Vaccaro Convegno escuzioni 27 nov 2015 Castelvetrano

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Vaccaro Convegno escuzioni 27 nov 2015 Castelvetrano
NOVITA’
1)
LEGISLATIVE
Decreto legge 132/2014, conv. nella L. 162/2014 «Misure urgenti di
degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell'arretrato in
materia di processo civile» CAPO V - ALTRE DISPOSIZIONI PER LA TUTELA DEL CREDITO NONCHE’
PER LA SEMPLIFICAZIONE E L’ACCELERAZIONE DEL PROCESSO DI ESECUZIONE FORZATA E DELLE
PROCEDURE
CONCORSUALI
2) D.L. 27 giugno 2015, n. 83, recante "Misure urgenti in materia fallimentare, civile e
processuale civile e di organizzazione e funzionamento dell'amministrazione giudiziaria",
convertito con modificazioni dalla L. 6 agosto 2015, n. 132.
Prima riforma (2014)
Iscrizione a ruolo del processo esecutivo per espropriazione (per i
pignoramenti notificati a far data dal 10.12.2014)
• l'articolo 518, sesto comma, e' sostituito dal seguente:
• «Compiute le operazioni, l'ufficiale giudiziario consegna senza
ritardo al creditore il processo verbale, il titolo esecutivo e il
precetto. Il creditore deve depositare nella cancelleria del tribunale
competente per l'esecuzione la nota di iscrizione a ruolo, con copie
conformi degli atti di cui al periodo precedente, entro quindici
giorni dalla consegna. La conformita' di tali copie e' attestata
dall'avvocato del creditore ai soli fini del presente articolo. Il
cancelliere al momento del deposito forma il fascicolo
dell'esecuzione. ..Il pignoramento perde efficacia quando la nota di
iscrizione a ruolo e le copie degli atti di cui al primo periodo del
presente comma sono depositate oltre il termine di quindici giorni
dalla consegna al creditore.»
Nuovo art. 557 PIGNOR IMMOB
Art. 557.
Art. 557
Articolo così sostituito dall’art. 18, co. 1, lett. c), d.l. 132/14
La disposizione si applica – ai sensi del co. 3 del
(Deposito dell’atto di pignoramento).
medesimo art. 18 – a decorrere dal 30° giorno
L’ufficiale giudiziario che ha eseguito il pignoramento deve successivo a quello di entrata in vigore della legge di
depositare immediatamente nella cancelleria del tribunale
conversione del d.l. (Si applica ai pignoramenti
competente per l’esecuzione l’atto di pignoramento e, appena
notificati successivamente al 10.12.2014).
possibile, la nota di trascrizione restituitagli dal conservatore
(Deposito dell’atto di pignoramento).
dei registri immobiliari.
[1]
Il creditore pignorante deve depositare il titolo esecutivo e il
precetto entro dieci giorni dal pignoramento e, nell’ipotesi di
cui all’articolo 555 ultimo comma, la nota di trascrizione
appena restituitagli dal conservatore dei registri immobiliari.
Il cancelliere al momento del deposito dell’atto
pignoramento forma il fascicolo dell’esecuzione.
di
Eseguita l’ultima notificazione, l’ufficiale giudiziario consegna
senza ritardo al creditore l’atto di pignoramento e la nota di
trascrizione restituitagli dal conservatore dei registri
immobiliari.
Il creditore deve depositare nella cancelleria del tribunale
competente per l’esecuzione la nota di iscrizione a ruolo, con
copie conformi del titolo esecutivo, del precetto, dell’atto di
pignoramento e della nota di trascrizione entro quindici giorni
dalla consegna dell’atto di pignoramento. Nell’ipotesi di cui
all’articolo 555, ultimo comma, il creditore deve depositare la
nota di trascrizione appena restituitagli dal conservatore dei
registri immobiliari.
Il cancelliere forma il fascicolo dell’esecuzione. Il pignoramento
perde efficacia quando la nota di iscrizione a ruolo e le copie
dell’atto di pignoramento, del titolo esecutivo e del precetto
sono depositate oltre il termine di quindici giorni dalla
consegna al creditore.
164 ter disp att c.p.c.
• Art. 164-ter.
• (Inefficacia del pignoramento per mancato deposito della nota di
iscrizione a ruolo)
• Quando il pignoramento è divenuto inefficace per mancato
deposito della nota di iscrizione a ruolo nel termine stabilito, il
creditore entro cinque giorni dalla scadenza del termine ne fa
dichiarazione al debitore e all’eventuale terzo, mediante atto
notificato. In ogni caso ogni obbligo del debitore e del terzo cessa
quando la nota di iscrizione a ruolo non è stata depositata nei
termini di legge.
• La cancellazione della trascrizione del pignoramento si esegue
quando è ordinata giudizialmente ovvero quando il creditore
pignorante dichiara, nelle forme richieste dalla legge, che il
pignoramento è divenuto inefficace per mancato deposito della
nota di iscrizione a ruolo nel termine stabilito.».
164 bis disp att c.p.c.
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Già la riforma del processo esecutivo del 2005 aveva preso espressamente in
considerazione l’ipotesi di insufficienza dei beni pignorati alla soddisfazione del
credito (art. 492 comma 4° c.p.c.), imponendo all’ufficiale giudiziario di invitare il
debitore ad indicare ulteriori beni utilmente pignorabili (analogo invito può essere
rivolto dal creditore procedente a seguito dell’intervento di altri creditori).
La ratio della norma discendeva dalla volontà del legislatore di evitare processi
esecutivi inutili (perché insoddisfacenti per il creditore) e/o di lunga durata
(analoga intenzione si rinviene negli artt. 42, 3° co., 102 e 104-ter L.F.).
In tal senso è stato introdotto l’art. 164 bis disp. att. c.p.c. (ex D.L. 12 settembre
2014, n. 132 conv. nella Legge 10 novembre 2014, n. 162.), entrato in vigore
l’11.11.2014 ed applicabile, per espressa previsione, alle procedure esecutive in
corso, rubricato “Infruttuosità dell’espropriazione forzata”, a mente del quale:
“ quando risulta che non è più possibile conseguire un ragionevole
soddisfacimento delle pretese dei creditori, anche tenuto conto dei costi necessari
per la prosecuzione della procedura, delle probabilità di liquidazione del bene e
del presumibile valore di realizzo, è disposta la chiusura anticipata del processo
esecutivo”.
INTERPRETAZIONE.
ANTE RIFORMA
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In passato, in mancanza di una disciplina normativa che regolasse l’ipotesi di inutile protrarsi della procedura esecutiva a seguito di
successivi plurimi esperimenti di vendita a prezzi irrisori, la giurisprudenza di merito aveva fatto ricorso alla cosiddetta “estinzione
atipica”, nei casi in cui il processo esecutivo non potesse raggiungere il proprio scopo tipico, individuato nel conseguimento di un
effettivo realizzo e nel soddisfacimento, quantomeno parziale, del credito azionato (cosiddetta “estinzione atipica incolpevole”: cfr.
Tribunale di Salerno, 6 giugno 2002 n. 1799, in un’ipotesi di opposizione agli atti esecutivi avverso un’ordinanza di estinzione del
processo esecutivo, “per impossibilità del medesimo di conseguire alcun risultato”), facendo leva sul principio costituzionale di
ragionevole durata del processo civile (art. 111 Cost.).
Tuttavia la Suprema Corte aveva disatteso tale orientamento, enunciando un principio di diritto secondo il quale “Nell'attuale disciplina
normativa dell'esecuzione forzata vige il principio della tassatività delle ipotesi di estinzione del processo esecutivo e,
conseguentemente, non è legittimo un provvedimento di c.d. estinzione atipica fondato sulla improseguibilità per "stallo" della
procedura di vendita forzata e, quindi, sulla inutilità o non economicità sopravvenuta del processo esecutivo. (Cass. Sez. 3, Sentenza
n. 27148 del 19/12/2006. Sulla base di tale principio la S.C. ha accolto il ricorso avverso la sentenza n. 2550/03 del Tribunale di
SALERNO, con la quale era stata rigettata l'opposizione agli atti esecutivi)
Con l’introduzione dell’art. 164 bis disp. att. c.p.c., pertanto, il legislatore ha recepito l’orientamento espresso da parte della
giurisprudenza di merito, e disatteso dalla Suprema Corte, che l’aveva ritenuto meritevole di considerazione solo de iure condendo,
introducendo una fattispecie tipica di chiusura anticipata dell’esecuzione forzata per impossibilità della stessa di raggiungimento del suo
scopo. Si è pertanto in presenza di un’ipotesi “tipica” di estinzione “atipica” della procedura esecutiva.
