una notte ho sognato che parlavi
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Gianluca Nicoletti Una notte ho sognato che parlavi Così ho imparato a fare il padre di mio figlio autistico NICOLETTI_Una notte ho sognato che parlavi-ok.indd 3 17/01/13 14.46 I Un bambino tranquillo Natalia, mia moglie, iniziò il travagliare per Tommy alla mattina. Era il 26 febbraio 1998. Io, a molti chilometri di distanza, conducevo il mio programma alla radio. Lo seppi solo quando finii la trasmissione. Nessuno mi avvertì, per evitare che potessi interrompere la diretta. Al tempo era così, il mio lavoro era ancora il fulcro attorno cui ruotava e si adattava ogni movimento della famiglia. Passai il tempo del parto al telefono con lei dalla stanza d’albergo, mentre continuava la mia giornata di trasferta, senza interrompere nessuno dei miei impegni: così scrivevo dal letto con il telefono all’orecchio e il laptop sulle ginocchia, ero già allora uno che oggi si direbbe normalmente multitask. A un certo punto, entrò in camera pure una collega di «Avvenire», per farmi un’intervista sul Festival. Tommy nacque verso le 13 e senza problemi. L’ostetrica disse che avrebbe fatto impazzire le donne… La solita gag per lusingare le madri sulla straripante virilità del neonato. Residuali arcaismi puerperali, sopravvissuti al tempo dell’epidurale. Io lo vidi un paio di giorni dopo, quando tornai a Roma: era un coso rosso niente di che. Filippo, il primo figliolo, nato trionfalmente due anni e mezzo prima, era venuto fuori bellissimo, ogni giorno di più sagace e sorprenden- NICOLETTI_Una notte ho sognato che parlavi-ok.indd 9 17/01/13 14.46 10 Una notte ho sognato che parlavi te; questo affarone, invece, si vedeva che avrebbe abbassato lo standard dell’orgoglio ostentatorio. Non riesco a simulare sentimenti che non ho provato, provengo da una famiglia d’origine onorevolmente anaffettiva e mi ero rassegnato più che altro a subire la volontà muliebre di avere figli. Non mi si venga a dire che la paternità è un istinto; magari può maturare una certa riconoscenza per la natura quando i figli cominciano a crescere e si formano carattere e lineamenti, regalandoti quei fantastici baluginii di déjà vu che ti consolano al pensiero che quel quasi clone è il tuo sberleffo alla morte. Tommy, invece, non aveva nulla dei miei caratteri, salvo quella fessura al mento un po’ da paraculo che fa tanta tenerezza alle donne. Lui non mi somiglia per niente, è la fotocopia di mia suocera. Mai conosciuta, fra l’altro, perché quando incontrai la prima volta mia moglie lei era già orfana da anni. Però di quella signora avevo visto qualche foto e Tommy l’aveva in parte fatta resuscitare. (Anche questo trovo sia uno dei magici paradossi che mi legano a lui. Fa una certa impressione che la persona con cui divido la maggior parte del mio tempo sia la risultante fisiognomica di una suocera. In effetti, potrebbe rappresentare l’apoteosi della sgradevolezza di un legame familiare, ma non è così per me che mai la conobbi e di cui mi resta solo un sorriso stampato e poi riapparso vivo in mio figlio.) Tommy fu un modello di bontà fino ai tre anni: stava sempre tranquillo e zitto, mai particolari problemi da parte di quel bambino, salvo che, a un certo punto, cominciarono tutti a chiedersi come mai non parlasse ancora. Era stato velocissimo e perfetto nell’appropriarsi di molte sue autonomie fisiologiche. Non ricordo di aver mai dovuto accompagnarlo in bagno, andava, eseguiva e usciva lasciando come se non fosse mai passato. Ecco, mi resta come costante questa impressione che avesse una quasi angelica procedura di eva- NICOLETTI_Una notte ho sognato che