La nutrizione artificiale, enterale e parenterale, nel paziente diabetico
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La nutrizione artificiale, enterale e parenterale, nel paziente diabetico
G It Diabetol Metab 2015;35:60-68 Rassegna La nutrizione artificiale, enterale e parenterale, nel paziente diabetico RIASSUNTO Lo svilupparsi di un’iperglicemia in pazienti ospedalizzati che ricevono una nutrizione artificiale rappresenta una problematica importante, sia per l’elevata prevalenza dei casi sia per le possibili conseguenze in termine di complicanze e mortalità. In condizioni di stress, l’alterata risposta all’insulina indotta dal rilascio di ormoni controregolatori e di citochine proinfiammatorie va a influire sui metabolismi dei diversi macro- e micronutrienti determinando le tipiche complicanze del paziente diabetico e inducendo o aggravando uno stato di malnutrizione. La terapia nutrizionale gioca un ruolo importante sul compenso glicometabolico e, benché la maggioranza dei soggetti ospedalizzati riceva supporti nutrizionali per via orale, vi sono alcuni degenti che necessitano di una nutrizione artificiale, enterale (NE) o parenterale (NP). Entrambe le modalità sono efficaci nel prevenire gli effetti negativi del digiuno e nel trattare la malnutrizione, ottimizzando il controllo glicemico. A tal fine è importante però elaborare un piano terapeutico che definisca, in relazione al quadro clinico, i fabbisogni nutrizionali del paziente, la via di somministrazione degli stessi, la tipologia del dietoterapico da utilizzare e prevedere i parametri da utilizzare per il monitoraggio. Il modello organizzativo richiede un team qualificato che attraverso le varie professionalità operi adattando gli interventi alle singole necessità. SUMMARY Artificial nutrition, enteral and parenteral, in patients with diabetes The development of hyperglyemia in patients receiving artificial nutrition is a critical issue, both for the high probability of it arising and the real risk of complications or death. In stress conditions, the altered insulin response due to the release of counter-regulatory hormones and proinflammatory cytokines affects the metabolism of macro- and micro-nutrients, leading to the typical complications of the diabetic patient, potentially inducing or aggravating a state of undernutrition. Medical nutritional therapy plays a fundamental role in glycometabolic compensation and although the majority of hospital P. Magnanini, A. Lapolla UOC Diabetologia e Dietetica, ULSS 16 Padova Corrispondenza: dott.ssa Patrizia Magnanini, Ospedale S. Antonio, via Facciolati 71, 35126 Padova e-mail: [email protected] G It Diabetol Metab 2015;35:60-68 Pervenuto in Redazione il 19-01-2015 Accettato per la pubblicazione il 20-01-2015 Parole chiave: diabete, malnutrizione, terapia medica nutrizionale, nutrizione artificiale Key words: diabetes, undernutrition, medical nutritional therapy, artificial nutrition La nutrizione artificiale, enterale e parenterale, nel paziente diabetico in-patients receive oral nutritional support, there are others who need artificial enteral (EN) or parenteral (PN) feeding. Both of these work perfectly well to avoid the negative effects of fasting, and to treat malnutrition, optimizing glycemic control. A therapeutic plan must therefore be designed to define each patient’s nutritional requirements, the route of administration, the kind of dietary products, and parameters useful for the followup. This approach calls for a multidisciplinary team that can provide appropriate responses to the different clinical requirements. Premessa Secondo l’OMS sono circa 347 milioni le persone affette da diabete in tutto il mondo: 52 milioni sono all’interno della Regione europea. L’American Diabetes Association (ADA) pubblica ogni 5 anni un’analisi dettagliata dei costi del diabete negli Stati Uniti. L’ultima, riferita al 2012, riporta circa 22,3 milioni di Americani affetti da diabete (oltre il 7% della popolazione totale). In Italia i dati ISTAT relativi al 2011 rilevano circa 3 milioni di persone affette da diabete: il 4,9% della popolazione. A livello internazionale la prevalenza del diabete mellito negli adulti ospedalizzati è stimato tra il 12 e il 25%: negli USA approssimativamente un paziente su 4 ha all’ingresso in ospedale una diagnosi di diabete(1). In Italia