Istituto MEME: Incesto - Descrizione del fenomeno e trattamento
Transcript
Istituto MEME: Incesto - Descrizione del fenomeno e trattamento
UNIVERSITE EUROPEENNE JEAN MONNET ASSOCIATION INTERNATIONALE SANS BUT LUCRATIF BRUXELLES - BELGIQUE THESE FINALE EN “SCIENCES CRIMINOLOGIQUES” Incesto DESCRIZIONE DEL FENOMENO E TRATTAMENTO TERAPEUTICO Gecchele Irene Matricola n° 2151 Bruxelles 2009 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 Indice INTRODUZIONE 4 CAPITOLO I 7 IL FENOMENO DELL’INCESTO 1.1 L’incesto nella mitologia: il mito di Adone 7 1.2 Il fenomeno dell’incesto 9 1.3 Un accenno alla storia 11 1.4 La proibizione dell’incesto 12 CAPITOLO II 19 ABUSO SESSUALE INTRAFAMILIARE ED ABUSO EXTRAFAMILIARE: INCESTO E PEDOFILIA 2.1 La pedofilia da un punto di vista clinico 19 2.2 Definizione di abuso sessuale infantile 25 2.3 Tipologie di abuso 28 2.4 L’abuso intrafamiliare 29 2.5 Tipologia della famiglia incestuosa 33 2.6 Genitori abusanti 35 2.7 L’incesto tra padre-figlia 37 2.8 Le conseguenza dell’incesto 43 CAPITOLO III 48 ASPETTI GIURIDICI E SEGRETO PROFESSIONALE 2 3.1 La definizione giuridica dell’incesto 48 3.2 L’incesto (Art.) 52 3.3 L’abuso sessuale in famiglia 57 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 3.3.1 ART. 609 bis: il reato di violenza sessuale 58 3.4 Il coniuge quale soggetto passivo del reato di violenza sessuale 3.5 Il segreto professionale CAPITOLO IV 60 67 71 PERICOLOSITA’ SOCIALE E TRATTAMENTO TERAPEURICO 4.1 Dopo la condanna: rieducazione del condannato 4.2 La pericolosità sociale: il problema dell’accertamento 73 4.3 La terapia dell’abusante 4.4 Il trattamento cognitivo comportamentale degli aggressori 4.5 71 84 sessuali 89 Il colloquio psicologico come strumento di aiuto 96 4.5.1 I fattori che influiscono sul colloquio 98 4.6 Il colloquio criminologico 103 4.7 I test psicologici 108 4.7.1 La personalità dell’abusante attraverso i test proiettivi CAPITOLO V 117 121 Il caso del Signor G. CONCLUSIONI 140 APPENDICE 145 BIBLIOGRAFIA 150 3 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 Introduzione I maltrattamenti e gli abusi sui minori sono sempre esistiti nella nostra storia e solo negli ultimi anni si sta prendendo in considerazione più seriamente la grave situazione che si sta sviluppando. Esistono varie tipologie di violenza che possono essere attuate all’interno di un contesto familiare, ma in questo caso ci soffermeremo in particolare sul fenomeno dell’incesto. L’abuso sessuale sui minori è un comportamento deviante che nell’ordinamento italiano si concretizza come reato. Il caso più frequentemente riscontrato è l’abuso perpetrato da uno dei genitori a danno dei figli, ossia l’incesto. In effetti, dai dati statistici di cui si è a conoscenza, e che riguardano naturalmente solo i reati denunciati, risulta che l’incesto, inteso nella forma più ampia, e cioè come comprendente tutti i rapporti di natura sessuale intervenuti tra persone legate da vincoli di sangue in linea retta o collaterale, sia la forma di abuso sessuale sui minori più frequente. L’abuso sessuale è sempre un trauma per la vittima, a maggior ragione quando questa è una persona in crescita, come nel caso di un minore. Ovviamente, le conseguenze di questo evento traumatico sono diverse, poiché dipendono da fattori variabili, quali l’età di vittima e aggressore, la relazione esistente fra i soggetti coinvolti, la durata dell’abuso, il livello di sviluppo fisico e cognitivo del minore, ecc. Di conseguenza, anche gli diversificati, interventi poiché a favore della vittima qualunque generalizzazione dovranno potrebbe essere avere conseguenze deleterie per il soggetto. In ogni caso, gli addetti ai lavori sono concordi nel ritenere indispensabile un approccio integrato, nel quale si mescolino in ugual misura interventi di ordine 4 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 giudiziario, medico, psicologico e assistenziale, tutti orientati alla salvaguardia e alla protezione irrinunciabile il momento della del minore. rilevazione, Appare poiché quindi rilevare prontamente l’incesto e segnalarlo all’autorità giudiziaria sono le modalità più sicure per ottenerne l’interruzione e per mettere in atto le prime misure di protezione del minore. Naturalmente, questo è solo il primo passo per eliminare la situazione di pericolo fisico e psicologico in cui il minore si trova a vivere. Successivamente sono indispensabili l’accertamento, il trattamento giudiziario e, in ultimo, ma di fondamentale importanza, la comprensione degli stati d’animo e delle emozioni che permetteranno di portare avanti una terapia per il minore. Con questo studio cercherò di porre l’attenzione sulla figura dell’abusante, proponendo un’analisi su quelle che a tutt’oggi sono le principali modalità di intervento poiché l’incesto è la forma di abuso più diffusa. Il primo capitolo si occupa del fenomeno dell’incesto, cerca di descriverne la storia e alcuni riferimenti teorici che spiegano le origini del tabù dell’incesto Tale norma sociale è infatti molto antica e si ritrova in quasi tutte le culture, con qualche rara eccezione. E’ allora utile capire per quale motivo sia stata creata un regola tanto forte e tanto temuta, e cercare di dare una spiegazione alle violazioni che comunque esistono a questa norma sociale. Il secondo capitolo affronta il tema della differenza tra abuso intra-familiare e abuso extra- familiare, ovvero incesto e pedofilia. In questo capitolo si cerca di definire in modo abbastanza dettagliato il fenomeno dell’incesto e del suo sviluppo, soffermandosi nel dettaglio sull’incesto tra padre e figlia e sulle conseguenze che questo comportamento deviante può portare. Non si può inoltre non fare 5 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 alcuni accenni all’abuso sessuale infantile, in quanto è un tema strettamente correlato alla figura dell’abusante. Il terzo capitolo tratta degli aspetti giuridici e delle normative italiane descrivendo in dettagli gli articoli che riguardano l’incesto e la violenza sessuale. Vengono descritti gli interventi legislativi contro l’incesto. Mi è sembrato opportuno soffermarmi brevemente anche sul conflitto che molti operatori del settore molto spesso si trovano ad affrontare, ossia il conflitto tra l’obbligo di denuncia e il segreto professionale, tema che divide tutt’ora molte persone. Nel quarto capitolo si cerca di definirne la pericolosità sociale e un possibile trattamento terapeutico di risocializzazione e di reinserimento sociale che si può attuare nel momento in cui l’abusante venga condannato e quindi internato in un istituto carcerario, si descrive l’utilizzo dei colloqui di sostegno e i fattori che possono influirlo. Vengono descritti inoltre i test maggiormente utilizzati all’interno di colloqui clinici, sottolineando come, con alcune ricerche sui test proiettivi, si cerchi di comprendere la personalità dell’abusante. Infine ho riportato alcuni colloquio seguiti in prima persona con un detenuto della casa circondariale di Verona, con cui sto seguendo un progetto di sostegno per una risocializzazione e reinserimento nella società con la relazione finale fatta per l’Avvocato. 6 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 Il fenomeno dell’incesto 1.1 L’incesto nella mitologia: il mito di Adone Adone, mitico personaggio dell’antichità, rappresentante il frutto dell’amore incestuoso tra un padre e una figlia, è un esempio di amore, come veniva inteso nelle credenze degli antichi greci, che erano soliti immaginare un connubio tra il naturale ed l’innaturale, giustificando spesso il sottile passaggio dall’ umano all’eterno. A Cinira, nipote di Pigmalione, fondatore della città di Pafo sull’isola di Cipro, gli nacque una figlia (Mirra o Smirra), che, appena divenne una leggiadra giovinetta, s’innamorò perdutamente del padre. Mirra si considerava bellissima e spesso si vantava di avere i capelli più belli della stessa Afrodite (Venere) la dea della bellezza e per questo fu punita. La punizione consistette nel fatto che, Mirra, (per volere degli Dei olimpici, che mal sopportavano questi affronti dai mortali), presa da irrefrenabile passione pel padre, con inganno inebriò il genitore con essenze irresistibili e giacque con lui per dodici notti consecutive. Durante l’ultima notte al bagliore di un lume nascosto Cinira si destò dall’ebbrezza e scorta chi era la compagna di letto e scoperto l’inganno, andò su tutte le furie e brandendo la spada si scagliò con veemenza contro la figlia per ucciderla. Mirra, per sfuggire alla morte e conscia che portava in seno un bambino, concepito in quell’amore proibito, e piena di vergogna, pregò gli dei di scomparire e di non esistere né tra i vivi, né tra i 7 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 morti. Padre Zeus (Giove) s’impietosì e trasformò Mirra in un albero, che piange con le lacrime più aromatiche nel partorire il proprio frutto, il frutto del legno (Adone). Divenuta albero, Mirra partorì così il suo primo frutto (Adone) che era un bambino bellissimo, tanto che Afrodite (Venere), lo nascose chiudendolo in una cassa, che consegnò a Proserpina (la dea degli Inferi) perché la custodisse. Proserpina, incuriosita del contenuto, aprì la cassa e visto il bel bambino, non volle più restituirlo. Tra le due Dee nacque così una contesa, che, fu risolta da padre Giove con questo verdetto, il fanciullo, finché non diventava adulto, una parte dell’anno la trascorreva da solo, un’altra parte con Proserpina ed un’altra con Afrodite. Intanto Ares (Marte) roso dalla gelosia per le attenzioni amorose, che Afrodite profondeva per il fanciullo, durante una battuta di caccia fece ferire a morte da un cinghiale il bel Adone, il cui sangue, spargendosi per tutta la boscaglia, dove ricadeva, faceva sorgere anemoni rossi variopinti, che però appassivano molto presto. Il Mito di Adone sta a simboleggiare nel cinghiale la stagione invernale, che spegne la vita della natura (la morte apparente, il periodo che Adone trascorre presso Proserpina negli inferi), e nell’amore eterno voluto da Afrodite finché non si congiunge con Adone, che si manifesta nella rinascita della vegetazione in primavera con il rifiorire nei campi dei primi fiori anche se dopo breve tempo appassiscono. 8 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 1.2 Il fenomeno dell’incesto Ogni società si basa su scale di valori storicamente definite e variabili nel tempo e il fenomeno dell'incesto è stato, in epoche e comunità particolari (ad esempio nella società contadina e pastorale) tollerato e non avvertito come deviazione sessuale. Oggi, la nostra cultura ci porta a condannare l'incesto. In quanto fenomeno, l'incesto, presenta delle differenze con la violenza sessuale sui minori: non sempre infatti, l'incesto presuppone la violenza, anzi, giuridicamente si parla di incesto in caso di violazione della morale familiare (che è l'oggetto tutelato dall'art. 564 c.p. in seguito spiegato nel dettaglio CAP 3) attraverso il compimento di atti sessuali che causano "pubblico scandalo". Si parla dunque di atti sessuali, non di violenza. Nonostante l'impronta giuridica, però, è interessante notare come nella percezione sociale, l'incesto viene riferito a tutti quei casi in cui vengono compiute violenze sessuali tra soggetti appartenenti alla stessa famiglia, e l'elemento della violenza con cui viene commesso 1 l'atto sessuale lo rende, socialmente, un caso particolare e specifico della situazione di abuso sessuale. Da considerare che quando si parla di violenza sessuale su minore, ci si riferisce ad una presunzione di violenza in cui l'eventuale consenso o dissenso del minore non ha rilevanza giuridica. Il minore è considerato un soggetto speciale che necessita di particolare e più attenta protezione, ogni singolo atto sessuale, anche se da lui deciso o voluto, è ritenuto un atto violento da perseguire. Esemplificativa è la definizione proposta dal Comitato di protezione giovanile del Quebec, che ha individuato l'incesto in qualsiasi tipo di relazioni sessuale che avviene all'interno della 1 Merzagora, Incesto, in Digesto delle discipline penalistiche, Utet, Torino, 1992, p. 326-331. 9 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 famiglia tra un bambino ed un adulto che svolge nei suoi confronti una funzione parentale. Vi rientrano, quindi, atti compiuti in ogni tipo di relazione, etero od omosessuale (non soltanto se si arriva all'accoppiamento, ma anche quando si verificano pratiche orogenitali, anali e masturbatorie), e al bambino di atti di voyeuristico ed esibizionistici. Dunque, quando la società discute di situazioni di incesto si riferisce ai casi di abuso sessuale intrafamiliare, che vengono puniti dall'ordinamento con la normativa della Legge n. 66 del 1996. Da anni, infatti, anche i giudici che devono valutare casi di incesto tra un soggetto minorenne ed uno maggiorenne, non applicano più l'art. 564 c.p., in quanto tale norma non ha di mira la tutela del minore (che è invece quello che l'attuale percezione sociale ritiene essere l'obiettivo più importante dell'ordinamento) e fanno ricorso alle norme sulla violenza sessuale. Questo cambiamento è risultato anche dal fatto che i vari studi di psicologia sul rapporto sessuale tra un soggetto minorenne ed uno maggiorenne (soprattutto se legati da un rapporto di parentela) hanno individuato che in questa situazione di violenza intrinseca all'atto stesso, anche se non esplicita. È dunque più opportuna la tutela del minore attraverso le norme sulla violenza sessuale2. Un ultimo appunto ci viene fornito da Moro3 che ritiene che l'eziologia dell'incesto debba essere oggi più esattamente individuata in una "cultura della violenza" pervasiva delle relazioni familiari, nelle quali ogni membro della famiglia contribuisce allo sviluppo e al mantenimento del problema. Dunque non è corretto interpretare l'incesto come qualcosa riguardante esclusivamente il sesso, ma come un fatto legato ai rapporti di potere all'interno della famiglia e 2 R. Luberti, Il maltrattamento e l'abuso sessuale in danno dei minori, Corso di formazione per volontarie, Associazione Artemisia, Firenze, 2001. 3 A. C. Moro, Erode fra noi, Mursia, Milano, 1988. 10 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ad una serie di sottoculture ancora molto diffuse all'interno della nostra società, come la "cultura del possesso del figlio" che scambia la forza con la potenza e l'affetto con il possesso. 1.3 Un accenno alla storia L'incesto è il rapporto sessuale tra persone che hanno legami di parentela, la cui origine, e il cui divieto, sono antichissimi, come anche le punizioni, che arrivavano fino alla morte dei colpevoli e che hanno caratterizzato quasi tutte le culture del mondo. Già ai tempi degli antichi Greci esistevano norme riguardanti l'incesto. In Grecia, dopo un primo periodo di tolleranza, vennero giuridicamente represse le unioni incestuose, in particolare il matrimonio fra ascendenti e discendenti, mentre soltanto interdetto il matrimonio tra fratello e sorella (tollerato solo nel caso in cui costoro non fossero figli della stessa madre)4. Nel diritto romano per incesto venivano indicati tutti i gravi attentati alle leggi religiose e per i quali non era ammessa espiazione (ad esempio tutti i reati in ordine alle contaminazioni dei rapporti di consanguineità). La prima vera e propria incriminazione dell'incesto risale alle origini del diritto romano, quando tale comportamento veniva punito con la pena di morte; in epoca imperiale poi, la pena capitale venne sostituita dalla deportazione, poiché la maggior parte dei comportamenti incestuosi venivano compiuti da soggetti appartenenti alle classi sociali più privilegiate. Il Cristianesimo contribuì ad inasprire le pene: per il comportamento incestuoso era prevista la vivicombustione5. Nel periodo illuminista, invece, venne sconfessato l'incesto come reato 4 5 I. Merzagora, Incesto, in Digesto delle discipline penalistiche, Utet, Torino, 1992. Ibidem, pp. 329. 11 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 penale tanto che non venne inserito nei delitti previsti dal codice francese del 1810, e nemmeno in quello delle Due Sicilie del 1819 e in quello di Parma del 1820. Successivamente fu poi il codice sardoitaliano del 1859 e il codice toscano del 1853 che ripristinarono la previsione del reato di incesto. Il codice Zanardelli adottò una soluzione di compromesso, subordinando la punizione del reato al verificarsi del "pubblico scandalo". Tale soluzione aveva trovato unanime accordo, visto che erano in molti a proporre di sopprimere l'ipotesi delittuosa. Il codice Rocco ha infine, previsto tale reato all'articolo 564 c.p. nel fatto di avere rapporti sessuali, in modo che derivi "pubblico scandalo", con un discendente o un ascendente, o con un affine in linea retta, o con un sorella o un fratello6. Nei lavori preparatori non fu neanche discusso sull'opportunità o meno di punire l'incesto. L'unica perplessità riguardò il mantenimento dello "scandalo pubblico", che venne ribadito, riconoscendosi anzi proprio in esso il requisito fondamentale per la configurazione del reato o almeno per la sua punibilità7. 1.4 La proibizione dell’incesto Molti antropologi sono inclini a considerare la proibizione dell'incesto come uno dei pochi divieti universali, comuni a tutte le culture conosciute e studiate8. Un'esplicita proibizione delle unioni incestuoso si trova già nell'antico testamento (Levitino, 20, 17-21); l'esperienza dimostra come l'interdizione dell'incesto, pur accompagnata da gradi di punizione diversi (le modalità reattive 6 7 8 F. Antolisei, Manuale di diritto penale - Parte speciale, I, Giuffrè, Milano, 2002, pp. 485. I. Merzagora, Incesto, in Digesto delle discipline penalistiche, Utet, Torino, 1992. I. Merzagora, L'incesto, Giuffrè, Milano, 1986, pp. 4 - 13. 12 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 vanno dalla totale tolleranza, alla pena capitale9) sia di fatto universale. Le eccezioni sono pochissime: nell'antica Persia e nell'Egitto Tolemaico il matrimonio incestuoso veniva praticato nella classe regnante ed in altre società, come quella hawaiana, o nei regni bantù, l'incesto era consentito da alcune classi privilegiate. Tuttavia è il tabù stesso, indipendentemente dalle regole che lo sostengono, a dimostrare che esiste una tendenza all'incesto e che senza di esso non sarebbe inibita: la legge che vieta la trasgressione, tanto più è rigida, quanto più potenti sono le tendenze alla trasgressione. In Totem e Tabù, Freud10 riporta e commenta l'incesto come è vissuto da alcuni popoli primitivi della Melanesia, della Polinesia e della Malesia. Nella tribù dei Ta-Ta-Thi, ad esempio, nel nuovo Galles del Sud, per i rari casi in cui si verifica una relazione incestuosa, l'uomo viene ucciso, la violazione del divieto viene punita con il massimo rigore. Un altro esempio di clamorosa condanna, per impiccagione, è quello che riguarda gli abitanti dell'isola di Lepers, una delle nuove Ebridi, dove il giovinetto, raggiunta l'età pubere, è costretto ad abbandonare la casa materna per trasferirsi in quella 11 "dell'associazione" . Potrà tornare a far visita alla madre ma solo per chiedere cibo, e se in quell'occasione una sorella fosse in casa, sarebbe lui a doversene andare ancor prima di aver mangiato; se per caso i due dovessero incontrarsi sarà la sorella a doversi allontanare e nascondere; e quando il giovane vedrà orme di passi sulla sabbia e le riconoscerà come quelle della sorella non potrà seguirle. È facilmente intuibile come, in questo caso, la prevenzione dell'incesto renda impossibile al giovane il ritorno all'oggetto amato, in cui ha investito non solo le sue esigenze di amore e di essere 9 American Jourmal 150: 3, Rethinking Oewdipur: an Evolution Perpsective of Incest Avoidance, Marzo 1993. 10 S. Freud, Totem e tabù, Bollati Boringhieri, Torino, 1967. 11 S. Freud, Totem e tabù, Bollati Boringhieri, Torino, 1967. 13 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 amato, ma anche le proprie possibilità di sopravvivenza12. Dunque l'osservanza delle leggi che regolano i rapporto tra consanguinei richiede la separazione dall'antico rapporto e, come ogni situazione di distacco e di perdita, è probabile che generi frustrazione e depressione ma, contemporaneamente crei i presupposti per un Io solido e autonomo, capace di instaurare e mantenere rapporti oggettuali maturi13. Un altro esempio di rapporto incestuoso è quello dei Big Namba, dell'isola di Malekula: l'anziano suocero, il Nambutji, prima delle nozze, picchia con verghe di legno e poi sodomizza il futuro genero14. In questo rito in cui l'anziano padre usa il promesso sposo come "figlio-moglie", emergono l'elemento sadico, l'incestuoso desiderio per la figlia e la trasmissione da suocero a genero della "cosa" proibita. Se socialmente l'incesto è un divieto permanente, insormontabile e perseguibile, lo stesso rigore non è applicato per quelle relazioni sessuali che tutto hanno dell'incesto tranne la consanguineità15. Il vecchio Nambuji, infatti, non viola il tabù, ma come è successo a suo tempo per lui, soddisfa e contemporaneamente trasmette al marito della figlia, verso cui non ha legami di sangue, il desiderio e l'orrore dell'atto 16 proibito . A questo proposito si possono fare due considerazioni: la prima, confermata dall'osservazione clinica, è che chi subisce il danno dell'incesto, come se si trattasse di una malattia 12 P. Mari, Nodi Relazionali della famiglia abusante, in Per i derubati del sole. Un percorso formativo nei casi di abuso e maltrattamento infantile, Centro di Aiuto al Bambino Maltrattato e alla Famiglia, Atti del percorso formativo, Roma, 2001. 13 M. Acconci, A. Berti, Grandi reati, piccole vittime. Reati sessuali a danno dei bambini, Erga edizioni, Genova, 1999, p. 203-211. 14 W. Muensterberger, Perversione, norma culturale e normalità, in Psicoterapia della perversioni, Ed. Astrolabio, Roma, 1972. 15 M. Mancia, Riflessioni sulla Psicoanalisi contemporanea, in Psicoanalisi ed Antropologia, Ed. Bollari Boringhieri, Torino, 1995. 16 W. Muensterberger, Perversione, norma culturale e normalità, in Psicoterapia della perversioni, Ed. Astrolabio, Roma, 1972. 14 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 infettiva, ne diviene portatore e potenziale veicolo di contagio17, la seconda è che il desiderio di violare il tabù dell'incesto segregato nell'inconscio trova una via di appagamento "lecita" e in un certo senso utile dal momento che "avverte" la nuova generazione dell'ambivalenza emotiva che ha verso il tabù anche chi lo rispetta. Alla proibizione dell'incesto sono state in antropologia proposte principalmente tre tipi di spiegazione18: biologica, in cui la proibizione dell'incesto sarebbe una misura di protezione diretta a salvaguardare la specie dai risultati nefasti dei matrimoni consanguinei; psicologica, in cui la proibizione dell'incesto sarebbe basata sulla istintiva repulsione o mancanza di eros derivante dalla familiarità dei rapporti tra consanguinei; sociologica, in cui la proibizione dell'incesto sarebbe da considerarsi come una regola che permette agli uomini di scambiarsi le donne e di stabilire in questo modo delle alleanze, dando il via alla possibilità della vita sociale. In particolare è la spiegazione sociologica quella che oggi è 19 ritenuta dalla maggior parte degli antropologi la più convincente . Ed essa si correla con il binomio esogamia/endogamia, ovvero con la tendenza riscontrabile in ogni società, a contrarre matrimoni ed 17 M. Acconci, A. Berti, Grandi reati, piccole vittime. Reati sessuali a danno dei bambini, Erga edizioni, Genova, 1999, p. 205. 18 N. Rouland, Antropologia giuridica, Giuffrè, Milano, 1992, p. 46. 19 E questo essenzialmente per le due seguenti rispettive ragioni: la spiegazione biologica presuppone che popoli anche molto primitivi abbiano consapevolezza degli effetti prodotti dalla procreazione di genitori consanguinei quando in alcuni casi popolazioni tradizionali (ad esempio alle isole Trobrinad) non sono neanche a conoscenza della correlazione fra gravidanza ed atto sessuale; la spiegazione psicologica invece si basa su un'assunzione smentita da innumerevoli riscontri empirici che confermano l'attrazione sessuale fra consanguinei (per non parlare degli stessi presupposti della psicoanalisi) e dalla semplice e logica osservazione secondo cui non ci sarebbe alcun bisogno di proibire qualcosa che istintivamente nessuno è disposto a fare. V. Andreoli, Dalla parte dei bambini. Per difendere i nostri figli dalla violenza, Ed. SuperBur, Milano, 2003, p. 72-73. 15 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 unioni sessuali con appartenenti ad uno stesso gruppo (endogamia) o ad un gruppo diverso dal proprio (esogamia)20. La regola dell'esogamia è presente in Freud. In Totem e tabù, Freud muove dalla nozione antropologica di totem, l'oggetto sacro, per lo più un animale, che viene considerato simbolo della tribù e contraddistingue l'appartenenza alla tribù stessa e una specie di legame di parentela fra tutti i membri della stessa. Nel gruppo totemico vigono più tribù con più divieti: non uccidere l'animale totemico, non mangiare carne, non contrarre matrimonio all'interno del gruppo ossia non con membri dello stesso totem21. In questo senso alla proibizione dell'incesto corrisponde l'esogamia, ma secondo Lèvi-Strauss, questo è innanzitutto scambio: «In qualunque sua forma è lo scambio, e sempre lo scambio, che risulta essere la base fondamentale e comune di tutte le modalità dell'istituto matrimoniale. Se queste modalità sono tutte assumibili sotto la generale denominazione di esogamia, ciò può farsi a condizione di riconoscere, dietro l'espressione superficialmente negativa della regola di esogamia, la finalità di cui essa tende con la proibizione del matrimonio nei grandi proibiti, e che è quella di assicurare la circolazione totale e continua di quei beni per eccellenza che il gruppo possiede e che sono le sue mogli e le sue figlie»22. In generale la tensione verso l'esogamia, corrisponde al fortificarsi del gruppo, non solo in termini biologici e genetici ma anche in 23 termini culturali e sociali . Alla base della proibizione dell'incesto vi è dunque innanzitutto lo "scambio" come prima condizione di esistenza 20 C. Seymour-Smith, Dizionario di antropologia, Sansoni, Firenze, 1991. Freud interpretava queste caratteristiche delle tribù primitive con mezzi psicoanalitici e, più precisamente, era del parere che l'animale totemico simbolizzasse la figura del padre e che i tabù corrispondessero a divieti derivanti dal complesso di Edipo: il divieto di parricidio e il divieto di incesto. D. Fusaro, Sigmund Freud. La sublimazione. 22 C. Lèvi-Strauss, Le strutture elementari della parentela, 1984, Milano, p. 614. 23 N. Rouland, Antropologia giuridica, Giuffrè, Milano, 1992. 21 16 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 della società. Ciò significa che, dice ancora Lèvi-Strauss, che «l'esogamia ha un valore assai più positivo che negativo, perchè afferma l'esistenza sociale altrui, e proibisce il matrimonio endogamico solo per introdurre e prescrivere il matrimonio con un gruppo diverso dalla famiglia biologica; e non certo perchè al matrimonio consanguineo si attribuisca una pericolosità biologica, ma 24 perchè da un matrimonio esogamico risulta un beneficio sociale» . Si può dunque affermare che l'esogamia «costituisce l'archetipo di tutte le altre manifestazioni a base di reciprocità, e fornisce la regola fondamentale ed immutabile che assicura l'esistenza del gruppo come gruppo». Se da un lato la rete di alleanza che i sistemi esogamici producono, permette al gruppo di prosperarsi e di organizzarsi sul territorio in modo anche molto efficace, dall'altro comporta una certa dispersione, anch'essa non solo genetica, ma anche sociale e culturale. Scambiano i geni, la cultura, le risorse economiche e sociali con un gruppo diverso, ogni gruppo perde parte di sé e si fortifica solo nella misura in cui non si perde nell'altro. L'esogamia pertanto, pur essendo teoricamente auspicabile, comporta dei seri rischi nella continuità e nella riproduzione del 25 gruppo . Applicare simili caratteristiche alla società in cui viviamo e ai casi di abuso in famiglia, potrebbe rilevare degli aspetti interessanti. Interpretare l'incesto e l'abuso in famiglia presente nella società occidentale in termini di inibizione dell'esogamia apre la strada all'interpretazione di alcuni aspetti della nostra società in termini di crisi, di problematicità e di miseria psicologica. Il non voler contrarre relazioni esogamiche, 24 C. Lèvi-Strauss, Le strutture elementari della parentela, 1984, Milano p. 616. È un errore pensare alla nostra società come ad una società del tutto esogamica. Precise categorie di ceto socioprofessionale, economico e culturale oltre che razziali, religiose e di età vincolano, nella nostra cultura, le scelte matrimoniali. 25 17 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 il non voler scambiare il proprio corredo (genetico, culturale, sociale) con un individuo riconoscibile come altro da sé, potrebbe infatti corrispondere ad una paura di dispersione, annientamento, perdita di sé nell'altro26. Anche la pedofilia potrebbe, in via del tutto ipotetica, essere letta come un incesto simbolico, quindi come rifiuto endogamico a "scambiare", esogamicamente il proprio patrimonio (genetico, culturale, sociale) con un partner appartenente ad un gruppo diverso. Simili teorie però non godono allo stato attuale, di nessun riscontro empirico e possono semplicemente aggiungersi alle tante interpretazioni della pedofilia che sinora restano, purtroppo, interpretazioni del tutto astratte27. Si possono inoltre considerare altre società antiche in cui l’incesto veniva considerato come un requisito regale. Ad esempio nella civiltà degli Inca solo il re poteva sposare la propria sorella, madre o nipote. A chi non osservava questo divieto venivano cavati gli occhi. Anche i faraoni egiziani consideravano l’incesto una caratteristica regale. I sovrani di queste civiltà infrangevano intenzionalmente questo divieto per affermare la loro posizione di superiorità e di potere assoluto. Possiamo quindi affermare, per concludere, che il divieto di incesto non dipende solo ed esclusivamente da influenze biologiche ma anche dagli aspetti socio-culturali dei diversi popoli. Abbiamo però anche visto come, in certi casi, gli uomini abbiano infranto questo tabù per soddisfare la loro personale sete di beni e di potere o per 26 27 affermare la loro, quanto mai presunta, B. Bernardi, Uomo cultura e società, F. Angeli, Milano, 1985. N. Rouland, Antropologia giuridica, Giuffrè, Milano, 1992, p. 46. 18 “superiorità”. _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 Abuso sessuale intra-familiare e abuso extra-familiare: incesto e pedofilia 2.1 La pedofilia da un punto di vista clinico Etimologicamente il termine pedofilia (dal greco pais che significa fanciullo, e philìa amore) sta a significare predisposizione naturale dell'adulto verso il fanciullo come forma educativa o pedagogica28. In realtà essa deve essere intesa come attrazione sessuale dell’adulto verso i bambini in età pubere o in età pre-pubere (generalmente inferiore ai 13 anni). La pedofilia costituisce un argomento che suscita da sempre un particolare allarme sociale, desta interesse crescente in ambito clinico, giuridico e politico e richiama all’esigenza di trovare risposte concrete e immediate da parte delle istituzioni preposte alla tutela delle vittime ma anche e soprattutto al contrasto e al trattamento degli autori anche in termini di prevenzione della recidiva. La natura complessa e articolata di questa problematica, l’ampiezza ed eterogeneità dei modelli eziologici e della letteratura esistente, nonché i diversi livelli interpretativi, rendono inoltre arduo il lavoro degli operatori impegnati nella valutazione sistematica di queste condotte, nonché nella loro presa in carico. 28 P. Monni, L'Arcipelago della Vergogna. Turismo sessuale e pedofilia, Edizioni Universitarie Romane, 2001, pp. 96. 