la fotografia di paesaggio

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la fotografia di paesaggio
la fotografia di paesaggio
dal grand-tour a Luigi Ghirri. come cambia la fotografia di paesaggio
1860-1960
Tutor Nicoletta Boraso
studenti Di Fonzo Claudia,
Aleksandra Makowska Ferenc,
Mattia Migliori
Il grand tour.
Questa espressione venne usata per la prima volta da Richard
Lassels nel suo "Voyage of Italy" pubblicato nel 1670.
Il Grand Tour costituiva il momento conclusivo
dell'educazione umanistica inglese e consisteva in un viaggio,
che poteva durare alcuni mesi o addirittura anni, attraverso
vari Paesi europei come la Francia, la Svizzera, La Germania,
le Fiandre, ma la cui meta classica era l'Italia, e in
particolare Roma. Ecco perché in molti casi si parla
semplicemente di un "viaggio in Italia", sebbene in realtà
vengano visitati anche altri Paesi.
Il Grand Tour, almeno fino alla seconda metà del '700, era
dunque la meta finale, di completamento e affinamento di chi
era destinato a diventare parte della classe dirigente inglese
e il fenomeno interessò la ricca borghesia in ascesa.
h"p://electronica.unifi.it/online/i2_toscana/i22/sito/i22.htm il più importante scopo del viaggiare era la conoscenza
dell'umanità, pertanto i diari di viaggio fornivano
informazioni sui luoghi visitati e sui popoli che li
abitavano. h"p://electronica.unifi.it/online/i2_toscana/i22/sito/i22.htm le mete.
Alla rappresentazione grafica e pittorica di vedute, monumenti
e antiche rovine, i viaggiatori, turisti dell’epoca, finirono
per prediligere la nuova tecnica fotografica, perché la
rapidità di produzione iconografica e la possibilità di scegliere
il proprio soggetto, si accompagnavano a vantaggi economici e
tempi di attesa ridotti.
Il grand-tour attraversa la penisola Italiana da Nord a Sud e le
città principali furono Torino, Milano, Genova, Venezia,
Firenze, Roma, Napoli, Pompei, Capri ma anche le Alpi.
Non c’era un itinerario obbligato e si viaggiava in carrozza. imago romae- alberto manodori - 2010 la fotografia del grand-tour.
La dialettica che si instaurò dalla prima parte dell’ 800 tra
pittura e fotografia, vide i pittori - da Turner a Ruskin (che
oltre agli schizzi e agli acquarelli), ai francesi – realizzare essi
stessi dei dagherrotipi (e poi albumine) come schizzi da cui
copiare i paesaggi che intendevano poi dipingere, come già
facevano per i ritratti in posa, risparmiando così tempo e
denaro. Il paesaggio italiano. Fotografie 1950-2010 – Walter Liva Ruskin.
pittore fotografo di paesaggi
Ruskin è alla ricerca di un mezzo da affiancare all’osservazione diretta per
potenziare lo studio dell‘architettura e acquista per la prima volta dei
dagherrotipi (venti lastre da un francese) nel 1845 a Venezia.
Ruskin considera i dagherrotipi «più validi di qualsiasi schizzo dal
punto di vista dell’informazione» e quindi i propri schizzi
«semplicemente dei pro-memoria».
I dagherrotipi di soggetti lucchesi risultano essere stati raccolti da Ruskin
come documenti da utilizzare per studi più precisi.
Il dagherrotipo è ovviamente un’immagine rovesciata rispetto al vero.
Copiando il dettaglio del suo acquarello per l’incisione a cera molle Ruskin
non si preoccupa del fatto che l’immagine stampata risulti rovesciata
rispetto al vero.
Ruskin disegno e fotografia – Giovanni Fanelli 15 16 15 - Pisa, Santa Maria della Spina, 1846, dagherrotipo.
16 - J. Ruskin, Pisa, Santa Maria della Spina, acquarello, inchiostro e matita. .
lo stile fotografico dei Grand tourists
Emersero nuove teorie.