Cfr. Cass. n. 27148 del 19/12/2006, in motivazione: “Un provvedimento di improseguibilità per "stallo" nelle procedure di vendita
forzata per inutilità o non economicità sopravvenuta del processo esecutivo (la cui teorica ammissibilità deriverebbe dalla stessa
costruzione sistematica dei rimedi precisati dalla decisione di questa Corte n. 6391 del 2004) non può essere considerato legittimo alla
luce della vigente normativa. Il fondamento della estinzione atipica è ravvisato dal Giudice della esecuzione in una serie di
considerazioni, fondate sul principio costituzionale della ragionevole durata del processo (art. 111 Cost.) e sulle responsabilità che
derivano alla giurisdizione dalla gestione di processi eccessivamente lunghi, con ricadute anche economiche sull'erario e in definitiva
sulla collettività. Gli argomenti esposti nella ordinanza impugnata hanno il loro pregio e potrebbero essere condivisi "de iure
condendo" in un quadro generale della giurisdizione e nella prospettiva della ricerca di strumenti, anche endoprocessuali, di
sollecitazione e speditezza dei procedimenti.
QUANDO RICORRE?
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La relazione relativa al Disegno di legge di conversione del D.L. 12 settembre 2014, n. 132 nel dare atto
dell’introduzione di una “fattispecie di chiusura anticipata del processo esecutivo per infruttuosità (articolo
164-bis disp. att. del codice di procedura civile) quando risulta che non è più possibile conseguire un
ragionevole soddisfacimento delle pretese dei creditori, anche tenuto conto dei costi necessari per la
prosecuzione della procedura, delle probabilità di liquidazione del bene e del presumibile valore di
realizzo”, specifica che, con riferimento alla neo disciplinata fattispecie, “Il giudice dell'esecuzione sarà
chiamato a compiere una specifica valutazione (…) evitando che vadano avanti (con probabili pregiudizi
erariali anche a seguito di azioni risarcitorie per danno da irragionevole durata del processo) procedimenti
di esecuzione forzata pregiudizievoli per il debitore ma manifestamente non idonei a produrre il
soddisfacimento degli interessi dei creditori in quanto generatori di costi processuali più elevati del
concreto valore di realizzo degli asset patrimoniali pignorati”.
La relazione ha cura di precisare che l’ordinanza di chiusura anticipata per infruttuosità sarà impugnabile
nelle forme dell’opposizione agli atti esecutivi. Tuttavia tale indicazione non è stata trasfusa in una norma
di legge; si può solo ipotizzare che il legislatore abbia considerato la questione del rimedio esperibile
avverso il provvedimento di chiusura anticipata come un dato ormai acquisito, alla luce del citato
orientamento della Suprema Corte
Deve quindi essere escluso che la disposizione in esame costituisca strumento di contemperamento tra il
perseguimento dello scopo tipico dell’esecuzione forzata, dato dal soddisfacimento dei crediti fatti valere
nella procedura esecutiva, e l’interesse del debitore a non vedere “svenduto” il proprio bene rispetto ad
un ipotetico valore di mercato.
RATIO
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L’art. 164 bis disp. att. c.p.c. non può, infatti, essere interpretato come deroga al disposto dell’art. 2740
c.c., in base al quale il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti
e futuri. Al contrario, la chiusura anticipata del processo esecutivo per infruttuosità entra in
considerazione esclusivamente quando risulti che non è concretamente possibile, sulla base di un’attenta
valutazione di tutti gli elementi del caso concreto, il soddisfacimento dei crediti attraverso la vendita dei
beni pignorati e l’effettiva attuazione del disposto dell’art. 2740 c.c
L’interesse tutelato dalla norma deve pertanto essere individuato in quello dell’amministrazione della
giustizia ad evitare che proseguano sine die procedure esecutive inidonee a consentire il
soddisfacimento degli interessi dei creditori, con inutile dispendio di risorse. È stato infatti sottolineato
che il fondamento della novità normativa risiede nella considerazione della limitatezza della risorsa
processuale, che deve essere utilizzata in maniera tale da corrispondere ad un’utilità effettiva del
creditore. Ai fini dell’emissione del provvedimento di chiusura anticipata della procedura esecutiva,
l’inidoneità rispetto al perseguimento dello scopo tipico, e la conseguente inutilità, deve apparire
“manifesta” (cfr. ancora la relazione al DDL di conversione del D.L. n. 132 del 2014).
Così Bruno Capponi, Il G.E. e la tutela del debitore, in corso di pubblicazione in Rivista di Diritto
Processuale (per gentile concessione dell’Autore), che specifica che “solo in vista di simile realizzazione
risulterà tollerabile l’intrinseca afflittività in danno del debitore” .
È innegabile che l’emissione di un’ordinanza di chiusura anticipata della procedura per infruttuosità
corrisponda anche ad un interesse dell’esecutato, che ottiene il risultato di sottrarre il bene all’esecuzione
forzata. Tuttavia tale interesse non è oggetto di tutela e non assume rilievo in sé, ma viene indirettamente – a coincidere con l’interesse dell’amministrazione della giustizia, nel solo caso in cui il
sacrificio imposto al soggetto passivo dell’esecuzione risulti vano rispetto al raggiungimento dello scopo.
QUALIFICAZIONE GIURIDICA
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Vi è sostanziale accordo, tanto in dottrina quanto in giurisprudenza, in ordine alla qualificazione del
provvedimento di chiusura anticipata del processo esecutivo per infruttuosità, in termini di cosiddetta
“estinzione atipica” (Cfr. Anna Maria SOLDI, Manuale dell’esecuzione forzata, Cedam. 2015, pag. 1834)
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Si tratta pertanto di un’ipotesi, legislativamente prevista, di quei provvedimenti di “chiusura anticipata del
processo esecutivo” già contemplati in via generale dall’art. 187 bis disp. att. c.p.c.
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Ne discende che il regime di impugnazione avverso il provvedimento di chiusura anticipata deve essere
effettivamente individuato – come indicato nella relazione al disegno di legge di conversione del D.L. n. 132 del
2014 - nell’opposizione prevista dall’art. 617 c.p.c. e non nel reclamo al collegio previsto dall’art. 630 comma III
c.p.c.. In questo senso si è infatti orientata, senza incertezze, la giurisprudenza di merito che si è occupata del
tema.
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Cfr. Tribunale di Bari, sentenza n. 3481/2015 del 24.7.2015 nel giudizio RG 8584/2015 (Presidente R. Pasculli, Relatore A. Ruffino): “(…) sul piano logico-sistematico
deve osservarsi che, dato il principio di tassatività delle ipotesi di estinzione del processo esecutivo (Cass. n. 27148/2006), il comune denominatore delle figure tipiche
dell’estinzione, come disciplinate dal codice di rito, deve rinvenirsi nel verificarsi di fatto “imputabile” ad una delle parti, ovvero il sopravvenuto difetto di interesse
all’esecuzione forzata (estinzione per rinuncia) o l’inadempimento di un onere di impulso o di presenza (estinzione per inattività qualificata o per mancata
comparizione reiterata all’udienza).
Tutt’altra è, all’evidenza, la ratio che presiede all’ipotesi di chiusura anticipata ex art. 164 bis disp. att. c.p.c., in cui l’esito anomalo o non fisiologico del processo
esecutivo dipende da un’impossibilità oggettiva (estranea cioè al contegno di parte) di proseguirlo, che viene valutata discrezionalmente dal giudice. La differente
ratio che governa le cause di estinzione e quelle di chiusura anticipata (o improseguibilità) del processo esecutivo, nei termini ora accennati, spiega coerente riflesso
sul piano degli effetti sostanziali, nel senso che, mentre nei casi di estinzione (tipica) si verifica il solo effetto interruttivo istantaneo della prescrizione del diritto,
risalente al primo atto del processo con il quale il creditore procedente o l’intervenuto hanno azionato esecutivamente il proprio diritto (art. 2945, co. 3, c.c.), nel caso
della chiusura anticipata per infruttuosità dell’espropriazione forzata, l’assenza di un fatto “proprio” del creditore causativo della fine del processo, determinata invece
da situazioni “esterne” discrezionalmente apprezzate dal G.E., deve indurre a riconoscere l'effetto sospensivo permanente della prescrizione.
