suggerito
che siano loro a sottoscrivere due dichiarazioni di conoscenza “che il defunto, in
vita, aveva espresso la volontà di essere
cremato”... considerando anche il fatto
che il “testamento” contiene solo la volontà di essere cremato... e non altro.
RISPOSTA Effettivamente, la data apposta in un testamento deve essere
completa, indicando nella sua forma
comprendente giorno, mese ed anno.
Tra l’altro, non si tratta, qui, di mero
buon senso, ma di una previsione del
tutto espressa all’art. 602, comma 3 c.c.
Ma questo vizio non dovrebbe essere
rilevato in sede di attività istruttoria ai
fini del rilascio dell’autorizzazione alla
cremazione, quanto in una fase antecedente, cioè quella necessaria, e non
prescindibile, ai fini dell’efficacia del
documento che abbia le caratteristiche
formali del testamento olografo, cioè
la sua pubblicazione. Senza che vi sia la
pubblicazione del testamento olografo (art. 620 c.c.), questo non può avere
esecuzione (art. 620, comma 5 c.c.), per
cui rimane (sotto il profilo degli effetti)
un documento, non eseguibile (o, meglio, privo di effetti).
Non spetta né al notaio in sede di pubblicazione, né ad altri soggetti che,
avvenuta la pubblicazione, siano chiamati ad eseguire il testamento alcuna
indagine di sorta sulla veridicità della
sottoscrizione, attenendo tali (eventuali) indagini all’ambito proprio della giurisdizione. Quando ve ne fosse
il dubbio, chi vi abbia interesse può
proporre impugnazione del testamento avanti al tribunale, in sede civile
(eventualmente richiedendo i provve-
dimenti considerati dall’art. 700 c.p.c.),
spettando unicamente al giudice ogni
eventuale accertamento sulla veridicità, autenticità della sottoscrizione apposta (o, se lo ritenga il giudice, sull’autenticità dell’intero documento).
Da come posta la questione, sembrerebbe che il testamento olografo non
sia stato oggetto (ancora) di pubblicazione, la quale è imprescindibile perché
abbia esecuzione. Aspetto che l’operatore funebre ben conosce, almeno se
abbia quel minimo d’informazioni che
sono necessarie per svolgere la propria
attività.
  
DOMANDA Tizio ha ottenuto nel 2007
concessione cimiteriale per edificare
una cappella di famiglia.
Non l’ha costruita e oggi rinuncia alla
concessione chiedendo la restituzione
dell’importo versato per la stessa.
Il regolamento comunale prevede la
restituzione della somma con trattenuta a favore del comune del 20%, oltre
il 5% sulla somma inizialmente pagata,
per ogni anno in cui ha tenuto la concessione.
Tizio non vuole corrispondere questo ulteriore 5% per anni 3 (dal 2007 al 2010).
Afferma una responsabilità dell’Ufficio
Tecnico in quanto ad oggi non ha ancora rilasciato la concessione edilizia, per il
chè stanco di aspettare rinuncia.
Io ritengo che non possa farsi questo
discorso, in quanto le due concessioni
sono distinte. Come regolarsi?
RISPOSTA Vanno considerati due
aspetti.
A)la previsione del Regolamento comunale di polizia mortuaria, non
derogabile.
B)Il fatto che la persona ha avuto, con
l’atto di concessione l’uso dell’area,
sottraendola all’uso da parte della
comunità. Oltretutto, il fine (primo)
della concessione è quello dell’edificazione, mentre il fine (ultimo) sarebbe stato l’uso del sepolcro.
A parte ciò, vi è stata comunque una
sottrazione del bene (area oggetto
della concessione) da ogni fruizione da
parte della comunità locale.
43
QUESITI
provenienza. Stabilito che la madre è
familiare della figlia, se questa lavora
la madre avrà diritto all’iscrizione
anagrafica senza alcun accertamento
di requisiti relativi alle risorse o altro.
Se, invece, la figlia non lavora o
QUESITO
comunque non è parificabile ad un
lavoratore (e, ovviamente, neanche
Si presenta ai ns uffici una cittadina
la madre lavora) allora la figlia o la
slovacca regolarmente residente
madre (o anche insieme) dovranno
nel comune di X la quale chiede
dimostrare o autodichiarare di avere
di poter far entrare in Italia e
le risorse sufficienti secondo la tabella
soggiornare regolarmente la madre
sociale, ma la madre deve anche
e il marito della stessa (che non è
stipulare l’assicurazione sanitaria
padre della ragazza). A ns parere
valida almeno un anno. In proposito,
per la madre (ascendente) si può
si rammenta che le risorse possono
applicare la casistica dei familiari
essere messe a disposizione della
comunitari e quindi si deve acquisire
nuova iscritta anche da un terzo
la documentazione circa la parentela,
qualsiasi, anche non parente e che
la documentazione che attesti che il
la tabella sociale non deve essere
familiare è a carico (a questo proposito considerata un limite invalicabile, ma
basta una dichiarazione?) e la figlia
occorre applicare il principio della
deve dimostrare di avere reddito
“proporzionalità” (si vedano le Linee
sufficiente per se stessa e per la madre guida della Commissione europea del
secondo la tabella dell’assegno sociale. 2 luglio 2009). Per quanto riguarda il
Per quanto riguarda invece il marito
marito della madre (che non è padre
della madre lo stesso non ha alcun
della cittadina slovacca già iscritta
legame di parentela e quindi deve
in anagrafe), costui non è familiare
avere risorse economiche proprie.
se non della moglie, per cui, se non
Deve dimostrare quindi di avere
lavora, oltre all’assicurazione sanitaria,
risorse sufficienti stipulare una polizza deve dimostrare o autodichiarare di
assicurativa per l’assistenza sanitaria.
avere le risorse necessarie secondo
la solita tabella e con i soliti criteri,
ricordando sempre che può usufruire
RISPOSTA
anche delle risorse che altri dichiarino
di mettere a sua disposizione (sempre
Mi sembra che sia stata inquadrata
familiari e non).
abbastanza bene la situazione. La
madre, in quanto ascendente diretta
della cittadina slovacca, è familiare
della stessa a condizione che sia
ANAGRAFE
a suo carico; per questo basterà
diversa residenza dei
un’autodichiarazione resa dalla figlia.
coniugi – situazione di fatto
Come tutte le autodichiarazioni,
l’ufficiale d’anagrafe, se vuole, può
verificarne la veridicità chiedendo
QUESITO
conferma al Consolato slovacco in
Italia; infatti per essere a carico, per la Si chiede delucidazione su un’annosa
normativa comunitaria, è necessario
questione della residenza dei coniugi
fare riferimento alla legge del Paese di per eludere problemi fiscali e/o
ANAGRAFE
cittadina comunitaria –
familiari a carico
tributari in merito alla residenza
ed all’abitazione principale. Si sono
presentati due persone regolarmente
coniugate residenti nel comune
che chiedono di scindere il nucleo
familiare su suggerimento del notaio
in quanto la loro abitazione risulta
catastalmente composta da due unità
abitative, noi ci siamo categoricamente
rifiutati, nonostante le insistenze dei
due cittadini che facevano leva sul
parere del loro notaio. Ci sono inoltre
altri casi nel comune di coniugi, non
separati, che risultano residenti uno
in questo comune e l’altro in comune
diverso per lo più in località turistiche;
in questo caso non mi sento di dover
intraprendere accertamenti in quanto
penso non se ne verrebbe a capo, visto
l’aspetto soggettivo che gli interessati
potrebbero accampare.
RISPOSTA
Risulta sempre difficile esprimersi
su casi analoghi, data la poca
chiarezza della situazione abitativa e
soprattutto alla luce della permanenza
del rapporto coniugale. Se i due
appartamenti sono funzionalmente
autonomi (quindi dotati di accessi e
servizi distinti), la richiesta di scissione
potrebbe essere accolta, dopo un
approfondito accertamento che
possa fugare qualche dubbio, atteso
che l’anagrafe deve rispecchiare
la situazione di fatto. Per quanto
riguarda la residenza dei coniugi
in due diversi comuni, di cui uno a
vocazione turistica, pur in presenza
di una evidente manifestazione di
volontà (elemento soggettivo), si
ritiene che l’accertamento possa
essere approfondito in maniera tale
da scoraggiare i trasferimenti fittizi:
una verifica dei consumi delle utenze
domestiche o più controlli distanziati
nel tempo potrebbero essere utili
al caso.
44
ANAGRAFE
mancato rinnovo
del permesso di soggiorno
– cancellazione
QUESITO
A un cittadino cingalese è scaduto il
permesso di soggiorno il 26 maggio
2009; nonostante sia stato inviato
più volte il sollecito di rinnovare la
dichiarazione di dimora abituale
(esibendo permesso rinnovato o
almeno la ricevuta di presentazione
dell’istanza di rinnovo), l’interessato
non ha mai adempiuto. Dal 31
maggio 2010 l’appartamento in cui
vive risulta locato ad altre persone:
quindi, fisicamente, il cingalese
non è più presente sul territorio
comunale e, da accertamenti, non
si conosce la sua attuale dimora
abituale. Essendo trascorsi ben
più di 6 mesi dalla scadenza del
permesso, sarebbe possibile avviare
la procedura per la cancellazione
per mancato rinnovo della
dichiarazione della dimora abituale
(art. 11, comma 1, lettera c) del d.P.R.
223/1989)?
RISPOSTA
Nel caso in esame si ritiene
possibile procedere alla
cancellazione anagrafica per
mancato adempimento o per
irreperibilità. Infatti, nella prima
ipotesi, il termine dei 6 mesi è
abbondantemente scaduto per cui,
invitato inutilmente l’interessato a
rinnovare la dichiarazione di dimora
abituale entro i successivi 30 giorni,
si può procedere alla cancellazione.
Esistono pareri contrastanti circa
la possibilità di effettuare ulteriori
accertamenti presso la Questura
per verificare se è stato attivato
il procedimento di rinnovo del
permesso di soggiorno, ma bisogna
riconoscerne l’opportunità e non
certamente l’obbligo. Per quanto
riguarda la presunta irreperibilità,
l’anno da prendere a riferimento
scatta dalla data in cui è stata
accertata l’assenza nel comune,
anche se precedente al 31 maggio
2010. Infine, la cancellazione per
I SERVIZI DEMOGRAFICI 1.2 2011 ■ QUESITI
inadempimento decorre dalla
data di adozione del relativo
provvedimento.
CENSIMENTO GENERALE
DELL’AGRICOLTURA
compensi agli addetti
uffici comunali
di censimento
QUESITO
Sono il responsabile dell’ Ufficio
comunale di censimento agricoltura
anno 2010, avrei bisogno di avere
delucidazioni sulle ritenute sui
compensi spettanti ai coordinatori
e responsabili uffici comunali di
censimento relativi al 6 censimento
agricoltura considerato che ci
muoviamo in una giungla di varie e
diffusissime interpretazioni ( lavoro
extraimpiego, co.co.co e altro).
RISPOSTA
Esaminiamo il quesito in riferimento
a due possibili diverse posizioni
di lavoro. Rilevatore-coordinatore
responsabile U.C.C. dipendente
dell’ente: si premette che le attività
statistiche svolte per conto dell’ISTAT
devono essere considerate attività
di carattere istituzionale e, come
tali a carico dell’ente. Il contratto
di lavoro dei dipendenti degli ee.ll.
inoltre, espressamente prevede lo
svolgimento di tali compiti all’art. 14
comma 5 del C.c.n.l. 1° aprile 1999.
Al coordinatore o responsabile U.C.C.
dipendente dell’ente verrà erogato
un riconoscimento economico per
l’attività svolta, che deve essere
necessariamente liquidata all’interno
del cedolino mensile e sottoposta
alle normali ritenute (oneri diretti)
a carico del lavoratore. Gli oneri
riflessi relativi al compenso si ritiene
debbano gravare invece sull’ente,
proprio in quanto la collaborazione
alle attività del sistema statistico
nazionale rientra a pieno titolo
nei fini istituzionali e non possono
essere trasferiti ad ulteriore carico
del rilevatore dipendente dell’ente.
L’interpretazione data, deriva da
pronunce del Ministero delle finanze
e dell’ISTAT. Inoltre il successivo
art. 15, comma 1, lett. k), prevede
che il fondo per le politiche di
sviluppo delle risorse umane possa
essere incrementato da risorse che
specifiche disposizioni di legge
finalizzino a risultati del personale.
Tale fondo, nel suo insieme, è
sempre quantificato e considerato
al netto degli oneri riflessi, gravanti
sull’ente. Rilevatore-coordinatore
esterno la circolare ISTAT n. 5/2010,
prot. 4587: espressamente autorizza
gli U.C.C. a conferire incarichi di
rilevatore e coordinatore anche
avvalendosi di personale esterno
alla p.a., con forme contrattuali
flessibili, come previsto anche
dal d.l. 78/2010, convertito nella
l. 122/2010, art. 50, comma 7. La
maggior parte degli enti ha poi
di fatto individuato l’incarico
come forma di lavoro autonomo
occasionale, con compenso annuo
inferiore a €. 5.000,00. L’incarico
si configura pertanto per le sue
caratteristiche, come prestazione di
lavoro autonomo occasionale, non
comportante rapporto d’impiego
subordinato e regolato dagli articoli
2222 e seguenti del codice civile.
L’incarico è esente da contribuzione
INPS e non soggetto a INAIL.
Sull’importo da erogare l’ente
dovrà quindi operare unicamente la
ritenuta IRPEF del 20%.
LEVA MILITARE
estratto ruolo matricolare
ed elenchi dei militari
QUESITO
A seguito del d.lgs. 15 marzo 2010,
n. 66 e del d.P.R n. 90 del 15
marzo 2010, relativi al nuovo
codice dell’ordinamento militare,
e dell’abrogazione del r.d. n.
1133 del 3 aprile 1942 e del d.P.R.
n. 237 del 14 febbraio 1964, si
richiede se, per i maschi entro i 45
anni, debba essere ancora inviato
l’estratto del ruolo matricolare al
comune di emigrazione e l’elenco
nominativo mensile dei miltari
emigrati e trimestrale di quelli
deceduti al Comando militare
dell’esercito.
45
I SERVIZI DEMOGRAFICI 1.2 2011 ■ QUESITI
RISPOSTA
significa che si debba chiedere
la formazione di un nuovo
atto di nascita. Al contrario,
la conservazione dell’atto di
nascita originario corrisponde
alla procedura prevista, in casi
analoghi, anche dall’ordinamento
italiano. Pertanto, si dovrà
trascrivere l’atto di nascita
originario, con l’indicazione dei
genitori biologici: su tale atto
dovrà essere apposta la relativa
annotazione di adozione di cui alla
formula n. 122-bis del d.m.
5 aprile 2002 e, ovviamente, tutta
la documentazione successiva
dovrà essere rilasciata senza alcuna
indicazione in merito all’adozione,
come espressamente previsto
dall’art. 28 della legge n. 184/1983.
