la fotografia di paesaggio
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la fotografia di paesaggio
la fotografia di paesaggio dal grand-tour a Luigi Ghirri. come cambia la fotografia di paesaggio 1860-1960 Tutor Nicoletta Boraso studenti Di Fonzo Claudia, Aleksandra Makowska Ferenc, Mattia Migliori Il grand tour. Questa espressione venne usata per la prima volta da Richard Lassels nel suo "Voyage of Italy" pubblicato nel 1670. Il Grand Tour costituiva il momento conclusivo dell'educazione umanistica inglese e consisteva in un viaggio, che poteva durare alcuni mesi o addirittura anni, attraverso vari Paesi europei come la Francia, la Svizzera, La Germania, le Fiandre, ma la cui meta classica era l'Italia, e in particolare Roma. Ecco perché in molti casi si parla semplicemente di un "viaggio in Italia", sebbene in realtà vengano visitati anche altri Paesi. Il Grand Tour, almeno fino alla seconda metà del '700, era dunque la meta finale, di completamento e affinamento di chi era destinato a diventare parte della classe dirigente inglese e il fenomeno interessò la ricca borghesia in ascesa. h"p://electronica.unifi.it/online/i2_toscana/i22/sito/i22.htm il più importante scopo del viaggiare era la conoscenza dell'umanità, pertanto i diari di viaggio fornivano informazioni sui luoghi visitati e sui popoli che li abitavano. h"p://electronica.unifi.it/online/i2_toscana/i22/sito/i22.htm le mete. Alla rappresentazione grafica e pittorica di vedute, monumenti e antiche rovine, i viaggiatori, turisti dell’epoca, finirono per prediligere la nuova tecnica fotografica, perché la rapidità di produzione iconografica e la possibilità di scegliere il proprio soggetto, si accompagnavano a vantaggi economici e tempi di attesa ridotti. Il grand-tour attraversa la penisola Italiana da Nord a Sud e le città principali furono Torino, Milano, Genova, Venezia, Firenze, Roma, Napoli, Pompei, Capri ma anche le Alpi. Non c’era un itinerario obbligato e si viaggiava in carrozza. imago romae- alberto manodori - 2010 la fotografia del grand-tour. La dialettica che si instaurò dalla prima parte dell’ 800 tra pittura e fotografia, vide i pittori - da Turner a Ruskin (che oltre agli schizzi e agli acquarelli), ai francesi – realizzare essi stessi dei dagherrotipi (e poi albumine) come schizzi da cui copiare i paesaggi che intendevano poi dipingere, come già facevano per i ritratti in posa, risparmiando così tempo e denaro. Il paesaggio italiano. Fotografie 1950-2010 – Walter Liva Ruskin. pittore fotografo di paesaggi Ruskin è alla ricerca di un mezzo da affiancare all’osservazione diretta per potenziare lo studio dell‘architettura e acquista per la prima volta dei dagherrotipi (venti lastre da un francese) nel 1845 a Venezia. Ruskin considera i dagherrotipi «più validi di qualsiasi schizzo dal punto di vista dell’informazione» e quindi i propri schizzi «semplicemente dei pro-memoria». I dagherrotipi di soggetti lucchesi risultano essere stati raccolti da Ruskin come documenti da utilizzare per studi più precisi. Il dagherrotipo è ovviamente un’immagine rovesciata rispetto al vero. Copiando il dettaglio del suo acquarello per l’incisione a cera molle Ruskin non si preoccupa del fatto che l’immagine stampata risulti rovesciata rispetto al vero. Ruskin disegno e fotografia – Giovanni Fanelli 15 16 15 - Pisa, Santa Maria della Spina, 1846, dagherrotipo. 16 - J. Ruskin, Pisa, Santa Maria della Spina, acquarello, inchiostro e matita. . lo stile fotografico dei Grand tourists Emersero nuove teorie. L’impressionismo sviluppatosi in Francia intorno alla metà del 1800 pose il problema di nuovi valori formali, rivalutando la luce e il colore come mezzi per esprimere le impressioni suscitate dalla natura sull’artista. Nel 1889 Peter Henry Emerson teorizzava in “Pictorial Photography for student of art” che la fotografia al pari dell’occhio umano deve mettere a fuoco un piano alla volta, poiché “ non deve mostrare necessariamente la verità, ma ciò che vede l’occhio umano” Il paesaggio italiano. Fotografie 1950-2010 – Walter Liva Carlo Naya. Venezia 1860 Nasce in Italia nel 1816. Queste inquadrature di Naya non corrispondono ad un tema già visto in fotografia, ma rappresentano la vera invenzione della veduta fotografica di Venezia. Le vedute del Canaletto hanno per anni creato la veduta iconografica di Venezia, ma con Carlo Naya si va a inserire un nuovo canone estetico delle vedute dei paesaggi delle città. Diverso dalle immagini iconiche dei dipinti di Canaletto. Carlo Naya Si stabilì in piazza S. Marco con un atelier e fu il primo nel 1860. Si dedicò a Vedute architettoniche e paesaggistico-ambientali della città. Ha realizzato le immagini simbolo di Venezia. imago romae- alberto manodori - 2010 Venezia iconografie e “nuove vedute” Osservando Venezia, rimaniamo colpiti da vedute che rimandano ad un immaginario già conosciuto e già visto. Siamo abituati a vedere immagini iconiche come ad esempio le vedute del Canaletto del 1700. Veduta iconografica di Venezia – Canaletto 1730 circa imago romae- alberto manodori - 2010 Venezia di Carlo Naya 1860 Venezia viene ripresa dall’isola di S. Giorgio in modo da porre in primo piano la gondola e il gondoliere e lo sfondo di S. Marco in secondo piano. (La gondola lega la città al mare) Un'altra veduta fa vedere il gondoliere in attesa sulla acqua tremolante con la città sullo sfondo. Il contrasto delle tonalità chiare quasi evanescenti con le parti scure del soggetto in primo piano e la romantica solitudine di questo simbolo della città lagunare lascia pensare al fascino e alla bellezza di una veduta realizzata ad acquerello. imago romae- alberto manodori - 2010 Riva degli schiavoni con il suo molo affollato di barche e una figura senza tempo di marinaio intento ad osservare lo spettacolo del canal grande. Le cartoline. Il paesaggio come veduta dalla fine dell’800 al 1930 Di pari passo all’espandersi in Italia degli studi e atelier fotografici, la fotografia commerciale verso il 1880 si orientò verso la produzione di vedute per “cartoline” che il tipografo ed editore Danesi di Roma nel 1889 fu il primo a produrre: si trattava di fotografie di monumenti e panorami delle principali città italiane che già i fratelli Alinari avevano iniziato a fotografare incidendo quelle immagini nella memoria collettiva legata alla tradizione rinascimentale. Il paesaggio italiano. Fotografie 1950-2010 – Walter Liva Esempio di Cartolina del 1899 con vista sul colosseo-Roma il paesaggio nelle cartoline. Siamo di fronte ad un rinnovamento dell’immagine, non abbiamo più immagini che si rifanno all’antico vedutismo ma una rinnovata qualità e sperimentalismo. La cartolina dal periodo che va dalla fine 800 al 1930, rappresenta il più oggettivo e abbondante strumento di studio delle trasformazioni del gusto all’interno dell’immagine di massa, colta e popolare. I soggetti sono i soliti inseriti da secoli nella tradizione iconografica monumentale delle città. Ma la “vera fotografia” permette un ampliamento delle tematiche e soprattutto ai modi di approccio ad alcuni di essi, che per essere meno vincolanti, si prestano ad una più immediata sperimentazione artistica (esempio è la campagna romana). Si realizzano quindi variazioni artistiche sul tema come ad esempio la campagna. La cartolina, è destinata alla diffusione e non alla documentazione, ha il compito fondamentale di far conoscere queste trasformazioni, di inserirle, nel panorama delle vedute della città. Enrico Guidoni – Roma in cartolina – Ed Kappa Esempio di Cartolina del 1906 con vista del foro Romano - Roma Esempio di Cartolina di fine ‘800 con fotografia dei Fratelli Alinari - Anzio il paesaggio italiano nel dopoguerra Chi ha svolto un ruolo di rilievo intorno al 1950 è stato il Touring club italiano, che nel corso degli anni ha costituito un corposo patrimonio fotografico sul paesaggio tentando di “rimuovere lo stereotipato e radicato concetto di rappresentazione del paesaggio, così come lo avevano impostato i pittori, e che spesso era stato ribadito dai fotografi”. Grazie a Bruno Stefani (Mi 1901-1976) il TCI realizzò