la prevalenza è tra il 5 e il 25%: in particolare nei reparti di interesse cardiovascolare può raggiungere percentuali del 50-70%. Nel periodo 2001-2010 sono stati oltre 7,6 milioni i ricoveri correlati al diabete in Italia(2): tra questi il 3,5% era dovuto alle complicanze acute della malattia. Secondo il rapporto ARNO 2011 il 19% delle persone con diabete ha effettuato almeno un ricovero e un accesso in day hospital in quell’anno. Poiché un’iperglicemia non controllata in soggetti ospedalizzati con o senza precedente diagnosi di diabete è associata a una peggiore prognosi e a più lunghi tempi di degenza(3), tutti i pazienti, diabetici e non, oltre a essere sottoposti allo stretto controllo farmacologico dovrebbero essere valutati dal punto di vista nutrizionale. In condizioni di elevato catabolismo l’alterata risposta all’insulina indotta dal rilascio di ormoni controregolatori e di citochine proinfiammatorie va a influire sui metabolismi dei diversi macro- e micronutrienti determinando le tipiche complicanze del paziente diabetico ospedalizzato: acute, come iper- e ipoglicemia, dislipidemia, disidratazione, aumentato rischio trombotico, infezioni, e croniche, come micro- e macroangiopatia. Viene inoltre compromessa la composizione corporea (aumentata lipolisi e catabolismo proteico) inducendo o aggravando uno stato di malnutrizione. Ecco che la terapia nutrizionale (medical nutrition therapy, MNT) viene a giocare un ruolo fondamentale nella gestione dell’iperglicemia nei soggetti diabetici ospedalizzati con l’obiettivo di provvedere a un adeguato apporto caloricoproteico e ottimizzando il controllo glicemico. Studi controllati osservazionali e randomizzati indicano che un miglioramento nel controllo glicemico determina una minore frequenza di complicanze ospedaliere sia nei pazienti internistici(4) sia in quelli chirurgici(5). 61 Ma mentre l’equilibrio glicometabolico nel diabetico in alimentazione orale si ottiene con una terapia dietetica per os, abbinata o meno a farmaci ipoglicemizzanti o insulina, nel soggetto in nutrizione artificiale (NA), enterale (NE) o parenterale (NP) si dovrà porre particolare attenzione alle rispettive miscele nutrizionali facendo ricorso, se necessario, solo all’insulina. La NA nei soggetti diabetici o con iperglicemia da stress risulta argomento di notevole importanza nell’ambito della nutrizione clinica, ma necessita di ulteriori studi. Infatti, la prevalenza dell’iperglicemia in pazienti ospedalizzati che beneficiano di un supporto nutrizionale è estremamente elevata: secondo una rilevazione recente effettuata in 126 ospedali americani, una glicemia > 180 mg%cc o > 10 mmol/l era presente nel 46% dei ricoverati in UTI (unità di terapia intensiva) e nel 31,7% in altri reparti(6). Si stima che circa l’8% dei ricoverati benefici di un supporto nutrizionale enterale sotto forma di supplementazioni o per coprire la totalità dei fabbisogni nutrizionali. Un ulteriore 2-3% dei pazienti trae vantaggio da una nutrizione parenterale totale (NPT) per le stesse ragioni(7). Nel 2006 il Gruppo di Studio ADI-AMD Nutrizione e Diabete ha emanato delle raccomandazioni sul trattamento insulinico dell’iperglicemia nei pazienti in nutrizione artificiale. Più recentemente differenti società scientifiche hanno proposto altre raccomandazioni per la gestione dell’iperglicemia in corso di NA nei pazienti diabetici(8-10). Si tratterebbe però di raccomandazioni con un livello di prove piuttosto modesto, con carenza di dati obiettivi, con studi condotti senza distinguere tra diabetici e soggetti con iperglicemia da stress, ricoverati in UTI e in altri reparti(11). Se ne deduce che sono necessari nuovi studi prospettici che includano un numero sufficiente di pazienti al fine di definire al meglio gli obiettivi glicemici, i tipi di preparazioni nutrizionali e gli schemi di trattamento insulinico da utilizzare, non solo in termini di controllo metabolico, ma anche per l’impatto sulla morbilità e mortalità di questi pazienti. Recenti studi hanno evidenziato l’importanza del ruolo rivestito dal team diabetologico multidisciplinare nella gestione dell’iperglicemia in pazienti diabetici in NA(12). Nutrizione artificiale enterale e parenterale La NA è una terapia mediante la quale è possibile soddisfare interamente i fabbisogni nutrizionali di soggetti altrimenti non in grado di alimentarsi sufficientemente per via naturale(13,14). In ambito ospedaliero il trattamento con la NA risulta indicato in: – presenza di malnutrizione severa o moderata con un apporto alimentare insufficiente per più di 5 gg; – “rischio” di malnutrizione ma previsione di insufficiente apporto calorico orale per più di 10 gg; – presenza di ipercatabolismo grave o moderato ma con stima di assunzione nutrizionale insufficiente per più di 7 gg. La malnutrizione include alterazioni derivanti sia da carente apporto di nutrienti sia da eccessivo apporto sia da alterato metabolismo degli stessi. 