RISPOSTA
La sentenza di adozione di cittadino
straniero maggiorenne, non comporta
l’acquisto della cittadinanza italiana,
se non dopo 5 anni di residenza
legale in Italia (art. 9, comma 1,
lett. b) legge n. 91/1992): in ogni caso
occorre un decreto del Presidente
della Repubblica e, fino a che questo
non avvenga, il cittadino straniero
resta tale. Questo significa che, pur
essendo valida ed efficace l’adozione
secondo le norme del nostro
ordinamento, l’interessato resta
cittadino straniero soggetto alle leggi
del proprio Stato e, in particolare, alla
STATO CIVILE
disciplina del nome e del cognome
secondo l’ordinamento straniero di
adozione all’estero – atto
appartenenza. Pertanto, nessuna
di nascita da trascrivere
variazione sul cognome del cittadino
straniero poteva essere effettuata, se
non quelle espressamente previste
QUESITO
STATO CIVILE
dall’ordinamento straniero. Dunque,
adozione
di
maggiorenne
è stato sicuramente commesso un
Questo ufficio ha ricevuto dal
errore nell’apportare variazioni al
Tribunale per i minorenni di Brescia
straniero – generalità
cognome dello straniero, errore che
decreto che dichiara efficace in
dovrà essere corretto dall’ufficiale
Italia, con gli effetti dell’adozione, il
dello stato civile, utilizzando l’art.
provvedimento pronunciato in data
QUESITO
98, comma 1 del d.P.R. 396/2000: il
12 febbraio 2010 dal Vice Presidente
Si è presentata una cittadina
Consolato straniero ha perfettamente
del Comitato del popolo della
rumena X adottata da maggiorenne ragione nel sostenere le generalità
Città di Da Nang della Repubblica
nel 2008 da cittadini italiani Y ,
del cittadino straniero secondo il
Socialista del Vietnam a favore
per
richiedere
informazioni
per
un
proprio ordinamento che, come detto,
dei coniugi A. e B. e relativo alla
matrimonio
cattolico
da
contrarre
debbono restare solamente quello
minore N. Unitamente al decreto, il
Tribunale trasmette: provvedimento con cittadino italiano. Al momento previste dallo Stato estero
dell’adozione questo ufficio aveva
di appartenenza.
straniero di adozione, certificato
provveduto alla trascrizione della
di nascita anteriore all’adozione,
sentenza di adozione , e... forse
verbale di consegna minore
adottato. I miei dubbi riguardano la sbagliando ... aveva anteposto
STATO CIVILE
trascrizione dell’atto di nascita della al cognome di origine quello
morte avvenuta all’estero
minore in quanto lo stato straniero dell’adottante YX, aveva trascritto
– trascrizione
l’atto di nascita e vi aveva annotato
non ha provveduto a formare un
la
sentenza
di
adozione
e
il
nuovo atto e sull’atto originale
cognome YX. Per la cittadinanza
dell’adottata risulta il nome della
QUESITO
madre biologica e nulla ha disposto italiana doveva aspettare 5 anni
dopo l’adozione? La cittadina
Una cittadina iscritta in Apr è
il Tribunale in merito. Trascrivo
rumena per il matrimonio presenta deceduta in Argentina in novembre
quindi l’atto di nascita straniero
nulla osta dove è riportato il solo
2009. Abbiamo chiesto ai familiari di
o devo chiedere la formazione
cognome originario X. Chiediamo:
attivarsi presso il Consolato italiano
di un nuovo atto?
1) abbiamo sbagliato ad anteporre per l’invio dell’atto di morte, ma
il cognome dell’adottante e
dopo mesi di attesa e solleciti, il
quindi dobbiamo fare correzioni
figlio fa sapere che l’atto di morte è
RISPOSTA
e accettare il nulla osta? 2) se
stato inviato al comune di nascita il
abbiamo
fatto
bene,
visto
che
il
quale, contattato telefonicamente,
La procedura adottata dal
Consolato rumeno in Italia non
comunica che l’atto è già stato
Vietnam è perfettamente
ha voluto saperne della sentenza
trascritto in quanto si trattava di una
legittima, in quanto non tutti gli
di adozione, cosa deve fare la
loro Aire. Allora chiedo al Consolato
Stati prevedono la formazione
cittadina rumena e cosa dobbiamo
di inviarmi l’atto e mi rispondono che
di un nuovo atto di nascita nel
fare noi per sanare la situazione?
l’atto è stato già trascritto.
caso di adozione e questo non
Allo stato ed in attesa di nuove
istruzioni da parte del Ministero
della difesa si riferisce della necessità
di proseguire con le ordinarie
procedure ovvero di continuare ad
inviare gli estratti matricolari per i
militari con età inferiore ai 45 anni al
comune di nuova residenza nonché
gli elenchi nominativi dei militari
emigrati (mensilmente) e deceduti
(trimestralmente) ai competenti
Comandi militari.
46
A questo punto cosa posso fare per
cancellare la cittadina? Il Comune di
nascita X non dovrebbe fare l’istanza
di eliminazione dell’atto presso il
tribunale e comunicarlo al Consolato?
Ma il Comune X non mi sembra
intenzionato. Premetto inoltre che la
defunta è una pensionata Inps.
RISPOSTA
Da quanto esposto, sembrerebbe
certo un errore nell’individuazione del
comune competente alla trascrizione,
in quanto tale competenza era del
comune di iscrizione anagrafica:
oltretutto, sembrerebbe esservi
stata una doppia iscrizione, in Apr
in un comune e in Aire in altro
comune, e questo potrebbe avere
indotto il comune di iscrizione Aire a
procedere alla trascrizione dell’atto
di morte, ignorando che la stessa
persona fosse anche iscritta in Apr
in altro comune. In ogni caso, l’atto
di morte dell’interessato risulta
comunque essere stato trascritto in
Italia ed il comune che ha effettuato
la trascrizione non sembra, da
quanto indicato, avere alcuna
intenzione di chiedere l’annullamento
della trascrizione ed inviare,
successivamente, l’atto al comune
competente, anche perché, dal suo
punto di vista, gli adempimenti
svolti erano perfettamente legittimi
e dovuti. La soluzione più semplice
ed immediata è quella di chiedere
formalmente al comune che ha
proceduto alla trascrizione, di inviare
una copia dell’atto di morte – o di
quella pervenuta dal Consolato o
della trascrizione effettuata – al
fine di procedere ad una ulteriore
trascrizione nei propri registri di stato
civile ed alla successiva cancellazione
dall’anagrafe della popolazione
residente, con lo svolgimento
degli altri adempimenti quali la
comunicazione del decesso all’Inps.
Non si ritiene che il comune voglia
rifiutare l’invio della copia per la
trascrizione e, in questo modo, si
procederà comunque a quanto
di competenza. In caso il comune
non voglia nemmeno trasmettere
copia dell’atto, non resterà altro
che segnalare quanto avvenuto ad
I SERVIZI DEMOGRAFICI 1.2 2011 ■ QUESITI
entrambe le Prefetture competenti
(quella del comune di trascrizione e
quella del comune di iscrizione Aire),
affinché vengano date le opportune
disposizioni.
STATO CIVILE
nascita – nome con
utilizzo di segni diacritici
QUESITO
Arriva dalla Direzione medica –
Servizio stato civile la richiesta di
trascrizione di un atto di nascita
dove alla bambina è stato attribuito
il nome: Dèsirèe Gioia. Visto che
questo nome con questi accenti
sulle lettere E non è previsto nel
nostro ordinamento (art. 34 d.P.R.
396/2000, circolare Ministero interno
n. 1/2008) vorrei sapere come mi devo
comportare: devo trascrivere l’atto e
riportare il nome così come è stato
scritto dalla Direzione medica (il mio
programma lo permette ma l’INA e
l’ufficio entrate no) o devo restituirlo
alla stessa per la correzione? Preciso
che la Direzione medica, interpellata
telefonicamente, mi ha anticipato
che loro non possono fare correzioni
e quindi è inutile che lo restituisca.
consiglia di trascrivere l’atto come
pervenuto, indicando il nome con
le E prive di accenti: ovviamente,
di tale procedura si dovrà fare
comunicazione ai genitori interessati
ed alla Direzione sanitaria che ha
ricevuto la denuncia di nascita.
STATO CIVILE
pubblicazione
di matrimonio – cittadino
straniero – nulla osta
QUESITO
Una cittadina rumena, si deve sposare
con un cittadino italiano residente
nel mio comune. Ho chiesto di farmi
avere il nulla osta rilasciato dal
Consolato rumeno in Italia con la
firma del Console legalizzata dalla
Prefettura – oppure il nulla osta
tradotto e legalizzato dal Consolato
italiano in Romania.
Il Consolato italiano a Bucarest,
interessato dalla cittadina rumena,
ha ritenuto che fosse sufficiente far
tradurre un documento che sembra
più che altro un certificato di stato
libero. Si può accettare ai fini delle
pubblicazioni?
RISPOSTA
RISPOSTA
L’art. 34, comma 2 del d.P.R.
396/2000 prevede espressamente la
possibilità di imporre nomi stranieri
con l’utilizzo di alcune lettere
aggiuntive non previste nel nostro
alfabeto e con i segni diacritici “ove
possibile”. Nel caso in questione,
l’utilizzo dei segni diacritici non
risulterebbe possibile in quanto non
consentirebbe la registrazione dei
dati nell’INA-SAIA né l’attribuzione
del codice fiscale. Non solo, ma la
circolare n. 1 del 22 gennaio 2008 del
Ministero dell’interno contenente
regole tecniche di traslitterazione,
prevede che la E acuta o la E
grave vengano traslitterate nella
E semplice, senza alcuna ulteriore
aggiunta di segni. In sostanza,
in forza di tali considerazioni, si
La cittadina rumena che vuole
contrarre matrimonio in Italia
deve presentare all’ufficiale dello
stato civile il nulla osta di cui
all’art. 116 c.c. Tale documento deve
essere rilasciato dalla competente
autorità straniera e deve essere
in regola con le norme in materia
di legalizzazione e traduzione.
Deve trattarsi di un vero e proprio
nulla osta anche nella sostanza,
cioè deve risultare che non ci sono
impedimenti, o che sussiste capacità
matrimoniale, o che l’interessata
può contrarre matrimonio: non può
essere considerato sufficiente un
semplice certificato di stato libero.
Il documento esibito non soddisfa
sicuramente i requisiti dell’art. 116
c.c. e non è sufficiente per procedere
alle pubblicazioni di matrimonio che,
pertanto, andranno rifiutate.
PRATICA
Speciale imposta di bollo
Certificati anagrafici richiesti da avvocati
per uso notifica atti giudiziari nell’ambito
di procedimenti penali o civili
di Liliana Palmieri
Responsabile servizi demografici del Comune di Treia
di Romano Minardi
Responsabile servizi demografici del Comune di Bagnacavallo
LA NORMATIVA
D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 642 “Disciplina dell’imposta di
bollo”
Allegato A
TARIFFA (Parte I)
Atti, documenti e registri soggetti all’imposta di bollo fin dall’origine
(tariffa allegata al d.m. 20 agosto 1992, che contiene anche le
modifiche introdotte da ultimo dal comma 10 dell’art. 1-bis, d.l.
12 luglio 2004, n. 168 nel testo integrato dalla relativa legge di
conversione).
Art. 1
Atti rogati, ricevuti o autenticati da notai o da altri pubblici ufficiali e
certificati, estratti di qualunque atto o documento e copie dichiarate
conformi all’originale rilasciati dagli stessi: per ogni foglio: € 14,62.
Art. 4
Atti e provvedimenti degli organi dell’amministrazione dello Stato,
delle regioni, delle province, dei consorzi e associazioni, delle
comuni, loro comunità montane e delle unità sanitarie locali,
nonché quelli degli enti pubblici in relazione alla tenuta di pubblici
registri, rilasciati anche in estratto o in copia dichiarata conforme
all’originale a coloro che ne abbiano fatto richiesta: per ogni foglio:
€ 14,62.
Allegato B
TABELLA
Atti, documenti e registri esenti dall’imposta di bollo in modo
assoluto
Art. 3 (così sostituito dall’art. 28, d.P.R. 30 dicembre 1982, n.
955)
Atti, documenti e provvedimenti dei procedimenti in materia
penale, di pubblica sicurezza e disciplinare, esclusi gli atti di cui agli
articoli 34 e 36 della tariffa e comprese le istanze e denunce di
parte dirette a promuovere l’esercizio dell’azione penale e relative
certificazioni. Documenti prodotti nei medesimi procedimenti dal
pubblico ministero e dall’imputato o incolpato.
Art. 12 (così sostituito dall’art. 28, d.P.R. 30 dicembre 1982,
n. 955)
Atti e provvedimenti del procedimento innanzi alla Corte
costituzionale.
Atti, documenti e provvedimenti dei procedimenti giurisdizionali ed
amministrativi relativi a controversie:
1) in materia di assicurazioni sociali obbligatorie ed assegni
familiari;
2) individuali di lavoro o concernenti rapporti di pubblico impiego;
3) in materia di pensioni dirette o di riversibilità;
4) in materia di equo canone delle locazioni degli immobili urbani.
Atti relativi ai provvedimenti di conciliazione davanti agli uffici del
lavoro e della massima occupazione o previsti da contratti o da
accordi collettivi di lavoro.
Atti e documenti relativi all’esecuzione immobiliare nei procedimenti
di cui ai numeri 1), 2) e 3) del secondo comma e dei provvedimenti
di cui al terzo comma del presente articolo.
Atti e provvedimenti dei procedimenti innanzi al conciliatore,
compreso il mandato speciale a farsi rappresentare ed escluse le
sentenze.
D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 “Testo unico delle disposizioni
legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia"
Art. 18 “Non applicabilità dell’imposta di bollo nel processo
penale e nei processi in cui è dovuto il contributo unificato”
Agli atti e provvedimenti del processo penale non si applica
l’imposta di bollo. L’imposta di bollo non si applica altresì agli atti e
provvedimenti del processo civile, compresa la procedura concorsuale
e di volontaria giurisdizione, e del processo amministrativo, soggetti
al contributo unificato. L’imposta di bollo non si applica, inoltre,
alle copie autentiche, comprese quelle esecutive, degli atti e dei
provvedimenti, purché richieste dalle parti processuali. Atti e
provvedimenti del processo sono tutti gli atti processuali, inclusi
quelli antecedenti, necessari o funzionali.
La disciplina sull’imposta di bollo è invariata per le istanze e domande
sotto qualsiasi forma presentate da terzi, nonché per gli atti non
giurisdizionali compiuti dagli uffici, compreso il rilascio di certificati,
sempre che non siano atti antecedenti, necessari o funzionali ai
processi di cui al comma 1.
LE risoluzionI dell’Agenzia delle entrate
Circolare Direzione centrale normativa e contenzioso
14 agosto 2002, n. 70/E
Il Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia
di spese di giustizia, approvato con d.P.R. del 30 maggio 2002, n.
115 (pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n.
139 del 15 giugno 2002 - serie generale), d’ora in poi Testo unico,
ha inciso anche sulla disciplina dell’imposta di bollo.
Il comma 1 dell’articolo 299 (Abrogazioni di norme primarie) ha
abrogato, tra l’altro, l’articolo 9 della legge 23 dicembre 1999, n.
488, – modificato dal decreto legge 11 marzo 2002, n. 28, convertito
dalla legge 10 maggio 2002, n. 91 – che aveva istituito il contributo
unificato per le spese degli atti giudiziari. Le relative disposizioni
sono state tuttavia riproposte con talune integrazioni e modifiche
nel citato del Testo unico; in particolare, quelle che interessano
47
I SERVIZI DEMOGRAFICI 1.2 2011 ■ PRATICA
48
l’imposta sul bollo, sono riportate all’articolo 18 dello stesso Testo
unico (Non applicabilità dell’imposta di bollo nel processo penale e
nei processi in cui è dovuto il contributo unificato).
Tale articolo, che ha modificato e riscritto la norma originaria in
funzione del riordino complessivo della materia delle spese di
Giustizia (cfr. relazione illustrativa dell’art. 18 del Testo unico), recita:
“Agli atti e ai provvedimenti del processo penale non si applica
l’imposta di bollo.
L’imposta di bollo non si applica, altresì, agli atti e provvedimenti del
processo civile compresa la procedura concorsuale e di volontaria
giurisdizione, e del processo amministrativo, soggetti al contributo
unificato (omissis)”.
Un’interpretazione logico-sistematica permette di evidenziare
– considerato anche il mandato legislativo assegnato dalla legge
8 marzo 1999, n. 50, articolo 7, come modificato dall’articolo
1, comma 6, lettere d) ed e), della legge 24 novembre 2000, n.