nel 1956 il volume “l’Italia in 300 immagini” le cui fotografie si sono trovate a metà strada tra la necessità di fornire una visione del paese il più possibile neutra e oggettiva e la volontà del fotografo di sfruttare le caratteristiche peculiari della fotografia. Il paesaggio italiano. Fotografie 1950-2010 – Walter Liva dal libro l’Italia in 300 immagini 1956 -TCI Piazza Armerina (EN), Italia, 1930 – 1940 – Bruno Stefani Grottacalda - Miniera di zolfo - Veduta dal pozzo Mezzena – Bruni Stefani Carrara (MS), Italia, 1930 – 1938 – Bruno Stefani Grottacalda - Miniera di zolfo - Veduta dal pozzo Mezzena – Bruni Stefani la fotografia di paesaggio nel 1960 Negli anni 60 il paesaggio nelle sue varietà di forme venne rappresentato sia dai paesaggisti veri e propri che da fotografi che con punti di vista diversi e stili diversi, contribuirono a dare una nuova visione oggettiva, realista dell’ Italia. Anche Pietro Donzelli aveva raccontato un Italia pre-industriale senza idealizzazioni e senza denunce: paesaggi incantati, luci alte e sospese, gesti semplici e quotidiani. Nel 1947 Giuseppe Cavalli fondava la Bussola associazione di fotografi il quale stile ricercava nel paesaggio dei contenuti estetici dati anche dal valore “emozionale” nel godimento del paesaggio stesso. A Venezia nasceva La gondola cui fece parte Gianni Berengo Gardin che ha fotografato il paesaggio d’Italia negli anni delle sue massicce trasformazioni favorendo così l’emergere di “un idea nuova del nostro territorio”. A Spilimbergo nasce il CCF con Italo Zannier il quale si ispirò al neorealismo e fù l’unico gruppo di fotografi a dotarsi di un manifesto. Il paesaggio ridiventa lo sfondo che fa percepire le condizioni dell’esistenza. Fulvio Roiter lo troviamo a Venezia 1954 con uno sguardo neorealista. Elio Ciol si dedicò alla fotografia d’arte invece e al paesaggio diventato “silenzioso, privo di presenze umane, popolato da file di gelsi che si perdono nella nebbia o svettano solitari come totem o sculture sacre, modellate dalla natura. . Il paesaggio italiano. Fotografie 1950-2010 – Walter Liva Giuseppe Cavalli Pietro Donzelli – delta del po - 1954 Gianni Berengo Gardin – Toscana 1968 Grottacalda - Miniera di zolfo - Veduta dal pozzo Mezzena – Bruni Stefano Luigi Ghirri e “Viaggio in Italia” 1984 Intorno alla metà degli anni settanta prese corpo un’esperienza dalla quale una generazione di fotografi, destinata a divenire un punto fermo nel panorama della fotografia di paesaggio non solo italiana, ha raggiunto la prima maturità: Luigi Ghirri, Gabriele Basilico, Mimmo Jodice, Francesco Radino, George Tatge hanno fatto emergere, con criteri ideologici ed estetici diversi, una nuova coscienza fotografica, capace di coniugare la documentazione e l’innesto delle poetiche concettuali che stavano maturando nello stesso periodo nell’ambito artistico. Tutto questo lavoro di ricerca divenne nell’ 84 l’emblematica mostra “Viaggio in Italia”, che presentò spazi secondari o dimenticati, privilegiandoli rispetto alle inquadrature tradizionali del Grand Tour, per la realizzazione di un nuovo atlante per immagini sull’idea del paesaggio italiano. Il paesaggio italiano. Fotografie 1950-2010 – Walter Liva Cos’è “Il viaggio in Italia” ? Il Viaggio in Italia è il viaggio dentro l’immagine, vuol dire la storia dell’immagine di un paese. Viaggio In Italia – 1984 - Luigi Ghirri il libro come modello di spazio fisico Il libro è legato ad un modello legato allo spazio fisico. I capitoli si chiamano: A perdita d’occhio, il vero luogo quale sarà?, capolinea, centro-città e si chiude al tramonto. Un viaggio attraverso le campagne, passando dalle periferie fino agli interni delle case. Uno dei capitoli come a perdita d’occhio, racconta la campagna e non solo, vengono raccontate le coste, prendendo spunto anche dalla copertina del libro che ci fa pensare ai viaggi che noi possiamo fare in Italia. Ma la campagna esiste davvero ? La campagna è un bordo urbano, sono margini creati dall’uomo, è quello spazio privo d’insediamenti, che noi siamo