pdf pagina 1 - Fausto Biloslavo

Transcript

pdf pagina 1 - Fausto Biloslavo
ANNO XIII NUMERO 188 - PAG 3
EDITORIALI
Se la casa ci crolla addosso
Perché la nuova crisi dei mutui immobiliari in Usa riguarda anche l’Europa
L
a caduta di venerdì delle Borse europee (-2 per cento) e di Wall Street (1) non è espressione d’un normale aggiustamento. E’ il segnale che la crisi finanziaria sta riemergendo, dopo quella dell’estate 2007. L’onda della nuova crisi viene dagli Stati Uniti, dove sono di nuovo
in grave difficoltà gli intermediari finanziari della casa. Fannie Mae e Freddie
Mac, le due istituzioni che garantiscono i
mutui immobiliari di 55 milioni di famiglie americane per 5 mila miliardi di dollari sono sull’orlo dell’insolvenza. Il loro
fallimento travolgerebbe importanti
banche d’affari già in difficoltà e genererebbe nuove perdite di banche americane, svizzere e inglesi e di quelle dell’area
dell’euro più globalizzate. Adesso le famiglie che fanno fatica a pagare i mutui
sono molte di più che lo scorso anno, perché sono aumentati i prezzi dell’energia
e degli alimentari e i valori degli immobili sono ulteriormente discesi, perché la
domanda s’è ridotta, a causa dell’impoverimento dei consumatori, dovuto ai
rincari provenienti dall’estero. Non è solo un problema americano, riguarda anche l’Europa entro e fuori l’euro. Anche
qui ci sono tra gli operatori finanziari e
nei mercati nuovi problemi a causa del
sommarsi degli effetti del rincaro del barile e degli alimentari con le ferite (che
erano in via di rimarginazione) per le
perdite sui prodotti finanziari immobiliari. Anche il consumatore europeo è diventato più povero e molte imprese quotate vedono assottigliarsi i margini, perché la loro domanda sul mercato interno
s’è ridotta. Fino a pochi mesi fa c’era la
valvola dell’export, ora non basta più a
compensare l’impoverimento del mercato domestico. L’area dell’euro non è più
un’oasi. Al suo interno giocano negativamente le difficoltà dell’economia e della
finanza spagnola, per dieci anni uno dei
motori dell’economia europea, ora un focolaio di sofferenze. All’esterno di eurolandia, sono in crisi le banche svizzere e
ansimano le inglesi. C’è una redistribuzione di redditi, fra chi produce risorse
naturali e chi le trasforma. E, soprattutto, c’è la caduta del mito keynesiano per
cui la domanda è una variabile indipendente che può generare crescita perché
il capitale materiale, sovrabbondante,
seguirà. Occorre un nuovo ciclo tecnologico per espandere l’offerta con più lavoro e più risparmio.
Il rabbi e i custodi della Mecca
A Madrid, rav Rosen incontrerà Abdullah. Gesto di pietas senza precedenti
U
n simile incontro sarebbe stato impensabile fino a poco tempo fa. Ma
la situazione è cambiata e anche il muftì
del wahabismo, Al Sheikh, ha chiamato
“barbari animali” quelli di al Qaida. Persino il New York Sun, giornale duro e
spiccio, ha elogiato il re saudita Abdullah per la conferenza di Madrid del 16
luglio organizzata per disinnescare le
tensioni interreligiose. La notizia più importante è che ci sarà anche un rabbino
israeliano, David Rosen, pezzo da novanta già nei negoziati con il Vaticano.