62 P. Magnanini e A. Lapolla Nel soggetto ospedalizzato essa è la risultante di un deficit, acuto o cronico, di substrati proteici ed energetici (malnutrizione proteico-calorica, MPC) con conseguente sarcopenia ed espansione del comparto extracellulare. La MPC va considerata “malattia” nella malattia e come tale trattata in quanto associata a incremento di morbilità e mortalità(15) nonché dei costi legati a una richiesta di cure maggiori e una più prolungata degenza(16). Il principale parametro per valutare l’entità della MPC è ancora la perdita di peso corporeo (Tab. 1): l’entità del calo ponderale in grado di condizionare un peggioramento dell’evoluzione clinica è accettato come significativo se involontario e > 10% negli ultimi 6 mesi o > 5% in un mese. Anche un body mass index (BMI = kg/m2) < 18,5 (< 21 nell’anziano) è un criterio di malnutrizione per quanto non consenta una valutazione sufficientemente accurata della composizione corporea(17). Mentre un digiuno totale per meno di 2-3 gg in soggetti sani comporta una deplezione principalmente di glicogeno e acqua pari al 2-3% del peso corporeo, in pazienti ospedalizzati ipercatabolici, la deplezione nutrizionale si instaura assai più rapidamente. Altri parametri clinici possono essere utilizzati per diagnosticare e quantificare la MPC: in particolare l’albumina, la transferrina, la prealbumina, la conta linfocitaria. Non si tratta comunque di indici sierici specifici dello stato nutrizionale, pur rappresentando spesso dei marcatori di presenza e gravità della malnutrizione(18,19). La valutazione dello stato nutrizionale Tabella 1 Valutazione nutrizionale. Malnutrizione Parametro Lieve Moderata Grave Calo ponderale 5-10% 11-20% > 20% (su peso abituale) 2 IMC (o BMI) (kg/m ) 17-18,4 16-16,9 < 16 Indice 99-80 79-60 > 60 creatinina/altezza Albumina (g/dl) 3,5-3,0 2,9-2,5 < 2,5 Transferrina (mg/dl) 200-150 149-100 < 100 Prealbumina (mg/dl) 18-22 10-17 < 10 Retinol-binding 2,9-2,5 2,4-2,1 < 2,1 protein (mg/dl) 3 Linfociti/mm 1500-1200 1199-800 < 800 Qualora non sia acquisibile alcuna informazione sul peso abituale ci si può riferire alla stima del peso ideale Calo ponderale (su peso ideale) 10-20% Modificata da Linee Guida SINPE 2002(13). 21-40% > 40% deve poi comprendere anche una valutazione metabolica atta a definire la relazione tra lo stato nutrizionale e la gravità della malattia in atto. In tal senso un supporto nutrizionale adeguato può migliorare l’efficacia della terapia specifica della patologia di base, prevenire lo sviluppo della malnutrizione e favorire la guarigione. La determinazione qualitativa e quantitativa del supporto nutrizionale deve partire dall’identificazione dei fabbisogni del singolo individuo relativamente alle condizioni cliniche in cui si trova (stato nutrizionale, stato metabolico, patologia e relative terapie) che possono modificare il grado di tolleranza ai vari substrati. Gli apporti devono mantenersi entro un range ben definito, evitando errori per carenza o eccessi, con step di incremento o decremento fino a ottenere l’obiettivo terapeutico. Il fabbisogno calorico, espresso in kcal, è determinato dal dispendio energetico basale (basal energy expenditure, BEE) e dal grado di attività fisica, e varia con l’assunzione degli alimenti e con gli stati patologici. Nel caso in cui non si disponga di tecniche di misurazione personalizzata del dispendio energetico di può ricorrere ad altre formule che, adeguatamente corrette per i coefficienti di attività e patologia, forniscono una stima sufficientemente accurata del fabbisogno energetico totale. Nel complesso si evince che i pazienti si giovano di apporti calorici giornalieri compresi tra le 20 e le 35 kcal per kg di peso attuale(13) (da 25,1 kcal/kg/die