abituati a vedere senza però osservarla nei suoi dettagli e analizzarla come campagna vera e propria. Due fotografi che hanno partecipato alla costruzione del “Il viaggio in Italia” , molto diversi fra loro cui meritano attenzione sono Mario Cresci e Claude Nori. cos’è il nuovo paesaggio? Il libro sostanzialmente nasce da un problema che si sono posti i fotografi a cui non c’è una risposta giusta o sbagliata, ovvero: Che taglio scegliere per costruire un discorso reale sul nostro paese, cioè sulla nostra cultura? L’idea è che la fotografia sia riflessione sul fare immagine, ripensamento dell’immagine o ribaltamento. Per provare a rispondere a questa domanda, i fotografi, vengono mandati a fotografare una parte dell’Italia costruendo così un nuovo modo di vedere. Il problema principale che fotografi si ponevano, era come porsi di fronte ad un paesaggio come luogo ignorato, escluso. Era una ricerca continua dell’Italia dei margini, dell’Italia esclusa, che però è quella che noi viviamo quotidianamente perché è la sola che possiamo considerare in diretto rapporto con la nostra esistenza. il carattere del “nuovo paesaggio” Il libro potrà servire a cominciare storie diverse: niente più universi dipinti, niente più spazi rappresentati dalla realtà alle spalle. Punta suoi vuoti, sulle assenze, punta sul bordo, sul margine, sul limite che sono le campagne e le strutture della nostra realtà che sono emarginate. “ Questo è un esempio di ciò che dicevo prima, qui si può vedere appunto la campagna, il mare e l’orizzonte che ci spinge a chiederci cosa c’è oltre quella linea” Orbetello - 1976 - Luigi Ghirri “Questo è un altro esempio delle foto scattate per “Il Giro d’Italia.” Qui viene rappresentata sempre la campagna, viene rappresentata uno stradone che non sappiamo dove porta, la magia di questa foto sta nell’arcobaleno che sembra iniziare o finire proprio sulla strada. Come si può notare anche nella foto precedente non vengono rappresentati i monumenti come nell‘800 Oviglio - 1981 – Vittore Fossati Mario Cresci Mario Cresci nasce a Chiavari nel 1942 dalla fine degli anni sessanta sviluppa un complesso corpo di lavoro che varia dal disegno alla fotografia e all’installazione. Il suo lavoro è rivolto ad una continua investigazione sulla natura del linguaggio visivo usando il mezzo della fotografia come pretesto opposto della veridicità del reale. Autore, tra i primi in Italia della sua generazione, di un’opera eclettica all’interno della ricerca fotografica in cui le analisi della percezione visiva della forma del pensiero artistico e fenomenico acquisite al Corso Superiore di Industrial Design di Venezia, si confrontano negli anni settanta con l’esperienza diretta del lavoro sul campo in ambito etnico e antropologico delle regioni del Mezzogiorno italiano. Stigliano, Potenza -1983 – Mario Cresci Margini quindi sono le cappellette, le case sdrucciolate ma anche la reinvenzione surreale che Cresci fa, del colore di una tipica villetta geometrile; ma campagna e margine insieme è anche un campo di calcio, fresco di gesso, di Cresci che riscopre le sue antiche misurazioni. Salandra, Matera – 1982 – Mario Cresci Claude Nori Claude Nori Nasce a Tolosa il 4 febbraio del 1949, da genitori italiani. Vive e lavora prima a Parigi e successivamente in Italia. Claude era un fotografo, editore, vivace organizzatore e scrittore. Claude Nori è l’unico a rappresentare la mitologia del racconto di stampo bressoniano ma ormai riletto attraverso una architettura dell’immagine che è tutta a priori. Claude Nori – Rimini - 1983 Claude Nori – Rimini - 1983 Aleksandra Fenec Luigi Ghirri Luigi Ghirri nasce il 5 gennaio 1943 a Fellegara vicino Reggio Emilia. Ha studiato a Modena e si è diplomato da geometra. Poi ha fatto il libero professionista, facendo fotografia di ritratto e soprattutto di paesaggio. Dal 1968 viaggia in Italia ed Europa e torna con molte diapositive che costituiscono una sorta di diario di viaggio visivo. Si dedica a vari progetti tra cui Atlante del 1973, Kodachrome (Punto e Virgola, 1978) che