Gerusalemme e Riyadh non intrattengono rapporti diplomatici e fino a oggi l’Arabia ha evitato ogni contatto pubblico
con Israele o i suoi rappresentanti. All’evento sono stati invitati studiosi musulmani e leader cristiani, come Franklin Graham, figlio del noto predicatore
evangelico Billy Graham, e l’arcivescovo
di Canterbury Rowan Williams. “Penso
che questo sia un evento molto importante” ha detto Rosen. Il regno saudita è
dominato dai wahabiti, il clero fondamentalista che ha messo al bando ogni
manifestazione pubblica di altre fedi in
quanto “infedeli”. Ma se è vero quello
che ha scritto il Wall Street Journal, cioè
che “la sfida all’islamismo arriverà dai
‘saggi’ e dalla tradizione musulmana conservatrice, più che dall’islam assimilato”, va letto in questa chiave l’incontro
con ebrei e cristiani voluto dal re saudita. Il genio austero Abdullah promuove
un’iniziativa di pietas e di quiete che non
ha precedenti. Basti pensare che tra le
richieste saudite agli americani, durante la prima guerra del Golfo, vi fu quella
che i cappellani ebrei portassero le Tavole della Legge cucite all’interno delle
giubbe, per non mostrarle. Abdullah non
è soltanto un capo di stato, è “custode
delle due moschee sante”, Medina e la
Mecca. Per questo la proposta ha suscitato reazioni di entusiasmo. “Quando hai
un gigante come il re saudita che raccomanda un simile dialogo, puoi soltanto
sperare che sia quel riconoscimento della libertà di espressione e di religione di
ciascuno”, ha detto la portavoce di Bush,
Dana Perino. Per questo il rabbino capo
di Israele, Yona Metzger, ha già allungato la mano ad Abdullah, affinché “cerchi
di porre fine al terrore”. E non si tratta
della solita stanca profferta di dialogo.
Utopia giudiziaria, impotenza politica
L’Onu incrimina (invano) il presidente sudanese, e non sanziona Mugabe
I
l procuratore della Corte internazionale dell’Aia, Luis Moreno-Ocampo,
ha chiesto l’incriminazione del dittatore
sudanese Omar al-Bashir e lunedì emetterà un mandato di cattura contro di lui.
Naturalmente non sarà eseguito, come
quelli prededentemente emessi contro
altri esponenti del regime di Karthum, a
cominciare dal ministro degli Interni
corresponsabile del genocidio in
Darfour, Ahmed Harun, che nel frattempo è stato beffardamente nominato ministro degli Affari umanitari. Le ragioni
giuridiche e umanitarie per incriminare
il vertice sudanese abbondano, la forza
politica e militare per renderla effettiva
sono inesistenti. Al contrario i diecimila
uomini dell’Onu e dell’Unione africana
che dovrebbero vigilare contro la persecuzione dei miliziani arabi ai danni di
quel che resta della popolazione del
Darfour rischiano ritorsioni, già preannunciate dell’uccisione di sette di loro
la settimana scorsa. Contemporaneamente all’utopistica incriminazione giudiziaria di al-Bashir, alle Nazioni unite,
nella sede politica del Consiglio di sicurezza veniva bloccata dal veto russo e cinese la risoluzione per sanzionare il
comportamento di un altro tirannello
africano, Robert Mugabe. Va detto per
onestà che imporre sanzioni a un paese
come lo Zimbabwe, dove solo gli aiuti
umanitari permettono la sopravvivenza
di una parte rilevante della popolazione, è tutt’altro che semplice. Colpire gli
scherani del regime senza che i danni ricadano sul popolo affamato è difficile,
ma in ogni caso il fatto che non si sia riusciti a esprimere neppure un segnale di
severità rappresenta un ulteriore fallimento della comunità internazionale.
L’oscillazione tra la pretesa di esercitare una giurisdizione mondiale, senza disporre dei mezzi per farla rispettare, e
l’incapacità di adottare la minima misura che esprima sul piano politico un’autorità minimamente efficace nella difesa dei diritti umani è la condizione ormai patologica delle Nazioni unite, che
gli ultimi due episodi purtroppo confermano in modo evidente.
Quando il tic è antirusso
Praga lamenta un calo di petrolio. Per la stampa è subito colpa di Mosca
D
ruzhba, in russo, significa “amicizia”. E’ il nome dell’oleodotto costruito all’epoca di Kruscev per rifornire le Repubbliche dell’Europa socialista. Un’alleanza lunga quattromila chilometri, dai pozzi siberiani ai palazzi del
Baltico tedesco. Potrebbe trasportare un
milione e mezzo di barili al giorno, ma
le condizioni dell’impianto costringono
i gestori a ridurre il carico: il ramo ceco
lavora al 70 per cento e sono frequenti i
cali di pressione. Venerdì Ceska Rafineska, la raffineria statale, ha comunicato
un gap nelle forniture russe dovuto a
“problemi tecnici”. Il ministro degli
Esteri ha aperto i canali diplomatici per
verificarne le cause. Lo stesso ministro,
quattro giorni prima, aveva firmato un
accordo sullo scudo spaziale che gli Sta-
ti Uniti costruiranno per fermare eventuali attacchi iraniani all’Europa, progetto ferocemente osteggiato da Mosca.
