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L’alone sul bicchiere
Ti si para davanti agli occhi, improvvisamente. Piano piano va sbiadendosi, lasciando spazio
alla limpida trasparenza del vetro, pieno, resistente.
L’alone di vino sul bicchiere si forma appena l’avventore posa il calice sulla tavola e il
nettare scende, unendo il vino al vino, dove si può scorgere una storia da raccontare, che si ripete,
sorso dopo sorso. L’alone ti guarda perpendicolarmente bucando gli occhi, quasi volesse proteggere
la storia che l’ha creato, le persone protagoniste, ogni singolo acino di uva.
L’altro giorno mi ero appena seduto a tavola, il mio risotto ai funghi era fumante sotto il mio
naso e mi stava mettendo seriamente in difficoltà, non resistevo all’idea di poter finalmente
affondare la mia forchetta tra i chicchi.
Un piccolo sorso di barbera dal mio calice, per preparare il palato all’esplosione dei sapori
del bosco che i funghi avrebbero sprigionato di li a poco nella mia bocca. Posato il bicchiere, il vino
ha lasciato il suo alone, colorando di porpora le pupille dei miei occhi. A guardarlo bene, sembrava
volesse dirmi qualcosa, raccontarmi la sua storia. Un altro sorso e poi un altro ancora. Non è la vista
che si annebbia, non è distrazione tra un boccone e l’altro, ma la storia della “mia” vigna.
Un giorno, scorrendo le pagine locali di un quotidiano nazionale, rimango colpito dalla
pubblicità, promossa da un comune dell’Astigiano, circa la possibilità di adottare una vigna. Più che
tutta la vigna, si poteva adottare un filare di una vigna, venti metri di grappoli che, vendemmia dopo
vendemmia, sarebbero finiti in bottiglie da zerosettantacinque. In cambio di una quota in denaro,
l’adottante avrebbe ricevuto alcune bottiglie di barbera superiore, un “regalo” per il contributo dato
ai produttori, che si trasforma anche, grazie al Comune, in salvaguardia e promozione del territorio.
Da due anni ormai sostengo con piacere questa iniziativa. L’alone sul bicchiere l’avevo visto
già con la barbera del 2010, avevo colto che mi volesse trasmettere qualcosa, ma non ci avevo dato
peso. Quando l’alone è ritornato a farmi visita con la barbera 2011, rosso rubino scuro, davanti al
solito risotto ai funghi, ho guardato meglio ciò che voleva dirmi, la storia che mi ha raccontato.
Così ho visto di fronte a me l’immagine dei filari ancora coperti dalla leggera coltre di neve
che si scioglieva via via al debole sole di fine febbraio. La potatura era appena iniziata e sarebbe
proseguita oltre, preparando la vigna alla primavera e all’estate, il momento in cui darà il meglio di
sé, l’attimo che definirà un’annata, il premio per chi, con fatica, ha lavorato tra le carezze di quelle
foglie.
Guardando meglio sono stato proiettato nel futuro, sarà stato settembre, la vendemmia era
appena conclusa e la gente si divertiva a pestare le uve a piedi nudi all’interno di grosse tinozze, una
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festa per celebrare l’ennesima ottima annata nonostante il gran caldo dell’estate e la scarsezza delle
piogge.
Me l’immagino sempre la “mia” vigna, non l’ho mai vista dal vivo e mi piacerebbe molto
far passare il mio tempo attraverso le stagioni per guardare il suo cambiamento, dal germoglio che
sboccia alla di fine aprile alle grandi foglie verde scintillante di fine agosto. Immagino il grappolo,
esile e debole all’inizio dell’estate, possente e pesante alle soglie dell’autunno, carico degli aromi
che si trasformeranno in vino. Guardo l’acino, di un rosa trasparente, con lo sguardo lo penetro e ne
vedo la stessa storia per ritrovarmi, poi, con un piatto di risotto ai funghi, davanti all’alone, divino,
del mio bicchiere.
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