ottiene un ottimo suCcesso di critica, dando al suo lavoro visibilità nazionale e internazionale. al Festival di Arles e alla Biennale di Venezia. Kodachrome era una pellicola positiva, a bassa sensibilità e ad altissima risoluzione, rinomata per la saturazione cromatica. Ma soprattutto simbolo della fotografia di massa. Ghirri si muove dentro questa cultura reinventandola. Nel 1984 pubblica Viaggio In Italia. Dal 1980 si confronta con la fotografia di architettura e fotografa le opere di Aldo Rossi, Paolo Portoghesi e Carlo Scarpa. Conoscerà poi lo scrittore e amico Gianni Celati la strada – 1954 - Fellini - minuto 1.39.22 “Un uomo cammina lungo una strada che costeggia il mare, una donna sta stendendo il bucato, canticchiando una canzone. Sullo sfondo dei bambini giocano in uno spiazzo, e un po più lontano un tendone da circo e una giostra. E’ un sequenza di “La strada - Fellini”.Credo che quel momento sia fissato bene nella mia testa; la musica, il telo bianco, la giostra, le case e in fondo, l’apparizione del mare. In questi pochi attimi, in questo aspetto così domestico, privo di enfasi e di retorica, mi si è rivelato tutto un modo nuovo di guardare il paesaggio”. Luigi Ghirri la poetica lo stile Ghirri non fa distinzione fra immagini “basse” e “alte”, fra “bello” e “brutto”, si rifiuta di avere un unico canone visivo di lettura del mondo, guarda la realtà secondo la propria memoria, il proprio pensiero, la propria sensibilità. Fotografa vetrine insignificanti, distributori automatici di frutta, posacenere, sale d’aspetto, l’Italia in miniatura…cioè cose che stando a un certo gusto fotografico comune, soprattutto amatoriale, non avrebbe mai dovuto fotografare. Kodachrome era una pellicola positiva, a bassa sensibilità e ad altissima risoluzione, rinomata per la saturazione cromatica. Ma soprattutto simbolo della fotografia di massa. Ghirri si muove dentro questa cultura reinventandola. Luigi Ghirri – scandiano -1971 Nel 1984 pubblica Viaggio In Italia. Di Viaggio in Italia dice: «Forse alla fine i luoghi, gli oggetti, le cose o i volti incontrati per caso, aspettano semplicemente che qualcuno li guardi, li riconosca e non li disprezzi relegandoli allo sterminato supermarket dell’esterno. Forse questi luoghi appartengono più al nostro esistente che alla modernità e non solo ai deserti o alle terre desolate […]. In tutto questo mi sembra di leggere, soprattutto, una sorta di stato di necessità affinché il paesaggio di cui parliamo, luogo del presente, si trasformi e non rimanga luogo di nessuna storia e di nessuna geografia» poetica del paesaggio Lunga e profonda riflessione sul tema del paesaggio culmina con la realizzazione dei volumi “Paesaggio italiano” e “Il Profilo delle nuvole”, entrambi pubblicati nel 1989 in cui la ricerca di Ghirri approda ad una essenzialità da intendersi come riflesso e misura dei caratteri e della bellezza del paesaggio italiano e dell’architettura dei suoi luoghi. Al nome di Ghirri è spesso associata l’idea del fotografo del paesaggio dalle atmosfere sospese, dagli orizzonti lontani. Dei paesaggi in cui si intrecciano i segni e le tracce della presenza dell’uomo, del suo lavoro e dei suoi oggetti. Paesaggi in cui si mescolano l’indifferenza, l’abbandono o la cura per i luoghi della vita. Luigi Ghirri, argine agosta, 1989 Luigi Ghirri, Modena, 1985 Luigi Ghirri – villa jole - 1990 L’ultima fotografia di Luigi Ghirri scattata nel febbraio del 1992 a Roncocesi Ghirri non fa distinzione fra immagini “basse” e “alte”, fra “bello” e “brutto”, si rifiuta di avere un unico canone visivo di lettura del mondo, guarda la realtà secondo la propria memoria, il proprio pensiero, la propria sensibilità. Fotografa vetrine insignificanti, distributori automatici di frutta, posacenere, sale d’aspetto, l’Italia in miniatura…cioè cose che stando a un certo gusto fotografico comune, soprattutto amatoriale, non avrebbe mai dovuto fotografare. Luigi Ghirri – modena – anni 70 le architetture A partire dagli anni Ottanta, numerose sono state le collaborazioni di Ghirri