L’impressionismo sviluppatosi in Francia intorno alla metà del
1800 pose il problema di nuovi valori formali, rivalutando
la luce e il colore come mezzi per esprimere le
impressioni suscitate dalla natura sull’artista.
Nel 1889 Peter Henry Emerson teorizzava in
“Pictorial Photography for student of art” che
la fotografia al pari dell’occhio umano deve mettere a
fuoco un piano alla volta, poiché
“ non deve mostrare necessariamente la verità, ma ciò
che vede l’occhio umano” Il paesaggio italiano. Fotografie 1950-2010 – Walter Liva Carlo Naya.
Venezia 1860
Nasce in Italia nel 1816.
Queste inquadrature di Naya non corrispondono ad un tema già
visto in fotografia, ma rappresentano la vera invenzione
della veduta fotografica di Venezia. Le vedute del Canaletto
hanno per anni creato la veduta iconografica di Venezia, ma con
Carlo Naya si va a inserire un nuovo canone estetico delle
vedute dei paesaggi delle città. Diverso dalle immagini
iconiche dei dipinti di Canaletto. Carlo Naya Si stabilì in piazza
S. Marco con un atelier e fu il primo nel 1860. Si dedicò a
Vedute architettoniche e paesaggistico-ambientali della
città. Ha realizzato le immagini simbolo di Venezia.
imago romae- alberto manodori - 2010 Venezia
iconografie e “nuove vedute”
Osservando Venezia, rimaniamo colpiti da vedute che rimandano
ad un immaginario già conosciuto e già visto.
Siamo abituati a vedere immagini iconiche come ad esempio le
vedute del Canaletto del 1700.
Veduta iconografica di
Venezia –
Canaletto 1730 circa imago romae- alberto manodori - 2010 Venezia di Carlo Naya 1860
Venezia viene ripresa dall’isola di
S. Giorgio in modo da porre in primo
piano la gondola e il gondoliere e lo
sfondo di S. Marco in secondo piano.
(La gondola lega la città al mare)
Un'altra veduta fa vedere il gondoliere in
attesa sulla acqua tremolante con la città
sullo sfondo. Il contrasto delle tonalità chiare
quasi evanescenti con le parti scure del soggetto
in primo piano e la romantica solitudine di
questo simbolo della città lagunare lascia
pensare al fascino e alla bellezza di una veduta
realizzata ad acquerello.
imago romae- alberto manodori - 2010 Riva degli schiavoni con il suo molo affollato di barche e una figura senza tempo
di marinaio intento ad osservare lo spettacolo del canal grande. Le cartoline.
Il paesaggio come veduta
dalla fine dell’800 al 1930
Di pari passo all’espandersi in Italia degli studi e atelier
fotografici, la fotografia commerciale verso il 1880 si orientò
verso la produzione di vedute per “cartoline” che il
tipografo ed editore Danesi di Roma nel 1889 fu il primo a
produrre: si trattava di fotografie di monumenti e
panorami delle principali città italiane che già i fratelli
Alinari avevano iniziato a fotografare incidendo quelle
immagini nella memoria collettiva legata alla tradizione
rinascimentale. Il paesaggio italiano. Fotografie 1950-2010 – Walter Liva Esempio di Cartolina del 1899 con vista sul colosseo-Roma il paesaggio nelle cartoline.
Siamo di fronte ad un rinnovamento dell’immagine, non abbiamo più
immagini che si rifanno all’antico vedutismo ma una rinnovata
qualità e sperimentalismo. La cartolina dal periodo che va dalla fine 800 al
1930, rappresenta il più oggettivo e abbondante strumento di studio
delle trasformazioni del gusto all’interno dell’immagine di massa, colta
e popolare. I soggetti sono i soliti inseriti da secoli nella tradizione
iconografica monumentale delle città. Ma la “vera fotografia”
permette un ampliamento delle tematiche e soprattutto ai modi di
approccio ad alcuni di essi, che per essere meno vincolanti, si prestano ad
una più immediata sperimentazione artistica (esempio è la campagna
romana).