Ciò basta all’Herald Tribune per ipotizzare che il gap sia una ritorsione del
Cremlino. Si chiama tic antirusso. La
Repubblica ceca non è un territorio che
Mosca contende alla Nato. E’ un ricco
consumatore di gas e petrolio pieno di
alternative: ci sono i porti di Danzica e
Rostock, c’è l’oleodotto tedesco Ikl costruito negli anni 90. Quattro giorni, poi,
sono troppo pochi per provocare un calo alle forniture (l’oro nero impiega venti giorni ad arrivare a Praga dalla Siberia). Druzhba aveva già fatto le bizze nel
2007. Occhi su Mosca, ma i rubinetti erano stati chiusi dalla Bielorussia a corto
di soldi. Vatti a fidare degli amici.
IL FOGLIO QUOTIDIANO
DOMENICA 13 LUGLIO 2008
La Francia riceve tutti al Club Med e si rilancia in medio oriente
SARKOZY INCONTRA IL RAIS SIRIANO E OTTIENE L’INVITO AD ANDARE A DAMASCO. OGGI È ATTESA “UNA GRANDE SORPRESA”
Parigi. Il presidente francese, Nicolas
Sarkozy, avrà in mente la Siria, l’Iran e il
medio oriente, quando questo pomeriggio
inaugurerà l’Unione per il Mediterraneo.
La sua nuova creatura sarà battezzata da
una quarantina tra capi di stato e di governo e si concentrerà su alcuni progetti concreti. I 43 paesi chiamati a farne parte formeranno “una partnership multilaterale”
fondata su “una volontà politica condivisa
di rivitalizzare gli sforzi volti a trasformare
il Mediterraneo in uno spazio di pace, democrazia, cooperazione e prosperità”, recita la bozza della dichiarazione finale ancora in discussione. Il principio è la “co-ownership” tra nord e sud. Il Club Med, come
lo chiama l’Economist, mira a “giocare un
ruolo importante per far fronte alle sfide
della regione”, dalla “crisi della sicurezza
alimentare mondiale” alle “desertificazioni”, dalle migrazioni all’energia, dal terrorismo all’estremismo islamico. La questione del processo di pace israelo-palestinese
è ancora oggetto di negoziati. Se i 43 “ribadiscono il loro impegno a realizzare una soluzione giusta, completa e durevole per il
conflitto arabo-israeliano”, rimangono divergenze su una frase, secondo cui “la persistenza del conflitto in medio oriente (…)
ha spinto ai suoi limiti la capacità di preservare canali di dialogo e di cooperazione”
tra le due sponde del Mediterraneo. Si cerca ancora un compromesso sull’iniziativa di
pace della Lega araba del 2002 e, come chiedono i paesi arabi, su “un medio oriente libero da armi di distruzione di massa”. Il dibattito è aperto sulla sede sud del segretariato, per cui competono Tunisia, Marocco e
Algeria. La Spagna potrebbe ottenere la sede nord, in cambio della scomparsa dei riferimenti al Processo di Barcellona.
Sarkozy vuole fare del vertice di oggi a Parigi un’occasione per rilanciare il peso dell’Europa in medio oriente, prima ancora che
nel grande Mediterraneo. Il calendario internazionale e il contesto mediorientale so-
no “propizi”, dicono gli uomini dell’Eliseo.
Partner minore del Quartetto, l’Unione europea è fuori dai giochi del processo di pace, relegata al ruolo di finanziatore dell’Anp
nomica del Processo di Barcellona, il progetto originario è stato annacquato dalle
obiezioni di Germania e Spagna. Berlino temeva un ruolo guida della Francia e uno
Il presidente francese ha un sogno: la stretta di mano tra il siriano Assad e
l’israeliano Olmert. Il fronte sunnita composto da Arabia Saudita, Egitto e
Giordania è molto sospettoso. L’Iran continua con le sue minacce. Gli altri
paesi presenti lavorano a sei progetti di cooperazione
e delle agenzie umanitarie che operano a
Gaza. L’Unione per il Mediterraneo serve a
porre fine all’anomalia di “un’Europa in medio oriente che dà molto denaro e ha un pe-
so politico insignificante”, ha spiegato il presidente francese giovedì al Parlamento europeo, lasciando intendere che sono mutati
gli obiettivi del suo Club Med. Pensato come
organizzazione politica modellata sull’Ue
per superare i limiti della cooperazione eco-
spostamento a sud delle priorità europee;
Madrid non ha tollerato la messa a morte
del suo Processo di Barcellona. Così “l’Unione mediterranea” è diventata “Processo
di Barcellona: Unione per il Mediterraneo”.