340 (riordino e armonizzazione delle norme legislative ed anche
delle disposizioni sostanziali) – i presupposti per l’applicazione del
contributo unificato e della conseguente esenzione dall’imposta di
bollo (cfr. relazione del Testo unico punti 3 e 5 della premessa).
Considerate le difficoltà di prospettare la disciplina dell’imposta di
bollo con riferimento a ciascuna tipologia di atto giudiziario, con la
presente si vuole individuare e definire, attraverso un’interpretazione
sistematica, alcuni principi di carattere generale che permettano
l’identificazione e la classificazione di singoli casi ai fini della corretta
applicazione del contributo unificato e dell’imposta di bollo.
Si suggerisce, in via preliminare, di affiancare la lettura di queste
istruzioni con le circolari n. 3 e 4 rispettivamente del 13 maggio
e 28 giugno 2002 del Ministero della giustizia e la relazione al
Testo unico sulle spese di Giustizia – pubblicate, tra l’altro, sul sito
internet del Ministero della Giustizia www.giustizia.it – nonché con
le indicazioni già fornite da questa Agenzia con circolare 21/E del 27
febbraio 2002 e risoluzione n. 161/E del 30 maggio 2002.
1. Presupposto oggettivo per l’esenzione ai fini dell’imposta
di bollo
L’ambito più generale entro cui opera il contributo unificato è quello
del “procedimento giurisdizionale”. Tale assunto è confermato dal
combinato disposto dell’articolo 9 del Testo unico che precisa: “è
dovuto il contributo unificato di iscrizione a ruolo, per ciascun grado
di giudizio nel processo civile, compresa la procedura concorsuale,
e di volontaria giurisdizione, e nel processo amministrativo, (…)
salvo le esenzioni previste dall’articolo 10” e dalla definizione
di processo inserita nell’articolo 3, comma 1, lettera o) del Testo
unico “processo” è qualunque procedimento contenzioso o non
contenzioso di natura giurisdizionale” (cfr. anche relazione Testo
unico, premesse generali, punto 1).
Il legislatore, non facendo distinzione tra i termini “procedimento”
e “processo”, ha inteso, quindi, subordinare tutti gli atti e i
provvedimenti dei procedimenti giurisdizionali al contributo
unificato, escludendoli allo stesso tempo dall’imposta di bollo.
L’elencazione tassativa dei processi e delle procedure per i quali è
dovuto il contributo unificato di iscrizione a ruolo, lascia intendere
l’esclusione di tutti gli altri.
In particolare, il contributo unificato non si applica al processo
tributario come è stato già chiarito con la citata circolare n. 21/E del
27 febbraio 2002, emanata prima dell’entrata in vigore del Testo
unico.
Più esattamente, nella predetta circolare si precisava che la speciale
giurisdizione tributaria, disciplinata dal decreto legislativo 31
dicembre 1992, n. 546, non è assoggettata al contributo unificato,
sia perché il processo tributario non è elencato fra quelli soggetti
al contributo unificato, sia perché nel processo tributario non era
dovuta la preesistente tassa di iscrizione a ruolo, ora assorbita nel
contributo unificato.
Questa esclusione ovviamente è riferita solo ai gradi di giudizio
che si svolgono dinanzi alle commissioni tributarie, come è ora
espressamente confermato dall’art. 261 del Testo unico (Spese
processuali nel processo tributario dinanzi alla Corte di Cassazione):
“Al ricorso per cassazione e a relativo processo si applica la
disciplina prevista dal presente Testo unico per il processo unico per
il processo civile ”. In proposito nella relazione illustrativa si specifica
che: “la fase del ricorso per cassazione avverso le sentenze della
commissione tributaria regionale è costruita nell’ordinamento come
quella per i procedimento civile.
Il procedimento tributario, quindi, si svolge dinnanzi ad un giudice
speciale con regole particolari nelle prime due fasi e si unifica con
il procedimento ordinario civile per la fase di legittimità. Questo
vale anche per le spese, come dimostra il riscontro nella prassi.
Infatti, i diritti di cancelleria – inesistenti nel procedimento tributario
innanzi alle commissioni tributarie provinciali e regionali – sono
esatti nella fase dinanzi alla cassazione. I diritti di copia – che hanno
una disciplina particolare nel procedimento tributario innanzi alle
commissioni tributarie provinciali e regionali – sono esatti secondo
le regole generali nella fase dinanzi alla cassazione. La conseguenza
è che il contributo unificato – previsto per il procedimento civile ed
amministrativo – si applica anche per il ricorso in cassazione avverso
la sentenza della commissione tributaria regionale”.
In proposito, si precisa che, ovviamente, le disposizioni sull’imposta
di bollo relative al processo tributario rimangono invariate (cfr.
parte VIII del Testo unico - Disposizioni speciali per il processo
amministrativo, contabile e tributario, art. 260).
2. Relazione tra l’imposta di bollo e il contributo unificato
L’imposta di bollo in materia di atti giudiziari acquisisce una natura
residuale, perché rimane generalmente dovuta quando non opera
il contributo unificato.
Occorre precisare, però, che l’esclusione dal pagamento del
contributo unificato non comporta sempre il pagamento dell’imposta
di bollo. In determinati casi, di seguito meglio individuati, alcuni
atti e provvedimenti sono stati ritenuti dal legislatore - per le loro
specifiche finalità - esenti da ogni imposizione, sia ai fini dell’imposta
di bollo che del contributo unificato.
L’articolo 10 dello stesso Testo unico prevede l’esenzione ai fini del
contributo unificato, e, di riflesso, anche ai fini dell’imposta di bollo,
per:
“1.[…] il processo già esente […] dall’imposta di bollo o da ogni
spesa tassa o diritto di qualsiasi specie e natura nonché il
processo di rettificazione di stato civile, il processo in materia
tavolare, il processo esecutivo per consegna e rilascio, il processo
di cui all’articolo 3 della legge 24 marzo 2001, n. 89 [equa
riparazione].
2.[…] il processo, anche esecutivo, di opposizione e cautelare, in
materia di assegni per il mantenimento della prole […]
3.[…] i processi di cui al libro IV [dei procedimenti speciali],
titolo II [Dei procedimenti in materia di famiglia e di stato
delle persone] capi I [della separazione personale dei coniugi],
II [dell’interdizione e dell’inabilitazione], I [disposizioni relative
all’assenza e alla dichiarazione di morte presunta], IV [disposizioni
relative ai minori, agli interdetti e agli inabilitati] e V [dei rapporti
patrimoniali tra i coniugi], del codice di procedura civile.
4.[…] il processo di valore inferiore a euro 1.033 e il processo
esecutivo mobiliare di valore inferiore a euro 2.500.
5.[…] il processo cautelare attivato in corso di causa e […] il
processo di regolamento di competenza e di giurisdizione”. Si
rammenta che analogo trattamento di esenzione, ai fini sia del
contributo sia del bollo, è previsto anche per il processo penale,
al quale l’articolo 18 riserva una disciplina speciale, diversa
dal processo civile e amministrativo (cfr. la diversa dizione
dell’abrogato articolo 9 della legge 488/1999). In questo caso,
l’articolo 18 riprende ed aggiorna la disposizione del d.P.R. 642
del 1972 (cfr. relazione art. 18 Testo unico), con la conseguenza
che anche agli atti e ai provvedimenti del processo penale non si
applica l’imposta di bollo, né il contributo unificato.
I SERVIZI DEMOGRAFICI 1.2 2011 ■ PRATICA
3. Gli atti antecedenti, necessari o funzionali al procedimento
giurisdizionale
Al criterio generale, secondo cui l’ambito delle disposizioni fiscali è
delimitato dal “procedimento giurisdizionale”, fanno da corollario
alcune eccezioni. Come si evince dall’articolo 18 del Testo unico
– che ha ripreso il disposto dell’articolo 9 della legge 488/1999
(modificato dal d.l. 11 marzo 2002, n. 28, convertito dalla l. 10
maggio 2002, n. 91) – tra gli atti e provvedimenti del processo
cui si applica il contributo unificato devono essere “inclusi quelli
antecedenti, necessari o funzionali”.
Per una migliore comprensione di queste tre qualificazioni degli atti
occorre preliminarmente evidenziare il significato della nozione di
“procedimento”.
Tale termine, per la teoria generale processualistica sta a significare:
“una determinata sequenza di norme, nonché degli atti da esse
disciplinati e delle posizioni soggettive da essa estraibili, in vista del
– e compreso il – compimento di un atto finale” (cfr. E. Fazzalari,
voce “Procedimento e processo (teoria generale)”, in Enciclopedia
del diritto, Milano, 1986, p. 820).
Per converso, il procedimento non ricomprende in sé gli atti e i
provvedimenti ‘non procedimentali’, ovvero, fini a se stessi o posti
in essere per un fine altro da quello dei procedimenti stessi o,
comunque, non coordinati in funzione del compimento di un atto
finale. Sono soggetti, pertanto, all’imposta di bollo – in quanto non
rientranti nei procedimenti giurisdizionali – ad esempio: gli atti di
notorietà, la trascrizione della vendita di automobili con riserva di
proprietà, la pubblicità dei testamenti e i procedimenti di iscrizione
all’albo dei consulenti tecnici (cfr. circolare n. 3, del Ministero della
giustizia del 13 maggio 2002).
A questo punto è possibile comprendere come ‘quelli antecedenti
necessari o funzionali’ al procedimento giurisdizionale, pur diversi
dagli atti procedimentali nel senso (stretto) prima richiamato, si
caratterizzano per essere logicamente rapportati ai medesimi.
Analizzandoli singolarmente possono essere ritenuti:
 “antecedenti” a quelli del procedimento giurisdizionale: gli
atti che precedono in senso logico il procedimento stesso;
l’antecedenza, però, non deve essere interpretata nel
senso puramente cronologico, quanto, piuttosto, nel suo
rapporto di funzionalità o di necessarietà con il procedimento
giurisdizionale;
 “necessari”: gli atti e provvedimenti indispensabili (conditio sine
qua non) per l’esistenza di quelli strettamente procedimentali,
anche se non hanno la stessa natura di questi ultimi perché
non fanno parte del procedimento giurisdizionale (criterio della
necessità);
 “funzionali”: gli atti e provvedimenti posti in essere in
dipendenza o al fine di ottenere un atto o provvedimento del
procedimento giurisdizionale, ovvero, più genericamente, in
vista degli stessi, anche se la loro esistenza non è condizione
necessaria di procedibilità (criterio teleologico).
A titolo di esempio, nel procedimento di esecuzione, si può
qualificare ‘necessario’ l’atto di precetto e “funzionale” la procura
alle liti (cfr. risoluzione n. 121/E del 13 maggio 2002).
4. Presupposti soggettivi dell’esenzione
Ai fini dell’esenzione dal pagamento dell’imposta di bollo deve
ricorrere non solo il presupposto oggettivo appena esaminato,
legato alla tipologia degli atti (atti processuali), ma è necessario
anche che il soggetto beneficiario dell’esenzione rivesta la qualità
di parte processuale (presupposto soggettivo).
Tanto si desume dal disposto dell’articolo 18, comma 1, secondo
periodo (che riprende sostanzialmente il disposto dell’abrogato
articolo 9, l. 488/1999) e comma 2, del Testo unico, secondo
cui: “Le copie autentiche, comprese quelle esecutive, degli atti e
dei provvedimenti di cui al presente comma richieste dalle parti
del procedimento si intendono esenti dall’imposta di bollo. La
disciplina dell’imposta di bollo è invariata per le istanze e domande
sotto qualsiasi forma presentate da terzi, nonché per gli atti non
49
giurisdizionali compiuti dagli uffici, compreso il rilascio di certificati,
sempre che non siano antecedenti, necessari o funzionali ai processi
di cui al comma 1” (cfr art. 18, comma 2, Testo unico).
I terzi, in genere, scontano ordinariamente l’imposta di bollo
sulle istanze, domande e copie degli atti e dei provvedimenti dei
procedimenti giurisdizionali perché non sono, a differenza delle
parti, elementi costitutivi del rapporto processuale.
Il legislatore, infatti, indicando nella parte processuale il “presupposto
soggettivo” dell’esenzione, ha inteso indirettamente confermare il
“presupposto oggettivo” del “procedimento giurisdizionale” come
ambito e limite del contributo unificato.
5. Disposizioni transitorie (omissis)
Agenzia delle entrate, Direzione generale del Piemonte,
Ufficio fiscalità generale - 26 maggio 2004
Ai sensi del combinato disposto artt. 1 e 4 della Tariffa, parte
prima, del d.P.R. n. 642/1972, i certificati anagrafici rilasciati dal
Comune sono soggetti all’imposta di bollo. L’art. 20 della citata
Tariffa prevede l’assoggettamento all’imposta di bollo sia degli atti
e provvedimenti giurisdizionali civili e amministrativi che degli atti e
provvedimenti dei procedimenti arbitrali.
Il d.P.R. n. 115 del 30 maggio 2002 recante disposizioni in materia
di spese di giustizia, dispone all’art. 9 la debenza del contributo
unificato di iscrizione a ruolo per ciascun grado di giudizio nel
processo civile ed amministrativo.
L’art. 18 del citato decreto dispone che in detti procedimenti
giurisdizionali l’imposta di bollo non si applica agli atti e provvedimenti
se gli stessi risultano soggetti al contributo unificato. Inoltre è stato
specificato che tra gli atti e provvedimenti del processo sono da
ricomprendere anche tutti gli atti ad esso antecedenti, necessari e
funzionali.
Per le istanze e domande presentate da terzi, nonché per gli atti
non giurisdizionali compiuti dagli uffici, compreso il rilascio di
certificati, sempre che non siano antecedenti, necessari o funzionali
al processo, l’imposta di bollo risulta dovuta.
L’Agenzia con la circolare n. 70/E del 14 agosto 2002, oltre ad avere
già fornito l’interpretazione da attribuire ai termini “antecedenti,
necessari o funzionali” ai fini del procedimento giurisdizionale, al
punto 4 – presupposti soggettivi dell’esenzione – ha specificato che
“ai fini dell’esenzione dal pagamento dell’imposta di bollo deve
ricorrere non sono il presupposto oggettivo legato alla tipologia
degli atti processuali, ma è necessario anche che il soggetto
beneficiario dell’esenzione rivesta la qualità di parte processuale
(presupposto soggettivo)”.
Tanto premesso, per la fattispecie in esame, la scrivente ritiene
che non sussistano al riguardo presupposti per l’applicazione della
disposizione indicata all’art. 18 del d.P.R. 115/2002 in quanto la
normativa in materia di notificazione richiede già di per sé come
specificato dall’art. 163 del c.p.c. l’indicazione nominativa dei
soggetti processuali (attore e convenuto), nonché il luogo dove
gli stessi hanno la residenza, il domicilio o la dimora. Ne consegue
quindi che la richiesta dei suddetti certificati anagrafici non risulta
funzionale allo svolgimento del processo per cui gli stessi non
possono essere rilasciati in esenzione da imposta di bollo.
Circolare Agenzia delle entrate, Direzione regionale del
Piemonte, 23 giugno 2010, “Interpello 901-167/2010-art. 11,
legge 27 luglio 2000, n. 212. Comune di Pianezza, Istanza
presentata il 12/04/2010”
Con l’interpello specificato in oggetto, concernente l’interpretazione
dell’art. 1 del d.P.R. n. 642 del 1972, è stato esposto il seguente
Quesito
Il comune istante chiede chiarimenti circa il trattamento tributario, ai
fini dell’imposta di bollo, delle richieste di certificazione anagrafica
presentate da società di recupero crediti.
In particolare, viene rappresentato che le società richiedenti i
I SERVIZI DEMOGRAFICI 1.2 2011 ■ PRATICA
50
certificati anagrafici talvolta indicano nell’istanza il possesso di
un’autorizzazione di pubblica sicurezza richiedendo, pertanto, la
certificazione di residenza ai sensi dell’art. 3 della Tabella B di cui al
d.P.R. 642 del 1972.
