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La Siria e lo scacchiere internazionale Dalla primavera araba alla guerra civile Clicca sugli stati per l’approfondimento USA UK FRANCIA ITALIA TURCHIA EGITTO ISRAELE A cura di Paolo Bernocco e Lidia Catalano | Tangerine Lab LIBANO ARABIA SAUDITA QATAR IRAN RUSSIA Progetto interattivo su lastampa.it Iran torna alla home È l’alleato più fidato di Assad, l’unico nell’intero Medio Oriente. Teheran protegge il regime siriano perchè i due Stati costituiscono un asse sciita che contende l’egemonia nell’area ai Paesi sunniti guidati da Arabia Saudita e Qatar. Un appoggio a tutto campo che si traduce in cospicui aiuti economici, forniture belliche e l’invio sul fronte dei soldati della Guardia Rivoluzionaria. Russia torna alla home Da più di mezzo secolo la Siria è l’alleato più stretto di Mosca in Medio Oriente. Durante la guerra civile siriana la Russia ha sostenuto Damasco con armamenti, tecnologia, e un costante “scudo” politico-diplomatico in seno al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, dove ha posto più volte il veto a risoluzioni contro il regime di Assad. La marina russa possiede inoltre un porto a Tartus, un crocevia strategico di primaria importanza: è l’unico avanposto militare al di fuori del territorio russo, e garantisce la presenza della flotta sul Mar Mediterraneo. Al momento Putin è considerato il vero vincitore del conflitto: Assad è ancora al suo posto, gli interessi nazionali sono preservati, Mosca si sta dimostrando un alleato affidabile mentre l’Occidente, pur avendo scaricato Assad, non ha fornito un sostegno convinto ai ribelli. Turchia torna alla home Le ottime relazioni diplomatiche che hanno a lungo contraddistinto i rapporti tra Ankara e il regime di Assad si interrompono bruscamente in concomitanza con la violenta repressione dei primi moti di protesta nelle città siriane. Erdogan è stato uno dei primi premier a condannare con durezza il regime di Damasco e ad attivarsi a favore dei ribelli: la Turchia ha promosso la nascita e l’organizzazione, sotto la supervisione della sua intelligence militare, dell’esercito libero siriano, a cui fornisce aiuti finanziari, logistici e bellici. Ad inasprire ulteriormente le già pessime relazioni con Damasco ha contribuito l’abbattimento nel giugno 2012 di un jet militare turco, reo di essere entrato nello spazio aereo siriano. I due piloti a bordo sono deceduti, e la tensione tra i due Paesi ha raggiunto un livello critico: è stato evitato un conflitto, ma l’incidente ha dato il via ad una serie di scaramucce lungo il confine tra i due eserciti che hanno provocato la morte di cinque civili turchi e 14 militari siriani. Arabia Saudita torna alla home Riyad è il principale finanziatore dei ribelli. È il Paese leader del fronte sunnita in Medio Oriente, e contende all’Iran sciita l’egemonia nell’area. Per queste ragioni la partita siriana è strategicamente fondamentale: gli Assad appartengono alla minoranza alawita, di ramo sciita, mentre la maggioranza della popolazione siriana è sunnita, e un eventuale caduta del regime porterebbe Damasco nell’orbita dei Paesi del Golfo allontanandola definitivamente da Teheran. I sauditi, particolarmente preoccupati dal ruolo sempre più attivo dei miliziani di Hezbollah, stanno moltiplicando le pressioni per un maggior coivolgimento occidentale nel conflitto, invocando una risoluzione Onu che impedisca le forniture belliche al regime da parte di Iran e Russia. Qatar torna alla home Il piccolo ma potente emirato del Golfo ha assunto un ruolo di primo piano nelle rivolta della Primavera araba. Ingenti disponibilità finanziarie, un’emittente televisiva diffusa su scala mondiale come Al Jazeera, e una chiara volontà politica di emergere - è stato uno dei Paesi più attivi durante la guerra in Libia e contro ogni pronostico ha ottenuto l’organizzazione dei Mondiali di calcio del 2022 - hanno trasformato il Qatar in uno dei protagonisti dello scacchiere mediorientale. Particolarmente rilevante il suo coinvolgimento in Siria, dove è secondo solo a Ryad nella fornitura di armi e finanziamenti ai ribelli. Israele torna alla home A lungo spettatore interessato della cruenta guerra civile ai suoi confini, Israele ha sempre evitato prese di posizione dirette a favore dell’una o dell’altra parte. Nonostante i pessimi rapporti con il regime di Assad, stretto alleato dell’Iran, Gerusalemme è piuttosto diffidente nei confronti dell’eterogeneo fronte dei ribelli, all’interno del quale si annidano diverse fazioni legate all’estremismo islamico e ad Al Qaeda. Due questioni delicate minano inoltre le relazioni tra i due Paesi: le alture del Golan, conquistate da Israele durante la guerra dei sei giorni nel 1967 e tuttora rivendicate da Damasco, dove di recente si sono registrati scontri a fuoco tra i due eserciti, e l’inscindibile legame tra la Siria ed Hezbollah, l’organizzazione sciita del Sud del Libano che si è resa protagonista di attentati e