Un vago insieme cui partecipano anche i
paesi nordici e dell’est europeo ha preso il
posto del “trait d’union tra l’Africa e l’Europa” immaginato da Sarkozy. Sei sono i progetti di cooperazione economica: la lotta all’inquinamento, le autostrade marittime e
terrestri, la protezione civile, l’energia solare, un’università mediterranea e un sostegno
alle piccole e medie imprese.
Il ridimensionamento e la coincidenza di
una serie di movimenti mediorientali hanno
spinto Sarkozy a cambiare le sue priorità. Le
discussioni indirette tra Israele e Siria sono
riprese attraverso la mediazione della Turchia. L’accordo di Doha tra le forze politiche
in Libano ha portato venerdì alla formazione di un governo a Beirut. I negoziati tra
Israele e palestinesi continuano pure se la
tregua con Hamas è sempre vacillante. Per
il presidente francese, è scattata l’ora di giocare un ruolo di primo piano. In primis, puntando ad allontanare la Siria dall’Iran per
interrompere l’avanzata dell’influenza sciita e isolare Teheran con il suo programma
nucleare e i missili in grado di colpire Israele e l’Europa. Sarkozy ha un sogno: la stretta
di mano tra il premier israeliano, Ehud Olmert, e il presidente siriano, Bashar el As-
sad, a Parigi. Fonti del Foglio parlano di una
“grande sorpresa” per oggi: forse si tratta
proprio di questa stretta di mano. Comunque sia, l’Eliseo può rivendicare il successo
di aver ottenuto un invito a Damasco, di aver
messo attorno a un tavolo i due leader e suggellato l’incontro di ieri tra Assad e il presidente libanese Michel Suleiman.
Parigi è convinta che l’Amministrazione
Bush a fine mandato non sarà in grado di
avere un ruolo motore in medio oriente. Se
vuole lasciare in eredità un accordo di pace
israelo-palestinese, George W. Bush deve
sguarnire il fronte libanese e, in parte, siroiraniano. Si apre quindi uno spazio per l’Europa e in particolare per la Francia che, grazie alle professioni di fede atlantiste e filoisraeliane di Sarkozy e alla linea della fermezza sull’Iran, ha ritrovato l’orecchio di
Washington e Gerusalemme. Secondo l’Eliseo, Israele è favorevole a una legittimazione di Assad e non è ostile a un ritorno parziale di una Siria non più alleata dell’Iran in
Libano. Sarkozy deve però fare i conti con le
perplessità del fronte sunnita. Il re Abdullah di Giordania non sarà a Parigi, ufficialmente per precedenti impegni. Il presidente egiziano, Hosni Mubarak, durante il vertice della Fao a Roma, ha detto a Sarkozy di
non nutrire alcuna fiducia nei confronti di
Assad. L’Arabia Saudita teme una crepa nel
sostegno occidentale al campo sunnita in Libano. Tanto più che da Damasco non è arrivato alcun segnale di buona volontà. Insomma, la Siria rischia di ritrovare un posto nella comunità internazionale senza dover fornire alcuna contropartita. Secondo il Monde,
Assad “ha fatto passare il messaggio che non
accetterà alcun negoziato diretto con Israele prima dell’elezione del presidente americano”, così come “l’Iran non avrebbe alcun
interesse a trovare una soluzione negoziata
sul nucleare fino a quando Bush è ancora in
carica”. Per non far calare la tensione, Teheran ha annunciato ieri che, se attaccata, colpirà Israele e 32 basi americane nel Golfo.