Si realizzano quindi variazioni artistiche sul tema come ad esempio
la campagna. La cartolina, è destinata alla diffusione e non alla
documentazione, ha il compito fondamentale di far conoscere queste
trasformazioni, di inserirle, nel panorama delle vedute della città.
Enrico Guidoni – Roma in cartolina – Ed Kappa Esempio di Cartolina del 1906 con vista del foro Romano - Roma Esempio di Cartolina di fine ‘800 con fotografia dei Fratelli Alinari - Anzio il paesaggio italiano
nel dopoguerra
Chi ha svolto un ruolo di rilievo intorno al 1950 è stato il
Touring club italiano, che nel corso degli anni ha costituito
un corposo patrimonio fotografico sul paesaggio tentando di
“rimuovere lo stereotipato e radicato concetto di
rappresentazione del paesaggio, così come lo avevano
impostato i pittori, e che spesso era stato ribadito dai
fotografi”. Grazie a Bruno Stefani (Mi 1901-1976) il TCI
realizzò nel 1956 il volume “l’Italia in 300 immagini” le cui
fotografie si sono trovate a metà strada tra la necessità di
fornire una visione del paese il più possibile neutra e
oggettiva e la volontà del fotografo di sfruttare le
caratteristiche peculiari della fotografia.
Il paesaggio italiano. Fotografie 1950-2010 – Walter Liva dal libro l’Italia in 300 immagini 1956 -TCI Piazza Armerina (EN), Italia, 1930 – 1940 – Bruno Stefani
Grottacalda - Miniera di zolfo - Veduta dal pozzo Mezzena – Bruni Stefani
Carrara (MS), Italia, 1930 – 1938 – Bruno Stefani
Grottacalda - Miniera di zolfo - Veduta dal pozzo Mezzena – Bruni Stefani
la fotografia di paesaggio nel
1960
Negli anni 60 il paesaggio nelle sue varietà di forme venne
rappresentato sia dai paesaggisti veri e propri che da
fotografi che con punti di vista diversi e stili diversi,
contribuirono a dare una nuova visione oggettiva,
realista dell’ Italia.
Anche Pietro Donzelli aveva raccontato un Italia pre-industriale senza
idealizzazioni e senza denunce: paesaggi incantati, luci alte e sospese, gesti
semplici e quotidiani. Nel 1947 Giuseppe Cavalli fondava la Bussola associazione di fotografi il
quale stile ricercava nel paesaggio dei contenuti estetici dati anche dal
valore “emozionale” nel godimento del paesaggio stesso.
A Venezia nasceva La gondola cui fece parte Gianni Berengo Gardin
che ha fotografato il paesaggio d’Italia negli anni delle sue massicce
trasformazioni favorendo così l’emergere di “un idea nuova del nostro
territorio”.
A Spilimbergo nasce il CCF con Italo Zannier il quale si ispirò al
neorealismo e fù l’unico gruppo di fotografi a dotarsi di un manifesto.
Il paesaggio ridiventa lo sfondo che fa percepire le condizioni
dell’esistenza.
Fulvio Roiter lo troviamo a Venezia 1954 con uno sguardo neorealista.
Elio Ciol si dedicò alla fotografia d’arte invece e al paesaggio diventato
“silenzioso, privo di presenze umane, popolato da file di gelsi che si
perdono nella nebbia o svettano solitari come totem o sculture sacre,
modellate dalla natura.
.