19 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 Il fenomeno in questione rappresenta infatti un evento eterogeneo: diverse sono le cause che possono costruire tale comportamento, diversi sono i contesti in cui ha maggiori possibilità di emergere, diversi sono gli operatori e le istituzioni coinvolte ma anche gli strumenti e le tecniche utilizzate per il contrasto, diversi sono gli esiti giudiziari ed istituzionali ed, infine, differenti sono gli attori di volta in volta coinvolti e i profili comportamentali ad essi riferibili. A rendere ancora più difficoltosa una chiara definizione e differenziazione delle condotte pedofile è il fatto che nel tempo, sui reati sessuali in generale e sulla pedofilia nello specifico, si è costruita una vera e propria mitologia che coinvolge aggressore e vittima in una realtà diadica stereotipata, mitizzata tanto dai protagonisti quanto dalla società nel suo complesso. Altrettanto difficoltoso è tentare un raggruppamento in un’unica categoria degli autori di questa tipologia di reati, laddove la stessa diffusione del fenomeno della pedofilia è resa ancor più praticabile per mezzo della diffusione del mezzo informatico (Festa - Careri, 2004). Come emerge da una ricerca del 2004 a cura dell’International Crime Analysis Association: - il 13% dei bambini tra gli 8 e i 13 anni ha avuto dei contatti in chat con un adulto che intraprende discorsi su tematiche sessuali; - il 29,7% di adolescenti tra i 14 e i 17 anni ha incontrato contenuti indesiderati/offensivi; - il 51,7% di loro ha incontrato finestre aperte di pubblicità di altri siti. Per quanto concerne poi la confusione concettuale nella definizione del fenomeno, vi è una correlazione con il contesto sociale 20 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 in cui è collocata, assumendo significati differenti nelle varie epoche storiche. Nell’antichità il pedofilo è considerato l’amante dei fanciulli con valenze educative. Al tempo dei Greci e dei Romani, la pedofilia che riguarda i bambini prepuberi è largamente tollerata. Nel Medioevo ha ancora caratteristiche di tollerabilità, mentre nell’età moderna diventa un concetto e una modalità comportamentale inaccettabile da un punto di vista morale e penale (Callieri - Frighi, 1999). Attualmente, gli orientamenti sulla pedofilia si posizionano su diversi percorsi interpretativi: - l’approccio di tipo socio-antropologico concepisce la pedofilia come “pervertimento sociale”, solo in riferimento a particolari periodi storici e ad alcune società, mentre per altre rientra all’interno di una modalità largamente accettata (Scardaccione, 1992; Scardaccione Baldry, 1997); - l’approccio di tipo antropo-fenomenologico si concentra sull’osservazione nella pedofilia della presenza di stati emotivi caratterizzati da impellenza, che diventano ostacolo per la costruzione di un legame normale amoroso fra due soggetti adulti di sesso diverso; - l’approccio di tipo clinico definisce la pedofilia come una perversione sociale e la tratta come un disturbo della sfera sessuale (Coluccia et al., 1999). Da un punto di vista clinico quindi la pedofilia, secondo la classificazione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali - IV - Text Revision (DSM-IV-TR), essendo un disturbo della sfera sessuale, rientra in quei disturbi che la terminologia psichiatrica indica come “parafilie”. Il termine “parafilie” sta ad indicare che la deviazione (para) dipende dall’oggetto fonte d’attrazione (filia). Le caratteristiche 21 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 essenziali delle parafilie sono fantasie, impulsi sessuali o comportamenti ricorrenti o intensamente eccitanti, che possono riguardare oggetti inanimati, la sofferenza e l’umiliazione di se stessi o del partner, di bambini o di altre persone non consenzienti, essendo «caratterizzate da ricorrenti e intensi impulsi, fantasie, o comportamenti sessuali che implicano oggetti, attività o situazioni inusuali e causano disagio clinicamente significativo o compromissione dell’area sociale, lavorativa, o di altre aree di funzionamento …» (DSM-IV-TR). Questa definizione ci fa dunque capire che il pedofilo è “psicopatologicamente pedofilo”, perchè mosso in modo invasivo e incontrollabile dalle sue fantasie, impulsi e desideri a tal punto da compromettere una o più aree della sua vita a livello sociorelazionale o professionale. Nel DSM-IV-TR, ai fini di una corretta valutazione clinica della pedofilia, si fa riferimento a tre criteri specifici: - la presenza durante un periodo di almeno 6 mesi di fantasie, impulsi sessuali, o comportamenti ricorrenti e intensamente eccitanti sessualmente che comportano attività sessuale con uno o più bambini prepuberi; - le fantasie, gli impulsi sessuali o i comportamenti causano disagio clinicamente significativo o compromissione dell’area sociale, lavorativa o di altre importanti aree del funzionamento; - il soggetto ha almeno 16 anni ed è di almeno 5 anni maggiore del bambino o dei bambini di cui al criterio A Non esiste un’età media cui ricondurre il soggetto pedofilo (Dickey et al., 2002) e non è possibile rintracciare neanche una classe sociale cui un soggetto affetto da tale disturbo appartiene. Il sesso del pedofilo è quasi esclusivamente rappresentato dal genere maschile, ma non è esclusa la presenza di quello femminile. 22 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 Per quanto riguarda la meta d’attrazione, alcuni pedofili preferiscono minori dello stesso loro genere (pedofilia omosessuale), altri quelli di sesso opposto (pedofilia eterosessuale), altri ancora sono eccitati sia dagli uni sia dagli altri (pedofilia bisessuale). In genere, i pedofili riferiscono un interesse sessuale rivolto a minori di una particolare fascia d’età; sono individui particolarmente attratti da soggetti che hanno un’età che precede, rientra o ha appena superato la pubertà. Da ciò consegue che non appena questi soggetti, crescendo, assumono sembianze più adulte viene meno la capacità di attrarre sessualmente il pedofilo Canziani (1996), in base alle caratteristiche di personalità e ai livelli di gravità, distingue tra: - pedofili omosessuali, che desiderano avere rapporti con bambini/e dello stesso sesso, con modalità “d’amore” vicine a quelle fra madre e figlio; - pedofili compulsivi, comportamenti sessuali che agiscono sui bambini/e in in modo irrefrenabile associazione ad i un restringimento dello stato di coscienza, al di fuori del quale soffrono per tale comportamento; - pedofili perversi, che non considerano il bambino come soggetto, ma solo un mezzo per soddisfare un comportamento sessuale, intriso di ritualità violenta. Un’altra differenziazione è quella rappresentata da Groth, Birnbaum (1978) tra pedofili regressivi e pedofili fissati: - i pedofili regressivi, sono coloro che rivolgono il loro interesse sui bambini, perché sono caratterizzati da una personalità immatura e fissata ad un livello infantile di sviluppo psicosessuale. Spesso l’attrazione verso soggetti pre-puberi è preceduta o accompagnata da forme più mature di attrazione sessuale. In questi casi si ha a che fare con soggetti che hanno relazioni con adulti e sono sposati, ma che tendono a rivolgersi sessualmente ad individui più giovani in 23 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 conseguenza di frustrazioni e conflitti di relazione con soggetti della loro età. In questi casi la spinta non è esclusiva ma episodica e le motivazioni non strettamente sessuali; - i pedofili fissati sono coloro nei quali vi è un arresto temporaneo o permanente dello sviluppo psico-sessuale e fin dall’adolescenza un atteggiamento di tipo pedofilo. L’interesse sessuale primario non è mai evoluto oltre lo stadio prepubere; raramente intrattengono relazioni sessuali adulte, sono spesso celibi e tengono a mettere in atto comportamenti sessuali pedofili verso sconosciuti o vicini di casa. Trasversale a tutte le tipologie evidenziate, come anche per gli autori di reati sessuali in genere, è infatti la presenza di alcune caratteristiche distorsioni cognitive (Bandura, 1986; Pithers et al, 1989; Marshal, 1988; Barbaree, 1997; Ward, 2000; Mihailides et al, 2004) che possono essere così riassunte: - negazione o minimizzazione del danno; - spostamento della responsabilità ad altri o a fattori esterni situazionali; - credenze e convinzioni secondo cui i bambini amano fare sesso con gli adulti, cercando attivamente di impegnarsi in tali attività con loro e non vengono danneggiati da ciò. Come per le parafilie in genere, occorre a questo punto una considerazione a parte per tutti i moltissimi casi in cui delle persone sentono fantasie e desideri simili a quelle dei pedofili, cioè della stessa natura e contenuti, senza però una compromissione delle normali attività di vita e ancor di più senza sentire il bisogno incoercibile di passare all’atto. In questa condizione si trovano, anche e non solo, la maggior parte di coloro che sono affetti dal disturbo di pedo-porno-dipendenza e i fruitori non malati di pornografia. 24 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 Ambedue differiscono dal pedofilo riguardo al fatto che non agiscono mai la condotta sessuale. Tuttavia, il soggetto affetto da pedo-porno-dipendenza ha in comune con il malato di pedofilia il fatto di compromettere spesso in modo rilevante le proprie attività quotidiane a causa della sua malattia di dipendenza, mentre il fruitore non malato di pornografia, pedo-pornografia inclusa, a differenza di entrambi, oltre a non agire nessun comportamento sessuale con il bambino, non compromette in alcun modo le proprie attività quotidiane. Certamente non appare possibile attribuire l’eziopatogenesi della pedofilia a un’unica classe di eventi: la pedofilia sembrerebbe derivare dunque da una molteplice varietà di dimensioni e classi di eventi, sia intrapsichici sia esterni. Occorre pertanto al fine di spiegare tale complesso fenomeno prendere in considerazione una molteplicità di fattori: anche in funzione del fatto che non esiste un’unica tipologia di fenomeni, va utilizzando «un approccio multifattoriale e chiaramente ancorato ad un criterio casistico tale da non trascurare la specificità di ogni situazione» (Scardaccione Baldry, 1997). 2.2 Definizione di abuso sessuale infantile Il termine abuso sessuale infantile incontra alcune difficoltà nella definizione, poiché essa dipende fortemente dall’ambito di studio in cui è inserito il problema. Infatti, si possono delineare tre campi di attività che interessano il fenomeno: la ricerca, la clinica e il diritto; campi che, necessariamente, forniscono criteri di definizione dell’abuso diversi. Di qui la necessità di chiarire che cosa si intende per abuso sessuale infantile. 25 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 Dalla sua definizione dipendono, infatti, decisioni importanti per il minore, come l’attivazione o meno di interventi diagnostici e clinici, o l’apertura di un procedimento giudiziario nei confronti dell’aggressore. D’altra parte, nell’intervento a tutela del minore abusato sono coinvolte differenti figure professionali, e ognuna di esse, in base alla sua specifica formazione, è portatrice di una sua peculiare visione dell’abuso sessuale minorile. Perciò è necessario prevedere l’impiego di una definizione che, sul piano operativo, sia condivisa dalle diverse figure professionali. In realtà non è affatto semplice delimitare i confini tra ciò che è lecito e ciò che non lo è in una materia fortemente condizionata da inclinazioni soggettive, dove la linea di demarcazione è molto sfumata. E’ quindi di fondamentale importanza porsi la domanda su che cosa possa essere correttamente definito come un comportamento abusante nei confronti di un minore, domanda a cui è difficile dare una risposta univoca, visto che gli esperti ancora dibattono sull’estensione di tale definizione, sia in merito agli atti commessi, sia al tipo di relazione intercorrente. Vediamo allora quali sono state le definizioni di abuso sessuale infantile proposte dagli studiosi fino a questo momento. Kempe29 definisce abuso sessuale infantile il coinvolgimento in qualsiasi attività sessuale di un minorenne, non maturo, dipendente e quindi incapace di un libero e cosciente consenso, o il suo coinvolgimento in atti che violano il tabù sociale dell’incesto. Quindi ogni rapporto sessuale tra un adulto e un bambino va considerato come abuso: - se il minore è esposto o coinvolto in attività sessuali inappropriate al suo sviluppo psico-fisico; 29 Kempe C.H., “Sexual abuse, another hidden pediatric problem”, , Pediatric, 1978, 62. In De Leo G., Petruccelli I., L’abuso sessuale infantile e la pedofilia, 1999, p.15. 26 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 - se il minore è usato o sfruttato per la gratificazione di un adulto; - se il minore si trova nell’incapacità di essere consenziente a causa della differenza di età e di ruolo dell’adulto; - se il minore è coinvolto nell’attività sessuale con persone che hanno un ruolo determinante nell’ambiente familiare (incesto). Montecchi 30 propone di parlare di abuso all’infanzia come traduzione del termine inglese child abuse, che comprende tutte le forme di maltrattamenti e violenze a danno di minori, conformandosi così alla definizione data dal Consiglio d’Europa in occasione del IV colloquio criminologico, secondo cui negli abusi vengono individuati “ gli atti e le carenze che turbano gravemente il bambino, attentano alla sua integrità corporea, al suo sviluppo fisico, intellettivo e morale, le cui manifestazioni sono la trascuratezza e/o le lesioni di ordine fisico e/o psicologico e/o sessuale da parte di un familiare o di altri che hanno cura del bambino”. Rientrano nell’abuso anche le attività sessuali realizzate in violazione dei tabù sociali sull’incesto pur con l’accettazione del minore, poiché si presume che tale accettazione sia viziata dal rapporto di potere che si instaura tra il minore e l’abusante. Secondo Roberts e 31 Taylor , l’abuso sessuale sui bambini comprende: l’incesto, lo stupro, la sodomia, i rapporti con i bambini, pratiche o comportamenti omosessuali con i bambini, fotografare i bambini e incoraggiarli a prostituirsi o a guardare materiale pornografico. Ogni bambino sentirà di essere stato sessualmente abusato quando una persona lo coinvolge in attività volte a soddisfare l’eccitazione o la gratificazione sessuali di quella o di 30 Montecchi F., Gli abusi all’infanzia, Carocci, Roma ,1998, 17-19. In De Leo G., Petruccelli I., op. cit.,p.20. 31 Roberts J., Taylor C., “Sexually abused children and young people speak out”, Child abuse and child abusers, J. Kingsley Publ., London, 1993, pp.13-36. 27 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 qualunque altra persona, indipendentemente dall’uso della forza e dal fatto che si sia verificato un contatto con i genitali. Dunque, una definizione clinica dell’abuso sessuale infantile deve includere la considerazione di tre fattori: a. un’esplicita dichiarazione dell’accaduto: la natura degli atti sessuali, la frequenza, l’uso della violenza; b. l’informazione riguardo all’età e allo sviluppo delle persone coinvolte: la differenza di età, il livello di intelligenza, lo stato mentale; c. la natura del rapporto tra le persone coinvolte: se si conoscevano e in quale contesto, la qualità di altri aspetti del loro rapporto, le loro percezioni e i loro sentimenti riguardo all’accaduto e al perché. 2.3 Tipologie di abuso Riprendiamo, dunque la definizione di “abuso sessuale” data da Kempe: “il coinvolgimento di bambini e adolescenti, soggetti quindi immaturi e dipendenti, in attività sessuali che essi non comprendono ancora completamente, alle quali non sono in grado di acconsentire con totale consapevolezza o che sono tali da violare tabù vigenti nella società circa i ruoli familiari”. E’ utile, a questo punto, indicare le diverse tipologie di abuso sessuale sui minori: 1. Intra-familiare: abuso attuato da membri del nucleo familiare, quali genitori (compresi quelli adottivi e affidatari), patrigni, matrigne, fratelli, o da membri della famiglia allargata quali nonni, zii, cugini o amici stretti della famiglia. 2. Extrafamiliare: abuso attuato da persone conosciute dal minore, quali 28 vicini di casa, conoscenti, etc. _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 3. Istituzionale: abuso attuato da persone ai quali i minori vengono affidati per ragioni di cura, custodia, educazione, gestione del tempo libero, all'interno di diverse istituzioni ed organizzazioni (insegnanti, medici, assistenti di comunità, allenatori, etc.). 4. Di strada: abuso attuato da parte di persone sconosciute. 5. Ai fini di lucro: commesso da parte di singoli o gruppi criminali organizzati, quali le organizzazioni per la produzione di materiale pornografico, per lo sfruttamento della prostituzione, agenzie per il turismo sessuale, etc. 6. Da parte di gruppi organizzati (sette, gruppi di pedofili, etc.), esterni al nucleo familiare. 2.4 L’abuso intrafamiliare L’abuso intrafamiliare è quello che crea maggiori difficoltà, sia nella fase di accertamento, sia nel trattamento ed è, secondo le ricerche, la tipologia di abuso prevalente. Per indicare gli abusi che avvengono all'interno dalla famiglia, viene usato il termine "incesto", che indica qualunque tipo di relazione sessuale tra un bambino ed un adulto che condividono un 32 legame di parentela, o che vivono insieme . In pratica, anche la relazione sessuale tra un bambino ed il patrigno, la matrigna o sostituti parentali permanenti si può considerare incesto, come pure gli atti compiuti in ogni tipo di relazione, etero od omosessuale, non soltanto se si arriva all'accoppiamento, ma anche quando si verificano pratiche orogenitali, 32 anali e masturbatorie, e determinati comportamenti Goodwin J., Abuso sessuale sui minori. Le vittime dell’incesto e le loro famiglie, 1982, p.1. 29 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 parentali caratterizzati da un'intimità fisica eccessiva o dall'imposizione al bambino di atti voyeuristici ed esibizionistici. Gli abusi sessuali nell'ambito della famiglia possono essere ulteriormente distinti in: o Incesto tra padre e figlia. Si tratta del caso di gran lunga più frequente di cui la letteratura si è maggiormente occupata; o Incesto tra padre e figlio. Secondo alcuni autori le sue dinamiche presenterebbero delle analogie con quelle dell'incesto padre/figlia, compreso l'atteggiamento collusivo della madre; o Incesto tra madre e figlio. È un evento molto raro, che la letteratura scientifica descrive come il più grave, dal punto di vista delle conseguenze psicologiche per i soggetti coinvolti; o Incesto tra madre e figlia. Non è un caso molto frequente ma ne vengono segnalati alcuni; o Altri tipi di incesto perpetrati da altri parenti, conviventi o, comunque, da persone presenti con particolare assiduità, come nonni o zii. Un dato molto importante che bisogna tenere in considerazione è che gli abusi delle madri sui figli sono molto difficili da scoprire soprattutto perché sono mascherati dalla pratica delle cure e dell'affettività materna. Molti atti di libidine si celano infatti nei bagni e nei lavaggi intimi, nelle applicazioni superflue di creme sui genitali dei figli di entrambi i sessi, nel condividere con questi ultimi fino all'età adolescenziale il letto o le carezze erotiche, arrivando anche al rapporto completo. Tutti questi comportamenti sono naturalmente perversioni materne, spesso anche molto sottili, che sono difficilmente riconoscibili e che non riescono ad emergere se non in terapia. Essi sono stati considerati fino a non molti anni fa quasi "naturali", o comunque un "eccesso" tollerato dal sentire comune, in 30 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 quanto è considerato un dato scontato che il rapporto tra madre e figlio sia esclusivo. Spesso l'aggressione sessuale viene effettuata da figure sostitutive del padre - assente perché deceduto o separato dalla moglie - come il patrigno o il convivente della madre, o anche da un fratello maggiore della vittima. Inoltre, secondo Montecchi, l’abuso sessuale intrafamiliare può assumere tre differenti forme cliniche: o Abusi sessuali manifesti (intra-domestici ed extra-domestici); o Abusi sessuali mascherati (da pratiche igieniche incongrue o abuso assistito); o Pseudo-abusi (convinzioni errate di un genitore, accuse consapevoli calunniose di un genitore verso l’altro, dichiarazioni false del soggetto). Ciò che può variare, è anche la frequenza e la durata dei comportamenti incestuosi. Possono, inoltre, essere accompagnati dall’uso di violenza, anche se non avviene di frequente. Russell ha trovato, attraverso una ricerca, che l’uso di metodi coercitivi violenti si verificava solo nel 3% dei casi esaminati. Questo dato sembra confermare che l’uso di metodi coercitivi è implicito nell’ambito della relazione di dipendenza e subordinazione fra vittima ed abusante. In questi casi, infatti, la violenza dell’abusante si basa sul “confidence power”, ovvero la strategia seduttiva che sfrutta i sentimenti di obbedienza, fiducia e confusione del bambino, e lo irretisce attraverso offerte di affetto, regali o concessioni particolari. Sembra comunque che si possano rintracciare alcune tappe caratteristiche nello sviluppo dell’ incesto, da quando ha inizio al momento in cui viene scoperto: 1. Fase dell’adescamento: il genitore abusante crea le condizioni necessarie alla messa in atto dell’abuso, instaurando con la 31 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 vittima un rapporto privilegiato, e preparando situazioni di isolamento dal resto della famiglia. 2. Fase dell’interazione sessuale: la vittima viene coinvolta sempre più in attività sessuali, da forme poco intrusive fino al rapporto sessuale completo. 3. Fase del segreto: il bambino viene costretto a mantenere il segreto, attraverso minacce di violenza, di perdere l’affetto dei genitori, di non essere creduto, sollecitando sentimenti di colpa e di vergogna. 4. Fase dello svelamento: quando l’incesto viene alla luce, le reazioni dei familiari possono essere ambigue e contraddittorie, e capita di frequente che proprio loro si oppongano alla verità, negandola, minimizzando l’accaduto o accusando la vittima di voler disgregare la famiglia. E’ difficile quantificare la diffusione degli abusi sessuali intrafamiliari sui minori. Nel Consiglio d’Europa del 1982 è emerso che almeno 2 bambini su 100 ogni anno subiscono violenze fisiche, di cui il 60% sono violenze sessuali intrafamiliari. In Italia, si stimano circa 2000 casi ogni anno, mentre i dati forniti dal Telefono Azzurro sono ancora più preoccupanti (nel ’94 ha ricevuto 2700 denunce di abusi sessuali sui minori, di cui il 75% intrafamiliari). E’ importante, comunque, tenere a mente le difficoltà legate alla denuncia, particolarmente significative in questo tipo di reato, che rendono molto squilibrato il rapporto fra il numero di abusi denunciati e quello degli abusi effettivi. 32 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 2.5 Tipologia della famiglia incestuosa Per poter comprendere appieno le dinamiche che possono condurre alla messa in atto dell’incesto, è necessario andare ad analizzare la struttura della famiglia in un approccio sistemico. Infatti, la famiglia può essere considerata come un sistema che è qualcosa di più della semplice somma delle sue componenti, le quali comunicano tra di loro attraverso un insieme di interazioni che dà vita al sistema stesso. Quindi, lo studio della struttura familiare deve iniziare con l’analisi delle relazioni che ciascun membro ha con gli altri. All’interno del confine familiare ci sono i vari membri, con i loro ruoli, norme, valori, tradizioni e intenzioni. Se i confini sono aperti e flessibili, la famiglia risulta sana: la struttura del potere al suo interno è di tipo gerarchico, con i genitori che condividono lo stesso tipo di potere. Se invece i confini sono chiusi e rigidi, la struttura familiare risulta disfunzionale: i ruoli sono rigidi e predeterminati, i membri non hanno un potere egualitario, e colui che detiene il potere più elevato, il padre, gestisce e domina i livelli inferiori, la madre e i figli, che gli sono sottomessi. E’ all’interno di questo tipo di famiglie che generalmente avviene l’incesto. Infatti, intergenerazionale, trasmissione secondo il elaborato intergenerazionale concetto da della Krugman della 33 violenza triangolazione per spiegare familiare, la nelle famiglie disfunzionali il figlio viene elevato a far parte del livello gerarchico genitoriale e il sistema si stabilizza attraverso un’inversione dei ruoli. Al bambino può essere assegnato il ruolo di 33 Krugman S., “ Trauma in the family: perspectives on the intergenerational transmission of violence”, in van der Kolk, Psychological trauma, American Psychiatric press, Washington, 1987. In De Leo G., Petruccelli I., op. cit., p.22. 33 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 surrogato genitoriale per gli altri figli oppure, come avviene nel caso dell’incesto padre-figlia, il ruolo di surrogato moglie. In famiglie come queste, i genitori interagiscono con i figli come fossero degli adulti, cercano in loro rassicurazione, conforto e amore, sentimenti che non riescono a ricevere dal partner né a dare ai figli. Si tratta generalmente di genitori incapaci di empatizzare con i figli e la cui vita matrimoniale è infelice se non assente. In queste condizioni l’incesto può risultare una soluzione al dilemma familiare. Furniss34 descrive due diversi tipi di famiglia in cui si verifica l’abuso sessuale infantile. Nel primo tipo l’abuso sembra finalizzato ad evitare un aperto conflitto fra i genitori; nel secondo tipo, l’obiettivo sembra essere quello di tenere sotto controllo il conflitto stesso. Nelle famiglie in cui si vuole evitare il conflitto, la madre è affettivamente distante dai figli; i genitori colludono tacitamente sull’abuso, e questa collusione accresce la dipendenza emotiva del padre dalla madre e tiene l’uomo saldamente legato al contesto familiare, impedendo così la risoluzione del conflitto. Nelle famiglie nelle quali si vuole tenere sotto controllo il conflitto, invece, la madre è carente nel fornire ai figli un sostegno concreto ed affettivo; diviene una loro pari e può succedere che, tra i figli, uno assuma il ruolo materno. Il figlio viene allora sacrificato per tenere sotto controllo il conflitto ed evitare la disgregazione del nucleo familiare. In queste famiglie si è maggiormente consapevoli della natura dei rapporti familiari rispetto alla prima tipologia; tuttavia, viene creato un tabù che vieta ai membri della famiglia di nominare ciò che sta accadendo, in quanto un mutamento delle relazioni interne alla famiglia 34 comporterebbe la rottura dell’equilibrio che, tramite Furniss T., “Conflict-avoiding and conflict-regulating patterns in incest and child sexual abuse”, Acta Paedopsychiatrica, 1982. In De Leo G., Petruccelli I., op. cit., p.23. 34 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 l’incesto, si è creato, rottura che porterebbe necessariamente alla disgregazione dell’intera struttura familiare. Furniss conclude affermando che sarebbe proprio la concomitanza tra confusione dei ruoli e clima di segretezza ad alimentare la credenza secondo la quale l’incesto è la soluzione ai problemi della famiglia. 2.6 Genitori abusanti Nella maggior parte dei casi l’aggressore è di sesso maschile, con un’età media di 33 anni. Il più delle volte è il padre. In misura minore sono altri componenti del nucleo familiare (nonni, zii, patrigni, fratelli) e, in percentuale molto bassa, le madri ( circa il 7% dei casi). E’ raro che vengano riscontrate particolari patologie nel genitore abusante; quelle più connesse con il comportamento incestuoso sono i disturbi borderline e narcisistici della personalità, la sociopatia e la pedofilia. Emergono, invece, con grande frequenza, nella storia dei genitori abusanti, esperienze intergenerazionali di violenza fisica, abuso sessuale, trascuratezza fisica ed emotiva. Questa catena di violenza si chiude, con un bambino abusato che diventa un adulto abusante, quando intervengono fattori sociali, familiari e personali facilitanti. Le famiglie incestuose assumono in genere assetti particolari; si possono individuare, infatti, 3 tipologie di personalità paterna e materna, che si intrecciano fra loro in modo caratteristico: o Padre autoritario, violento, insensibile ai bisogni degli altri, che inibisce la vita sociale ed affettiva dei figli, accanto ad una madre vittima di maltrattamenti, succube, maltrattata dal marito e dalla famiglia, che spesso ha subito a sua volta abusi intrafamiliari. 35 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 o Madre autoritaria, molto impegnata lavorativamente, che delega il proprio ruolo genitoriale e coniugale alla figlia, accanto ad un padre passivo, succube, disoccupato o pseudo occupato e dipendente della moglie. In questo caso i ruoli coniugali sono invertiti. o Coppia perversa, inscindibile e non trasformabile. In questo caso il genitore abusante fa continui buoni propositi, che non vengono poi mantenuti. Questo assetto è dei peggiori, perchè più refrattario al cambiamento. Nei primi due tipi di configurazione familiare esistono difficoltà di definire i ruoli e le funzioni dei membri della famiglia, specie fra genitori e figli. L'incesto si verifica all'interno di una dinamica affettiva molto particolare e complessa. Infatti, mentre in qualsiasi altra forma di violenza sessuale la vittima, di qualsiasi età essa sia, ha la possibilità di riconoscere nell'abusante la figura del colpevole, l'incesto priva chi lo subisce della libertà di difendersi e di odiare. Più fattori concorrono a determinare l’incesto fra padre e figlia: l'emergere della figlia come figura femminile centrale nell'ambito della famiglia, l'incomprensione e l'ostilità tra i coniugi che si traduce in un'incapacità ad avere rapporti sessuali normali e regolari, la riluttanza del padre a cercarsi una partner al di fuori della famiglia, collegata alla crescente angoscia nel constatare la tendenza alla disgregazione di quest'ultima. Può capitare che il padre attui l'incesto con la figlia come un paradossale tentativo di ristabilire l'equilibrio famigliare. L'approvazione della madre può essere di tipo passivo, tacito, talora inconscio, o estrinsecarsi in un comportamento attivo, ed assume in questo contesto un significato chiaro: per paura di essere abbandonata dal marito, spinge la figlia ad assumere un ruolo 36 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 vicario. In questo caso, la madre è incapace di stabilire una qualsiasi relazione materna ed affettiva con la figlia e con il marito. Questo "abbandono emotivo" della famiglia, da parte della moglie, può indurre il marito ad incentrare le proprie attenzioni sulla figlia. La complicità attiva della madre può variare da incoraggiamenti ambigui sino al vero e proprio aiuto fisico prestato al coniuge che usa violenza alla figlia. Nella madre, in questo caso, al distacco emotivo si accompagnano disturbi più gravi della personalità, talora tratti psicotici. 