con gli architetti. Esemplare è la ricerca intrapresa tra il 1983 e il 1991 sul lavoro di Aldo Rossi. La ricerca di Ghirri promossa e sostenuta inizialmente dall’amico Vittorio Savi, è un’osservazione approfondita dei caratteri peculiari dell’architettura rossiana dal Cimitero di san Cataldo a Modena, alle scuole lombarde di Fagnano Olona e di Broni, dal complesso residenziale del quartiere Gallaratese di Milano, agli interni dello studio di Aldo Rossi, fino all’allestimento della Biennale di Architettura di Venezia del 1985. Con Vittorio Savi, Ghirri realizza la documentazione della stazione ferroviaria Santa Maria Novella di Giovanni Michelucci eseguita nel 1985. Luigi Ghirri-cimitero di modena-1985 (A.Rossi) Luigi Ghirri Aldo Rossi Luigi Ghirri Aldo Rossi la tecnica Fra le macchine fotografiche che ha usato troviamo Pentax 645 (6x4.5cm) e Pentax 67 (6x7cm). Fine anni '80: Mamiya RB 67. Lavorava soprattutto con obiettivi a focale intermedia e a volte usava grandangolo e teleobiettivo. Non ha mai usato punti di ripresa arditi, questo per far corrispondere l’immagine il più possibile allo sguardo usuale. Del resto sarebbe un controsenso voler distorcere e modificare la realtà quando la si vuole capire e decifrare. Un’altra caratteristica comune delle sue fotografie è il fatto di essere pochissimo contrastate. I colori non sono carichi ma volutamente morbidi, tenui, slavati. Ghirri usa pellicole negative a colori, non diapositive. Anche in questo caso il suo scopo era di avere la maggior aderenza possibile con la realtà. Non ci devono essere forzature rispetto allo scarto tonale della realtà. olivo barbieri Olivo Barbieri è nato a Carpi nel 1954. Frequenta la facoltà di Pedagogia e il D.A.M.S.di Bologna, durante questi anni, a partire dal 1971 intensifica il suo interesse per la fotografia. Si dedica alla ricerca fotografica, inizialmente partendo dalla fotografia sociologica per poi concentrarsi sulla luce artificiale che ha per soggetto il paesaggio, l’architettura ed il loro rapporto con la notte. Dai primi anni ’80 è presente nelle più importanti campagne di documentazione territoriale in Italia. Dal 1989 compie regolari viaggi in Cina e l’India: da questi viaggi scaturiscono foto che ritraggono le grandi architetture monumentali ma anche i quartieri abitativi sovraffollati che mettono in luce il contrasto della coesistenza di antico e moderno. i paesaggi di Viaggio in Italia Barbieri mette in dialogo fra loro la fotografia con l’arte visiva, l’architettura, la lettura , il cinema, decide di rappresentare l’invisibile, ovvero quello a cui di solito diamo poca attenzione o ci sfugge. Fotografa posti comuni, e li rappresenta in modo semplice e chiaro lasciando libera iniziativa, nella lettura della foto, cosa contraria che fa nelle foto con fuoco selettivo. Viaggio In Italia – 1984 - Luigi Ghirri Olivo Barbieri – Mantova - 1982 Olivo Barbieri – Follonica - 1983 Olivo Barbieri – Firenze - 1983 la poetica Dopo aver per anni sviluppato una ricerca sulla luce artificiale che aveva per oggetto il paesaggio, l’architettura e il loro rapporto con la notte e le città italiane, Olivo Barbieri ha ritratto dall’alto piazze, strade, palazzi e monumenti, che restituiscono un’immagine inedita dell’Italia, offrendo una prospettiva insolita dei luoghi più noti così come delle realtà da scoprire raccontando una città rigorosamente disegnata secondo le leggi della prospettiva. Il biennio 1999/2000 vede Olivo interessato a ritrarre realtà e spazi della nostra Italia: nel 1999 ci propone un’inedita serie di immagini che raffigurano nuovi e vecchi stadi del nord e del sud della penisola rappresentati come videogiochi, dove il verde compatto e telematico del campo si contrappone ai colori variegati di migliaia di anonime teste. Da sempre attento alle mutazioni barbieri si rifà al concetto di avatar, cioè di rappresentazione fisica di un soggetto all’interno di un mondo virtuale: anche una città intera può essere rappresentazione di sé stessa. Viaggi In Italia – Skira - 2010 Olivo Barbieri – site