la francia di sarkozy

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la francia di sarkozy
LA FRANCIA DI SARKOZY
Lunedì 07 Maggio 2007 14:30
di Agnese Licata
Se il buongiorno si vede dal mattino, la nuova presidenza di Nicolas Sarkozy non preannuncia
niente di buono per la Francia. Ieri sera, proprio mentre a Place de la Concorde i 30mila
sostenitori di Sarkozy festeggiavano la vittoria con un grande concerto, a Place de la Bastille
altre migliaia di persone manifestavano proprio contro il risultato del secondo turno di queste
elezioni presidenziali. Inevitabili gli scontri con la polizia, qua, come nelle banlieues parigine,
che riescono a bucare l’indifferenza generale solo quando prevale la violenza. A un anno e
mezzo dalla guerra civile che coinvolse le periferie della Capitale, è infatti tornato a ripetersi il
copione delle auto incendiate. Bisognerà aspettare che il nuovo capo di Stato francese prenda
realmente il comando, il 17 maggio, per capire le vere dimensioni di questa protesta. Che é il
leader dell’Ump il vero vincitore di queste elezioni diventa ufficiale verso le 20.15 di ieri sera
quando, in un elegante abito bianco, Ségolène Royal ammette la sconfitta di fronte ai suoi
sostenitori, accorsi in rue de Solferino sperando in una festa che non ci sarà.
Le suffrage universelle a parlé
, “il suffragio universale ha parlato”. Peccato che le parole scelte dal popolo francese non siano
quelle che avrebbero fatto gioire il quartier generale del partito socialista. Le urne sono chiuse
da appena un quarto d’ora. Ma aspettare lo scrutinio dei voti non avrebbe senso. Il risultato è
troppo netto, impossibili sorprese dell’ultim’ora: è Nicolas Sarkozy il nuovo presidente della
Francia. Del resto, la prima conferma concreta ai tanti sondaggi della vigilia era arrivata fin
dalle 17, quando la televisione pubblica belga prima e l’agenzia svizzera dopo avevano diffuso
alcune proiezioni (basate sulle schede già scrutinate e non sulle dichiarazioni di voto) che
davano il leader dell’Ump al 54 per cento. Dato molto vicino a quel 53,06 per cento che sarà il
risultato definitivo, reso noto dal ministero degli Interni francese solo nella notte. Lo scarto di
oltre il 6 per cento non ha lasciato alla Royal neanche per un secondo l’illusione di poter entrare
all’Eliseo. L’affluenza record, ancora una volta quasi all’84 per cento, dimostra quanto,
nonostante l’invito all’astensione del leader di estrema destra Jean-Marie Le Pen, i francesi
abbiano voluto decidere quali mani guideranno il loro Paese in un momento di delicata
transizione.
Uno dei Paesi cardine d’Europa – per storia, cultura, forza politica ed economica – sceglie,
insomma, di virare a destra. Preferisce essere rassicurato da chi promette più sicurezza,
giudicando come adulti anche ragazzi di 16 anni recidivi e dotando i poliziotti di armi a “letalità
ridotta”; da chi pensa di dimezzare la disoccupazione incentivando lavoratori e datori di lavoro a
ricorrere di più agli straordinari; da chi intende difendere l’identità nazionale ai danni di un
multiculturalismo che non funziona perché solo di facciata. L’uomo che occuperà per i prossimi
cinque anni la poltrona più potente di tutta la Francia promette di essere “dalla parte degli
oppressi del mondo”. “La Francia – ha detto Sarkozy nel suo primo discorso da vincitore – sarà
dalla loro parte”, perché “è l’identità della Francia. È la storia della Francia”.
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Oltre a dimostrare diversi lapsus sulla storia contemporanea della sua nazione (e gli algerini
potrebbero aiutarlo a ricordare molte “grandeurs” francesi), Nicolas Sarkozy non sembra
trovare nessuna contraddizione con la sua intenzione di ridurre gli ingressi degli immigrati e,
addirittura, di rendere più difficili i ricongiungimenti familiari di chi lavora e vive regolarmente in
Francia. Viene poi da chiedersi perché un uomo tanto sensibile agli oppressi non ci abbia
pensato due volte a definire “feccia” i rivoltosi della
banlieues
, invece d’intuire l’emarginazione e il disagio sociale alle spalle di quella violenza.