Venendo infine al dato letterale della novella in esame, l’art. 164 bis disp. att. c.p.c. parla di “chiusura anticipata del processo esecutivo”, utilizzando un’espressione
che non solo è (e non può che intendersi consapevolmente) differente da quella che contrassegna l’istituto dell’estinzione ex artt. 629 ss. c.p.c. , ma replica l’identica
formula contenuta nell’art. 187 bis disp. att. c.p.c., in cui la “chiusura anticipata” viene espressamente distinta dalla “estinzione”, nell’ovvio presupposto logicogiuridico della loro ontologica alterità processuale.
In conclusione, deve ritenersi che il provvedimento del giudice dell’esecuzione che decide sull’istanza di chiusura anticipata del processo esecutivo, proposta ai sensi
dell’art. 164 bis c.p.c., può essere impugnato nelle forme dell’opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c. e non in quelle del reclamo al Collegio ex art. 630, ult. co.,
c.p.c.”. Sulla base di tali argomentazioni, il Tribunale ha dichiarato inammissibile il reclamo proposto avverso un provvedimento di rigetto di un’istanza di
“estinzione” della procedura ai sensi dell’art. 164 bis disp. att. c.p.c.).
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PRESCRIZIONE
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A differenza di quanto avviene in caso di estinzione tipica, prevista dagli articoli 629 – 632 del codice di procedura
civile, infatti, la chiusura anticipata della procedura non fa venire meno l’effetto sospensivo permanente della
prescrizione, connesso all’esercizio dell’azione esecutiva.
Cfr., in generale sul diverso regime della prescrizione, definito “dirimente”, nelle ipotesi estinzione tipica e chiusura
atipica dell’esecuzione Roberto BELLÉ, Estinzione, cit, pag. 442; cfr. inoltre Anna Maria SOLDI, Manuale, cit., pag.
1841 e ss; Barbara PERNA, Questioni aperte, cit.
In altri termini, mentre in caso di estinzione tipica trova applicazione, ai fini della prescrizione del credito posto
alla base dell’esecuzione, il disposto dell’art. 2945 comma III c.c., ai sensi del quale: “Se il processo si estingue,
rimane fermo l’effetto interruttivo e il nuovo periodo di prescrizione comincia dalla data dell’evento interruttivo”,
tale disposizione non trova applicazione ai casi di cosiddetta “estinzione atipica” dell’esecuzione.
In questo caso, infatti, viene in considerazione esclusivamente il secondo comma dell’art. 2945 c.c., ai sensi del
quale – per quanto qui interessa – l’atto di inizio del procedimento esecutivo (art. 2943 comma I c.c.) determina
l’interruzione della prescrizione, che non corre fino al momento in cui sia divenuto definitivo – per mancata
opposizione – il provvedimento di chiusura anticipata della procedura.
Con riferimento al processo esecutivo la giurisprudenza ha ritenuto che la prescrizione non corra fino al momento
in cui la procedura si chiude con l'approvazione del progetto di distribuzione del ricavato (Cass. n. 11794 del
12/05/2008; Cass. n. 26929 del 19/12/2014), o comunque sino al momento in cui “giunga ad uno stadio che
possa considerarsi l'equipollente di ciò che l'art. 2945, secondo comma, cit., individua, per la giurisdizione
cognitiva, nel passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio, ossia allorché il processo esecutivo
abbia fatto conseguire al creditore procedente l'attuazione coattiva del suo diritto, ovvero quando la realizzazione
della pretesa esecutiva non sia stata conseguita per motivi diversi dalla estinzione del processo, quali, ad esempio,
la mancanza o l'insufficienza del ricavato della vendita, la perdita successiva del bene pignorato e simili” (Cass. n.
4203 del 25/03/2002).
SEGUE
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A sostegno di tale conclusione depone in particolare il principio di tipicità e tassatività delle cause di
estinzione del processo (principio espressamente affermato anche con riguardo al processo
esecutivo: cfr. Cass. 19 dicembre 2006, n. 27148). Se infatti il legislatore ha previsto che solo in caso
di estinzione del processo l’effetto interruttivo della prescrizione sia meramente istantaneo (art.
2945, terzo comma, cod. civ.) laddove – per contro – in via ordinaria il termine di prescrizione resta
comunque sospeso sino alla definizione del procedimento (art. 2945, secondo comma, cod. civ.),
appare logico farne discendere che – stante il riferito carattere tassativo delle ipotesi di estinzione –
le ipotesi di chiusura c.d. atipica del processo esecutivo siano da ricondursi alla fattispecie ordinaria
(ossia, quella di cui all’art. 2945, secondo comma, cod. civ.).
A ciò si aggiunga, inoltre, come, da un lato, le ipotesi tipiche di estinzione del processo esecutivo
siano caratterizzate dal venir meno dell’impulso di parte (si pensi al caso della rinunzia ex art. 629
c.p.c. od all’inattività di cui agli artt. 630 e 631 c.p.c.), laddove una pronunzia di improcedibilità
come quella adottata nel caso di specie ne prescinde del tutto, sicché non ne appare neppure
giustificata l’equiparazione quoad effectum; nonché, dall’altro, che comunque la pronunzia di
improcedibilità costituisce pur sempre un atto che definisce il procedimento esecutivo, come tale
equiparabile a quella che definisce il giudizio cui allude l’art. 2945, secondo comma, cod. civ.
Cass. n. 4203 del 25/03/2002
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La pronuncia in esame pur se risalente, e pur se resa in una fattispecie il cui thema decidendum non era
costituito dalla questione relativa all’effetto sospensivo della prescrizione in caso di estinzione atipica
dell’esecuzione, appare tuttavia particolarmente interessante ai nostri fini, in quanto esclude dall’effetto
interruttivo istantaneo i casi di chiusura del procedimento esecutivo diversi dall’estinzione, con
un’esemplificazione (la mancanza o l'insufficienza del ricavato della vendita, la perdita successiva del bene
pignorato) che ben potrebbe ricomprendere anche le ipotesi di chiusura anticipata per infruttuosità,
venendo in considerazione, in tutte queste fattispecie, ipotesi di estinzione atipica incolpevole.
La conclusione relativa al diverso regime dell’effetto interruttivo della prescrizione nelle ipotesi di
estinzione atipica (effetto interruttivo permanente) rispetto alle ipotesi di estinzione tipica (effetto
interruttivo solo istantaneo) si basa dunque sulla considerazione delle diversità delle cause di estinzione
tipica dell’esecuzione, fondate su comportamenti (rinuncia o inerzia tipizzata) ascrivibili al creditore,
rispetto a quelle di estinzione atipica, che hanno invece riguardo alla sussistenza di circostanze obiettive,
indipendenti dalla volontà del creditore ed estranee alla sfera di azione dello stesso, ma nondimeno tali da
non consentire all’esecuzione di raggiungere il suo scopo.
In definitiva, in linea con l’orientamento prevalente in dottrina, si ritiene che la chiusura c.d. atipica del
procedimento esecutivo dia luogo all’applicazione del regime di cui all’art. 2945, secondo comma, cod.
civ., nel senso cioè che solo dal momento della pronuncia di improseguibilità, non più opponibile ex art.
617 c.p.c., il termine di prescrizione (già interrotto ex art. 2943 cod. civ.) ricomincerà a decorrere
Esegesi ed ambito applicativo
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La disposizione in questione fa riferimento all’espropriazione forzata in generale; tuttavia il campo di
probabile maggiore applicazione della stessa deve essere individuato principalmente nell’esecuzione
immobiliare.
Ciò in quanto, nell’esecuzione presso terzi, alla dichiarazione positiva del terzo consegue l’assegnazione
del credito, ancorché irrisorio, con conseguente definizione della procedura esecutiva; non si pone
pertanto alcuna questione di valutazione del rapporto costi - benefici in ordine alla prosecuzione
dell’esecuzione.
Per contro, nell’espropriazione di beni mobili presso il debitore, il novellato art. 532 comma II c.p.c., nella
formulazione introdotta dal D.L. n. 83 del 2015, applicabile anche alle nuove vendite disposte nelle
procedure pendenti, prevede che in caso di esito negativo del numero di esperimenti di vendita, non
inferiore a tre, fissati dal giudice dell’esecuzione, e di restituzione degli atti in cancelleria da parte del
soggetto incaricato alla vendita, se non vi sono istanze di integrazione del pignoramento a norma dell’art.
540 bis c.c., il giudice dispone la chiusura anticipata del processo esecutivo, anche quando non sussistono i
presupposti di cui all’art. 164 bis disp. att. c.p.c
Nelle espropriazioni mobiliari, pertanto, l’ambito di applicazione dell’art. 164 bis disp. att. c.p.c. sembra
circoscritto al caso in cui il valore del compendio pignorato risulti, sin da un momento antecedente a
quello della vendita (eventualmente a seguito della stima disposta dal giudice), talmente ridotto da
sconsigliare la prosecuzione dell’esecuzione Nel caso si acceda alla tesi – che appare preferibile dell’applicabilità della norma anche in un momento antecedente all’emissione dell’ordinanza di vendita.