Soluzione interpretativa prospettata dal contribuente
L’istante ritiene che le società di recupero crediti di cui si tratta non
possano chiedere i certificati in esenzione dal momento che, in
genere, sono prestatori d’opera per conto di altri soggetti (banche,
studi legali) non processualmente legittimati ad esercitare l’azione
penale nei confronti dei cittadini dei quali richiedono i certificati.
Non troverebbe, pertanto, applicazione né l’esenzione di cui all’art.
3 del d.P.R. 642 del 1972, né quella di cui all’art. 12 della Tabella
allegata allo stesso decreto.
Parere dell’Agenzia delle entrate
Ai sensi del combinato di cui agli artt. 1 del d.P.R. 642 del 1972
e 4 della Tariffa parte prima di cui allo stesso decreto il rilascio di
certificati anagrafici da parte del comune è soggetto all’imposta di
bollo.
L’art. 1 del d.P.R. citato, infatti, prevede che oggetto dell’imposta
siano tutti “gli atti, documenti e i registri indicati nell’annessa
Tariffa”.
In particolare, i certificati anagrafici sono ricompresi tra gli atti
soggetti all’imposta fin dall’origine indicati nell’art. 4 della Tariffa
pt. I di cui al d.P.R. suindicato, vale a dire tra gli “atti e provvedimenti
degli organi della amministrazione dello Stato, delle regioni, delle
province, dei comuni, loro consorzi e associazioni, delle comunità
montane e delle unità sanitarie locali, nonché quelli degli enti
pubblici in relazione alla tenuta di pubblici registri, rilasciati anche in
estratto o in copia dichiarata conforme all’originale a coloro che ne
abbiano fatto richiesta”.
L’amministrazione finanziaria si è più volte pronunciata affermando
sempre l’assoggettabilità fin dall’origine all’imposta di bollo
delle certificazioni anagrafiche (in tal senso si vedano le seguenti
Risoluzioni: prot. n. 300612 del 9 dicembre 1983, prot. n. 301694
del 21 novembre 1986; prot. n.352014 del 19 ottobre 1987; prot.
n. 352119 del 9 dicembre 1987; prot. n. 811 del 22 aprile 1994;
prot. n. 851 del 22 aprile 1994; prot. n. 27 del 17 dicembre 1994;
prot. n. 135 del 5 giugno 1995; prot. n. 208 del 15 luglio 1995).
Alla regola generale sull’assolvimento dell’imposta di bollo fa,
tuttavia, eccezione l’ipotesi in cui si ricada in una delle esenzioni
tassativamente indicate dallo stesso Decreto o da Leggi speciali.
In tal senso si è recentemente espressa l’amministrazione finanziaria
con la circolare n. 25 del 29 marzo 2010 ribadendo che “i certificati
in discorso possono essere rilasciati senza il pagamento dell’imposta
di bollo se destinati a uno degli usi indicati nella tabella allegato B,
annessa al citato d.P.R. n. 642 del 1972, recante l’elencazione degli
atti e documenti esenti in modo assoluto dall’imposta, o nei casi
previsti da leggi speciali”.
In particolare, l’art. 3 della Tabella allegata al già citato decreto
prevede l’esenzione in modo assoluto di “Atti, documenti e
provvedimenti dei procedimenti in materia penale, di pubblica
sicurezza e disciplinare, esclusi gli atti di cui agli artt. 34 e 36
della tariffa e comprese le istanze e denunce di parte dirette a
promuovere l’esercizio dell’azione penale e relative certificazioni.
Documenti prodotti nei medesimi procedimenti dal pubblico
ministero e dall’imputato o incolpato”.
Inoltre, sempre nella Tabella ma all’art. 12 è prevista l’esenzione
in modo assoluto di “Atti e provvedimenti del procedimento
innanzi alla Corte costituzionale. Atti, documenti e provvedimenti
dei procedimenti giurisdizionali ed amministrativi relativi a
controversie:
1) in materia di assicurazioni sociali obbligatorie ed assegni
familiari;
2) individuali di lavoro o concernenti rapporti di pubblico impiego;
3) in materia di pensioni dirette o di reversibilità;
4) in materia di equo canone delle locazioni degli immobili urbani.
Atti relativi ai provvedimenti di conciliazione davanti agli uffici del
lavoro e della massima occupazione o previsti da contratti o da
accordi collettivi di lavoro. Atti e documenti relativi all’esecuzione
immobiliare nei procedimenti di cui ai nn. 1), 2) e 3) del secondo
comma e dei provvedimenti di cui al terzo comma del presente
articolo. Atti e provvedimenti dei procedimenti innanzi al
conciliatore, compreso il mandato speciale a farsi rappresentare ed
escluse le sentenze”.
Tanto premesso, si ritiene che i certificati anagrafici richiesti dalle
società di recupero credito siano da assoggettare all’imposta di
bollo in quanto non vi sono specifiche disposizioni normative che
ne consentano il rilascio in esenzione.
I PARERI del ministero dell’interno
Parere Ministero dell’interno, 1° giugno 2006, “Imposta
di bollo su certificati di residenza ad uso notifica atti
giudiziari”
Domanda: Imposta di bollo su certificati di residenza ad uso notifica
atti giudiziari. Viste le frequenti richieste di certificati suddetti da
parte di avvocati o procuratori, che spesso ne danno per scontato il
rilascio in esenzione da bollo, citando l’art. 18 del d.P.R. 115/2002
(e talvolta neppure...) chiedo cortesemente conferma o rettifica
delle informazioni in mio possesso che nello specifico, riguardano
il fatto che sull’argomento ci sono due pronunce del Ministero
delle finanze, volte rispettivamente alla determinazione di quali
effettivamente siano gli atti processuali “antecedenti, necessari o
funzionali”, e se o meno siano esentabili: la circolare ag. entrate,
Direzione. centrale normativa e contenzioso, n. 70 del 14 agosto
2002 e la risoluzione dell’Agenzia delle entrate, dir. reg. Piemonte,
uff. fisc. gen., n. 04/27442 del 26 maggio 2004, che testualmente
recita “...ne consegue, quindi, che la richiesta dei suddetti certificati
anagrafici non risulta funzionale allo svolgimento del processo, per
cui gli stessi non possono essere rilasciati in esenzione da imposta
di bollo”.
Risposta: Il d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 “Testo unico delle
disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di
giustizia”, ed in particolare l’art. 18 “Non applicabilità dell’imposta
di bollo nel processo penale e nei processi in cui è dovuto il
contributo unificato”, dispone testualmente:
“3. Agli atti e provvedimenti del processo penale non si applica
l’imposta di bollo. L’imposta di bollo non si applica altresì agli atti e
provvedimenti del processo civile, compresa la procedura concorsuale
e di volontaria giurisdizione, e del processo amministrativo, soggetti
al contributo unificato. L’imposta di bollo non si applica, inoltre,
alle copie autentiche, comprese quelle esecutive, degli atti e dei
provvedimenti, purché richieste dalle parti processuali. Atti e
provvedimenti del processo sono tutti gli atti processuali, inclusi
quelli antecedenti, necessari o funzionali.
4. La disciplina sull’imposta di bollo è invariata per le istanze e
domande sotto qualsiasi forma presentate da terzi, nonché per
gli atti non giurisdizionali compiuti dagli uffici, compreso il rilascio
di certificati, sempre che non siano atti antecedenti, necessari o
funzionali ai processi di cui al comma 1”.
Il punto focale dell’analisi interpretativa di tale norma verte sulla
possibilità o meno di considerare “antecedente, necessario o
funzionale” ai processi il certificato anagrafico richiesto al fine di
individuare la residenza del convenuto e permettere la notificazione
allo stesso dell’atto di citazione e degli altri atti giudiziari che a lui
devono obbligatoriamente essere resi noti.
Il Ministero delle finanze è intervenuto con circolare dell’Agenzia
delle entrate, Direzione centrale normativa e contenzioso, del 14
agosto 2002, n. 70 con la quale sono state dettate le linee e i
criteri di analisi utili ad una corretta interpretazione della norma in
oggetto.
Successivamente, la Direzione regionale del Piemonte, Ufficio
fiscalità generale, del 26 maggio 2004, n. 04/27442, ha ritenuto
I SERVIZI DEMOGRAFICI 1.2 2011 ■ PRATICA
che “la richiesta dei suddetti certificati anagrafici non risulta
funzionale allo svolgimento del processo per cui gli stessi non
possono essere rilasciati in esenzione da imposta di bollo”.. In
conclusione, i certificati anagrafici richiesti da avvocati e procuratori
per uso notifica atti giudiziari, devono essere rilasciati in bollo.
Sull’argomento, si richiamano anche le risoluzioni n. 450223 del 29
novembre 1989 e n. 159 del 22 luglio 1996 in materia di certificati
anagrafici richiesti dalle banche al fine di istruire o concedere mutui
a medio e lungo termine, considerati “atti prodromici” rispetto alle
effettive operazioni relative a tali finanziamenti.
Il Ministero ha ritenuto che l’esenzione, la quale pure si applica agli
atti delle operazioni di mutuo ai sensi degli articoli 15 e 16 del d.P.R.
29 settembre 1973, n. 601, non si applica ai certificati anagrafici
richiesti per la stessa finalità, ma “prodromici” e quindi soggetti alla
regola generale del pagamento dell’imposta di bollo.
GIURISPRUDENZA
Commissione provinciale di Venezia, sez. I,
sentenza 14 febbraio 2006, n. 9
La contribuente ricorre avverso la richiesta del Comune di
Fiesso d’Artico di assolvimento dell’imposta di bollo per il
rilascio di un certificato anagrafico volto alla conoscenza della
residenza di un destinatario di un atto processuale civile.
Chiede conseguentemente l’annullamento della richiesta del
comune e la condanna dello stesso alla restituzione delle somme
illegittimamente pretese.
La ricorrente, che aveva necessità di conoscere la residenza di una
sua debitrice, alla quale voleva notificare atto di precetto, chiedeva
all’Ufficio anagrafe del comune il rilascio del certificato in esenzione
dell’imposta di bollo in applicazione dell’art. 18 d.P.R. 115/2002, in
quanto atto del processo civile.
Si costituisce il comune sostenendo la legittimità del suo operato,
confortato da innumerevoli pronuncie e pareri di esperti, e chiede il
rigetto del ricorso con condanna alle spese.
Ciò posto la commissione osserva: in via preliminare va censurato
il tono, il vocabolario ed il tenore usato dal professionista
rappresentante della ricorrente. Il vocabolario usato ed il
frasario è profondamente irriguardoso sia nei confronti dell’ente
impositore che degli studiosi della materia che hanno fornito
Il commento
I dubbi interpretativi legati alle richieste di studi legali sono iniziati, soprattutto, a seguito dell’entrata
in vigore del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 “Testo
unico delle disposizioni legislative e regolamentari
in materia di spese di giustizia, ed in particolare delle disposizioni dell’art. 18 “Non applicabilità dell’imposta di bollo nel processo penale e nei processi in
cui è dovuto il contributo unificato”, già ripetutamente richiamato.
Il punto focale dell’analisi interpretativa verte,
come appare evidente, sulla possibilità o meno di
considerare “antecedente, necessario o funzionale”
ai processi il certificato anagrafico richiesto al fine di
individuare la residenza del convenuto e permettere la notificazione allo stesso dell’atto di citazione e
degli altri atti giudiziari che a lui devono obbligatoriamente essere resi noti.
La questione, nelle sue linee generali è stata affrontata dal Ministero delle finanze con la circolare
dell’Agenzia delle entrate, Direzione centrale normativa e contenzioso, n. 70 del 14 agosto 2002.
La circolare compie un’analisi completa ed esauriente della nuova normativa introdotta dal Testo unico
51
autorevoli indicazioni e pareri ai quali il comune correttamente
si è uniformato.
Voler far passare la richiesta di un certificato anagrafico, per la
successiva emissione di un atto di precetto, come atto di un processo
civile è una tesi assolutamente non condivisibile.
La Commissione pone a carico della parte soccombente le spese del
presente giudizio che quantifica in euro 500,00.
P.Q.M.
La Commissione respinge i ricorsi riuniti. Pone a carico della parte
soccombente le spese del presente giudizio che liquida in complessivi
euro 500,00.
Commissione regionale di Venezia, sez. 29,
sentenza 15 gennaio 2007, n. 2/29/07
R.g. appello n. 1040/06
Fatto
Il contribuendo ebbe a ricorrere avanti commissione tributaria di 1°
contro il pagamento dell’imposta di bollo per il rilascio di un certificato
anagrafico per la conoscenza della residenza di un soggetto per il
quale doveva procedersi a notificare un atto di precetto.
La commissione tributaria di 1° respingeva il ricorso ritenendo non
condivisibile la tesi del contribuente e richiamava in motivazione i
pareri addotti dal Comune di Fiesso d’Artico in sede di costituzione
avanti alla commissione tributaria.
Contro tale decisione insiste il contribuente ritenendo che il rilascio
di detto certificato sia da ritenersi esente ai sensi dell’art. 9 della
legge 23 dicembre 1999, n. 488, Tabella 1, trattandosi di atto
antecedente, necessario e funzionale al procedimento civile.
Osserva questa commissione
Per l’atto di precetto non è previsto nel codice civile l’allegazione del
certificato anagrafico, rilevandosi come obbligo la corretta notifica
al domicilio del debitore. Trattasi pertanto non di atto funzionale
allo svolgimento del processo così come previsto in senso stretto
dalle previsioni processuali per l’esercizio del precetto.
Pare pertanto corretta la consolidata indicazione ministeriale che ne
esclude l’esenzione dall’imposta di bollo.
Esistono altresì giusti motivi per compensare le spese.
P.Q.M.
Respinge l’appello e conferma l’impugnata sentenza.
delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, approvato proprio con il
citato d.P.R. (la circolare è riportata integralmente
nella parte “normativa”).
La conclusione dell’Agenzia delle entrate si può così
riassumere:
 l’imposta di bollo è stata abolita per i procedimenti giurisdizionali per i quali è stato istituito il
“contributo unificato”;
 l’imposta di bollo, è stata ugualmente abolita
per tutti quei procedimenti giurisdizionali non
soggetti al pagamento del contributo unificato, per i quali sussista una norma che esenta
espressamente da tale imposta; per esempio, la
circolare cita, fra gli altri, anche l’art. 10 dello
stesso Testo unico (d.P.R. n. 115/2002) che prevede l’esenzione dall’imposta di bollo anche per
gli atti del “processo di rettificazione di stato civile, il processo in materia tavolare, il processo
esecutivo per consegna e rilascio, il processo di
cui all’articolo 3, della legge 24 marzo, n. 89”,
nonostante il fatto che tali procedimenti giurisdizionali siano esenti anche dal pagamento del
contributo unificato.
I SERVIZI DEMOGRAFICI 1.2 2011 ■ PRATICA
52
La circolare ministeriale precisa poi che tale esenzione riguarda solo gli atti processuali e quelli antecedenti, necessari o funzionali al procedimento
giurisdizionale che si caratterizzano per essere logicamente rapportati ai medesimi.
La questione fondamentale, a questo punto, sia per
gli atti giurisdizionali soggetti al pagamento del contributo unificato, che assorbe anche l’imposta di bollo, sia per gli atti giurisdizionali non soggetti al contributo unificato (art. 10 del citato d.P.R. n. 115/2002),
ma ugualmente esenti da imposta di bollo, è quella
di stabilire se i certificati anagrafici richiesti ai fini del
compimento di atti processuali siano da considerarsi
“antecedenti, necessari o funzionali” al procedimento giurisdizionale stesso. La risposta è negativa, come
confermato anche da una risoluzione dell’Agenzia
delle entrate, Direzione regionale del Piemonte, Ufficio fiscalità generale, del 26 maggio 2004, n. 04/27442
(anch’essa sopra riportata) della quale è sufficiente
riportare le parole conclusive: “Ne consegue, quindi,
che la richiesta dei suddetti certificati anagrafici non
risulta funzionale allo svolgimento del processo per
cui gli stessi non possono essere rilasciati in esenzione
da imposta di bollo”.