Senza parlare della politica estera. ”Voglio lanciare un appello ai nostri amici americani per
dire che possono contare sulla nostra amicizia”, ha precisato ieri sera Sarkozy, durante il suo
discorso. In ballo non c’è solo l’indipendenza delle scelte francesi, ma soprattutto quella
dell’Unione europea, dove la Francia, insieme alla Germania, ebbe un ruolo fondamentale
nell’opporsi all’intervento Usa in Iraq.
Questo l’uomo che i francesi hanno scelto come proprio prossimo presidente. Eppure, molti di
coloro che ieri hanno barrato il nome di Nicolas Sarkozy non lo hanno fatto per stupidità, ma
perché l’alternativa era una sinistra che, in Francia come in Italia, ha perso per strada idee,
valori, capacità di rinnovarsi e trovare risposte ai problemi che caratterizzano la società di oggi.
Una sinistra soprattutto incapace di elaborare un progetto a lungo termine, su cui lavorare in
modo unitario. Non basta provare a fare fronte comune solo al secondo turno, giusto per
iniziare a litigare appena resi noti i risultati. Non basta un programma messo in piedi solo in
vista delle elezioni e per giunta traballante, privo di copertura finanziaria, “variopinto”, per
riuscire ad accontentare un po’ tutti. Non basta provare a imbastire all’ultimo momento
un’alleanza con il centrista François Bayrou. E’ mancata la credibilità di un progetto ed è
risultata letale la trasformazione del Partito socialista in un comitato elettorale. E se Sarkozy ha
potuto contare sui voti dell’estrema destra francese, da lui sdoganata e in qualche modo
rappresentata, lo stesso non è successo con la sinistra estrema, a sua volta uscita bastonata
dalle urne ma pervicacemente incapace di costruire fronte comune per evitare di consegnare la
Francia al centrodestra.
Solo in un momento, durante l’ultimo mese di campagna elettorale, era sembrato che la
candidata socialista potesse ancora recuperare lo svantaggio da Sarkozy. Alla vigilia del
confronto televisivo, infatti, un sondaggio dava la Royal al 48 per cento, in rimonta di un punto
percentuale. Rimonta immediatamente bruciata dal nuovo atteggiamento aggressivo inaugurato
dalla Ségolène proprio durante il confronto e proseguito nei giorni successivi con le accuse di
“berlusconismo tardivo” e non solo. Ma l’allarmismo non paga, almeno in Francia. È servito solo
a far aumentare tra gli elettori il sospetto che attaccare l’avversario fosse un modo per
mascherare la debolezza del programma.
La sinistra, quindi, ce l’ha messa tutta per perdere queste elezioni. C’è però un altro fattore da
considerare: François Bayrou. Troppo occupato a imbastire gli affari del proprio partito per
guardare al bene comune e agire con responsabilità politica. Al primo turno, il leader dell’Udf
(un partito che all’Assemblea nazionale conta solo 27 seggi su 577) ha ottenuto il 18 per cento
dei voti, piazzandosi subito dietro i due principali sfidanti. Segno che milioni di francesi
trovavano insoddisfacente sia Sarkozy sia Ségolène. “Il futuro della Francia è che si facciano
vivere insieme i valori di uno e dell'altro”, aveva dichiarato commentando i risultati. La mania
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italiana di far rinascere un grande partito di centro sembra essere arrivata anche oltralpe, dato
che Bayrou ha dichiarato di voler fondare una nuova forza - chiamata Movimento democratico –
in alternativa a Ump e Ps. Per riuscire in quest’obiettivo è necessario essere bravi equilibristi e
Bayrou ha dimostrato di giocare bene a questo gioco. Lui, un uomo che viene dalla destra, ha
scelto di non dare esplicite indicazioni di voto ai suoi elettori, ma ha però dichiarato la sua
intenzione di non votare Nicolas Sarkozy. Risultato: la maggior parte dei suoi 7 milioni e mezzo
di elettori si sono stufati di questo gioco delle tre carte e hanno votato proprio per Sarkozy. Se
al secondo turno almeno i due terzi di questi voti fossero andati alla Ségolène, probabilmente la
festa sugli Champs Élysée non avrebbe visto i palloncini blu dell’Ump.
Adesso due sono le date che possono, in qualche modo, modificare la portata di queste
presidenziali: il 10 e il 17 giugno. Tra un mese esatto, infatti, i francesi saranno nuovamente
chiamati alle urne per rinnovare il Parlamento. Date troppo vicine per sperare in un voto diverso
da quello del primo turno. Eppure, la sinistra ha ancora la possibilità di limitare i danni. Se saprà
mostrarsi, almeno una volta, unita.
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