Parametri di riferimento
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La disposizione in esame fa riferimento all’ipotesi di impossibilità di “ragionevole soddisfacimento” delle
“pretese” dei creditori.
RAGIONEVOLE SODDISFACIMENTO: accedo alla tesi secondo cui il “ragionevole soddisfacimento” deve
riferirsi ai crediti azionati nell’esecuzione, escludendo che possa essere proseguita una procedura
finalizzata al solo recupero delle spese già sostenute nell’esecuzione forzata. Ciò in quanto lo scopo tipico
dell’esecuzione deve essere individuato nella soddisfazione – anche parziale, ma quantomeno
ragionevole - del credito assistito da titolo esecutivo; una volta che tale scopo risulti effettivamente non
realizzabile, non vi sono ragioni per ritenere che la procedura debba proseguire.
Laddove, pertanto, i costi della procedura – nei quali devono essere computati sia quelli già sostenuti che i
costi da sostenersi – appaiano superiori al possibile valore di realizzo del compendio pignorato, ovvero
comunque tali da non consentire un soddisfacimento dei crediti che possa essere qualificato come
“ragionevole”, la procedura dovrà essere chiusa anticipatamente ai sensi dell’art. 164 bis disp. att. c.p.c.
in tal senso sembra deporre anche la già citata relazione al disegno di legge di conversione del D.L. n. 132
del 2014, laddove fa riferimento a procedimenti di esecuzione forzata pregiudizievoli per il debitore ma
manifestamente non idonei a produrre il soddisfacimento degli interessi dei creditori in quanto
generatori di costi processuali più elevati del concreto valore di realizzo degli asset patrimoniali pignorati.
Il giusto prezzo rileva?
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È discusso se il soddisfacimento delle pretese creditorie debba essere considerato in termini assoluti (e quindi con esclusivo
riferimento al probabile valore di realizzo del compendio pignorato), ovvero in termini relativi, vale a dire come percentuale
di soddisfacimento dei crediti per cui si procede ad esecuzione forzata.
Deve innanzitutto essere chiarito che non può costituire un utile parametro di valutazione della “ragionevolezza” la mera
sproporzione (anche considerevole), tra il prezzo base di asta – risultante da successivi ribassi - rispetto al valore di stima.
Un simile criterio, infatti, non è in alcun modo desumibile dalla disposizione in esame, che fa, al contrario, esclusivo
riferimento alla possibilità di ragionevole soddisfacimento delle pretese dei creditori; sono pertanto queste ultime a dovere
essere tenute in considerazione al fine di verificare la sussistenza dei presupposti per la chiusura anticipata dell’esecuzione
per infruttuosità.
Tale conclusione è suffragata dal costante orientamento della giurisprudenza della Suprema Corte in tema di esercizio del
potere del giudice dell’esecuzione di sospendere la vendita ai sensi dell’art. 586 c.p.c., quando ritiene che il prezzo offerto sia
notevolmente inferiore a quello “giusto” (cfr. infra Cass. n. 18451 del 2015).
Al fine di individuare la nozione di prezzo giusto, infatti, la giurisprudenza fa riferimento alla sussistenza di “fattori devianti”
il regolare meccanismo della vendita forzata (e tali da condurre ad una valutazione di “notevole inferiorità” del prezzo
offerto rispetto a quello “giusto”), escludendo che assuma rilevanza la sproporzione tra il valore di stima (che non
costituisce, pertanto, utile parametro di riferimento per determinare il prezzo “giusto”) ed il prezzo di aggiudicazione.
Deve pertanto condividersi l’orientamento della giurisprudenza di merito, secondo il quale sarebbe “incongruo ipotizzare che
l’art. 164 bis disp.att. c.p.c. consenta al giudice di disporre ex ante la chiusura anticipata del processo in ragione della
prospettata sproporzione del prezzo di vendita rispetto al presunto valore dell’immobile, laddove sia invece precluso al
medesimo giudice ed alle medesime condizioni, l’esercizio ex post del potere di sospensione dell’aggiudicazione” (Tribunale di
Roma, ordinanza del 1.10.2015.)
COSA RILEVA ALLORA?
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Si discute se possano essere individuati criteri predeterminati, in termini assoluti o percentuali, al fine di
determinare una soglia, al di sotto della quale il soddisfacimento delle pretese dei creditori debba essere
qualificata non ragionevole, e che possa essere assunta come presupposto per l’applicazione dell’art. 164
bis disp. att. c.p.c.
Su questa linea, appare interessante lo sforzo di predeterminare una griglia, attraverso tabelle excel che
fanno riferimento a valori percentuali decrescenti con il crescere in valore assoluto del credito da
soddisfare, allo scopo di individuare soglie di antieconomicità applicabili ad ogni situazione
Tale tentativo risulta tuttavia insoddisfacente, in quanto l’applicazione di valori percentuali rispetto
all’ammontare dei crediti fatti valere nella procedura esecutiva condurrebbe a risultati palesemente non in
linea con la ratio della disposizione in esame, segnatamente in caso di crediti molto rilevanti, in cui anche
una soddisfazione percentualmente minima può tradursi in somme non trascurabili in valore assoluto.
Si è così proposto di individuare un criterio assoluto, vale a dire un valore minimo (in alcune discussioni
individuato esemplificativamente, per quanto attiene alle espropriazioni immobiliari, nell’importo di €
20.000,00), superato il quale l’esecuzione non potrebbe mai essere ritenuta infruttuosa, ed al di sotto del
quale dovrebbe, al contrario, essere valutata la sussistenza dei presupposti per disporre la chiusura
anticipata dell’esecuzione.
Appare preferibile evitare di ricercare, in astratto ed ex ante, rigide soluzioni applicabili alle diverse
fattispecie che possono presentarsi in concreto: la varietà della casistica giudiziaria impone piuttosto di
individuare criteri tendenziali, che possano risultare di aiuto nella concreta applicazione dell’istituto
(decadenze, interessamenti, numero vendite esperite, tipologia e stato dei beni ecc..).
GRIGLIA ESEMPLIFICATIVA (Gaetano Savona, giudice dell’esecuzione del
Tribunale di Oristano)
Credito
da 0 a 100.000,00
da 100.001,00 a
200.000,00
da 200.001,00 a
300.000,00
da 300.001,00 a
400.000,00
da 400.001,00 a
500.000,00
da 500.001,00 a
1.000.000,00
da 1.000.001,00 a
2.000.000,00
da 2.000.001,00 a
5.000.000,00
da 5.000.001,00 a
10.000.000,00
da 10.000.001,00 a
20.000.000,00
da 20.000.001,00 a
50.000.000,00
Soglia antieconomicità in valori
assoluti
0-10.000,00
10.000,00 – 18.000,00
Soglia antieconomicità
in %
10%
da 10% a 9%
18.001,00 – 24.000,00
da 9% a 8%
24.001,00 – 28.000,00
da 8% a 7%
28.001,00 – 30.000,00
da 7% a 6%
30.001,00 – 50.000,00
da 6% a 5%
50.001,00 – 80.000,00
da 5% a 4%
80.001,00 – 150.000,00
da 4% a 3%
150.001,00 – 200.000,00
da 3% a 2%
200.001,00 – 300.000,00
da 2% a 1,5%
300.001,00 – 500.000,00
da 1,5% a 1%
DL 83/2015 «SAN CIRILLO» recante "Misure urgenti in materia
fallimentare, civile e processuale civile e di organizzazione e funzionamento
dell'amministrazione giudiziaria", convertito con modificazioni dalla L. 6
agosto 2015, n. 132
• 480 c.p.c. (contenuto precetto)
• 492 bis c.p.c. (Ricerca con modalità
telematiche dei beni da pignorare)
• 495 c.p.c. sulla conversione del pignoramento;
• Nuove modalità di vendita (immobiliare),
pubblicità (490, 569 c.p.c.) offerta minima
ammissibile, rateizzazione, riduzione del
prezzo (cfr. istruzioni ai professionisti delegati)
492 bis c.p.c. Ricerca con modalità telematiche dei beni da
pignorare (già introdotta con DL 132/2014 conv. L. 162/2014)
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ratio della norma: favorire la ricerca dei beni del debitore da aggredire con esecuzione mobiliare (cfr. commi 2 e 3);
Legittimazione: creditore (vaglio titolo esecutivo ed efficacia precetto) ;
Oggetto: autorizzazione ad accedere alle banche dati delle Pubbliche Amministrazioni o alle quali le stesse possono
accedere, all’anagrafe tributaria compreso l’archivio dei rapporti finanziari e in quelle degli enti previdenziali, in relazione alle
posizioni del debitore.