Tuttavia, più ancora delle pronunce dell’Agenzia
delle entrate, occorre sottolineare come il principio sia stato definitivamente sancito dalla sentenza
n. 2/29/07 del 15 gennaio 2007 della Commissione
Tributaria Regionale di Venezia, sez. 29, che conferma la sentenza della Commissione provinciale n. 9
del 14 febbraio 2006.
Le Sentenze in questione respingono il ricorso di un
avvocato avverso la richiesta del comune di assolvimento dell’imposta di bollo per il rilascio di un certificato anagrafico finalizzato alla conoscenza della
residenza del destinatario di un atto processuale. In
pratica, il ricorrente aveva necessità di conoscere la
residenza di un suo debitore, al quale voleva notificare un atto di precetto; a tal fine aveva chiesto
all’ufficio anagrafe del comune il rilascio del certificato di residenza, in esenzione dall’imposta di bollo
in applicazione dell’art. 18 d.P.R. n. 115/2002.
Il comune, a sua volta, si era costituito, sostenendo
la legittimità del suo operato, confortato, in particolare, dal parere espresso dall’Anusca.
La Commissione Tributaria afferma che “la richiesta
di un certificato anagrafico, per la successiva emissione di un atto di precetto, come atto di un processo
civile, è una tesi assolutamente non condivisibile”.
La questione deve quindi essere considerata chiusa:
gli ufficiali d’anagrafe non possono rilasciare agli studi legali certificati anagrafici per uso notifica atti giudiziari, senza l’assolvimento dell’imposta di bollo.
Per quanto riguarda, in particolare l’esenzione
dall’imposta di bollo prevista dall’art. 3 – Tabella
Allegato B – al d.P.R. n. 642/1972, l’unica possibile
ipotesi in cui un certificato anagrafico potrebbe rientrare nell’esenzione dall’imposta di bollo sembrerebbe essere il caso in cui il certificato sia destinato
ad essere “prodotto in un procedimento in materia
penale, di pubblica sicurezza e disciplinare da parte
del pubblico ministero o dell’imputato o incolpato”
(si veda l’ultima parte dell’art. 3). Non risulta, tuttavia, che debba essere “prodotto” alcun certificato
anagrafico nei procedimenti di cui sopra; di norma,
i certificati anagrafici sono richiesti dagli studi legali
ai fini della notifica di atti giudiziari e, per questo
uso, come detto, è prevista l’imposta di bollo.
La pratica
 Richiesta del certificato effettuata direttamente
presso lo sportello anagrafico: Il richiedente dovrà essere in possesso della prescritta marca da
bollo dell’importo di euro 14,62 o pagare il relativo importo, nel caso in cui il comune abbia attivato il pagamento dell’imposta in modo virtuale,
oltre, ovviamente, ai diritti di segreteria.
 Richiesta del certificato effettuata tramite servizio
postale o fax: La richiesta di certificati anagrafici
da parte di studi legali o agenzie di recupero crediti viene inviata, in prevalenza, tramite servizio
postale o fax; in questi casi o il richiedente provvede all’assolvimento dell’imposta di bollo (oltre
ai diritti di segreteria), oppure l’ufficiale d’anagrafe dovrà inviare la richiesta del pagamento di
quanto dovuto con l’avviso che, in mancanza, opporrà un rifiuto scritto e motivato al rilascio del
certificato richiesto.
 Segnalazione all’Agenzia delle entrate: Nel caso
in cui si abbia il fondato sospetto di trovarsi di
fronte ad una evasione fiscale, a seguito della richiesta di un certificato anagrafico per un uso dichiarato difforme da quello che si può effettivamente presumere, qualora, da elementi intrinseci
all’atto, possa emergere in maniera incondizionata che l’invocata norma d’esenzione è inconferente od erronea, l’ufficiale d’anagrafe può
inoltrare formale segnalazione all’Agenzia delle
entrate per gli eventuali controlli che l’Agenzia
stessa ritenga di effettuare.
I SERVIZI DEMOGRAFICI 1.2 2011 ■ PRATICA
53
La modulistica
RICHIESTA DI CERTIFICATO ANAGRAFICO PER USO NOTIFICA ATTI GIUDIZIARI IN ESENZIONE DAL BOLLO
(Ai sensi dell’art. 18, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115)
IPOTESI DI RISPOSTA DELL’UFFICIALE D’ANAGRAFE
COMUNE DI …….....................
Ufficio Anagrafe
Prot. n. ____________ del _________________
Spett. le Studio legale……………………..
OGGETTO: Richiesta certificazioni anagrafiche
Con riferimento alla Vs. cortese nota in data .....…….., avente per oggetto la richiesta del certificato di residenza (oppure
stato famiglia, ecc. ) a nome del Sig. ………………….........……, si comunica che:
 I certificati vengono emessi in bollo salvo che ne sia indicata, nella richiesta, una causa di esenzione prevista dalle norme
vigenti (d.P.R 26 ottobre 1972, n. 642; d.m. 30 dicembre 1982, n. 955 e succ. modif.) ed a patto che tale causa di esenzione
sia applicabile al caso concreto.
 Nella Vs. richiesta viene invocato l’art. 18 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115; tuttavia, l’uso da Voi indicato non sembra
corretto e pertinente. È stato chiarito dall’Agenzia delle entrate (cfr. Agenzia delle entrate, Direzione generale del
Piemonte, Ufficio fiscalità generale, 26 maggio 2004, n. 04/27442) che “la richiesta dei suddetti certificati anagrafici non
risulta funzionale allo svolgimento del processo per cui gli stessi non possono essere rilasciati in esenzione da imposta
di bollo”. Ciò significa, in pratica, che non può rientrare fra gli atti “antecedenti, necessari o funzionali” ai processi, il
certificato anagrafico richiesto al fine di individuare la residenza del convenuto e permettere la notificazione allo stesso
dell’atto di citazione e degli altri atti giudiziari che a lui devono obbligatoriamente essere resi noti.
 Per il rilascio del certificato richiesto è necessario far pervenire allo scrivente ufficio una marca da bollo da € 14,62, oltre
all’importo dei diritti di segreteria fissati nella misura di € 0,52 (da inviare in contanti), ed una busta preaffrancata per
la risposta.
Ad ogni buon fine, si fa presente che questa pubblica amministrazione, in ossequio ad un doveroso contrasto ad ogni
possibile fenomeno di evasione fiscale, potrebbe decidere, come suo diritto/dovere, di segnalare all’Agenzia delle entrate,
qualsiasi richiesta di certificazione in esenzione dal bollo, non sufficientemente suffragata da convincenti motivazioni di
fatto e di diritto, e per cui sussista anche solo il dubbio di una possibile evasione fiscale.
Restando a disposizione per eventuali ulteriori chiarimenti, si porgono, con l’occasione, distinti saluti.
L’Ufficiale d’Anagrafe
………………………………
segue
I SERVIZI DEMOGRAFICI 1.2 2011 ■ PRATICA
54
RICHIESTA DI CERTIFICATO ANAGRAFICO PER USO NOTIFICA ATTI GIUDIZIARI IN ESENZIONE DAL BOLLO
(Ai sensi dell’art. 12, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 642, Tabella Allegato B)
IPOTESI DI RISPOSTA DELL’UFFICIALE D’ANAGRAFE
COMUNE DI …….....................
Ufficio Anagrafe
Prot. n. ____________ del _________________
Spett. le Studio legale……………………..
OGGETTO: Richiesta certificazioni anagrafiche
Con riferimento alla Vs. cortese nota in data .....…….., avente per oggetto la richiesta del certificato di residenza (oppure
stato famiglia, ecc. ) a nome del Sig. ………………….........……, si comunica che:
 I certificati vengono emessi in bollo salvo che ne sia indicata, nella richiesta, una causa di esenzione prevista dalle norme
vigenti (d.P.R 26 ottobre 1972, n. 642; d.m. 30 dicembre 1982, n. 955 e succ. modif.) ed a patto che tale causa di esenzione sia applicabile al caso concreto.
 Nella Vs. richiesta viene invocato l’art. 12 della Tab. all. B al d.P.R. n. 642/1972 e successive modificazioni; tuttavia, l’uso
da Voi indicato non sembra corretto e pertinente, in quanto ben difficilmente un certificato anagrafico può rientrare
nella casistica prevista dall’art. 12 della Tab. all. B al d.P.R. n. 642/1972 e successive modificazioni. Infatti, come ha avuto
modo di precisare in varie circostanze l’Agenzia delle entrate del Ministero delle finanze, i certificati anagrafici sono
“atti prodromici” ai documenti, atti e provvedimenti dei procedimenti amministrativi o giurisdizionali. In particolare,
secondo il parere dell’Agenzia delle entrate n. 140/E del 21 giugno 2007 riguardante nello specifico i procedimenti
aventi ad oggetto le controversie individuali di lavoro, l‘esenzione disposta dall’art. 12 tab. all. B riguarda i “provvedimenti” relativi alle cause per controversie individuali di lavoro e i “documenti” relativi alle stesse controversie (per es.
le sentenze, le ordinanze e le relative copie, oltre alle domande per ottenerle).
Nessun cenno si fa in questo parere, né in altri, circa le eventuali certificazioni anagrafiche richieste, di norma, per provvedere alla notifica all’indirizzo anagrafico corretto della citazione o di altri atti giudiziari o per individuare comunque
l’indirizzo del cittadino interessato.
 Per il rilascio del certificato richiesto è necessario far pervenire allo scrivente ufficio una marca da bollo da € 14,62, oltre
all’importo dei diritti di segreteria fissati nella misura di € 0,52 (da inviare in contanti), ed una busta preaffrancata per
la risposta.
Ad ogni buon fine, si fa presente che questa pubblica amministrazione, in ossequio ad un doveroso contrasto ad ogni
possibile fenomeno di evasione fiscale, potrebbe decidere, come suo diritto/dovere, di segnalare all’Agenzia delle entrate,
qualsiasi richiesta di certificazione in esenzione dal bollo, non sufficientemente suffragata da convincenti motivazioni di
fatto e di diritto, e per cui sussista anche solo il dubbio di una possibile evasione fiscale.
Restando a disposizione per eventuali ulteriori chiarimenti, si porgono, con l’occasione, distinti saluti.
L’Ufficiale d’Anagrafe
………………………………
I SERVIZI DEMOGRAFICI 1.2 2011 ■ PRATICA
55
RICHIESTA DI CERTIFICATO ANAGRAFICO PER USO NOTIFICA ATTI GIUDIZIARI IN ESENZIONE DAL BOLLO
(Ai sensi dell’art. 3, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 642, Tabella Allegato B)
IPOTESI DI RISPOSTA DELL’UFFICIALE D’ANAGRAFE
COMUNE DI …….....................
Ufficio Anagrafe
Prot. n. ____________ del _________________
Spett. le Studio legale……………………..
OGGETTO: Richiesta certificazioni anagrafiche
Con riferimento alla Vs. cortese nota in data .....…….., avente per oggetto la richiesta del certificato di residenza (oppure
stato famiglia, ecc. ) a nome del Sig. ………………….........……, si comunica che:
 I certificati vengono emessi in bollo salvo che ne sia indicata, nella richiesta, una causa di esenzione prevista dalle norme
vigenti (d.P.R 26 ottobre 1972, n. 642; d.m. 30 dicembre 1982, n. 955 e succ. modif.) ed a patto che tale causa di esenzione sia applicabile al caso concreto;
 Nella Vs. richiesta viene invocato l’art. 3 della Tab. all. B al d.P.R. n. 642/1972; tuttavia, l’uso da Voi indicato non sembra corretto e pertinente, in quanto ben difficilmente un certificato anagrafico può rientrare nella casistica prevista
dall’art. 3 della Tab. all. B al d.P.R. n. 642/1972 e successive modificazioni. Infatti, come ha avuto modo di precisare in
varie circostanze l’Agenzia delle entrate del Ministero delle finanze, i certificati anagrafici sono atti prodromici ai documenti, atti e provvedimenti dei procedimenti giurisdizionali elencati dal citato art. 3. L’unico caso in cui un certificato
anagrafico “potrebbe” risultare esente dall’imposta di bollo è quello previsto dall’ultima parte dell’art. 3 da Voi citato
e cioè qualora si trattasse di “documento prodotto nel procedimento penale dall’imputato o incolpato”.
Si chiede pertanto di precisare meglio l’utilizzo del certificato richiesto che, come detto, è esente dal bollo solo se utilizzato per essere “prodotto nel procedimento penale” e non certo se utilizzato per finalità diverse, quali ad esempio:
recupero crediti, notifica atti giudiziari, ingiunzioni, ecc.
Di fronte a dubbi sulla spettanza dell’esenzione (seppure richiesta formalmente dalla parte), si ritiene che l’ente emittente, solidalmente obbligato al pagamento, sia comunque tenuto all’applicazione dell’imposta di bollo qualora, da
elementi intrinseci all’atto, possa emergere in maniera incondizionata che l’invocata norma d’esenzione è inconferente
od erronea.
 A meno che non venga precisato meglio l’uso del certificato richiesto, per il rilascio del medesimo è necessario far pervenire allo scrivente ufficio una marca da bollo da € 14,62, oltre all’importo dei diritti di segreteria fissati nella misura
di € 0,52 (da inviare in contanti), ed una busta preaffrancata per la risposta.
Ad ogni buon fine, si fa presente che questa pubblica amministrazione, in ossequio ad un doveroso contrasto ad ogni
possibile fenomeno di evasione fiscale, potrebbe decidere, come suo diritto/dovere, di segnalare all’Agenzia delle entrate,
qualsiasi richiesta di certificazione in esenzione dal bollo, non sufficientemente suffragata da convincenti motivazioni di
fatto e di diritto, e per cui sussista anche solo il dubbio di una possibile evasione fiscale.
Restando a disposizione per eventuali ulteriori chiarimenti, si porgono, con l’occasione, distinti saluti.
L’Ufficiale d’Anagrafe
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56
SCADENZARIO Marzo
nel mese di marzo
Anagrafe
“Tutti i comuni dovranno inviare al Ministero
dell’interno periodicamente (una volta alla settimana) via web-email, utilizzando esclusivamente
il programma AnagAire, l’archivio Aire comunale
comprensivo della posizione elettorale aggiornata
riferita a ciascun iscritto“.
Riferimenti normativi:
• circolare Ministero dell’interno 25.6.2007,
n. 34/2007 inviata ai comuni tramite
le Prefetture – UTG.
1° marzo
Anagrafe
Ufficiale di anagrafe: “Ai fini dell’annotazione
del trasferimento di residenza da uno ad un altro
comune o il cambiamento di abitazione nell’ambito
dello stesso comune, i comuni devono trasmettere
all’ufficio centrale operativo della Direzione generale della M.C.T.C., per via telematica o su supporto
magnetico secondo i tracciati record prescritti dalla
stessa Direzione generale, notizia dell’avvenuto
trasferimento di residenza, nel termine di un mese
decorrente dalla data di rigistrazione della variazione anagrafica“.
Riferimenti normativi:
• art. 116, comma 11, d.lgs 30.4.1992, n. 285.
Ufficiale di anagrafe: “Al fine dell’aggiornamento della carta di circolazione per i trasferimenti
di residenza comunicati alle anagrafi comunali,
i comuni devono trasmettere all’ufficio centrale
operativo della Direzione generale della M.C.T.C.,
per via telematica o su supporto magnetico secondo i tracciati record prescritti dalla stessa Direzione
generale, notizia dell’avvenuto trasferimento di
residenza, nel termine di un mese decorrente dalla
data di registrazione della variazion anagrafica“.
registrazione della variazione anagrafica“.