Il paesaggio italiano. Fotografie 1950-2010 – Walter Liva Giuseppe Cavalli
Pietro Donzelli – delta del po - 1954
Gianni Berengo Gardin – Toscana 1968
Grottacalda - Miniera di zolfo - Veduta dal pozzo Mezzena – Bruni Stefano
Luigi Ghirri
e “Viaggio in Italia” 1984
Intorno alla metà degli anni settanta prese corpo un’esperienza dalla quale
una generazione di fotografi, destinata a divenire un punto fermo nel
panorama della fotografia di paesaggio non solo italiana, ha raggiunto la
prima maturità: Luigi Ghirri, Gabriele Basilico, Mimmo Jodice,
Francesco Radino, George Tatge hanno fatto emergere, con criteri
ideologici ed estetici diversi, una nuova coscienza fotografica,
capace di coniugare la documentazione e l’innesto delle poetiche
concettuali che stavano maturando nello stesso periodo nell’ambito
artistico. Tutto questo lavoro di ricerca divenne nell’ 84 l’emblematica
mostra “Viaggio in Italia”, che presentò spazi secondari o
dimenticati, privilegiandoli rispetto alle inquadrature tradizionali
del Grand Tour, per la realizzazione di un nuovo atlante per
immagini sull’idea del paesaggio italiano.
Il paesaggio italiano. Fotografie 1950-2010 – Walter Liva Cos’è “Il viaggio in Italia” ?
Il Viaggio in Italia è il viaggio dentro l’immagine,
vuol dire la storia dell’immagine di un paese.
Viaggio In Italia – 1984 - Luigi Ghirri
il libro come modello di spazio fisico
Il libro è legato ad un modello legato allo spazio fisico.
I capitoli si chiamano: A perdita d’occhio, il vero luogo quale sarà?,
capolinea, centro-città e si chiude al tramonto.
Un viaggio attraverso le campagne, passando dalle periferie fino
agli interni delle case.
Uno dei capitoli come a perdita d’occhio, racconta la campagna e
non solo, vengono raccontate le coste, prendendo spunto anche dalla
copertina del libro che ci fa pensare ai viaggi che noi possiamo fare in Italia.
Ma la campagna esiste davvero ? La campagna è un bordo urbano,
sono margini creati dall’uomo, è quello spazio privo
d’insediamenti, che noi siamo abituati a vedere senza però
osservarla nei suoi dettagli e analizzarla come campagna vera e
propria.
Due fotografi che hanno partecipato alla costruzione del “Il viaggio in
Italia” , molto diversi fra loro cui meritano attenzione sono
Mario Cresci e Claude Nori.
cos’è il nuovo paesaggio?
Il libro sostanzialmente nasce da un problema che si sono posti i
fotografi a cui non c’è una risposta giusta o sbagliata, ovvero:
Che taglio scegliere per costruire un discorso reale sul nostro paese, cioè
sulla nostra cultura? L’idea è che la fotografia sia riflessione sul fare
immagine, ripensamento dell’immagine o ribaltamento.
Per provare a rispondere a questa domanda, i fotografi, vengono mandati a
fotografare una parte dell’Italia
costruendo così un nuovo modo di vedere.
Il problema principale che fotografi si ponevano, era come porsi di
fronte ad un paesaggio come luogo ignorato, escluso.
Era una ricerca continua dell’Italia dei margini, dell’Italia esclusa,
che però è quella che noi viviamo quotidianamente perché è la sola che
possiamo considerare in diretto rapporto con la nostra esistenza.
il carattere del
“nuovo paesaggio”
Il libro potrà servire a cominciare storie diverse:
niente più universi dipinti,
niente più spazi rappresentati dalla realtà alle spalle.
Punta suoi vuoti, sulle assenze, punta sul bordo, sul margine,
sul limite che sono le campagne e le strutture della nostra realtà
che sono emarginate.
“ Questo è un esempio di ciò che dicevo prima, qui si può vedere appunto la campagna, il
mare e l’orizzonte che ci spinge a chiederci cosa c’è oltre quella linea”
Orbetello - 1976 - Luigi Ghirri
“Questo è un altro esempio delle foto scattate per “Il Giro d’Italia.” Qui viene rappresentata
sempre la campagna, viene rappresentata uno stradone che non sappiamo dove porta, la magia
di questa foto sta nell’arcobaleno che sembra iniziare o finire proprio sulla strada. Come si può
notare anche nella foto precedente non vengono rappresentati i monumenti come nell‘800
Oviglio - 1981 – Vittore Fossati
Mario Cresci
Mario Cresci nasce a Chiavari nel 1942 dalla fine degli anni sessanta sviluppa
un complesso corpo di lavoro che varia dal disegno alla fotografia e
all’installazione. Il suo lavoro è rivolto ad una continua investigazione
sulla natura del linguaggio visivo usando il mezzo della fotografia
come pretesto opposto della veridicità del reale.