A seguito delle modifiche introdotte dall’art. 14 d.l. 83\2015, convertito in l. 132\2015, l’art. 492 bis comma 1 c.p.c. prevede
che “Su istanza del creditore (eliminato il riferimento a ‘procedente’), il presidente del tribunale del luogo in cui il debitore
ha la residenza, il domicilio, la dimora o la sede, verificato il diritto della parte istante a procedere ad esecuzione forzata,
autorizza la ricerca con modalità telematiche dei beni da pignorare. L’istanza deve contenere l’indicazione dell’indirizzo di
posta elettronica ordinaria ed il numero di fax del difensore nonché, ai fini dell’articolo 547, dell’indirizzo di posta elettronica
certificata. L’istanza non può essere proposta prima che sia decorso il termine di cui all’articolo 482. Se vi è pericolo nel
ritardo, il presidente del tribunale autorizza la ricerca telematica dei beni da pignorare prima della notificazione del
precetto”;
- il comma 2 del citato articolo, dispone, poi. che: “fermo quanto previsto dalle disposizioni in materia di accesso ai dati e alle
informazioni degli archivi automatizzati del Centro elaborazione dati istituito presso il Ministero dell'interno ai sensi
dell'articolo 8 della legge 1° aprile 1981, n. 121, con l'autorizzazione di cui al primo comma il presidente del tribunale o un
giudice da lui delegato dispone che l'ufficiale giudiziario acceda mediante collegamento telematico diretto ai dati contenuti
nelle banche dati delle pubbliche amministrazioni e, in particolare, nell’anagrafe tributaria, compreso l’archivio dei rapporti
finanziari, e in quelle degli enti previdenziali, per l’acquisizione di tutte le informazioni rilevanti per l’individuazione di cose e
crediti da sottoporre ad esecuzione, comprese quelle relative ai rapporti intrattenuti dal debitore con istituti di credito e
datori di lavoro o committenti”.
OPERATIVITA’
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L’art. 155 quater disp. Att. C.p.c., a seguito delle modifiche introdotte dall’art. 14 d.l. 83\2015, convertito in l. 132\2015,
non prevede più che l’accesso alle banche dati sia subordinato alla emanazione di decreti attuativi da parte del Ministro
della Giustizia.
La norma, nella sua attuale formulazione, prevede che “Sino a quando non sono definiti dall’Agenzia per l’Italia digitale gli
standard di comunicazione e le regole tecniche di cui al comma 2 del predetto articolo 5 (d.lgs. 82\2005) e, in ogni caso,
quando l’amministrazione che gestisce la banca dati o il Ministero della giustizia non dispongono dei sistemi informatici per
la cooperazione applicativa di cui all’articolo 72 comma 1 lettera e) del medesimo codice di cui al decreto legislativo n. 82 del
2005, l’accesso è consentito previa stipulazione, senza nuovi e maggiori oneri per la finanza pubblica, di una convenzione
finalizzata alla fruibilità informativa dei dati, sentito il Garante per la protezione dei dati personali. Il Ministero della giustizia
pubblica sul portale dei servizi telematici l’elenco delle banche dati per le quali è operativo l’accesso da parte dell’ufficiale
giudiziario per le finalità di cui all’art. 492 bis del codice”.
Occorre infatti considerare che, in sede di conversione, l’art. 155 quater disp. Att. C.p.c. è stato modificato, unitamente
all’art. 155 quinquies.
L’art. 155 quater prevede che le pubbliche amministrazioni che gestiscono banche dati contenenti informazioni utili per la
ricerca dei beni pignorabili, mettono a disposizione degli ufficiali giudiziari gli accessi, su richiesta del Ministero della
Giustizia. La norma prevede inoltre che, fino alla adozione delle regole tecniche specifiche, l’accesso degli ufficiali
giudiziari è consentito previa stipulazione di una convenzione finalizzata alla fruibilità informativa dei dati, sentito il
Garante per la protezione dei dati personali.
L’art. 155 quinquies stabilisce che il creditore possa essere autorizzato all’accesso diretto alle banche dati.
L’ultimo comma della norma stabilisce inoltre che “La disposizione di cui al primo comma si applica, limitatamente a
ciascuna delle banche dati comprese nell’anagrafe tributaria, ivi incluso l’archivio dei rapporti finanziari, nonché a quelle
degli enti previdenziali, sino all’inserimento di ognuna di esse nell’elenco di cui all’art. 155 quater primo comma”.
Deve quindi ritenersi possibile, alla luce delle modifiche introdotte dalle legge di conversione del decreto legge 83\2015,
l’accesso diretto dei creditori alle banche dati indicate nelle norme, su autorizzazione del Presidente alla ricorrenza dei
presupposti di cui al comma 1 dell’art. 492 bis c.p.c.
NUOVE MODALITA’ DI VENDITA
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Art. 490 (pubblicità): nuovo portale del Ministero che sostituirà l’Albo pretorio; internet; facoltatività
pubblicità sul quotidiano;
Art. 495 (conversione pignoramento): in 36 mesi e non più 18 (giustificati motivi), pagamenti semestrali;
569 c.p.c. (autorizzazione vendita immobiliare): giuramento del perito in cancelleria; cauzione
determinata dal GE;
marginalizzazione vendita con incanto: la vendita andrà disposta esclusivamente nella modalità “senza
incanto”, a meno che il GE non ritenga probabile ex art. 569/III c.p.c. che la diversa modalità della vendita
“con incanto” possa aver luogo ad un prezzo superiore della metà rispetto al valore del bene.
offerta minima ammissibile: pari al 75% prezzo base d’asta (cauzione parametrata al prezzo offerto).
rateizzazione saldo prezzo: applicata a Marsala «qualora ricorrano giustificati motivi, da rappresentare al
momento dell’offerta, il delegato è autorizzato a consentire che il versamento del prezzo abbia luogo
ratealmente, entro il V^ giorno di ogni mese, in un termine non superiore a 12 mesi, tenuto conto
dell’importo residuo del prezzo e delle circostanze allegate; l’aggiudicatario che ometta di versare “anche
una sola rata entro dieci giorni dalla scadenza del termine” (dunque entro il 15^ giorno del mese), sarà
dichiarato decaduto, con conseguente perdita ‘a titolo di multa’ delle rate già versate
Riduzione del prezzo «sino» ad ¼: istruzioni ai delegati «Nel caso di vendita senza incanto deserta, la
prima riduzione di prezzo sarà di ¼, le successive del 10%»
AGGIUDICAZIONE: QUANDO?
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Art. 572 c.p.c.: In caso di unica offerta pari o superiore al prezzo base, si procede ad aggiudicazione
all’offerente, anche in presenza di istanza di assegnazione.
Se, invece, l’unico offerente si è avvalso della facoltà di indicare un prezzo di acquisto inferiore al
prezzo base, il GE può procedere all’aggiudicazione, a condizione che non siano state presentate
istanze di assegnazione da parte dei creditori quando ritiene che non vi sia seria possibilità di
conseguire una maggiore utilità con una nuova vendita.
Qualora siano state presentate due o più offerte di acquisto, si procede in ogni caso ( e quindi
anche in presenza di istanza di assegnazione) a una gara tra gli offerenti, partendo dall’offerta più
alta e con aggiudicazione dell’immobile al miglior offerente purché il prezzo raggiunto sia pari o
superiore al prezzo base.
In caso di pluralità di offerte, qualora gli offerenti non intendano partecipare alla gara, il bene, salvo
il caso di presentazione di istanza di assegnazione, dovrà essere aggiudicato al miglior offerente
secondo i criteri di cui all’art. 573 c.p.c. (il prezzo più alto determina in ogni caso la prevalenza
dell'offerta; a parità di prezzo sarà preferita l'offerta cui si accompagni la cauzione di maggiore
importo indipendentemente dal termine indicato per il versamento del saldo prezzo; a parità di
cauzione sarà preferita l'offerta che indichi il minor termine di pagamento del saldo prezzo; a parità
di tutte le precedenti condizioni, sarà preferita la prima offerta pervenuta).