Riferimenti normativi:
• art. 252, comma 2, d.P.R. 16.12.1192, n. 495.
“Il comune può cioè utilizzare tre distinte modalità
di trasmissione. La prima è quella telematica. (...)
La seconda modalità di trasmissione è quella su
supporto magnetico. (...)
La terza modalità di trasmissione, quella su supporto cartaceo, non è in realtà prevista dal d.P.R.
575/1994, tuttavia la non completa dotazione di
strumenti informatici da parte di tutti i comuni
la rende al momento indispensabile (...)“
Riferimenti normativi:
• circolare Miacel n. 1 (97) del 10.1.1997.
entro il 15 marzo
Stato civile-Anagrafe
Inviare all’Ufficio Territoriale del Governo:
Ufficiale dello stato civile:
• modello Istat D.7. A – rilevazione mensile degli
eventi demografici di stato civile (nascite, morti,
matrimoni): riepilogo comunale
• modello Istat D.3 – scheda di matrimonio
modello Istat D.4 – scheda di morte oltre il 1° anno
di vita per maschio
• modello Istat D.5 – scheda di morte oltre il 1°
anno di vita per femmina
• modello Istat D.4-bis –scheda di morte nel 1°
anno di vita per maschio
• modello Istat D.5-bis – scheda di morte nel 1°
anno di vita per femmina
“Copia della scheda di morte deve essere inviata,
entro trenta giorni, dal comune ove è avvenuto il
decesso all’Unità sanitaria locale nel cui territorio
detto comune è ricompreso“.
Ufficiale di anagrafe:
• modello Istat D.7.B. – rilevazione mensile del
movimento e calcolo della popolazione residente:
riepilogo comunale
Riferimenti normativi:
• modelli Istat P.4 – rilevazione degli iscritti in
• art. 247, comma 3, d.P.R. 16.12.1992, n. 495.
anagrafe per nascita
• modello Apr/4 – movimento migratorio della
popolazione residente.
Ufficiale di anagrafe: “Nel caso di trasferimen“(...) I comuni che invieranno i dati sulla struttura
ti di residenza di intestatari di contrassegni di
e dinamica demografica attraverso Istatel, non
identificazione per ciclomotori, i comuni devono
dovranno inviare copia dei modelli agli Uffici Tertrasmettere all’ufficio centrale operativo della
Direzione generale della M.C.T.C. per via telematica ritoriali del Governo, eccezione fatta per i modelli
o su supporto magnetico secondo i tracciati record Istat D.4, Istat D.5, Istat D.4-bis, Istat D.5-bis per i
quali rimane l’obbligo della compilazione cartacea
prescritti dalla Direzione generale della M.C.T.C.,
e dell’invio di una copia agli U.T.G.“.
notizia dell’avvenuto trasferimento di residenza,
“(...) Per l’invio telematico dei dati sui decessi, si rinel termine di un mese decorrente dalla data di
I SERVIZI DEMOGRAFICI 1.2 2011 ■ SCADENZARIO
badisce che (contrariamente a quanto indicato per
i nati vivi, matrimoni e trasferimenti di residenza)
dovranno essere trasmesse, con l’usuale procedura,
anche le schede cartacee complete di tutte le informazioni contenute nella Parte B“.
Ulteriori modalità di fornitura dei dati relativi ai
modelli Istat D.3, Istat P.4 e Istat Apr/4, devono
essere preventivamente concordate con l’Ufficio
regionale Istat di competenza e con il Servizio
Popolazione Istruzione e Cultura.
Anagrafe
Riferimenti normativi:
• Istat “Istruzioni per la rilevazione statistica del
movimento della popolazione“ – Metodi
e norme – serie B – n. 21 – 1981
• art. 1, comma 7, d.P.R. 10.9.1990, n. 285
• circolare Istat n. 28, prot. 12371 del 27.10.1998
“Rilevazioni demografiche, anagrafiche
e sanitarie. Anno 1999“
• Istat “Rilevazioni demografiche e sanitarie
– edizione 2006“.
Anagrafe
Anagrafe
Ufficiale di anagrafe: “In occasione dei consueti
adempimenti mensili le anagrafi comunali dovranno
comunicare alla propria Usl (...) le eventuali variazioni nella condizione dei residenti (mutamenti di
indirizzo 1, cancellazione, passaggi all’Aire e così via).
Congiuntamente, nel caso di residenza in altro
comune, quest’ultimo, una volta perfezionato l’iter
di iscrizione tra i residenti avrà il compito di comunicare all’Usl competente le generalità del nuovo
residente (...).
Tali comunicazioni dovranno essere rese, alla prevista scadenza, mediante compilazione dell’allegato
modello Ap/Usl, elaborato dall’Istat, a meno che
le stesse non possano essere effettuate attraverso
l’utilizzazione dei mezzi informatici (...)“.
Riferimenti normativi:
• circolare Miac (86) n. 2 del 15.2.1986,
prot. 151 XX/AA.GG. 12/6
• circolare Miacel (88) n.5 del 13.5.1988,
prot. 08802474-15100/339.
1
Questa indicazione è solo per i comuni suddivisi in più Asl, come
indicato dall’Istat sul Mod. Ap/Usl.
Anagrafe
Ufficiale di anagrafe: “Le iscrizioni, le cancellazioni e le variazioni anagrafiche dello straniero
regolarmente soggiornante sono comunicate d’ufficio alla questura competente per territorio entro
il termine di quindici giorni“.
Riferimenti normativi:
• art. 15, comma 5, d.P.R. 31.8.1999, n. 394.
Ufficiale di anagrafe: “Le comunicazioni relative
ai matrimoni e ai decessi di cui all’articolo 34 della
legge 21 luglio 1965, n. 903 sono fornite in via telematica entro quindici giorni dalla data dell’evento,
secondo le specifiche tecniche definite dall’Istituto
nazionale della previdenza sociale (Inps)“.
Riferimenti normativi:
• art. 31, comma 19, legge 27.12.2002, n. 289.
“Al responsabile dell’Ufficio Anagrafe del comune,
nel caso di violazione dell’obbligo di comunicazione
dei decessi previsto dall’articolo 34 della legge 21
luglio 1965, e dell'articolo 31, comma 13 della legge
27 dicembre 2002, n. 289, si applica la sanzione
pecunaria da 100 euro a 300 euro“.
Riferimenti normativi:
• legge 24.11.2003, n. 326, conversione in legge, con
modificazioni, del d.l. 30.9.2003, n. 269, art. 46.
Adempimenti derivanti da altri riferimenti
normativi:
• art. 23 r.d. 24.4.1927, n. 677
• art. 11 legge 5.5.1952, n. 521.
nel mese di marzo
Anagrafe
Ufficiale di anagrafe: “I comuni (...) deliberano
mensilmente il riparto e la liquidazione dei diritti
di segreteria e di stato civile 1“.
Riferimenti normativi:
• art. 2, comma 1, d.m. 31.7.1995.
1
L’art. 110 del d.P.R. 3.11.2000, n. 396 ha abrogato gli articoli 190191 del r.d. 9.7.1939, n. 1238 che prevedevano la riscossione dei
diritti di stato civile.
30 marzo
Inviare all’Istat le rilevazioni Posas (popolazione
Anagrafe
residente per sesso, anno di nascita e stato civile) e
Strasa (stranieri residenti per sesso e anno di nascita). Ufficiale di anagrafe: “Le iscrizioni, le cancelRiferimenti normativi:
lazioni e le variazioni anagrafiche dello straniero
• l’Istat, con apposita circolare che invia ai comuni, regolarmente soggiornante sono comunicate d’ufgeneralmente al termine di ogni anno, fornisce
ficio alla questura competente per territorio entro
istruzioni relative alla compilazione dei modelli
il termine di quindici giorni“.
Posas e Strasa, ai termini, alle modalità e ai casi
Riferimenti normativi:
particolari di trasmissione dei dati.
• art. 15, comma 5, d.P.R. 31.8.1999, n. 394.
57
I SERVIZI DEMOGRAFICI 1.2 2011 ■ SCADENZARIO
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Anagrafe
Ufficiale di anagrafe: “Le comunicazioni relative
ai matrimoni e ai decessi di cui all’articolo 34 della
legge 21 luglio 1965, n. 903, sono fornite in via telematica entro quindici giorni dalla data dell’evento, secondo le specifiche tecniche definite dall’Istituto nazionale della previdenza sociale (Inps)“.
Riferimenti normativi:
• art. 31, comma 19, legge 27.12.2002, n. 289.
“Al responsabile dell’Ufficio Anagrafe del comune, nel caso di violazione dell’obbligo di comunicazione dei decessi previsto dall’articolo 34 della
legge 21 luglio 1965, n. 903, e dall’articolo 31,
comma 19, della legge 27 dicembre 2002, n. 289,
si applica la sanzione pecunaria da 100 euro
a 300 euro“.
Riferimenti normativi:
• legge 24.11.2003, n. 326, conversione in legge, con
modificazioni, del d.l. 30.9.2003, n. 269, art. 46.
della Provincia comunica alla competente Prefettura il fabbisogno degli stampati per l’anno successivo, tenuto conto non soltanto delle presumibili
esigenze medie ordinarie, ma anche di tutte quelle
evenienze particolari (elezioni, migrazioni stagionali, necessità turistiche, ecc.) che ordinariamente
incidono sulla richiesta da parte dei cittadini dei
documenti di riconoscimento in questione (...).
I comuni delle Province di Bolzano e Trento devono segnalare separatamente i presumibili fabbisogni degli esemplari di carte d’identità, sia in
lingua italiana, che bilingui“.
Riferimenti normativi:
• circolare Ministero dell’interno n. 108
del 22.12.1973, prot. 4113.
“Con il prospetto contenente la situazione al 31
marzo 1 di ciascun anno, devono essere comunicati (...) anche il riepilogo annuale al 31 dicembre
dell’anno precedente con l’indicazione delle relative giacenze“.
Riferimenti normativi:
Adempimenti derivanti da altri riferimenti normativi:
• circolare Ministero dell’interno n. 108
• art. 23 r.d. 24.4.1927, n. 677
del 22.12.1973, prot. 4113.
• art. 11 legge 5.5.1952, n. 521.
entro il mese di marzo
Leva militare
Sindaco: “Nel corso del mese di marzo la lista di
leva deve essere posta al corrente con le nuove
iscrizioni e cancellazioni che siano necessarie e
debbano essere in essa introdotte tutte le modificazioni derivanti dalle osservazioni, dichiarazioni
e reclami di cui al comma precedente“.
Riferimenti normativi:
• art. 38, comma 2, d.P.R. 14.2.1964, n. 237.
31 marzo
Carta d’identità
“Al 31 marzo di ciascun anno (...) ciascun comune
1
Originariamente la circolare in riferimento prevedeva prospetti
trimestrali. Con circolare del Ministero dell’interno, pari numero,
del 10.1.1974, il termine “trimestrali“ è stato sostituito con “bimestrali“.
nel mese di marzo
Carta d’identità
I comuni sono tenuti ad aggiornare mensilmente la scheda dei dati comunali raggiungibile nell’area privata del sito web della
Direzione centrale dei servizi demografici
www.servizidemografici.interno.it alla voce
“dati comunali“.
Riferimenti normativi:
• istruzioni ministeriali diramate ai comuni a
mezzo di circolare dei rispettivi Uffici Territoriali del Governo.
59
legislazione
LEGGE
13 ottobre 2010, n. 175
Disposizioni concernenti il divieto
di svolgimento di propaganda
elettorale per le persone sottoposte
a misure di prevenzione.
(G.U. 27 ottobre 2010, n. 252)
Art. 1 - Modifiche all’articolo 10 della
legge 31 maggio 1965, n. 575, concernente il divieto di svolgimento di propaganda elettorale per le persone sottoposte a misure di prevenzione.
1. All’articolo 10 della legge 31 maggio 1965,
n. 575, e successive modificazioni, dopo il
comma 5-bis sono inseriti i seguenti:
“5-bis.1. Dal termine stabilito per la presentazione delle liste e dei candidati e fino alla
chiusura delle operazioni di voto, alle persone
sottoposte, in forza di provvedimenti definitivi, alla misura della sorveglianza speciale
di pubblica sicurezza, ai sensi della presente
legge, è fatto divieto di svolgere le attività di
propaganda elettorale previste dalla legge 4
aprile 1956, n. 212, in favore o in pregiudizio
di candidati partecipanti a qualsiasi tipo di
competizione elettorale.
5-bis.2. Salvo che il fatto costituisca piu’ grave reato, il contravventore al divieto di cui al
comma 5-bis.1 è punito con la reclusione da
uno a cinque anni. La stessa pena si applica al
candidato che, avendo diretta conoscenza della
condizione di sottoposto in via definitiva alla
misura della sorveglianza speciale di pubblica
sicurezza, richiede al medesimo di svolgere le
attività di propaganda elettorale previste dal citato comma 5-bis.1 e se ne avvale concretamente. L’esistenza del fatto deve risultare anche da
prove diverse dalle dichiarazioni del soggetto
sottoposto alla misura di prevenzione”.
Art. 2 - Effetti della condanna
1. La condanna alla pena della reclusione,
anche se conseguente all’applicazione della
pena su richiesta delle parti a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale,
per il delitto previsto dall’articolo 10, comma
5-bis.2, della legge 31 maggio 1965, n. 575,
introdotto dall’articolo 1 della presente legge, comporta l’interdizione dai pubblici uffici
per la durata della pena detentiva. A tal fine
la cancelleria del giudice che ha pronunciato
la sentenza trasmette copia dell’estratto esecutivo, chiusa in piego sigillato, all’organo o
all’ente di appartenenza per l’adozione degli
atti di competenza. Nel caso in cui il condannato sia un membro del Parlamento, la Camera di appartenenza adotta le conseguenti
determinazioni secondo le norme del proprio
regolamento.
2. Dall’interdizione dai pubblici uffici consegue l’ineleggibilità del condannato per la
stessa durata della pena detentiva. La sospensione condizionale della pena non ha effetto
ai fini dell’interdizione dai pubblici uffici.
La presente legge, munita del sigillo dello Stato, sarà inserita nella Raccolta ufficiale degli
atti normativi della Repubblica italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di
farla osservare come legge dello Stato.
DECRETO PRESIDENTE
CONSIGLIO DEI MINISTRI
30 luglio 2010
Proroga degli organismi collegiali
operanti presso il Ministero della
difesa.
(G.U. 2 novembre 2010, n. 256)
DECRETO PRESIDENTE
DELLA REPUBBLICA
9 settembre 2010
Determinazione del periodo
di vigenza dell’ora legale
per l’anno 2011.
(G.U. 5 novembre 2010, n. 259)
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO
DEI MINISTRI, DIPARTIMENTO PER
LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
E L’INNOVAZIONE
24 settembre 2010
Modalità attuative dell’articolo
2, comma 589, della legge 24
dicembre 2007, n. 244 (legge
finanziaria 2008), recante
disposizioni in materia di posta
elettronica.
(G.U. 27 novembre 2010, n. 278)
LEGGE
26 novembre 2010, n. 199
Disposizioni relative all’esecuzione
presso il domicilio delle pene
detentive non superiori ad un anno.
(G.U. 1 dicembre 2010, n. 281)
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Annuncio di una richiesta
di referendum popolare.
(G.U. 4 dicembre 2010, n. 284)
e atti ufficiali
Ai sensi dell’articolo 7 della legge 25
maggio 1970 n. 352, si annuncia che
la Cancelleria della Corte Suprema di
Cassazione, in data 3 dicembre 2010
ha raccolto a verbale e dato atto della dichiarazione resa dall’avv. Angela
Boncompagni delegata dal Comune di
Magliano Sabina giusta delibera del consiglio comunale n. 43 del 17 novembre
2010, di voler promuovere una richiesta
di referendum, previsto dall’art. 132 della Costituzione, sul seguente quesito:
“Volete che il territorio del Comune di
Magliano Sabina sia separato dalla Regione Lazio per entrare a far parte integrante della Regione Umbria ?”.