2.7 L’incesto tra padre-figlia L'incesto/abuso sessuale padre-figlia rimane tuttora la combinazione più diffusa e conosciuta (3/4 dei casi di violenza sessuale intrafamiliare) e non è sempre accompagnato da atti di violenza, come la maggior parte delle persone presumono. Tale tipo di violenza si inserisce all'interno di una dinamica particolare e complessa che certamente lo differenzia da qualsiasi altra forma di abuso compiuta da un adulto ai danni di un minore. Infatti, mentre in qualsiasi altra forma di violenza sessuale la vittima, di qualsiasi età essa sia, ha la possibilità di riconoscere nell'abusante la figura del colpevole, "l'incesto" priva chi lo subisce della libertà di difendersi e di odiare. Le figure genitoriali, all'interno della "famiglia incestuosa", sono complementari: ad un padre-padrone corrisponde una madre assente, ad un padre endogamico una madre anaffettiva. Nel primo caso, il cosiddetto "padre-padrone" è indicato dalla letteratura come colui che ha la convinzione che la disponibilità sessuale sui propri figli sia uno degli aspetti della totale disponibilità 37 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 che egli non può non avere su tutta la famiglia; che i rapporti familiari siano di puro dominio e che quindi sia del tutto ammissibile che si punisca la figlia con l'abuso sessuale; che il compito educativo del padre che svela il mondo alla figlia comprenda anche il rito di iniziazione connesso con l'esperienza sessuale. Questa immagine è associata, complementarmente, a quella della "madre assente", dipendente, sottomessa e spesso anch'essa abusata dal marito. Esiste, però, un'imponente letteratura che rivela come il modello delle relazioni affettive nella famiglia incestuosa possa essere esattamente l'opposto, essendo il padre inadeguato, debole, timido, dipendente: questa è l'immagine del cosiddetto "padre endogamico". Questa figura è solo in apparente contraddizione con quanto descritto prima, perché in realtà il padre-padrone nasconde, sotto l'atteggiamento di ostentata autorità, una sostanziale insicurezza e debolezza. Questo tipo di padre viene spesso associato ad una "madre affettivamente distante", poco attenta ai bisogni degli altri membri del nucleo familiare e che demanda il suo ruolo coniugale e materno alla figlia, la quale diventa così la nuova partner del padre. La figlia viene caricata di pesanti responsabilità alle quali non può sottrarsi, pena la perdita dell'affetto dei genitori da cui il bambino dipende: si tratta del cosiddetto "terrorismo della sofferenza", cioè della tendenza a riversare sulle spalle dei figli ogni tipo di disordine interno alla famiglia. Vi sono, però, anche casi in cui il padre appare alla figlia genericamente insoddisfatto della moglie ed egli attua "l'incesto" con la figlia come un paradossale tentativo di ristabilire l'equilibrio familiare. La madre, sentendosi incapace di accontentare il marito, si mostra debole ed arrendevole, cedendo la figlia alle cure del marito, il quale adotterà con la figlia atteggiamenti da coetaneo, esplicitando 38 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 chiaramente quanto si senta realizzato solo in sua compagnia. Il rapporto si sessualizza nel momento in cui il padre allude chiaramente alla sua insoddisfazione per le prestazioni sessuali con la moglie ed inizia così la relazione con la figlia. A volte può accadere che una moglie, particolarmente dipendente, sia ossessionata dall'idea di non perdere il proprio uomo e veda la figlia come un tramite di offerta di un legame sessuale con una ragazza più giovane, che possa così renderlo felice ed appagato. Ciò è vero specie se a questo tratto si aggiunge la frigidità e il fatto di essere sessualmente rifiutata. In questo tacito "gioco" non ci sono sensi di colpa, a meno che la "relazione incestuosa" non venga alla luce. Si può affermare con certezza che dietro l'abuso sessuale c'è sempre una premeditazione, cioè la fase di vera e propria interazione sessuale è sempre preceduta da fantasie sessuali sulla minore, dalla progettazione dell'abuso e dalla ricerca attiva di circostanze che ne permettano l'attuazione. In molti casi l'abusante stabilisce con la bambina un rapporto esclusivo e la isola con vari mezzi dal resto della famiglia, facendole credere che è la figlia preferita, l'unica della famiglia "alla sua altezza", con cui si può parlare da pari a pari ecc., oppure cercando di impietosirla mostrandosi incompreso, bisognoso di cure ed attenzioni, e svalutando la madre agli occhi della bambina. Può mettere di fronte alla figlia tutta una serie di promesse e progetti in cui lei sarà la protagonista, inserendola in aspettative di realizzazioni sociali grandiose e facendole credere di averne le chiavi di accesso; le può promettere di concederle di partecipare ad attività al di fuori della famiglia in un futuro che non arriverà mai, in quanto nella realtà tutte queste promesse servono da esca a mantenerla 39 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 nella sua orbita e per poterle nel contempo proibire le attività di socializzazione normali per la sua età. In questo modo mantiene viva nella bambina l'aspettativa che le cose potranno cambiare e la speranza che il suo papà sia in realtà un papà buono che le vuole bene e che la vuole aiutare. Inoltre mette in atto una serie di strategie volte a svalutare su tutti i piani la figura materna e interferisce nella relazione madre-figlia, in modo che la bambina non possa trovare aiuto in questa. L'azione del padre volta all'isolamento della figlia agisce in molti casi su una difficoltà già presente nella madre in termini di protettività e di vicinanza affettiva verso la bambina, legata a sue difficoltà personali o a fattori contingenti quali malattie fisiche, aumentando la distanza tra le due al punto tale da rendere entrambe del tutto impotenti; l'una ad accorgersi dell'abuso e a difendere la figlia, l'altra a chiedere aiuto. L'azione del padre è volta spesso anche a "buttare fumo negli occhi" della moglie, facendo cadere anche lei in una fitta rete di inganni. D'altro canto madri che iniziano a sospettare che qualcosa "non funzioni", perché colgono qualche comportamento "strano" del marito nei confronti della bambina, e che per questo lo affrontano, vengono subito da lui accusate di essere pazze, visionarie e incapaci come madri, spesso picchiate per tale visionarietà e minacciate. Inoltre, nei casi di concomitante maltrattamento fisico, l'inizio dell'abuso può coincidere con una diminuzione degli episodi di percosse sulla figlia, che deve così pagare la sua "incolumità" fisica a prezzo della violenza sessuale; tale prezzo viene frequentemente pagato dalle figlie anche al fine di evitare altri episodi di violenza sulla madre e sugli altri bambini e bambine della famiglia. A volte, invece, le bambine - che verranno poi abusate - vengono "preservate" dalle percosse, che sono riservate agli altri figli e/o alla 40 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 mamma: questo "riguardo" nei loro confronti, che fa parte del lavoro di adescamento, fa sentire le bambine privilegiate e nello stesso tempo colpevoli nei confronti di chi all'interno della famiglia viene percosso o percosso di più; l'impotenza nel constatare di non poter difendere in altro modo la madre e i fratelli, la situazione di apparente privilegio, unite spesso ad aperte minacce del padre circa ulteriori aggressioni fisiche al resto della famiglia, consolidano sempre più il ruolo segreto di vittima sacrificale della bambina sessualmente abusata. Le bambine e i bambini piccoli, inoltre, non riescono assolutamente ad individuare la colpa dell'adulto, se l'adulto è esteriormente gentile ed affettuoso, se quanto avviene è presentato come fosse un gioco e se vengono date delle ricompense per la partecipazione a certi atti. La complicità della madre può essere di tipo passivo, tacito, talora inconscio, o estrinsecarsi in un comportamento attivo. Ai due comportamenti corrispondono personalità distinte. Nel primo caso, la madre è incapace di stabilire una qualsiasi relazione con la figlia e con il marito: questo "abbandono emotivo" della famiglia da parte della moglie può indurre il marito ad incentrare le proprie attenzioni sulla figlia. La complicità attiva della madre, invece, può variare da incoraggiamenti ambigui sino al vero e proprio aiuto fisico prestato al coniuge che usa violenza alla figlia. Nella madre, in quest'ultimo caso, al distacco emotivo si accompagnano disturbi più gravi della personalità e talora tratti psicotici. La donna, fortemente dipendente nei confronti del marito, teme di venir sostituita nel proprio ruolo dalla figlia, che sta crescendo, e prova nei confronti di quest'ultima un risentimento sempre più forte, sino a desiderare di vederla punita ed umiliata (anche attraverso l'abuso). 41 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 Ha un'importanza fondamentale anche l'elemento culturale legato ad una concezione arcaica, esasperatamente patriarcale, del ruolo del capofamiglia, che grande potere assumeva nel passato ma che ha ancora oggi la sua rilevanza negli strati sociali di basso livello culturale o presso comunità arretrate. In questi casi il padre considera l'attività dell'incesto come un legittimo esercizio del suo potere assoluto; perciò egli ben può abusare della o delle figlie - che secondo il suo pensiero costituiscono una sua "proprietà" - per soddisfare esigenze sessuali e/o affettive o semplicemente a scopo punitivo. Come osserva Isabella 35 Merzagora , «l'incesto è probabilmente una delle conseguenze di una sottocultura che confonde la forza con la violenza, la virilità con l'ipersessualità, l'autorevolezza con l'autoritarismo... il problema non è sessuale, ma di violenza esercitata dal padre-padrone su moglie e figlie e trasmessa - come valore culturale da imitare - ai figli». Le interpretazioni più recenti tendono, infatti, a vedere "nell'incesto" commesso dal padre un tentativo di riaffermare la propria supremazia nell'ambito familiare, una violenta rivendicazione di potere più che un'espressione di problematiche sessuali. La figlia vive la situazione "dell'incesto" con il padre come un conflitto dilaniante: da un lato vorrebbe porre fine ad una situazione imbarazzante e traumatica per andare incontro ad una vita normale, dall'altro non è in grado di parlare un po' per vergogna e un po' per paura; inoltre questa decisione minerebbe la sicurezza e l'apparente stabilità della famiglia, che a questo punto essa ritiene dipendano esclusivamente da lei. Marinella Malacrea36 infatti afferma che "la vittima di abuso sessuale si trova davanti ad un doppio vicolo cieco: 35 36 I. Merzagora, L'incesto, Giuffrè, Milano, 1986. M. Malacrea, Trauma e riparazione, Cortina, Milano, 1998. 42 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 «o cercare di valere qualcosa e quindi perdere il legame, oppure restare spregevole per conservarlo»”. In generale è possibile affermare che da ambo le parti si tende comunque ad occultare l'incesto con un silenzio molto rigido. I genitori tendono a razionalizzare "l'incesto" («... volevo solo mostrarle come si fa»); a questo si aggiunga che, pur di preservare la famiglia, i genitori negano persino dopo che la scoperta è avvenuta, fino a condannare la stessa vittima se è la causa della scoperta. Spesso, infatti, alle violenze subite dal genitore abusante, si aggiungono quelle - forse ancor più brucianti - compiute da parte di tutto il nucleo familiare e dalla società, per il fatto di non essere credute. L'isolamento, che caratterizza la situazione infantile di questi bambini, si protrae anche dopo la denuncia: si forma il vuoto intorno al loro coraggio e da vittime innocenti si trasformano in calunniatrici colpevoli. Una ragazza, dopo anni di violenze compiute dal padre, non essendo stata creduta dalla madre, ha fatto questo amaro commento: "È stato quello il più grande dolore della mia vita. Lui mi ha violentata e tormentata per tutta l'infanzia. Ma mia madre mi ha uccisa". 2.8 Le conseguenza dell’incesto L'abuso sessuale intrafamiliare costituisce una forma molto particolare di abuso, non equiparabile a nessun'altra. In tutte le altre forme di violenze compiute sui minori, infatti la vittima ha la possibilità di riconoscere nell'abusante il colpevole. Non a caso l'incesto non si configura con più frequenza attraverso modalità non violente, anzi l'abusante ricorre a varie strategie di seduzione per 43 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ottenere la disponibilità da parte del minore37. Come ha sostenuto un eminente psicoanalista, Ferenczi38 «l'aberrazione dell'incesto sta nel fraintendimento tra il mondo infantile (e quindi il linguaggio della tenerezza) e la sessualità adulta (il linguaggio della passione)». Ciò che occorre mettere in evidenza è che nell'abuso sessuale intrafamiliare, la richiesta seduttiva del bambino, le cui fantasie e desideri sessuali non sono altro che surrogati del bisogno di amore e vicinanza, trova la risposta del genitore attraverso l'espressione di una sessualità reale perlopiù sconosciuta all'infanzia39. Il fattore psicopatogenico principale nell'incesto è la confusione a lungo termine dei livelli cognitivi, emozionali e sessuali di relazioni tra le generazioni. Il bambino, infatti, è posto in una condizione esistenziale altamente confusiva; l'adulto che lo dovrebbe guidare e proteggere è la stessa figura da cui il bambino dovrebbe difendersi. Per quanto possa sembrare cinico, alla luce delle conseguenze che un bambino subisce da una relazione incestuosa, sembra che una violenza sessuale, anche perpetrata con violenza fisica, sia psicologicamente meno devastante di un abuso sessuale operato con le mani del pseudo-affetto e della seduzione. Infatti, nel caso in cui il bambino o la bambina subiscano la violenza sessuale perché costretti fisicamente, non si ingenerano in loro sensi di colpa causati 40 dall'essere stati "complici" dell'esperienza sessuale . L'uso della seduzione comporta dei danni psicologici notevoli per il minore, perché se l'incesto-violento azzera ogni distinzione di generazione e ruolo, l'incesto-seduttivo tende a dare esiti ancora peggiori perché la 37 T. Furniss, L'abuso sessuale del bambino nella famiglia: valutazione e conseguenze, in Bambino incompiuto, 3, 1990. 38 S. Ferenczi, La confusione delle lingue tra adulti e bambini, vol. 3, Guaraldi, Rimini, 1974. 39 T. Furniss, L'abuso sessuale del bambino nella famiglia: valutazione e conseguenze, in Bambino incompiuto, 3, 1990, pp. 49-58. 40 A. Gombia, Bambini da salvare, Ed. Red, Novara, 2002, p. 74. 44 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 precocissima erotizzazione crea nelle vittime un legame patologico con il seduttore41. Si determinano deformazioni della sua personalità: il bambino sente ogni parte di sé contaminata, sente il peso della colpa dal quale non può sfuggire, attiva un sentimento di sfiducia negli altri tale da determinare un suo atteggiamento paranoico verso tutti. L'ipereccitabilità causata da un'attività sessuale impropria è vissuta dal bambino con modalità devastante in quanto, attraverso la sessualità non voluta, egli soddisfa i suoi bisogni, certamente non sessuali; come conseguenza egli struttura un Sé confuso, un falso Sé tale da non permettere relazioni fra il suo interno, i suoi reali desideri, e il suo esterno in modo adeguato. Da tutto questo si determina nel bambino una distorsione del suo essere nel mondo che gli sconvolgerà tutta la vita nel perenne meccanismo difensivo che adotterà con tutti i suoi simili, nella convinzione della propria impotenza a modificare gli eventi e a modificare se stesso. Disagio e disturbi psicologici andranno a sommarsi e ad amplificare tali modalità distorte, in una circolarità negativa, in un anello rigido che terrà prigioniero il bambino prima, e l'adulto poi, per tutta la vita, salvo che non vi sia un intervento diretto e mirato a modificare la sua personalità spezzando le catene interne, liberando quelle sue dimensioni interiori che fino ad allora erano state schiacciate42. Gli effetti a lungo termine sullo stato psicologico delle vittime, nell'adolescenza e nella prima maturità, si manifestano spesso con l'aumento della delinquenza, con l'abuso di droga e alcool, con la promiscuità e la prostituzione, con l'isolamento sociale, con l'aumento dei tentativi di suicidio e con l'incremento 41 M. Correra, P. Martucci, La violenza nella famiglia. La sindrome del bambino maltrattato, Cedam, Padova, 1987, p. 157-168. 42 B. Bessi, Il maltrattamento e l'abuso sessuale in danno dei minori, Corso di formazione per volontarie, Associazione Artemisia, Firenze, 2001. 45 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 significativo degli indici di sintomi depressivi. Le conseguenze psicologiche possono comunque variare secondo il modo con cui è stato attuato l'incesto. Ad esempio, se la vittima ha subito un abuso sessuale violento da parte di un genitore, le conseguenze saranno aggravate dal fortissimo trauma psicologico dovuto alla trasformazione negativa della figura genitoriale, che passa d'improvviso da un ruolo protettivo a quello di aggressore. La situazione si presenta diversamente se il genitore ha agito senza violenza apparente, assumendo un atteggiamento seduttivo, sfruttando l'ingenuità del figlio o della figlia e attuando ricatti affettivi. In questo caso la partecipazione all'incesto potrà portare la vittima (specialmente dopo la fine della relazione e con il sopraggiungere della piena consapevolezza dell'accaduto) a sviluppare un profondo senso di colpa e di disprezzo verso se stesso, unitamente ad istanze autopunitive e a repulsione verso il sesso opposto. Oggi, l'orientamento scientifico più recente tende ad essere piuttosto severo verso l'impostazione, accusata di facilitare un'ulteriore vittimizzazione del minore, secondo la quel il bambino può essere considerato, in alcuni casi, "vittima partecipante"43, in quanto conoscendo l'aggressore, avrebbe consciamente o inconsciamente voluto il trauma sessuale, provocando l'adulto o assumendo un comportamento compiacente, oppure accettando in cambio dell'atto sessuale regali o denaro. Sarebbero in realtà gli adulti ad equivocare, interpretando come avances sessuali, gli atteggiamenti di ricerca e di sollecitazione affettuosa da parte dei bambini. La tesi prevalente al riguardo è che la partecipazione del minore non può in ogni modo incidere sulla dell'adulto44. 43 44 G. Gulotta, La vittima, Giuffrè, Varese, 1976, pp. 36-41. G. Gulotta, M. Vagaggini, Dalla parte della vittima, Giuffrè, Varese, 1981. 46 responsabilità _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 Oggi come oggi possono essere causati anche non pochi "traumi secondari" nel bambino vittima di abuso sessuale, a causa dell'incompetenza degli operatori nei vari ambiti di presa in carico della situazione45. Occorre ricordare che l'abuso sessuale non cessa di avere effetti al momento della neutralizzazione e dell'allontanamento dell'abusante dalla vittima. Di conseguenza, quando viene intrapreso un accertamento peritale è necessario cercare molto di più dell'attendibilità di una testimonianza: bisogna entrare in contatto emotivo con il bambino per individuare, al suo interno, la presenza di un'esperienza estranea ed imposta, che continua a produrre effetti nel tempo. Il bambino, che è stato abusato a lungo, non ha alcuna aspettativa di trovare un adulto comprensivo ed accogliente, perché l'esperienza subita è tale da fargli vedere la realtà alla luce degli eventi vissuti: così egli chiederà di lasciarlo solo, perché la solitudine è comunque uno spazio vuoto in cui forse, crede di potersi rifugiare46. È necessaria quindi una preparazione adeguata di tutti gli operatori che seguono questi casi per poter dare il miglior sostegno a questi bambini e per fornirgli quella figura che all’interno della sua famiglia non è mai stata presente. 45 Taddei F., L'organizzazione dei servizi e i processi d'integrazione, Convegno nazionale sulla prevenzione del disagio nell'infanzia e nell'adolescenza, Firenze, 2002. 46 Guasto G., Sull'abuso mentale infantile. Appunti per uno studio sulla violenza psicologica sui bambini, in Rivista telematica "Psychatry on-line Italia", Vol.2, 4, 1996. 47 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 Aspetti giuridici e segreto professionale 3.1 La definizione giuridica dell’incesto Secondo la legge italiana, l’incesto costituisce un reato soltanto se suscita pubblico scandalo ed è dunque lesivo della morale familiare. Così è stato dall’Unità ad oggi, secondo una sconcertante peculiarità e continuità giuridica, nonostante la presenza di diversi codici preunitari, i ripetuti dissensi espressi al legislatore e i mutamenti nella mentalità, nella sessualità, nella famiglia. L'ipotesi delittuosa di incesto è inserita nel nostro codice penale all'art. 564 c.p. Capo II (Dei delitti contro la morale familiare), nel Titolo IX (Dei delitti contro la famiglia). Il legislatore ha previsto la pena della reclusione da uno a cinque anni per tutti coloro che commettono incesto con un discendente o un ascendente, con un affine in linea retta o con una sorella o un fratello in modo che ne derivi pubblico scandalo (reclusione da due a otto anni nel caso di relazione incestuosa e perdita della potestà sul figlio in caso in cui sia coinvolto un genitore). L'ipotesi giuridica quindi, non si limita soltanto ad evitare la degenerazione di razza47 a causa della procreazione fra consanguinei, ma prevedendo anche i rapporti sessuali tra affini in linea retta (suocero e nuora, genero e suocera, per i quali non 47 R. Dolce, Incesto, in Enciclopedia del diritto, XX, Giuffrè, 1970, pp. 973-980. 48 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 sussiste il vincolo di consanguineità), intende avere una più ampia ratio. In effetti, la punizione conseguente al comportamento incestuoso è giustificata dalla sua particolare riprovevolezza morale, dalla turpitudine che lo rende assolutamente intollerabile per la comunità sociale. La profonda ripugnanza che il fatto desta nella coscienza pubblica, induce lo Stato ad intervenire con la più grave delle sanzioni di cui dispone: la pena della reclusione48. Per la punibilità del reato di incesto, il codice penale richiede il "pubblico scandalo", concetto che va ravvisato nella morale della coscienza pubblica, accompagnato dal senso di disgusto e di sdegno contro un fatto tanto grave. Tale "scandalo" inoltre, deve essersi effettivamente verificato, e quindi, non basta che la generalizzata riprovazione, in cui esso si concretizza, venga evidenziata in qualsiasi modo (e cioè la semplice possibilità che ne derivi pubblico scandalo), occorre che essa sia stata cagionata dalla condotta almeno colposa degli autori. La legge infatti usa l'espressione «in modo che ne derivi pubblico scandalo», ed è opinione unanime della giurisprudenza ritenere che non occorre che la relazione incestuosa sia da tutti conosciuta, basta che il pubblico scandalo sia derivato da un concreto comportamento incauto degli autori, o di uno di essi, pur se non manifestato direttamente in pubblico, ma rilevato dagli effetti materiali o da confessioni. La fattispecie normativa, contenuta nell'art. 546 c.p., è di quelle cosiddette "necessariamente plurisoggettive": in essa, infatti, la condotta tipica è commissibile da almeno due soggetti, i quali devono essere legati fra loro da vincolo di parentela in linea retta (ascendente o discendente) o collaterale entro il secondo grado (fratelli e sorelle), ovvero da vincolo di affinità in 48 linea retta (suoceri, genero, nuora e loro ascendenti o F. Antolisei, Manuale di diritto penale - Parte speciale, I, Giuffrè, Milano, 2002, p. 486. 49 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 discendenti). Fratelli e sorelle sono sia i germani (figli degli stessi genitori), sia i consanguinei (figli dello stesso padre ma non della stessa madre), sia gli uterini (figli della stessa madre ma non dello stesso padre)49. Inoltre, no vi è dubbio che, per il disposto dell'art. 540 c.p., vi sono compresi anche gli ascendenti e i discendenti naturali, mentre ne sono esclusi gli adottivi. Sono sorte varie esitazioni per l'esclusione di tali soggetti, soprattutto dopo l'equiparazione legale tra il rapporto familiare di sangue e quello adottivo. Quanto agli affini è ritenuto valido il criterio interpretativo che si desume dall'ultimo comma dell'art. 307 c.p. per cui agli effetti penali il vincolo cessa allorché sia morto il coniuge e non vi sia prole, visto che in tal caso non ricorrono gli estremi del reato di incesto. Contro tale tesi, però, gran parte della dottrina rileva che, di fronte al mancato rinvio da parte dell'art. 564 c.p. all'elencazione di cui all'art. 307 ult. co. c.p., consegue che non può trovare applicazione, ai fini dell'incesto, la disposizione secondo cui «nella denominazione di prossimi congiunti non si comprendono gli affini affinché sia morto il coniuge e non vi sia prole», ma va invece applicato l'art. 78 c.p. secondo cui l'affinità non cessa per la morte, anche senza prole, del 50 coniuge dal quale deriva . Il codice penale non offre una definizione chiara ed univoca del concetto di incesto, ragion per cui vi ruotano attorno non poche incertezze. Secondo la giurisprudenza e la maggior parte della dottrina il reato si consuma con il compimento del rapporto sessuale; non manca però chi51 ritiene sufficiente il compimento di atti sessuali anche diversi dalla congiunzione fisica da parte dei soggetti indicati, in modo che ne derivi pubblico scandalo. 49 R. Dolce, Incesto, in Enciclopedia del diritto, XX, Giuffrè, 1970, pp. 973-980. G. Lattanzi, E. Lupo, Codice penale. Rassegna di giurisprudenza e di dottrina, vol. X, Giuffrè, Milano, 2000. 51 G. D. Pisapia, Delitti contro la famiglia, Milano, 1953, p. 585; F. Antolisei, Manuale di diritto penale, Pt. sp., I, Milano, 1994. 50 50 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 Questa seconda opinione si basa sulla motivazione per cui il disgusto morale, che legittima la pena, si verifica pure nei casi in cui la relazione sessuale si esplica in altre forme, le quali possono essere anche più ripugnanti. Nel caso di relazione incestuosa, invece, occorre che la reiterazione dei fatti abbia la caratteristica dell'abitualità. L'elemento psicologico del reato è costituito dal "dolo generico": dunque, deve esservi sia la consapevolezza dell'esistenza del vincolo tra gli autori del fatto (è sufficiente anche un vincolo di filiazione illegittima purché noto agli autori), sia la conoscenza e volontà di avere rapporti sessuali con una delle persone indicate in modo specifico nell'art. 564 c.p.52. Per quanti poi ritengono che il pubblico scandalo costituisca evento del reato, anche quest'ultimo elemento dovrà essere coperto dal dolo, in quanto esso individua una modalità dell'azione criminosa e, dunque, inerente alla condotta volontaria dei soggetti. Un'ultima considerazione per quanto concerne l'aspetto giuridico dell'incesto verte sulla naturale plurisoggettività della fattispecie: il minore non è qualificabile tecnicamente come vittima, poiché nel caso in cui, uno dei due subisce con violenza o minaccia, il fatto dell'altro, non si ha incesto ma violenza sessuale (ugualmente se uno dei due non è capace di prestare un consenso valido, e per la legge italiana lo è soltanto dal compimento del sedicesimo anno di età). Dunque il reato di incesto viene compiuto quando l'ascendente, oppure la sorella o il fratello convivente, compiono atti sessuali con il discendente di età superiore ai sedici anni e consenziente; e quando il fratello, la sorella o l'affine in linea retta non conviventi compiono tali atti con il familiare di età superiore a quattordici anni. Devono ritenersi applicabili le norme sulla violenza sessuale tutte le volte che 52 E. Dolcini, G. Marinucci, Codice penale commentato - Parte speciale, Ipsoa Milano, 1999. 51 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 uno dei due soggetti deve essere considerato soggetto passivo del fatto dell'altra, anziché concorrente nel fatto stesso53. 3.2 L’incesto Libro II, Titolo XI, Capo II: Dei delitti contro la morale famigliare Art. 564 c.p: Incesto "Chiunque, in modo che ne derivi pubblico scandalo, commette incesto con un discendente o un ascendente, o con un affine in linea retta, ovvero con una sorella o un fratello, è punito con la reclusione da uno a cinque anni. La pena è della reclusione da due a otto anni nel caso di relazione incestuosa. Nei casi preveduti dalle disposizioni precedenti, se l'incesto è commesso da persona maggiore di età con persone minore degli anni diciotto, la pena è aumentata per la persona maggiorenne. La condanna pronunciata contro il genitore importa la perdita della potestà dei genitori." Il delitto è collocato nel titolo IX del codice penale, tra i delitti contro la famiglia ed in particolare contro la morale familiare. Ciò implica che l'oggetto giuridico di tale norma consiste nella tutela della moralità familiare, a garanzia dell'interesse dello Stato di salvaguardare la famiglia, nella sua essenza e nella sua funzione etica, dal danno derivante dallo scandalo dei rapporti carnali tra certi prossimi congiunti. Allo stesso tempo, tale collocazione implica che l'oggetto giuridico della norma non tutela direttamente i diritti della persona singola all'interno della famiglia. 53 G. Scardaccione, La tematica dell'abuso ed i principi dell'intervento, Corso di formazione per ausiliari nella testimonianza dei minori, Roma, 2002. 52 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 Si fa notare che il contenuto di tale disposizione richiede l'integrazione tramite elementi normativi extragiuridici, che cioè rinviano a norme sociali o di costume. L'elemento extragiuridico richiamato è il concetto di pubblico scandalo che deve derivare 54 dall'incesto . In quanto concetto mutevole con il mutare dei costumi sociali, la dottrina, ma soprattutto la giurisprudenza, hanno avuto difficoltà ad utilizzare nella pratica questo reato. Inoltre, sebbene oggi vi sia maggiore consapevolezza da parte della società nel condannare il reato di incesto, per le sue gravi ripercussioni a livello psicologico e fisico, non si deve scordare che in Italia, fino a pochi decenni fa, e ancora oggi in alcune zone più remote, la cultura contadina considerava i rapporti sessuali tra familiari fatto assolutamente normale. Oggetto giuridico: l'interesse tutelato non è solo l'offesa alla moralità in genere, ma anche l'offesa alla norma di condotta che impone l'asessualità nei rapporti di parentela. La ratio della punizione dell'incesto sta nella sua riprovevolezza morale e nella sua turpitudine, che lo rendono assolutamente intollerabile per la comunità sociale, destando quella profonda ripugnanza nella coscienza dei consociati - il pubblico scandalo appunto - che induce lo Stato ad intervenire. Tuttavia si nota che lo scandalo consiste pur sempre in un sentimento psicologico individuale, trasformato dal legislatore a categoria normativa, che va identificata nell'atteggiamento eticosociale che la collettività assume nei confronti di una relazione sessuale tra consanguinei o affini. Pertanto, qualora i rapporti carnali tra congiunti non abbiano suscitato una reazione di ripugnanza, 54 F. Romano, L'incesto: è ancora in grado di suscitare pubblico scandalo, "Giurisprudenza di merito", 1998, pag. 866. 53 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 disgusto o sdegno nella collettività, evidentemente non hanno leso la morale familiare, a salvaguardia della quale la norma è stata predisposta. Ciò significa che il bene giuridico protetto, la morale pubblica, potrebbe avere dei contenuti alquanto sfumati. Soggetto attivo: il rapporto sessuale, per dare vita al delitto di incesto, deve avvenire tra le persone che sono indicate in modo tassativo nell'art. 564 c.p., e cioè tra gli ascendenti, i discendenti, gli affini in linea retta, oppure tra sorelle e fratelli, germani, consanguinei e uterini. Per il disposto dell'art. 540 c.p., vi sono compresi anche gli ascendenti e i discendenti naturali, mentre ne sono esclusi gli adottivi. Per gli affini, si ritiene che debba trovare applicazione il criterio interpretativo dell'ultimo comma dell'art 307 c.p., per cui agli effetti penali il vincolo cessa allorché sia morto il coniuge e non vi sia prole, per cui in tale caso non ricorrono gli estremi dell'incesto55. 56 Soggetto passivo: trattandosi di reato proprio , sono soggetti passivi solo quelli previsti dalla norma, che subiscano rapporti sessuali. Condotta: la condotta volontaria dei soggetti deve fare in modo che la relazione venga percepita all'esterno. 55 G. Lattanti, E. Lupo, Codice Penale, Volume X, "I delitti contro la famiglia e i delitti contro la persona", Giuffrè Milano, 2000. 56 Il cosiddetto reato proprio è quel particolare tipo di reato che può essere commesso soltanto da soggetti con precise qualifiche naturalistiche o giuridiche, previste dal legislatore. In questo modo, in base alla sua qualifica, il soggetto agente è posto in un particolare rapporto col bene giuridico tutelato. Si può distinguere in reato proprio ma non esclusivo (consiste di per sé in un illecito extrapenale, la cui rilevanza penale è legata alla qualifica stessa - per esempio gli atti in danno ai creditori che posti in essere dall'imprenditore danno luogo a bancarotta -, oppure si può trattare di un illecito penale, che, in presenza della qualifica, configura una fattispecie di reato più grave - per esempio l'appropriazione indebita che diviene peculato se posta in essere da un pubblico ufficiale), e di reato proprio ed esclusivo (fattispecie che in assenza della qualifica dell'agente, risultano, per l'ordinamento penale, inoffensivi di qualsiasi interesse - come per esempio nel caso dell'incesto o della bigamia). F. Mantovani, op. cit., pag. 146. 54 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 Elemento soggettivo: si tratta di un reato a dolo generico, che consiste nella coscienza e volontà di avere rapporti con una delle persone tassativamente indicate nell'art. 564 c.p. e nella consapevolezza della relazione di parentela o di affinità che esiste tra i due soggetti. Evento: la prevalente dottrina ritiene che si tratti di un reato di evento, in quanto il legislatore ha usato la dizione "in modo che ne derivi pubblico scandalo" e non "in modo che ne possa derivare pubblico scandalo". Sembra, infatti, che il legislatore esiga una relazione causale tra la condotta incestuosa e lo scandalo, ossia lo scandalo deriva dal modo in cui è commesso l'incesto. Sono le modalità concrete della condotta, il rapporto incestuoso, che determinano il pubblico scandalo. Autorevole dottrina ritiene, invece, che il pubblico scandalo costituisca condizione di punibilità57. La differenza non è di lieve entità, in quanto la funzione delle condizioni obiettive di punibilità non è quella di aumentare la punibilità, bensì di diminuirla58. Infatti, la condizione obiettiva di punibilità funziona in termini di favore per l'agente, come limite edittale della punibilità, perché la legge stabilisce che il fatto nel quale sono già presenti tutti gli elementi 57 F. Mantovani, op. cit., pag. 817. Secondo l'autore il pubblico scandalo riguarda l'interesse alla moralità pubblica, esterno all'interesse familiare tutelato dalla norma, ed esprime l'opportunità di non dare pubblicità attraverso il processo penale a fatti incresciosi finché restino privati, e parimenti l'esigenza di non subordinare l'esistenza del reato di incesto ad un dolo di scandalo che spesso non esiste o non è accertabile. 58 F. Mantovani, op. cit., pag. 816. Le condizioni di punibilità riguardano quegli accadimenti del tutto estranei alla sfera dell'offesa del reato, ma che rendono opportuna la punibilità di un fatto già di per sé offensivo. Inoltre gli accadimenti arricchiscono la sfera dell'offesa del reato, in quanto importano un aggravamento, una progressione tipica dell'offesa. Anche senza di essi il reato è già di per sé offensivo, onde la condizione non fa che limitare la sfera di operatività della norma incriminatrice. 