NOVITA’ GIURISPRUDENZIALI
• 1) accettazione eredità
• 2) comunione legale
• 3) 586 c.p.c. e giusto prezzo
Accettazione eredità
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Cass. n.11638/2014, “nel processo esecutivo, spetta al giudice dell’esecuzione verificare, d’ufficio, la titolarità, in capo al
debitore esecutato, del diritto reale pignorato sul bene immobile, mediante l’esame della documentazione depositata dal
creditore procedente ovvero integrata per ordine dello stesso giudice ai sensi dell’art. 567 c.p.c., dalla quale deve risultare la
trascrizione di un titolo di acquisto in suo favore" e la continuità delle trascrizioni nel ventennio anteriore al
pignoramento (dovendosi risalire a ritroso al primo titolo anteventennio utile, nel caso di accertata carenza di titolo idoneo
a coprire il ventennio);
la dichiarazione di successione è un semplice adempimento di natura tributaria, posto a carico del chiamato all’eredità e
del legatario (art. 28 comma 2 D. Lgs. 346/90), di tal chè “ai fini della accettazione tacita dell'eredità sono privi di rilevanza
tutti quegli atti che, attese la loro natura e finalità, non sono idonei ad esprimere in modo certo l'intenzione univoca di
assunzione della qualità di erede, quali la denuncia di successione, il pagamento delle relative imposte, la richiesta di
registrazione del testamento e la sua trascrizione, infatti, trattandosi di adempimenti di prevalente contenuto fiscale,
caratterizzati da scopi conservativi, legittimamente può essere esclusa dal giudice del merito, a cui compete il relativo
accertamento, il proposito di accettare l'eredità. Peraltro siffatto accertamento non può limitarsi all'esecuzione di tali
incombenze, ma deve estendersi al complessivo comportamento dell'erede potenziale, ed all'eventuale possesso e gestione
anche solo parziale dell'eredità” (si vedano, tra le molte, Cass. n. 5275 del 1986, n. 4756 del 1999, n. 15716 del 2002, n.
5597 del 2003, n. 7252 del 2003);
“qualora sia sottoposto a pignoramento un diritto reale su un bene immobile di provenienza ereditaria” il GE non può
autorizzare la vendita sino a che non sia fornita la prova dell’avvenuta trascrizione dell’accettazione, tacita o espressa di
eredità;
in dettaglio “il creditore procedente, se il chiamato all’eredità ha compiuto uno degli atti che comportano accettazione
tacita dell’eredità, può richiedere, a sua cura e spese, la trascrizione sulla base di quell’atto, qualora esso risulti da atto
pubblico o da scrittura privata autenticata od accertata giudizialmente, anche dopo la trascrizione del pignoramento,
ripristinando cosi la continuità delle trascrizioni ai sensi e per gli effetti dell’art. 2650 c.c., comma 2, purchè prima
dell’autorizzazione alla vendita ai sensi dell’art. 569 c.p.c.;… se, invece, il chiamato all’eredità ha compiuto uno degli atti che
comportano accettazione tacita dell’eredità ma questo non sia trascrivibile (come nella fattispecie), perchè non risulta da
sentenza, da atto pubblico o da scrittura privata autenticata, ovvero se si assume che l’acquisto della qualità di erede sia
seguito ex lege ai fatti di cui agli artt. 485 o 527 cod. civ., non risultando questo acquisto dai pubblici registri, la vendita
coattiva del bene pignorato ai danni del chiamato presuppone che la qualità di erede del debitore esecutato sia accertata con
sentenza”, debitamente trascritta;
Actio interrogatoria non serve
• Cass. III sezione, 3 aprile 2015 n. 6833
Pignoramento - quota ereditaria – Titolarità – Prova –
Azione interrogatoria – sufficienza – esclusione.
Nell’ipotesi in cui venga pignorata una quota di un bene
caduto in successione, la prova dell’assunzione della
qualità di erede in capo al debitore esecutato non può
essere data dalla semplice proposizione di actio
interrogatoria ma esclusivamente attraverso sentenza
che accerti detta qualità o attraverso scrittura privata
autenticata (o con sottoscrizione riconosciuta) o atto
pubblico che testimoni l’assunzione di detta qualità.
COMUNIONE LEGALE
• Cassazione n. 6575 del 14.3.2013 (Pres. Amatucci, est.
De Stefano) “la natura di comunione senza quote della
comunione legale dei coniugi comporta che
l’espropriazione, per crediti personali di uno solo dei
coniugi, di un bene (o di più beni) in comunione, abbia
ad oggetto il bene nella sua interezza e non per la
metà, con scioglimento della comunione legale
limitatamente al bene staggito all’atto della sua
vendita od assegnazione e diritto del coniuge non
debitore alla metà della somma lorda ricavata dalla
vendita del bene stesso o del valore di questo, in caso di
assegnazione” .
586 e GIUSTO PREZZO
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Fondamentale sentenza n. 18451 del 21.09. 2015 della Suprema Corte, che ha precisato i
casi in cui il GE può sospendere la vendita ex art. 586 («quando il prezzo offerto sia
notevolmente inferiore a quello giusto»):
A) fatti nuovi successivi all’aggiudicazione;
B) sussistenza di interferenze illecite di natura criminale che abbiano influenzato il
procedimento di vendita, ivi compresa la stima;
C) possibilità che il prezzo fissato nella stima sia stato frutto di dolo che si scopra dopo
l’aggiudicazione;
D) prospettazione, da parte di una delle parti del processo esecutivo, di fatti o elementi che
essa sola conosceva anteriormente all’aggiudicazione e che non erano conosciuti o conoscibili
dalle altre parti prima di essa, purché tali altre parti li facciano propri esse stesse, adducendo
soltanto tale tardiva acquisizione di conoscenza come ragione giustificativa per l’esercizio del
potere del giudice dell’esecuzione.
In precedenza
Precedente discusso, Cass. Sez. 3, Sentenza n. 1612 del 03/02/2012: “In tema di esecuzioni immobiliari, la facoltà di sospendere la vendita ai sensi dell'art.
586 cod. proc. civ., nel testo novellato dall'art. 19 bis della legge 12 luglio 1991, n. 203, persegue lo scopo di contrastare tutte le possibili interferenze
illegittime nel procedimento di fissazione del prezzo. Ne consegue che l'individuazione di quest'ultimo quale giusto prezzo, oltre a presupporre una
comparazione fra i dati costituiti da quello concretamente realizzato con l'aggiudicazione e quello che sarebbe stato conseguito in condizioni di non
interferenza di fattori devianti, richiede, ai fini della sospensione, che la differenza tra le due valutazioni debba evidenziarsi in termini di notevole inferiorità,
secondo criteri da adottarsi di volta in volta in relazione al caso concreto, nel quadro della esigenza di contrasto alla illegalità cui si ispira l'art. 19 bis sopra
richiamato”; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 23799 del 16/11/2007: “In tema di sospensione della vendita dell' esecuzione immobiliare ai sensi dell'art. 586 cod.
proc. civ., il quale prevede, nel testo modificato dall'art. 19 bis legge n. 203 del 1991 e divenuto conforme al modello dell'art.108 legge fall., che il giudice
dell'esecuzione può provvedervi quando ritiene che il prezzo offerto sia notevolmente inferiore a quello giusto, alla determinazione di tale giudizio si giunge alla stregua di una valutazione necessariamente combinata - mediante la comparazione del prezzo in concreto realizzato con l'aggiudicazione e quello che, in
assenza di condizioni di interferenza illegittima nella sua formazione, sarebbe stato conseguito nel processo liquidatorio così come concretamente adottato e
normativamente disciplinato”; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 4344 del 23/02/2010: “La norma di cui all'art. 586 cod. proc. civ. (come novellata dall'art. 19-bis
della legge 203 del 1991), secondo cui il giudice dell'esecuzione "può sospendere la vendita quando ritiene che il prezzo offerto sia notevolmente inferiore a
quello giusto", è formalmente modellata su quella di cui all'art. 108 della legge fall., ma persegue lo scopo di contrastare tutte le possibili interferenze
illegittime nel procedimento di determinazione del prezzo delle vendite forzate immobiliari, attesane la collocazione nel più generale contesto della citata
legge n. 203 del 1991, ("provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata e di trasparenza e buon andamento dell'attività amministrativa").