Perché Sarkozy rischia grosso dando credibilità ad Assad
Parigi, Ehud Olmert e Bashar el Assad
A
saranno seduti allo stesso tavolo, assieme ai partner dell’Unione mediterranea di Nicolas Sarkozy, ma non sarà una
DI
CARLO PANELLA
data storica. Il presidente francese si è assunto un grande rischio dando credito alla
volontà di normalizzazione della Siria, nell’illusione di staccare il regime siriano da
quello iraniano, e ha pagato al presidente
siriano un prezzo salato, in anticipo. Invitandolo a Parigi, la Francia toglie il rais siriano dalla scomoda posizione di membro
dell’asse del male e gli regala lo status di
interlocutore affidabile. In più, vanifica sul
piano politico ogni compromissione con
l’uccisione di Rafiq Hariri, che pure, sino
a due anni fa, gravava personalmente su
Assad. Bottino pieno, dunque, per il presidente siriano che non ha pagato nessun
prezzo. I media francesi spiegano che
Sarkozy ha deciso questa mossa forte, in
solitudine rispetto agli Stati Uniti come al-
l’Europa, sulla base di analisi dei suoi servizi di informazione, che indicano Assad
pronto a una svolta. E’ un pessimo auspicio: sul quadrante siro-libanese i servizi
francesi hanno accumulato negli ultimi decenni sonore e imbarazzanti sconfitte.
Quello che è certo è che Assad non ha modificato nulla della posizione oltranzista siriana. E’ anche certo che la sua volontà di
partecipare a trattative con Israele, accettando la mediazione di Ankara, non costituisce una svolta. E’ tradizione del regime
bahatista siriano – in questo molto diverso
da quello di Saddam Hussein – giocare
contemporaneamente sul tavolo di trattative spregiudicate e su quello del terrorismo e dell’aggressione militare. Tra il 1993
e il 2000, Hafez al Assad, padre di Bashar,
ha partecipato alle trattative con Israele
iniziate con gli accordi di Oslo: nulla di fatto. In apparenza perché Gerusalemme e
Damasco non avevano trovato un accordo
sulle Fattorie di Sheeba, occupate da
Israele dal 1973. In realtà, perché la Siria
non ha mai derogato dalla linea di un accordo complessivo sulla questione palestinese, rifiutando ogni quadro bilaterale, sia
quello di Camp David del 1979 sia quello
del 1993 con l’Anp e la Giordania.
Assad non ha fatto passi indietro su nessun quadrante: non ha fatto il minimo cenno a un possibile riconoscimento di Israele e nel vertice della Lega araba di Damasco del 28 marzo ha dichiarato: “La richiesta di Israele di sicurezza prima della pace è soltanto un’illusione”. In Libano, il
suo totale appoggio ha permesso ad Hezbollah di riarmarsi con 40 mila missili e di
disporre di un diritto di veto sul governo di
Beirut, mentre gli alawiti filosiriani combattono a Tripoli contro i sunniti. Khaled
Meshaal continua a dirigere Hamas da Damasco. Non vi è più dubbio che l’impianto
distrutto dall’aviazione israeliana il 6 settembre 2007 nel nord della Siria fosse un
sito nucleare segreto. Ma la controprova
più evidente del rischio che prende
Sarkozy con Assad viene da Teheran. L’I-
ran, fedele padrino della Siria, non ha mai
preso le distanze dall’operato di Assad,
neanche dalle sue trattative con Olmert.
Anche dall’Iran, come dalla Siria, giungono identici segnali dell’applicazione di una
doppia strategia: minacce militari sempre
più spinte (i missili in grado di raggiungere Israele e le manovre dei pasdaran) accompagnate dalle aperture trattativiste
che impigliano Javier Solana in una vischiosa rete di ragno, senza mai esiti. Di
questa doppia strategia fa parte anche il
cessate il fuoco che l’Egitto ha mediato con
Hamas su Gaza. La verifica dell’affidabilità
siriana si avrà dunque soltanto quando Olmert e Abu Mazen sigleranno la prima intesa sullo stato palestinese che Bush pretende entro novembre. Da 45 anni, la Siria
in queste occasioni getta la maschera delle trattative e sceglie la strada delle armi.
Oggi è affiancata dall’Iran e da un Libano
di nuovo sotto il suo controllo tramite Hezbollah. Sarkozy rischia di fare la fine di un
piccolo emulo di Chamberlain.