55 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 dell'illecito non rileva se non quando si aggiunge l'ulteriore elemento condizionante59. Se si considera lo scandalo quale evento tipico della fattispecie, anziché ulteriore, si deve però rintracciare anche un dolo di scandalo, nel senso che lo scandalo è evento preveduto e voluto come conseguenza dagli autori della condotta. Invece, lo scandalo si produce anche senza il contributo volontario degli autori della condotta: la conoscenza da parte di terzi dell'esistenza di un rapporto carnale tra consanguinei può avvenire anche per caso fortuito o coincidenza. Pertanto il reato si realizza lo stesso, proprio perché, anche senza il contributo causale dei soggetti coinvolti, la collettività è venuta a conoscenza della violazione di un tabù sociale. Consumazione: secondo l'interpretazione prevalente, l'incesto, come gli altri tipi di reati attinenti alla sfera sessuale, si considera consumato quando vi è la possibilità di parlare di congiunzione carnale, in qualunque modo si verifichi. Circostanze aggravanti: è prevista solo una circostanza aggravante, nel caso in cui il maggiore di età commetta incesto con un minore. È prevista, inoltre, la fattispecie autonoma di relazione incestuosa. Quest'ultima si definisce un reato abituale improprio, in quanto consiste nella reiterazione di condotte già costituenti di per sé reato. Concorso con altri reati: i reati di incesto e di violenza carnale (rectius: violenza sessuale ex art. 609 bis) possono concorrere tra di loro, in quanto la congiunzione carnale tra i soggetti individuati dall'art. 564 c.p. può essere sia consensuale che violenta. Questa impostazione è giustificata dal fatto che le norme violate sono due, 59 E. Antonimi, La funzione delle condizioni obiettive di punibilità. Applicazioni in tema di rapporti fra incesto e violenza carnale presunta, "Rivista italiana di diritto e procedura penale", 1984, pag. 1281. 56 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 essendo poste a tutela di beni giuridici distinti, ovvero la morale familiare nella prima fattispecie e la libertà sessuale della persona nella seconda. Caratteristica strutturale del reato di incesto è di essere costruito sul consenso degli autori, mentre il reato di violenza carnale (rectius: violenza sessuale ex art. 609 bis) è fondato sul dissenso. 3.3 L’abuso sessuale in famiglia La violenza sessuale è, tra i crimini aventi come soggetti passivi i membri della famiglia, quello più grave e socialmente più rilevante. Normalmente, le vittime preferenziali di tale crimine sono il coniuge (rectius: la moglie) e i figli minori. Va comunque sottolineato che, al pari dei maltrattamenti in ambito familiare, tale crimine viene raramente denunciato qualora ne sia vittima la moglie. In tal caso, infatti, il reato ha molta difficoltà ad essere denunciato in modo autonomo, emergendo, di sovente, soltanto a seguito della denuncia per reati di maltrattamenti in famiglia. Ciò in quanto il reato di violenza sessuale, in questo caso, può facilmente essere la conseguenza di un clima di prevaricazione e sopraffazione posto in essere dal coniuge violento. Al contrario, l'abuso sessuale su minori può essere rilevato e denunciato anche in modo autonomo, senza accompagnarsi necessariamente ad una situazione di genitore maltrattante e violento, ma solamente deviato sessualmente. 57 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 3.3.1 ART. 609 bis: il reato di violenza sessuale Tra le novità introdotte dalla legge n. 66 del 1996, vi è il passaggio della fattispecie incriminatrice dai reati contro la morale ed il buon costume ai reati contro la persona. La scelta del legislatore è senz'altro condivisibile, in quanto accentra il disvalore nell'offesa contro la persona anziché contro la morale pubblica. La fattispecie incriminatrice è inserita, infatti, tra i delitti contro la libertà personale. In sostanza, il concetto di libertà sessuale non può essere considerato come interesse collettivo alla continenza sessuale, bensì come aspetto particolarmente significativo dell'autonomia personale. Si assiste così all'introduzione di un concetto di rapporto sessuale adeguato al costume ed alla cultura sociale e morale del ventunesimo secolo, che restituisce alla vittima di simili delitti la piena dignità, garantendole la piena tutela della volontà di disporre del proprio corpo a fini sessuali60. L'altra novità della legge n. 66 del 1996 è l'introduzione dell'omnicomprensiva categoria degli atti sessuali, che ha unificato le due ipotesi della violenza carnale ex art. 519 c.p. e degli atti di libidine ex art. 521 c.p. Tale unificazione è di notevole importanza, perché ha introdotto la moderna concezione di violenza sessuale, secondo la quale la criminosità della stessa si incentra sull'offesa comunque arrecata all'autodeterminazione sessuale, essendo irrilevanti le concrete modalità. Come conseguenza, identica tutela viene riservata all'intangibilità sessuale delle diverse parti del corpo61. 60 V. Musacchio, Le nuove norme contro la violenza sessuale: un opinione sull'argomento, "Giustizia penale", 1996, II, pag. 118. 61 F. Mantovani, I delitti contro la libertà e l'intangibilità sessuale, Cedam, Padova, 1998, pag. 29. 58 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 La norma cardine dell'intera legge è rappresentata dall'art. 609 bis c.p., che disciplina il delitto di violenza sessuale. "Chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da cinque a dieci anni. Alla stessa pena soggiace chi induce taluno a compiere o a subire atti sessuali: 1. abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto; 2. traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona. Nei casi di minore gravità la pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi." Oggetto giuridico: è la libertà di agire, intesa come libertà di autodeterminazione o meglio come volontà di attuare liberamente una o più volizioni nella sfera sessuale, non solo di natura fisica ma anche morale. Soggetto attivo: è chiunque, pertanto trattasi di reato comune. Soggetto passivo: è il titolare del bene giuridico offeso. Possono essere soggetti passivi del reato tutte le persone fisiche, di sesso femminile o maschile, maggiorenni o minorenni, con ovvia irrilevanza delle condizioni della persona (nubile, celibe o coniugata, divorziata, di onesti costumi o dedita alla prostituzione, vergine o meno, fidanzata, separata, etc.). 59 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 Condotta: consiste nel costringere taluno a compiere o a subire atti sessuali, con il mezzo della violenza o della minaccia. La violenza è quindi un mezzo e non il fine del reato. Elemento soggettivo: si tratta di un reato a dolo generico, richiedendo l'art. 609 bis c.p. soltanto la coscienza e volontà di costringere altri, mediante violenza e minaccia, a compiere o subire atti sessuali. Evento: è duplice, in quanto si realizza nel sottoporre il soggetto passivo in uno stato psicologico di coazione e nel fargli compiere o subire atti sessuali. Offesa: consiste nella privazione assoluta o relativa della libertà sessuale. Trattasi dunque di reato di danno62. 3.4 Il coniuge quale soggetto passivo del reato di violenza sessuale Appare evidente che il legislatore, non specificando in alcun modo le caratteristiche dei soggetti passivi, ha inteso includere nella fattispecie anche quelle situazioni di violenza sessuale che, realizzandosi nell'ambito familiare, hanno per soggetto passivo il coniuge. Questa presa di posizione è di notevole rilevanza, in quanto non è sempre stato pacifico che la moglie potesse denunciare il marito per violenza sessuale. Dagli anni trenta agli settanta, vi è stato un indirizzo dottrinale che riconosceva nel matrimonio la fonte di obblighi di mutua assistenza fisica e morale, fra questi includendovi 62 I reati di offesa si dividono tra reati di danno e reati di pericolo. Si definisce "reato di danno quello per la sussistenza del quale è necessario che il bene tutelato sia distrutto o diminuito, mentre si definisce reato di pericolo quello per il quale basta che il bene sia stato minacciato." F. Mantovani, op. cit., pag. 222. 60 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 quelli relativi alla reciproca dedizione sessuale. Di conseguenza, l'unione carnale in tale situazione era considerata un diritto, mentre il reato di violenza carnale veniva relegato ai soli casi di costrizione del coniuge ad atti sessuali estranei ai fini procreativi del matrimonio, 63 come quelli contro natura . Certa dottrina affermava che, tra soggetti legati da vincolo coniugale, per quanto riguarda i rapporti "normali", non vi poteva mai essere un delitto contro la libertà sessuale, poiché la tutela di quest'ultima non trova giustificazione in una situazione in cui il contatto carnale costituisce il sostrato della relazione matrimoniale64. Altra dottrina sosteneva che, ad escludere il reato di cui all'art. 519 c.p., valeva il diritto alla prestazione sessuale. Infatti, posto che la costrizione, per costituire reato, deve essere illegittima, l'esercizio del diritto al congiungimento carnale col coniuge esclude l'illiceità penale65. Secondo questa dottrina, dunque, il comportamento sessuale violento del coniuge poteva al più integrare gli estremi della violenza privata o delle lesioni, ma non quello di violenza carnale. Tuttavia la giurisprudenza, e soprattutto la Cassazione, hanno preso una posizione sempre netta nel riconoscere la punibilità della violenza carnale tra coniugi, pur limitandone la punibilità ai soli casi in cui si realizzi in modo violento. Con sentenza del 16 febbraio 1976, la Cassazione motiva così il principio secondo cui commette il delitto di violenza carnale il coniuge che costringa con violenza o minaccia l'altro coniuge, anche non separato, a congiunzione carnale: "... (omissis) orbene la legittimità del disporre del corpo dell'altro coniuge per la soddisfazione della concupiscenza sessuale, l'ambito 63 P. Brignone, La violenza carnale nel rapporto tra coniugi, in nota a sentenza del 16 febbraio 1976, "Cassazione penale", 1978. 64 R. Pannain, Delitti contro la moralità pubblica, 1952, pag. 38. 65 C. Gabrieli, Violenza carnale, "Novo Digesto Italiano", Vol. VII, pag. 1070. 61 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 del relativo diritto e quello del contrapposto dovere, la sfera del consenso alla deditio corporis prestato con il matrimonio, la rilevanza del bene dell'inviolabilità sessuale, non vanno commisurati al risultato della condotta, ma alla coazione spiegata per raggiungerlo. Ciò va detto nei sensi che seguono, tra loro convergenti: I. L'illegittimità del mezzo impiegato per consentire il risultato rende questo illegittimo, dato il principio dell'unitarietà della fattispecie criminosa, che non tollera il frazionamento dell'antigiuridicità, cosicché non è dato affermare che il congiungimento violentemente o minacciosamente imposto da un coniuge all'altro sia illegittimo nella causa (rectius: mezzo) e legittimo nell'effetto (rectius: fine), divenendo penalmente rilevante a titolo di violenza privata o ad altro titolo delittuoso corrispondente alla condotta violenta o minacciosa. II. L'esercizio del diritto di congiungersi carnalmente col proprio coniuge, quale effetto del matrimonio, non comprende il potere di imporre con la violenza (fisica o morale) il congiungimento al coniuge dissenziente, ma, in caso di dissenso ingiustificato, costituente ingiuria reale e violazione degli obblighi di assistenza coniugale verso il coniuge respinto, questi può ricorrere al giudice civile per ottenere sentenza di separazione personale per colpa dell'altro coniuge. Ma non può mai farsi ragione da sé esercitando il preteso diritto a detta prestazione, di natura incoercibile, in forma minacciosa e violenta. III. L'inadempimento da parte del coniuge dissenziente del cosiddetto debito coniugale, non determina di per sé la legittimità della coazione all'adempimento del medesimo, quasi come atto di auto-esecuzione forzata in forma specifica della pretesa avanzata dal titolare del diritto alla prestazione 62 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 sessuale ingiustamente responsabilità negata, dell'inadempiente ma per è le solo fonte di conseguenze di carattere civile e penale che l'ordinamento vi connette. IV. Il consenso alla deditio corporis prestato con il matrimonio non ha carattere assoluto ed illimitato, né comporta un completo asservimento, quasi a titolo di servitù personale, del proprio corpo, in funzione permanente ed integrale del soddisfacimento delle esigenze di piacere sessuale dell'altro coniuge. V. L'interesse all'inviolabilità sessuale nella relazione interconiugale non viene a mancare, sì da far venire meno la oggettività giuridica del delitto all'art. 519 c.p., perché il coniuge non si priva incondizionatamente verso l'altro coniuge del potere di disporre del proprio corpo, né perde la naturale libertà di negare la prestazione sessuale; il fatto che la resistenza sia giustificata o ingiustificata non esplica alcuna influenza sulla tutela apprestata a detta libertà, tutela che è intesa ad evitare congiungimenti carnali coatti, indipendentemente dalla qualità dei soggetti della relazione carnale non liberamente consentita." La Corte di Cassazione66 statuiva inoltre che "... (omissis) il delitto di violenza carnale sussiste non solo quando vi sia una lotta strenua, capace di lasciare segni sulla vittima, ma anche quando questa si sia concessa solo per porre termine ad una situazione per lei angosciosa ed insopportabile, poiché tale consenso non è libero consenso, bensì consenso coatto, che ricade sotto la nozione di violenza di cui all'art. 519 c.p. L'orientamento secondo cui la 66 Cassazione 16 novembre 1988, "Cassazione penale", 1990, pag. 66, e nello stesso senso sentenza 20 gennaio 1986, "Cassazione penale", 1987. 63 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 congiunzione carnale violenta realizzata dal coniuge a danno dell'altro coniuge, non ricadrebbe nella disciplina dell'art. 519 c.p. è erroneo, poiché non considera, affatto o nella debita misura, il rispetto dovuto alla persona quale soggetto autonomo e alla sua libera determinazione. Infatti il rapporto di coniugio non degrada la persona di un coniuge ad oggetto di possesso dell'altro coniuge, sicché, qualora esso si riduca a violenza ai fini del possesso del corpo, costituisce fatto gravemente antigiuridico, che non può non trovare sanzione nella norma dell'art. 519 c.p., la quale rappresenta specificazione dell'art. 610 c.p., violenza privata, che tutela la determinazione del volere." Nonostante questa chiara impostazione della Cassazione, la Corte di appello di Roma, con sentenza del 1990, motivava l'assoluzione di un marito che aveva più volte con violenza abusato della moglie, invocando la necessità di un dolo specifico per la configurazione del reato di violenza carnale tra coniugi. Ma la Cassazione, investita nel 1994 della questione a seguito del ricorso della vittima, statuiva che "... (omissis) unico è il concetto di violenza carnale e non suscettibile di connotazioni diverse tra estranei o nei rapporti tra coniugi." Anche sotto la vecchia disciplina vi era stata una equiparazione, per quanto riguarda il diritto a rifiutare la prestazione sessuale, tra il coniuge non separato e quello in corso di separazione. Si legge infatti, nella sentenza del Tribunale di Latina del 13 marzo 1989: "... (omissis) il reato di violenza o tentata violenza carnale può ben essere consumato anche tra coniugi (nella specie dal marito), poiché deve sempre riconoscersi a ciascuno di essi la facoltà di non concedere l'amplesso; il rifiuto non legittima mai, ai sensi della legge penale, il coniuge che l'amplesso desidera a pervenire ad esso mediante l'impiego della forza. È questione ormai non più discutibile 64 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 nell'attuale stadio della civiltà giuridica che si riconosce al coniuge non separato la facoltà di non concedere l'amplesso (salva ovviamente la diversa rilevanza agli effetti civilistici dell'eventuale sistematico rifiuto); a maggior ragione legittimo devi ritenersi il diniego opposto dalla vittima in pendenza di giudizio di separazione personale tra coniugi, nel corso del quale, con provvedimento provvisorio presidenziale, era stato fra l'altro disposto che il marito dovesse lasciare la casa coniugale." Certa dottrina ed una costante giurisprudenza avevano dunque chiaramente delineato, già sotto la vecchia disciplina, la possibilità che il marito potesse essere accusato del reato di violenza sessuale nei confronti della moglie, in quanto il dovere di dedizione sessuale tra coniugi, contratto con il matrimonio, non è coercibile ma è subordinato al libero consenso prestato di volta in volta, onde la coercizione ad adempiere dà luogo a reato. Il problema che poteva sorgere sotto la vecchia disciplina era, semmai, quello di dover qualificare, di volta in volta, se il reato perpetrato ai danni della moglie fosse di violenza privata, di atti di libidine o di violenza carnale. A tale proposito, un esempio dell'inadeguatezza della vecchia normativa si rileva nella motivazione della sentenza di Cassazione del 15 maggio 1982, che così recita: "Nel reato di cui all'art. 572 c.p., maltrattamenti in famiglia, restano assorbiti soltanto quelli di percosse (art. 581 c.p.) e di minacce, i quali sono elementi costitutivi della violenza fisica o morale propria del delitto di maltrattamenti. Per tutti gli altri reati si ha concorso e non assorbimento, l'assistenza qualora familiare. il bene Nella giuridico specie, offeso pertanto, non riguardi legittimamente l'imputato è stato ritenuto colpevole anche del distinto reato di violenza privata lesivo della libertà morale, per aver introdotto nell'ano della moglie il collo di una bottiglia, dopo aver denudato e legato al letto la donna contro la sua volontà." La Corte ha 65 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 correttamente motivato nel prevedere il concorso di reati e non l'assorbimento. Tuttavia, "...(omissis) spettando alla Cassazione nel rispetto del giudicato quanto alla misura della pena il potere-dovere di dare ai fatti la corretta configurazione giuridica, ed apparendo innegabile una loro attinenza alla sfera sessuale, non sarebbe stato invero peregrino chiedersi se non si era trattato tanto di violenza generica quanto di specifica aggressione alla libertà sessuale." Secondo tali rilievi, sarebbe stato opportuno che la Corte avesse appurato se la condotta integrava gli estremi di violenza carnale o di atti di libidine violenti, anziché di violenza privata. L'autore conclude comunque che "... (omissis) la conclusione fu esatta, tenuto conto del complessivo clima in cui si verificò, e che porta a pensare più al deliberato proposito di arrecare nuove sofferenze fisiche e morali più che all'intento di soddisfare intenti libidinosi." Secondo la nuova legge, tale condotta sarebbe stata sicuramente sanzionata con il più grave reato di violenza sessuale, ex art. 609 bis c.p. Ciò per due motivi. Il primo in quanto l'atto è oggettivamente, e non soggettivamente, idoneo a ledere la sfera sessuale della vittima, il secondo perché la più ampia nozione di atti sessuali permette, giustamente, di prescindere dall'accertamento degli elementi costitutivi del congiungimento carnale o degli atti di libidine. Con sentenza del 11 marzo 1994, la Cassazione precisava quanto segue: "... (omissis) perché possa configurarsi il delitto di violenza carnale è necessario che al fatto il soggetto si sia determinato a causa di una coazione di volontà mediante minaccia o violenza." Nella specie la Cassazione ha annullato per vizio di motivazione la sentenza di appello che aveva accertato la responsabilità dell'imputato sulla base della dichiarazione della moglie di essere stata costretta con violenza ad un coito orale. La Corte ha rilevato che "... (omissis) considerata la particolarità del 66 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 coito orale, sembra arduo ipotizzare l'esercizio di una violenza fisica quale quella descritta dalla denunciante che ben a essa avrebbe potuto in ogni caso facilmente reagire e sottrarsi al compimento dell'atto da lei non voluto." Anche in questo caso, risulta palese che la nuova legge sarebbe in grado di sanzionare il reato, in quanto la condotta è riconducibile al reato ex art. 609 bis, che non fa distinzione tra i vari atti sessuali e non subordina la sanzione alla reazione attiva posta in essere dalla vittima. Si può dunque affermare che esiste una consolidata giurisprudenza che ammette il reato di violenza carnale nei confronti del coniuge, e che il reato stesso possa essere realizzato in concorso con la fattispecie dei maltrattamenti in famiglia. La nuova normativa introdotta con la legge n. 66 del 1996 ha lasciato inalterato questo quadro, con il beneficio di aver eliminato tutte le incertezze interpretative in materia di congiunzione e atti di libidine, privilegiando la nozione aperta di atti sessuali e dando risalto al bene giuridico protetto della vittima, ovvero la sua sfera sessuale, e non alle intenzioni dell'aggressore, considerate giustamente del tutto irrilevanti ad influire sul danno che il comportamento lesivo arreca alla vittima. Si può quindi prevedere che, in tema di violenza tra coniugi, potrà in futuro prefigurarsi una maggiore punibilità laddove venga realizzato qualunque atto violento che, al di là dei maltrattamenti, violi la libertà sessuale dell'altro coniuge. 3.5 Il segreto professionale A prescindere dall'utilità o meno della denuncia penale, la segnalazione del sospetto abuso da parte dell'insegnante, del personale sanitario in servizio nei presidi pubblici o degli operatori dei 67 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 servizi pubblici rappresenta un atto obbligatorio che espone a precise responsabilità, anche penali, in caso di omissione. In primo luogo vi è l'articolo 331 c.p.p. che stabilisce l'obbligo di denuncia per il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio per i reati procedibili d'ufficio. Le pene per chi omette la denuncia sono previste dagli artt. 361 e 362 c.p.. Va inoltre tenuto presente che, dopo le modifiche introdotte dalla legge 15 febbraio 1996 n. 66, sono procedibili d'ufficio i più significativi tra i reati sessuali posti in essere all'interno della famiglia. Negli altri casi i reati sessuali sono procedibili a querela ossia su richiesta della persona danneggiata, querela che deve essere proposta entro sei mesi dal giorno della notizia del fatto che costituisce reato (art. 609 septies, comma 2 c.p.) e che una volta proposta è irrevocabile. Se si tratta di un minorenne che non ha compiuto almeno i quattordici anni deve provvedere chi esercita la potestà, ossia, di regola, uno dei genitori (art 120 c.p.). Se invece il minorenne ha personalmente più di querela quattordici oppure, anni, egli nonostante può ogni presentare sua volontà contraria, può presentarla anche chi esercita su di lui la potestà. Per i reati sessuali procedibili a querela, se risultano connessi con altri reati procedibili d'ufficio (art. 609-septies, comma 4 n. 4 c.p.) condizione che si verifica abbastanza spesso, potendo ricorrere l'ipotesi di minacce gravi (art. 612 c.p.), violenza privata (art. 6 c.p.), lesioni personali (artt. 582, 583 c.p.), sequestro di persona (art 605 c.p.) - è prevista la procedibilità d'ufficio e l'obbligo di denuncia. La presenza di queste circostanze può non essere facilmente identificabile al momento della denuncia. Quindi, per realizzare un'effettiva tutela del minore, sarebbe opportuno che i soggetti obbligati effettuassero sempre la denuncia, lasciando al magistrato la 68 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 valutazione se nel caso esiste oppure no una condizione di procedibilità. In ogni modo, l'obbligo per il pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio sorge solo quando il reato è già delineato nelle sue linee essenziali e quando vi sono elementi fondati tali da indurre a ritenere che esso sussista. Una disposizione molto importante è inoltre contenuta negli artt. 121 c.p. e 338 c.p. secondo i quali, in caso di conflitto d'interessi con l'esercente la potestà o quando non vi è chi abbia la rappresentanza del minore di quattordici anni, la querela può essere proposta da un curatore speciale, nominato dal giudice delle indagini preliminari su istanza del pubblico ministero o degli stessi servizi che hanno per scopo «la cura, l'educazione, la custodia o l'assistenza dei minorenni». Infine, altro obbligo di segnalazione discende dall'art. 9 della legge 4 maggio 1983 n. 184, che riguarda la segnalazione al Tribunale per i minorenni dei casi di "abbandono di minori". Infatti, l'abbandono può essere anche di tipo morale; non sussiste, cioè, solo nel caso di pesanti trascuratezze materiali, ma anche in presenza di comportamenti che possono pregiudicare un equilibrato sviluppo psicoaffettivo del minore (e tra questi possono essere indicati gli abusi sessuali). L'art. 622 c.p. punisce la rivelazione del segreto professionale. Obbligato al tale segreto è chiunque sia venuto a conoscenza del reato nell'esercizio o a causa delle sue funzioni: ciò significa che occorre un nesso di consequenzialità immediata tra l'informazione ricevuta e l'espletamento della funzione o del servizio, cioè occorre che la notizia di reato sia stata appresa nello svolgimento del lavoro o della funzione. Il problema si pone in particolare per gli esercenti una professione sanitaria (fra i quali sono ricompresi psicologi e psicoterapeuti, anche 69 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 quando operano come professionisti privati) che hanno l'obbligo di inviare un referto all'autorità giudiziaria ai sensi dell'articolo 365 c.p. Il discorso riguardo gli esercenti una professione sanitaria è abbastanza controverso. Al medico la legge impone di inviare un referto all'autorità giudiziaria tutte le volte che abbia prestato la sua assistenza in casi che possono presupporre un delitto perseguibile d'ufficio, e solo quando il paziente sia vittima o parte lesa; non «quando il referto esporrebbe la persona assistita a procedimento penale come imputato». Allora interviene l'obbligo del segreto professionale e viene a cadere il reato di omissione di referto. La controversia riguarda chi sia la persona assistita nel caso del minorenne abusato, che ad esempio venga accompagnato alla visita medica dal genitore abusante. Qualche autore ha sostenuto che, poiché nel caso del minore, la richiesta di prestazione medica deriva dal genitore, questi diventa anche titolare del diritto al segreto professionale. Da altri è stato rilevato che assistito è il minore e che quindi il medico sia liberato dal vincolo del segreto professionale nei confronti del genitore. Tuttavia, è sostenibile anche che entrambi si affidano al medico per un consiglio e per una terapia. Comunque, tutte queste incertezze cadrebbero qualora la legge imponesse al medico di segnalare il caso anziché all'autorità giudiziaria a centri socio sanitari specializzati o a qualche settore appositamente strutturato dei servizi sociali territoriali. 70 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 Pericolosità sociale e trattamento terapeutico 4.1 Dopo la condanna: rieducazione del condannato La costituzione italiana al terzo comma dell’art. 27 sancisce: “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato” La risocializzazione ed il reinserimento del condannato devono essere guidati dalla mano di esperti in sociologia, criminologia, psicologia e psichiatria, non più attraverso un approccio generico come in passato, ma con un’assistenza specifica e qualificata che tenga conto del detenuto nei suoi diversi aspetti; ciò presuppone l’intervento di esperti che in campi diversi agiscono per il raggiungimento del medesimo scopo. Il Codice Rocco del 1931 introduceva la figura del Giudice di Sorveglianza al quale veniva demandato il compito di controllo della vita del carcere e della rieducazione dei detenuti, ma continuando a svolgere le sue funzioni giuridiche, si limitava a rare visite formali all’interno degli istituti. 71 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 Nel primo dopoguerra si tentano le prime modifiche rivolte soprattutto al recupero del detenuto. Dopo le prime innovazioni però la pena torna ad essere afflittiva. Fino al 1964 quando si riprendono i concetti di umanizzazione della pena che sfociano nel disegno di legge n. 285 del 28 ottobre 1968 in cui vengono modificati soprattutto i rapporti tra detenuti e comunità esterne. La possibilità di contatti con l’esterno attraverso visite, colloqui, corrispondenza e l’intervento di migliorano le persone estranee condizioni all’Amministrazione psicologiche dei carceraria, detenuti che, nell’isolamento, potevano andare incontro anche ad un avvilimento psicofisico e a patologie psichiatriche. Nello stesso disegno di legge viene data maggior importanza al Giudice di Sorveglianza il quale viene proposto solo al controllo dell’attività carceraria e al coordinamento delle attività che favoriscono la rieducazione del detenuto. Il Giudice di Sorveglianza viene quindi affiancato da educatori, assistenti sociali e da professionisti esperti in psicopatologia e sociologia. Decisivo passo in avanti si è fatto quindi con la legge n. 354 del 26 luglio 1975 che grazie al suo art. 80 (4°comma), introduceva la nuova “figura dell’esperto” ampliando così la serie degli specialisti che vanno pertanto dallo Psichiatra, al Pedagogista, allo Psicologo Clinico, all’Assistente sociale. La necessità di rendere più specifico l’intervento terapeutico sul detenuto ha imposto una suddivisione di ruoli e di compiti, tutti rivolti però ad un migliore funzionamento dell’ istituzione carceraria e ad un più efficace recupero del detenuto. Nel campo del trattamento come in quello della detenzione e dell’inchiesta giudiziaria si propongono alcuni problemi che hanno messo in crisi la criminologia clinica e che, se risolti, dovrebbero 72 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 migliorare la prevenzione della delinquenza e il trattamento dei soggetti colpevoli di aver commesso un reato. I problemi che attualmente emergono sono soprattutto di ordine diagnostico, classificativo e di previsione. Una corretta diagnosi e quindi un’idonea classificazione, consentirà la collocazione del singolo in classi, in modo tale che gli individui di una classe siano simili anche alla luce di una corretta valutazione delle previsioni del futuro comportamento. I metodi finora utilizzati in criminologia si sono rivelati non del tutto adeguati per fornire un’utile guida per l’applicazione della legge e per adottare decisioni giuridiche e correttive in ogni passo di questo complesso processo giudiziario. Tali inadeguatezze si ripercuotono pertanto sulle decisioni dei Direttori degli Istituti penitenziari e degli stessi Magistrati di Sorveglianza che per compensare tali disfunzioni sono ben felici di essere supportati da vari esperti. Tuttavia quanto fin’ora utilizzato nella diagnostica criminologica può senz’altro costituire un valido presupposto per migliorare i metodi di classificazione, costituendo comunque un punto critico per l’adozione di decisioni più complete al fine di approntare programmi più efficaci ed onesti nella giustizia criminale. 4.2 La pericolosità sociale: il problema dell’accertamento L'accertamento giudiziale della pericolosità sociale si articola in due momenti: quello dell'analisi della personalità dell'individuo, con accertamento delle qualità indizianti, da cui dedurre la probabile commissione di nuovi reati e quello della prognosi criminale, cioè il 73 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 giudizio sul futuro criminale del soggetto, effettuato sulla base di tali qualità67. Il codice non dice quali siano le qualità soggettive da cui deve dedursi la pericolosità: l'art. 203 c.p. si limita a un mero rinvio secondo cui "la qualità di persona socialmente pericolosa si desume dalle circostanze indicate nell'art. 133", onde il giudizio di pericolosità va effettuato con riferimento alla gravità oggettiva e soggettiva del reato commesso ed agli elementi da cui si desume la capacità a delinquere, i quali, visti in chiave prognostica, possono presentare un significato diverso da quello che assumono in funzione della responsabilità, in quanto vanno apprezzati come sintomo di probabile futura recidiva. Si tratta comunque di un giudizio sulla personalità del soggetto nel suo complesso ed ha per oggetto l'accertamento della pericolosità non tanto al momento della commissione del fatto, ma piuttosto in quello in cui il giudice deve decidere se disporre o meno la misura di sicurezza ed altresì quello in cui essa deve essere in concreto eseguita. Si dovrebbe pertanto evitare, con il superamento delle presunzioni di pericolosità sociale, l'applicazione di una misura di sicurezza a chi, pericoloso al momento del fatto, cessa di esserlo prima di tale pronuncia. Autorevole dottrina fa notare come invece non possa applicarsi una misura di sicurezza a chi, all'opposto, sia divenuto pericoloso dopo la commissione del fatto per cause sopravvenute, opponendosi a ciò il principio del nulla periculositas sine crimine, che esige un'interdipendenza tra pericolosità e reato, presupposto garantista indefettibile in un sistema di diritto penale a base oggettiva. Il problema fondamentale in materia è quello dell' individuazione di criteri certi ed univoci per la delimitazione del concetto di pericolosità: questa infatti è concepita come il risultato di una 67 Ferrando Mantovani "Diritto penale" Cedam 1992 pag. 699. 