attacchi militari contro le città del Nord d’Israele. Proprio per contrastare le fornitura di armi ad Hezbollah, a gennaio e maggio 2013 Israele ha bombardato alcune postazioni militari in territorio siriano. Italia torna alla home Pur condannando senza appello il regime di Assad per le violenze contro il suo popolo, l’Italia ha sempre auspicato una soluzione diplomatica della guerra civile siriana, ben consapevole che quanto sta avvenendo a Damasco è inscindibilmente legato alle sollevazioni popolari della cosidetta Primavera araba e all’eterna contesa tra Iran e i Paesi del Golfo: “È fondamentale avere un approccio d’insieme verso il Mediterraneo - spiega il ministro degli Esteri Emma Bonino - poiché siamo di fronte a uno scontro generale fra sciiti e sunniti e non a semplici rivolte nazionali”. Francia torna alla home Tra le nazioni occidentali la Francia svolge un ruolo di primo piano, insieme alla Gran Bretagna, nel fronte anti Assad. Un coinvolgimento che nasce anche dai forti legami storici e culturali tra i due Stati: la Siria è rimasta sotto il controllo militare di Parigi dal 1920 al 1946, quando conquistò l’indipendenza, e tuttora il francese è la lingua straniera più diffusa tra le élite del Paese. Il ministro degli Esteri transalpino Laurent Fabius, dopo aver annunciato nel giugno 2013 che il governo francese “a la certezza che il gas sarin è stato utilizzato più volte in Siria”, non ha escluso alcuna ipotesi per spodestare Assad: “Tutte le opzioni sono sul tavolo”. Libano torna alla home Gli antichi e controversi legami tra Beirut e Damasco hanno reso il Paese dei cedri il principale terreno di scontro tra sostenitori pro e contro Assad al di fuori dei confini nazionali siriani. Nel novembre 2011 il Libano ha votato contro la proposta di sospensione della Siria dalla Lega Araba, ma da più di due anni il Paese, invaso da quasi 600mila profughi, è teatro di aspre battaglie tra la componente alawita della popolazione, fedele ad Assad, e il fronte sunnita, dalla parte dei ribelli. Un ruolo di primo piano spetta poi ad Hezbollah, il partito sciita radicato nel Sud del Paese i cui miliziani stanno combattendo insieme all’esercito siriano, rivelandosi decisivi in battaglie chiave come quella di Qusayr, nel giugno 2013. Gran Bretagna torna alla home La Gran Bretagna è determinata a sbloccare al più presto l’impasse politico e militare siriano. Un attivismo che si traduce in aiuti economici, tecnologici e militari a favore dei ribelli e in un azione decisa a livello politico in seno alle principali istituzioni internazionali per mettere alle strette Assad. Londra, molto più di Washington, non esclude l’ipotesi di un intervento militare e il ministro degli Esteri William Hague ha dichiarato: “Il Regno Unito deve fare di più per salvare le vite dei siriani. È necessaria però un’iniziativa forte, determinata e coordinata da parte dell’intera comunità internazionale”. Egitto torna alla home Il Paese delle piramidi, il più popoloso del mondo arabo, ha da sempre un ruolo centrale negli equilibri dell’intero Medio Oriente. Le relazioni tra le due nazioni, ottime all’epoca di Hosni Mubarak, si sono gravemente deteriorate quando il “faraone” è stato destituito in seguito alle rivolte della Primavera araba. L’avvento al potere dei Fratelli Musulmani - organizzazione vietata in Siria - porta l’Egitto a sostenere con determinazione l’opposizione siriana, condannando le violenze perpetrate dal regime di Assad fino ad arrivare alla chiusura della propria ambasciata a Damasco nel giugno 2013. La deposizione del presidente Morsi da parte delle forze armate il 3 luglio scorso ha poi stravolto ancora una volta il quadro politico egiziano, e non è ancora chiaro quali potranno essere le future strategie del Cairo riguardo la guerra civile siriana. USA torna alla home Sembrano lontani i tempi in cui l’ex Segretario di Stato Hillary Clinton aveva definito “riformatore” Assad, eppure è accaduto a fine marzo 2011, quando era già iniziata la guerra civile nel Paese. La posizione americana è poi mutata rapidamente dopo i massacri contro la popolazione inerme ordinati dal regime, ma Washington non ha alcuna intenzione di impegnarsi in prima linea in una complicata operazione militare senza l’avallo delle Nazioni Unite. La questione siriana non è infatti avvertita come una priorità nel Paese, l’amministrazione democratica non intende trascinare gli Usa in un nuovo conflitto dopo aver faticosamente messo fine alla guerra in Iraq e iniziato il ritiro delle truppe dall’Afghanistan, e soprattutto non ci si fida del variegato fronte dei ribelli, all’interno del quale ci sono gruppi legati ad AlQaeda. La “linea rossa” che Damasco non avrebbe dovuto superare secondo Obama, l’utilizzo di armi chimiche, è già stata infranta, ma in attesa che la comunità internazionale assuma una posizione compatta sul tema gli Stati Uniti scelgono la linea della cautela, sostenendo le milizie anti-Assad solo con l’invio di armi leggere