a 35,14 kcal/kg/die nel paziente critico)(20). La tolleranza all’apporto calorico è limitata dalla capacità di metabolizzare i substrati in carboidrati (4-5 mg/kg/min) e in lipidi (2,5 g/kg/die). Nel paziente critico si consiglia di non superare i 5 g/kg/die di carboidrati e 1 g/kg/die per i lipidi, per via venosa(21). L’apporto proteico dovrà tendere a coprire le perdite di azoto ed è in stretta relazione con il livello di stress e di catabolismo. È necessario dunque eseguire una stima di tale bilancio dato dalla differenza tra azoto introdotto e azoto perduto. La perdita di azoto (Tab. 2) definisce lo stato metabolico del paziente: – normale (perdita di N < 5 g/die); – catabolismo lieve (perdita di N 5-10 g/die); – catabolismo aumentato (perdita di N 10-15 g/die); – catabolismo grave (perdita di N > 15 g/die). Il fabbisogno proteico (6,25 g di proteine = 1 g di azoto) viene programmato in relazione alla finalità della NA: contenimento delle perdite, ripristino del patrimonio proteico perduto, mantenimento delle scorte proteiche. Esso, nell’adulto in assenza di insufficienza d’organo (con funzione renale ed epatica normale), Tabella 2 Classificazione del catabolismo. Perdita di N Normale < 5 g/die Catabolismo lieve 5-10 g/die Catabolismo moderato 10-15 g/die Catabolismo grave > 15 g/die Modificata da Linee Guida SINPE 2002(13). 63 La nutrizione artificiale, enterale e parenterale, nel paziente diabetico Tabella 3 Fabbisogni calorico proteici in corso di nustrizione artificale. Fabbisogni Calorici Proteici Azotati kcal/kg/die g AA/kg/die g N/kg/die Normale 20 1 0,16 Aumentato 25-30 1,2-1,8 0,2-0,3 Elevato 30-35 2-2,5 0,3-0,4 Modificata da Linee Guida SINPE 2002(13). varia tra 0,8 e 2 g/kg/die (per il paziente critico da 1,2 a 2,0 g/kg/die)(22) (Tab. 3). Il fabbisogno idrico dell’adulto in assenza di perdite patologiche e di insufficienza d’organo (con funzione renale, cardiorespiratoria ed epatica normale) varia tra 30 e 40 ml/kg/die o tra 1 e 1,5 ml/kcal somministrate. I microelementi, cioè le vitamine e gli elementi traccia (oligoelementi) costituiscono un gruppo di nutrienti essenziali che sempre devono essere somministrati in corso di NA, tenendo conto dello stato nutrizionale e della patologia di base. Posta l’indicazione alla NA, nella scelta della via di somministrazione (algoritmo, Fig. 1) da utilizzare si deve privilegiare la NE, in assenza di controindicazioni. Recentemente si è sempre meglio definita l’importanza di un apporto calorico anche minimo per via enterale non a scopo nutrizionale, ma trofico per l’enterocita (minimal enteral feeding). In questo caso la NP può integrare la NE per raggiungere gli apporti globali programmati. I vantaggi della NE sulla NPT sono ormai assodati: mantenimento dell’integrità anatomo-funzionale della mucosa intestinale con una migliore utilizzazione dei substrati nutritivi(23), facilità e sicurezza di somministrazione, minor costo(24,25). Le principali condizioni cliniche nelle quali la NE è in genere controindicata sono: – occlusione o subocclusione cronica intestinale di origine meccanica; – grave ischemia intestinale su base non ipovolemica; – fistole digiunali o ileali ad alta portata (output > 400 ml/die); – grave alterazione della funzione intestinale secondaria a enteropatie o insufficienza della superficie assorbente, tale da non permettere il mantenimento di un adeguato stato nutrizionale. La NE dovrebbe essere ritenuta terapia routinaria anche in condizioni come la gastroparesi, con una infusione sottopilorica(26), l’ileo paralitico con una infusione di nutrienti per via enterale a bassa velocità che stimola la ripresa della peristalsi(27), le fistole enteriche a bassa portata con un effetto positivo sulla loro chiusura da parte della NE, le resezioni intestinali massive, nel qual caso è consigliabile valutare empiricamente la tollerabilità alla NE(28). Quando la NE non è sufficiente a coprire i fabbisogni del Indicazione alla NA Funzione intestinale Adeguata Insufficiente Via enterale Via pareterale totale Quanto tempo è previsto? Quanto tempo è previsto? < 30 gg > 30 gg < 15 gg > 15 gg Sonda naso-gastrica o naso-digiunale Stomia Via periferica* Via centrale La copertura dei fabbisogni è assicurata? No Sì Nutrizione enterale Integrazione con nutrizione parenterale totale Figura 1 Algoritmo per la scelta della