74 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 prognosi sui comportamenti futuri, secondo un giudizio di probabilità, non di certezza; ne discende che "la certezza deve essere nelle premesse e nelle garanzie di univocità di un giudizio che sia orientato a collegare il presente al futuro, nell'ambito di un' evoluzione 68 criminologicamente rilevante" . Mantovani nota che "circa la pericolosità accertata, come in generale per l'esame della personalità del delinquente, si lamenta che il giudizio resta in gran parte affidato all'intuizione, quando non anche all'ideologia del giudice. Ciò sia, anzitutto, per la genericità degli elementi criminologica dell'art. del 133 giudice, c.p., sia sia per per il la divieto impreparazione della perizia criminologica"69 ex art. 220 comma 2 c.p.p. Si sono avuti in dottrina tentativi di individuare, a partire da tali elementi, qualità soggettive indizianti di pericolosità70: in base agli elementi previsti dall' art. 133 comma 1 (da cui si desume la gravità del reato) il giudice potrà valutare se trattasi di un delinquente crudele o di normale sensibilità, se si tratti di un delinquente che cede facilmente al delitto o se vi cede solo spinto da grandi prospettive, se si tratti di un delinquente passionale o di un delinquente freddo; ma ai fini della prognosi criminale sono di maggiore importanza gli elementi di cui al comma 2 (da cui si desume la capacità a delinquere), per cui sono considerate qualità indizianti di pericolosità sociale, ad esempio: riguardo ai motivi del delinquere, l'attitudine a seguire impulsi sproporzionati rispetto al mezzo criminoso usato e al di fuori di particolari situazioni ambientali determinanti; per quanto riguarda il carattere del reo, l'essere 68 Giulio Catelani "Manuale dell' esecuzione penale" III° ed. pag. 574. Ferrando Mantovani "Diritto penale" Cedam 1992 pag. 700-701. 70 Ferrando Mantovani "Diritto penale" Cedam 1992 pag. 701; NUVOLONE "Il sistema" Padova 1982 pag. 346. 69 75 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 portato a superare le normali inibizioni sociali per aggressività o per incapacità a resistere alle suggestioni esterne; per quanto riguarda le condizioni di vita, l'incapacità psichica a svincolarsi da un ambiente criminogeno; per quanto riguarda i precedenti penali, l'attitudine radicata a commettere reati della stessa indole o aventi motivazioni analoghe. In generale il giudizio di pericolosità sarà tanto più negativo quanto più il reato commesso appaia come fenomeno isolato nel complesso di una vita in contrasto con esso, così come quando la condotta contemporanea e susseguente al reato ne 71 contraddica i motivi e sia in antitesi con essi . La giurisprudenza a sua volta non ha fornito strumenti certi per l'individuazione dei limiti del concetto di pericolosità sociale: la stessa Corte di Cassazione ha in passato affermato che essa può essere "desunta da situazioni che giustificano sospetti o presunzioni, purché gli uni e le altre appaiano fondate su elementi obiettivi e su fatti specifici ed accertati", per esempio la compagnia di pregiudicati, l'omertà, la mancanza di uno stabile lavoro, denunzie penali indipendentemente dall' esito, etc. (Cassaz. 9/4/68, 26/1/77, 9/3/77, 7/10/77). A questi fattori si aggiunge l'impreparazione criminologica del giudice ed il perdurante divieto di perizia criminologica posto dall'art. 314 del vecchio codice di procedura penale e ribadito dall'art. 220 del nuovo, che ammette solo perizie psichiatriche, mentre vieta in fase di cognizione le perizie volte a stabilire l'abitualità, la professionalità nel reato, la tendenza a delinquere, il carattere e la personalità dell'imputato e in genere le qualità psichiche indipendenti da cause 71 Arianna Calabria "Sul problema dell' accertamento della pericolosità sociale" in Riv. It. Dir. Proc. Pen. 1990, 762. 76 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 patologiche; ciò per finalità garantistiche nei confronti dell'imputato, ma anche a riprova della perdurante sfiducia nei giudizi predittivi delle scienze criminologiche. Ma innanzitutto deve rilevarsi che "il riconoscimento della struttura probabilistica della pericolosità porta da sempre con sé enormi dubbi sul rispetto del principio di determinatezza ... l'accettazione del concetto di pericolosità postula infatti 'a monte' una risposta soddisfacente ad una questione non meno scabrosa, relativa alla stessa ammissibilità politico-criminale del ricorso a un presupposto a struttura probabilistica in funzione della privazione della libertà personale", con le conseguenti preoccupazioni di ordine garantistico. Un giudizio con conseguenze così profonde sulla libertà personale non può essere lasciato al metodo intuitivo che sembra dominare nella prassi; né d'altro canto sembra rintracciabile alcun metodo di accertamento che possa garantire una esecuzione almeno uniforme delle prognosi di pericolosità: non il c.d. 'metodo statistico' della valutazione per tabelle, per l'incompletezza della base prognostica che necessariamente esclude variabili personali che nel caso concreto possono essere decisive; non il c.d. 'metodo clinico', che attraverso l'intervento del perito individualizza maggiormente il giudizio ma si traduce spesso in difficoltà di collaborazione costruttiva tra giudice e periti e in soggettivismi derivanti dalla non omogeneità delle premesse teoriche a cui questi ultimi si rifanno72. La questione si fa più problematica nelle ipotesi in cui il giudice ritenga di non disporre di elementi sufficienti per operare il giudizio prognostico di pericolosità: Luigi Fornari fa notare come il problema dei casi dubbi non possa ricondursi semplicisticamente alla scelta tra 72 Luigi Fornari "Misure di sicurezza e doppio binario: un declino inarrestabile?" in Riv. It. Dir. Proc. Pen. 1993, 569. 77 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 una delle due massime 'in dubio pro reo' e 'in dubio contra reum'. Si è ricercata la soluzione in un'interpretazione teleologica della norma che possa orientare il giudice nella scelta dell' ambito a cui ricondurre i casi dubbi. Ma anche tale teoria basandosi su una distinzione tra ipotesi di prognosi certa e casi dubbi postula che le scienze criminologiche siano in grado di offrire un patrimonio di conoscenze empiriche su cui fondare la prognosi stessa, assunto che è tutt'altro che scontato. Di fronte all'incontestabile inadeguatezza del criterio intuitivo ed alla necessità di una cooperazione tra diritto penale e scienze criminologiche ai fini dell'accertamento della pericolosità, Ferrando Mantovani ha indicato come via preferibile, tra gli opposti estremismi delle presunzioni legali e dell'accertamento caso per caso, la tipizzazione di "fattispecie legali di pericolosità criminologicamente fondate" o di indici di pericolosità individuati dalla legge in base alle conoscenze acquisite dai criminologi in materia di comportamento recidivante che guidino il giudice nel giudizio prognostico sulla pericolosità, rendendo inoltre "più rigorosi i presupposti di accertamento fondati innanzitutto sulla gravità dei precedenti reati del soggetto e del reato commesso". Tale soluzione ha il vantaggio di offrire parametri comuni e preventivamente determinati e fonda il 73 giudizio sulla pericolosità su 'giudizi individualizzati' . Certo si avrebbe una perdita di certezza legale rispetto al sistema presuntivo, ma che dovrebbe essere compensata da una maggiore certezza 73 scientifica attraverso l'auspicata specializzazione nelle Ferrando Mantovani "Diritto penale" Cedam 1992 pag. 698: che "I giudizi individualizzati costituiscono un indubbio progresso della scienza penale, ma presuppongono solidi punti di riferimento criminologici e sostanziali omogeneità di visioni tra giudici e tra i periti, senza di che si legittima sotto un apparente progresso, l' arbitrio". 78 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 scienze criminologiche e attraverso l'ammissione della perizia criminologica anche in fase di cognizione. Si eviterebbe così di incorrere nella tanto criticata prassi che attualmente vede l'accertamento della pericolosità lasciato all'alternativa tra l'intuizione del giudice (che dalla perizia trae una giustificazione pseudoscientifica) e la delega al perito di una decisione di tale rilevanza (con relativa deresponsabilizzazione del giudice). Bisogna quindi prendere atto della forte crisi del concetto di pericolosità sociale che porta Giacomo Canepa a sostenere che "nelle forme legali in cui è stato recepito, il concetto della pericolosità ha perduto molto della sua concretezza, diventando spesso il simbolo di una società la quale, anche se non più preoccupata soltanto di punire il delinquente, tende ad assumere un prevalente atteggiamento di difesa, isolando dal consorzio umano il delinquente stesso, appunto perché pericoloso"74. Secondo Bandini si deve "concludere che i risultati sono stati del tutto fallimentari, non corrispondendo per nulla alle aspettative dei teorici di questa dottrina"75: in primo luogo infatti non è possibile predire la pericolosità con gli strumenti clinici fino ad ora utilizzati tanto che lo psichiatra, nella formazione del suo giudizio, tiene conto più di parametri giuridici (quali la recidiva, la gravità del reato, ecc.) che di parametri scientifici; in secondo luogo l'introduzione della pericolosità presunta nel nostro ordinamento si è rivelata una fonte di arbitrii ed ingiustizie, non funzionali nemmeno ad esigenze di difesa sociale, cui è conseguito un eccesso di discrezionalità conferita all'autorità giudiziaria e ai periti chiamati a collaborare con essa nel 74 Giacomo Canepa "Aspetti criminologici e medico-legali della pericolosità sociale" in Rass. Criminol. 1970, 18. 75 Tullio Bandini "La valutazione psichiatrico forense della pericolosità" in Rass. Criminol. 1981, 62. 79 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 disporre un trattamento psichiatrico fortemente stigmatizzante che ha portato all'emarginazione di un numero rilevante di persone76. Discrezionalità che però si è ulteriormente dilatata con l'abrogazione delle presunzioni di pericolosità, disposta con la legge Gozzini, senza fornire parametri di giudizio alternativi. Misure di sicurezza La pericolosità sociale comporta l’applicazione delle misure di sicurezza, che furono introdotte con il codice Rocco nel 1931 e si distinguono in detentive e non detentive. Le misure di sicurezza detentive sono a loro volta suddivise in psichiatriche, come le case di cura e custodia in cui il soggetto viene riconosciuto affetto da vizio parziale di mente oppure i manicomi giudiziari (OPG) in caso di proscioglimento per vizio totale di mente, e poi ci sono quelle non psichiatriche, come le colonie agricole o case di lavoro per delinquenti abituali, il riformatorio per un minorenne. La pericolosità sociale va sempre accertata, nel caso di una perizia psichiatrica, il perito si pronuncia sulla pericolosità sociale derivata e correlata all’infermità mentale e non ad altri tipi di pericolosità sociale. In caso di vizio di mente accertato il perito deve specificare se allo stato (al momento dell’accertamento peritale) la patologia di mente persista e sia tale da rendere il periziando socialmente pericoloso. Un’altra misura di sicurezza personale non detentiva è la libertà vigilata con prescrizioni accessorie che il giudice ritiene opportune e necessarie per consentire, allo stesso tempo, di attivare interventi 76 Stefano Maglia "Crisi del concetto di pericolosità sociale" in Riv. Pen. 1984, 871. 80 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 terapeutici più idonei per la cura del malato mentale e di disporre le opportune cautele di controllo e di contenimento della sua pericolosità. Le strutture alternative sono le Comunità terapeutiche funzionanti sul territorio, cui già si accede in regime di arresti o di detenzione domiciliare o la custodia cautelare in luogo di cura (S.P.D.C e O.P.G.). Il malato di mente socialmente non pericoloso non è soggetto alla misura di sicurezza psichiatrica. Quindi viene prosciolto e non vi è alcuna possibilità di intervento e di controllo sull’evoluzione della patologia essendo uscito dal circuito giudiziario. Allo stato, tutto è affidato alle iniziative e alla buona volontà dei singoli, quando invece sarebbe almeno utile formalizzare una segnalazione ai servizi psichiatrici della zona. In troppi casi il proscioglimento coincide con l’abbandono sul territorio del malato di mente autore di reato. Il perito, se ritiene necessario cure specialistiche urgenti, può chiedere il ricovero in un servizio psichiatrico di diagnosi e cura (S.P.D.C.). se elevata: proscioglimento e internamento in OPG pericolosità sociale se attenuata: libertà vigilata Entrambe durano fino a quando persiste la pericolosità sociale psichiatrica del prosciolto b) vizio totale di mente e assenza di Proscioglimento e archiviazione del caso; se il prosciolto era sottoposto pericolosità sociale psichiatrica ad una misura cautelare, ne viene ordinata la cessazione c)vizio parziale di mente + Pena diminuita di un terzo, cui segue l’internamento in casa di cura pericolosità sociale e custodia, in presenza e persistenza di pericolosità sociale psichiatrica elevata; oppure libertà vigilata, in caso di pericolosità sociale attenuata d)vizio parziale di mente e assenza Pena ridotta di un terzo e nessuna applicazione della misura di di pericolosità sociale sicurezza psichiatrica a)vizio totale di mente + 81 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 Predizione Da diverse ricerche in tema di predizione della recidiva è risultato che: i malati di mente non delinquono in misura superiore al resto della popolazione; non esistono rapporti di equivalenza tra malattia mentale e pericolosità sociale, anche se persone con doppia diagnosi, malattia mentale e abuso di sostanze risultano statisticamente ad alto rischio di comportamento violento; gli strumenti clinici finora utilizzati per predire il comportamento del malato di mente autore di reato si sono rivelati imprecisi e inadeguati; allo stato, non esistono dati psicologici e psichiatrici adeguati a fornire previsioni a medio- lungo termine; dall’irripetibilità ed unicità del comportamento umano, discende l’impossibilità di prevedere condotte future con criteri di probabilità e tanto meno di certezza; frequentemente la predizione della recidiva si basa sulla considerazione delle sole caratteristiche psicopatologiche individuali; spesso viene ignorato o sottovalutato l’aspetto dinamicoevolutivo della patologia mentale; si tiene poco conto delle modificazioni a cui può andare incontro il quadro psicopatologico; spesso ci si pronuncia sulla pericolosità psichiatrica in base al comportamento emesso, trascurando la connessione con la malattia. Il pregiudizio che il malato di mente autore di reato sia persona socialmente pericolosa e debba essere neutralizzato attraverso 82 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 l’internamento in manicomio criminale è un retaggio ereditato dagli psichiatri positivisti. In assenza delle conoscenze e degli strumenti terapeutici attuali, i freniatri si preoccuparono da un lato di sottrarre il malato di mente ad una carcerazione che ritenevano ingiusta, dall’altro di collaborare al controllo sociale attraverso la struttura manicomiale. Essi erano i fedeli interpreti ed esecutori della difesa sociale, assunta come compito primario. A norma del codice penale in vigore, l’accertamento della pericolosità sociale psichiatrica rimane compito del perito. Per assolvere a tale compito il perito deve tenere conto di alcuni indicatori chiamati interni: presenza o assenza di una sintomatologia psicotica; insufficiente o assente consapevolezza di malattia (insight); scarsa o nulla aderenza alle prescrizioni sanitarie; mancata o inadeguata risposta a quelle pratiche; presenza di disorganizzazione cognitiva e di impoverimento ideo-affettivo e psico-motorio. Il perito non può sottovalutare gli indicatori esterni come: caratteristiche dell’ambiente familiare e sociale di appartenenza; esistenza di servizi psichiatrici adeguati nella zona; possibilità di re-inserimento lavorativo o di soluzioni alternative; alternative di sistemazione logistica; grado di accettazione del rientro del soggetto nell’ambiente in cui viveva prima. 83 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 L’individuazione di indicatori interni riveste importanza fondamentale nel ritenere elevata la pericolosità sociale e nel proporre un internamento in ospedale psichiatrico giudiziario. Un paziente è più o meno ad alto rischio non solo perché portatore di disturbi mentali, ma spesso per la povertà di risorse del contesto e per l’assenza di un sistema a rete flessibile, che garantisca un continuum terapeutico e assistenziale degno di un paese civile. Viene infatti indicata all’interno dell’accertamento peritale oltre ai criteri clinici utilizzati, anche la durata minima e massima del periodo entro cui deve essere effettuato l’intervento e analizzato il percorso fatto dalla e con la psichiatra del territorio. In conclusione possiamo dire che il perito deve assumere sempre più il ruolo consapevole e responsabile di mediatore tra il sistema della giustizia e quello del trattamento, deve cercare di tradurre la nozione di pericolosità sociale psichiatrica in quella di necessità di cure e di assistenza specialistica, in regime di coazione o libertà vigilata. Insistere perché vengano organizzate sul territorio strutture a forte connotazione riabilitativa per malati di mente autori di reato. 4.3 La terapia dell’abusante Nei confronti dell'abusante a danno di minori l'intervento punitivo sembra essere quello più utilizzato. Ma si è diffusa una teoria che ritiene che, per poter aiutare le famiglie incestuose, è necessario un intervento terapeutico anche nei confronti dell'abusante. Sembra, infatti, che per tutelare l'infanzia dalla reiterazione del crimine non basti utilizzare la pena detentiva come deterrente, ma sia necessario trovare il modo per far riemergere ed elaborare, negli autori della violenza, i traumi infantili subìti (visto che la maggior parte degli 84 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 abusanti sembra essere stato vittima nell'infanzia di violenze sessuali) o comunque per far recuperare loro una correttezza di comportamento. L'obiezione maggiore a questa proposta è stata quella che non si può "curare" chi si rifiuta di collaborare. Alcune esperienze di psicoterapie di abusanti non volontarie hanno però dimostrato che è possibile ottenere dei risultati anche senza un'iniziale piena motivazione del paziente. Infatti la coazione può svolgere una funzione insostituibile nell'avviamento della terapia; lo sviluppo di quest'ultima, invece, è affidato alla capacità e alla possibilità dei terapeuti di stimolare, nei soggetti coinvolti, una motivazione autonoma al cambiamento, affrontando e superando le relative resistenze. Anche in Italia dagli anni Novanta si è cominciato ad operare in questa direzione presso il Centro del bambino maltrattato di Milano, dove sono stati ottenuti ottimi risultati anche attraverso l'accettazione di un esplicito collegamento fra contesto giudiziario e terapeutico. Secondo questa corrente di pensiero, se venisse privilegiata, nei confronti degli abusanti, la strada della terapia piuttosto che quella della repressione i costi economici sarebbero certamente molto elevati, essendo necessari terapeuti altamente specializzati, ma sarebbero sempre inferiori ai costi che la società deve pagare per le spese detentive di questi soggetti ed inoltre sarebbero inferiori le loro probabili recidive. Non tutti però sono convinti che sia possibile recuperare i legami familiari tra il minore e l'abusante quando l'abuso sessuale si è verificato, perché in questi casi il rapporto tra i due soggetti è stato completamente compromesso. Ad esempio l'Associazione Artemisia di Firenze, per scelta, ha deciso di non occuparsi dell'intervento 85 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 terapeutico degli abusanti e svolge terapie di minori sessualmente abusati non finalizzate al recupero di tale rapporto familiare. Fondamentale è la capacità dell'abusante di assumersi la responsabilità di quanto accaduto. Ma l'ammissione dei fatti non basta. Infatti non sono affatto infrequenti situazioni in cui, magari parzialmente e con una certa minimizzazione, si arriva a questo risultato. Tuttavia esso non è sufficiente per dare una decisiva svolta alle distorsioni da cui è stata segnata la relazione con la vittima e il complesso dei rapporti familiari. In fasi successive dovranno essere affrontate, oltre alla negazione dei fatti: - la negazione di colpevolezza: cioè l'essere stati animati da precise scelte strategiche nel preparare e compiere l'abuso, ben sapendo che proprio di questo si trattava; - la negazione di responsabilità: cioè di intenzionalità libera per quanto possibile da condizionamenti esterni, ai quali non può essere attribuita che un'importanza marginale rispetto all'assunzione del comportamento abusante; - la negazione dell'impatto: cioè del fatto che quanto avvenuto ha comportato conseguenze altamente traumatiche per il minore che vi è stato coinvolto. Dunque, non devono più rimanere all'abusante "scappatoie" come l'attribuzione di pensieri incestuosi all'alcool, o alle più varie cause di infelicità e rabbia, o alle presunte inadempienze della consorte; né deve continuare l'illusione che il figlio, essendo piccolo, non abbia capito il significato di quegli "speciali giochi" e che quindi possa facilmente dimenticarli senza conseguenze. Egli deve prendere coscienza che i danni inflitti al minore sono attribuibili soltanto ai propri tratti patologici che invece, spesso, tende a considerare 86 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 intrinseci al modo di essere della vittima in quanto conseguenza dei comportamenti di questa: in tal modo cerca di trovare un'attenuante al proprio comportamento. Dopo un'approfondita elaborazione di questi temi, nel caso di abuso intrafamilaire, si potranno valutare - ed eventualmente rinforzare - le possibilità residue del genitore di riassumere il suo ruolo affettivo. Per raggiungere questo risultato conteranno non soltanto le buone intenzioni, ma anche le prove date nel passato rispetto a tali funzioni: infatti, soggetti che avevano espresso in precedenza anche buone attitudini di accudimento e di reale vicinanza affettiva con al vittima e gli altri figli potrebbero riprendere un ruolo parentale significativo. Riguardo all'intervento terapeutico dell'abusante è importante il parere espresso da un endocrinologo, il professore Aldo Isidori (37), direttore della cattedra di andrologia all'Università "La Sapienza" di Roma, sulle terapie ormonali (in realtà "anti-ormonali" come egli afferma) e sui loro margini di applicazione in caso di comportamenti sessuali violenti sui minori: “Il problema della pedofilia è innanzi tutto più un problema di natura psicologico- sociale che strettamente medico. Basti pensare che nell'antichità i rapporti tra adulti e minori erano ammessi, codificati all'interno di una cornice culturale definita, sicuramente differente rispetto a quella attuale”. È in quest'ambito che sorge la definizione di "pedofilia": deviazione rispetto all'istinto sessuale riproduttivo su cui si innesta poi la sessualità adulta nelle sue componenti psicologiche, simboliche e culturali. Il professore Isidori afferma: È questo il motivo per cui l'unica forma di terapia in senso strettamente medico (ossia di ripristino di condizioni di salute "normale", in questo caso la corretta esplicazione dell' istintualità sessuale) è quella psicologica. Le cosiddette "terapie ormonali", o meglio anti-ormoni in quanto inibiscono ormoni specifici, non sono in 87 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 tal senso terapie ma soltanto rimedi temporanei e reversibili: una volta tolta la copertura farmacologica il problema si ripresenta praticamente inalterato, poiché si agisce a livello sintomatologico e non sulle cause. Comunque, la possibilità di ricorrere alla terapia chimica (o per meglio dire al trattamento farmacologico) può risultare utile, sempreché sia associata ad una terapia psicologica, nei casi di comportamento violento lesivo della dignità psichica e fisica del bambino. Bisogna ricordare che, riguardo alla possibilità di utilizzare il trattamento farmacologico nei confronti degli abusatori, si pone un problema etico: la dichiarazione di Helsinki del 1964 afferma chiaramente che non si può somministrare niente a nessuna persona se non si ha il suo consenso. La Convenzione di Oviedo (nelle Asturie) del 1997, inoltre, sostiene che è necessario il consenso informato da parte dei soggetti coinvolti in interventi medici, che possono ritirarlo in qualsiasi momento. L'art. 5, infatti, vincola qualsiasi intervento ad una preliminare libera dichiarazione di consenso da parte delle persone coinvolte, le quali devono essere informate sullo scopo, la natura, le conseguenze ed i rischi dell'intervento stesso. Se in altri paesi (come ad esempio Germania e Stati Uniti) è prevista per legge la possibilità della castrazione chimica - o comunque della somministrazione di una terapia in modo coercitivo - nei confronti dei criminali sessuali (come gli stupratori abituali) a prescindere dal loro consenso, in Italia tale tipo di castrazione è incostituzionale: l'art. 27 della Costituzione italiana, infatti, affermando al terzo comma che le «pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità», vieta qualunque trattamento che violi l'integrità fisica (inclusi perciò trattamenti cruenti, come la lobotomia e la sterilizzazione, e non 88 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 cruenti, come l'uso di psicofarmaci e l'ipnotismo), in quanto considerati inammissibili perché ledono la dignità umana e non tendono, invece, come dovrebbe essere allo scopo rieducativo della pena. Il modello coercitivo, nell'ordinamento italiano, non è di per sé previsto se non in specifiche ipotesi tipiche: - quando il soggetto ha crisi acute della patologia di cui è affetto ed è provata la sua incapacità di intendere e di volere (anche parziale) può essere sottoposto ad un trattamento sanitario obbligatorio: ma questa non pare essere un'ipotesi concreta in cui si può trovare un abusante; - al fine di individuare, con le forme della perizia, patologie sessualmente trasmissibili (ad esempio l'HIV) l'abusante è sottoposto ad accertamenti coattivi, qualora le modalità del fatto commesso possano prospettare un rischio di trasmissione di tali patologie nei confronti del minore vittima dell'abuso sessuale (art. 16 L. 66/1996); - il giudice può condizionare l'emanazione della sospensione condizionale della pena alla partecipazione, da parte dell'abusante, a trattamenti psicoterapeutici, ai quali però egli dovrà comunque partecipare volontariamente: dunque, se vuole ottenere la sospensione condizionale dovrà accettare il trattamento. 4.4 Il trattamento cognitivo comportamentale degli aggressori sessuali Gli aggressori sessuali possono essere considerati individui portatori di una storia personale che li ha deformati sotto l’aspetto 89 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 psicologico, o piuttosto, ha alterato un aspetto circoscritto del loro comportamento. “quelli che lavorano a contatto con gli aggressori sessuali non solo hanno il dovere di mostrare rispetto per i loro clienti, in modo che essi siano portati a credere di avere le potenzialità per cambiare, ma devono anche assumere l’onere di educare la gente ad un atteggiamento più tollerante verso questi aggressori, in particolare verso quelli che cercano di riabilitarsi. Non si tratta di una tolleranza verso il loro comportamento aggressivo, sia chiaro; tuttavia, dovremmo accettare queste persone come parte dello spettro dell’umanità, verso la quale noi tutti siamo responsabili e dovremmo considerarli come esseri potenzialmente in grado di rispondere ai nostri sforzi di riabilitazione” (W. Marshall, D. Anderson, 1999). La sollecitazione è pertanto quella di analizzare e trarre deduzioni operative circa motivazioni, pensieri, sentimenti e comportamenti degli aggressori sessuali, troppo spesso poco chiari allo stesso aggressore. Il trattamento utilizzato dagli autori (Marshall, Anderson e Fernandez, 1999), spinge questi aggressori a guardare bene in faccia i fatti e ad assumersi la responsabilità delle proprie azioni, non è un semplice approccio umano, ma un modo per coinvolgere gli aggressori nel processo di cambiamento verso uno stile di vita migliore, più soddisfacente e meno deleterio. I reati sessuali costituiscono un problema molto serio nella società del mondo occidentale. Mentre ci sono difficoltà nello stimare l’incidenza e la diffusione degli abusi sessuali, i dati a disposizione indicano con chiarezza che molte vite sono compromesse dagli aggressori sessuali. L’elevata incidenza di questi fatti richiede urgentemente un intervento sistematico, convalidato e razionale. Sfortunatamente, questo tipo di risposta è tutt’ora mancante, sebbene vi sia stato negli ultimi anni un sensibile aumento 90 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 dell’attenzione al problema. Sono almeno tre i campi nel quale dovrebbero essere investite risorse e rivolte le energie: prevenzione, assistenza alle vittime e interventi terapeutici per gli aggressori. Lo sviluppo di programmi di prevenzione sembrerebbe un modo ovvio di ridurre l’incidenza di questi comportamenti dannosi. Un centro locale di protezione infantile in Ontario, Canada, ha preso delle iniziative che ha portato a significativi risultati. Individuate cinque scuole come oggetto di studio, il centro ha introdotto una semplice attività formativa per mostrare che l’abuso sessuale sui bambini era abbastanza comune e in genere commesso da un uomo di cui il bambino pensava di potersi fidare. I bambini sono stati informati che, nel caso avessero riferito tali abusi, sarebbero stati creduti e aiutati. Nell’arco di due anni, il numero degli abusi sessuali riferiti dai bambini di queste scuole, successivamente confermati dalle indagini della Polizia, crebbe quasi del 300%. Questo è solo un esempio, ma la speranza è quella di fornire ai genitori e alle agenzie che operano con i bambini strumenti tali da individuare i potenziali aggressori. Nell’attuale approccio della società all’aggressione sessuale il settore dove forse sono più sensibili le carenze è lo stanziamento di risorse per l’assistenza alle vittime. Sono stati compiuti alcuni progressi nel fornire aiuto alle vittime tramite le indagini criminali e i procedimenti giudiziari, ma questi servizi rimangono piuttosto rari e limitati. Spesso l’aiuto viene fornito da donne volontarie che tendono a demotivarsi per mancanza di supporto. I servizi di assistenza alle vittime, dal quale molto spesso ci si aspettano fondi per i trattamenti terapeutici per le vittime e le famiglie, appaiono troppo spesso sovraccarichi di lavoro per cui molte volte intraprendono un lavoro straordinario fuori dall’orario retribuito. 91 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 Gli interventi rivolti a diminuire il rischio di recidiva degli aggressori sessuali serviranno, se efficaci, a ridurre il numero delle persone abusate. Tali interventi dovrebbero abbinare in modo efficace i trattamenti terapeutici e la reclusione in carcere. È noto che questi uomini mettono in atto comportamenti illegali quindi sono colpevoli e devono essere ritenuti responsabili di questi misfatti allo stesso modo di coloro che compiono crimini di altra natura. Un periodo di 3/5 anni sembra adeguato ad assicurare i mezzi e il tempo sufficienti per coinvolgere questi uomini in trattamenti specifici. Nel campo della ricerca e della terapia dei confronti degli aggressori sessuali vi sono coloro che assumono un atteggiamento punitivo e coloro ritengono che il trattamento terapeutico sia una perdita di tempo. Queste posizioni sono portate avanti dall’attuale approccio dei media e dalle idee alquanto provocatorie di alcuni membri della società. Inoltre molto spesso gli stessi terapeuti si focalizzano sui punti deboli dei clienti e non abbastanza nell’incoraggiarli a credere nelle loro forze e nella capacità di cambiamento. Malgrado le analisi comportamentali dei problemi umani e le procedure terapeutiche che derivano da questa analisi siano state descritte nella letteratura fin dal tempo di Watson (1924), è stato soltanto durante gli anni Sessanta che la terapia comportamentale è emersa come approccio sistematizzato che offriva un modo unico di concettualizzare e di curare il disagio umano. Il comportamentismo fu denigrato come mera analisi della sequenza stimolo risposta che ignorava la dimensione intrapsichica e che, fu detto, non capiva il vero prodigio e la complessità del funzionamento della mente umana. Le idee psicoanalitiche davano l’impressione di elevare la mente umana a una ricchezza e a una drammaticità che ben si adattava a quell’idea di sé stessi che le persone desideravano raccogliere. 