L’avv. Angela Boncompagni dichiara di
eleggere domicilio in Roma - Via Tacito
23 c.a.p. 00193 presso lo studio dell’avv.
Emanuele Vespaziani - tel. 06/3235482.
DECRETO PRESIDENTE
CONSIGLIO DEI MINISTRI
30 novembre 2010
Rimborso delle spese sostenute dai
genitori adottivi per l’espletamento
delle procedure di adozione
internazionale.
(G.U. 9 dicembre 2010, n. 287)
DECRETO MINISTERO
DELLA DIFESA
20 ottobre 2010
Aggiornamento annuale delle
paghe nette giornaliere ai graduati
e militari di truppa in servizio di
leva, spettanti, a decorrere dal 1°
luglio 2010, agli allievi delle scuole
militari.
(G.U. 10 dicembre 2010, n. 288)
Decreto Presidente
della Repubblica
30 novembre 2010
Determinazione dei collegi
uninominali delle province di Vercelli,
Mantova, Pavia, Treviso, Ravenna,
Lucca, Macerata, Campobasso e
Reggio Calabria.
(G.U. 10 dicembre 2010, n. 288)
60
I SERVIZI DEMOGRAFICI 1.2 2011 ■ LEGISLAZIONE E ATTI UFFICIALI
DECRETO MINISTERO
DELL’INTERNO
9 dicembre 2010
Riduzione dei trasferimenti erariali
per l’anno 2011 a province e comuni
superiori a 5000 abitanti, ex articolo
14, comma 2, del decreto-legge 31
maggio 2010, n. 78.
(G.U. 15 dicembre 2010, n. 292)
Ascea (delibera n. 18 del 05/11/2010), Atena Lucana (delibera n. 26 del 30/11/2010),
Baronissi (delibera n. 94 del 12/10/2010),
Bellizzi (n. 46 del 29/09/2010), Calvanico
(delibera n. 29 del 05/10/2010), Camerota
(delibera n. 54 del 28/09/2010), Campora
(delibera n. 11 del 29/09/2010), Casaletto
Spartano (delibera n. 25 del 2/10/2010), Caselle in Pittari (delibera n. 15 del 8/10/2010),
Castel San Giorgio (delibera n. 54 del
28/09/2010), Castel San Lorenzo (delibera n.
32 del 07/10/2010), Castellabate (delibera n.
68 del 19/10/2010), Cava dè Tirreni (delibera n. 76 del 29/09/2010), Centola (delibera
n. 21 del 12/10/2010), Cicerale (delibera n.
29 del 22/09/2010), Conca dei Marini (delibera n. 15 del 7/10/2010), Corleto Monforte
(delibera n. 19 del 8/10/2010), Giungano
(delibera n. 20 del 28/09/2010), Laurino
(delibera n. 28 del 28/09/2010), Magliano Vetere (delibera n. 15 del 30/09/2010),
Moio della Civitella (delibera n. 23 del
28/10/2010), Montano Antilia (delibera n.
24 del 29/11/2010), Montecorice (delibera
n. 30 del 1/10/2010), Montecorvino Pugliano (delibera n. 32 del 6/10/2010), Montecorvino Rovella (delibera n. 39 del 11/10/2010),
Monteforte Cilento (delibera n. 11 del
28/09/2010), Nocera Superiore (delibera n.
77 del 28/09/2010), Ogliastro Cilento (delibera n. 24 del 4/10/2010), Orria (delibera n.
27 del 14/10/2010), Pagani (delibera n. 46
del 13/10/2010), Palomonte (delibera n.26
del 21/10/2010), Perdifumo (delibera n. 21
del 28/09/2010), Petina (delibera n. 22 del
27/09/2010), Pisciotta (delibera n. 19 del
11/10/2010), Pontecagnano Faiano (delibera n. 36 del 29/11/2010), Positano (delibera
n. 25 del 8/11/2010), Postiglione (delibera
n. 41 del 15/10/2010), Roccadaspide (delibera n. 44 del 26/11/2010), Roccagloriosa
(delibera n. 17 del 17/09/2010), Roccapiemonte (delibera n. 27 del 18/10/2010),
San Cipriano Picentino (delibera n. 61 del
3/12/2010), San Giovanni a Piro (delibera n.
31 del 24/11/2010), San Marzano sul Sarno
(delibera n. 39 del 7/10/2010), Santa Marina
(delibera n. 33 del 2/10/2010), Sant’Angelo
a Fasanella (delibera n. 31 del 30/11/2010),
Sarno (delibera n. 45 del 25/10/2010), Scafati (delibera n. 57 del 19/11/2010), Scala
(delibera n. 31 del 30/11/2010), Sessa Cilento (delibera n. 31 del 30/09/2010), Tramonti
(delibera n. 37 del 27/10/2010), Valva (delibera n. 10 del 2/10/2010), Vibonati (delibera n. 27 del 6/10/2010) , di voler promuovere una richiesta di referendum, previsto
dall’art. 132 della Costituzione, sul seguente quesito:
“Volete voi che il territorio della Provincia
di Salerno sia separato dalla Regione Campania per formare una Regione a sé stante
denominata “Principato di Salerno”?
Il prof. avv. Francesco Fasolino e l’avv. Assunta Torino dichiarano di eleggere domicilio in Roma - Via Ennio Quirino Visconti
n. 99, presso lo studio Capecelatro - Palma
telefono 06/68134555.
DECRETO LEGISLATIVO
13 dicembre 2010, n. 212
Abrogazione di disposizioni
legislative statali, a norma
dell’articolo 14, comma 14-quater,
della legge 28 novembre 2005, n.
246.
(G.U. 15 dicembre 2010, n. 292, S.O.
n. 276/L )
DECRETO LEGISLATIVO
13 dicembre 2010, n. 213
Modifiche ed integrazioni al decreto
legislativo 1° dicembre 2009, n. 179,
recante disposizioni legislative statali
anteriori al 1° gennaio 1970, di cui si
ritiene indispensabile la permanenza
in vigore.
(G.U. 15 dicembre 2010, n. 292, S.O.
n. 276/L)
DECRETO LEGISLATIVO
26 novembre 2010, n. 216
Disposizioni in materia di
determinazione dei costi e dei
fabbisogni standard di Comuni, Città
metropolitane e Province.
(G.U. 17 dicembre 2010, n. 294)
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Annuncio di una richiesta
di referendum popolare.
(G.U. 17 dicembre 2010, n. 294)
Ai sensi dell’ articolo 7 della legge 25 maggio 1970 n. 352, si annuncia che la Cancelleria della Corte Suprema di Cassazione, in
data 16 dicembre 2010 ha raccolto a verbale e dato atto della dichiarazione resa
dal prof. avv. Francesco Fasolino e dall’avv.
Assunta Torino delegati dei comuni di: Albanella (delibera n. 35 del 30/09/2010), Alfano (delibera n. 26 del 1/10/2010), Altavilla Silentina (delibera n. 34 del 29/09/2010),
di Aquara (delibera n. 30 del 29/09/2010),
LEGGE
17 dicembre 2010, n. 217
Conversione in legge, con
modificazioni, del decreto-legge
12 novembre 2010, n. 187, recante
misure urgenti in materia di
sicurezza.
(G.U. 18 dicembre 2010, n. 295)
DECRETO-LEGGE
29 dicembre 2010, n. 225
Proroga di termini previsti da
disposizioni legislative e di interventi
urgenti in materia tributaria e di
sostegno alle imprese e alle famiglie.
(G.U. 29 dicembre 2010, n. 303)
DECRETO PRESIDENTE DEL
CONSIGLIO DEI MINISTRI
30 novembre 2010
Programmazione transitoria dei
flussi d’ingresso dei lavoratori
extracomunitari non stagionali nel
territorio dello Stato, per l’anno 2010.
(G.U. 31 dicembre 2010, n. 305)
CIRCOLARE MINISTERO
DELL’INTERNO, DIPARTIMENTO PER
GLI AFFARI INTERNI
E TERRITORIALI
5 novembre 2010, n. 31,
prot. n. 0012824
AIRE – Sedi diplomatico consolari
soppresse.
Il Ministero degli affari esteri, con nota del
4 ottobre 2010 ha segnalato che da parte
delle Prefetture, continuano ad essere trasmessi messaggi, tramite “patra”, indirizzati a sedi diplomatico consolari da tempo
soppresse.
Pertanto, al fine di normalizzare lo scambio documentaIe e per evitare disservizi
a carico dei connazionali all’estero, si richiama l’attenzione delle S.S.L.L. in merito
all’elenco allegato, contenente l’indicazione delle sedi diplomatico consolari soppresse negli ultimi anni e degli Uffici
Consolari che ne hanno assunto le rispettive competenze.
Tale elenco dovrà essere portato a conoscenza anche delle amministrazioni comunali.
Elendo sedi soppresse
› Bastia Cons competenze a Marsiglia Cons
Gen
› Bedford Vice Cons competenze a Londra
Cons Gen
I SERVIZI DEMOGRAFICI 1.2 2011 ■ LEGISLAZIONE E ATTI UFFICIALI
› Chambery Cons competenze a Lione Cons
Gen
› Coira Agenzia Cons competenze a San Gallo
Cons
› Durban Cons competenze a Johannesburg
Cons Gen
› Edmonton Cons competenze a Vancouver
Cons Gen
› Esch Sur Alzette Cons competenze a Lussemburgo Amb
› Genk agenzia Cons competenze a Bruxelles
Cancellerla Cons
› Innsbruck Cons Gen competenze a Vienna
Cancellerla Cons
› Lipsia Cons Gen competenze a Berlino Amb
› Mannheim Agenzia Cons competenze a Stoccarda Cons Gen
› Mulhouse Cons competenze a Metz Cons
Gen
› Norimberga Cons competenze a Monaco di
Baviera Cons Gen
› Saarbrucken Cons competenze a Francoforte
Sul Meno Cons Gen
› Windhoek Amb competenze a Pretoria Amb
CIRCOLARE MINISTERO
DELL’INTERNO, DIPARTIMENTO PER
GLI AFFARI INTERNI
E TERRITORIALI
10 novembre 2010, n. 32,
prot. n. 0013084
Sistema INA-SAIA. Dismissione
software PC-CSA-tracciato JJ+.
CIRCOLARE URGENTISSIMA
MINISTERO DELL’INTERNO,
DIPARTIMENTO PER GLI AFFARI
INTERNI E TERRITORIALI
10 novembre 2010, n. 33,
prot. n. 0013095
AIRE – Elenco unico aggiornato al 31
dicembre 2010.
Il Ministero degli affari esteri ha concordato con la scrivente l’aggiornamento
dell’Elenco unico degli italiani residenti
all’estero.
A tale scopo si invitano le SS.LL, anche in considerazione dell’imminente
censimento dei connazionali residenti
all’estero, che verrà gestito dal Ministero
degli affari esteri, a voler attentamente
vigilare sulla regolare tenuta ed aggiornamento delle anagrafI degli italiani
residenti all’estero e a voler verificare
che tutti i comuni inviino i propri dati –
entro il prossimo 31 dicembre – all’Aire
centrale, per consentire l’allineamento
informatico con i dati del Ministero degli
affari esteri e la predisposizione del citato elenco aggiornato.
Si prega, inoltre, di voler rammentare ai
signori sindaci l’obbligo dell’invio settimanale degli archivi informatici comunali
– come indicato nella circolare n. 34 del 26
giugno 2007 – anche qualora il comune interessato non abbia iscritti.
Con l’occasione, si prega di voler sensibilizzare i comuni affinchè rispondano tempestivamente alle comunicazioni degli uffici
consolari, al fine di evitare disallineamenti
tra i dati degli archivi comunali e gli schedari consolari.
Al fine di evitare una sottostima dei dati
che saranno contenuti nel prossimo elenco aggiornato, con una ricaduta negativa
sulla veridicità dello stesso, si invitano i signori sindaci a voler verificare l’esattezza e
la completezza di tutti i dati presenti nelle
singole AIRE comunali e a voler "bonificare" le posizioni scartate dall’Aire centrale a
causa dei controlli informatici di coerenza
e completezza delle stesse.
A tale riguardo si rammenta che i nominativi scartati dall’Aire centrale a causa dei
controlli informatici di completezza e di
coerenza logico-formale e sui dati essenziali richiesti, dovranno essere verificati con i
dati anagrafici e di stato civile in possesso
dei comuni stessi, nonché con i codici consolari aggiornati messi a disposizione sul sito.
Qualora vengano riscontrate nelle AIRE
comunali posizioni totalmente incomplete, ovvero prive di dati fondamentali per
l’esatta identificazione e reperimento
dei relativi cittadini (ad esempio mancanti della data di nascita, del luogo di
nascita – inteso come comune italiano o
come località più territorio/Stato estero
– di Ufficio consolare , di Stato/territorio
di residenza o contenenti un indirizzo
carente di elementi essenziali), i comuni
dovranno provvedere alla cancellazione
delle relative posizioni per irreperibilità
presunta, dandone comunicazione, qualora conosciuti, all’ultimo Ufficio consolare e all’ultimo indirizzo dell’interessato.
Con l’occasione si invitano le SS.LL. a voler
anche verificare l’avvenuta cancellazione
delle posizioni duplicate.
Si fa, inoltre, presente che gli ufficiali di
anagrafe dovranno provvedere alla cancellazione degli iscritti Aire che risultino, alla
data del 31 dicembre p. v., ultracentenari
e per i quali non sia stata fornita, tramite
gli Uffici consolari, la prova dell’esistenza
in vita.
Si sottolinea, infine, la necessità del corretto utilizzo, nella trasmissione dei dati richiesti, del campo relativo al diritto di voto
(elettore, non iscritto nelle liste elettorali,
perdita del diritto di voto).
Le SS.LL. sono anche pregate di voler valutare, unitamente alle singole amministrazioni comunali, gli interventi organizzativi
necessari per risolvere eventuali situazioni di "arretrato", sia a livello anagrafico
(mancato inserimento nell’anagrafe comunale di modelli Cons 01 di iscrizione e variazione, così come mancata cancellazione
di posizioni per avvenuto decesso, rimpatrio, ecc.) che a livello di trascrizione degli
arti di stato civile.
61
CIRCOLARE MINISTERO
DELL’INTERNO, MINISTERO
DEL LAVORO E DELLE POLITICHE
SOCIALI, MINISTERO
DELLA SALUTE
19 novembre 2010
Registri per la raccolta
delle dichiarazioni anticipate
di trattamento.
Sono pervenute a questi Ministeri alcune
richieste di parere, formulate dai comuni,
relativamente alla possibilità che gli stessi
possano istituire appositi registri destinati
alla raccolta delle dichiarazioni anticipate
di volontà, per i trattamenti medici che ciascun cittadino intenda ricevere o rifiutare
nelle situazioni in cui perda la capacità di
esprimere una propria volontà.
In linea generale, occorre considerare che
la materia del “fine vita” rientra nell’esclusiva competenza del legislatore nazionale
e non risulta da questi regolata. L’intervento del comune in questi ambiti appare
pertanto esorbitante rispetto alle competenze proprie dell’ente locale e si traduce
in provvedimenti privi di effetti giuridici.
I registri istituiti presso pubbliche amministrazioni rispondono alla preminente
finalità di attribuire certezza giuridica a
specifiche situazioni (provenienza e data
di deposito di un determinato documento,
dati identificativi di una persona, ecc.).
Il compito di disciplinare la materia delle
certezze giuridiche, implicando rilevanti
effetti che possono anche condizionare
l’esercizio di diritti fondamentali, è sempre
stato riservato allo Stato, al quale spetta
di stabilire quali siano gli effetti probatori
degli atti conservati da pubblici ufficiali (si
vedano, ad esempio, gli articoli da 449 a
455 del codice civile per quanto riguarda
gli atti di stato civile).