via di somministrazione della NA (modificata da Linee Guida SINPE 2002)(13). * Se non vi è necessità di restrizione idrica, se le vene periferiche sono agibili e se sono sufficienti bassi apporti nutrizionali 64 P. Magnanini e A. Lapolla paziente è comunque indicata una nutrizione mista (NE + NP) piuttosto che una NPT. Mentre nel paziente internistico stabile il supporto nutrizionale deve essere avviato entro 7-10 giorni qualora le ingesta siano inadeguate, nel paziente critico le evidenze cliniche suggeriscono l’avvio di una NE entro 24-48 h dall’evento acuto(29). La scelta del tipo di accesso per la nutrizione, enterale o parenterale, va considerata in relazione allo stato clinico del paziente e sulla durata prevista della NA. In NE l’infusione gastrica richiede una normale capacità di svuotamento gastrico, mentre l’infusione postpilorica è indicata in presenza di esofagite da reflusso, di pregressi episodi di aspirazione nelle vie aeree (ab-ingestis), di gastroparesi, di ostruzione gastrica o, infine, quando si programmi una NE precoce dopo interventi chirurgici maggiori sul tratto digestivo superiore. Qualora la durata della NA sia prevedibilmente breve (inferiore a 30 giorni), non vi sia rischio di aspirazione della miscela nelle vie aeree e non vi siano stenosi invalicabili delle alte vie digestive, la sonda naso-enterica (naso-gastrica, duodenale, digiunale) può essere preferita a una stomia. La gastrostomia eseguita per via endoscopica (percutaneous endoscopic gastrostomy, PEG), è l’accesso enterale più comunemente utilizzato per trattamenti a lungo termine. Sono controindicazioni assolute al posizionamento della PEG l’impossibilità di effettuazione della gastroscopia, una grave coagulopatia, ulcera gastrica o duodenale in atto, pancreatite acuta, peritonite e mancata transilluminazione(30). Benché la nutrizione parenterale (NP) possa essere somministrata anche mediante accessi venosi periferici, la somministrazione efficace e sicura di una NP richiede l’utilizzo di un accesso venoso centrale, in quanto permette di somministrare nutrienti a concentrazioni più elevate (ad alta osmolarità) e volumi di liquidi inferiori rispetto a quanto sarebbe possibile attraverso un vaso periferico, e assicura una maggiore stabilità dell’accesso. L’infusione periferica può essere utilizzata in caso di integrazione di una NE od orale che non copra i fabbisogni del paziente. La via centrale inoltre consente di proseguire la NP per lunghi periodi (mesi o anni), mentre le vie periferiche non sono utilizzabili se non per brevi periodi (alcune settimane) causa i limiti legati alla tolleranza del paziente e alla disponibilità di accessi venosi(31). La nutrizione artificiale nel paziente diabetico Nella pratica quotidiana, la maggior parte dei diabetici ricoverati e non in grado di alimentarsi non riceve un supporto nutrizionale adeguato ai fabbisogni e la malnutrizione calorico-proteica rappresenta un problema rilevante. Nel paziente diabetico con indicazione alla NA, il trattamento nutrizionale va iniziato soltanto quando la glicemia è stata ricondotta a valori < 200 mg/dl in assenza di chetonuria o altre complicanze come disidratazione e iperosmolarità, pur con l’obiettivo di raggiungere valori di glicemia < 150 mg/dl(32). L’ASPEN raccomanda un obiettivo glicemico tra i 140 e i 180 mg/dl (7,8-10 mmol/l)(10). È consigliabile comunque istituire precocemente il supporto nutrizionale, dopo correzione dell’iperglicemia. Tutti gli autori sono concordi sulla necessità di implementare protocolli di infusione insulinica che stabilizzino l’assetto glicometabolico. Il raggiungimento di target glicemici “prossimi alla normalità” deve essere però graduale: anche nelle terapie intensive deve realizzarsi in 6-24 ore, per non aumentare il rischio di ipoglicemia(33). Relativamente al metabolismo glucidico, che non dipende solamente dalla disponibilità di glucosio, ma anche dalla modalità di somministrazione, la NE fornisce uno stimolo insulino-tropico maggiore rispetto alla somministrazione parenterale di un preparato isoglicemico: è evidenza condivisa che i pazienti nutriti tramite alimentazione parenterale richiedano quote maggiori di insulina per ottenere un buon controllo glicemico rispetto ai pazienti nutriti per via enterale (effetto di insulino-secrezione incretino-mediata legato alla NE e non