parlavi-ok.indd 10 17/01/13 14.46 Un bambino tranquillo 11 cuazione: come una capretta, sfornava le sue cose, inoffensive quasi fossero biglie di terracotta. Certo, è vero che non parlava, ma mia madre, le rare volte che lo vedeva, sdrammatizzava dicendomi che anch’io avevo cominciato tardissimo a esprimermi a parole. Questo in una certa misura mi rassicurava, ma solo per ignoranza. Pensavo che, in fondo, io mi guadagno da vivere proprio parlando, senza nemmeno aver fatto mai nessuno sforzo particolare per sviluppare questa capacità, quindi, prima o poi, avrebbe iniziato anche lui a farsi sentire. Invece no, zitto… Ricordo che un anno passammo il mese di agosto in una spiaggia della Sardegna molto ben frequentata da colleghi giornalisti e belle persone, più o meno vagamente collocabili nell’universo della creatività milanese. Le notabili signore, magre e abbronzate, avevano figli con fantastici capelli biondi e lisci a caschetto, come se derivassero da una stirpe di angeli caduti, o bei moretti crespi e vivaci, molto ciarlieri e persino poliglotti. Una mamma leggeva in spiaggia la Rowling in inglese alle figlie estasiate, soprattutto lo faceva al tempo in cui io non sospettavo nemmeno dell’esistenza di Harry Potter. Tommy già aveva una selva di capelli ricci e amava cavalcare un grosso cane bianco, che transitava in spiaggia. Naturalmente, tutte venivano sempre a chiedermi perché quel mio figlio ancora non parlasse, con aria contrita e quasi di commiserazione. Forse loro già sapevano: a forza di far rubriche su patinati giornali femminili avranno scritto e letto un mucchio di volte di quelli che, magari stronzamente, chiamano «bambini indaco». Per tacitarle e ostentare anche noi qualche forma d’orgoglio, cominciammo a far girare Tommy senza costumino tra i capanni di asfodelo, dove al tempo tutte le signore leggevano un libro sulla meraviglia di essere mamma e giornalista allo stesso tempo. So che è un bieco riemergere della mia natura fescennina, da figlio di un frate cercatore e una spigolatrice di granturco della piana d’Assisi, ma ebbi NICOLETTI_Una notte ho sognato che parlavi-ok.indd 11 17/01/13 14.46 12 Una notte ho sognato che parlavi anche la mia compassatissima moglie complice di quello sfrontato rituale di mortificazione fallica. Anche lei aveva una genetica e ricambiata diffidenza per quelle famigliole allargate di politicamente correttissimi signori & signore. Come l’ostetrica dall’occhio clinico fatalmente sentenziò quando lo vide apparire alla prima luce della vita, Tommy nature era in grado di far impallidire padri e madri di ogni etnia e status sociale. Quando passava lui, tutti correvano a ricoprire i propri gioielli per non farli annichilire nell’impari confronto. Certo oggi capirei in un nanosecondo quale sia la diagnosi, se qualcuno mi raccontasse la stessa cosa di suo figlio, ma l’autismo è un mondo che ti galleggia invisibile accanto, non te ne accorgeresti mai se per qualche ragione non ci entrassi dentro con qualcosa che appartiene alla tua carne. A differenza di forme più evidenti di disabilità, queste persone votate al silenzio sono silenziose anche come presenza sociale. È da pochissimo che ne leggo con insistenza, persino troppa a volte, ma sempre e solo perché qualche genitore a un certo punto inizia un attacco al resto del mondo. Si scende in campo con le tecniche ninja del piccolo manipolo d’assalto, che ognuno di noi ha imparato a far muovere veloce e spietato. Il nostro gruppo di fuoco ha un organico all’osso: due persone operative, una terza in appoggio logistico, ma non sempre. Molto più spesso in sonno. Non illudiamoci, un figlio autistico fa tracollare le armonie