Autore, tra i primi in Italia della sua generazione, di un’opera eclettica
all’interno della ricerca fotografica in cui le analisi della percezione visiva della
forma del pensiero artistico e fenomenico acquisite al Corso Superiore di
Industrial Design di Venezia, si confrontano negli anni settanta con
l’esperienza diretta del lavoro sul campo in ambito etnico e antropologico
delle regioni del Mezzogiorno italiano.
Stigliano, Potenza -1983 – Mario Cresci
Margini quindi sono le cappellette, le case sdrucciolate ma anche la
reinvenzione surreale che Cresci fa, del colore di una tipica villetta
geometrile; ma campagna e margine insieme è anche un campo di
calcio, fresco di gesso, di Cresci che riscopre le sue antiche
misurazioni.
Salandra, Matera – 1982 – Mario Cresci
Claude Nori
Claude Nori Nasce a Tolosa il 4 febbraio del 1949, da genitori italiani.
Vive e lavora prima a Parigi e successivamente in Italia. Claude era un
fotografo, editore, vivace organizzatore e scrittore.
Claude Nori è l’unico a rappresentare la mitologia del racconto di
stampo bressoniano ma ormai riletto attraverso una architettura
dell’immagine che è tutta a priori.
Claude Nori – Rimini - 1983
Claude Nori – Rimini - 1983
Aleksandra Fenec
Luigi Ghirri
Luigi Ghirri nasce il 5 gennaio 1943 a Fellegara vicino Reggio
Emilia. Ha studiato a Modena e si è diplomato da geometra. Poi ha fatto
il libero professionista, facendo fotografia di ritratto e soprattutto di
paesaggio. Dal 1968 viaggia in Italia ed Europa e torna con molte
diapositive che costituiscono una sorta di diario di viaggio visivo.
Si dedica a vari progetti tra cui Atlante del 1973, Kodachrome (Punto e
Virgola, 1978) che ottiene un ottimo suCcesso di critica, dando al suo
lavoro visibilità nazionale e internazionale. al Festival di Arles e alla
Biennale di Venezia.
Kodachrome era una pellicola positiva, a bassa sensibilità e ad
altissima risoluzione, rinomata per la saturazione cromatica. Ma
soprattutto simbolo della fotografia di massa. Ghirri si muove dentro
questa cultura reinventandola. Nel 1984 pubblica Viaggio In Italia.
Dal 1980 si confronta con la fotografia di architettura e
fotografa le opere di Aldo Rossi, Paolo Portoghesi e Carlo Scarpa.
Conoscerà poi lo scrittore e amico Gianni Celati
la strada – 1954 - Fellini - minuto 1.39.22
“Un uomo cammina lungo una strada che costeggia il mare, una
donna sta stendendo il bucato, canticchiando una canzone. Sullo sfondo
dei bambini giocano in uno spiazzo, e un po più lontano un tendone da
circo e una giostra. E’ un sequenza di “La strada - Fellini”.Credo che
quel momento sia fissato bene nella mia testa; la musica, il telo bianco,
la giostra, le case e in fondo, l’apparizione del mare. In questi pochi
attimi, in questo aspetto così domestico, privo di enfasi e di retorica, mi
si è rivelato tutto un modo nuovo di guardare il paesaggio”.
Luigi Ghirri
la poetica
lo stile
Ghirri non fa distinzione fra immagini “basse” e “alte”, fra “bello” e
“brutto”, si rifiuta di avere un unico canone visivo di lettura del mondo,
guarda la realtà secondo la propria memoria, il proprio pensiero,
la propria sensibilità. Fotografa vetrine insignificanti, distributori
automatici di frutta, posacenere, sale d’aspetto, l’Italia in
miniatura…cioè cose che stando a un certo gusto fotografico
comune, soprattutto amatoriale, non avrebbe mai dovuto
fotografare.