presente con la NP)(34). L’iperglicemia, sia per i pazienti diabetici sia per i non diabetici, è associata a una prognosi peggiore con alto rischio di complicanze (infezioni, insufficienza cardiaca e renale, sepsi, morte)(35,36). Nel paziente diabetico in NP il rischio di sepsi del catetere venoso centrale aumenta di 5 volte(13,37). Pazienti con diabete mellito di tipo 2 setticemici tendono a sviluppare chetoacidosi. Questa, spesso misconosciuta, costituisce un fattore di rischio indipendente di mortalità a breve termine(38). Finney ha chiaramente dimostrato che il controllo metabolico influenza positivamente la sopravvivenza del paziente critico(39). Tale beneficio, nei pazienti critici, è probabilmente correlato all’azione anabolica dell’insulina o ad altri effetti dell’ormone non legati direttamente al metabolismo glucidico. L’induzione della NA deve essere graduale, specie per la quota di glucosio, iniziando il primo giorno con un quantitativo non superiore alla metà della dose prevista. Monitorando la risposta individuale, si incrementa quotidianamente fino a raggiungere la dose target nel giro di 3-7 giorni. Il fabbisogno calorico-proteico della persona con diabete non è dissimile da quello dei non diabetici; da tenere in considerazione l’aumento della spesa energetica riconducibile alla situazione di stress acuto. Nutrizione enterale nel paziente diabetico Negli ultimi 20 anni la ricerca di una composizione ideale della dietoterapia per diabetici ha ricevuto molta attenzione: si è passati da diete iperglucidiche a quelle iperlipidiche o a una mescolanza di entrambe. Quello che è stato dimostrato con il tempo è che più della quantità totale è importante il tipo di carboidrati e grassi(40). Occorre pertanto notare come la composizione delle formule enterali specifiche per il trattamento del diabete rifletta le raccomandazioni prevalenti. Resta da capire se queste formulazioni abbiano effetti positivi a breve e lungo termine per il paziente e quale loro componente sia cruciale per il risultato. Il proporre formule a composizione specifica per pazienti con diabete o iperglicemia da stress viene dalla necessità di man- La nutrizione artificiale, enterale e parenterale, nel paziente diabetico tenere livelli glicemici entro valori normali, modificando il profilo dei lipidi circolanti al fine di ridurre il rischio cardiovascolare con le conseguenti complicanze a lungo termine(41). Le differenze tra una dieta speciale e una dieta standard prevedono nel prodotto per il diabete carboidrati modificati a lenta digestione, fibre prevalentemente o totalmente idrosolubili dotate di bassa viscosità e una miscela di lipidi arricchita in acidi grassi monoinsaturi(42). Numerosi studi hanno valutato l’efficacia delle miscele specifiche per il diabete nel migliorare l’equilibrio glicometabolico rispetto a quello ottenibile con diete-formula standard(43-45). León-Sanz et al. nel 2005 hanno riportato un effetto neutrale sul controllo glicidico e sul metabolismo dei lipidi(46), mentre altri studi condotti successivamente hanno evidenziato una riduzione del picco glicemico, una riduzione dell’HbA1c, della glicemia postprandiale, una ridotta richiesta di insulina(43,47) ma non differenze sostanziali per quanto riguarda l’efficacia sul profilo lipidico(48) nonché l’evenienza di ipoglicemie e di mortalità. Si tratta però di casistiche limitate per numero di pazienti e per durata degli studi. Sono state utilizzate poi dietoterapie a composizione diversa e quindi difficilmente comparabili nei risultati. Elia et al. ancora nel 2005 svolsero una revisione sistematica e metanalisi per definire l’efficacia del supporto enterale nei pazienti diabetici concludendo che l’utilizzo di diete-formula patologia-specifiche si associa a: minore incremento della glicemia postprandiale, più basso picco glicemico, ridotta AUC (area under the curve) glicemica(42). Le diete-formula proposte per la nutrizione enterale nel paziente diabetico, disponibili in commercio nel nostro Paese, hanno un variabile apporto sia di lipidi sia di carboidrati: – iperlipidiche (monounsaturated fatty acid, acidi grassi monoinsaturi, MUFA) e ipoglucidiche con lipidi dal 41 al 50% e carboidrati dal 31 al 40%; – moderatamente ipoglucidiche con lipidi dal 33 al 37% e carboidrati dal 43 al 51%. Fra le diverse diete-formula patologia-specifiche