92 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 Già da Plinio il Vecchio (23-79 d.C.) si cercava di attuare procedimenti avversivi per curare l’alcolismo. Fu negli anni cinquanta e nel decennio successivo che l’orientamento comportamentista fu utilizzato in ambito clinico (teoria dell’avversione, ricondizionamento masturbatorio, modellamento). Questo tipo di trattamento mira ad eliminare risposte indesiderate ed il terapeuta deve assicurare che si verifichino risposte alternative, preferibilmente incompatibili in presenza dello stimolo che le provocava. Inizialmente i primi articolo che descrivevano gli approcci comportamentisti verso il trattamento dei comportamenti sessuali aberranti comprendevano soprattutto relazioni su casi dove per la maggior parte si utilizzava qualche forma di terapia avversiva. In questa procedura si associava un evento avversivo ad immagini del comportamento da eliminare (condizionamento classico) oppure alla sanzione di qualche aspetto del comportamento aberrante (punizione). Per esempio l’iniezione di apomorfina (o di qualche altra sostanza che produce nausea) fu associata alle attività sessuali (o a loro immagini) di omosessuali, travestiti e feticisti. L’avversione faradica, in cui si associava una sgradevole scossa elettrica al braccio o alla gamba a immagini o atti sessuali aberranti, rimpiazzò l’apomorfina in quanto era difficile prevedere quando si sarebbe verificato l’evento spiacevole (nausea). Nell’insieme però c’è da sottolineare che la teoria avversiva, in qualunque forma, non si è dimostrata di particolare efficacia nel produrre cambiamenti duraturi, inoltre si rafforzava l’opinione che i terapeuti comportamentisti erano insensibili ed eticamente sprovveduti. Tuttavia, la terapia del comportamento, o almeno la sua forma evoluta, cioè la terapia cognitivo-comportamentale, oggi rappresenta un approccio sofisticato, eticamente consapevole, in grado di 93 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 racchiudere tutte le caratteristiche ritenute necessarie di una buona terapia (cordialità, sostegno, assenza di pregiudizi). La prevenzione della ricaduta costituisce la struttura e la motivazione per tutte le componenti del trattamento, coinvolge le specifiche componenti che identificano i fattori di rischio al fine di sviluppare strategie per evitare o affrontare rischi futuri. Esiste però un problema. Poiché le valutazioni degli esiti del trattamento devono attendere che aggressori trattati per un periodo sufficiente siano rilasciati per un periodo abbastanza lungo (4 anni), non sorprende forse che alla fine degli anni Ottanta si fossero conclusi pochi studi di recidiva. In una teoria interessante sul condizionamento proposta da Marshall e Laws (1990) va ad accentuare il ruolo dell’apprendimento sociale del comportamento deviante. I dati della ricerca dimostrano che esperienze reali e ripetute di attività sessuali perverse hanno più probabilità di fornire le basi di condizionamento per lo sviluppo di forme devianti di sessualità. In un’altra ricerca Marshall et all. (1993) hanno descritto nei particolari, per quanto attiene allo sviluppo del comportamento sessuale deviante, l’importanza dei legami di attaccamento tra il bambino e i suoi genitori. Legami saldi di attaccamento sono caratterizzati dalla presenza di un genitore sensibile (Ainsworth, Blehar,Waters e Wall, 1978). Quando un bambino non si sente sicuro con i suoi genitori, non ha l’opportunità di utilizzare tali relazioni per acquisire fiducia in sé stesso, né di sperimentare nella pratica le abilità necessarie per successive interazioni con i suoi pari, in particolare le relazioni interpersonali che consentono un’efficace gratificazione dei bisogni legati alla sessualità e all’intimità. Infatti, un attaccamento fragile tra genitori e figlio induce il bambino a sviluppare atteggiamenti timorosi o evitanti nei confronti della vicinanza con un’altra persona (Lamb, Gaensbauer, 94 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 Malkin e Shultz, 1985). I bambini insicuri sono capricciosi, ostili, dipendenti, mancano di calore umano, hanno una bassa autostima e dal punto di vista sociale, mostrano disagio o mancanza di abilità (Grossman e Grossman, 1990). Queste caratteristiche tendono a persistere nell’adolescenza e nell’età adulta e sono quelle che rendono una persona incline a divenire un aggressore sessuale. È stato riscontrato che i bambini che crescono in queste famiglie infelici sono ad alto rischio di subire abusi (Finkelhor, Hotaling, Lewis e Smith, 1990) perché sono vulnerabili nei confronti delle attenzioni e dei premi offerti da un adulto abusante e perché i genitori esercitano una scarsa vigilanza su di loro. Risulta che gli aggressori sessuali hanno subito abusi da bambini, dal punto di vista sia fisico (Rada, 1978), sia sessuale (Dhawan e Marshall, 1996) più spesso di soggetti non aggressori, inoltre la presenza di tali abusi durante l’infanzia è predittiva di un comportamento generale di tipo antisociale (Loeber, 1990) e gli aggressori sessuali hanno spesso anche precedenti di reati a sfondo non sessuale. Secondo Bowlby e altri (Main, Kaplan e Cassidy, 1985), le esperienze relazionali dell’infanzia forniscono le basi per il consolidarsi di uno schema interpersonale che impronta le relazioni in generale. Il contenuto, la natura e gli esiti delle relazioni infantili determinano non soltanto i desideri del bambino, le preoccupazioni, l’intimità, ma anche il modo in cui questa è ricercata. Quando un bambino vulnerabile viene abusato sessualmente da un adulto, in particolare nel contesto di una relazione altrimenti gratificante,questa esperienza può fornire al bambino inesperto un’impronta che lo induce a cercare l’intimità, una volta divenuto adulto, attraverso una relazione sessuale deviante. Risulta essenziale che il lavoro con gli aggressori sessuali si collochi all’interno di un’impostazione teorica di base che possa 95 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 essere arricchita di informazioni mano a mano che si accumulano evidenze provenienti da ricerche e interventi clinici. Nella misura in cui comprendiamo l’eziologia e il mantenimento dei comportamenti sessuali violenti, verremo a capire come evolve il normale comportamento nell’arco della vita di ogni persona. Se siamo aperti a questo concetto, ogni terapia che portiamo avanti con gli aggressori sessuali può insegnarci molto su noi stessi, sulla nostra storia e sul suo significato e, più di tutto, sulla nostra capacità di tolleranza verso le persone, pur non accettando necessariamente alcuni aspetti del loro comportamento. 4.5 Il colloquio psicologico come strumento di aiuto Lo psicologo professionista ad indirizzo di psicologia clinica e di comunità è colui che attraverso l'uso di specifiche tecniche, metodologie e strumenti propri della sua professione (quella di psicologo) permette ad una persona, una coppia, una famiglia, un gruppo, un organismo sociale, una comunità di risolvere specifici problemi come disturbi psichici, problemi e disagi psicologici e psicosociali, problemi relazionali ed affettivi, sintomatologie, problemi organizzativi, ecc. Per poter aiutare nella risoluzione di tali problematiche, lo psicologo deve trattare il paziente (o il cliente) con alcuni strumenti clinici. Lo strumento preferenziale dello psicologo è il colloquio psicologico. Il colloquio psicologico si differenzia dal colloquio psicoterapeutico o dal colloquio psichiatrico poiché è esclusivo della professione di psicologo (soltanto gli psicologi possono elargirlo come prestazione clinico- sanitaria). Dalla nostra esperienza clinica risulta 96 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 che il colloquio psicologico è uno degli strumenti più efficaci per il trattamento e la cura della maggior parte di pazienti con diagnosi di disturbi mentali o problemi psicologici o psico-sociali e che, quale metodo di intervento, potrebbe iniziare ad essere considerato tra i più brevi con la maggiore efficacia a lungo termine. Il colloquio psicologico è quindi un metodo di trattamento e di cura della persona. Lo psicologo infatti utilizza il colloquio psicologico permettendo una ristrutturazione delle rappresentazioni del paziente ed attivando di conseguenza profondi processi di cambiamento nei suoi modi di percepire quindi di agire ripristinando il normale funzionamento dell'organismo all'interno del proprio contesto di vita. Questo ovviamente non avviene per tutti nello stesso modo o negli stessi tempi (statisticamente comunque molto brevi) poiché ogni intervento è strettamente personalizzato. Lo psicologo valuta i processi di organizzazione di una specifica persona e costruisce il colloquio psicologico sulla base di tali informazioni. Possiamo oggi iniziare ad affermare che il colloquio psicologico è tra gli strumenti psicologici più efficaci per la risoluzione della maggior parte di quei disturbi e problematiche un tempo considerate psichiatriche. Il paziente oggi può quindi avvalersi di strumenti clinico- sanitari in setting di primo livello senza dover per forza iniziare percorsi di trattamento psicoterapeutico lunghi ed onerosi per poter tentare di risolvere situazioni di profondo disagio. I tempi del trattamento, grazie al colloquio psicologico, sono adesso molto ridotti. Il colloquio psicologico quando ha effetto di cura funziona in genere rapidamente, ovvero possiamo verificare subito (4-5 sedute) se sta iniziando a produrre benefici. Lo psicologo che utilizza questi metodi psicologici di intervento indicherà già nei primissimi incontri di valutazione (2-3 sedute) i tempi massimi entro i quali raggiungere gli 97 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 obiettivi concordati ed i tempi per ogni sotto-obiettivo. Lo psicologo, quindi, non si accanisce a livello terapeutico e, qualora l'intervento non produca gli effetti desiderati e concordati entro i tempi previsti interromperà il trattamento consigliando, se richiesto, un metodo alternativo ed un altro professionista. Il colloquio psicologico quindi, per tempi brevi in cui è in grado di produrre cambiamenti radicali rispetto al problema che viene presentato dal paziente e per la sua efficacia a lungo termine, oggi, anche in contesti clinici privati, è accessibile alla maggior parte delle persone. 4.5.1 I fattori che influiscono sul colloquio Il colloquio, specie quello psichiatrico, è un atto medico completo, che presuppone un rapporto interpersonale con finalità diagnostiche e/o terapeutiche, possono esserci vari fattori che possono influenzare la buona riuscita di questo come: Le condizioni in cui si svolge la visita. L’atteggiamento dell’intervistato e la sua personalità. L’atteggiamento dell’intervistatore. Alcuni fattori come l’ambiente, possono influenzare positivamente o negativamente lo svolgersi della visita, infatti se questa ha finalità diagnostico- terapeutiche potrà avvenire in ospedale o al servizio di igiene mentale, questa a volte è preceduta da una lunga attesa che fa aumentare l’ansia e l’aggressività, oppure può essere lo studio medico o il domicilio dell’esaminando. Se invece la visita ha finalità medico-legali l’ambiente potrà essere o la casa circondariale o l’istituto ospedaliero o lo studio medico, 98 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 considerando quindi le difficoltà che si possono trovare nelle prime due istituzioni. La richiesta della visita può essere effettuata dal paziente stesso, e di solito in questo caso il paziente tende a collaborare, da una terza persona, di solito un familiare oppure dalla società, quando ad esempio bisogna valutare la pericolosità per sé o per gli altri del paziente. Il fine della prima visita è quello di stabilire una buona relazione e di raccogliere informazioni sufficienti. Cercare che il primo colloquio sia senza familiari è una buona cosa in modo da poter ascoltare solo il soggetto senza l’interferenza di terzi. Prendere anche appunti su quello che dice è molto importante in quanto anche l’operatore può orientarsi anche a distanza di tempo dalla visita stessa e ricordare i punti principali, per questo però dovremmo avere il consenso del paziente o nel caso in cui il prendere appunti crei ansia allo stesso dovremmo cercare di stendere una relazione il più dettagliato possibile alla fine della visita. Un altro fattore molto importante è l’atteggiamento dell’intervistato nei confronti del medico e nei confronti del colloquio che può influenzare lo stesso. Il criminologo deve essere consapevole del fatto che l’intervistato, data la peculiare situazione in cui si svolge il colloquio, può mostrare un atteggiamento, un modo di porsi e mettere in atto delle strategie comunicative e relazionali, che potrebbero condizionare l’andamento del colloquio se non fossero riconosciute e gestite dall’intervistatore. Nivoli 77 ha descritto una serie di atteggiamenti che il detenuto sottoposto a colloquio criminologo può assumere: 77 Nivoli G. C., Il colloquio criminologico, Manuale del colloquio e dell’intervista, Mondadori, Milano, 1980. 99 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 Ø Lo “sfruttamento”: il reo tenta di manipolare la situazione e il ruolo del criminologo per ottenere benefici immediati. Quando verifica che non gli riesce, può mostrare disinteresse od ostilità verso l’esperto. Ø La “rivendicazione”: il reo riversa sull’intervistatore le lamentele, i disagi e le proteste legate alla sua condizione, senza tener conto delle esigenze del colloquio e del ruolo del criminologo in quella circostanza Ø L’“intimidazione”: il reo si pone in contrapposizione all’intervistato e considera la collaborazione al colloquio come un compromesso inaccettabile. Ø Il “ruolo accomodante”: al contrario il soggetto in questi caso si dimostra disponibile e zelante, ma solo ad un livello apparente e strumentale Ø La “dispersione”, atteggiamento in cui il soggetto utilizza l’estrema loquacità per eludere temi più coinvolgenti Ø L’“indifferenza”: viene ostentato distacco e disinteresse per il colloquio (atteggiamento soprattutto presente in soggetti appartenenti ad organizzazioni criminali) Ø che La “catarsi”, al contrario è l’atteggiamento di quel detenuto si lascia andare ad una partecipazione eccessiva, particolarmente emotiva, al colloquio e alla trattazione delle proprie vicende e sentimenti personali Ø L’“identificazione all’ideale di sé”: l’intervistato in pratica non racconta di sé come è realmente ma di come vorrebbe essere idealmente. Ø L’“inversione di ruolo”: il soggetto cerca di ottenere il controllo sul colloquio assumendo il ruolo dell’intervistatore (sceglie i temi da affrontare, fa domande sul criminologo, ecc.) 100 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 Ø La “drammatizzazione”: il soggetto tende ad assumere atteggiamenti da vittima, amplificando in modo eccessivo i propri problemi per ottenere maggiore attenzione e indulgenza Ø La “seduzione”: è il tentativo di controllare e manipolare l’esperto attraverso atteggiamenti compiacenti, miranti ad attrarre il suo interesse al di là dello scopo precipuo del colloquio Ø La “provocazione dialettica”: il soggetto si pone in una situazione di competizione con l’intervistatore, attraverso il sarcasmo o la critica, la messa alla prova della sua competenza, ecc. Ø Il “patteggiamento”: in questo caso il soggetto si mostra collaborativo per fini utilitaristici, ritenendo che ciò che offre all’esperto gli permetterà di richiedere qualcosa come contropartita. Si possono trovare, inoltre, soggetti che hanno un diverso modo di esprimersi e di parlare ossia: Soggetto che parla e dice; è il caso più facile in quanto parla spontaneamente senza inibizione o ansia. Soggetto che non parla; bisogna capire se non vuole parlare o se non parla per timidezza per inibizione o ansia, questa infatti bisogna cercare che rimanga sotto certi livelli altrimenti può diventare un grosso ostacolo. Soggetto che parla e non dice; è il caso più difficile, bisogna cercare di conquistare la fiducia del soggetto in modo da non farlo parlare con frasi fatte, banalità, contraddizioni. I casi più difficili sono infatti spesso quelli che parlano troppo in quanto descrivono sempre la stessa idea più volte senza però apportare nulla di nuovo. La loro logorrea è spesso sintomo di una loro ansietà che ritroviamo poi in tutto il colloquio. Parlare così molte 101 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 volte serve per ritardare i tempi del racconto di cose più importanti o più dolorose. Sempre in relazione all’atteggiamento dell’intervistato possiamo notare l’utilizzo di meccanismi di difesa da parte di quest’ultimo che possono essere inconsci o preconsci oppure delle misure di sicurezza caratteriali. I meccanismi di difesa sono molti, alcuni sono ad esempio l’introiezione, proiezione, identificazione, fissazione, regressione, negazione, intellettualizzazione e molti altri. Per le misure di sicurezza caratteriali, spesso istintuali ma molto spesso del tutto razionali, troviamo: il silenzio o indifferenza, la ribellione, la colpevolizzazione, il patteggiamento, la rivendicazione, la seduzione e molti altri. Durante un colloquio molto importante risulta l’atteggiamento dell’intervistatore che non deve essere anche essere troppo autoritario, altrimenti potrebbe determinare facilmente nel soggetto l’insorgere di difese, come quelle appena citate, ma che, comunque, si è visto essere utile nella raccolta anamnestica, momento in cui il soggetto deve rispondere a delle domande poste dall’intervistato. Il colloquio dipende molto dall’intervistatore che quindi deve essere molto intelligente, non essere troppo giovane, in quanto rischierebbe di non essere preso sul serio, un buon adattamento sociale, introverso ed interessato ai problemi degli altri, cordiale, sensibile ed avere un buon spirito critico. Il metodo non direttivo è centrato sul cliente, l’intervistatore interviene soltanto per ristrutturare, chiarire ed oggettivare la situazione ed è ciò che si preferisce nella pratica clinica, dove si cerca di evitare ogni forma di interrogatorio e di impostazione autoritaria. 102 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 I punti fondamentali dell’atmosfera terapeutica sono che il terapeuta deve essere realmente sé stesso durante il rapporto con il suo cliente, genuino ed avere un autentico interesse per il soggetto. Gli errori che si tendono a fare sono vari: La tendenza a sopravvalutare. L’atteggiamento di neutralità, l’incapacità di prendere decisioni positive o negative nette. L’effetto alone (ossia la tendenza a giudicare una qualità sulla base di giudizi che si hanno per altre qualità). Proiezione. Indulgenza. Pregiudizio contagioso. Quindi bisogna cercare di creare un’atmosfera di sicurezza per ottenere la massima collaborazione da arte del paziente, in questo modo si sentirà più libero di rivelarsi maggiormente e lo psicologo si sentirà più libero di porre domande. Alla fine di un colloquio è buona prassi chiedere sempre al paziente se ha altro da aggiungere o se ha domande da fare, in modo da non lasciarlo andare via con dubbi o domande a cui potrebbe pensare fino all’incontro successivo. 4.6 Il colloquio criminologico Il “colloquio” rappresenta lo strumento di intervento principale del criminologo impegnato professionalmente nel contesto penitenziario e, più in generale, il momento in cui maggiormente si concretizza l’applicazione del sapere criminologico nell’ambito del sistema della giustizia penale. 103 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 In questo settore, infatti, il criminologo può essere chiamato ad operare professionalmente, secondo la normativa attuale, in tre distinti momenti78: a. Prima della sentenza, in fase processuale: in questa fase l’intervento professionale del criminologo è piuttosto limitato; infatti non sono ritenuti ammissibili accertamenti peritali su soggetti sottoposti a giudizio al fine di conoscere “l’abitualità e la professionalità nel reato, la tendenza a delinquere, il carattere o la personalità dell’imputato e in genere le qualità psichiche indipendenti da cause patologiche” (art 220 c.p.p.) poiché la valutazione della personalità dell’imputato rimane competenza esclusiva del giudice. D’altra parte è previsto (art.223 c.p.p.) che vengano ammesse, sotto forma di “pareri delle parti”, perizie sulla personalità dell’imputato effettuate da consulenti tecnici (tra i quali il criminologo) che il Pubblico Ministero o le parti private hanno la facoltà di nominare b. In fase di esecuzione della pena: il criminologo, in qualità di “esperto”, ha il compito di effettuare “l’osservazione scientifica della personalità del condannato”, così come previsto dall’ordinamento penitenziario, attività considerata fondamentale per formulare il programma di trattamento individualizzato, intra-murario ed extramurario. c. Durante la detenzione: il criminologo offre una serie di interventi trattamentali risocializzativi al condannato qualora questi ne avverta la necessità e ne faccia richiesta (colloqui di sostegno, di aiuto psicologico,group counseling, ecc). In pratica l’attività del criminologo clinico consiste, secondo 79 Merzagora , in: 78 79 Ponti G. , “Compendio di criminologia”, Cortina Editore, Milano, 1990, pag:458,459. Merzagora I. , “Il colloquio criminologico”, Unicopli, Milano, 1987, pag 18. 104 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 a. attività di osservazione, valutazione e prognosi, su mandato dell’autorità carceraria o giudiziaria (ruolo tecnico istituzionale); b. interventi sul reo, in seguito a sua richiesta, per soddisfare bisogni di aiuto psicologico, di chiarificazione interiore, di programmazione o di revisione dei progetti di vita, di consiglio ed anche per effettuare attività programmate nell’ambito dell’istituzione carceraria per finalità educative collettive, discussioni o dibattiti (ruolo terapeutico o trattamentale). In tutti i casi descritti, il colloquio rappresenta lo strumento principale di lavoro del criminologo. Per lo specifico contesto in cui viene realizzato e per il peculiare “mandato” che lo giustifica, il colloquio criminologico si caratterizza in maniera particolare rispetto ad altre forme di colloquio (clinico-diagnostico, terapeutico, di orientamento, ecc.). Definizione ed obiettivi del colloquio criminologico Un colloquio, inteso in termini generici come “una conversazione importante, che mira ad uno scopo determinato, oltre che al semplice piacere della conversazione”80, può essere definito in base a: 1. il contesto in cui si verifica; 2. gli obiettivi che lo guidano; 3. le caratteristiche delle persone che vi partecipano. Seguendo questi criteri possiamo definire il colloquio criminologico come “una tecnica di comunicazione, che si svolge in una situazione istituzionale, che ha come antecedente il fatto che l’intervistato abbia commesso un reato, e che ha come scopo quello di fornire, ad altri che hanno su di lui autorità, informazioni sulla sua personalità in 80 Bingham e Moore, cit. in Merzagora, I., “Il colloquio criminologico”, Unicopli, Milano,1987, pag 27. 105 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 relazione alla genesi e alla dinamica del reato, alle indicazioni per il suo trattamento, ed alla previsione del comportamento futuro.”81 Più precisamente con questa definizione ci riferiamo al colloquio che il criminologo svolge più nella sua veste tecnica–istituzionale che in quella più specificamente terapeutica trattamentale. Osserviamo come il contesto istituzionale, giuridico e ancor più quello penitenziario, connotano di specificità il colloquio criminologico, stabilendone la natura e gli obiettivi. In primo luogo definisce i partecipanti, in particolar modo l’intervistato che è un soggetto che ha commesso un reato e che si trova in una condizione di restrizione e limitazione della libertà personale. In questo senso differisce dal cliente o paziente volontariamente comunemente all’esperto per inteso chiarirsi e/o che si rivolge modificare una condizione di vita vissuta come problematica; nel caso del detenuto, non è il soggetto a richiedere il colloquio del criminologo (ad eccezione dei casi in cui il condannato richieda un intervento terapeutico o di sostegno) ma questo avviene su formale richiesta dell’autorità giudiziaria o penitenziaria; il contesto quindi determina l’accesso al colloquio da parte dell’intervistato, prescindendo dalla sua volontarietà, spontaneità e motivazione che rappresentano il presupposto per molte altre forme di colloquio. Inoltre il colloquio criminologico non implicando una “domanda” da parte di chi vi si sottopone, non presuppone nemmeno che questi si trovi in una condizione di disagio o di sofferenza da cui voglia liberarsi, come ad esempio più comunemente avviene per un “paziente” in un colloquio clinico. Appare evidente quindi che la natura istituzionale del mandato determina anche gli obiettivi del colloquio criminologico che non presenta finalità terapeutiche ma valutative. Secondo quanto previsto dall’ordinamento penitenziario del ’75, infatti, il colloquio 81 Merzagora I., 1987, Op. cit, pag 28. 106 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 (per il cui svolgimento l’art.80 prevede l’utilizzo di esperti tra i quali il criminologo clinico) di fatto viene utilizzato per l’osservazione scientifica della personalità dei condannati ed internati, al fine di formulare le indicazioni in merito al trattamento rieducativo (art. 13, comma 2, o.p.). Il criminologo, attraverso lo strumento del colloquio, è tenuto a fornire al proprio committente un profilo di personalità, del condannato e dell’internato, in una prospettiva non tanto o solo psicologica ma, più specificamente, criminologica. Infatti dovrà essere dato rilievo all’analisi ai seguenti aspetti: 1. la “criminogenesi” (cioè dovranno essere indagati gli aspetti individuali e sociali che hanno contribuito alla scelta delittuosa); 2. la “criminodinamica” (i meccanismi interiori che hanno condotto all’azione delittuosa); 3. la “pericolosità sociale” (previsione del comportamento futuro in termini di probabilità di recidiva). La finalità prettamente valutativa del colloquio e il tipo di committenza (i giudici e l’amministrazione penitenziaria) sono aspetti che ovviamente incidono sull’atteggiamento sia dell’esperto che del soggetto che vi si sottopone; l’esito dell’osservazione infatti, come abbiamo visto, contribuirà a stabilire le decisioni della magistratura di sorveglianza e in definitiva la condizione penitenziaria del detenuto. L’intervento del criminologo è motivato, accanto all’interesse per il soggetto esaminato, fondamentalmente da un’esigenza di difesa sociale che non va sottovalutata quando si considerino il tipo di relazione che può instaurarsi tra i due e la tecnica del colloquio realizzabile. Il criminologo, soprattutto, deve essere consapevole 107 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 della natura e delle implicazioni del proprio mandato, in relazione sia al proprio atteggiamento che a quello del proprio intervistato. 4.7 I test psicologici I test hanno costituito storicamente il campo privilegiato di lavoro dello psicologo clinico. Fin dalla grande stagione della testistica, nei primi anni del Novecento, lo psicologo ha trovato nei test - detti anche reattivi mentali - la possibilità di sperimentare strumenti in grado di analizzare aspetti particolari (test parziali) o caratteristiche generali della personalità (test globali). In campo clinico un test può essere somministrato a un paziente quando il suo impiego è considerato utile per dare informazioni sulle reali condizioni mentali o per il trattamento terapeutico. Sulla decisione di effettuare il testing, oppure no, influisce la quantità di dati che lo psicologo è riuscito ad ottenere durante i colloqui. In ogni caso il ricorso al reattivo non deve mai essere considerato una prassi routinaria per varie ragioni: in primo luogo per il dispendio di energie che la somministrazione, la valutazione e l’interpretazione richiede, e secondariamente per non far rientrare questa delicata parte del lavoro in un momento inutile di "accanimento" diagnostico che non conduce ad informazioni nuove e veramente importanti. In genere è necessario avere presente un quadro di riferimento concettuale valido per orientare la pratica psicodiagnostica. Nell’ambito clinico gli psicologi utilizzano prevalentemente test globali, in grado di offrire una ricostruzione analitica ben articolata della personalità dell’utente. I test di personalità hanno una notevole importanza per rilevare problemi di natura nevrotica, ma sono altrettanto utili per esaminare 108 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 soggetti con problematiche psicologiche più gravi, come border-line o psicotici. È possibile evidenziare le attitudini del soggetto a sostenere una psicoterapia e consigliare la scelta di progetti terapeutici a orientamento analitica, oppure no. I test possono essere in generale suddivisi in due grandi categorie: questionari o inventari standardizzati e strutturati e tecniche proiettive, ma non per questo meno fedeli e attendibili, pur nel rispetto della individualità, che è caratteristica delle prove a sfondo "umanistico". Le tecniche proiettive costituiscono lo strumento principale per lo studio della struttura, dei meccanismi e della dinamica della personalità. Una batteria di reattivi in grado di fornire un buon quadro di riferimento psicodiagnostico è composta sia da prove proiettive, sia da altri test. Ora illustreremo le caratteristiche di un pacchetto completo di reattivi. La Scala Wechsler per la valutazione dell’intelligenza negli adulti (WAIS) La scala WAIS è stata elaborata da Wechsler e strutturata per misurare le capacità intellettive per gli adulti. Lo stesso Wechsler ha messo a punto altre due scale per la misurazione dell’intelligenza: una valida per bambini dai quattro ai sei anni e mezzo (WPPSI) e l’altra invece per ragazzi dai sette ai sedici anni (WISC). I test di Wechsler hanno la stessa struttura di fondo: si suddividono in subscale in grado di valutare un vasto campo di funzioni e abilità intellettive. La WAIS raccoglie sei test verbali, che globalmente consentono di fornire un QI verbale (quoziente intellettivo espresso mediante il linguaggio) e cinque test non verbali che attestano le abilità di performance, definendo un QI di performance. Da tutti e undici i sub-test deriva una valutazione globale del QI della persona. 