Kodachrome era una pellicola positiva, a bassa sensibilità e ad altissima
risoluzione, rinomata per la saturazione cromatica. Ma soprattutto
simbolo della fotografia di massa. Ghirri si muove dentro questa cultura
reinventandola.
Luigi Ghirri – scandiano -1971
Nel 1984 pubblica Viaggio In Italia.
Di Viaggio in Italia dice:
«Forse alla fine i luoghi, gli oggetti, le cose o i volti incontrati per
caso, aspettano semplicemente che qualcuno li guardi, li riconosca e
non li disprezzi relegandoli allo sterminato supermarket dell’esterno.
Forse questi luoghi appartengono più al nostro esistente che alla
modernità e non solo ai deserti o alle terre desolate […].
In tutto questo mi sembra di leggere, soprattutto, una sorta di
stato di necessità affinché il paesaggio di cui parliamo, luogo del
presente, si trasformi e non rimanga luogo di nessuna storia e di
nessuna geografia»
poetica del paesaggio
Lunga e profonda riflessione sul tema del paesaggio
culmina con la realizzazione dei volumi “Paesaggio
italiano” e “Il Profilo delle nuvole”, entrambi pubblicati nel
1989 in cui la ricerca di Ghirri approda ad una
essenzialità da intendersi come
riflesso e misura dei caratteri e della bellezza del
paesaggio italiano e dell’architettura dei suoi
luoghi.
Al nome di Ghirri è spesso associata l’idea del fotografo
del paesaggio dalle atmosfere sospese, dagli
orizzonti lontani. Dei paesaggi in cui si intrecciano
i segni e le tracce della presenza dell’uomo, del suo
lavoro e dei suoi oggetti. Paesaggi in cui si
mescolano l’indifferenza, l’abbandono o la cura per
i luoghi della vita.
Luigi Ghirri, argine agosta, 1989
Luigi Ghirri, Modena, 1985
Luigi Ghirri – villa jole - 1990
L’ultima fotografia di Luigi Ghirri scattata nel febbraio del 1992 a Roncocesi
Ghirri
non fa distinzione fra immagini “basse” e “alte”, fra “bello” e
“brutto”, si rifiuta di avere un unico canone visivo di lettura del mondo,
guarda la realtà secondo la propria memoria, il proprio pensiero,
la propria sensibilità.
Fotografa vetrine insignificanti, distributori automatici di frutta,
posacenere, sale d’aspetto, l’Italia in miniatura…cioè cose che stando
a un certo gusto fotografico comune, soprattutto amatoriale, non
avrebbe mai dovuto fotografare.
Luigi Ghirri – modena – anni 70
le architetture
A partire dagli anni Ottanta, numerose sono state le collaborazioni di
Ghirri con gli architetti. Esemplare è la ricerca intrapresa tra il 1983 e il
1991 sul lavoro di Aldo Rossi.
La ricerca di Ghirri promossa e sostenuta inizialmente dall’amico
Vittorio Savi, è un’osservazione approfondita dei caratteri
peculiari dell’architettura rossiana dal Cimitero di san Cataldo a
Modena, alle scuole lombarde di Fagnano Olona e di Broni, dal
complesso residenziale del quartiere Gallaratese di Milano, agli interni
dello studio di Aldo Rossi, fino all’allestimento della Biennale di
Architettura di Venezia del 1985. Con Vittorio Savi, Ghirri realizza la
documentazione della stazione ferroviaria Santa Maria Novella di
Giovanni Michelucci eseguita nel 1985.
Luigi Ghirri-cimitero di modena-1985 (A.Rossi)
Luigi Ghirri Aldo Rossi
Luigi Ghirri Aldo Rossi
la tecnica
Fra le macchine fotografiche che ha usato troviamo Pentax 645 (6x4.5cm) e
Pentax 67 (6x7cm).