Tale attribuzione è stata confermata
dall’articolo 117 della Costituzione, il quale assegna alla competenza legislativa
esclusiva dello Stato in via generale l’ordinamento civile e specificatamente le materie, tra l’altro, di stato civile e anagrafi.
In questo settore il comune, secondo quanto previsto dall’articolo 14 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 gestisce, per conto dello
Stato e tramite il sindaco, nella sua qualità
di ufficiale di governo, solo i servizi elettorali, di stato civile e di anagrafe. Viene poi
precisato dall’ultimo comma di detto articolo che “ulteriori funzioni amministrative
per servizi di competenza statale possono
essere affidate ai comuni dalla legge che
regola anche i relativi rapporti finanziari,
assicurando le risorse necessarie”.
Come sopra già evidenziato nessuna norma di legge abilita il comune a gestire il
servizio relativo alle dichiarazioni anticipate di trattamento.
In tali materie una legge dello Stato è poi
62
I SERVIZI DEMOGRAFICI 1.2 2011 ■ LEGISLAZIONE E ATTI UFFICIALI
particolarmente necessaria perché vengono implicate anche altre materie come la
tutela della salute, della famiglia e della
privacy, nell’ambito delle quali il comune
non può certamente agire in assenza di
una disciplina statale che ponga principi
e definisca la competenze di vari soggetti
pubblici coinvolti.
Inoltre, lo stesso articolo 117 della Costituzione, al comma secondo, lett. p), riconosce la legislazione esclusiva dello Stato
in materia di legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di
comuni, province e città metropolitane.
In questa prospettiva risulta evidente che
le funzioni amministrative attinenti alle
dichiarazioni anticipate di volontà, che investono la sfera personale dell’individuo,
sono materie riservate alla competenza
del legislatore nazionale.
Pertanto, alla luce delle predette considerazioni, non si rinvengono elementi idonei a
ritenere legittime le iniziative volte alla introduzione dei registri per le dichiarazioni
anticipate di trattamento. In tale quadro si
potrebbe, anzi, ipotizzare, nel caso in cui si
intenda dar comunque corso ad iniziative
del genere, un uso distorto di risorse umane
e finanziarie, con eventuali possibili responsabilità di chi se ne sia fatto promotore.
sima ragione ispiratrice consistente nella
necessità di fornire al cittadino un servizio
celere ed efficiente”.
Del resto, è altresì precisato nel parere, “seppure in un ambito riguardante il
mero rapporto di lavoro, tale fattispecie
è espressamente prevista dall’art. 14 del
CCNL del comparto enti locali, del 22 gennaio 2004”.
CIRCOLARE MINISTERO
DELL’INTERNO, DIPARTIMENTO
PER GLI AFFARI INTERNI
E TERRITORIALI
29 novembre 2010, n. 34,
prot. n. 0014204
Delega di funzioni di ufficiale di
anagrafe e di stato civile a personale
dipendente da comune diverso da
quello di appartenenza del sindaco
delegante.
A seguito di taluni quesiti pervenuti, è stato chiesto il parere del Consiglio di Stato
sulla possibilità di delegare le funzioni di
ufficiale di anagrafe e di stato civile a personale dipendente da un comune diverso
da quello di appartenenza del sindaco, ed
assegnato a questo ultimo in forza di una
convenzione sottoscritta tra gli enti interessati.
Al riguardo, si informa che con l’unito parere il Consiglio di Stato, sez. I, ha espresso
l’avviso che ll’ipotesi descritta possano applicarsi in via analogica le norme contenute nel d.P.R. n. 79/2009, le quali prevedono
l’estensione delle deleghe in questione a
personale non di ruolo del comune.
A tale proposito, il citato alto consesso ha
evidenziato infatti che "tra le due ipotesi –
attribuzione della delega al personale non
di ruolo del comune e attribuzione della
delega a dipendenti di altro comune, in
forza di convenzione – sussiste la mede-
CIRCOLARE MINISTERO
DELLA DIFESA, CENTRO
DOCUMENTALE DI ANCONA
4 novembre 2010,
prot. n. 4493
Formazione ed invio delle liste
di leva della classe 1994.
lista (daInviare anche se negativo);
AlI. ”E” elenco, in ordine alfabetico,
dei giovani in possesso della
doppia cittadinanza italofrancese, con giorno, mese,
anno, località di nascita e numero di lista (da inviare anche
se negativo);
All. ”F” verbale di consegna, al capo
dell’Ufficio comunale di leva,
dei seguenti elenchi, compilati
in ordine alfabetico:
› giovani che risultano deceduti;
› giovani che risultano iscritti
in altri comuni per ragioni
di domicilio;
› giovani cancellati perché
iscritti di età presunta o di
sesso femminile. I suddetti
elenchi vanno compilati,
anche se negativi, apponendo, in tal caso, la dicitura ”NEGATIVO”.
Si ricorda che, dopo l’ultimo iscritto, va
inserita, su entrambi gli esemplari della
lista di leva, la dichiarazione di chiusura
in data 31 marzo, a firma del Sindaco e,
a seguire, lasciati un congruo numero
di pagine in bianco per eventuali aggiunte.
b) Qualora si volesse utilizzare anche il
supporto informatico, i dati contenuti nella lista di leva (completi anche di
indirizzo) dovranno essere inseriti utilizzando l’applicazione Access (versione
2003 o precedenti) secondo il report
allegato alla presente. Il file, completo
di tutti i nominativi presenti nella lista
di leva compresi eventuali aggiunti, dovrà essere memorizzato su floppy disk
o cd-rom (no dvd) e consegnato secondo le modalità di cui al successivo par.
4 o inviato mediante posta elettronica
all’indirizzo [email protected].
4. La documentazione di cui sopra dovrà
essere inviata per posta a questo Centro
Documentale, oppure consegnata a mano
previo appuntamento telefonico al n.
071/2074770 int. 0310 (Sig. Enrico Trillini
e/o Sig. Luca Mariani) tassativamente entro e non oltre il 10 aprile 2011.
5. Si prega voler accusare ricevuta e contestualmente fornire un cortese cenno di
assicurazione.
l. Com’è noto, il d.lgs. 15 marzo 2010
n. 66, entrato in vigore il 9 ottobre 2010,
stabilisce, al libro VIII, artt. 1931 e seguenti, le competenze in materia di formazione, gestione e consultazione delle liste di
leva attribuite a codeste amministrazioni
comunali.
2. In tale cornice, lo stesso art. 1931 del citato decreto prevede che le liste comunali
di leva siano gestite in modo tale da consentire l’accesso all’amministrazione della
difesa senza ulteriori aggravi per la finanza pubblica. Pertanto, per dare la dovuta
attuazione alla volontà della legge, occorre mantenere la continuità del flusso delle
liste di leva tra le amministrazioni comunali e gli organi del Ministero della difesa.
3. Ciò premesso, codesto comune è pregato di voler trasmettere a questo centro
documentale la lista di leva relativa alla
classe 1994, formata ed aggiornata secondo le modalità stabilite dal citato codice,
osservando le seguenti modalità:
a) la lista di leva, redatta in duplice copia
autentica in forma cartacea su stampato conforme al prescritto modello
DEI0509 ”Modulario Esercito”, dovrà
pervenire,in unico esemplare, già rilegata e completa dei seguenti allegati:
All. ”B” certificato di avvenuta pubblicazione dell’elenco dei giovani iscritti, dal 1° febbraio e
per quindici giorni consecutivi,
nell’Albo Pretorio del comune
interessato;
All. ”C” elenco, in ordine alfabetico,
dei giovani iscritti, con giorno,
CIRCOLARE MINISTERO
mese, anno, località di nascita
DELL’INTERNO, DIPARTIMENTO PER
e numero di lista;
GLI AFFARI INTERNI
All. ”D” elenco, in ordine alfabetico,
dei giovani iscritti nati e resiE TERRITORIALI
denti all’estero oppure emi13 dicembre 2010, n. 35,
grati prima del compimento
prot. n. 0014866
del 17 anno di età, con giorno,
Trascrizione
atti relativi a cittadini
mese, anno, località di nascita,
italiani
provenienti
dalla Repubblica
nonché indirizzo all’estero,
data di espatrio e numero di di San Salvador.
63
I SERVIZI DEMOGRAFICI 1.2 2011 ■ LEGISLAZIONE E ATTI UFFICIALI
L’Ambasciata d’Italia in San Salvador ha
lamentato che diversi comuni italiani non
trascrivono con tempestività gli atti dello stato civile relativa soggetti ai quali è
stata riconosciuta la cittadinanza italiana.
Pertanto si rappresenta alle SS.LL. l’opportunità di richiamare l’attenzione dei Sigg.
Sindaci sulla necessità di adottare tutte le
misure atte ad assicurare che la trascrizione e l’aggiornamento degli atti dello stato
civile, anche con riguardo a quelli trasmessi dalle autorità consolari italiane all’estero, avvenga in tempi brevi, evidenziando
alla loro attenzione che il ritardo nella
registrazione degli atti può comportare
per gli interessati conseguenze dannose
connesse all’esercizio dei diritti inerenti
allo status di cittadino. Si pregano inoltre
le SS.LL., nell’ambito della funzione di vigilanza assicurata in materia dello stato
civile, di voler sensibilizzare i comuni interessati all’attivazione anche di opportune
iniziative volte a consentire il progressivo
superamento dell’eventuale arretrato da
smaltire, qualora giacente presso gli stessi.
CIRCOLARE MINISTERO
DELL’INTERNO, DIPARTIMENTO PER
GLI AFFARI INTERNI
E TERRITORIALI
17 dicembre 2010, n. 36,
prot. n. 0015531
Artt. 1, comma 3 e 4 del d.P.R.
n. 396/2000 – Corsi di abilitazione per
Ufficiali di stato civile con anzianità
superiore a 5 anni nelle funzioni.
L’attività di formazione in oggetto, sviluppata nel corso del 2010 in diverse province,
ha fornito un quadro conoscitivo in merito
alle esigenze evidenziate nella realizzazione dei corsi, grazie alle dettagliate relazioni inviate dalle Prefetture interessate.
Dovendo programmare gli interventi formativi da svolgersi nel 2011, si ritiene opportuno disporre tempestivamente dei dati
relativi alle necessità abilitative esistenti sul
territorio, attraverso la rilevazione del numero dei dipendenti comunali con anzianità di servizio nelle funzioni di Ufficiale di
stato civile superiore ai 5 anni e che non
hanno ancora conseguito il diploma di abilitazione al termine dell’apposito corso,
obbligatoriamente prescritto dall’art. 1,
comma 3, del d.P.R. n. 396/2000.
Si pregano pertanto le SS.LL. di voler inviare a questa Direzione Centrale, entro il 31
gennaio 2011, la comunicazione relativa al
numero degli Ufficiali di stato civile che devono ancora acquisire l’abilitazione, unitamente alle proprie proposte in merito alla
organizzazione del corso.
Nel richiamare l’importanza dell’acquisizione delle suindicate informazioni entro il
citato termine al fine di ottimizzare l’attività di formazione, si pregano altresì le SS.LL.
di voler rammentare agli interessati che
presso l’Accademia degli Ufficiali di Stato
Civile, Anagrafe ed Elettorale proseguono
i corsi per il conseguimento della abilitazione professionale per gli Ufficiali di stato
civile con anzianità inferiore ai 5 anni e per
la formazione degli Ufficiali di anagrafe.
Ulteriori chiarimenti potranno essere richiesti all’indirizzo di posta elettronica
[email protected] o [email protected] o ai numeri telefonici 06 46527179 o 06 46525187.
Circolare Ministero
dell’interno
5 gennaio 2011, n. 1,
prot. n. 28
Pubblicazioni di matrimonio e
affissioni relative alle istanze di
modifica del nome o del cognome
da parte delle amministrazioni
comunali sui propri siti informatici.
Circolari n. 29 del 15 dicembre
2009, n. 1 del 13 gennaio 2010 e
n. 18 del 10 giugno 2010
Si fa seguito alle precedenti circolari di questa Direzione centrale, richiamate in oggetto,
relative agli avvisi da effettuare on line degli
atti di stato civile di cui all’art. 32 della legge 18 giugno 2009, n. 69, premettendo che,
come noto, per le pubblicazioni di matrimonio e per l’avviso contenente il sunto della
domanda di modifica del nome o del cognome non sono stati disposti rinvii nel recente
decreto legge di proroga termini. Pertanto, a
far data dal 1° gennaio 2011, le pubblicazioni
di matrimonio e l’avviso contenente il sunto
delle domande di cambiamento del nome o
del cognome, curati da parte delle amministrazioni comunali, dovranno avvenire solo ed
esclusivamente nei siti informatici di ciascun
comune. All’uopo si richiamano in particolare
le direttive emesse nella citata circolare n. 29
del 15 dicembre 2009 con riguardo alla cura
richiesta a ciascun comune di ”assicurare che
i predetti avvisi siano riportati in una sezione
del proprio sito web chiaramente accessibile
al pubblico”, e che ”nell’atto così pubblicato
dovrà essere indicato l’adempimento degli
eventuali obblighi fiscali da parte dell’utente,
previsti dalla legge”.
”Resta fermo quanto previsto dall’art. 57, comma 2, del d.P.R. n. 396/2000 relativamente alla
necessità di archiviare l’attestazione relativa alla
esecuzione delle pubblicazioni di matrimonio
e alla mancanza di opposizioni, nonché quanto previsto dall’art. 86, comma 1, e dall’art. 90,
secondo capoverso, di cui al citato d.P.R. n. 396,
circa la necessità di una relazione che attesti l’avvenuta affissione della domanda di cambiamento del nome o del cognome.
Circolare Ministero
dell’interno
17 gennaio 2011, n. 2,
prot. n.558
Modulistica del matrimonio
concordatario e annotazione della
scelta del regime patrimoniale dei
coniugi.
Si rappresenta che la Conferenza episcopale Italiana - Ufficio nazionale per i problemi giuridici, dando seguito alla circolare di
questa Direzione centrale n. 8 del 15 marzo
2010, ha provveduto a fornire indicazioni
alle autorità ecclesiastiche in ordine alla
dichiarazione da apporre in calce all’atto
di matrimonio celebrato in forma canonica
con effetti civili, nel caso in cui almeno uno
degli sposi sia cittadino straniero o risieda
all’estero, e i due abbiano convenuto di optare per il regime patrimoniale dello Stato
estero, ai sensi dell’art. 30, comma 1, della
legge 31 maggio 1995, n. 218.
La citata C.E.I. ha comunicato, altresì, che
sono stati all’uopo aggiornati i formulari
dei moduli da utilizzare per la redazione
dell’atto di matrimonio concordatario e
per la trasmissione all’ufficiale dello stato
civile.
Detti moduli, che si trasmettono in allegato alla presente circolare, sono disponibili,
come informato dalla predetta autorità
ecclesiastica, anche sul sito internet www.
chiesacattolica.it/giuridico.
Ciò precisato, si pregano le SS.LL. di voler
informare i Sigg. Sindaci di quanto sopra
esposto e si ringrazia per la consueta e fattiva collaborazione.
(Si omettono gli allegati).
CIRCOLARE SEFIT
1° dicembre 2010, n. 2603*
Fasce di rispetto cimiteriale –
Ricognizione della normativa
anche alla luce di recenti sentenze
giurisprudenziali.
* Il testo integrale della circolare è pubblicato nella newsletter “Demograficamente parlando” n.
23 del 16 dicembre 2010.
CIRCOLARE SEFIT
1° dicembre 2010, n. 2604*
Segnalazione AS 772 dell’Autorità
Garante per la Concorrenza ed
il Mercato del 2 novembre 2010,
nonché Corte Costituzionale,
sent. n. 325 del 17 novembre 2010.
* Il testo integrale della circolare è pubblicato nella newsletter “Demograficamente parlando” n.
23 del 16 dicembre 2010.