109 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 La Wechsler calcola il QI facendo riferimento alla media dei punteggi parziali che sono stati ottenuti testando gruppi di soggetti della stessa età. Si tratta di un deciso passo vanti rispetto al calcolo classico del quoziente d’intelligenza negli adulti, che era ottenuto mediante l’operazione: età Mentale / età Cronologica x 100 In questo caso infatti la qualità della misurazione è molto più alta, poiché si tiene in considerazione un campione mediano di popolazione e quindi uno standard molto più adeguato. La scala verbale è composta da un test di cultura generale, in cui vi sono domande su vari aspetti della vita che dovrebbero essere noti a qualsiasi persona adulta. Troviamo poi un test di comprensione, i cui occorre spiegare il significato di certe situazioni pratiche. Serve a misurare il grado di accettazione dei fini sociali e della comprensione del vivere in comunità. Il test di aritmetica propone al soggetto la soluzione di problemi a livello di scuola media. Nel test di analogia invece l’abilità richiesta è quella di confrontare stimoli e di valutare in che può essere considerata la loro similitudine. È quindi una prova sulla formazione dei concetti. Ci sono poi altre due prove: una sulla serie delle cifre, legata alla misurazione della memoria a breve termine, e il test lessicale che consiste nella richiesta di definire alcune parole di crescente difficoltà. La scala non verbale comprende, come abbiamo già riferito cinque test: il primo è cifre e simboli. Si tratta di un lavoro che richiede di operare in modo coerente per cercare di ottenere il meglio riempiendo il maggior numero di caselle contrassegnate da coppie di simboli e numeri. Nel completamento di figure il soggetto deve invece analizzare una serie di figure e indicare la parte che manca. Il disegno con i cubi richiede di riprodurre un disegno, stampato a parte su un cartone, utilizzando una serie di 110 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 cubi per bambini. Seguono poi la sistemazione di figure, in cui il soggetto deve indicare la sequenza di storie disegnate su cartoncini e la ricomposizione di oggetti, dove invece occorre mettere insieme le parti di una immagine scomposta. Attraverso la scala è possibile, naturalmente, avere informazioni sulla qualità dell’intelligenza, oltre che sulla quantità, mediante una buona valutazione globale delle sub-scale e l’integrazione dei dati. Nonostante non siano mancati rilievi critici sui profili ottenuti dalla WAIS, lo strumento mantiene una sua validità ed è utilizzato variamente, specie combinato con altri test, sia questionari di personalità, come l’MMPI, sia con test proiettivi. Il Minnesota Multiphasic Personality Inventory (MMPI) Il Minnesota Multiphasic Personality Inventory, conosciuto con la sigla MMPI, è uno strumento diagnostico ampiamente utilizzato in campo psichiatrico. Viene elaborato fra gli anni ‘40 e gli anni ‘50 da Hathaway e McKinley, e consiste in una serie di affermazioni, rispetto alle quali il soggetto deve rispondere scegliendo fra "vero" e "falso". Dopo un periodo di sperimentazione in cui si sono provate parecchie di queste affermazioni al fine di predisporle in un pacchetto significativo dal punto di vista diagnostico, si è giunti alla forma attuale, che presenta 550 items. Items del tipo: - Ho paura di impazzire. - A volte ho l’impressione di essere un buono a nulla e di non riuscire nelle mie cose. - Penso che la gente stia volentieri con me. 111 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 Il test rende possibile la realizzazione di dieci scale cliniche realizzate mediante un grosso lavoro di sperimentazione sul campo. Le dieci scale del MMPI prendono in considerazione: Hs – Hipocondria. D – Depressione. Hy – Isteria. Pd - Deviazione Psicopatica. Mf - Mascolinità-Femminilità. Pa – Paranoia. Pt – Psicastenia. Sc – Schizofrenia. Ma – Ipomania. Si - Introversione sociale. Il merito principale del test consiste nel tentativo di descrivere i tratti di personalità e le deviazioni patologiche in modo "oggettivo", facendo ricorso a un confronto fra fattori senza però che lo psicologo intervenga mediante "proprie" osservazioni, che potrebbero essere arbitrarie, o comunque non sempre valutabili in termini generali, superindividuali. È stato rilevato tuttavia che i test come il MMPI presentino alcune difficoltà e siano ancora abbastanza distanti dalla pretesa di "obiettività assoluta" che vorrebbero possedere. "È stato riscontrato che molte persone tendono a rispondere alle domande del test su basi diverse dal contenuto specifico della domanda. Per 112 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 esempio, supponiamo che l’affermazione sia: "Io intervengo a un party almeno una volta alla settimana". Se l’individuo risponde "sì" o "vero", possiamo concludere senza riserve che egli realmente partecipa spesso a riunioni con molta gente? Le ricerche compiute inducono a pensare che risposte del genere non si possono accettare come necessariamente vere, poiché possono essere determinate da una certa interpretazione del test da parte del paziente o dall’assetto del questionario. In questo caso il soggetto può avere un apparato di risposta di desiderabilità sociale e ritenendo che partecipare spesso ai party sia la cosa "giusta" da fare, risponde "sì" su questa base". Anche il MMPI non è quindi indenne da critiche. La sua semplicità e l’accordo con le principali categorizzazioni psichiatriche, nonché la facilità di somministrazione e la comodità della elaborazione, affidata spesso a un programma informatizzato che riduce il lavoro da parte del clinico, ha consentito una larga diffusione del test, anche se attualmente possiamo registrare un deciso ritorno a prove più complesse, ma più ricche ed affidabili, come il test di Rorschach. Il reattivo di Rorschach Il test di Rorschach appartiene al campo delle prove proiettive e rappresenta il vertice massimo della diagnosi psicologica. Possiamo affermare che non possa esistere una psico-diagnosi di rilievo senza che il Rorschach faccia parte della batteria utilizzata. Il reattivo di Rorschach è messo a punto dallo psichiatra svizzero Hermann Rorschach dopo un lavoro di sperimentazione piuttosto consistente, durato diversi anni. Esso si basa sulla presentazione di dieci tavole che mostrano figure "ambigue" ottenute facendo "colare" alcune gocce di inchiostro su un cartone, successivamente ripiegato. Le macchie che si formano si prestano a numerose interpretazioni 113 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 differenti. La prima Tav. è monocromatica, scura; la seconda e la terza sono bicolori, rossa e nera; dalla quarta alla settima sono di nuovo tutte monocromatiche, alcune più scure, altre tendenti al grigio meno intenso (VII); le ultime tre sono policromatiche, con colori pastello. Prima e seconda tavola del Rorschach. Ogni protocollo raccoglie tutte le interpretazioni che il soggetto fornisce alle dieci tavole; dopo di ché lo psicologo analizza le risposte tenendo conto di alcuni fattori: Localizzazione - Determinanti Contenuti – Frequenze. Sulle tecniche di somministrazione e sulle modalità di elaborazione delle risposte esiste una certa divergenza, tollerata dalle società nazionali e da quella internazionale Rorschach, che tuttavia non può prescindere da alcuni principi irrinunciabili, senza il cui rispetto non è possibile accordare alla eventuale psicodiagnosi un benché minimo elemento di validità. Il setting Rorschach possiede cioè una sua ben precisa definizione all'esterno della quale non solo il test è mal somministrato, ma i suoi risultati sono da considerarsi nulli e quindi non validi al fine clinico, come del resto per qualsiasi altra finalità. 114 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 Il mondo affettivo, la capacità di controllo delle emozioni, i meccanismi di difesa, rappresentano il nucleo della valutazione della personalità effettuata mediante il Rorschach. La duttilità dello strumento consente infatti di ottenere una indagine dinamica in grado di cogliere le istanze profonde dei processi mentali. Infine la valutazione è tesa a mettere in luce i rapporti del soggetto col mondo esterno, e quindi la sua facilità nella socializzazione, la sua tendenza ad andare incontro agli altri o a chiudersi a palla su se stesso. Lo stesso Rorschach aveva parlato di soggetti con un Tipo di vita interiore extratensivo, rivolto all’esterno, ai contatti sociali, o introversivo, più interessato alle proprio mondo interiore, portato alla meditazione e alla introspezione. Il Test di Appercezione Tematica (T.A.T.) di Murray Il T.A.T. di Murray è una prova proiettiva che si basa sulla invenzione di storie a partire da una serie di immagini. Nel processo narrativo, ognuno di noi trasferisce aspetti della propria esperienza di vita ed esprime anche elementi inconsci. In ultima analisi il T.A.T. offre una buona base per creare delle immagini simboliche, evocate da disegni dal contenuto ambiguo, volutamente sfumati ed enigmatici. La richiesta dello psicologo consiste nell’inventare una storia per ciascuna delle immagini proposte. Per Murray "si tratta di un metodo che permette di rilevare alcune delle particolari emozioni dominanti, dei sentimenti, dei complessi e dei conflitti della personalità. Un suo particolare valore consiste nel fatto che - come afferma la psicologa D. Passi Tognazzo, una delle maggiori esperte di psicodiagnostica del nostro Paese - possono venir esteriorizzate tendenze rimosse o inibite che il soggetto non è incline a riconoscere perché sono inconsce". Esistono immagini che vengono utilizzate 115 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 universalmente, altre invece destinate a gruppi di età differenziati (bambini e ragazzi, o adulti); un’altra diversificazione è legata al sesso. Osserviamo tavole considerate valide per maschi e femmine e tavole per soli maschi o sole femmine. Dalla elaborazione dei contenuti delle storie si giunge a una diagnosi psicologica molto ricca sul piano qualitativo, interessante soprattutto per intraprendere un lavoro di tipo analitico. Sul piano formale, quantitativo, invece il test offre molte meno garanzie di affidabilità. Per questo motivo il suo utilizzo in campo clinico è sempre abbinato ad un’altra prova, spesso il Rorschach. Prove grafiche Le prove grafiche rappresentano degli esempi classici del lavoro dello psicologo clinico. Vengono utilizzate soprattutto nell’indagine della personalità in età evolutiva. Fra esse ricordiamo il test dell’albero, ideato da K. Koch, particolarmente indicato per una conoscenza di soggetti in età evolutiva. Suggerisce infatti utili indicazioni sulla struttura della personalità, in riferimento all’io e all’ideale dell’io, nonché sulle difese e sulla rappresentazione del mondo familiare e sociale. La somministrazione del test può essere individuale o gruppale e consiste nella realizzazione di uno o più disegni di alberi. 116 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 Un altro test grafico, spesso usato in una batteria clinica, è il test della figura umana, di F. L. Goodenough e D. B. Harris. È utile per conoscere elementi di personalità e modalità cognitive in età evolutiva. Il suo impiego è valido sia per valorizzare le potenzialità del soggetto, sia anche per mettere in luce le eventuali carenze che manifesta, specie a livello affettivo. La richiesta è quella di disegnare una figura di uomo, una di donna e poi, infine, il ritratto di se stessi. 4.7.1 La personalità dell’abusante attraverso i test proiettivi Molto spesso coloro che lavorano con pazienti abusanti hanno la tendenza, come spesso troviamo anche nei media, di trovare corrispondenze molto facili tra atti delinquenziali e tipologie psicopatologiche. Questa corrispondenza, così semplicistica però non è possibile. Una ricerca fatta in Francia ha avuto un duplice obiettivo: il primo, la valutazione del funzionamento psichico degli autori di abusi sessuali e il secondo quello di individuare le caratteristiche psicologiche questi considerate come positive per poter immaginare che soggetti potessero trarre beneficio da un trattamento psicoterapico individuale. Questo problema è molto importante, in quanto una delle difficoltà maggiori è il problema della possibilità o meno di questi soggetti di essere scarcerati e il problema del poter prevedere la ripetizione degli atti di abuso. Attraverso i test proiettivi è possibile capire perché c’è il ricorso all’agito, perché c’è il ricorso alla violenza, perché ci sono dei moti di tipo distruttivo, perché la sessualità è trattata in maniera particolare, 117 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ma perché quel soggetto ha scelto quella modalità di agito questo è un dato che i test proiettivi, allo stato attuale delle cose, non permettono di evidenziare. Una cosa che alla fine questa ricerca ha evidenziato è la difficoltà dei test proiettivi di avere una capacità predittiva. Noi possiamo, una volta che per esempio analizziamo i protocolli di soggetti che hanno già commesso un atto di abuso, capire perché lo hanno commesso, possiamo capire il senso e il posto che ha avuto questo atto all’interno del funzionamento psichico del soggetto,però la possibilità di prevedere con quale tipo di agito il soggetto passerà all’atto è ancora molto incerta. Nei casi di funzionamento al limite ritroviamo sia la scissione dell’io che il diniego, due meccanismi di difesa che appartengono anche all’organizzazione perversa. La scissione dell’io permette all’Io di essere diviso in due compartimenti stagni, in una il principio di realtà rimane inalterato, riconosciuto e rispettato, nell’altro c’è la possibilità di mantenere vive le fantasie, i desideri e fantasmi che non riconoscono limiti che l’altra parte dell’Io invece riconosce. Una caratteristica delle personalità perverse è che si ritrova sempre un feticcio e condotte sia psichiche che reali volte all’organizzazione di scenari feticisti all’interno dei quali un oggetto viene iper-investito e acquista una forza erogena significativa, importante e specifica. Se si volesse sostenere che i soggetti abusanti rientrino nelle categorie delle organizzazioni perverse dovremmo immaginare che l’atto di violenza sia equivalente del feticcio o di uno scenario di tipo feticistico. In realtà negli abusanti quello che noi troviamo è un difetto specifico e puntuale dell’attività fantasmatica e possiamo vedere questo difetto sia nell’ambito dei racconti che questi soggetti fanno dell’atto commesso, sia a livello dei test proiettivi che confermano questa carenza specifica. 118 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 Due aspetti specifici del funzionamento degli abusanti che sono emersi dalla ricerca (Chabert C.) sono: 1. le caratteristiche specifiche del diniego. Si tratta di un diniego volto depressione, in modo di una rappresentazione della molto difesa importante maggiore depressione contro rispetto rispetto agli la alla effetti depressivi. Il soggetto che commette l’abuso, la violenza si identifica in maniera fusionale indiscriminata con il soggetto che sta abusando, ma con un aspetto particolare: con lo sguardo dell’altro. È un’identificazione fusionale. Questo elemento appena descritto ha a che fare cin una qualità molto negativa della relazione che questi soggetti hanno dell’imago materna. Nelle organizzazioni perverse troviamo degli investimenti narcisistici molto importanti, che hanno anch’essi, come l’eccitazione sessuale, un forte valore antidepressivo. I soggetti abusanti sono carenti dal punto di vista degli investimenti narcisistici. 2. l’organizzazione psicosessuale e le caratteristiche dell’Edipo. Tutti i soggetti attraversano l’Edipo, ma non tutti vengono strutturati. Questi tipi di personalità (perversa, abusante, narcisistica…) hanno attraversato l’Edipo ma non ne sono state strutturate: non sono abitate al loro interno dalla dinamica tra desideri e difese, sembrano, in modo più specifico, non poter riconoscere la triangolazione. Nell’organizzazione perversa della personalità il divieto,il tabù dell’incesto e la castrazione portano alla costruzione di una fantasia e cioè quella che il figlio maschio sia l’oggetto sessuale della madre. 119 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 Questo tipo di costruzione non avviene nei soggetti abusanti a causa delle loro fragilità narcisistiche. Quello che appare frequentemente in questi soggetti è la grande importanza della relazione con la madre, una relazione marcata dall’abbandono, dalla perdita, dal disagio, dalla sofferenza e questo sembra essere il perno centrale attorno al quale ruota l’organizzazione della personalità e l’insieme della problematica. Quindi, mentre nell’organizzazione perversa della personalità esiste una lotta possibile agli affetti depressivi nella relazione con la figura materna attraverso l’eccitazione sessuale o l’iperinvestimento della rappresentazione di sé, in questi soggetti non è possibile: sessualità e perdita dell’oggetto sono presenti in una sorta di unica massa indifferenziata.82 82 Convegno Desenzano 2001 a cura della proff.ssa Chabert Catherine. 120 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 Il caso del signor G. Mi è stato proposto, durante il mio tirocinio dal Dottore di riferimento, di sottoporre il signor R., detenuto presso la casa circondariale di Montorio (Verona), ad una serie di colloqui di sostegno e terapeutici. È nata da qui l’ispirazione per la mia tesi di quest’anno, appunto il colloquio peritale, ossia l’insieme delle informazioni che psicologi, psichiatri e i vari operatori cercano di ricavare dal soggetto per poi tracciarne un profilo che può essere utile sia all’avvocato che al giudice per modificare o definire la pena. Dopo aver preso accordi con l’Avvocato di riferimento, ho chiamato la casa circondariale per decidere il calendario dei vari colloqui che si svolgeranno con cadenza settimanale per un’ora circa. Dopodiché ho incontrato il Dottore che mi ha descritto il caso nei minimi particolari sottolineando sia l’aspetto emotivo che di personalità del detenuto. Primo incontro Il primo incontro con il signor R. si è svolto all’interno della sala avvocati, stanza in cui sono permessi i vari colloqui con avvocati e psicologi. Io e la mia collega abbiamo deciso che il primo incontro sarebbe servito come presentazione nostra e sua, visto che era la prima volta che ci incontravamo e per cercare inoltre di stabilire una buona alleanza e relazione con lo stesso. 121 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 Sapevamo che la richiesta di questa serie di colloqui proveniva direttamente da lui, in quanto era da un po’ di tempo che si erano presentati sintomi quali insonnia e coliche dovuti ai suoi sensi di colpa per quello che aveva commesso. Abbiamo incominciato cercando di raccogliere qualche informazione della sua vita quotidiana e delle sue giornate, visto che nel primo incontro avevamo deciso di non incominciare subito facendoci raccontare della sua storia passata. Il suo atteggiamento è stato fin da subito molto propositivo, infatti ha incominciato subito a parlare delle sue giornate e di quello che fa all’interno del carcere, ma appena c’è stata l’occasione ha cercato subito di incominciare a parlare del passato. Abbiamo però deciso di rimandare alla volta successiva avvisandolo che non c’era fretta e che si poteva prendere tutto il tempo che voleva visto anche che, nel ricordare alcuni suoi affetti, si è commosso più volte. Ci facciamo raccontare delle visite che avvengono il lunedì in cui vede il fratello, un’amica e la moglie che, finiti gli arresti domiciliari, può venirlo a trovare da un mese e mezzo. Il suo atteggiamento appariva relativamente rilassato, osservando i movimenti del corpo non è parso particolarmente teso escluso quando ha avuto i momenti di commozione che ha sudato di più. Le gambe erano rilassate e non incrociate o accavallate e le braccia erano aperte, la voce sicura. Secondo incontro Dopo un ritardo di mezzora, riusciamo a cominciare il nostro colloquio con il signor R.. Lo vediamo particolarmente teso oggi, fa fatica a parlare e continua a muoversi. Chiediamo il motivo di tanta 122 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 tensione e R. ci spiega che è dovuta ad un filmato che stava vedendo nella sala, una specie di documentario sulle carceri straniere. Infatti si è sentito molto triste nel vedere le condizioni dei detenuti nelle carceri e ha tenuto a sottolinearci che se non si sta dentro non si può capire quanto male si sta. Dopo un breve periodo però cominciamo con il racconto della sua storia passata, ci racconta dei mal di testa che non gli danno tregua e che non lo fa riposare la notte. Ricorda i genitori come molto freddi, ma dice che erano così anche con le sorelle, “era uno stile di vita”, ricorda le urla per la morte della nonna (tipiche usanze siciliane) e della paura che gli è venuta (i medici sostengono che lo strabismo gli sia venuto per paura!). A quattro anni lo hanno mandato in colonia anche se lui non voleva. Ricorda con molta sofferenza questo episodio, a tratti estremamente lucido e particolareggiato nel ricordo. E a questo punto si commuove, non riuscendo più a parlare, gli diamo un rimando della situazione, spiegando che la sofferenza che sente e che prova è dovuta tutta a ciò che ha passato. R. ha vissuto e vive costantemente un abbandono da parte dei suoi genitori, si è sentito rifiutato fin da piccolo e piange al pensiero. Cerchiamo di calmarlo un po’, concludendo a questo punto l’incontro visto che il tempo è scaduto e visto la difficoltà nel proseguire. Terzo incontro Oggi si presenta sorridente, è molto più rilassato e disteso dell’ultima volta. Ci parla subito del processo al quale è sempre stato presente e di come ritiene troppo pesante la condanna della moglie 123 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 (10 anni che dovranno però essere confermati nell’appello che ci sarà ad aprile). Ci racconta poi un po’ di fatti che riguardano la figlia, di come questa si sia allontanata da tutti i familiari e non voglia vedere più nessuno. Chiama ogni tanto la madre ma non hanno un buon rapporto in quanto la figlia ora chiama solo per le sue richieste. Ha portato via tutto, case, oggetti di valore, macchine. Ci racconta anche di un’amica della figlia che sembra avere molto potere su questa. La figlia infatti viene descritta come molto malleabile e dipendente e di come quindi si sia fatta trascinare in alcuni consigli e comportamenti da quest’ultima. Comincia a piangere e parla di alcuni colloqui fatti con un prete grazie al quale ha preso consapevolezza dei comportamenti che ha avuto, è riuscito a capire quello che ha fatto e ora se ne vergogna. Pensa infatti che la pena se la meriti e che sia giusta. Prosegue raccontandoci dei suoi pensieri di suicidio e di quando ha provato ad attuarlo. Ha cercato di bere il detersivo, ma in carcere non è nocivo apposta per prevenire ciò. Cerchiamo quindi di avere un rimando positivo, lo facciamo riflettere su ciò che perderebbe se decidesse di mettere in atto un gesto del genere, parliamo quindi della moglie che le è sempre rimasta vicino nonostante tutto. Lui stesso ammette che l’unica cosa che lo ferma è l’amore per la moglie. Dopo essersi commosso e visto che il tempo era finito lui stesso finisce con un argomento positivo, che lo fa sorridere: il detenuto che lo minacciava è stato trasferito in un altro carcere e, come riconoscimento per avergli tenuto testa, è andato a salutarlo prima di partire. All’interno del carcere vigono regole che sono difficili da capire dall’esterno: anche solo un saluto può racchiudere tutto il peso e il 124 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 riconoscimento di un piccolo uomo che ha saputo tenere testa alle minacce di un posto ormai ghettizzato che vive di leggi proprie. Quarto incontro È l’incontro prima di Natale, siamo un po’ preoccupate di trovarlo molto giù di morale e triste, invece comincia subito a raccontarci dei fatti della sua vita. Ci racconta della ragazza rumena che ha conosciuto per strada. Lui l’ha accolta nella sua casa perché era sola, le ha cercato un lavoro e visto che la figlia era gelosa le ha lasciato per un po’ una delle sue case. Per lui era più di una figlia. Ho notato infatti che R. utilizza molto questo meccanismo, tende ad aiutare sempre gli altri, ad avere sempre una parola o un gesto gentile, come se aiutare gli altri lo facesse stare meglio e soprattutto lo facesse pensare meno ai suoi problemi. È stato così con la ragazza e gli succede spesso anche in carcere. Utilizza uno spostamento del pensiero, se penso ai problemi degli altri, e li aiuto, non penso al mio, e cerca di evitare il problema. “Aiuto gli altri perché è l’unica cosa che posso fare e che mi riesce, cosi mi sento meglio, sono egoista perché non ho pensato a mia moglie, ma cado nella trappola di cercare persone che hanno bisogno di aiuto”. Riflettiamo allora con lui sul fatto che deve cominciare a dire di no, dice che la moglie lo ha aiutato in questo e ha cominciato a dire di no al cognato che chiedeva soldi. Fondamentalmente ha paura di ferire le persone e di farle star male. Parla poi del suo passato, della sofferenza che ha provato nel non festeggiare nemmeno un compleanno e del senso di abbandono che 125 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ha provato quando i suoi non lo andavano a trovare in collegio. Lui però non si arrabbiava mai, “incassava” e basta. Racconta poi dei primi abusi che ha dovuto subire dal figlio del datore di lavoro da cui andava (aveva più o meno 10 anni), e della volta che ha subito un abuso da un gruppo di “amici” maggiorenni. Non ha mai detto niente, se parlava in collegio lo picchiavano, e lui ha imparato che “è meglio stare zitti”. Quinto incontro L’incontro avviene subito dopo Natale, G. infatti è molto giù, comincia il discorso dicendo che è molto dura la vita nella sua sezione, in più nella mattinata hanno visto un film che gli ha fatto ricordare la figlia. Ci parla dei molti colloquio che ha con Don Carlo, un diacono che va a fare visita ai detenuti e con cui G. si trova molto bene a parlare visto, sottolinea lui, che “la psicologa ti chiama una volta ogni due mesi perché è sempre piena di appuntamenti”. Con lui riesce a parlare di cose molto profonde che poi ci riferisce, infatti ormai anche con noi non ha problemi ad aprirsi e a dirci tutto quello che gli passa per la testa. Ci racconta infatti di come lui non si fosse reso conto di quello che faceva visto che si era “innamorato” della figlia, era diventata una cosa normale ci dice “il cervello si abitua come i bambini musulmani con il corano”. Era geloso dei ragazzi che sua figlia portava a casa. Dopo tanti colloqui ci parla dei sensi di colpa che gli sono cresciuti dentro, nei confronti della figlia ma anche della moglie che ha dovuto subire tutto questo. 126 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 A 11 anni la figlia viene portata via in un centro, dopo la denuncia della psicologa che vedeva la figlia e che aveva accusato il padre di violenze, poi viene trasferita in una casa famiglia fino ai 18 anni quando torna a casa e comincia la relazione con il padre. Usciamo molto provate da questo incontro, in quanto, in seguito, ci ha raccontato molti dettagli della storia che probabilmente non eravamo ancora pronte a sentire. Sesto incontro Questa volta si presenta con degli appunti perché dice di non ricordarsi tutte le cose che ci vuole dire. Ci racconta dell’incontro con la moglie e del fatto che lei non sapesse nulla del suo passato. Ci racconta dei due anni di terapia che ha fatto quando la figlia era via di casa. Ricomincia poi a raccontarci del suo passata, del fatto che a 4 anni la madre lo ha mandato in collegio e di quanto ha sofferto per questo, degli abusi che ha dovuto subire da grande quando è andato in un altro collegio. Il ricordo degli eventi passati muove in lui una grande sofferenza, in quanto deve riaprire delle stanze nel quale aveva rinchiuso questi ricordi per non pensarci più e, in questo lavoro, dice che lo stiamo aiutando molto. Prima del colloquio successivo decidiamo di andare a fare una supervisione, visto che l’argomento cominciava a diventare difficilmente sostenibile anche per noi. 127 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 Settimo incontro Questo incontro comincia molto male, G. sta male, ha passato una brutta settimana e ha dovuto prendere varie pastiglie per stare calmo. Dice di essere molto preoccupato per la figlia in quanto lui era un grande punto di riferimento per lei e sostiene che la colpa di quello che è successo è anche della figlia perché lo istigava molto. Perde il filo del discorso varie volte. Dice di essersi innamorato di sua figlia, la relazione è andata avanti per sette mesi senza che la moglie si accorgesse di nulla, finché ha intuito la cosa e gli ha preparato la valigia. Lui l’ha supplicata di farlo rimanere, è rimasto ma da li le cose sono cambiate, ha capito quello che aveva fatto, si sentiva sporco, non si era reso conto di essere suo padre. Gli trema la voce, le gambe, oggi è troppo difficile e decidiamo di finire qua questo colloquio. Ottavo colloquio Ci racconta che è stato molto male dopo l’ultimo colloquio e che ha dovuto prendere qualche pastiglia per stare calmo, si è fatto modificare la terapia per i forti mal di testa che gli vengono. Descrive poi l’incontro con la moglie, non gli ha raccontato nulla del suo passato perché non se la sente, prova un forte senso di vergogna quindi non riesce. Anche la moglie vede ogni tanto Don Carlo che l’ha aiutata a capire e a stare vicino al marito. Le uniche informazioni che ha della figlia 128 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 sono quelle che le porta la moglie perché ogni tanto la sente al telefono. Poi torna sulla loro storia passata, dice che quando la figlia ha voluto smettere la relazione lui si è sentito usato, in quanto ha cominciato a pensare che stesse con lei solo perché le comprava tanti vestiti e molto costosi. Quello di sentirsi usato è un sentimento che ha già provato varie volte anche con i familiari, in quanto G. era sempre molto buono e disponibile con tutti. Non diceva mai di no e per questo molte volte gli altri approfittavano di lui. A questo punto decido di fargli una domanda sulla sua famiglia e, in particolare, gli chiedo com’era e com’è il rapporto con la madre. Si irrigidisce e mi risponde con un’altra domanda, come atto aggressivo verso di me che mi sono permessa di chiedere una cosa così profonda e forse così dolorosa. Lo calmo subito mettendolo a suo agio e dicendogli che se non vuole parlarmene ora rimanderemo ad un altro momento e che comunque sono informazioni riservate che servono solo per aiutarlo. Comincia a riferire che la madre è venuta solo quattro volte da quando è in carcere (dato anche dal fatto che la madre abita molto lontana da Verona). Le cose che ricorda della madre sono molto negative, ogni volta che lei ha cercato di avvicinarsi per farle una carezza lui la rifiutava, “mi da fastidio quando si avvicina per darmi un bacio”. Non capisce perché lo hanno messo in collegio così piccolo, ma nessuno glielo ha mai spiegato. 129 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 Nono incontro Racconta delle brutte esperienze che ha avuto in passato, come quella di trovare sua madre con un altro uomo, ma non ne abbiamo mai parlato. “Non capisco se il rifiuto che ho per lei è per il fatto che mi ha messo in collegio o perché l’ho vista tradire mio padre”, questo è quello che dice dopo averci raccontato i fatti, quindi ha una buona capacità introspettiva e di ragionamento in quanto capisce da solo che alcuni avvenimenti passati possano averlo portato a certi comportamenti. Probabilmente per questo dice su alle donne, soprattutto quelle che vestono in modo provocante, sua figlia vestiva così, ma non le diceva niente per paura che si allontanasse da lui. Gli chiediamo quale soluzione vede lui per alleviare questi sensi di colpa che lo opprimono, ma ci risponde che non c’è soluzione, anzi l’unica è quella di farla finita. Dice che forse se la figlia lo perdonasse potrebbe pensare anche di andare avanti, ma non sa. Allora interveniamo, sottolineando il fatto che non può stare li ad aspettare sua figlia, ma anzi, deve fare qualcosa per primo, un cammino che lo porti a continuare la sua vita una volta fuori dal carcere, ovviamente senza la figlia. Notiamo che ogni volta butta le cose negative su di sé, lui non merita che la moglie vada a trovarlo o che faccia tutto il viaggio, non riesce a guardare avanti, manca di iniziativa, leggermente depresso. Su consiglio dell’avvocato e del medico decidiamo di avere un colloquio anche con la moglie per conoscerla meglio e per farci una nostra idea visto che G. parla molto di lei. 130 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 Colloquio con la moglie La moglie ci fa capire molto presto che vuole ancora molto bene al marito nonostante quello che ha fatto, si interessa della foglia anche se vorrebbe che fosse quest’ultima a parlare con lei. Il marito le ha scritto duecento lettere, quasi una al giorno per dirle cosa fa durante la giornata. “Io non volevo credere alle cose che diceva mia figlia perché sono sempre riusciti a tenermi nascosto tutto quindi ho cominciato a cercare delle prove. La mia famiglia mi è contro perché vorrebbero che lo lasciassi, ma non posso”, tuttora vive con il padre perché la figlia ha le case di proprietà. Ci racconta che all’inizio era molto arrabbiata anche con la figlia, ora non più perché la vede come vittima, la sente ogni tanto anche se la sente molto titubante, che non si lascia andare. Dopo che ha saputo quello che è successo non vuole avere più rapporti sessuali con il marito, lo abbraccia, prova affetto ma non vuole contatto fisico. Non si sente di punirlo per tutto quello che ha passato quando era bambino, comincia a conoscere anche lei piano piano il passato del marito e quindi riesce a comprendere, ma non giustificare, ciò che ha fatto. Ci dice che ha parlato di noi durante una visita, che si trova bene e che gli siamo utili per il suo cammino interiore. Tornando a parlare della figlia ci racconta che questa la rimprovera del fatto di non averla capita e aiutata, ma lei non capisce come ha fatto suo marito a ricascarci dopo la terapia. Ha sofferto molto quando le hanno portato via la figlia. Nonostante tutto secondo noi la moglie è un buon punto di appoggio e di partenza per quando uscirà dal carcere. È una moglie 131 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 presente ma che ha ben in mente quello che ha fatto suo marito, gli sta accanto pur sapendo che ha bisogno di aiuto. E’ l’unico motivo per cui G. non si è ancora tolto la vita. Decimo incontro Ci mostra subito la lettera che ha ricevuto dal padre, non gli aveva mai scritto. Lui lo interpreta dicendo che secondo lui si sono resi conto di quello che gli hanno fatto passare da piccolo. I suoi genitori li definisce INCOSCIENTI e IGNORANTI perché non sapevano quello che facevano. Ha una foto di suo padre nella cella, l’unica che ha voluto perché quella della moglie e della figlia non vuole che altri le vedano, e dice di sentirsi protetto da lui quando la porta nella tasca dei pantaloni. Arriva a dirci che secondo lui i suoi genitori non si volevano bene, suo padre picchiava sua madre anche davanti ai bambini e lui si sentiva in colpa perché non aveva avuto il coraggio di mettersi in mezzo per difendere la madre. A questo punto cerca di cambiare discorso, si perde spesso in altri discorsi, non capiamo se è una sua modalità o ha una difficoltà a concentrarsi per più tempo su di un argomento che gli crea dei movimenti emotivi. Ci dice che con noi è riuscito ad affrontare in profondità i discorsi sulla figlia, e per la prima volta si arrabbia molto con lei, dicendo che è stata una bugiarda e che con quello che ha detto anche la moglie rischia una condanna che non si merita. Rimandiamo a lui questo momento di aggressività che finalmente non lo fa stare zitto, per la prima volta non si è tenuto tutto dentro ma ha parlato urlando. 132 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 Dopo un’infanzia passata nel silenzio e un presente passato a cercare di risolvere tutto da solo, finalmente comincia a capire che non è solo. Undicesimo incontro L’ultima volta l’abbiamo lasciato con un compito, richiestogli ancora vari colloqui fa ma mai eseguito. Gli chiedo di scrivere su un foglio cinque aggettivi che descrivano il padre e la madre. Lui rimane basito davanti a questa richiesta, gli spiego il motivo, e ci dice che è la prima volta che gli chiedono direttamente di sua madre. Il compito gli risulta molto difficile, infatti non capisce e ci scrive ben sette fogli in cui ci racconta nuovamente la storia del suo passato. A casa, dopo un’attenta lettura, il suo italiano lascia molto a desiderare, riesco comunque a trovare delle descrizioni dei suoi genitori. Durante il colloquio dice che secondo lui questo esercizio gli è servito per richiamare alla mente ricordi che ormai erano stati rimossi, molto più profondi, chiediamo conferma di questa cosa e lui racconta che alcune cose gli sono tornate in mente. Non ci vuole raccontare come si è sentito mentre scriveva queste pagine, perché è stato troppo male, ha risentito di forti mal di testa che l’hanno obbligato a prendere delle pastiglie da cui teme fortemente di diventare dipendente. All’improvviso torna a parlare della psicologa da cui andava parecchi anni fa, e ci dice che secondo lui ha perso molto tempo e basta, visto che non è mai arrivato a nessuna conclusione e non è mai riuscito a parlare a fondo della figlia. 