Fine anni '80: Mamiya RB 67. Lavorava soprattutto con obiettivi a focale
intermedia e a volte usava grandangolo e teleobiettivo. Non ha mai usato punti di ripresa arditi, questo per far corrispondere
l’immagine il più possibile allo sguardo usuale. Del resto sarebbe un
controsenso voler distorcere e modificare la realtà quando la si vuole
capire e decifrare. Un’altra caratteristica comune delle sue fotografie è il fatto di essere pochissimo
contrastate. I colori non sono carichi ma volutamente morbidi, tenui, slavati.
Ghirri usa pellicole negative a colori, non diapositive. Anche in questo caso il
suo scopo era di avere la maggior aderenza possibile con la realtà. Non ci devono
essere forzature rispetto allo scarto tonale della realtà.
olivo barbieri
Olivo Barbieri è nato a Carpi nel 1954. Frequenta la facoltà di Pedagogia
e il D.A.M.S.di Bologna, durante questi anni, a partire dal 1971
intensifica il suo interesse per la fotografia.
Si dedica alla ricerca fotografica, inizialmente partendo dalla fotografia
sociologica per poi concentrarsi sulla luce artificiale che ha per
soggetto il paesaggio, l’architettura ed il loro rapporto con la
notte. Dai primi anni ’80 è presente nelle più importanti campagne di
documentazione territoriale in Italia.
Dal 1989 compie regolari viaggi in Cina e l’India: da questi viaggi
scaturiscono foto che ritraggono le grandi architetture
monumentali ma anche i quartieri abitativi sovraffollati che
mettono in luce il contrasto della coesistenza di antico e
moderno.
i paesaggi di Viaggio in Italia
Barbieri mette in dialogo fra loro la fotografia con l’arte visiva,
l’architettura, la lettura , il cinema, decide di rappresentare
l’invisibile, ovvero quello a cui di solito diamo
poca attenzione o ci sfugge.
Fotografa posti comuni, e li rappresenta in modo semplice e
chiaro lasciando libera iniziativa, nella lettura della foto, cosa
contraria che fa nelle foto con fuoco selettivo.
Viaggio In Italia – 1984 - Luigi Ghirri
Olivo Barbieri – Mantova - 1982
Olivo Barbieri – Follonica - 1983
Olivo Barbieri – Firenze - 1983
la poetica
Dopo aver per anni sviluppato una ricerca sulla luce artificiale che aveva
per oggetto il paesaggio, l’architettura e il loro rapporto con la notte e le
città italiane, Olivo Barbieri ha ritratto dall’alto piazze, strade,
palazzi e monumenti, che restituiscono un’immagine inedita
dell’Italia, offrendo una prospettiva insolita dei luoghi più noti
così come delle realtà da scoprire raccontando una città
rigorosamente disegnata secondo le leggi della prospettiva.
Il biennio 1999/2000 vede Olivo interessato a ritrarre realtà e spazi
della nostra Italia: nel 1999 ci propone un’inedita serie di immagini
che raffigurano nuovi e vecchi stadi del nord e del sud della penisola
rappresentati come videogiochi, dove il verde compatto e telematico del
campo si contrappone ai colori variegati di migliaia di anonime teste.
Da sempre attento alle mutazioni barbieri si rifà al concetto di avatar,
cioè di rappresentazione fisica di un soggetto all’interno di un
mondo virtuale: anche una città intera può essere
rappresentazione di sé stessa.
Viaggi In Italia – Skira - 2010
Olivo Barbieri – site specific siena - 2002
Olivo Barbieri – site specific NY- 2010
progetti site-specific
La denominazione site-specific (specifico di un sito) è generalmente
usata nell'ambito dell'arte e della creatività contemporanee per indicare
un intervento che è pensato e si inserisce in un preciso luogo.
L'interazione con l'ambiente circostante è stretta e fa riferimento a tutti
gli aspetti della sua identità, dalla storia all’architettura, dalla struttura
spaziale alla cultura.