Ne consegue che l'individuazione della nozione di "giusto prezzo" presuppone una ineludibile comparazione tra dati costituiti dal prezzo concretamente
realizzato con l'aggiudicazione e da quello che invece, in condizioni di non interferenza di fattori devianti, sarebbe stato conseguito nella procedura di vendita
così come concretamente adottata e normativamente disciplinata (senza che, peraltro, possa costituire utile o vincolante parametro il prezzo di mercato),
così che, per disporsi la sospensione, la differenza tra le due entità dovrà evidenziarsi in termini di "notevole inferiorità", secondo criteri da adattarsi di volta
in volta al caso concreto nel quadro di quell'esigenza di contrasto delle illegalità perseguita dalla norma”; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 8464 del 06/08/1999: “La
norma di cui all'art. 586 C.p.c. (novellata dall'art. 19 bis della legge 203/91), secondo cui il giudice dell'esecuzione "può sospendere la vendita quando ritiene
che il prezzo offerto sia notevolmente inferiore a quello giusto", è formalmente modellata su quella di cui all'art. 108 L.F., ma persegue lo scopo di
contrastare tutte le possibili interferenze illegittime nel procedimento di determinazione del prezzo delle vendite forzate immobiliari, attesane la collocazione
nel più generale contesto della citata legge 203/91, ("provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata e di trasparenza e buon andamento
dell'attività amministrativa"). Ne consegue che l'individuazione della nozione di "giusto prezzo" presuppone una ineludibile comparazione tra dati costituiti
dal prezzo concretamente realizzato con l'aggiudicazione e da quello che invece, in condizioni di non interferenza di fattori devianti, sarebbe stato conseguito
nella procedura di vendita così come concretamente adottata e normativamente disciplinata (senza che, peraltro, possa costituire utile o vincolante
parametro il prezzo di mercato), così che, per disporsi la sospensione, la differenza tra le due entità dovrà evidenziarsi in termini di "notevole inferiorità",
secondo criteri da adattarsi di volta in volta al caso concreto nel quadro di quell'esigenza di contrasto delle illegalità perseguita dalla norma)”.
Estratto ordinanza GE VACCARO (ante
Cass. settemebre 2015; conf)
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ribadito che la nozione di "giusto prezzo" di cui all'art. 586 c.p.c. è, alla stregua dell’interpretazione sistematica e teleologica della norma, una
nozione procedimentale ( v. sul punto Cass. civ. sez. III, 26/3/1981, n. 1766; Cass. civ. sez. III, 6/10/1998, n. 9908; Cass. civ. sez. III, 17/5/2005,
n. 10334 ): il prezzo giusto è quello che si forma per effetto dell’incontro della domanda e dell'offerta, in condizioni di esatta informazione e
pubblicità ed in assenza di fattori potenzialmente devianti;
e che il prezzo di stima del perito estimatore (lungi dal costituire il ‘giusto prezzo’) è solo un dato indicativo (e aleatorio), che non pregiudica
l’esito della vendita e la realizzazione del giusto prezzo, attraverso la pubblicità e l’eventuale gara tra più offerenti, così come concretamente
svoltasi e normativamente disciplinata ( v. sul punto da ultimo Cass. civ. sez. III, 17/5/2005, n. 10334 );
con la conseguenza che, la sospensione di cui all’art. 586 c.p.c., in linea con la giurisprudenza di legittimità e di merito prevalente, può essere
disposta solo qualora sussistano, anche solo in via indiziaria, elementi obiettivi tali da far ritenere che la formazione del prezzo di stima a
monte e/o di aggiudicazione a valle, ove notevolmente inferiore al primo (come nella fattispecie in esame), sia il frutto di:
- turbative o altri fattori devianti, quali il mancato rispetto delle regole di trasparenza ed evidenza (ad es. vizi nella pubblicità);
- o ancora, indipendentemente dalle interferenze illegittime, allorché emergano “fatti nuovi sopravvenuti, dei quali il giudice della esecuzione
non poteva tener conto al momento della formazione del provvedimento di vendita, ovvero … circostanze a tale momento già note, le quali non
siano state affatto prese in considerazione dallo stesso giudice oppure, all'epoca erroneamente apprezzate” (in tal ultimo caso, “il giudice
dell'esecuzione potrà avvalersi di elementi, anche indiziari, di natura la più varia, quali, ad esempio, … la presentazione tardiva di offerte
all'incanto, il deposito di offerte di aumento del sesto, le notizie e le informazioni dovunque e da chiunque attinte, i fatti nuovi e sopravvenuti
alla stima del bene immobile oggetto della vendita all'incanto” Cass. 6269 del 18/04/2003);
ritenuto che, nella fattispecie, nessun elemento, neppure indiziario, idoneo ad inficiare la regolarità e legittimità della procedura di vendita e,
per tale via, la formazione del “giusto prezzo” di aggiudicazione (a seguito dei ribassi previsti per legge e di n. 23 esperimenti di vendita,
scanditi in 7 anni, l’ultimo dei quali culminato nell’unica offerta presentata dall’aggiudicatario) è stato addotto da parte ricorrente;
e che l’obiettiva e manifesta sproporzione tra il prezzo di aggiudicazione ed il prezzo di stima dell’immobile non può, per ciò solo, in assenza di
“fattori devianti o circostanze sopravvenute o ab origine non note” legittimare l’esercizio del potere discrezionale di cui all’art. 586 c.p.c.,
mercè un travalicamento dei confini di ragionevole durata del processo, tutela dell’affidamento e certezza del diritto;
ribadito, conclusivamente, che il concetto procedimentale di “giusto prezzo”, postula “una comparazione fra i dati costituiti da quello
concretamente realizzato con l'aggiudicazione e quello che sarebbe stato conseguito in condizioni di non interferenza di fattori devianti” (Cass.
n. 1612 del 03/02/2012) di tal chè non può ritenersi “inferiore al giusto prezzo” quello formatosi nella fattispecie, in assenza di fattori devianti,
all’esito di n.23 esperimenti di vendita in circa 7 anni ( 22 dei quali rimasti infruttuosi) e delle riduzioni di prezzo normativamente previste;
PQM rigetta l’istanza ex art. 586 comma 1 c.p.c. presentata dal debitore esecutato.
Altri arresti giurisprudenziali recenti
1) LOCAZIONE
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Sentenza n. 8695 del 29 aprile 2015 (Pres. Salmè; Est. Ambrosio)
ESECUZIONE IMMOBILIARE – LOCAZIONE DEL BENE PIGNORATO STIPULATA DAL DEBITORE ESECUTATO SENZA
L’AUTORIZZAZIONE DEL G.E. – RISCOSSIONE CANONI ED ESERCIZIO DELLE RELATIVE AZIONI GIUDIZIARIE –
LEGITTIMAZIONE – CUSTODE GIUDIZIARIO – SUSSISTENZA - FONDAMENTO.
LA QUESTIONE: A chi spetti la riscossione dei canoni (nonché l’esercizio delle relative azioni) della locazione
dell’immobile stipulata dal debitore esecutato proprietario (nella specie, da un suo avente causa) dopo il
pignoramento.
LA DECISIONE: La Corte ha affermato la titolarità del diritto alla esazione dei canoni (e la legittimazione alle
relative azioni) in capo al custode, e non già all’esecutato proprietario-locatore, così argomentando:
“ Per effetto dello spossessamento conseguente al pignoramento e dell’effetto estensivo previsto dall’art. 2912
c.c., il debitore esecutato perde vuoi il diritto di gestire e amministrare (se non in quanto custode) il bene
pignorato, vuoi il diritto di far propri i relativi frutti civili; […] dopo il pignoramento muta il titolo del possesso da
parte del proprietario- locatore e debitore, in quanto ogni sua attività costituisce conseguenza del potere ex art.
559 c.p.c., di amministrazione e gestione del bene pignorato, di cui egli continua ad avere il possesso solo in
qualità di organo ausiliario del giudice dell'esecuzione. […] Le norme degli art. 65, comma primo c.p.c., art. 559,
comma primo, c.p.c., art.560, commi primo e secondo, c.p.c., e degli art.2912 e 820 c.c. convergono nell’attribuire
al solo custode la legittimazione sostanziale a richiedere tanto il pagamento dei canoni quanto ogni altra azione
che scaturisce dai poteri di amministrazione e gestione del bene.
Anche se la locazione di un bene sottoposto a pignoramento senza l'autorizzazione del giudice dell'esecuzione, in
violazione dell’art. 560 c.p.c., non comporta l'invalidità del contratto ma solo la sua inopponibilità ai creditori ed
all'assegnatario, il contratto così concluso non pertiene al locatore-proprietario esecutato, ma al locatore-custode
e le azioni che da esso scaturiscono - nella specie per il pagamento dei canoni -devono essere esercitate, anche in
caso di locazione non autorizzata, dal custode”.