133 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 Poi torna a parlare dei ricordi del passato, di sua mamma, delle sorelle, dei regali, insomma salta da un ricordo all’altro senza un filo conduttore. Racconta poi di un tentato suicidio della figlia (con delle pastiglie) e di come abbiano fatto intendere, nell’incidente probatorio, che l’avesse fatto per la loro storia, storia che in realtà doveva ancora nascere. Il resto dell’ora la passa saltando da un ricordo dell’infanzia, quando lo hanno portato con una prostituta, a ricordi del presente sulla figlia e la moglie. Dodicesimo incontro Lamenta sempre forti mal di testa che lo fanno dormire poco svegliandosi così spesso stanco. Ci parla di un sogno ricorrente in cui qualcuno tiene una mano sulla sua bocca e lui non riesce più a parlare e a muoversi. Prendiamo così l’occasione di soffermarci sui farmaci che “non” prende, visto che li butta via ogni volta che glieli danno. I farmaci gli servono per la lieve depressione che ha ma anche per tenerlo calmo durante la notte. Ci racconta infatti che spesso e volentieri sveglia i suoi compagni di cella dal rumore che fa per il sogno che sta facendo. La sua paura più grande è quella di rimanere dipendente dalle pastiglie e di non riuscire più a pensare. Allora interveniamo facendogli notare come questo non voler prendere le pillole sia un gesto punitivo verso sé stesso e gli diciamo che la sua punizione l’ha già avuta, il carcere. Chiediamo se ha paura del processo che si sta avvicinando e del fatto che potrebbe rivedere la figlia e se non è un po’ arrabbiato con lei visto che G. sostiene che la figlia si sia inventata molte cose al processo. Racconta che non teme di rivedere la figlia, che è invece 134 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 molto preoccupato per la moglie perché non potrebbe mai perdonarsi una possibile carcerazione di quest’ultima. La rabbia che tenta di venire fuori invece è subito smorzata dal fatto che si è ormai reso conto che era lui a non dover nemmeno incominciare ciò che ha fatto. Ci ringrazia per gli incontri fatti assieme chiedendoci di poter andare avanti ancora visto che è riuscito ad aprirsi come mai prima gli era successo. Dovrebbe essere il nostro ultimo colloquio, ma abbiamo chiesto all’avvocato un prolungamento di incontri per completare il ciclo, visto anche la richiesta di sottoporlo al test di Rorschach. Allego poi qui di seguito la relazione che abbiamo scritto per l’Avvocato come conclusione di questi tre mesi di lavoro, nella certezza poi di poter proseguire gli incontri che il signor G. ci ha direttamente richiesto. 135 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 RELAZIONE PSICOLOGICA SUL SIGNOR R. G. ATTUALMENTE RISTRETTO NELLA CASA CIRCONDARIALE DI VERONA-MONTORIO Ottenuta l’autorizzazione, vediamo con cadenza settimanale, presso l’area trattamentale della casa circondariale di VeronaMontorio, il signor R. per un totale di 13 incontri di supporto psicologico. La richiesta degli incontri viene fatta direttamente dal signor R., indice di alta motivazione e di una consapevolezza del proprio malessere, motivazione che si protrae inalterata per tutto il ciclo degli incontri e che ha favorito l’instaurarsi di una buona relazione terapeutica. Il Signor R. a tutti gli incontri settimanali si presenta adeguato alla situazione, in buone condizioni generali, pur tenendo conto del setting in cui avvenivano gli incontri che di per sé, per le sue caratteristiche formali, non favoriva l’instaurarsi della relazione terapeutica. Il livello intellettivo appare medio-basso, caratterizzato da un’ insufficiente scolarità e da un modesto patrimonio culturale. Nonostante ciò, il Signor R. si è sempre impegnato e ha spesso spontaneamente prodotto degli scritti di suo pugno che hanno avuto una duplice utilità: per il soggetto è stato un utile mezzo di descrizione dei fatti (visto che più volte ha palesato vergogna nel riferirli alle sottoscritte); per noi hanno costituito ulteriore 136 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 materiale su cui lavorare permettendoci di comprendere meglio i fatti, le emozioni e gli stati mentali del paziente. Il soggetto, per tutto il periodo di osservazione, appare con un tono dell’umore sostanzialmente depresso, evidenzia sentimenti di svalutazione e disistima in sé stesso. La visione negativa di sé è da ricondurre all’interpretazione altrettanto negativa delle proprie esperienze passate, ciò che porta il soggetto a vivere come insormontabili gli obiettivi seppur minimi posti dal mondo che lo circonda, manifestando quindi desideri di elusione e ritiro: la visione negativa del futuro prevede la convinzione che le difficoltà del presente si protrarranno anche nel futuro. Il tema dominante dei pensieri automatici del soggetto è quello della perdita e del fallimento, intesi come irreversibili, irreparabili, invalidanti, i valori del proprio sè ed ogni prospettiva è inaccettabile nella dimensione passata, presente e futura. Descrive più volte un senso di indegnità, aumentato in questo ultimo periodo ripensando agli eventi passati, che lo riportano a temi di pensiero riconducibili ad un pervasivo senso di colpa e di danno arrecato alla moglie e alla figlia. Rispetto ai reati contestatigli il signor R. dimostra una totale ammissione delle proprie colpe. Durante i mesi di detenzione e nel periodo del percorso psicologico con noi intrapreso abbiamo evidenziato un miglioramento della capacità riflessiva e della consapevolezza della gravità dei fatti commessi e quindi un significativo aumento del senso di colpa che lo tormenta e gli provoca oltre che pensieri suicidari, a volte messi anche in atto ma non 137 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 concretizzatisi, anche manifestazioni psicosomatiche rilevanti, come mal di testa e sensi di vertigine. Emerge più volte nei vari incontri, il ricordo di eventi traumatici come la colonia estiva nella quale viene mandato a soli quattro anni e vissuta come un vero e proprio abbandono da parte della madre e la successiva permanenza in collegio, con le ripetute violenze subite, caratteristiche di che hanno personalità condizionato dagli esiti lo sviluppo di significativamente dolorosi e destabilizzanti, conseguenze delle quali non si può non tenerne conto. Buona parte degli incontri sono stati incentrati sulla storia traumatica ed emotiva del soggetto, di come questa abbia influito sui suoi rapporti con la moglie e sul suo modo di relazionarsi alla figlia prima della carcerazione. Con il soggetto è stato fatto un lavoro di ricostruzione del passato, di presa di coscienza degli errori commessi, rivolto anche a fargli raggiungere una maggior consapevolezza delle proprie responsabilità rispetto alla figlia e al ruolo della moglie (tra l’altro ascoltata anche in un incontro individuale), che si è dimostrata una grande risorsa, indispensabile e necessaria per l’equilibrio psicologico attuale e futuro del soggetto. La relazione terapeutica creatasi è stata caratterizzata da fiducia reciproca, ed i colloqui sono stati messi a disposizione del soggetto, che li ha utilizzati come spazio per poter esprimere la sofferenza causatagli dal rimorso e dal senso di fallimento. Il signor R. non ha mai dimostrato né fatto trasparire segni di aggressività o di rabbia nei confronti degli eventi che stavano accadendo, ma ha sempre sottolineato come la colpa di tutto ciò 138 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 che è avvenuto sia da imputare solo a sé stesso, dimostrando quindi una maggior consapevolezza dell’accaduto, una disponibilità alla riparazione del danno provocato a sua figlia ed una sua riabilitazione sociale. In conclusione, abbiamo riscontrato come il signor R. abbia maturato personalmente la necessità di cominciare questo percorso di sostegno, condiviso anche dalla moglie, e che, terminati ora i tre mesi messi a disposizione dall’autorizzazione, abbia personalmente dichiarato di voler proseguire nel percorso cominciato con le sottoscritte. È infine importante evidenziare come la sua presa di coscienza di malattia gli abbia consentito di comprendere meglio la gravità dei suoi comportamenti e di maturare quella coscienza che gli ha permesso di risarcire volontariamente la figlia, con la cessione dell’intero patrimonio per garantirle una vita più serena. Dott.ssa Irene Gecchele Dott.ssa Valentina Martini Verona 3 marzo 2009 139 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 Conclusioni Molti studiosi sostengono che per poter agire contro la persona abusante, bisogna innanzitutto ammettere che l’abuso non è stato ancora adeguatamente studiato, anche perché la società, e la comunità scientifica al suo interno, ha sempre cercato di esorcizzare questo problema o negando che esista, oppure cercando di relegarlo nell'ambito delle mostruosità, ovvero di quei casi talmente rari e aberranti da non meritare neppure uno studio sistematico. Occorre attivare ricerche serie e pianificate sulle ipotesi di trattamento dell’abusante, sulla possibilità di prevenzione. Il fatto è che l’abuso si può evitare: attraverso un'educazione seria e intelligente, una crescita armonica e un'attenzione profonda al comportamento. E attraverso la creazione di una società in cui l'amore non abbia bisogno di rivolgersi a oggetti impossibili, come sono appunto i minori. Sapere o sospettare che un minore sia vittima di abusi sessuali si rivela per un operatore (psicologo, medico, assistente sociale etc.) un compito complesso e difficile; “riconoscere” un abuso sessuale è per l’esperto come imbattersi in un avversario inafferrabile, e solo se saprà con certezza, che cosa sia e come si sia manifestato, potrà trovare un’appropriata strategia di supporto da offrire alla vittima e un intervento di recupero per l’abusante. Si tratta da parte dello psicologo di una “messa a fuoco” per cui non è sufficiente una visione generale del fenomeno, ma una conoscenza meticolosa ed attenta, che include l’analisi delle infinite combinazioni delle età dei protagonisti coinvolti in tale atto, 140 delle modalità, della _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 durata, delle capacità, dei sentimenti, delle storie, delle relazioni, così come dei motivi che hanno determinato la crisi dinamica incestuosa che non lasciano spazio ad un approccio superficiale. Da ciò ne consegue che l’interesse primario di qualunque intervento, sia esso giudiziario che psicosociale, deve essere quello di farsi carico dei reali bisogni-diritti del bambino, coinvolto in una storia di violenza e la possibilità di recupero dell’abusante; disattendere tale obiettivo, significherebbe rischiare di produrre nella vittima seri traumi (psichici, sessuali e comportamentali) e nell’ abusante la continuazione di tale crimine. Detto intervento trova la sua forza in un concreto coordinamento tra le istituzioni che hanno, da una parte, la funzione di tutelare la vittima e dall’altra la funzione di terapia e di sostegno (sia psichico che fisico) da offrire anche alla famiglia, nella quale il minore è inserito. Tale intervento risulta sicuramente molto complesso, poiché richiede la mediazione, spesso difficile ed estenuante sia tra gli operatori psicosociali che tra quelli della Giustizia Minorile ed Ordinaria, incluse tante professionalità distinte che talvolta faticano a svolgere il lavoro in modo interdisciplinare. Infatti è proprio il bisogno-diritto di protezione della vittima, integrato alle esigenze di aiuto e recupero dell’intero sistema familiare, che rappresenta il filo conduttore di tutto l’intervento, che inizia con la protezione fisica e psicologica del minore, per passare infine, alla valutazione delle cause che hanno determinato il comportamento abusante, delle relazioni familiari che ne hanno consentito lo sviluppo e delle possibilità esistenti di recuperare rapporti sani e funzionali, tra i vari membri della famiglia, incluso l’autore del reato (Malacrea, Vassalli, 1990). L’intervento deve concludersi, solo se vi sono le condizioni per un recupero dell’autore del reato, con il trattamento assistenziale e 141 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 terapeutico della famiglia e con il sostegno di cure psicologiche per tutti. L’importanza dell’accertamento psicologico nei casi d’abuso sessuale sui minori è senza dubbio fondamentale; questa fase rappresenta solo l’inizio di un iter lungo e complesso che coinvolge lo psicologo, il quale per quanto riguarda l’intervento diagnostico, dovrebbe per primo entrare in rapporto con le persone coinvolte in tale situazione ed essere in grado di valutare la tensione emotiva e le esigenze terapeutiche del bambino e della famiglia. Accanto all’indagine sul bambino, l’impegno dell’esperto dovrebbe orientarsi a gestire gli incontri con la famiglia per valutarne la struttura, la problematicità, le aree disfunzionali, nonché verificarne le risposte emotive quando viene confrontata con l’abuso. Questo delimitata comporta capacità che l’esperto professionale; abbia da un’approfondita ciò deriva ma l’impegno all’interdisciplinarietà e al lavoro di gruppo in cui, nella stessa area psicologica, operino, superando posizioni dogmatiche, le diverse competenze e i diversi riferimenti teorici (ad esempio il testista, il terapeuta sistemico-relazionale, l’analista individuale etc.). Le competenze dello psicologo vengono utilizzate dalla giustizia penale nei casi di abuso sessuale intrafamiliare, in particolare in alcune Procure, al fine di svolgere accertamenti psicodiagnostici sul minore ed individuare una serie di indicatori di abuso e contribuire in modo decisivo alla verifica dell’attendibilità della “parte lesa”, specie quando non ci sono riscontri obiettivi (Forno, 1990). Ci sono casi in cui l’abuso è celato da situazioni all’apparenza tranquille all’interno delle quali la personalità dell’abusante, apparentemente integra e l’esistenza di un legame affettivo tra lui e la vittima, rende più difficile all’operatore definire l’esistenza e le caratteristiche 142 dei fatti traumatici. L’intervento prende in _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 considerazione vari piani d’analisi; anche se l’intervento dello psicologo chiamato in causa subisce forti tensioni e un coinvolgimento che in prima istanza potrebbe apparire anche di natura empatica, le emozioni, i sentimenti che nel loro insieme possono essere causa deviante di un approfondito esame clinico, la struttura di personalità dello stesso psicologo viene sottoposta ad uno stress psichico, spesso intollerante con il fattore deontologico. L’attenzione che il terapeuta deve rivolgere è di particolare importanza anche nella decodifica del profilo psicologico dell’abusante sia per l’accertamento che per la pseudo-convinzione che possa danneggiare sia l’abusato che l’abusante. Molto spesso l’abusante cerca di contrastare attraverso difese di onnipotenza l’illusoria convinzione o i confini dell’abuso stesso e di non aver danneggiato la vittima. Per questo è importante che l’esperto attraverso sedute e colloqui clinici cerchi di far introiettare a livello inconscio nell’abusante un’alternativa valida alle sue manifestazioni di aggressore su un’innocua preda sia di piccole capacità psichiche che di fragilità corporea, e cercare di affidare la propria disperazione a qualcuno; in questo caso è il terapeuta che deve far distanziare i suoi vissuti forse di una sofferenza passata, di una delusione subita o di un significato distruttivo su un essere indifeso. Allo psicologo si chiede di lavorare attivamente sull’abusante per comprendere se una delle cause possa essere l’eventuale mancata protezione della madre e se essa sia stata realmente volontaria o inconsapevole (questa è una delle cause che in contrapposizione al complesso Edipico non risolto pone l’abusante in una posizione ossessiva di odio-amore verso la madre). E’ preferibile che a questo punto il lavoro psicologico sia svolto con un atteggiamento passivo ma nello stesso tempo volto a comprendere l’abusante in esame. Questa introiezione della funzione osservante dello psicologo è resa possibile dal suo modo di proporsi, 143 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 attraverso il quale, con il susseguirsi delle sedute viene stimolato a riscoprire nell’abusante un essere umano con bisogni e desideri propri a ritegno di un suo simile più fragile e ingestibile. A questo punto il lavoro psicologico farà riemergere nell’abusante, inevitabilmente ricollegate al proprio contesto familiare, aree d’ombra di un vissuto, di un trauma o di violenza subita. L’accettazione di un codice di comunicazione misto tra l’abusante e il terapeuta, sia sul piano delle relazioni che su quello della percezione, possono portare a ricostruire il quadro della personalità dell’abusante. L’esperto a questo punto del lavoro terapeutico deve riuscire (sempre con la propria esperienza professionale) a fare in modo che l’abusante perda il controllo dei suoi meccanismi difensivi. Questo potrebbe essere la garanzia delle rivelazioni che l’abusante potrebbe confidargli ma soprattutto nella loro utilità come tappa per un’elaborazione psicologica. A questo punto l’atteggiamento dello psicologo deve essere sia di tipo recettivo che attivo. Risulta, quindi, essenziale che il lavoro con gli aggressori sessuali si collochi all’interno di un’impostazione teorica di base che possa essere arricchita di informazioni mano a mano che si accumulino evidenze provenienti da ricerche e interventi clinici. Nella misura in cui comprendiamo l’eziologia e il mantenimento dei comportamenti sessuali violenti, verremo a capire come evolve il normale comportamento nell’arco della vita di ogni persona. Se siamo aperti a questo concetto, ogni terapia che portiamo avanti con gli aggressori sessuali può insegnarci molto su noi stessi, sulla nostra storia e sul suo significato e, più di tutto, sulla nostra capacità di tolleranza verso le persone, pur non accettando necessariamente alcuni aspetti del loro comportamento. 144 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 Appendice - Legge 66/96 Norme contro la violenza sessuale Si parla di abuso sessuale sia che si compiano atti sessuali direttamente sul corpo del bambino, sia che quest’ultimo venga costretto ad assistere a rapporti sessuali. L’abuso sessuale nei confronti di minori rientra nella materia della violenza sessuale, oggetto di una recente e radicale modifica ad opera della L. 15 febbraio 1996, n. 66 (Norme contro la violenza sessuale), nata dalla proposta di legge n. 2576 presentata il 23 maggio 1995 alla Camera dei deputati di tutti i gruppi parlamentari. Questa legge ha permesso di considerare il reato di violenza sessuale come un reato contro la persona e non contro la moralità pubblica e il buon costume, secondo quanto stabilito dal Codice Rocco. In questo senso il vero bene leso non è una generica moralità sessuale di cui sarebbe titolare la collettività, ma il singolo individuo la cui libertà viene gravemente e profondamente violata. Le nuove disposizioni in materia di violenza sessuale tendono a difendere da illecite invasioni nella propria sfera di libertà ogni persona, maschio o femmina, adulto o minore. Una particolare attenzione è riservata a quest’ultimo proprio in ragione della sua inesperienza, della incapacità di esprimere un consenso realmente libero e cosciente, degli effetti devastanti per un armonico equilibrio psicofisico che precoci esperienze sessuali possono provocare. Gli abusi sui minori possono concretizzarsi essenzialmente in tre ipotesi di reato: 1. la violenza sessuale (art. 609 bis), di cui si rende autore “ chiunque con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità costringe 145 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 taluno a compiere o subire atti sessuali” ovvero, anche senza costrizione vera e propria, “induce taluno a compiere o subire atti sessuali abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa”. L’elemento di base è, quindi, l’esistenza di una qualsiasi forma di violenza, ivi comprese la semplice minaccia, l’abuso di autorità, l’abuso di inferiorità fisica o psichica, che renda possibile il compimento di un atto sessuale non libero. L’atto sessuale è da intendere non esclusivamente come congiungimento carnale, ma come qualunque atto avente una qualsiasi valenza sessuale (ossia idoneo a ledere la sfera di libera autodeterminazione del singolo in campo sessuale: perfino un bacio sulle labbra, quindi, può essere considerato tale, se non voluto dal soggetto passivo). Ovviamente la violenza sessuale compiuta su un minore comporta un aggravamento della pena (art. 609 ter). 2. Atti sessuali con minorenne (art. 609 quater). Il concetto di minorenne che la norma prende in considerazione non è quello comunemente in uso, relativo al compimento dei 18 anni: nel senso che non tutti gli atti sessuali con minori sono vietati. Il minore nei cui confronti possono essere compiuti gli atti puniti è infatti colui che non ha ancora compiuto 14 anni: oppure, che non ne ha ancora compiuti 16, se il colpevole è una persona a lui particolarmente vicina, tipo l’ascendente, il genitore adottivo, il tutore, ovvero altra persona cui, per ragioni di cura, educazione, istruzione, vigilanza o custodia il minore è affidato o che abbia con quest’ultimo una relazione di convivenza. Si può affermare che in questa ipotesi la violenza è, per così dire “presunta”: l’atto sessuale rappresenta sempre un reato, a 146 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 prescindere dalla prova di una qualsiasi forma di costrizione e, addirittura, anche se dovesse sussistere il consenso del minore. Viceversa, al di fuori di questa ipotesi, in linea di massima gli atti sessuali compiuti su minori di età compresa tra i 14 e i 18 anni, sono leciti (salva l’ipotesi in cui integrino una violenza sessuale); come pure i casi in cui l’atto sessuale avvenga tra minori, a patto che abbiano già compiuto i 13 anni e non vi sia tra i due una differenza di età superiore ai tre anni (questo ovviamente per tutelare la sessualità tra minori, salvaguardando così la loro autonomia di scelta). Quindi 12 anni è il limite al di sotto del quale il consenso del minore al rapporto sessuale deve ritenersi invalido. La pena per gli atti sessuali compiuti, con le modalità tipiche della violenza e della minaccia su persona infraquattordicenne, varia da 6 a 12 anni di reclusione. Quando il reato è commesso nei confronti di minori di anni 10, la sanzione va dai 7 ai 14 anni. 3. Corruzione di minorenne (art. 609 quinquies), consistente nel compimento di un atto sessuale “in presenza di persona minore di anni quattordici, al fine di farla assistere”. La Cassazione, con sentenza 6.10.1967, definiva il reato di corruzione un reato di pericolo e non di danno; nel caso di atti sessuali commessi in presenza di bambini non era necessario che lo stesso percepisse con i propri sensi l’atto di libidine, bastando un’apprezzabile probabilità di tale percezione. La giurisprudenza formatasi sotto la vecchia norma aveva ritenuto la sussistenza del reato in questione nel caso di atti di libidine commessi in presenza del minore che dorme (Cass. 1.3.1967). Successivamente però con sentenza del 25/2/1969 ha ritenuto che il reato non sussistesse poiché in tal caso il pericolo di corruzione non 147 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 deve essere confuso con il pericolo del risveglio del minore. Si è anche affermato che il reato sussiste ogniqualvolta il minore abbia la possibilità di percepire l’atto lascivo nella sua materiale realtà, non potendo ravvisarsi un pericolo di corruzione nei casi in cui il minore sia talmente piccolo da non poter distinguere i fatti concreti che avvengono sotto i suoi occhi (Cass. 3.3.1969). Non in tutti i casi in cui il minore è oggetto di abuso sessuale lo psicologo che ne viene a conoscenza è obbligato alla denuncia alla competente Autorità; l’obbligo è previsto solo ove il reato sia perseguibile d’ufficio. Questo si verifica solo in alcune ipotesi: 1. con riferimento alla violenza sessuale vera e propria, solo fino a che il minore non ha compiuto i 14 anni; 2. oltre i 14 anni e fino ai 16 solo qualora l’autore sia uno di quei soggetti al minore particolarmente vicini (genitore, anche adottivo, o il di lui convivente, il tutore ovvero altra persona cui il minore è affidato per ragioni di cura, educazione, istruzione, vigilanza o di custodia: ad esempio medico, educatore, insegnante, infermiere, sorvegliante di un Istituto penale ecc), mentre è indifferente che si tratti di violenza sessuale o di meri atti sessuali; 3. se il fatto è comunque connesso con un altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio; In base a queste norme, pertanto, il probabile abuso sessuale denunciabile all’Autorità giudiziaria (in quanto procedibile d’ufficio) si configura allorché un minore di 14 anni sia oggetto di vera e propria violenza sessuale, da chiunque essa provenga; al di sopra di tale età e fino ai 16 anni quando, indipendentemente dall’esistenza di una 148 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 violenza, l’autore dell’atto sessuale sia una persona “particolarmente qualificata”. Per i reati sopra esposti che si configurano come perseguibili d’ufficio in base alla legislazione attualmente vigente, lo psicologo che ne venga a conoscenza nell’esercizio di un’attività sanitaria (se libero professionista o dipendente di una struttura pubblica), e nell’esercizio di ogni sua attività professionale (se pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio), ha per legge l’obbligo di presentare denuncia del fatto-reato di cui è venuto a conoscenza “all’Autorità giudiziaria, o ad un’altra Autorità che a quella abbia obbligo di riferirne”. Per quanto riguarda l’adempimento in concreto dell’obbligo di denuncia è consigliabile effettuare due comunicazioni di diverso contenuto: a. la prima al Pubblico Ministero presso la Procura della Repubblica, ubicata di norma presso il Tribunale ordinario; si tratta di una pura e semplice denuncia, come tale in grado di provocare l’avvio, da parte del Pubblico Ministero, delle indagini preliminari e l’eventuale adozione delle misure cautelari che potrebbero essere ritenute necessarie; b. la seconda al Giudice minorile presso il Tribunale dei Minorenni (ed eventualmente, con il medesimo testo e per conoscenza, al Servizio Sociale Minori competente per territorio) finalizzata all’adozione, urgente, degli interventi di tutela del minore; essa dovrebbe essere sufficientemente dettagliata e redatta come una vera e propria relazione psicologica che fornisca almeno le principali informazioni relativamente ai fatti avvenuti, ai soggetti implicati e alle caratteristiche dell’ambiente familiare della vittima, solo in questo modo il giudice è in grado di adottare provvedimenti coerenti a tutela del minore; 149 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 Bibliografia Ainsworth, M.D.S., Blehar, M.C., Waters, E., Walls, S.(1978). Patterns of attachment: a psychological study of the Strange Situation. Hillsdale, NJ. F. Antolisei, Manuale di diritto penale - Parte speciale, I, Giuffrè, Milano, 2002, p. 486. Bandini, T. "La valutazione psichiatrico forense della pericolosità" in Rass. Criminol. 1981, 62. B. Bessi, Il maltrattamento e l'abuso sessuale in danno dei minori, Corso di formazione per volontarie, Associazione Artemisia, Firenze, 2001. Bingham e Moore, cit. in Merzagora, I., “Il colloquio criminologico”, Unicopli, Milano,1987, pag 27. Blakemore, C.B., Thorpe, J.G., Barker, J.C., Conway, C.G., Lavin, N.I. (1963). Application of faradic aversion conditioning in a case of transvestism. Behaviour research and Theraphy, 1, 26-35. P. Brignone, La violenza carnale nel rapporto tra coniugi, in nota a sentenza del 16 febbraio 1976, "Cassazione penale", 1978. 150 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 Bolwlby, J. (1969). Attachment and loss: Vol 1 Attachment. New york: basic books. Calabria, A. "Sul problema dell' accertamento della pericolosità sociale" in Riv. It. Dir. Proc. Pen. 1990, 762. Canepa, G. "Aspetti criminologici e medico-legali della pericolosità sociale" in Rass. Criminol. 1970, 18. Catelani, G. "Manuale dell' esecuzione penale" III° ed. pag. 574. M. Correra, P. Martucci, La violenza nella famiglia. La sindrome del bambino maltrattato, Cedam, Padova, 1987, p. 157-168. Davison e Neale, Psicologia Clinica, Zanichelli. Dhawan, S., Marshall, W.L. (1996). Sexual abuse histories of sexual offender. Sexual abuse: A journal of research and treatment, 8, 7-15. R. Dolce, Incesto, in Enciclopedia del diritto, XX, Giuffrè, 1970, pp. 973-980. S. Ferenczi, La confusione delle lingue tra adulti e bambini, vol. 3, Guaraldi, Rimini, 1974. Ferracuti, S. (2008), I test mentali in psicologia giuridica e forense, Centro scientifico editore. 151 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 Finkelhor,D., Hotaling, G., Lewis, I., Smith, c. (1990). Sexual abuse and its relationships to later sexual satisfaction, marital status, religion and attitudes. Journal of interpersonal violence, 4, 379-399. Fornari, L. "Misure di sicurezza e doppio binario: un declino inarrestabile?" in Riv. It. Dir. Proc. Pen. 1993, 569. Fornari, U. (2008), Trattato di Psichiatria Forense, UTET, quarta edizione. Freeney, J.A., Noller, P. (1990). Attachment style as a predictor of aduly romantic relationships. Journal of personality and social psychology, 58, 281.291. Freund, K. (1960). Problems in the treatment of homosexuality. In H.J.Eysenck. Behaviour therapy and the neuroses, 312-326. T. Furniss, L'abuso sessuale del bambino nella famiglia: valutazione e conseguenze, in Bambino incompiuto, 3, 1990, pp. 49-58. C. Gabrieli, Violenza carnale, "Novo Digesto Italiano", Vol. VII, pag. 1070. A. Gombia, Bambini da salvare, Ed. Red, Novara, 2002, p. 74. Grossman, K.E., Grossman, K. (1990). The wider concept of attachment in cross-cultural research. Human development, 33, 3147. G. Gulotta, La vittima, Giuffrè, Varese, 1976, pp. 36-41. 152 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 G. Gulotta, M. Vagaggini, Dalla parte della vittima, Giuffrè, Varese, 1981. James, B. (1962). A case of homosexuality treated by aversion therapy. British medical journal, I, 768-770. Lamb, M.E., Gaensbauer, T.J., Malkin, C.M., Shultz, L.A.(1985). The effects of child maltreatment on security of infant-adult attachment. Infant behaviour and development, 8, 35-45. Laws, D.R., Marshall, W.L. (1990). A conditioning theory of the etiology and behaviour. maintenance Handbook of of deviant sexual sexual assault: preferences issues, theories, and and treatment of the offender, 209-229. Maglia, S. "Crisi del concetto di pericolosità sociale" in Riv. Pen. 1984, 871. F. Mantovani, I delitti contro la libertà e l'intangibilità sessuale, Cedam, Padova, 1998, pag. 29. Mantovani, F. "Diritto penale" Cedam 1992 pag. 699. Marshall, W.L., Eccles, A. (1993). Pavlovian conditioning processes in adolescent sex offender. The juvenile sex offender, 118-142. Mastronardi, V. (2001), Manuale per operatori criminologici e psicopatologi forensi, Giuffrè, quarta edizione. 153 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 Merzagora I. , “Il colloquio criminologico”, Unicopli, Milano, 1987, pag 18. V. Musacchio, Le nuove norme contro la violenza sessuale: un opinione sull'argomento, "Giustizia penale", 1996, II, pag. 118. Ponti G. , “Compendio di criminologia”, Cortina Editore, Milano, 1990, pag:458, 459. Pacori, Come interpretare i messaggi del corpo, De Vecchi, 2008. Pacori, I segreti della comunicazione, De Vecchi, 2008. R. Pannain, Delitti contro la moralità pubblica, 1952, pag. 38. Quinsey, V.L.., Hudson, S.M., Hodkinson, S. (1993). The importans of attachment bonds in the development of juvenile sex offending. The juvenile sex offender, 164-181. Quinsey, V.L., Earls, C.M. (1990). The modification of sexual preferences. Handbook of sexual assault: issues, theories, and treatment of the offender, 279-295. Quinsey, V.L., Quinsey, V.L. (1983). Procedures for reducing inappropriate sexual arousal: an evaluation review. The sexual aggressor: current perspectives on treatment, 267-289. Rada, R.T. (1978). Clinical aspects of rapist. 154 _________________ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES IRENE GECCHELE – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 Raymond,M. (1956). Case of fetishism treated by aversion therapy. British medical journal, 2, 854-856. Taddei F., L'organizzazione dei servizi e i processi d'integrazione, Convegno nazionale sulla prevenzione del disagio nell'infanzia e nell'adolescenza, Firenze, 2002. Watson, J.B.( 1924). Behaviourism. Chicago: the people’s institute. 155