Olivo Barbieri – site specific roma-2004
Olivo Barbieri – site specific roma -2004
la tecnica
Barbieri ha messo a punto la tecnica del fuoco selettivo che gli
permette di fotografare paesaggi metropolitani e renderli del
tutto simili a plastici visti dall’alto. Con questa tecnica (tilt e shi)
i paesaggi, fotografati dall’alto appaiono come miniature, e ciò
sfruttando il movimento di particolari camere che grazie alla possibilità
di far oscillare (tilt) o slittare (shi) la lente creano una profondità di
campo che dà l’immagine di una scena reale l’aspetto di un modellino
perché la visione aerea permette di scoprire un luogo nuovo.
La macchina fotografica di Barbieri è sempre alla ricerca della
sintassi del luogo visitato: le immagini delle città cinesi,
indiane e orientali appaiono incerte nella loro combinazione
di messa a fuoco ed elemento sfocato: sono immagini che
ribaltano il tradizionale rapporto Occidente/Oriente aprendo
lo spazio rappresentativo alla diversità, all’ignoto. Questo è il
narrare nomade di Barbieri, il vedere e rappresentare le
sfumature della differenza sperimentate nella pratica e
nei ricordi di altri luoghi, di altri individui,
trascendendo il dualismo
centro/periferia.
LE IMMAGINI DI CAPRI A CONFRONTO
Capri a confronto
GIORGIO SOMMER- CAPRI
Intorno al 1870 lega con i tedeschi presenti in città e con il circolo di
artisti-letterati di Capri.
Nel 1826 Sommer scoprì la Grotta Azzurra in una gita in barca con i suoi
amici (poeta Kopisch, pittore Freis e Pagano).
Della sensibilità acuta di Sommer per il paesaggio naturale è
significativa prova questa immagine, paradigmatica del ben noto
magistero delle ombre da parte di Sommer, ombre trasparenti,
ricche di tonalità e spesso momento non secondario nella
costruzione della composizione. La linea di orizzonte è molto
bassa quasi a fior d’acqua. L’effetto di luce è risolto come
emanazione radiante. Lo specchio immobile dell’acqua si confronta
con la configurazione plasticamente organica delle pareti della grotta. La
leggera inclinazione del quadro verso destra introduce una componente
dinamica nella composizione.
Giorgio Sommer – Giovanni Fanelli
Giorgio Sommer – Capri e Grotta Azzurra - 1870
LUIGI GHIRRI - CAPRI
A Ghirri non interessa darci la sua interpretazione dei faraglioni o della
Grotta Azzurra. Sulla foto si vede un cannocchiale su un piedistallo sta di
fronte alle nuvole al mare, tutto è inquadrato nella limpida simmetria
prospettica. Il cannocchiale antico strumento inventato da Galileo
per scrutare la profondità del cielo, strumento dell’ osservazione,
fa pensare al doppio sguardo. La linea della ringhiera ci porta nostro
sguardo dentro e poi fuori della foto mentre la linea del cannocchiale ci
porta oltre. Guardando a questa foto si pensa a una dei frase di Luigi
Ghirri:
“Cerco un punto di vista sul mondo esterno e una visione su un mondo
più nascosto, interiore, di attenzione, di memorie spesso trascurate”
Luigi Ghirri – Capri 1982
OLIVO BARBIERI- CAPRI
Ho considerato l’opera di Diefenbach (pittore) come immaginario
archetipo di riferimento, le vedute da lui realizzate hanno in modo
definitivo creato l’iconografia di capri.
Uso il colore in queste foto per accompagnare lo spettatore verso un
paesaggio laterale. Costringo così lo spettatore a immergersi in
una foto semplice fatta di pochi segni elementari, ma si tratta in
realtà di immagini volutamente incompiute, per forzare lo
spettatore a indagare autonomamente. Il colore è il colore del
mediterraneo il bianco e nero sono le ombre della luce del
mediterraneo.
Olivo Barbieri – Capri 2013