Rientrata la crisi con la Catalogna, il Cav. cerca spazio a Parigi
Il Cav. sugli Champs Elysées. Oggi il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, volerà a Parigi per partecipare alla conferenza per l’Unione del mediterraneo (Upm). Il
FARNESINA
vertice sarà l’occasione per far valere il peso specifico degli investimenti italiani avviati nei cosiddetti “paesi rivieraschi”, come
il premier ama definire gli stati nordafricani. Il Cav. sarà accompagnato dal sottosegretario delegato al Mediterraneo, Stefania
Craxi, che proverà a spiegare ai ministri degli Esteri di oltre 40 paesi quanto la Farnesina stia investendo nel Mediterraneo. L’occasione sarà la colazione offerta dal capo
della diplomazia francese, Bernard Kouchner, prevista per stamattina alle 9. L’incontro
tra i capi di stato e di governo sarà nel pomeriggio. Il dossier “Mediterraneo” è gestito in prima persona da Nicolas Sarkozy, che
punta a rinforzare la cooperazione tra le
l rivoluzionario è un uomo perduto.
Non ha interessi personali, né affari
Iprivati,
né sentimenti, né proprietà, neppure un nome. Tutto in lui è assorbito da
un unico interesse esclusivo, da un unico
pensiero, da un’unica passione: la rivoluzione”. “Nel profondo del suo essere, non
a parole soltanto, ma negli atti, egli ha
rotto ogni legame con l’ordine costituito e
con tutto il mondo civile, con tutte le leggi, le convenienze, le convenzioni sociali
e con la moralità di questo mondo. Il rivoluzionario è suo nemico implacabile e
se continua a vivere in esso è solo per distruggerlo con più sicurezza”. “Scopo del
rivoluzionario è la distruzione più rapida
e più sicura di questo sistema immondo”.
“Morale è per lui tutto quello che favorisce il trionfo della rivoluzione mentre disprezza e odia la morale attuale della società”. “Il rivoluzionario è spietato verso
il nemico e deve essere duro verso se
stesso oltre che verso gli altri, soffocando
tutti i sentimenti teneri e snervanti come
quelli di parentela, di amicizia, di amore,
di gratitudine e anche di onore”.
Sono stralci tratti dal famoso “Catechismo del rivoluzionario” di Sergei Necaev:
nato nel 1847, morto in carcere nel 1882.
Personalmente collegato all’anarchico
Bakunin, ma teorizzatore primo di una
forma mentis a cui si erano o si sarebbero ispirati nichilisti, socialisti rivoluzionari, massimalisti, infine gli stessi bolscevichi. Non c’è da stupirsi se legioni di
due sponde, evitando i possibili imbarazzi
fra i paesi che si siederanno per discutere,
anche se non intrattengono rapporti diplomatici, come Siria e Israele. Per questo la disposizione delle sedie è stata curata nel dettaglio: gli organizzatori hanno previsto che il
premier israeliano, Ehud Olmert, sia seduto
a debita distanza dal rais siriano, Bashar el
Assad. Kouchner si concentrerà sulla lotta
all’inquinamento, le autostrade del mare e
le energie rinnovabili, dossier ai quali Farnesina e Palazzo Chigi guardano con interesse. A Parigi l’Italia cercherà di ritagliarsi un ruolo da protagonista, ma la concorrenza con Francia e Spagna, non soltanto
nell’area, rende tutto meno facile.
L’attacco e la pace catalani. Le scuse sono
infine arrivate, dopo che la Farnesina le
aveva richieste con una certa urgenza. Il segretario agli Affari interni dell’amministrazione di Barcellona, Joan Boada, aveva at-
LIBRI
Vittorio Strada
L’ETICA DEL TERRORE
Fondazione Liberal, 182 pp. euro 18
letterati ne siano rimasti affascinati: dall’Oscar Wilde di “Vera o i nichilisti” all’Albert Camus di “I giusti”, al Thomas
Mann della “Montagna incantata”, al Fëdor Dostoevskij dei “Demoni”. E Dostoevskij e Mann sono infatti richiamati
nel sottotitolo di questo saggio.
Ma, sia pur ricostruendola in controluce con le tante suggestioni letterarie e
filosofiche che ha suscitato e continua a
suscitare, Vittorio Strada ha cura di ricordare che quella che sta raccontando
è una vicenda andata ben oltre la letteratura e la filosofia. “La storia del terrorismo russo, oltre a essere di per sé avvincente, costituisce la preistoria del
terrorismo presente e futuro”. Non a caso Lenin definiva “I demoni” un libro
“ripugnante ma geniale”. Era stato proprio il tipo di “etica” lì perfettamente
rappresentato (per esserne stato in gioventù soggiogato lo stesso Dostoevskij)
ad aprire la strada al successo e al con-
taccato l’Italia commentando le cronache da
Lloret de Mar: “La stampa che è o che dipende da Silvio Berlusconi ha bisogno di
storie truculente per depistare i cittadini”.