per il diabete attualmente disponibili, sembrerebbe più opportuno utilizzare quelle a più elevato contenuto di MUFA e a più basso contenuto di SFA (saturated fatty acid), a ridotto apporto di carboidrati (basso indice glicemico), con fruttosio, ricche di fibre e di fruttooligosaccaridi (FOS)(46). I carboidrati utilizzati in NE sono polisaccaridi a basso indice glicemico come amido di tapioca modificato, maltodestrine modificate, maltitolo e un apporto limitato (assente in alcune formule) di fruttosio(49). Relativamente alla composizione lipidica i dietoterapici per il paziente diabetico contengono una maggiore quantità di MUFA che concorrono alla riduzione dei trigliceridi, a un aumento o stazionarietà del HDL-colesterolo, a un miglioramento della sensibilità all’insulina e della risposta glicemica(50), a una migliore funzione endoteliale e a un aumento del GLP1(51-53). Le fibre vegetali utilizzate possono essere oligosaccaridi della soia(54,55), idrolisati di guar(56) o FOS(57). La dose è di 15 g per 1000 kcal. L’aggiunta di fibre vegetali alla dieta enterale polimerica, fatta allo scopo di ottimizzare la funzione gastrointestinale (migliorando la diarrea e prevenendo la stipsi) contribuisce, però, solo modestamente al 65 miglioramento del compenso glicemico(58,59). Nel paziente critico in UTI la tolleranza alle fibre dipende dalla funzionalità del tratto gastrointestinale e quindi il loro utilizzo dev’essere considerato sulla base del contesto clinico. In particolare, pazienti ad alto rischio di dismotilità intestinale non dovrebbero assumere fibre, specie la frazione insolubile(60). Nei soggetti diabetici affetti da gastroparesi (sazietà precoce, nausea, vomito, eruttazioni) non in grado di alimentarsi adeguatamente la scelta della via enterale digiunale, bypassando lo stomaco, può migliorare la sintomatologia. In questi casi possono essere utili gastrocinetici e, ovviamente, un più attento controllo glicometabolico. È possibile dover ricorrere alla dieta standard per NE, proprio per limitare gli effetti della gastroparesi sull’assunzione dei nutrienti(61). Tra i fattori che influenzano l’andamento glicemico in diabetici in NE, oltre all’apporto calorico totale e alla composizione del dietoterapico somministrato, troviamo la modalità di somministrazione (bolo, intermittente o continua, infusione per gravità o tramite pompa nutrizionale) essendo il trattamento insulinico in relazione allo schema con cui viene effettuata la NE. Il rischio dell’insulina a lunga durata di azione, soprattutto se si usano alti dosaggi, sono le ipoglicemie che possono essere presenti quando viene interrotta la NE, per motivi tecnici legati o alla stessa nutrizione o alla patologia di base. L’utilizzo di una pompa peristaltica ne riduce al minimo i rischi(62). Nutrizione parenterale nel paziente diabetico Sono noti gli effetti positivi determinati da una NPT nel migliorare lo stato nutrizionale di soggetti ospedalizzati malnutriti. Tuttavia sono numerosi gli studi retrospettivi e prospettici che hanno evidenziato come l’uso della NPT sia un fattore di rischio indipendente per l’insorgenza o l’aggravamento di una iperglicemia, anche senza anamnesi positiva per diabete(63) e come l’iperglicemia in pazienti in NPT si associ a un aumento della mortalità intraospedaliera(4,64). Indipendentemente dal reparto di appartenenza, il paziente in NA va considerato critico e quindi trattato di conseguenza. Lo stress secondario alla patologia acuta determina numerose modificazioni del metabolismo glucidico, come un’aumentata richiesta periferica di glucosio, un’aumentata produzione di glucosio a livello epatico e un’aumentata resistenza insulinica. A causa di questi fattori la quantità di glucosio infuso per via parenterale inizialmente deve essere tra i 50 e i 150 g/die, in relazione alla presenza di iperglicemia. Tale infusione va iniziata, di norma, solo quando la glicemia è a valori ≤ 200 mg/dl. Una volta raggiunta la normoglicemia il glucosio può essere incrementato di 50 g/die(65). L’apporto di glucosio consigliato, in condizioni di stabilità, deve essere pari a 4-5 g/kg/die rispetto ai 6-7 g/kg/die nei non diabetici. Alcuni autori ipotizzano, infatti, che una quota di carboidrati maggiore di 5 g/kg/die superi la capacità ossidativa del glucosio, determinando severe iperglicemie(66,67). Non è