specific siena - 2002 Olivo Barbieri – site specific NY- 2010 progetti site-specific La denominazione site-specific (specifico di un sito) è generalmente usata nell'ambito dell'arte e della creatività contemporanee per indicare un intervento che è pensato e si inserisce in un preciso luogo. L'interazione con l'ambiente circostante è stretta e fa riferimento a tutti gli aspetti della sua identità, dalla storia all’architettura, dalla struttura spaziale alla cultura. Olivo Barbieri – site specific roma-2004 Olivo Barbieri – site specific roma -2004 la tecnica Barbieri ha messo a punto la tecnica del fuoco selettivo che gli permette di fotografare paesaggi metropolitani e renderli del tutto simili a plastici visti dall’alto. Con questa tecnica (tilt e shi) i paesaggi, fotografati dall’alto appaiono come miniature, e ciò sfruttando il movimento di particolari camere che grazie alla possibilità di far oscillare (tilt) o slittare (shi) la lente creano una profondità di campo che dà l’immagine di una scena reale l’aspetto di un modellino perché la visione aerea permette di scoprire un luogo nuovo. La macchina fotografica di Barbieri è sempre alla ricerca della sintassi del luogo visitato: le immagini delle città cinesi, indiane e orientali appaiono incerte nella loro combinazione di messa a fuoco ed elemento sfocato: sono immagini che ribaltano il tradizionale rapporto Occidente/Oriente aprendo lo spazio rappresentativo alla diversità, all’ignoto. Questo è il narrare nomade di Barbieri, il vedere e rappresentare le sfumature della differenza sperimentate nella pratica e nei ricordi di altri luoghi, di altri individui, trascendendo il dualismo centro/periferia. LE IMMAGINI DI CAPRI A CONFRONTO Capri a confronto GIORGIO SOMMER- CAPRI Intorno al 1870 lega con i tedeschi presenti in città e con il circolo di artisti-letterati di Capri. Nel 1826 Sommer scoprì la Grotta Azzurra in una gita in barca con i suoi amici (poeta Kopisch, pittore Freis e Pagano). Della sensibilità acuta di Sommer per il paesaggio naturale è significativa prova questa immagine, paradigmatica del ben noto magistero delle ombre da parte di Sommer, ombre trasparenti, ricche di tonalità e spesso momento non secondario nella costruzione della composizione. La linea di orizzonte è molto bassa quasi a fior d’acqua. L’effetto di luce è risolto come emanazione radiante. Lo specchio immobile dell’acqua si confronta con la configurazione plasticamente organica delle pareti della grotta. La leggera inclinazione del quadro verso destra introduce una componente dinamica nella composizione. Giorgio Sommer – Giovanni Fanelli Giorgio Sommer – Capri e Grotta Azzurra - 1870 LUIGI GHIRRI - CAPRI A Ghirri non interessa darci la sua interpretazione dei faraglioni o della Grotta Azzurra. Sulla foto si vede un cannocchiale su un piedistallo sta di fronte alle nuvole al mare, tutto è inquadrato nella limpida simmetria prospettica. Il cannocchiale antico strumento inventato da Galileo per scrutare la profondità del cielo, strumento dell’ osservazione, fa pensare al doppio sguardo. La linea della ringhiera ci porta nostro sguardo dentro e poi fuori della foto mentre la linea del cannocchiale ci porta oltre. Guardando a questa foto si pensa a una dei frase di Luigi Ghirri: “Cerco un punto di vista sul mondo esterno e una visione su un mondo più nascosto, interiore, di attenzione, di memorie spesso trascurate” Luigi Ghirri – Capri 1982 OLIVO BARBIERI- CAPRI Ho considerato l’opera di Diefenbach (pittore) come immaginario archetipo di riferimento, le vedute da lui realizzate hanno in modo definitivo creato l’iconografia di capri. Uso il colore in queste foto per accompagnare lo spettatore verso un paesaggio laterale. Costringo così lo spettatore a immergersi in una foto semplice fatta di pochi segni elementari, ma si tratta in realtà di immagini volutamente incompiute, per forzare lo spettatore a indagare autonomamente. Il colore è il colore del mediterraneo il bianco e nero sono le ombre della luce del mediterraneo. Olivo Barbieri – Capri 2013