2) TERMINE VERSAMENTO SALDO PREZZO
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Sentenza n. 11171 del 29 maggio 2015 (Pres. Salmè; Est. De Stefano)
ESECUZIONE FORZATA - IMMOBILIARE - VENDITA - CON INCANTO AGGIUDICAZIONE - TERMINE PER IL VERSAMENTO DEL SALDO PREZZO PERENTORIETÀ - FONDAMENTO.
LA QUESTIONE: Se il termine per il versamento del saldo prezzo, nella vendita
forzata immobiliare, sia suscettibile o meno di proroga.
LA DECISIONE: La Corte ha così statuito (MASSIMA UFFICIALE, Rv. 635438):
“In tema di espropriazione immobiliare, il termine per il versamento del saldo del
prezzo da parte dell'aggiudicatario del bene staggito va considerato perentorio e
non prorogabile, attesa la necessaria immutabilità delle iniziali condizioni del
subprocedimento di vendita, da ritenersi di importanza decisiva nelle
determinazioni dei potenziali offerenti e, quindi, del pubblico di cui si sollecita la
partecipazione, perché finalizzata a mantenere - per l'intero sviluppo della vendita
forzata - l'uguaglianza e la parità di quelle condizioni tra tutti i partecipanti alla
gara, nonché l'affidamento di ognuno di loro sull'una e sull'altra e, di conseguenza,
sulla trasparenza assicurata dalla coerenza ed immutabilità delle condizioni tutte”.
3) ART. 586 C.P.C.
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Sentenza n. 10253 del 20 maggio 2015 (Pres. Salmè; Est. Rubino)
PROCEDIMENTO ESECUTIVO – SOSPENSIONE DELLA VENDITA EX ART. 586 COD. PROC. CIV. – MUTAMENTO DELLE CIRCOSTANZE DI FATTO IN
EPOCA SUCCESSIVA ALL’ORDINANZA DI VENDITA.
LA QUESTIONE: Se, procedutosi all’aggiudicazione di un immobile, la sopravvenienza di circostanze di fatto, rispetto all’epoca di adozione
dell’ordinanza di vendita, possa giustificare la revoca dell’aggiudicazione e del pedissequo decreto di trasferimento, ovvero se siano invece
necessari, a tal fine, interferenze di tipo illecito. (Nella specie, era stata venduta la nuda proprietà di ½ indiviso di un immobile, ma era
sopravvenuta la morte degli usufruttuari).
LA DECISIONE: La Corte ha respinto il ricorso proposto dall’aggiudicatario avverso la pronuncia di accoglimento delle opposizione agli atti
esecutivi proposte sia dal debitore che dal procedente, così argomentando:
“Non tenere conto quanto meno nella determinazione del prezzo base d'asta di una variazione delle circostanze di fatto idonea a determinare
il trasferimento non più di un diritto reale parziario ma della piena proprietà su una quota dell'immobile, con inevitabile consequenziale
variazione del valore del bene sottoposto ad espropriazione forzata avrebbe comportato, per il giudice dell'opposizione, la violazione della
esigenza di interesse generale per cui la vendita forzata deve tendere a realizzare un prezzo congruo, per soddisfare i contrapposti interessi
del creditore ed anche del debitore esecutato (che infatti hanno proposto autonome ma sostanzialmente coincidenti opposizioni agli atti
esecutivi avverso il provvedimento di diniego della sospensione della vendita emesso dal g.e.). Il tribunale adito ha ritenuto, con motivazione
esente da vizi, di accogliere l'opposizione agli atti esecutivi e ha revocato il decreto di aggiudicazione per consentire alla procedura esecutiva
di ripartire da una perizia di stima aggiornata alla nuova situazione determinatasi, che desse maggiori garanzie alle parti coinvolte che il
procedimento di vendita forzata potesse tendere a raggiungere il massimo risultato conseguibile. (…). La motivazione appare esente da vizi
anche laddove ha escluso che l'esistenza, accertata in giudizio di interferenze di tipo illecito sia un presupposto necessario per l'operatività del
potere di cui all'art. 586 c.p.c., per la mancanza di un qualsiasi riferimento letterale in tal senso all'interno della norma stessa. (…) In definitiva,
l'eventualità che si verifichino interferenze illecite è una ipotesi particolare che viene ad aggiungersi ad un'altra serie di ipotesi a fronte delle
quali legittimamente il giudice dell'esecuzione può esercitare il potere speciale, conferitogli dall'art. 586 c.p.c., di sospendere la vendita. È un
potere discrezionale che meglio consente al g.e. di controllare che le modalità della vendita siano regolari e conformi con i suoi principi guida
fino al momento immediatamente precedente il compimento dell'atto finale ed irreversibile della fase di liquidazione, costituito dal decreto di
trasferimento, esercitabile qualora egli si avveda che il valore al quale si sta vendendo il bene è significativamente inferiore a quello effettivo,
sia per un errore di stima iniziale, sia perché esso risulti inadeguato per circostanze sopravvenute, sia perché il giudice avverta il materializzarsi
di circostanze che abbiano impedito alla vendita di svolgersi regolarmente al fine di far conseguire il miglior ricavato possibile”.
4) DECRETO DI TRASFERIMENTO E SOSPENSIONE
DELL’ESECUZIONE
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Sentenza n. 10251 del 20 maggio 2015 (Pres. Salmè; Est. Rubino)
ESECUZIONE FORZATA – GIUDICE DELL’ESECUZIONE – FORMA DEI PROVVEDIMENTI
– FATTISPECIE IN TEMA DI DECRETO DI TRASFERIMENTO E ISTANZA DI
SOSPENSIONE DELLA VENDITA.
LA QUESTIONE: Se sia ammissibile l’istanza di sospensione della vendita e di
revoca dell’aggiudicazione depositata quando il decreto di trasferimento, pur
sottoscritto, non sia stato ancora depositato in cancelleria.
LA DECISIONE: Per giustificare la soluzione positiva, la Corte enuncia il seguente
principio:
“Il principio secondo cui i provvedimenti del giudice civile acquistano giuridica
esistenza solo con il deposito in cancelleria trova applicazione anche per quanto
riguarda i provvedimenti del giudice dell’esecuzione (i quali, fino al momento
immediatamente precedente al deposito, costituiscono attività meramente
interna, liberamente revocabili e non conoscibili dai terzi). Pertanto è ammissibile
e deve essere esaminata l'istanza di sospensione della vendita e di revoca o
annullamento della aggiudicazione proposta prima che il decreto di trasferimento
sia stato depositato in cancelleria”.
5)
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ESECUZIONE IMMOBILIARE PER CREDITO FONDIARIO
Sentenza n. 8696 del 29 aprile 2015 (Pres. Salmè; Est. Ambrosio)
ESECUZIONE IMMOBILIARE – CREDITO FONDIARIO – CREDITI PER CAPITALE ASSISTITI DA IPOTECA –
INTERESSI – DISCIPLINA PREVISTA DAL R.D. N. 646 DEL 1905 (RATIONE TEMPORIS APPLICABILE) –
DEROGA ALL’ART. 2855 COD. CIV. – ESCLUSIONE.
LA QUESTIONE: Se, in caso di esecuzione immobiliare relativa a crediti per mutuo fondiario
soggetti ratione temporis alla disciplina del R.D. n. 646 del 1905, trovi applicazione, per il
computo degli interessi spettanti al creditore, la disciplina dettata da suddetto R.D. (che prevede
il recupero integrale di tutti gli interessi al tasso contrattualmente stabilito) oppure quella
prevista dall’art.2855 cod. civ. (che invece limita significativamente gli interessi collocabili nello
stesso grado dell’ipoteca).
LA DECISIONE: La Corte ritiene l’applicabilità dell’art.2855 cod. civ., così argomentando:
“ In tema di crediti assistiti da ipoteca, l’estensione del privilegio ipotecario agli interessi, secondo
le condizioni indicate dall'art. 2855, secondo e terzo comma, cod. civ., opera anche in relazione
all'espropriazione immobiliare individuale relativa ai crediti per mutuo fondiario soggetti alla
disciplina del r.d. 16 luglio 1905, n. 646, come integrata dal d.P.R. 21 gennaio 1976, n. 7 e dalla legge
6 giugno 1991, n. 175 (disciplina applicabile "ratione temporis"), in quanto detta disciplina non
interferisce sui principii, di carattere generale, che regolano il concorso dei creditori, sia nel
fallimento sia nell’esecuzione individuale; ne consegue che l'iscrizione di crediti per il capitale fa
collocare nello stesso grado anche il credito per interessi corrispettivi maturato, ma soltanto nella
misura legale, limitatamente alle due annate anteriori e a quella in corso alla data del
pignoramento.