stato dimostrato alcun vantaggio pratico dalla sostituzione nella miscela per NP del glucosio con xilitolo, fruttosio 66 P. Magnanini e A. Lapolla o sorbitolo(68) e quindi i soggetti diabetici che richiedono una NPT andrebbero trattati con miscele nutrizionali simili a quelle usate nei non diabetici, insieme a un trattamento insulinico adeguato (somministrato con una infusione separata)(69). La somministrazione di lipidi in quantità pari a circa il 30% dell’apporto calorico non proteico dovrebbe essere presa in considerazione nei pazienti catabolici malnutriti. La quantità raccomandata è tra 0,7 g/kg/die e 1,5 g/kg/die (nel paziente critico si consiglia di non superare 1 g/kg/die)(70) mantenendo l’infusione per almeno 10-12 h(71). Infatti, il rischio di complicanze da uso di lipidi per via venosa (alterazioni immunologiche, piastriniche, polmonari, aumento del colesterolo totale plasmatico, riduzione delle HDL) è correlato prevalentemente a una elevata velocità di infusione e a un dosaggio eccessivo rispetto al fabbisogno energetico di base. Il ricorrere a emulsioni lipidiche a concentrazioni al 20% riduce l’apporto di fosfolipidi: un rapporto ridotto tra colesterolo libero e fosfolipidi può aumentare la fluidità delle membrane cellulari con conseguenti alterazioni funzionali(72). Non meno del 3% delle calorie totali dovrebbe essere somministrato come lipidi a lunga catena per soddisfare le richieste di acidi grassi essenziali tenendo conto però che consistenti dati della letteratura individuano nell’uso prolungato di emulsioni lipidiche a base di LCT (long-chain-triglyceride) uno dei fattori eziologici della colestasi cronica correlata alla NPT(73). L’utilizzo di emulsioni miste (LCT e medium-chain-triglyceride, MCT) pare non alterare la funzione del sistema reticolo-endoteliale e ridurre la lipogenesi epatica. Le miscele lipidiche contengono grandi quantità di isomeri della vitamina E con attività biologica scarsa ma in competizione con l’isomero attivo alfa-tocoferolo per il trasporto intracellulare: di conseguenza è utile associare alle infusioni lipidiche una quota elevata di vitamina E attiva. Di norma si consiglia un apporto proteico sostanzialmente normale e cioè 0,8-1,2 g/kg/die di peso ideale, benché debba essere aumentato nel paziente diabetico in condizioni ipercataboliche. L’apporto proteico ottimale per un paziente critico dovrebbe essere di 1,5-2,5 g/kg/die (0,25-0,4 g/kg/die come N) di peso reale. Generalmente si richiede un apporto di energia espressa come quota calorica non proteica di 150-160 g N. Teoricamente si dovrebbe raggiungere un bilancio di azoto positivo solo nel periodo di renutrizione per mantenere in seguito un bilancio in pari tenendo conto delle perdite e delle capacità assorbitive. Conclusioni Il crescente numero di persone affette da diabete, dovuto anche al progressivo invecchiamento della popolazione, comporta un impatto notevole sull’assistenza sanitaria e sui costi a essa legata. Un’iperglicemia non controllata in soggetti ospedalizzati si associa a una prognosi peggiore e a più lunghi tempi di degenza. Spesso i pazienti, anche diabetici, non in grado di alimentarsi adeguatamente, non ricevono un supporto nutrizionale adeguato ai fabbisogni e la malnutrizione calorico- proteica diventa un problema rilevante. Pertanto questi pazienti, oltre a essere sottoposti allo stretto controllo farmacologico, dovrebbero essere valutati dal punto di vista nutrizionale con l’obiettivo di provvedere a un adeguato apporto calorico-proteico, ottimizzando nel contempo il controllo glicemico. La terapia nutrizionale gioca un ruolo importante sul compenso glicometabolico e per alcuni si realizza la necessità di una NA, enterale o parenterale. A tal fine è importante però elaborare un piano terapeutico che definisca, in relazione al quadro clinico, i fabbisogni nutrizionali del paziente, la via di somministrazione degli stessi, la tipologia del dietoterapico da utilizzare e prevedere i parametri da utilizzare per il monitoraggio. Il modello organizzativo richiede un team qualificato che attraverso le varie professionalità operi adattando gli interventi alle singole necessità. Conflitto di interessi Nessuno. Bibliografia 1. Farrokhi F, Umpierrez GE. Glicemic controlin non-diabetic critically ill patients. 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