Immediata la replica di Pasquale Terracciano, ambasciatore italiano a Madrid. Si
tratta di frasi “inaccettabili e fantasiose”.
Così la Farnesina ha chiesto a Madrid “scuse pubbliche e ufficiali”. Un comunicato del
ministero spiegava che le affermazioni di
Boada “configurano un atteggiamento poco
amichevole” e “contrastano con il clima costruttivo riscontrato nei rapporti tra il governo italiano e quello spagnolo”. E’ stato
cioè interpretato come un attacco politico.
D’altronde il ministro degli Esteri Frattini,
quando alcuni ministri del governo Zapatero avevano attaccato il governo e il suo governo sul decreto sicurezza, aveva annunciato che non avrebbe più tollerato esternazioni contro l’Italia da parte della Spagna.
Joan Saura, il responsabile del ministero
solidamento del totalitarismo comunista. Anche se poi gran parte dei “terroristi” storici di fronte a esso sarebbero
poi finiti o in esilio, o al gulag, o di fronte al plotone di esecuzione.
Vittorio Strada ricorda che anche la
teoria di Lev Tolstoj sulla “non resistenza
al male con la forza”, in apparenza la risposta più estrema alle teorie terroriste,
finì di fatto per diventarne complementare. E nell’epilogo cita gli scritti del giurista e filosofo Ivan Il’in, studioso di Hegel,
e attivo nell’opposizione in esilio. “Il Vangelo insegna non una compassione animale, ma un amore dell’uomo che sia
amore di Dio: insegna un amore ispirato…
Insegnando ad amare i nemici, Cristo intendeva i nemici personali, non i nemici
di Dio e i sacrileghi corruttori, per i quali
è detto che siano buttati in acqua con una
macina al collo. Insegnando a perdonare
le offese, Cristo intendeva le offese personali, non ogni possibile scelleratezza; nessuno ha il diritto di perdonare le offese altrui o di permettere agli scellerati di offendere i deboli, corrompere i bambini,
profanare i templi e rovinare la patria.
Quindi il cristiano è chiamato non solo a
perdonare le offese, ma a lottare contro i
nemici della causa divina sulla terra. Gli
basta ricordare il grande momento storico in cui l’amore divino in sembiante di
ira e di sferza scacciò dal tempio la folla
vilmente sacrilega”. Come spunto di dibattito, è per lo meno ancora attuale.
dell’Interno della Catalogna, ha espresso
scuse ufficiali da parte della Generalitat.
Da Washington a Roma. Trasferimenti e giri di nomine all’ambasciata americana in
Italia, con un occhio all’Iran. Jonathan
Cohen, alla testa dell’ufficio politico, è a fine mandato. Domenica ha lasciato Roma alla volta di Cipro. Lo dovrebbe sostituire, probabilmente dopo l’estate, Barbara Leif, che
lavora all’Iranian desk del dipartimento di
stato. Stephen Anderson lascerà via Veneto
entro la settimana prossima. Primo segretario a Roma, va in cerca di una nota di merito sul curriculum nella sede ad alto rischio
di Baghdad. Una missione, per ora, di un anno al fianco dell’ambasciatore Ryan
Crocker. Poi potrebbe rientrare a Roma. Nel
frattempo sarà sostituito dal giovane Peter
Brownfeld, in arrivo da Washington. Parla la
nostra lingua, perché dicono che ha sposato
un’italiana figlia di un ex politico.
OGGI – Nord: tempo instabile con rovesci e temporali sparsi, più intensi al
mattino sui settori centro orientali e al
pomeriggio tra Piemonte e Lombardia.
Centro: locali rovesci soprattutto su
Toscana, Marche e Lazio. Quasi invariata la situazione al sud con bel tempo prevalente e clima estivo; sempre
più caldo per arrivo di aria nord africana con punte di 38-39 gradi.
DOMANI – Nord: circolazione più fresca da nord con aria instabile e rovesci
o locali temporali dalla Lombardia
verso est. Centro: possibili rovesci durante la giornata su Romagna e Marche; sole sulle altre regioni. Sud: sole
con tendenza ad aumento di nubi e a
isolati brevi rovesci sul medio adriatico. Temperature in calo generale più
sensibile.