coniugali, prosciuga le passioni, incanutisce ogni vita di coppia. Avviene, in qualche caso, immediatamente: di solito, come ho già scritto, il maschio scappa e molla tutto sulla madre; fino a poco tempo fa aveva pure la giustificazione che la responsabilità dell’anomalia potesse derivare da omissioni affettive di lei. La «mamma frigorifero» ha assolto parecchi sensi di colpa maschili, almeno me lo immagino. Per chi resta, quando il figlio problematico comincia a NICOLETTI_Una notte ho sognato che parlavi-ok.indd 12 17/01/13 14.46 Un bambino tranquillo 13 lambire la condizione d’adulto iniziano alcuni oggettivi problemi di gestione. Occorre, allora, con santa pazienza cercare di farsene carico assieme, mentre scoppia la guerra in famiglia tra chi sia più o meno eroe da prendersi il fardello. (L’autistico diventa il catalizzatore di tensioni sopite, ma sicuramente già esistenti. Spesso fa saltare il tappo del non detto, che potrebbe essere considerata un’altra delle sue innegabili doti di rivelatore di realtà sommerse.) Non è che poi esista molta scelta: lo si può affidare a un istituto di matti generici, ma ti viene l’angoscia che guarderebbe il soffitto la maggior parte del tempo, o si può ascoltare chi ti consiglia di potenziare la sedazione, ma, almeno per ora, a me darebbe la sensazione ingrata di aver scelto una via facile per sottrarmi all’impegno verso mio figlio. Se però queste scelte non ti sembrano accettabili, ti troverai impegnato per il resto della vita in un lancinante tira e molla alla ricerca dell’equazione impossibile, quella capace di risolvere il problema dell’incastro tra vite convenzionalmente organizzate e lui. La prima volta in cui capii che qualcosa non andava fu quando Tommy, ancora molto piccolo, fu visitato da un neuropsichiatra. Dopo averlo messo a terra tra un mucchio di giocattoli, mi disse: «Vede? È più attratto dagli oggetti che dalle persone…». Non diedi però eccessivo peso alle sue parole e, per un paio d’anni ancora, restai nell’inconsapevolezza. Pensai subito che anche a me accade la stessa cosa: le persone in genere mi interessano se sono interessanti, altrimenti molto meglio osservare oggetti inanimati, e che se, pur in questa particolare attitudine «patologica», io riesco a guadagnarmi da vivere parlando, il problema di Tommy evidentemente non era quello. Fu strano che capitassi con Tommy da uno psichiatra, ma mi ci mandò al volo l’infermiera di un noto ortopedico da cui eravamo andati perché, pur essendo un abile gattonatore, a quindici mesi ancora non si era deciso a camminare. NICOLETTI_Una notte ho sognato che parlavi-ok.indd 13 17/01/13 14.46 14 Una notte ho sognato che parlavi La donna in camice aveva già pronto in mano il biglietto dello specialista, che aveva lo studio in un palazzo accanto, nell’elegante Quartiere Coppedè. Ci avrebbe ricevuto di lì a un’ora. Fu un tempo infinito, in cui mia moglie e io girammo in tondo sul marciapiede attorno a uno di quei deliri primi Novecento costruiti per sembrare case di fate. Spingevamo il passeggino con Tommy e ci chiedevamo cosa mai c’entrasse un neuropsichiatra con i piedi di nostro figlio. Fu la prima soffocante e implacabile sensazione che quella creatura avesse qualcosa che solitamente si pensa possano avere sempre e solo i figli degli altri. Se allora qualcuno mi avesse detto chiaramente di che si trattava, non avrei perso almeno altri tre o quattro anni ad aspettare che chissà chi lo rendesse «normale». Avrei iniziato subito a darmi da fare per il massimo bene di mio figlio, ma anche a esercitarlo perché fosse il mio oracolo segreto. NICOLETTI_Una notte ho sognato che parlavi-ok.indd 14 17/01/13 14.46